Aprile 2011

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Mensile di informazione, politica e cultura dell’Associazione Luciana Fittaioli - Anno III, n. 4 - Foligno, aprile 2011

uando è stato scritto l’articolo a fianco non era ancora scoppiata la guerra di Libia; sì, la “guerra di Libia” perché di questo si tratta! Questo articolo, così detto di “fondo”, nelle intenzioni avrebbe voluto essere dedicato ad altro argomento di ben altro tono di speranza e di fiducia per un evento che ha interessato un lontano oriente (non il Giappone ovviamente); torneremo su quell’argomento nei prossimi numeri. Oggi, purtroppo, non possiamo evitare di parlare di ciò che sta accadendo nel Mediterraneo, nel “mare nostrum”, davanti alla nostre coste e sulle nostre coste. Se non fosse tragico, come ogni guerra e ogni migrazione di popoli in fuga comporta, tutto ciò sarebbe “ridicolo”. Sull’altra costa. Un “rais” (quanto piace alla nostra stampa “gossip” usare questo termine che già da solo risolve il problema etico: il rais è il cattivo, contro necessariamente ci sono i buoni, cioè noi) che affama il suo popolo, reprime le libertà, tortura e commette le più efferate cattiverie. Ma non lo sapevamo già e da anni, per non dire da decenni? Lo scopriamo ora? Scopriamo ora che i tanti soldi che la Libia, pardon il rais, ricava dalla vendita del gas e del petrolio alla nostra ENI (la quinta compagnia petrolifera del mondo), li spendi in armi che gli fornisce la nostra Finmeccanica (una delle più gradi esportatrici di armi del mondo), li investe in azioni Fiat, in titoli dell’Unicredit, in buoni del nostro Stato, così sostenendo la nostra economia, tappando buchi di crack finanziari, fino a finanziare squadre di calcio per il divertimento dei nostri tifosi? Scopriamo ora che le carceri della Libia sono piene di disperati tenuti in condizioni disumane? Eppure numerosissimi sono stati negli anni passati i servizi televisivi sul trattamento disumano dei migranti in transito da quel

paese per raggiungere l’Europa. Lo sappiamo, eccome se lo sappiamo; abbiamo anche finanziato, armato e addestrato la polizia libica a “trattenere” nel loro paese quei migranti perché non arrivassero sulle nostre coste. Ora lo riproponiamo: soldi purché se ne vadano; bella soluzione! Insorge però la Lega: soldi nostri ai negri? Tranquilli rispondono i nostri ministri, i soldi non sono nostri, ce li regala l’Europa per risarcirci dal danno di essere geograficamente esposti al primo approdo di quei disperati, dunque che ce ne importa? Sulle nostre coste. Emergenza! Ma non emergenza umanitaria. Emergenza di sicurezza: terroristi, migliaia di terroristi camuffati da disperati, assetati, affamati, che vogliono entrare nel nostro paese per far saltare treni, aeroporti, scuole e ospedali. In mare! Ributtiamoli in mare! Ovviamente dopo averli identificati e schedati in modo che le polizie dei paesi che, “soldi in bocca”, sono disposti a riprenderseli sappiano bene come “sistemarli” nelle loro prigioni; sì, in quelle stesse prigioni dove, orrore (giusta espressione, senza dubbio) abbiamo scoperto essere “sotterrati” i disperati della Libia. Accogliere i migranti? Non ce lo possiamo permettere! La nostra economia è in crisi, i teatri chiudono, la scuola taglia posti, la ricerca scientifica è azzerata. Ma siamo in grado di immaginare quanto sta costando la missione di pace (no! Di guerra!)? Cifre da capogiro sperperate per sostenere una opposizione al rais della quale, peraltro, non sappiamo nulla, se non che ha armi e strutture di un vero e proprio esercito. Non è l’ “intifata” palestinese. I ribelli sparano colpi di cannone e missili, non lanciano pietre; è una guerra civile, un colpo di stato, altro che ribellione democratica. E noi? Ci siamo dentro “con tutti i piedi”. Bell’Italia! Che vergogna!

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Che vergogna! Q

Italiano a chi?! SANDRO RIDOLFI

Si festeggiano i 150 anni dell’Unità d’Italia. A restare freddi di fronte a questo evento mediatico si rischia di passare per leghisti. Entusiasmarsi al canto dell’Inno di Mameli e allo sventolare del tricolore si rischia di passare per fascisti. Tra le due, decisamente la prima! Infondo, a parte le sceneggiate populistiche dei leader iper-romanizzati e la stupidità bovina delle ronde padane, il federalismo regionale e la difesa del ruolo fondamentale svolto dai Comuni in una democrazia partecipata trovano fondamento proprio nella nostra Costituzione antifascista e repubblicana. Il progetto europeo, evoluto dalla Comunità Economica della fondazione degli anni ‘60, all’Unione Politica degli anni ’80-’90, prefigurava un percorso di progressiva dissoluzione degli Stati nazionali per realizzare un’unione di popoli, molto più numerosi degli esistenti Stati unitari o federali, fondata sul riconoscimento delle innumerevoli peculiarità regionali e sul ruolo di democrazia diretta svolto dalle autonomie comunali. Quel progetto straordinariamente innovativo e persino antagonista a quelli sino ad allora realizzati con le forzate unificazioni stanzialmente militari (paradigmatica quella degli Stati Uniti del nord America), è stato travolto dall’infatuazione della globalizzazione dei mercati e ciò è avvenuto proprio durante la presidenza italiana della Commissione Europea di Prodi. L’impreparata (e sotto questo aspetto, insensata) improvvisa apertura ai nuovi Stati dell’oriente europeo, non aveva infatti

più lo scopo di arricchire la grande poliedricità del “vecchio” continente europeo, ma quello di aprire non già “a” nuovi mercati, bensì “da” nuovi mercati, dacché l’unica mercanzia che è transitata attraverso le nuove frontiere aperte è stata la mano d’opera a basso costo, sia in forma “fisica”, con l’importazione delle masse di badanti e di manovalanza per l’edilizia o l’industria, sia in forma di merci prodotte in quei paesi, molto meno costosi, in stabilimenti opportunamente delocalizzati dalle industrie dell’occidente d’Europa. Questa considerazione ci riporta, per singolare specularità, alla vicenda dell’unione anzituttomilitare, poi politica e amministrativa della penisola italiana. Nel 1860 un migliaio di giovani tra l’entusiasta e il fanatico, infiltrati da agenti piemontesi, presero il mare dalla Liguria verso la Sicilia strada facendo armati dallo stesso Regno piemontese e silenziosamente, ma attentamente protetti dalla potente marina inglese. Sbarcarono in mille sulla punta ovest della Sicilia e dopo averla attraversata sino al capo opposto e avere poi risalito la Calabria e la Campania, giunsero ancora in poche migliaia a Napoli, dove affrontarono l’ultima battaglia per la disfatta del regno di Napoli. Vinta questa battaglia, pochi giorni dopo toccò a loro arrendersi e deporre docilmente le armi ai piedi dell’assai più forte esercito piemontese, che nel frattempo era disceso dal nord sino ai confini della Campania proprio per assicurarsi il bottino dell’avventura garibaldina. Garibaldi aveva percorso un intero regno, combattendo e vincendo battaglie campali e conquistando città e alla fine

aveva sconfitto e cacciato l’ultimo re borbone. Ma Garibaldi nulla sapeva e nulla aveva mai voluto sapere e comprendere delle realtà economiche, sociali e culturali di quei territori, anzi di quei popoli. Nobili, latifondisti, borghesi, mafiosi o camorristi da una parte e servi, “cafoni” (contadini), pescatori e operai delle industrie meccaniche napoletane dall’altra, e i rapporti economici, sociali e culturali che li contrapponevano, non avevano avuto alcun interesse per il “liberatore”; quegli argomenti non erano parte del suo progetto che aveva, come ebbe, un solo obiettivo: spodestare un re per sostituirlo con un altro. Il regno di Napoli era stato conquistato dal regno del Piemonte e la sua annessione agli altri territori conquistati dall’esercito piemontese aveva dato vita a un aggregato geografico e politico più grande, chiamato Italia, anzi Regno d’Italia. Per i popoli di quegli Stati conquistati e annessi non era cambiato nulla, soprattutto non erano cambiati i rapporti e i sistemi di dominio. Scrisse Tomasi di Lampedusa nel Gattopardo: “tutto era stato cambiato perché nulla venisse cambiato”. Qualcuno inorridirà nel leggere le parole che seguono, ma occorrerà dirle: se non vi sono informazioni certe sui rapporti che intercorsero tra Garibaldi e la mafia siciliana durante l’attraversamento dell’Isola, è invece certo che l’Eroe dei due Mondi si compromise con la camorra napoletana per ottenere il controllo della città e soldati “freschi” per l’ultima battaglia del Volturno. In quel tempo a Napoli c’era anche Mazzini. Se c’è stato un “eroe positivo” in quelle vicende, paradossalmente, fu

proprio l’ultimo re borbone, Francesco II detto “Franceschiello”, che mostrò l’intelligenza di accettare la fine di un’epoca, quella del suo regno, e abbandonò Napoli senza combattere per evitare al “suo popolo” un tragico bagno di sangue oramai inutile. Il mercato del sud era stato “aperto” alle nascenti economie industriali del nord. Scriveva Gramsci nel 1920: “Lo stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l'Italia meridionale e le isole, squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono d'infamare col marchio di briganti.” Sono passati 150 anni e il senso e lo scopo di quella “conquista” è ancora lo stesso: importare manodopera compromettendosi con la criminalità organizzata locale. Un’ultima considerazione. La penisola italiana è stata bensì terra di conquista praticamente da parte di tutti gli imperi o regni o bande corsare provenienti dalle coste del mediterraneo e dall’oltre Alpi, ma proprio per questo è stata la fucina delle più grandi, uniche, produzioni artistiche, scientifiche e culturali dell’intero bacino del mediterraneo e dell’Europa continentale. Chiusa nei confini del piccolo regno sabaudo l’Italia è stata marginalizzata dagli sviluppi della fine ottocento e dell’intero novecento; è diventata a sua volta, per quasi un secolo, il “serbatoio” di mano d’opera a basso costo dell’Europa e dell’America. Ora si sta rifacendo a spese dei nuovi aggregati più poveri dell’est europeo e del nord Africa. Per i comunisti che riconoscono nel Mondo intero un’unica patria abitata da un unico popolo c’è ben poco da festeggiare.


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Leggi e diritti

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Televoto e democrazia simulata L’AGCOM detta le regole per la trasparenza del televoto SALVATORE ZAITI

Stop al “falso” televoto. E’ quanto l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM) ha deciso con la deliberazione n. 38 del 3 febbraio 2011. L’intervento dell’Autorità è finalizzato a garantire il buon funzionamento del servizio di televoto e così la qualità dello stesso che ha come scopo quello di rilevare, in modo veritiero e rappresentativo della base votante, le preferenze dei telespettatori. Da qui l’esigenza di regolare anche alcun aspetti tecnici che possono incidere sulla qualità, trasparenza ed efficacia del servizio. “Il riferimento – osserva la AGCOM – è antitutto alla necessaria esclusione di quei meccanismi che, permettendo un invio automatizzato dei voti, possano completamente alterare lo scopo tipico del servizio di <<televoto>>, insito nel suo nome e inval-

so nella percezione degli utenti, vale a dire quello di rilevare le preferenze tra il pubblico”. Ne consegue la necessità di contenere le modalità operative del servizio tramite la prescrizione di limiti al suo utilizzo. In difetto di tale contenimento, lo scopo tipico del servizio risulterebbe alterato comportando la differenza dei risultati del televoto non tanto dalle preferenze personali del pubblico, quanto dalla capacità economica dei votanti. L’Autorità ha, infatti, accertato nel corso dell’istruttoria che in occasione di fissazione piuttosto alta (100) di tetti massimi di voti inviabili in una singola sessione di voto, il 10% delle utenze votanti riesce a determinare il 90% dei voti espressi; “il ché, certamente, da un lato lascia perplessi sulla reale efficacia del servizio di voting per la restante base votante, che ha in pratica inutilmente pagato il servizio e, dall’altro, conferma che la limitazione del tetto di voti è lo

strumento più indicato per assicurare la complessiva qualità del servizio”. L’obiettivo principale dell’AGCOM è, quindi, rivolto a evitare che la rilevazione del voto sia alterata mediante la moltiplicazione del voto espresso per un significativo numero di volte ovvero per il tramite di sistemi automatizzati o meno che permettono l’invio da call center o da sistemi di invio multiplo di sms; “in questo caso è di tutta evidenza ch ei voti non sarebbero collegati a una preferenza del pubblico, bensì a una più o meno elevata capacità organizzativa e d economica nel creare o acquistare <<pacchetti di voti>>”. Per questi motivi l’Autorità ha apposto un tetto massimo al numero di voti inviabili da ciascuna utenza in una determinata sessione (5/10 voti per singola competizione con il limite massimo di 50 voti a settimana) e ha disposto il divieto di esprimere voti tramite sistemi che consentono l’invio massimo di

chiamate o sms. Inoltre, al fine di rafforzare ulteriormente i principi di uguaglianza, trasparenza, imparzialità e pari opportunità il provvedimento AGCOM ha prescritto: - che ogni singolo servizio di televoto deve essere disciplinato da apposito regolamento da pubblicarsi, almeno 7 giorni prima della diffusione del programma cui è abbinato, sul sito web della emittente pubblica interessata; - che agli utenti è addebitato esclusivamente il costo dei voti validi, mentre i voti invalidi (quelli espressi oltre il numero massimo consentito) sono totalmente gratuiti; - che gli utenti devono ricevere un’informazione il più possibile completa sul funzionamento del sistema nel corso del programma, prima dell’apertura del televoto; - che al termine delle operazioni, sempre nel corso del programma, è data lettura dei risultati della

votazione, per lo meno in termini percentuali, per ciascun partecipante alla votazione, rinviando alle 24 ore successive la pubblicazione puntuale dei risultati sulla pagina web dell’emittente dedicata alla trasmissione; - che l’Autorità, nell’ambito dei poteri di vigilanza, in caso di accertate violazioni può pretendere la rettifica dei regolamenti del servizio o delle comunicazioni date nel corso delle trasmissioni, nonché un nuovo conteggio dei voti pervenuti, la rettifica dei risultati della

competizione o, nei casi più gravi l’annullamento dei risultati della stessa. L’adeguamento completo da parte degli operatori del settore alle nuove disposizioni deve avvenire entro il 31 dicembre 2011 e l’Autorità si riserva di estendere, con successivo provvedimento, l’applicazione del regolamento anche alle competizioni in programmi radiotelevisivi a diffusione locale. Che la tensione verso l’interattività a tutti i costi sarà connotata da maggiore consapevolezza? Auguriamocelo.

Prefetture (minipool antiracket e antiusura) per la verifica delle convenzioni e dell’effettivo utilizzo dei fondi. Sono inoltre individuati dei referenti, presso

previsto il sequestro dei beni dell’usuraio per risarcire le vittime dell’usura. In ogni caso, confisca dei beni, accesso al fondo di solidarietà, cancellazione di protesti e ipoteche si applicano solo in caso di condanna dell’usuraio. La legge 44 del 1999 prevede la possibilità di sospendere le

gli Istituti di credito aderenti, incaricati di seguire l’iter istruttorio dei finanziamenti. I confidi, da parte loro, si obbligano ad assumere decisioni in tempi rapidi. Infine, le banche aderenti, si obbligano a “non considerare pregiudizievole la condizione di protestato” e a “valutare con particolare cura la sospensione delle azioni revocatorie o esecutive” nei confronti dei soggetti che hanno chiesto l’elargizione del fondo di solidarietà. E’

azioni esecutive quali pignoramento o sfratto. A chi rivolgersi? Oltre alle competenti autorità per la necessaria denuncia, sono ormai numerose in Italia le fondazioni antiusura alle quali fare riferimento. In Umbria la “Fondazione Umbra contro l’usura” oltre ai vari consorzi fidi che hanno aderito al protocollo d’intesa. Vediamo ora, per qualche tipologia di finanziamento, i tassi soglia, su base annua, che vengono rilevati con cadenza tri-

mestrale, per categoria di operazione e per classi di importo (applicazione dal 1° gennaio al 31 marzo 2011). Mutui a tasso fisso: tasso medio 4,19%, tasso soglia 6,285%. Mutui a tasso variabile: tasso medio 2,68%, tasso soglia 4,020%. Crediti personali: tasso medio 11,30%, tasso soglia 16,950%. Altri finanziamenti alle famiglie e alle imprese: tasso medio 11,98 %, tasso soglia 17,970%. Prestiti contro cessione del quinto dello stipendio e della pensione: fino a 5.000 , tasso medio 14,28%, tasso soglia 21,420%; oltre 5.000 , tasso medio 11,40%, tasso soglia 17,10%. Credito finalizzato: fino a 5.000 , tasso medio 11,82%, tasso soglia 17,730%; oltre 5.000 , tasso medio 10,70%, tasso soglia 16,050%. Viene spontaneo domandarsi cosa accade se, ad esempio, dei mutui ipotecari stipulati a tasso fisso, dovessero trovarsi oltre la soglia usura per effetto di una successiva riduzione dei tassi di interesse: i tassi applicati non possono essere considerati usurari se, al momento della pattuizione del tasso, non viene superato il tasso soglia. Per una riduzione del tasso applicato, al mutuatario non resta dunque che tentare di richiedere una rinegoziazione delle condizioni alla propria banca o rivolgersi ad un altro Istituto di Credito procedendo ad una portabilità del mutuo mediante surroga ai sensi della Legge Bersani n.40 del 2 aprile 2007. Per la normativa, le rilevazioni dei tassi di usura e le informazioni sui fondi è possibile consultare il sito della Banca d’Italia, del Ministero dell’Interno e del Dipartimento del Tesoro alle sezioni Antiracket e Antiusura.

Se il cane abbaia Ancora sull’usura La Cassazione torna a parlare del diritto al risarcimento nei confronti di coloro che non riescono a dormire a causa dell’abbaiare dei cani ELISA BEDORI E’ quanto ha stabilito la prima sezione penale della Corte di Cassazione, con la sentenza del 14 Gennaio 2011, n. 715, secondo cui è punibile con la contravvenzione ex articolo 659 c.p., il proprietario dell’animale che non ne impedisce i rumori notturni molesti, nonostante le proteste reiterate dei vicini di casa. In particolare, i Giudici di Piazza Cavour hanno respinto il ricorso presentato dai proprietari di due cani pastore che, in precedenza, erano stati condannati da una sezione distaccata del Tribunale di Siracusa alla pena di  200,00 di ammenda per il reato di cui all'art. 659 c.p. in quanto, non impedendo il continuo abbaiare, soprattutto nelle ore notturne, degli animali di loro proprietà, impedivano il riposo e le normali occupazioni dei vicini di casa e dei familiari con essi conviventi.La Suprema Corte ha di nuovo ribadito che “elemento essenziale della fattispecie di reato in esame è l'idoneità del fatto ad arrecare disturbo ad un numero indeterminato di persone e non già l'effettivo disturbo alle stesse”. Infatti tale principio lo possiamo ritrovare in numerose precedenti sentenze della

Corte di Cassazione che, interrogata su vicende analoghe a quella in esame, ha avuto modo di affermare come: “il rumore e gli schiamazzi vietati, per essere penalmente rilevanti, debbono incidere sulla tranquillità pubblica – essendo l’interesse specificatamente tutelato dal legislatore quello della pubblica tranquillità sotto l’aspetto della pubblica quiete – di guisa che gli stessi debbono avere la potenzialità di essere percepiti da un numero indeterminato di persone, pur se, in concreto, soltanto alcune se ne possono lamentare” (Cass. sent. n. 1406/1997).Ancora, nel 2004, i Giudici di legittimità rigettarono il ricorso del padrone di due cani, il quale contestando l’accusa mossagli, sosteneva che il reato di cui all’art. 659 c.p. si realizza per l’effettivo raggiungimento di una nutrita cerchia di persone da parte della fonte rumorosa. Contrariamente a tale tesi, la Suprema Corte ha confermato che il penalmente rilevante coincide con la potenzialità diffusiva della fonte stessa, che deve essere oggettivamente idonea a disturbare le occupazioni o il riposo delle persone, ovvero della generalità di soggetti che fossero attinti dai rumori (nella specie, dai latrati).

NADIA FRANCESCHI

Riprendiamo l’articolo del numero di marzo per parlare delle principali iniziative contro l’usura in Italia. E’ stato istituito un Fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive e dell’usura alle quali il fondo eroga mutui senza interessi di durata non superiore al quinquennio (art. 14 legge 108/1996). Per accedervi è necessario presentare una domanda corredata dall’elenco dei creditori cui destinare le somme erogate (corrispondenti al danno subito dalla vittima dell’usura) sulla quale il comitato di solidarietà darà il proprio parere. La delibera spetta al Commissario per il coordinamento delle iniziative antiracket e antiusura (Ministero dell’interno). Oltre al sostegno delle vittime, tale strumento intende incentivare la denuncia dell’usuraio. E’ stato inoltre istituito un Fondo di prevenzione dell’usura (art. 15 legge 108/1996) che provvede ad erogare contributi che consistono nella costituzione di fondi a disposizione dei consorzi fidi che garantiscono prestiti bancari erogati ai soggetti più bisognosi o a soggetti che, pur meritevoli, hanno difficoltà nell’accedere al credito. Il 31 luglio 2007 è stato stipulato un Accordo Quadro tra banche, associazioni di categoria, confidi e associazioni antiusura per migliorare l’utilizzo dei fondi. A tal fine, sono stati creati degli osservatori presso le


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Politica ed Etica

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La volontà dei popoli filo conduttore della politica LUIGI NAPOLITANO

L’immobilismo nel quale il mondo sembrava precipitato a seguito della crisi economica che l’attanaglia sembrava, fino a poche settimane fa, caratterizzato ideologicamente solo da un improbabile scontro tra i seguaci dell’Islam e gli occidentali. Sono bastati una serie di eventi imprevedibili e sembra passato un secolo da quando era il gossip a dettare i tempi della nostra politica e l’unica preoccupazione dei media il passaggio da un gruppo parlamentare all’altro di questo o quel deputato, assurto per qualche momento alla ribalta nazionale. Ho individuato negli eventi di cui parlerò una volontà popolare che a mio modo di vedere deve essere il filo conduttore della politica, il cui compito, attraverso l’esercizio dell’attività di governo de-

ve essere il bene degli amministrati. L’anelito di libertà ed il desiderio dei popoli che abitano la sponda africana del Mediterraneo, che si sono diffusi attraverso i nuovi canali di comunicazione telematica, hanno dimostrato quanto infondate fossero le paure di uno scontro tra religioni, evocate dai soliti disfattisti che, in maniera miope, non hanno saputo cogliere i sentimenti di quelle genti che con espressione sintetica, ma molto incisiva, sono stati definiti come gli autori della rivoluzione “Pane e Libertà”. E se, grazie alla presenza di istituzioni più o meno forti, in Tunisia e sopra tutto in Egitto, dove l’esercito si è rifiutato di sparare sulla folla, si è potuto realizzare un cambiamento dei regimi che per tanti, troppi anni, hanno tenuto in uno stato di sudditanza e povertà i popoli di quei paesi, è sotto gli occhi di tutti il dramma che sta vivendo la Libia. Qui, infatti, il ditta-

tore che da anni gestisce il potere, preoccupato solo di se stesso e dei suoi interessi, non ha esitato a scatenare una guerra civile, bombardando le città che gli si sono rivoltate contro, seminando morte e terrore. Non ho simpatia per quel regime, ma neanche ritengo giusti interventi di altre nazioni a sostegno di una delle parti che si contendono il potere e, di fatto, costituiscono una limitazione alla autodeterminazione. A tacere della considerazione che i modelli democratici, come dimostrano l’Iraq e l’Afghanistan, non sono esportabili con la forza delle armi e che, spesso, dietro questo nobile sentimento, non manifestato in circostanze analoghe, si nascondono interessi neanche troppo velati. Altresì nella volontà popolare va individuato un mutato atteggiamento di molti governi, a partire dal nostro, verso l’energia nucleare a seguito del disastro ambientale provocato

dalla centrale nucleare colpita dal terremoto che ha funestato il Giappone. Valga per tutti quello del governo tedesco che, in questo frangente, ha assunto una posizione di grande prudenza, per certi versi addirittura revisionista verso questa fonte energetica non controllabile e incapace di evitare scorie, che lascia ai posteri elementi di inquinamento di cui non si conoscono le po-

La democrazia contro le oligarchie La difesa costante delle regole democratiche è l’antidoto al prevalere della prepotenza dei forti (tratto da “La democrazia contro le oligarchie” di Gustavo Zagrebelsky, 5.3.2011) Che sulla democrazia – come su ogni altra forma di governo – incomba il pericolo del disfacimento, è un dato d’esperienza che non può essere negato. Le forme di governo sono vitali se sono animate da un principio, un ressort, secondo l´espressione di Montesquieu. Il ressort della democrazia è la virtù repubblicana. Quando la molla è totalmente dispiegata e dunque non ha più forza da sprigionare, quello è il momento d’inizio della decadenza. La questione, gravida di conseguenze pratiche, è se l’esito finale del processo corruttivo sia o non sia inevitabile. Se non è evitabile, tanto vale rassegnarsi e, se mai, lavorare per il dopo. Se è evitabile, la democrazia come ideale politico non perde di valore, pur in presenza di difficoltà [...] Per secoli, democrazia è stata la parola d´ordine degli esclusi dal potere per contestare l’autocrazia dei potenti; ora sembra diventare l’ostentazione di questi ultimi per rivestire la propria supremazia. Presso i cittadini comuni, non c’è (ancora?) un rovesciamento a favore di concezioni politiche antidemocratiche. C’è piuttosto un accantonamento, un fastidio diffuso, un «lasciatemi in pace» con riguardo ai panegirici della democrazia che, sulla bocca dei potenti, per lo più trasmettono ideologia al servizio del potere e, nelle parole dei deboli, suonano spesso come vuote illusioni.

che i grandi numeri, quando [...] L’esito potrà essere l’ahanno conquistato l’uguastensione o l’adesione passitino il loro occultamento per glianza, cioè il livellamento va e routinaria: in entrambi mezzo del massimo di esibinella sfera politica, cioè i casi, un distacco. Lo scettizioni pubbliche. La demoquando la democrazia è stacismo a-democratico dal crazia allora si dimostra cota proclamata, e tanto più è basso fa da pendant alla resì il regime dell’illusione. Il proclamata allo stato puro, torica democratica dall’alto. più benigno dei regimi policioè come democrazia im[...] Il paradosso sopra segnatici, in apparenza, è il più mediata, senza delega, per lato si scioglie pensando almaligno, in realtà. Il "princiragioni strutturali ha bisole capacità mimetiche o capio maggioritario", che è l’esgno di piccoli numeri, di maleontiche della democrasenza della democrazia, si zia, rispetto alle quali è imbattibile. Sotto le sue spoglie ideologiche si può comodamente annidare mimetizzandosi, cioè senza mettersi in mostra (questo è il grande vantaggio), perfino il più ristretto e il meno presentabile potere oligarchico. Le forme democratiche del potere possono essere un’efficace maschera dissimulatoria. È stato così in passato e così è anche nel presente. [...] Realisticamente o, come si dice, "sperimentalmente", dobbiamo prendere atto che la democrazia deve sempre fare i conti Roma, Circo Massimo, 23 marzo 2002 con la sua naturale gruppi di potere ristretti. tendenza alla riduzione del rovescia infatti nel "princiNon basta. L’oligarchia non è potere in poche mani, nelle pio minoritario", che è l’esperò l´élite. L’oligarchia - si mani di élites. [...] Ma le cose senza dell´autocrazia: potrebbe dire così - è l’élite cambiano quando dalle éliun’autocrazia che si appogche si fa corpo separato ed tes si passa alle oligarchie, gia su grandi numeri, ma espropria i grandi numeri a anzi a quella che è stata depur sempre un’autocrazia e, proprio vantaggio. Trasforfinita la "ferrea legge delle per questo, più pericolosa, ma la res publica, in res prioligarchie": una legge che non meno pericolosa, del vatae. Poiché, poi, questa è esprime una tendenza endepotere in mano a piccole ceruna patente contraddizione mica, cioè mossa da ragioni chie di persone che possono rispetto ai principi della deinterne ineliminabili, sia delsostenersi solo su se stesse. mocrazia, occorre che quela democrazia sia delle stes[...] Le oligarchie nascoste di ste oligarchie siano occulte e se élites. [...] La "ferrea legge" cui stiamo parlando, per il che esse, a loro volta, occulsi basa sulla constatazione sol fatto d’essere tali, tendo-

tenzialità negative. Non essendo possibile, tuttavia, dall’oggi al domani rinunciare alla maggiore fonte di produzione dell’energia, è auspicabile che il mondo della scienza e le autorità internazionali sappiano indirizzare nel miglior modo possibile le scelte necessarie. Mi preme, infine, dar risalto al sentimento di appartenenza manifestatosi con il successo che il popolo ha attribuito ai festeg-

giamenti per i nostri primi 150 anni come Nazione, ricca di differenze, talvolta profonde, ma unita. Le bandiere tricolori e l’inno d’Italia intesi non come segno di appartenenza ad una parte politica ma ad un popolo ricco di storia artistica, politica, culturale, sembrano manifestare la consapevolezza di se stesso ed il bisogno di una classe politica alla sua altezza.

no naturalmente, anzi necessariamente, all’illegalità e alla corruzione. Poiché le oligarchie del nostro tempo sono costruite e finalizzate all’accaparramento di ricchezza - sempre questo: pecunia regina mundi - il potere di cui si parla oggi è il potere illegale e corruttivo del denaro di cui si occultano il possesso e la gestione per poter corrompere ogni altro ambito della vita sociale. È una tendenza "naturale", per l’ovvia, antropologica legge del potere che già Montesquieu ha chiarito, nella sua crudezza: chi detiene il potere, se non incontra limiti, è portato ad abusarne. [...] Le oligarchie hanno bisogno di privilegi, cioè di leggi che valgono solo per loro, diverse da quelle che valgono per tutti gli altri. O, quanto meno, hanno bisogno che le leggi generali e astratte siano interpretate e applicate a loro in modo tale da non contraddire l´esistenza dell´oligarchia stessa. Ciò che occorre loro è una "giustizia dei pari", diversa da quella comune; un "foro speciale" non di giudici imparziali, ma di giudici amici. [...] Potremmo forse dire così: la democrazia non è - nel senso che non può essere – l’autogoverno del popolo che si afferma durevolmente. È invece la possibilità istituzionalizzata, dunque resa stabile secondo procedure riconosciute e accettate, di combattere e distruggere sempre di nuovo le oligarchie ch’essa stessa nutre dentro di sé. Una definizione in negativo, dunque: qualcosa che si qualifica per essere contro un’al-

tra. Da questo punto di vista, la democrazia è tutt’altro che un ideale impossibile. È invece una possibilità, cioè una serie di strumenti che spetta a noi di utilizzare, per tradurre in pratica l’avversione alle oligarchie. Se gli strumenti esistono e non sono utilizzati, non si può dire che non c’è democrazia, ma si deve dire che la democrazia (come possibilità) c’è e ciò che manca è la pratica della democrazia. Allora, la responsabilità dello scacco non deve essere addossata alla democrazia come tale, ma deve essere assunta da noi, incapaci di utilizzare le possibilità ch’essa ci offre. Se cediamo all’accidia della democrazia, è perché prevale sulla libertà morale il richiamo del gregge e la tendenza gregaria, che sono il lato biologico profondo degli esseri umani che l’avvicinano agli altri esseri viventi, come ha messo in luce Sigmund Freud nel suo studio sulla psicologia delle masse. Ma il gregge è una possibilità, non un destino. [...[ Diciamo così, a costo di cadere nell’enfasi: la democrazia vuole potenti gli inermi e inermi i potenti; vuole forti i giusti e giusti i forti. È per questo che i suoi nemici mortali sono le concentrazioni oligarchiche del potere. Contro le concezioni ireniche della democrazia, non possiamo pensare ch’essa sia il regime che definitivamente pone fine ai conflitti, eliminandone le cause. Il suo tempo non è quello in cui tutto è pacificato. Non è il regno dell’armonia, della giustizia e della concordia. Finché ci sarà politica, ci saranno conflitto, ingiustizia e discordia. La questione non è come eliminarli, ma come affrontarli.


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dal Mondo

FOLIGNO APRILE 2011

Gli “squat”, il mondo sommerso della povertà estrema e della emarginazione giovanile nel cuore della City ROBERTO MATERAZZI

La periferia di Londra è fredda e buia, grigia e sporca… Sembrerebbe come quella descritta da Oscar Wilde, ma la mancanza di carrozze e la presenza di macchine ci riportano con il pensiero ad oggi, a questa sera di marzo… Prendo il bus per tornare a casa, sono le 23 passate, quando sul bus salgono due ragazzi che conosco, che però non vedevo da tempo. Parliamo qualche minuto ma dopo pochissimo scendono, mentre io resto lì, a pensare... Si chiamano Salvatore e Massimo e sono due “squat”. Tutti ora però si chiederanno cosa significa il termine “squat”, o “squattare”. Per il dizionario italiano significa letteralmente sgamare o farsi scoprire. Qui a Londra ha un altro significato. Salvatore è siciliano, avrà circa 26 anni, di professione fa il lavapiatti in un fast-food. Mi raccontò la sua storia a novembre quando lo conobbi, ma poi me ne dimenticai. Partì per Londra un anno fa

credendo di costruirsi un futuro migliore, ma le cose non andarono proprio come sperava e in pochi mesi causa il non lavorare, non parlare bene la lingua e per altre cause (sostanze...) finì in strada. Pochi giorni e incontrò altri ragazzi (italiani) sempre in strada, e iniziò a mantenersi con piccoli furti e altre cose, e andò a vivere con loro in case occupate. Bene, questi sono gli “squat”, persone che occupano case senza luce, senza gas, senza acqua, vivendo come bestie senza igiene e nient’altro. Vidi casa di Salvatore una sola volta quando ero con la mia compagnia in centro, rimasi senza parole. L'edificio da fuori sembrava bellissimo, a parte le finestre e le porte completamente bloccate da tavole di legno, una volta entrati ci parve di essere in una fogna. Ci saranno state almeno 30 persone, i muri erano completamenti sporchi/disegnati, la cucina inesistente, la living room invasa da carte e cartoni e ovunque fili con panni attaccati. Vedemmo anche la camera di Salvatore, il suo armadio erano dei fili in alto con so-

pra i suoi vestiti, il suo letto era un materasso sbattuto in letto, aveva solo un portatile appoggiato a terra e un pacchetto di sigarette... E basta. Massimo, friulano, almeno dieci anni più grande di me (io ho 20 anni) e una vita abbastanza difficile alle spalle. Lo conobbi lo stesso giorno di Salvatore nella “sua casa”, mi colpì subito; un ragazzo basso e grassottello con però un'aria furbissima in faccia. Parlammo e mi raccontò che già alla mia età aveva seri problemi con la droga, non aveva famiglia e commetteva piccoli furti. Mi disse che per parecchi anni fece dentro e fuori dal carcere, e non sempre subì trattamenti esemplari. Poi decise di trasferirsi, prima in Scozia e poi a Londra, dove dopo un breve periodo finì in strada. E cominciò a “squattere” case. Mi raccontò le sue tecniche, lo faceva da almeno 6 o 7 anni. Era considerato da tutti un maestro per come “squattava”. Sorvegliava le case per almeno 7 mesi (il tempo minimo dopo di cui una casa per legge può essere “squattata”) senza mai farsi notare da nessuno,

usava tecniche assurde, e poi organizzava di notte veri e propri traslochi di massa. Una volta entrati bollavano porte e finestre con tavole di legno e attaccavano manifesti fuori la porta con su scritto che la casa era stata occupata, e a quel punto la polizia, per legge, non poteva fare nulla a parte che staccare luce, gas ed acqua, mentre i padroni veri potevano solo vedere la loro casa distruggersi lentamente, avendo la legge contro. Proprio cosi, perché in Inghilterra la regina ha voluto questa legge per dare una casa agli sfortunati che in poco tempo la distruggeranno e la cambieranno, lasciando i veri proprietari senza nulla in mano, oltre a 4 muri disegnati e sporchi. Massimo, friulano, mi disse che ora per andare avanti

commetteva dei piccoli furti di alcoolici nei market e li rivendeva a metà del prezzo a china town; ma che molto spesso viene beccato e che la polizia qua non è sempre molto gentile come da noi. Mi rimase in mente, mi ricordo le sue parole quando mi disse che non gli piaceva quello che faceva, che non sognava quella vita, ma oramai era così ed era

“La cooperazione allo sviluppo è parte integrante della politica estera dell’Italia” OSVALDO GUALTIERI

E qui inizia il problema. Siccome la “politica estera” la fanno i politici di turno che sono al governo, il risultato è che la cooperazione ai così detti “paesi in via di sviluppo” viene messa principalmente al servizio dei interessi politici e la diplomazia internazionale; degli interessi politici dentro l’Italia e dei governanti corrotti dei paesi “beneficiari”. Per finanziare programmi di cooperazione seri e indipendenti da questa costante affidati alle ONGs non c’è quasi spazio né ci sono finanziamenti. Si può dire che la cooperazione fatta tramite le ONGs italiane negli ultimi anni è quasi morta e molte di queste hanno chiuso le loro attività per mancanza di finanziamenti. Un vero peccato perché, anche con i loro limiti, a mio parere sono gli organismi più seri e impegnati in questo settore, composte normalmente da molti giovani veramente bravi, onesti e che si sacrificano per il prossimo senza ambizioni di un ritorno economico. La maggior parte dei finanziamenti vanno ad ingrossare il contributo dell’Italia alle innumerevole Agenzie delle Nazioni Unite con risultati, a dir poco, frustranti. Questa “holding” (secondo alcune informazioni composta tra 88 e 95 Agenzie) li utilizza, in gran parte, per finanziare il proprio apparato burocratico, a cominciare dalla loro sede centrale. Anni fa mi

sono “divertito” facendo un’inchiesta tra una decina dei funzionari dell’ONU presenti in Centro America, chiedendo quante agenzie loro conoscessero, anche se fosse solo la sigla. Nessuno, dico nessuno, è riuscito ad andare oltre la decina. Tutti si fermavano a FAO, UNICEF, OMS, ACNUR, UNDP, UNESCO… e qualche altra sigla. Come prima accennato, la maggior parte dei finanziamenti che ricevono queste Agenzie serve solo per mantenere l’apparato burocratico. Con il resto cosa fanno? Il modo, a dir poco “leggerino”, con cui gestiscono il resto delle risorse provoca, in molti casi, solo nuovi danni alle popolazioni già duramente colpite da drammi politici e sociali terribili. Prendiamo come esempio i così detti “aiuti d’emergenza”. Questi, in molto casi, si riducono quasi esclusivamente all’invio di alimenti e beni di largo consumo. Il risultato è che, oltre far arricchire le imprese che vendono questi beni, molte volte contribuiscono ad aumentare la fame in quei paesi. Il motivo è molto semplice: questi aiuti si distribuiscono nelle città o villaggi, perciò la popolazione si concentra lì e abbandona le campagne, finendo per non produrre neanche il poco che produce-

va prima e sopravvivendo solo dalla “misericordia internazionale”. Quando questi aiuti finiscono, perché tutti gli aiuti un giorno si finiscono, rimane una grave situazione di non sostenibilità. La soluzione sarebbe finanziare e organizzare programmi di sviluppo, però questo è più impe-

lusso, ecc. usano queste agenzie. Uno sperpero di risorse da non credere! Gli esempi che ho visto nella mia lunga esperienza dentro la mal chiamata “cooperazione allo sviluppo” (?) sono infiniti e si arriva spessissimo a situazioni tragiche che, in alcuni casi, potrebbero essere comiche,

gnativo e non ha molta visibilità a breve termine. Rimane anche il tema dei costi della logistica per la distribuzione di questi aiuti che, in molti casi, sono notevolmente superiori al costo stesso di ciò che si distribuisce. Se qualcuno ha avuto la possibilità di conoscere qualche zona dove sono presenti le agenzie dell’ONU, avrà visto la quantità di aerei, elicotteri, fuoristrada, camion, macchine, edifici di

se non ci fossero di mezzo esseri umani. Uno dei ultimi esempi è stato quello che ho visto recentemente a Bukavu, regione est della Repubblica Democratica del Congo. In questa martoriata città, la famosissima e pubblicizzata UNICEF da tre anni a questa parte provvede a somministrare una bottiglia di acqua al giorno per ogni bambino che frequenta le scuole del centro città, all’incirca da

8.000 figli dalle classi sociale più avvantaggiate. Queste bottiglie le portano dal Rwanda o Burundi con costi altissimi per ogni bottiglia, compreso il costo del trasporto e distribuzione. Facendo due semplici conti, si arriva che, con questa enorme spesa, si sarebbero potuto costruire vari pozzi e sistemi di distribuzione dell’abbondante acqua potabile che c’è nelle falde sotterranee. Ho chiesto in giro e nessuno mi ha saputo spiegare il motivo di tale assurdità. Io penso che, come unica spiegazione, c’è l’immancabile mazzetta ad alcuni funzionari dell’UNICEF. Impossibile trovare altra giustificazione. Nel frattempo, uscendo solo alcuni chilometri fuori Bukavu, ho incontrato migliaia di bimbi nei villaggi o accanto le strade che, quando passavo in jeep, mi facevano dei gesti e chiedevano disperatamente nella loro lingua qualcosa che non riuscivo a capire. Ho chiesto al mio interprete e questo mi ha risposto che semplicemente chiedevano bottiglie di plastica vuote; hanno delle sorgenti di acqua ma non hanno dove metterla per portarla alle loro capanne. Da piangere!

impossibile da cambiare. Quando incontrai Salvatore e gli chiesi di Massimo mi disse che aveva avuto di nuovo problemi con la droga e che ora era in carcere. Di nuovo. Bene. Cosa sono gli “squat”? e cosa fanno? Cosa penserebbe Oscar Wilde della sua Londra un anno prima delle olimpiadi? maybe, good save the queen!

Non parliamo poi delle chiamate “missioni di pace” distribuite, purtroppo, in moltissime parti del mondo! Un vero e proprio scandalo il costo della impressionante e vergognosa la logistica di cui dispongono, gli stipendi e le pensioni d’oro dei funzionari. Tutto per cosa? Per evitare nuovi conflitti e conseguenti morti ammazzati. Ma quando mai! Al primo sparo scappano e tornano quando ormai non c’è più niente da evitare. A quel punto chiedono più soldi per rinforzare il loro apparato e cosi vanno avanti da sempre. Ossia, all’ONU conviene che nel mondo ci siano molti conflitti perché in questo modo diventa più potente e riceve più finanziamenti che poi sperpera a mano aperte, a cominciare dalla sede centrale. C’è da aggiungere il fatto che, a causa delle grandi disponibilità finanziarie dei componenti di tali “missioni di pace”, deriva un aumento brutale del costo della vita in quelle zone a danno del potere d’acquisto della maggior parte della popolazione, ma anche l’aumento della prostituzione, del degrado sociale e addirittura la comparsa di nuove malattie, come recentemente successo in Haiti. Non voglio essere molto critico né pretendo di avere tutta la verità. Con questo breve articolo vorrei solo stimolare una riflessione, una analisi e una discussione indirizzata a rivedere le attuali funzioni e compiti delle innumerevole Agenzie dell’ONU. Magari per chiuderne molte e fare diventare un po’ più efficienti le residue. Del famoso consiglio di Confucio “meglio regalare un amo che un pesce”, credo che in questo momento non gliene frega quasi niente a nessuno. Triste, pero cosi


FOLIGNO APRILE 2011

dalla Città

Questione rifiuti: quale futuro ci attende? GIOIETTA VOLPI

Il tema della raccolta differenziata, delle discariche, e della riduzione dei rifiuti è quanto mai attuale in questi giorni, sta interessando sempre più il dibattito cittadino e regionale, soprattutto in vista dei prossimi futuri sviluppi della situazione discariche e rifiuti. Questa la condizione attuale: ci troviamo ad un punto di svolta, in quanto la discarica di Spoleto-Sant’Orsola è ormai satura, tanto che la chiusura è prevista entro Dicembre 2011. Lo smaltimento dell’attuale produzione di indifferenziato dovrebbe essere spostato ad Orvieto-Le Crete, facendo però lievitare i costi senza avere in cambio nessun miglioramento del servizio. Una soluzione valutata da tempo è la creazione di un inceneritore, ma visti i rischi per la salute e l’ambiente la Regione ha rimandato la costruzione al 2016, subordinandola al raggiungimento del 50% di Raccolta differenziata. Cosa si può fare dunque per evitare questo rischio? La raccolta differenziata, soprattutto con la metodologia del “porta a porta” sembra la scelta più coerente per la salute e per l’ambiente. La questione è molto importante, e l’amministrazione della nostra città se ne è oc-

cupata negli ultimi mesi con molta attenzione; a Foligno la raccolta differenziata è arrivata al 31% circa nel 2010, la media regionale si attesta intorno al 30%, quindi la strada da fare è ancora tanta, e deve riguardare non solo Foligno ma tutti i Comuni dell’Ati3 e la stessa Vus, in quanto queste percentuali sono assolu-

tamente insufficienti, soprattutto rispetto agli obiettivi fissati dalla stessa Regione: si deve cercare di elaborare una strategia complessa e sistematica che permetta di incentivare in maniera notevole la raccolta differenziata, fondamentale per un sistema che vuole tendere al superamento delle discariche. Una proposta è stata elaborata nei giorni scorsi dall’Assessore Piccolotti, e ruota intorno ad alcuni punti-cardine: evitare la soluzione dell’incenerimento che comporterebbe la produzione di nuove polveri sottili e nuova Co2; il raggiungimento del 65% di raccolta differenziata, prevista per il 2014 dovrebbe essere anticipato almeno al 2013 , usando il metodo del porta a

porta completo, con totale scomparsa dei cassonetti dalla strada (è statisticamente provato che la raccolta differenziata con il metodo porta a porta raggiunge fisiologicamente percentuali che toccano e a volte superano il 70% della mole complessiva di rifiuti prodotti dal territorio ); investire nel potenziamento degli impianti di Casone e realizzare un ampliamento della discarica di Sant’Orsola; infine ridurre a monte la produzione dei rifiuti e degli imballaggi, riprendendo il percorso degli Acquisti Verdi nella p.a e sensibilizzando cittadini e imprese. Bisogna dare avvio ad un progetto che aspiri ad una progressiva riduzione dell'indifferenziato, fino ad arrivare alla prospettiva di abbattere totalmente i costi per lo smaltimento dei rifiuti ed alla riduzione, nel lungo periodo,della relativa imposta per ogni cittadino. Questa non è utopia, è un traguardo che ogni buona amministrazione, ma soprattutto ogni cittadino deve imporsi: il riciclo va perseguito con forza perchè porta benefici per l’ambiente, per le imprese che utilizzano il materiale riciclato e per la crescita dell’occupazione. E’ una questione non soltanto di scelte tecniche, è soprattutto una questione che riguarda il nostro futuro e quello dei nostri figli.

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Chiusura al traffico del centro storico: un falso problema? LORENZO BATTISTI

Le opere di pavimentazione delle vie del centro storico di Foligno sono state l’occasione per tornare a discutere di “chiusura” del traffico e a ripensare un modo diverso di vivere il centro cittadino. Diversi gli interventi registrati: l’opposizione, con il consigliere Daniele Mantucci, ha ribadito l’esigenza di aprire al traffico veicolare per ovviare ai disagi dei lavori in corso e collegare così Via XX settembre a Via Cesare Agostini, oltre a quella di creare parcheggi in Piazza Garibaldi, piazza del Grano. Al contrario, il consigliere di Rifondazione Comunista Alessandro Pacini, propone di cogliere l’occasione delle pavimentazioni per sperimentare e promuovere un centro storico attraversabile a piedi o in bici, estendendo il “modello Corso Cavour” a tutto il centro storico, certi che la qualità dell’aria, il volume di affari, la città tutta, ne gioverebbe e attrarrebbe visitatori e clienti anche da fuori Foligno. Poiché il dibattito stava iniziando, ci ha pensato l’assessore Salvatore Stella a comporre la situazione: non chiudere il centro, mantenere la viabilità salvaguardando commercianti e residenti. Per il

Bipolarismo e primarie VINCENZO LAZZARONI

Da tempo il nostro paese ha adottato il sistema elettorale maggioritario in prospettiva di un auspicato, peraltro non da tutti, bipolarismo. Tuttavia in questi quindici anni nulla è accaduto che possa, neanche lontanamente, assomigliare ad un bipolarismo. C’è allora da chiedersi: se il nostro sistema politico non è nato con la cultura del maggioritario e gli innumerevoli tentativi di cambiarlo sono falliti, perché continuare ad ostinarsi? A mio modesto avviso il bipolarismo ha ragion d’essere se a scontrarsi sono due forze e quindi ci si trovi in una situazione di bipartitismo, che è poi quello che si è tentato di fare costituendo il PD e il PDL. Dopo molti anni è ragionevole sostenere che questo progetto è naufragato; dunque non è più logico pensare di apportare alcuni indispensabili aggiustamenti al sistema proporzionale?Prendere a modello altre democrazie, che con il sistema maggioritario sono nate e tentare di esportare tali modelli nella nostra democrazia è come chiedere agli americani o agli inglesi di passare ad un sistema proporzionale. Questo costume tutto e solo italiano di pensare che quello che abbiamo tanto faticosa-

mente costruito è da sostituire con altro, rende il nostro paese ancor più debole. Un conto è apportare i necessari e giusti correttivi ad un sistema, in relazione alle mutate condizioni ed esigenze del tempo, un conto è stravolgere i principi che hanno retto la nostra democrazia per 65 anni, che non sono poi un’eternità. Se pensiamo all’assurdo di un sistema elettorale modificato con legge ordinaria, che è in contrasto con le norme costituzionali in materia di elezione e di nomina del capo del governo, ci rendiamo conto di quanto, modifiche parziali di un tutto organico, costituiscono un ulteriore elemento di confusione e di instabilità. Da qui infatti la confusione che vede da una parte il centro destra sostenere che non sia possibile formare un altro governo né nominare un altro capo del governo che non sia quello eletto dal popolo e la Costituzione che invece attribuisce al Capo dello Stato il potere, se se ne verificano le condizioni, di nominare un nuovo governo e un nuovo Presidente del Consiglio, senza necessità di tornare alle urne. Su questo argomento è inutile scontrasi, non siamo nel campo delle opinioni. Il PD poi è andato oltre nell’esportazione, ed ha introdotto le primarie. Ora non voglio far parte della categoria dei di-

sfattisti né voglio contribuire alle tesi di quanti sostengono che nel PD non sono d’accordo su niente, voglio solo ragionare a voce alta e aprire un confronto su alcuni aspetti del tema e, se sarò in minoranza, poi tacerò. Le primarie, neanche a dirlo, le fanno in America e la prima domanda è: ma in America i partiti sono come quelli italiani? hanno la stessa funzione e prerogative? Sostanzialmente a me sembra di no. La Costituzione italiana, all’art.49, recita che tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale. Dunque la Costituzione individua nei partiti lo strumento attraverso il quale i cittadini contribuiscono alle scelte politiche del paese. I partiti a loro volta, attraverso i propri atti costitutivi e statuti, consentono ai cittadini di associarsi liberamente e, garantendo un libero e democratico confronto, determinano la linea politica del partito e contribuiscono a formare e selezionare le classi dirigenti. Almeno dovrebbe essere così; se poi all’interno dei partiti prevalgono altre logiche, questo non inficia la validità del sistema, testimonia semmai la sua distorsione. Dei partiti che non sono tali,

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resto se ne parlerà. Sta bene, rinviamo la decisione. Ma il dibattito è iniziato. Si parla di chiusura a fasce orarie, totale, parziale. Una fase di ascolto iniziale è inevitabile per poi passare alle proposte. L’obiettivo dovrebbe essere quello di far ricominciare a dialogare persone che hanno specificità differenti e che esprimono interessi diversi per capire dove si trova l’elemento di sintesi e, quindi, intervenire nel rispetto di tutti. La madre di tutte le questioni, comunque, continua ad essere l’accessibilità al centro storico. Questa non va intesa e declinata come la liberalizzazione del parcheggio selvaggio, ma come un attento e studiato piano di accesso e mobilità. Il centro storico di Foligno, in tal senso, non pone le problematiche che si incontrano, ad esempio, per l’acropoli

di Perugia, dove si deve ricorrere a orari prolungati del Minimetrò, degli ascensori e delle scale mobili. La città di Foligno, infatti, presenta una abbondanza di aree di sosta e le vie e gli esercizi commerciali sono tutti facilmente raggiungibili. Il problema, semmai, è un altro. Chi vuol veramente ancora vivere il centro cittadino, quando tutte le attrattive sono poste al di fuori? A tal proposito servono luoghi positivi, di intrattenimento e produzione della cultura, non solo commercio; occorre invertire la rotta e recuperare il dato culturale e dei rapporti sociali. Ecco perché non serve parlare di chiusura del traffico, ma di centro storico come centro di vita culturale. Poi se ci si arriva a piedi, in bicicletta o in macchina, in una cittadina come Foligno, non credo sia determinante.

COMUNI DELLUMBRIA

Poggiodomo

ma solo di un padrone, neanche vale la pena di parlare, se non per dire che essi hanno contribuito a rendere “malato” il sistema democratico. Che senso ha proporre a tutti i cittadini, anche non iscritti, non aderenti e se del caso neanche simpatizzanti, di scegliere il candidato tra diversi soggetti appartenenti addirittura allo stesso partito? Mi sembra che ciò attesti che i partiti hanno cessato di svolgere il ruolo per cui sono stati pensati. Passino le primarie di coalizione, per scegliere il candidato tra diversi partiti alleati, ma limitiamole almeno agli iscritti! E se chi non lo è vuol partecipare, che si iscriva e avrà modo di dare il suo libero contributo alle scelte del paese. E per finire, non è forse questo un altro elemento che ha favorito la personalizzazione della politica? Contano ormai più gli uomini che le idee e i programmi. E’ la storia di un paese che va sempre cercando capi carismatici come panacea di tutti i mali, salvo poi ricredersi il giorno dopo.

In Italia si contano al Giugno 2010 circa 8.094 comuni; ma è un dato approssimativo e non immutabile. La motivazione è semplice, ci sono continue fusioni e nascite e stranamente ci sono anche decessi. Il consiglio comunale di Morterone in provincia di Lecco con i suoi 33 abitanti è stato sciolto, con probabile non ricostituzione ed accorpamento con comuni limitrofi. Veniva classificato il comune più piccolo d' Italia. L'Umbria ad oggi conta 92 comuni ed è proprio di questi che mi vorrei occupare. Piccole sintesi ed alcuni dati, curiosità ed altre cose ancora. Vorrei iniziare da Poggiodomo che con i sui 147 abitanti (circa!) si attesta intorno al centesimo posto dei comuni più piccoli d' Italia. Le sue frazioni sono Roccantamburo, Usigni e Mucciafora (solo per i nomi le località meriterebbero una visita). E' raggiungibile da Foligno percorrendo la Flaminia, galleria di Eggi, direzione Cascia, Cerreto di Spoleto, si prosegue per

Ponte e si arriva a Poggiodomo 55km con un tempo di percorrenza di un'ora. E' sito a 974m di altitudine con una superficie totale di 40kmq. Comune a principale vocazione agricola e allevamento di ovini il cui latte è lavorato da caseifici locali. Si realizza anche un discreto reddito dalla raccolta e commercio del tartufo. Il Santo Patrono è S. Antonio Abate e si festeggia il 17 Gennaio. Il Sindaco si chiama Egildo Spada (gli inviamo i nostri saluti ed i migliori auguri di buon lavoro per la comunità). Non me ne vogliano i Poggiodomesi se il mio articolo è così breve e si è limitato a poche cose (penso comunque che vadano particolarmente fieri delle loro ridotte dimensioni, pertanto voglio rispettare questa peculiarità). Sono certo che fra di loro ci sono tradizioni familiari, culture e ricchezze intellettuali che nulla hanno da invidiare alle più grandi città. A presto pertanto per una visita al nostro piccolo comune umbro.


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Cultura/e

FOLIGNO APRILE 2011

Soltanto per interesse MARIA SARA MIRTI

Potrebbe sorprendere scoprire come, a ben guardare, la filosofia, la politica, la cultura, insomma tutto ciò che ci definisce “occidentali”, nasca dal lavoro in senso ampio e come in esso poi si riverberi. Tutto: i canti, i sogni, le speranze di progresso, il modo di guardare l’altro, il modo di pensare e rappresentare il mondo che ci circonda, il modo d’intendere la religiosità, i legami interpersonali e, non ultimo, il modo d’intendere noi stessi, la nostra individualità. Dai tempi dell’antica Grecia (che sapeva quanto il lavoro, nella forma dell‘utilizzo degli schiavi, fosse indispensabile) in avanti però, il lavoro è stato progressivamente sottovalutato e, nella nostra Era post-capitalistica o quasi, trasformato in qualcosa non di necessario ma di umile, non di specializzato e fondamentale ma di mediocre. Qualcosa di adatto più agli schiavi e agli stranieri che ai cittadini, un peso simile a una oscura colpa. Qualcosa che può arrivare a detur-

pare la nostra immagine. Il modo che abbiamo di rapportarci ad esso dipende soltanto dal concetto ancestrale, che ciascuno di noi possiede e assimila senza nemmeno saperlo, di interesse e quindi, in ultima analisi, di egoismo. Mi viene in mente un epigramma d’ispirazione omerica che elenca, indivisibili, le caratteristiche biografiche e le capacità lavorative di un tale Atota, “lavoratore metallurgico” (si è ipotizzato di trattasse di uno dei tanti schiavi che aveva trovato lavoro in Attica meridionale): “Il magnanimo Atota, paflàgone del Ponto Eusino, lontano dalla sua terra riposò il corpo dalle fatiche. Nell’arte non ebbe rivali: discendendo dalla stirpe di Pilèmene, che morì domato dalla mano di Achille.” (S. Nicosia, Il segno e la memoria, p. 137, Sellerio Editore Palermo, 1992). Atota è un operaio, ma di stirpe regale, così come regale è, secondo Platone, il suo particolare mestiere; eppure è palese l’esigenza da parte della cultura greca di regolamentare il contatto con le popolazioni “altre” tramite una genealogia mitica. Noi oggi, po-

co avvezzi a chiedere spiegazioni alle storie raccontate dai miti, ci ritroviamo sforniti di appigli culturali, consci e inconsci, che ci aiutino a spiegarci e ad accettare la presenza dello straniero, a “casa nostra”, a maggior ragione se del suo lavoro abbiamo un disperato bisogno, se il cosiddetto straniero si fa portatore, nella nostra società, di abilità e saperi un tempo nostri e oggi dimenticati, se si trova, malauguratamente, a colmare le nostre “lacune” economiche e sociali. Siamo del tutto impreparati a spiegarci le nostre stesse esigenze, a colmare le distanze, fisiologiche, che ci sono e sempre ci saranno tra il semplice lavoro e il profitto di cui il lavoro rappresenta la parte più scomoda. Si può dire che nelle epigrafi le parole rinnovino se stesse ad ogni sguardo rappresentando un bisogno di movimento, di nuova vita, e di confronto; noi invece, almeno in apparenza, preferiremmo di gran lunga l’immobilità a 360 gradi sia per i morti che per i vivi; tutto preferiremmo fuorché riprendere in mano i nostri orizzonti e rimetterne in di-

scussione i confini. Cercando di soddisfare tanto Tucidide (che vedeva le convulsioni delle brame di potere, inevitabili e devastanti come la peste, trasferirsi nella follia delle azioni e delle parole) quanto J. Adams (che confidava nella divisione dei poteri per equilibrare società e sentimenti), la follia è sì inevitabile, ma essa, qui in occidente, continua a preferire una violenza culturale, che però noi non consideriamo tale, da esercitare in modo indiscriminato, alla violenza propria di una Natura rivelatrice. Scrive Giorgio Cremaschi nel suo recente libro: “Lavoratori migranti che stanno da una vita nello stesso posto di lavoro, sono soggetti però al ricatto permanente del rinnovo del permesso di soggiorno e a quello dell’espulsione, che riguarda loro e i familiari. Ed è proprio con i migranti che si manifesta tutta l’ipocrisia autoritaria del li-

berismo. I capitali sono liberi di girare per tutto il mondo, ricattando lavoratori e popoli. Le persone no. Più cresce la libertà di manovra dei capitali, più le leggi mettono vincoli a quella delle persone. Il perché è chiaro. Se le persone potessero muoversi come le merci, dai paesi più poveri affluirebbero in quelli più ricchi in misura molto maggiore del consentito. Nei paesi più poveri il mercato del lavoro si stabilizzerebbe e i salari comincerebbero a crescere velocemente.” (G. Cremaschi, Il regime dei padroni. Da Berlusconi a Marchionne,

p. 47, Editori Riuniti, 2010) Ignorare l’importanza e la dignità del lavoro vuol dire accettare della nostra cultura solo la parte più distruttiva. Se l’alternativa alla violenza naturale deve essere la violenza culturale, organizzata ed esportata come sistema, allora tanto vale rimanere in uno stato egoistico di natura, perché la natura conosce, pur negli sconvolgimenti peggiori, i propri limiti; sa essere tragica ma, almeno, mai sacrilega.

“Giocosamente”: una laica accele- La Historia me absolverà! razione verso i sogni ritrovati Finalmente! La mente ricorda quando le mie serate se ne andavano tristemente, affannosamente … la mia estate magicamente era diventata un inverno, o un inferno? La luce del sole trasmette desiderio, normalmente … ma guarda che facilmente la voglia può trasformarsi in noia, inspiegabilmente. Il giorno rovente iniziava immediatamente … e non finiva mai, l’uscita era lontana, nonostante gridava il contrario la corrente … giustamente! Però! Però la speranza latente improvvisamente si pente e si annulla come il gol marcato irregolarmente … che gioia ardente! Percorro la strada impervia ma gli eventi mi aiutano fortunatamente. Mi riaccingo a vivere, tremante, ma l’amore vero è quello che ti circonda … il difficile è accorgersene immediatamente impedendo che ti colpisca l’infingardo fendente … bugiardo, ma così bello che avrebbe ingannato ogni gente. Amati incondizionatamente, accetta la realtà vivente, non gioire inutilmente di un preciso futuro inesistente, e arrogante! Aggiungi coraggio al presente, distogli celermente le energie da chi non le ha guadagnate meritatamente … ma solo apparentemente in forza di un involucro splendente. Adesso! Il giorno si dipana stimolante, mai scontatamente. Non è fortuna … è forza! Vigore che si libera naturalmente, inaspettatamente … te ne accorgi, non procedi penosamente come un serpente ma fiero e sorprendente come un aliante … state attente! Umilmente e consapevolmente, aderisco rispettosamente alla parola che vuole che lo spasso diverta efficacemente se si protrae concisamente, ma ...finalmente, giocosamente!!! Ho giocato con le parole, qualche tempo fa. Avverbi, participi presenti e termini in movimento. Un amuleto. Un inno al risveglio, uno scatto di reni al di fuori delle frustrazioni e delle paure che incombono sugli animi più sensibili. Molto spesso è proprio la “maledetta” sensibilità ad impedirti di affrontare a viso aperto i pericoli e le sofferenze. Ti ritrovi in una palude di pensieri, quasi sempre malsani, putridi come

quelle acque. Tuttavia, sarà proprio questo ristagno, costante, lento e continuo, dannatamente palese, che in lampo d’amore e razionalità ti condurrà fuori dal “riposo” forzato. Ed ecco allora: una laica accelerazione verso la agognate mete; una vita semplice condita da immagini e sapori antichi … le parole di un amico: quelle stesse parole che nel periodo di letargo erano solo parole, mentre adesso ingenerano

desideri su desideri. Nel contempo e per fortuna, si modifica l’interpretazione dei segni della natura: dall’indifferenza alla meraviglia; dalla normalità allo stupore; dal fastidio a non poterne fare a meno. È questo il mutamento che genera forza e genialità, tanti sorrisi e sana insofferenza. Si, insofferenza. Perché nell’”inferno” tutto va bene e non riesci nemmeno ad arrabbiarti. E allora non importa in che direzione si

Tratto dalla autodifesa prnunciata da Fidel nel processo subito per il fatto assalto alla Caserma Moncada nel dicembre 1950

Magritte, Il vestito di notte propaga questa nuova energia … non importa, purché si liberi … fiera, arrogante! Una storia come tante, questa, innaffiata dal coraggio di giocare, a posteriori … Questo è quello che vorrò fare ed essere. Quando sei in apnea, inizia a correre più veloce che puoi. Ti fermerai ad un certo punto, affannato; ma probabilmente, con la testa di nuovo fra le nuvole, riderai. Riderai … e ripartirai! Cristiano Della Vedova

Rinunciare alla propria libertà è rinunciare alla qualità dell'uomo, ai diritti dell'umanità, e anche ai doveri. [...] Tale rinuncia è incompatibile con la natura dell'uomo; e togliere tutta la libertà alla volontà è togliere ogni moralità alle azioni. [...] La famosa Dichiarazione Francese dei Diritti dell'Uomo lasciò alle generazioni future questo principio: "Quando il governo viola i diritti del popolo, l'insurrezione e' per questo il più sacro dei diritti e il più imperioso dei doveri" "Quando una persona si impossessa della sovranità deve essere condannata a morte dagli uomini liberi". Credo di aver giustificato sufficientemente il mio punto di vista [...] Però c'è una ragione che ci assiste più potente di tutte le altre: siamo cubani ed essere cubano implica un dovere, non compierlo è un crimine e un tradimento. Viviamo orgogliosi della storia della nostra patria; la appren-

diamo a scuola e siamo cresciuti udendo parlare di libertà, di giustizia e di diritti. [...] Tutto questo apprendemmo e non lo dimenticheremo [...] Nascemmo in un paese libero che ci lasciarono i nostri padri, e sprofonderà l'Isola nel mare prima che acconsentiremo ad essere schiavi di qualcuno. [...] Termino la mia difesa, però non lo farò come fanno sempre tutti gli avvocati, chiedendo la libertà del difeso; non posso chiederla quando i miei compagni stanno soffrendo nell'Isola dei Pini una prigionia ignobile. Inviatemi insieme a loro a condividere la loro sorte, è concepibile che gli uomini che hanno onore siano morti o prigionieri in una repubblica dove è presidente un criminale e un ladro [...] In quanto a me so che il carcere sarà duro come non lo è mai stato per nessuno, pieno di minacce, di vile e codardo rancore, però non lo temo, così come non temo la furia del tiranno miserabile che ha preso la vita a settanta fratelli miei. Condannatemi, non importa, la storia mi assolverà!


FOLIGNO APRILE 2011

Cultura/e

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Viaggio alla fine del mondo IOLANDA TARZIA “Raggiunsi la città più a sud del mondo. Ushuaia era sorta nel 1869, quando il reverendo W.H. Stirling aveva fatto costruire, vicino alle capanne degli indios Yaghan, l'edificio prefabbricato della Missione. Per sedici anni anglicanesimo, orti e indios avevano prosperato. Poi arrivò la Marina militare argentina e gli indios morirono di morbillo e di polmonite. Col tempo il posto si trasformò da base navale in colonia penale. Il sovrintendente alle carceri progettò un capolavoro di pietra e cemento più sicuro delle prigioni siberiane. I suoi squallidi muri grigi, forati da strettissime feritoie, sorgono nella parte orientale della città. Oggi l'edificio è usato come caserma. Le mattine, a Ushuaia, cominciavano nella calma più piatta. Al di là del Canale Beagle si vedeva di fronte il profilo frastagliato dell'Isola Hoste e lo Stretto di Murray, che conduceva all'Arcipelago Horn. A mezzogiorno l'acqua ribolliva e spumeggiava e la riva lontana spariva dietro un muro di vapore. I malinconici abitanti di questa città in apparenza senza bambini, guardavano gli stranieri senza cortesia. Gli uomini lavoravano in una fabbrica di granchi in scatola o nell'arsenale, dove il lavoro non mancava a causa di una puntigliosa guerra fredda col Cile. L'ultima casa prima

L’amico ritrovato CARLO TRAMPETTI

Un venerdì mattina, come al solito di buon ora, con gli occhi gonfi di sonno scesi a ritirare la posta, pieno di quell’entusiasmo di chi sa che ad aspettarlo non ci sono che raccomandate, pubblicità commerciali e forse un invito a comparire in questura per disturbo della quiete pubblica. Infatti quella notte con tutti i membri della troupe eravamo andati a festeggiare la fine delle riprese del mio ultimo film e ne avevamo combinate di tutti i colori. Tutto come previsto, tranne che per due lettere fino all’ultimo incagliate in un sottile pertugio tra le decine di fogli di pubblicità, raccomandate varie e inviti a comparire. Una lettera era da parte dell’Accademia del Cinema di Monaco, la quale mi invitava a ritirare un premio prestigioso, un tributo alla mia, a loro dire, straordinaria carriera di regista cinematografico;gli stessi che ai miei inizi mi avevano bollato come un ridicolo pagliaccio. Come è strana la vita!Ricordo che alla proiezione del mio primo medio metraggio,l’aula magna dell’Accademia (parliamo di ventinove anni fa), si riempì in nemmeno cinque minuti e si svuotò in

neanche quindici minuti, sebbene la mia opera (Il canto della tenebra) ne durasse sessantacinque. Dopo che sul mio viso si dipinse un sorriso beffardo di rivalsa, passai alla seconda let-

tera. Questa, aveva il frontespizio intonso, non vi era scritto né il nome del destinatario con eventuale indirizzo, né quello del mittente; ma il fatto che mi insospettì di più era che in alto a destra non c’era nemmeno il francobollo, come se questa lettera fosse stata portata dal vento da chissà dove. La busta era candida come la prima neve dell’inverno. Non sapendo nem-

Le Deserteur

Boris Vian - 1954

della caserma era il bordello. Nel giardino crescevano cavoli bianchi come teschi. Mentre passavo, una donna con la faccia imbellettata stava vuotando la spazzatura. Portava uno scialle cinese nero, ricamato con peonie rosa-anilina. Disse « Qui tal?» e sorrise: fu l'unico sincero e allegro sorriso che vidi a Ushuaia. Evidentemente era contenta del suo stato. La guardia non mi permise di entrare nella caserma. Volevo vedere il cortile della vecchia prigione. Avevo letto del più famoso recluso della Colonia penale di Ushuaia” (Bruce Chatwin, In Patagonia; Ed. Gli Adelphi) Un detto popolare recita che “Partire è un po’ morire”. Ma partire per viaggiare forse è un po’ come rinascere. Decidere di lasciare il quotidiano per vivere una, sia pur piccolissima, parte della propria esistenza in luoghi sconosciuti, a contatto con gente che è e rimarrà quasi certamente estranea, conoscendo culture, abitudini e lingue diverse dalle proprie, presuppone un desiderio/bisogno di “nuovo”. Ci sono dei viaggi, poi, che più di altri ti lasciano dentro un qualcosa che prima non ti apparteneva. Giungere a Ushuaia, “la fin del mundo”, per esempio, non è solo un viaggio. E’ un’esperienza emozionale. Ushuaia è una città come tante, con le sue case, le sue auto, i negozi, i ristoranti, i neon e i souvenir. Una città nata intorno ad una prigione, non bella anzi, a tratti,

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anche un po’ piatta e squallida. Eppure, giungendovi, si percepisce in quel posto qualcosa di unico. Ciò che rende speciale quel luogo non è solo il panorama che si apre senza fine oltre il Canal Beagle; non sono solo i colori del mare e del cielo che si fondono e si confondono in un grigio/azzurro quasi innaturale; non è solo l’aria rarefatta che si respira; non è solo la serenità che ti trasmettono le persone che vi incontri. E’ una sensazione. Quella che deriva dal trovarsi alla fine del mondo. In qualunque altro posto della terra ci si trovi si ha la sensazione che la strada, il mare, il fiume che stai percorrendo ti porterà in un altro luogo, in una realtà che conosci o che assomiglierà in qualche modo alle altre realtà a te note. Ad Ushuaia no. Oltre quella città non ce ne è un’al-

tra. Non c’è l’uomo con le sue colonizzazioni e le sue contraddizioni. C’è una realtà irreale rispetto al conosciuto quotidiano. Una realtà che i più possono solo provare ad immaginare, magari richiamando qualche fotogramma che la mente ha registrato carpendolo da un documentario, nella speranza di poterla un giorno conoscere. Ed è forse proprio la consapevolezza di aver raggiunto nel tuo viaggio il luogo in cui finisce l’assoggettamento della natura ai bisogni dell’uomo ed inizia un mondo in cui la natura è ancora padrona e sovrana di se stessa, che rende Ushuaia unica e speciale.Forse è per questo che Ushuaia e il mondo noto ed ignoto che la circondano ti entrano dentro e li rimangono anche quando ormai migliaia di chilometri ti separano da “la fin del mundo”.

meno se fosse stata destinata a me, mi adoperai subito per aprirla ormai vittima del suo pallido mistero, ma le mie mani nude non bastarono per strapparne la carta. Era una carta molto particolare, incredibilmente elastica e resistente, un genere che non avevo mai visto,allora presi un coltel-

sempre più prepotente nella mia testa e la vista mi si appannò. Tutto cominciò a perdere forma davanti ai miei occhi, tutto diventava come liquido e quel rumore era ora un bombardamento insopportabile, come un perpetuo ringhiare di un leone infuriato nella mia testa. Sentii la mia pelle di colpo squarciarsi e con urlo di dolore strozzato tutto si interruppe. Stremato e spaventato mi accorsi di essermi ferito a un dito. Il mio sangue era gocciolato sul candido bianco della busta contente la lettera, creando una sorta di pointillage rosso sangue alla Seraut, che sembrava una S asimmetrica. Notai questo particolare, solo dopo essermi medicato e aver preso un tranquillante, ma non gli diedi molto peso, essendo ancora turbato da quel terribile viaggio della mente. Con la mano sinistra dal dito fasciato, estrassi il contenuto della busta dal suo forziere e cominciai a leggere:

lo e cominciai non senza difficoltà a tagliarne l’estremità superiore. Lo stridere di quella carta sulla seghettature della lama mi ricordava in maniera inquietante il suono discreto di un bisturi intento ad affondare nelle carni di un cadavere; una scena a cui avevo assistito durante l’autopsia sul corpo di mio padre. Per un istante trasali, quel suono si faceva

Caro Buchenwald, ho visto il tuo ultimo film e l’ho trovato davvero appassionante,come d’altronde tutti gli altri. Come sai, sono molti anni che non ci vediamo, ho passato un periodo davvero terribile. Mio figlio è morto sei anni fa e mia moglie se ne è andata. I giorni spensierati dell’Accademia sono ormai un ricordo lontano che appartiene a un’altra vita. Ti

In piena facoltà, Egregio Presidente, le scrivo la presente, che spero leggerà. La cartolina qui mi dice terra terra di andare a far la guerra quest'altro lunedì. Ma io non sono qui, Egregio Presidente, per ammazzar la gente più o meno come me. Io non ce l'ho con Lei, sia detto per inciso, ma sento che ho deciso e che diserterò. Ho avuto solo guai da quando sono nato e i figli che ho allevato han pianto insieme a me. Ma mamma e mio papà ormai son sotto terra e a loro della guerra non gliene fregherà. Quand'ero in prigionia qualcuno m'ha rubato mia moglie e il mio passato, la mia migliore età. Domani mi alzerò e chiuderò la porta sulla stagione morta e mi incamminerò. Vivrò di carità sulle strade di Spagna, di Francia e di Bretagna e a tutti griderò di non partire piú e di non obbedire per andare a morire per non importa chi. Per cui se servirà del sangue ad ogni costo, andate a dare il vostro, se vi divertirà. E dica pure ai suoi, se vengono a cercarmi, che possono spararmi, io armi non ne ho.

chiederai che cosa ne ho fatto della mia carriera? Il mio ultimo film risale a quindici anni fa ed è stato un enorme fiasco. Tutti mi hanno abbandonato, nessuno aveva più fiducia in me, dicevano che i miei film era irrealizzabili e fuori mercato…mi viene da ridere. Cosi niente più cinema. In questi anni di dolore immenso mi sono dedicato alla pittura, arte in cui ho trovato un caro riparo. Grazie all’affitto di varie case che ho a nord sono riuscito a vivere in modo più che decente, ma non vedo mai nessuno, se non una cerchia di intimi amici che vengono a trovarmi raramente, a cui vendo i miei quadri. Questo rifugio artistico non mi basta più, ho fame di cinema. Oh Buchenwald, ho un desiderio viscerale di fare un film, il film più straordina-

rio che sia mai stato fatto. Ho avuto un’intuizione davvero eccellente; ma nelle mie condizioni mi è difficile lavorarci da solo, allora mi sono chiesto, chi è il regista che stimo più al mondo? Senz’altro te! Voglio invitarti nel mio castello a Gegenbach per qualche giorno se hai tempo, cosi oltre a ricordare i magnifici giorni della nostra gioventù, magari potremmo lavorare a questa idea che, credimi, è davvero entusiasmante! Mi ha ridato la voglia di vivere! Mi rendo conto che Berlino è molto distante da qui, e che sei molto impegnato con il lavoro, ma spero vivamente che tu possa venire e correre in soccorso a un tuo vecchio amico, nonché fino a prova contraria, collega.Un abbraccio forte. Il tuo amico Wilheim Stich


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Lavoro a cura di Andrea Tofi

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ANNUNCIATI 240 LICENZIAMENTI ALLA MERAKLON SI AGGRAVA LA VERTENZA DEL POLO CHIMICO TERNANO Un'altra svolta drammatica nella crisi del polo chimico di Terni. La Meraklon Yarn e Spa, azienda specializzata nella produzione di fibra sintetica, ha annunciato il 15 Marzo la decisione di cessare la produzione negli stabilimenti della Polymer, avviando le procedure di licenziamento collettivo per i 240 lavoratori. Si aggrava così la vertenza sul sito produttivo che già aveva visto la chiusura degli impianti della Lyondell Basell. La risposta dei sindacati alla Meraklon è stata immediata. Filctem, Femca, Uilcem, Ugl e Orsa hanno indetto un'assemblea permanente presso le portinerie del sito con il blocco in entrata e in uscita delle merci di tutte le aziende del polo. Bloccato a intermittenza anche il traffico lungo la Flaminia, davanti ai cancelli dello stabilimento. I rappresentanti dei lavoratori, già protagonisti di una marcia a piedi da Terni a Roma, hanno incontrato, insieme alle istituzioni umbre (sindaco di Terni e

assessore regionale all'Industria), i funzionari del ministero dello Sviluppo Economico. Una riunione "necessariamente interlocutoria", vista l’assenza dell’azienda, ma che ha comunque portato alcuni elementi di novità positivi, scrive in una nota la Cgil Umbria. "E' stato infatti

confermato l’impegno a convocare a breve un tavolo specifico per la chimica ternana, quindi per l’intero Polo, mettendo naturalmente risorse sul piatto per garantire la continutà della produzione e dell’occupazione". "Si è trattato di un incontro che ci fa ben sperare nell'impegno e nella volontà del Ministero di farsi carico operativamente e con la dovuta sollecitudine di una situazione complessiva del Polo chimico ternano che è andata pro-

gressivamente complicandosi, assumendo connotazioni sempre più drammatiche commenta l'assessore regionale umbro Gianluca Rossi non ultima, per portata umana e sociale, quella dell'avvio della procedure di mobilità per i 241 operai della Meraklon. Una situazione che ha valenza nazionale e che necessita di azioni strategiche e tempestive per arrivare a soluzioni non più rinviabili". Presumibilmente subito dopo dopo l’incontro fissato per il 6 aprile tra la multinazionale Basell e Novamont continua Rossi “ci sarà la convocazione del tavolo nazionale, annunciata dal ministro Romani nel corso dell’ incontro, la vertenza sembra così indirizzata verso la direzione di marcia richiesta dalle istituzioni e da tutti gli altri soggetti che hanno a cuore il futuro di quest’area e della gente che qui vive e lavora”.

FOLIGNO APRILE 2011

IL 17 MARZO È GIORNATAFESTIVA: EFFETTI IN BUSTAPAGA

LORETTA OTTAVIANI

In data 18 febbraio2011è stato dato il via libera del Consiglio dei Ministri all'introduzione della festività del 17 marzo 2011, ricorrenza dell'anniversario dei 150 anni dell'Unità d'Italia. Dopo svariate critiche mosse da più parti relativamente ai maggiori costi che sosterrebbero le imprese nel 2011 a causa del pagamento di una festività in più, il Governo ha mediato le varie posizioni giungendo a un compromesso che dovrebbe soddisfare tutti e che trova applicazione per il solo anno in corso: tale festività produrrà gli effetti economici, giuridici e contrattuali previsti per la festività del 4 novembre ovvero quelli riguardanti le festività cadenti di domenica. Alla luce di ciò qual è il trattamento economico che i lavoratori si dovranno attendere nella busta paga di Marzo e Novembre 2011? Distinguiamo tra il trattamento economico previsto per i lavoratori privati e quello per i lavoratori pub-

blici. Se i lavoratori privati non effettueranno prestazione lavorativa il 17 marzo, nella busta paga di Marzo 2011 gli sarà riconosciuta la retribuzione di una giornata festiva; se il 17 marzo il lavoratore effettuerà prestazione lavorativa, avrà diritto alla maggiorazione contrattuale per lavoro prestato in giorno festivo. Nella giornata del 4 novembre i lavoratori effet-

tueranno la normale prestazione lavorativa senza il riconoscimento di alcuna maggiorazione, poiché la festività è stata spostata alla prima domenica di novembre e non verrà neanche riconosciuta la retribuzione per la festività cadente di domenica visto che, per quest’anno, è stata sostituita dalla festività del 17 marzo (i cui effetti economici si sono già verificati). In sostanza gli effetti economici

e gli istituti giuridici e contrattuali previsti per la festività soppressa del 4 novembre non si applicano a tale ricorrenza ma, in sostituzione, alla festività nazionale del 17 marzo, quindi i lavoratori delle imprese private manterranno costante lo stipendio, perché riceveranno in anticipo la giornata incassata in più, normalmente, a novembre. Per i lavoratori pubblici il trattamento è diverso: questi nell’anno hanno a disposizione 4 giorni di astensione dal lavoro (permessi) a fronte di festività soppresse, da godere facoltativamente. L’istituzione della festività del 17 marzo di fatto, a seguito del meccanismo di compensazione con la festività del 4 novembre, non determina una giornata di paga in più ma solo un giorno di permesso retribuito, quindi l’effetto più evidente è che i lavoratori delle pubbliche amministrazioni non potranno disporre liberamente di tutte e quattro le giornate di astensione ma dovranno obbligatoriamente fruirne una il 17 marzo, essendo ciò previsto per obbligo di legge.

SCIOPERO NAZIONALE DELL11 MARZO USB: UNO SCIOPERO IMPORTANTE CHE CI CARICA DI RESPONSABILITÀ

NON «ZAVORRA», MA RICCHEZZA PER IL PAESE INSERIRE PERSONE CON DISABILITÀ PSICHICHE NEL MONDO DEL LAVORO

La grande partecipazione alla manifestazione nazionale di Roma, l’adesione diffusa in migliaia di posti di lavoro allo sciopero generale promosso assieme allo Slai Cobas, all’Unicobas e allo Snater ci impongono una attenta riflessione sulla situazione ed un cambio di passo. Lo sciopero dell’11 marzo si è tenuto, ed è riuscito, nonostante tutto dicesse che le condizioni per effettuarlo erano difficili se non impossibili, nonostante sia stato convocato senza la condivisione di tutto il sindacalismo di base che questa volta ha scelto strade diverse e per certi versi incomprensibili, nonostante la gran parte del “movimento” fosse tutto proteso verso lo sciopero del 6 maggio indetto dalla Cgil. Alla base del successo dello sciopero e della manifestazione non può evidentemente esserci stata solo la solidità organizzativa e la ampia diffusione territoriale e categoriale della USB, spina dorsale di questa mobilitazione, cosa comunque assolutamente rilevante e senza la quale non ci sarebbe stata una simile riuscita, ma c’è stata soprattutto l’esigenza reale e concreta di unire le lotte che ciascuno quotidianamente mette in campo nel proprio specifico per provare a incidere davvero nella realtà e nelle scelte economiche e politiche che

ci riguardano. E così centinaia di maestre d’asilo e delle materne sono arrivate da tutta Italia contro la privatizzazione e la precarietà, così i lavoratori della Fiat a dire un altro sonoro no a Marchionne e ai suoi editti imperiali, i lavoratori pubblici “incazzati”, i lavoratori dei trasporti, a spiegare il perché le privatizzazioni e i tagli fanno male al diritto alla mobilità dei cittadini. E insieme a loro migranti, precari, studenti, disoccupati, senza casa, senza reddito e soprattutto senza diritti. Una disponibilità a mischiarsi e a pensarsi meticci, non solo da un punto di vista etnico ma anche di esperienze e di lotte, che non era scontata e che invece si è realizzata e ha fatto la for-

za della manifestazione. Ora è evidente che l’11 marzo non comincia e non finisce lì. Dobbiamo, senza autoreferenzialità e senza sentirci autosufficienti, cominciare a pensarci come l’alternativa di massa possibile, confederale e quindi generale, indipendente e conflittuale, ponendo con forza i nostri obbiettivi e praticando con passione e determinazione quanto necessario per realizzarli. Nessuna delle confederazioni storiche può oggi assumersi un simile compito, il loro DNA non glielo permette, e nessuno ha il diritto di sfiancare il movimento che si è espresso in questi mesi nello sterile inseguimento di una prospettiva che non c’è. Unione Sindacale di Base

Enaip e Ausl insieme nel 2011 per facilitare l’inserimento nel mercato del lavoro di persone con disabilità psichica. Il progetto, finanziato dalla Regione Emilia-Romagna, consente la sperimentazione in tutte le Province del metodo IPS, tecnica rivoluzionaria che supera la mentalità assistenziale e permette alla persona - non più paziente - di raggiungere posizioni che ne sanciscono l’inclusione sociale, con innegabili benefici per la sua salute mentale, la famiglia e la società. La rete di enti di formazione professionale Enaip EmiliaRomagna nel 2011 si appresta ad affrontare una sfida: il superamento della mentalità assistenziale nell’inserimento lavorativo delle persone con disabilità psichica. L’importanza dell’assunzione di una posizione lavorativa con le relative responsabilità e gratificazioni economiche è, per la persona con disturbi psichici, il segno più tangibile di inclusione sociale e ha effetti notevoli

sull’autostima, sul benessere relazionale, sull’autonomia personale e sulla stabilizzazione sintomatologica. L’importanza, quindi, di offrire un percorso di inserimento professionale

non tutelato, ma nel mercato competitivo, è chiara sia dal punto di vista simbolico - del paziente e della famiglia - ma anche dal punto di vista del costo sociale. IPS (Individual Placement and Support) è una tecnica già consolidata negli Stati Uniti, e sperimentata in Italia nella Provincia di Rimini dal 2003 con ottimi risultati: circa la metà delle persone sostenute con questo metodo ha raggiunto entro tre mesi un’attività lavorativa nel li-

bero mercato e circa un terzo l’ha mantenuta per oltre un anno. A Rimini, nel 2011, grazie a un progetto presentato dalla Ausl di Rimini in partnerariato con la rete Enaip, sotto la supervisione del dottor Angelo Fioritti, direttore del Dipartimento di Salute Mentale dell’Ausl di Bologna, sarà possibile testarla in tutti i dipartimenti della Regione. Il metodo è concettualmente rivoluzionario: persone con disturbi mentali gravi (schizofrenia e disturbi bipolari in primis) possono accedere a un lavoro competitivo, fuori dalla rete di benefici sociali pur garantiti dallo Stato. Se i percorsi protetti di inserimento lavorativo, dopo una lunga fase di formazione, raramente portano a un’assunzione nel mercato competitivo, il programma IPS mira a ottenere un’assunzione in tempi rapidi (meno di sei mesi), basandosi sul sostegno individuale e su una valutazione concreta delle abilità della persona.


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Lavoro

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Merloni: riqualificazione professionale, non proposta di lavoro congruo! Il Comitato dei Lavoratori della A. Merloni di Colle di Nocera Umbra è purtroppo costretto a rinnovare lecite perplessità sul comportamento delle rappresentanze sindacali. In questi giorni, infatti, coloro che si sono recati a ritirare il CUD all'Ufficio Personale della fabbrica, si sono trovati a dover firmare anche una "Dichiarazione di immediata disponibilità ad un percorso di riqualificazione professionale e all'adesione di una proposta di lavoro congruo". Ciò che ci meraviglia è che in questa dichiarazione, spiegata rapidamente come un "pro forma che doveva già essere firmato dal 2008", sono state apportate significative modifiche al modulo predisposto dall’INPS. Infatti, mentre nel modello facilmente scaricabile dal sito internet dell’INPS (vedi a lato), sono presenti due opzioni di scelta da poter barrare (il sottoscritto dichiara: OPZIONE 1: di essere immediatamente disponibile ad aderire ad un percorso di riqualificazione professionale; OPZIONE 2: di aderire ad una proposta di lavoro congruo), in quello sottoposto dall’azienda non c'è alcuna possibilità di scelta tra le due alternative e la firma comprenderebbe

entrambe. Da quanto abbiamo appreso da consulenti del lavoro interpellati, persone quindi competenti in materia, il punto preoccupante è il secondo. L’OPZIONE di una “proposta di lavoro congruo", infatti, non riguarda la nostra azienda, ma i casi di cessazione definitiva della attività che non prevede il rientro in azienda. La Merloni, al contrario, è in una procedura che prevede la riattivazione dell’azienda da parte di un potenziale acquirente e, quindi, sottoscrivendo questa seconda OPZIONE rinunceremmo a tornare al nostro lavoro una volta chiamati da un'altra ditta. Forse è una anticipazione di quello che succederà dal prossimo Maggio quando finiranno i benefici della cassa integrazione di cui a tutt'oggi non abbiamo alcuna certezza di prolungamento? Quello che ci chiediamo è dunque perché il testo della dichiarazione è stato modificato escludendo la possibilità della scelta della sola OPZIONE che ci riguarda? Una modifica del modulo predisposto dall’INPS può essere apportata solo dalla Regione ma comunque con l’accordo dell’azienda e dei sindacati. Perché le RSU stanno spingendo gli ope-

rai a firmare senza realmente portarli a conoscenza di tutto ciò? Il nostro dubbio è che questo sia il primo passo per far abbandonare in modo scorretto, ma consenziente, un posto di lavoro per un altro (nel caso della OPZIONE della “proposta di lavoro congruo”) senza certezze, forse soltanto per i due anni per i quali la ditta che assume il lavoratore in cassa integrazione della A. Merloni gode di incentivi e sgravi fiscali. La leggerezza su cui si sta ponendo il sindacato su questa dichiarazione ci lascia ancora una volta con mille incertezze. Le RSU sono tenute a dare spiegazioni su cosa stiamo accettando sottoscrivendo questo modulo, a cosa stiamo andando incontro e il perché della seconda OPZIONE e non limitarsi a dire che "la firma è necessaria per non perdere l'erogazione della cassa integrazione". Per questo, visto che i lavoratori continuano a recarsi in azienda in questi giorni per ritirare i CUD e firmare la dichiarazione, chiediamo che sia indetta al più presto un'assemblea sindacale che faccia chiarezza una volta per tutte alle nostre perplessità. .il Comitato dei Lavoratori

ASL 2, manager e dirigenti si autoaumentano i loro stipendi d’oro 20% di aumento del compenso per il raggiungimento degli obiettivi dei direttori amministrativo e sanitario, mentre è confermato quello già lauto del direttore generale. Tutto questo mentre imperversa una grave crisi economica e i servizi sanitari pubblici vengono ridotti e dequalificati a vantaggio dei privati. Ai lavoratori niente: non vengono finanziati i fondi per il pagamento per la produttività collettiva, per il miglioramento dei servizi agli operatori sanitari, progressioni economiche solo a pochi eletti, straordinari tagliati, parcheggi a pagamento che annullano aumenti di stipendio. Ma la politica che ormai si continua a portare avanti già da diversi anni è quella delle esternalizzazioni che di fatto tolgono pezzi di servizio sanitario pubblico, per consegnarlo a cooperative e privati. Proprio in questi giorni i giornali anche in Umbria parlano di infiltrazioni mafiose nella politica che trovano naturalmente terreno fertile proprio in questo sistema di appalti e sub appalti, ma non è da oggi che la torta della sanità viene spartita per “meriti politici” (vedi sanitopoli Umbria). Intanto, molti sono i problemi legati al nuovo ospedale di Pantalla, ad esempio la definizione delle dotazione organiche visto che non è stato individuato il reale fabbisogno del personale sanitario. Mancano

infatti infermieri e OSS per coprire tutti i servizi e i nuovi reparti per raggiungere i parametri di rispetto degli standard sanitari ottimali che garantiscono l’efficienza dei servizi sanitari. In tutti i servizi della USL2 le liste d’attesa continuano ad allungarsi causando grossi disagi ai cittadini, nonostante la libera professione,

ma invece di potenziare i l servizio pubblico si lascia spazio agli studi privati “convenzionati”, cioè finanziati dal Bilancio Regionale. Anche la libera professione intramoenia negli ospedali è solo businnes sulla pelle dei cittadini, la classica commistione tra pubblico e privato dove i costi sono del pubblico e i profitti dei privati. Si sta perseguendo un piano sistematico di distruzione dei servizi sanitari, come ad esem-

pio l’Ospedale di Assisi per favorire i grandi poli ospedalieri che non portano né aumento di posti letto né miglioramento della qualità dei servizi, ma sicuramente un grosso giro di soldi! Contemporaneamente abbiamo avuto un abnorme e ingiustificato aumento di posizioni organizzative, coordinatori infermieristici e di Unità

Semplici per i medici, frutto di un clientelismo ormai senza più limiti e freni, mentre gli infermieri e gli OSS non riescono a prendere nemmeno le ferie che gli spettano per non lasciare i turni scoperti. Una politica sanitaria che nemmeno l'estrema destra si sarebbe mai sognato di realizzare! [...] Riteniamo sia giunto il momento di dire basta alla sistematica distruzione del servizio pubblico, alle pratiche di clientelismo

e corruzione la priorità va data alla salute dei cittadini e la sicurezza dei lavoratori! La sanità umbra si regge con i sacrifici gli stipendi da fame di quei dipendenti, veri attori del funzionamento e relativo gradimento del servizio sanitario pubblico. E’ questo modello di pubblico che contestiamo, il modello basato sull’aziendalismo verticistico in mano ai manager nominati direttamente dal Governo regionale, senza possibilità per le istituzioni, i lavoratori e le popolazioni locali di avere voce in capitolo. Contro questo potere oligarchico serve un cambiamento radicale. Per noi la sanità, i servizi pubblici sono una casa di vetro e tutti hanno diritto di vederci dentro. Questa logica la facciamo nostra tutti i giorni mentre lavoriamo nei reparti, nei servizi, mentre facciano il nostro lavoro sindacale non disgiungendo mai le giuste e sacrosante rivendicazioni dei dipendenti con la qualità dei servizi erogati. Una battaglia a difesa della sanità pubblica che non sia di pura resistenza a difesa dell’esistente, non può che vedere schierata la nostra OS in una forte denuncia di questi meccanismi, con la proposta di ripristino del rapporto di lavoro di esclusività nel pubblico che è l’unico modo per cercare di riempire di contenuti la garanzia del diritto alla salute. USB sanità Umbria

Merloni: il 4 aprile scade il termine per le proposte di acquisto; incentivo Irap dalla Regione dell’Umbria

Il prossimo 4 aprile è fissato il termine ultimo per la sottoscrizione delle manifestazioni d'interesse vincolanti per l'acquisto e il rilancio del gruppo Merloni: una data importante oltre la quale è ragionevole non andare. La Regione Umbria ha previsto, nel collegato alla manovra di bilancio 2011, delle agevolazioni in materia di Irap tese a favorire lo sviluppo economico e l'occupazione a tempo indeterminato. Nello specifico, sono state previste deduzioni fino al 75% del costo del lavoro del personale in caso di acquisizione di aziende o rami di azienda da imprese in amministrazione straordinaria. Nel caso della Merloni ciò comporterebbe un investimento di circa 1 milione di euro all’anno per quattro anni volto a fornire una ulteriore spinta

per l'acquisizione degli stabilimenti, la ripresa dell'attività e la piena occupazione. A breve sia la cordata cinese che quella iraniana dovranno passare dalle parole ai fatti e il Governo dovrà sollecitare la chiusura di questa fase per poi passare all'analisi approfondita dei piani industriali e delle strategie per il rilancio degli stabilimenti del Gruppo, primo fra tutti quello di Colle di Nocera Umbra. In questo contesto occorre che la proroga della Cassa integrazione per i lavoratori sia deliberata al più presto visto l'approssimarsi della scadenza del prossimo 22 Maggio. E’ necessario che la Regione Umbria e le Istituzioni locali si impegnino per la riapertura, nel più breve tempo possibile, di tutti gli stabilimenti del Gruppo.


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COSÌ LA CINA MANTERRÀ IL PRIMATO ECONOMICO MONDIALE

SALVATORE NAPOLITANO

Manzoni, i cui capolavori vengono studiati dai bambini di tutto il mondo; l’Italia è Michelangelo e Leonardo Da Vinci... ogni giorno migliaia di turisti invadono le nostre strade, per vedere le loro opere! Onorevole, mi spiace se lei non è d’accordo, ma per me oggi è un giorno di festa, LA FESTA DEL MIO PAESE! Come potrei non festeggiarlo? Oggi si festeggia l’Inno di Mameli e la nostra Bandiera (che discende - scusi se è poco da Dante Alighieri e la sua Beatrice); si festeggia la diligenza dei milanesi, l’eleganza dei fiorentini, l’intelligenza dei napoletani e la signorilità dei siciliani; oggi si festeggia il “CAMPIONI DEL MONDO, CAM-

PIONI DEL MONDO, CAMPIONI DEL MONDO” di Martellini ed il “IL CIELO E’ AZZURRO, SOPRA BERLINO” di Caressa! Molti mi potrebbero accusare di essere troppo giovane e di non vedere i veri problemi del nostro Paese. Be’, a loro rispondo che io sono fiero di essere italiano. Sono fiero delle idee di Giolitti e Cavour, delle battaglie di Garibaldi e Mazzini. Sono fiero del coraggio di Aldo Moro e Pierpaolo Borsellino, della bellezza di Monica Bellucci e Sofia Loren! Onorevole, la prego, almeno oggi ci risparmi le sue idiozie. Ci lasci gridare a tutto il mondo, che se ci critica è solo per invidia: GRAZIE A DIO, SONO ITALIANO!

MEMORIA COME ERAVAMO Fra poco partiamo per Terni da zia Giuliana, hai preso il fiasco dell' acqua? E io capivo senza bisogno di tante spiegazioni cosa dovevo fare. L'acqua era indispensabile; fiat seicento primo modello affrontare la salita della Somma significava fermarsi almeno una volta per rimboccare il radiatore dell'acqua che incominciava a bollire ed era una cosa del tutto naturale. Stesso discorso se si andava al mare a Riccione, ovviamente bagagli sul tetto dell'auto (bisognava valicare Nocera e Gualdo). Dai siete pronti? Si va a Perugia alla Standa (era come andare ai grandi magazzini Harrold di Londra). Il gelato da Cirillo era da trenta e cinquanta lire (ma su richiesta anche da venti lire). Ed il caro Safwan (un nostro amico siriano) che in quattro con la cinquecento partiva da Perugia per andare ad Aleppo (Siria). Poi il cinema all'aperto, il pacchetto di sigarette solo da 10, le feste studentesche con elezione della miss, le vespa o lambretta, stivaletti alla beatles (tornati di moda almeno altre 5 o 6 volte), pantaloni stretti in fondo, larghi a

campana (anche loro più volte rivisitati), LA MINIGONNA!!!!!!!!!!!! Sembrano barzellette, ma erano cose normali. Eppure tanti di noi, che hanno pienamente vissuto il ventesimo secolo e vivono il ventunesimo, ci sentiamo ancora assoluta-

mente in sintonia con il tempo passato e quello attuale. Non eé una dichiarazione di "giovanilismo" o sindrome di Peter Pan. Da cosa dipenda questa sensazione non lo so esattamente: forse dagli studi fatti, dall'educazione ricevuta e la voglia di crescere, la curiosità per le cose nuove, di migliorare e di buttare un po' il cuore oltre l'ostacolo, è rimasta. Certo tanti di noi si sono persi per strada e sono quelli che io ora chiamo "ai miei tempi questo non accadeva” o “le mezze stagioni

APRILE 2011

GREEN ECONOMY

SONO ITALIANO!

Grazie a Dio sono italiano! Qualche giorno fa ho sentito in televisione un parlamentare (che, sinceramente, tutto fa tranne rappresentarmi) dire che non c‘è nulla da festeggiare quest’oggi; sarebbe una festività talmente inutile da essere considerata come giorno di ferie, per i lavoratori dipendenti. Mi spiace, onorevole, devo (DEVO!) dissentire. Oggi si festeggia - suo malgrado una Nazione ed il suo popolo... la nostra storia! Onorevole ma come fa a dire che oggi non dovremmo festeggiare? Oggi è la festa di tutti noi. Dovremmo farci gli auguri gli uni agli altri e ricordarci che, probabilmente, senza quella firma del Re Vittorio Emanuele II, con cui veniva proclamato lo Stato Italiano, noi oggi non saremmo neanche qui a discutere… Ho letto molte volte di persone che si vergognano di essere italiani e riescono sempre e solo a criticare questo o quell’altro aspetto del nostro Paese. Forse questa gente non ricorda che l’Italia è l’impero romano, l’unico impero che tutti hanno cercato di emulare, senza mai riuscirci; l’Italia è Leopardi, Petrarca e

FOLIGNO

Beni Comuni

non ci sono più” o “più sicurezza” (ingaggiamo anche la Polizia Provinciale in assetto da combattimento - nota attuale) ma bisogna avere fiducia, lo spazio per migliorarsi si può sempre trovare, PRIMA o POI. Purtroppo tanti di noi oggi si dedicano a tempo pieno a fare i censori "sempre e comunque preoccupati per la deriva democratica" o per sottolineare quello che non va o per censurare i comportamenti degli altri. Probabilmente se guardassero dentro se stessi troverebbero più di una cosa da censurare e se ognuno pensasse ai propri comportamenti molte cose migliorerebbero (purtroppo la maggiore indulgenza si usa sempre con se stessi e difficilmente si è inclini a valutare i propri difetti); mi sembra di averla già da tempo sentita "guarda la trave che hai nel tuo occhio, piuttosto che la pagliuzza nell’occhio dell’altro". Ed ora che si farà? Ma figurati se sappiamo cosa si farà domani! Con le proprie certezze ed insicurezze. f.o.

La dirigenza comunista lo ha presentato al mondo come il punto di partenza per il nuovo modello di sviluppo verde che la Cina intende abbracciare. Le aspettative degli analisti e degli esperti nei suoi confronti sono unanimemente alte e positive. Per il momento tuttavia, l’unica cosa certa del piano quinquennale cinese per il periodo 20112015, in questi giorni in discussione davanti all’Assemblea nazionale del popolo, sono gli impressionanti investimenti per la tutela dell’ambiente, il risparmio energetico e le fonti alternative in esso previsti. Ormai pienamente consapevole dell’insostenibilità del modello di crescita e produzione seguito fino a questo momento, la Cina ha da tempo cominciato la sua trasformazione verde, destinando negli ultimi anni crescenti quantità di fondi alla ricerca di una via da seguire per il green development. Stando alle analisi condotte da Ernst & Young, la Cina è diventata una vera calamita per gli investimenti in energie rinnovabili, riuscendo ad attrarre capitali da ogni parte del mondo; nel 2009, ha sorpreso il mondo intero spendendo il doppio degli Usa in green energy; 34,6 miliardi di dollari, quasi 14 volte in più rispetto ai 2,5 di 5 anni prima. Secondo le indiscrezioni finora trapelate, il nuovo piano quinquennale vorreb-

be ora trasformare quest’onda verde in un ecotsunami, con un investimento complessivo per l’ambiente di 3.000 miliardi di yuan, circa 450 miliardi di dollari. La Cina sta tentando da tempo di abbandonare il modello manifatturiero cui è stata legata a partire dagli anni Ottanta sostituendolo con uno incentrato sul settore dei servizi, in grado di garantire un maggior impie-

go di forza lavoro e dunque un incremento del reddito dei cittadini, utile ad aumentare i consumi interni. Questa scelta è destinata ad avere ripercussioni indirette ma comunque significative sull’ambiente: i servizi richiedono una quantità di materie prime e di energia nettamente inferiore alla produzione industriale. Ciò vuol dire che nei prossimi anni il consumo di carbone, petrolio e altre fonti fossili da parte del Paese della Grande Muraglia diminuirà. Tra le riforme che verranno adottate ve ne saranno alcune specificamente incentrate sull’incremen-

to del potere d’acquisto da parte degli agricoltori e l’introduzione di programmi per aumentare la produttività agricola, misure anch’esse volte alla crescita della domanda interna. È logico supporre che gli interventi in questo settore porteranno all’introduzione di tecnologie e metodi di coltivazione e sfruttamento dei terreni all’avanguardia, a ridotto consumo di energia e basso impatto ambientale. Come espressamente annunciato dai leader cinesi, il consumo interno sarà stimolato dagli investimenti nei nuovi settori strategici individuati da Pechino, noti agli analisti internazionali con il nome di “new magic 7”: materiali d’avanguardia, biotecnologia, informatica di ultima generazione, energie alternative, efficienza energetica, protezione ambientale e hi-tech. Rispetto agli “old magic 7” (difesa, telecomunicazioni, energia elettrica, petrolio, carbone, aeronautica, marina) è evidente una virata verso il verde. La riduzione complessiva del 40-45 per cento delle emissioni di anidride carbonica rispetto ai livelli del 2005 entro il 2020, annunciata dai leader cinesi durante la conferenza di Copenhagen, appare dunque un obiettivo teoricamente raggiungibile. (tratto da un articolo di Paolo Tosatti su “Terra”)

VOTA SI AL REFERENDUM PER LACQUA BENE COMUNE

SI' per fermare il nucleare, per la difesa dei beni comuni, dei diritti, della democrazia Oltre un milione e quattrocentomila donne e uomini hanno sottoscritto i referendum per togliere la gestione del servizio idrico dal mercato e i profitti dall’acqua. Lo hanno fatto attraverso una straordinaria esperienza di partecipazione dal basso, senza sponsorizzazioni politiche e grandi finanziatori, nel quasi totale silenzio dei principali mass-media. Grazie a queste donne e questi uomini, nella prossima primavera l’intero popolo italiano sarà chiamato a pronunciarsi su una grande battaglia di civiltà: decidere se l’acqua debba essere un bene comune, un diritto umano universale e quindi gestita in forma pubblica e partecipativa o una merce da mettere a disposizione del mercato e dei grandi capitali finanziari, anche stranieri. Noi che ci siamo impegnati nelle mobilitazioni del popolo dell’acqua, nelle battaglie per la riappropriazione

sociale dei beni comuni e per la difesa dei diritti pensiamo che i referendum siano un’espressione sostanziale della democrazia attraverso la quale i cittadini esercitano la sovranità popolare su scelte essenziali

della politica che riguardano l’esistenza collettiva. Per consentire la massima partecipazione, chiediamo che il voto referendario sia accorpato alle prossime elezioni amministrative e che prima della celebrazione dei referendum si imponga la moratoria ai processi di privatizzazione. Crediamo anche che il ricorso all’energia nucleare sia una una

scelta sbagliata perché è una fonte rischiosa, costosa, non sicura e nei fatti alternativa al risparmio energetico e all'utilizzo delle fonti rinnovabili. Siamo convinti che una vittoria dei SI ai referendum della prossima primavera possa costituire una prima e fondamentale tappa, non solo per riconsegnare il bene comune acqua alla gestione partecipativa delle comunità locali, bensì per invertire la rotta e sconfiggere le politiche liberiste e le privatizzazioni dei beni comuni che negli ultimi trent’anni hanno prodotto solo l’impoverimento di larga parte delle popolazioni e dei territori e arricchito pochi gruppi finanziari con una drastica riduzione dei diritti conquistati, determinando la drammatica crisi economica, sociale, ecologica e di democrazia nella quale siamo tuttora immersi. Cambiare si può e possiamo farlo tutte e tutti assieme. Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua


FOLIGNO APRILE 2011

Salute

Disfunzione erettile MARIO ZOCCO

L'erezione inizia dal cervello e coinvolge sia il sistema nervoso che quello vascolare. Quando nel sistema nervoso prevalgono gli impulsi a favore dell'erezione, stimolati da sensazioni visive, olfattive, tattili o psicogene, i segnali che attraverso specifici nervi raggiungono i corpi cavernosi, provocano il rilassamento della muscolatura liscia che compone le trabecole del tessuto cavernoso, facendo si che gli spazi da essi delimitati si allarghino e aumenta la quantità di sangue all'interno del pene. In questo modo il pene aumenta il suo volume e per effetto della pressione al suo interno anche la sua rigidità. Il deficit erettile è caratterizzato dall'incapacità di ottenere o mantenere l'erezione durante il rapporto sessuale. In Italia un uomo su otto soffre di questo disturbo ma la sua incidenza aumenta con l'età. E' un problema che interessa gli uomini già dall'età di venti anni (3-4% ). Sicuramente è un problema che aumenta proporzionalmente con l'età fino ad arrivare ad una percentuale del (40-50% ) dopo l'età di 60 anni. In ogni caso il DE viene vissuto come un tabù, una patologia di cui vergognarsi. Il problema quando si pre-

senta deve essere affrontato perché molto spesso (77% dei casi) rappresenta la spia di importanti patologie, ipertensione, ictus, diabete, infarto del miocardio.Le lesioni neurologiche sono spesso responsabili della disfunzione erettile in quanto interrom-

pono il passaggio di messaggi tra i centri nervosi che controllano l'erezione e il pene. Quando insieme al disturbo si associa il calo del desiderio sessuale potrebbe essersi verificato la riduzione dei livelli di testosterone e l'aumento della prolattina per cui si consiglia di verificare il dosaggio di entrambi gli ormoni. Nemi-

ci indiretti ma sempre importanti sono il fumo,alcolici,droghe, obesità, sedentarietà, e colesterolo alto. Quando si ipotizza una causa organica è necessario lo studio funzionale della vascolarizzazione del pene mediante l'ecocolordoppler, dopo puntura intracavernosa di prostaglandine. Nei casi dubbi, tra deficit organico o psichico, si ricorre al Rigiscan, strumento in grado di registrare la frequenza e la qualità delle erezioni durante il sonno, a domicilio del paziente, per tre notti consecutive. La presenza di erezioni di buona qualità esclude la causa organica. In questi casi e nei casi di modesta e media gravità, vengono consigliate le pillole dell'amore (Tadalafil, vardenafil, sildenafil). Nonostante l'efficacia dei farmaci supera il 75% non tutti i pazienti si recano dal medico. Oggi anche l'impotenza sessuale più difficile può essere risolta con l'impianto di protesi. Da un po’ di tempo è disponibile la protesi idraulica (AMS700LGX), impiantata dentro i corpi cavernosi consente l'espansione del pene sia in larghezza che in lunghezza con elevata soddisfazione della coppia. Purtroppo il costo non è modesto, all'incirca 10.000 euro più il costo dell'intervento, un lusso che non tutti si possono permettere.

Uso responsabile degli antibiotici SALVATORE MACRÌ

L'uso degli agenti antimicrobici ha contribuito ampiamente a migliorare la salute. Da decenni per il trattamento delle malattie trasmissibili si fa ricorso agli"agenti antimicrobici" Oltre a produrre benefici, il loro impiego ha tuttavia indotto alcune specie di microrganismi dapprima sensibili a questi agenti a sviluppare una resistenza, denominata "resistenza antimicrobica" Il corretto utilizzo degli antibiotici, oltre a prevenire la presenza di residui negli alimenti , a limitare l’insorgenza di germi antibiotico-resistenti che potrebbero in seguito contaminare le derrate alimentari di origine animale è indispensabile per garantire l’efficacia delle terapie. Il veterinario curante deve educare i proprietari degli animali alla corretta gestione degli stessi o del relativo sistema di allevamento al fine di prevenire le malattie comuni. Deve, inoltre, assicurare che gli antibiotici e gli altri farmaci vengano utilizzati solo come prescritto e limitare la somministrazione di antibiotici solo agli animali malati o a rischio concreto di ammalarsi e possibilmente solo dopo aver fatto una diagnosi certa avvalendosi di idonee indagini di laboratorio disponibili. Sui medici veterinari liberi professionisti ricade la responsabilità dell’idonea gestione delle scorte dei farma-

ci in allevamento e della registrazione delle terapie nel registro dei trattamenti per gli animali da reddito. Tutti i veterinari liberi professionisti dovrebbero pertanto avere piena padronanza dei concetti basilari inerenti l’uso responsabile degli antibiotici divulgati dai diversi organismi comunitari e internazionali (EMEA, CODEX, Commissione Europea, WHO, FAO, OIE). Anche i proprietari degli animali, siano essi d’affezione o da reddito, devono essere consapevoli che spesso bastano pochi e semplici accorgimenti finalizzati al miglioramento delle condizioni ambientali, nutrizionali e igienico-sanitarie degli animali assistiti al fine di garantire loro le condizioni fisiche e il benessere necessari allo sviluppo di una solida immunità che li protegga dagli agenti patogeni provenienti dall’ambiente esterno onde ridurre quanto più possibile l’uso degli antibiotici e dei farmaci in genere. Anche nel caso in cui l’impiego di prodotti antimicrobici si renda necessario è importante che chi ha in custodia l’animale sia adeguatamente informato sulla corretta gestione della terapia prescritta dal veterinario curante. I concetti sopra menzionati possono essere schematicamente tradotti nelle seguenti

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Alimentarsi durante l’allattamento del neonato LEONARDO MERCURI

Prima di tutto parliamo del “costo energetico”, una donna che allatta ha bisogno di circa 400/500 kcal in più al giorno questo per la neo mamma, vuol dire fare una piccola aggiunta di calorie, anche perché l’energia richiesta deriva in parte dalle scorte di grasso accumulate durante la gravidanza, è evidente quindi che l’allattamento non fa ingrassare anzi, fa utilizzare le riserve di grasso permettendo alla madre di riacquistare il proprio peso e, se è necessario, dimagrire ulteriormente, è bene però ricordare di rimandare qualsiasi proposito di controllo del peso almeno a dopo 6 settimane dal parto! Un altro punto fondamentale a cui la donna che allatta deve tener conto è “l’equilibrio tra gli alimenti”, in generale è necessario variare l’alimentazione con cibi ricchi di Proteine ad alto valore biologico come uova, latte, carne, pesce, latte, formaggi; Carboidrati Complessi come pane, pasta, riso; Frutta e Verdura di ogni tipo e colore; Olio di Oliva extra vergine da utilizzare a crudo per il condimento dei cibi; Acqua o succhi di frutta senza dolcificanti artificiali e conservanti, spremute e tisane. E’ da sfatare anche la credenza che ”bere latte fa latte” il latte può essere assunto tranquillamente fatta eccezione per le madri con forte familiarità allergenica al lattosio. Lo stesso discorso della familiarità allergenica vale per altri alimenti allergizzanti quali noccioline americane, pesci e crostacei, che a mio

giudizio durante l’allattamento vanno comunque evitati, come devono essere assolutamente vietati il fumo di sigaretta e le bevande alcoliche inclusa anche la birra. Poi ci sono i “cibi SI ed i cibi NO” a cui la nutrice deve prestare attenzione, questo perché l’alimentazione materna condiziona il sapore del latte, per questo la tradizione ha accumulato col tempo una lista di cibi da escludere dalla loro

dieta e altri da consumare limitatamente. In realtà da un punto di vista nutrizionale, non vi sono motivi per essere così drastici, anche perché molti di questi cibi hanno già lasciato traccia nel liquido amniotico che il piccolo ha tranquillamente “assaporato” durante la sua permanenza in utero. Inoltre, non tutti i bambini reagiscono al cambiamento di sapore del latte con un rifiuto. Il consiglio quindi è quello di mangiare tutto con moderazione per verificare le eventuali reazioni del bambino. Ma vediamo insieme quali sono questi alimenti nello specifico. Gli alimenti da evitare sono le carni conservate e gli insaccati, per evitare di assumere conservanti; Mitili e molluschi

perché se provenienti da allevamenti poco controllati possono veicolare i germi di infezioni gastro-intestinali; Pesce spada, alcuni sgombri, tonno fresco e in scatola perché sono potenzialmente inquinati dal mercurio; Vino, birra, superalcolici perché l’alcool diffonde rapidamente al cervello dei lattanti; L’assunzione di cavoli, broccoli e cipolle, che sono alimenti ricchi di zolfo, comporta la produzione di gas eccessivi nell’intestino dei lattanti, lungi dall’essere un problema per la maggior parte, alcuni però potrebbero risentirne in modo marcato; Per l’aglio assunto dalla mamma invece è stato dimostrato che aumenta la frequenza delle suzioni del piccolo al seno, attenzione anche ai peperoni ed asparagi. Gli alimenti che possono essere consumati con moderazione invece sono il caffè (massimo 1o2 tazzine al giorno); coca-cola, the, cioccolato, quest’ultimo è un potente modulatore dell’umore, che può contribuire positivamente alla riuscita di un allattamento, ma va consumato con parsimonia. Nel neonato in cui sono presenti coliche gassose queste possono essere una manifestazione allergica alle proteine del latte vaccino che sono contenute nel latte artificiale o che sono presenti nel latte della madre quando la mamma assume latte o latticini nella dieta; Per questi casi è consigliabile sotto consulto del pediatra prescrivere alla madre che allatta una dieta priva di latte, latticini, uova, oppure nel caso di allattamento artificiale utilizzare latte con poco lattosio o con proteine idrolizzate.

“MEDICINA IN PILLOLE” A CURA DI PARIDE TRAMPETTI

pratiche di carattere generale: prevenire le malattie comuni con sistemi di allevamento adeguati finalizzati a garantire: idonee condizioni igienico sanitarie; alta qualità dei mangimi; protezione dagli agenti atmosferici; attuazione di idonee misure di biosicurezza; utilizzo di vaccini; esami clinici regolari; controllo dei parassiti, collaborare attivamente con il veterinario curante/aziendale per individuare le opzioni terapeutiche migliori; utilizzare gli antibiotici e gli altri farmaci solo come prescritto; stoccare adeguatamente gli antibiotici e gli altri farmaci e eliminare i farmaci scaduti o inutilizzati secondo le indicazioni del foglietto illustrativo/etichette o il parere di un veterinario; utilizzare i farmaci in modo da minimizzare la contaminazione ambientale; registrare i trattamenti (laddove richiesto dalla legge); avvisare tempestivamente il veterinario curante in caso di mancata risposta clinica a un trattamento terapeutico.

Cancro della prostata Il tumore della prostata è il tumore più frequente tra le persone di sesso maschile. Secondo il National Cancer Istitute a un uomo su sei verrà diagnosticata tale neoplasia durante la vita. In Italia il tumore della prostata ha una incidenza del 12% e una sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi del 70%. Un recente studio, pubblicato su “Journal of Clinical Oncology”, sostiene che i malati di cancro della prostata che praticano attività fisica per più di tre ore a settimana hanno il 61% di probabilità in meno di morire di questa neoplasia rispetto a chi, nell'arco dei sette giorni fa esercizio solo per non più di un'ora. Perché questo avvenga non è del tutto chiaro. Una spiegazione potrebbe essere che l'attività fisica aumenta la sensibilità all'insulina, e di conseguenza si avrebbe un'azione sugli altri ormoni correlati alla proliferazione cellulare e alla produzione di nuovi vasi, fenomeni centrali nella crescita dei tumori. Poi l'attività fisica aumenta la risposta immunitaria e diminuisce la concentrazione dei fattori dell'infiammazione.

Il Punto G Il punto G (zona erogena femminile), punto Grafemberg fu così chiamato per ricordare il ginecologo tedesco Ernest Grafemberg, che per primo lo descrisse oltre 50 anni fa, situando lo sulla parente anteriore della vagina a un'altezza di 2.5 cm. Ricercatori del King's College di Londra in un recente passato avevano negato l'esistenza di tale punto. Adesso una ricercatrice francese, Odile Buisson, in seguito a studi ecografiaci, eseguiti durante il rapporto sessuale, avrebbe individuato tale punto sul clitoride, che si modifica durante il rapporto sessuale. Anche ricercatori italiani, di recente, utilizzando scanner a ultrasuoni avrebbero localizzato tale zona anatomica. Epilessia L'improvvisa ricomparsa di crisi anche dopo anni di benessere, in cui era stata addirittura sospesa la terapia antiepilettica, può provocare gravi lesioni o addirittura la morte se il paziente si trova ad esempio alla guida di un'auto. Ma danni gravi si possono avere anche se il paziente si trova in casa e cade a terra battendo contro un mobile o un accessorio del bagno. Dalla di Divisione di

Epilessia Pediatrica del Sourasky Medical Center di Tel Aviv è arrivato un dispositivo simile ad un normale orologio da polso capace di avvertire con un allarme sonoro il paziente dell'arrivo della crisi, inviando contemporaneamente l'allarme anche ad un ricevitore in possesso di un famigliare. Lo studio sull'argomento denominato EPILERT è stato pubblicato sul giornale Journal of Clinical Neurophysiology. Nel quadrante dell'orologio è presente un computer capace di avvertire le vibrazioni trasmesse da speciali sensori del cinturino, che indicano l'imminenza della crisi. Questo avviso da il tempo al paziente di mettersi al sicuro da eventuali danni che la crisi possa determinare. Nello studio su 1692 ore di utilizzo l'apparecchio è stato capace di identificare correttamente il 91% di crisi, con solo 2 falsi negativi e 8 falsi positivi. Altri studi sono in corso anche in Italia. Anche se il prototipo andrà ancora migliorato in sensibilità e riduzione dei falsi allarmi, l'idea apre la strada a una svolta nella vita di questi pazienti che non saranno più soli con la loro malattia.


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Pensieri e Parole

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STORIECONTRO CONTROSTORIE

SIAMANTHA PASSERI

Se nasci qui il primo sogno è quello di scappare. Indipendentemente da chi sei, che fai o come la pensi. L'Umbria è chiusa, buia, un paese ogni quarto d'ora. In mezzo solo le campagne, il grigio, il sudore dei miei nonni contadini, mezzadri come nel Medioevo. Lo stesso Medioevo che sopravvive nel pensiero della gente. Se nasci qui è ovvio il primo sogno è quello di scappare. Almeno fino un po' sopravvivi: due scelte al bivio adolescenziale: ti omologhi, o resisti. Diventi massa o sei pronto a dare guerra. Da grande puoi scoprire la via della vergogna, allora ti spegni e la storia finisce qua. La mia sì. Ma non quella di Giulia. (...)Stavo in un posto dove tutto suonava uguale.Poi c'ho messo l'anima ed è diventato speciale Non lo faccio per la fama ma per dare calore Se sorridi a ste parole tutto sembrerà migliore (...) Mi sono sempre chiesta se sia la musica a far battere il cuore o il cuore che in un certo senso dia il ritmo alla musica. Per giorni ho fissato il soffitto ammuffito della solita camera ripetendomi questa domanda fino allo sfinimento. Che si troverà mai una risposta? Nell'attesa che i cosmici dubbi partoriti da questa mente inutilmente lamentosa si tramutino in certezze, ecco che il giovane Holden e il buon vecchio Salinger sono piovuti nuovamente, come gocce di colore sulle tele di Pollock, nella mia vita. E precisamente sono tornati con questa citazione: “Quelli che mi lasciano proprio senza fiato sono i libri che quando li hai finiti di leggere e tutto quel che segue vorresti che l'autore fosse tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al telefono tutte le volte che ti gira. (capitolo III)”. Io penso che non solo i libri facciano questo effetto, ma pure le note, le canzoni, i testi allucinanti e sognanti di un brano che dura poco più di un sorriso atteso da secoli. Che poi quando tutto questo vortice emozionale ti capita all'improvviso da qualcosa di inaspettato è come se si spalancasse una porta su un'eternità sconosciuta prima. Vibrations. Tenetevi forti lettori se vi dico che chi conosce la ricetta per amalgamare questi ingredienti potrebbe essere la vostra vicina di casa. O una ex compagna di classe. O semplicemente un'amica che non vedete da tanto tempo. O la figlia di amici. O una concittadina prima schifata, odiata e ora magari riconosciuta con ipocrisia. Se vi dico che Giulia, alias Mc Nill, è una delle più

grandi sorprese del rap italiano che vive fuori dai clichè, e proviene nientemeno che dalla nostra odiatissima, apprezzatissima, santissima regione Umbria, siete disposti a crederci? “sono convinta che le cose possano cambiare ma che in Umbria c'è troppa gente che si lamenta ma alla fine si accontenta” I testi di Mc Nill la prima volta che li ascolti sono un sordo pugno alla bocca dello stomaco. Contengono un'alta dose di realtà talmente condensata in poche parole che quasi si riesce a toccare con mano. Impossibile pensare che ogni rima non sia stata sudata, vissuta, sofferta, amata. “Ho trovato nella musica la

mia più grande amante” L'ascolto dell'Ep Rap da Block forzatamente ti lascia qualcosa dentro così come parlare con l' “autrice” di questo lavoro, Giulia. Giulia o Mc Nill non ho trovato differenze, come spesso molti artisti di più ampia fama c'abituano. Essere in un modo per la gente e esserlo in un altro nel privato, perchè si recita una parte, un copione prescritto dalle divinità del mondo moderno, fama e soldi su tutte. In questo modo personale e diretto di vivere la musica e le sue sfumature da parte di Giulia, ho rivisto buona parte di un certo Bukowski, il poeta scrittore che amava dire a proposito dell'arte “ se non ti esce tutto da dentro cosa lo fai a fare?”. “Non sono nessuno per impormi come giusta e/o perfetta però, se riesci a sentire quello che sento quando rimo, quando sono su un palco, se riesci a percepire il mio amore per l'hip hop allora magari mi sostieni” La nostra artista, come anticipato, è umbra doc. Questa è stata la seconda cosa che più mi ha colpito dopo la sua musica. Vi chiederete perchè, e io vi dico che è difficile e facile allo stesso tempo rispondervi. L'Umbria è una terra in cui è complicato crescere, perchè il futuro troppo spesso

affoga nel passato, dove le tradizioni di pensiero unite a ipocriti pregiudizi sopravvivono alle generazioni. Dove ancora fa scandalo avere malattie mentali, problemi di tossicodipendenza, gravidanze senza matrimonio o essere omosessuali. “Parto dalla convinzione che la gente attacca spesso ciò che non conosce(...) Cerco di far capire che non ci si deve fermare alle apparenze, la vita (esattamente come un testo scritto) se analizzata può svelare cose che non si notano nella vita frenetica di tutti i giorni. La musica dal punto di vista personale poi sicuramente è stato un mezzo per resistere alle pressioni di un ambiente sociale che mi ha sempre ritenuta inadatta.” Giulia la sua omosessualità non la nasconde, ma nemmeno te la sbatte in faccia. La vive come è normale che sia. Niente di cui stupirvi direte voi. Se sei umbra sì. Normalmente i ragazzi che vivono qui, quelli che cercano di andare oltre, di aprirsi al mondo di darsi più di qualche squallida qua possibilità, nelle nostre piccole città medievali non hanno vita facile e spesso perdono i sogni per strada o peggio ancora se stessi e nel tempo diventano bigotti e vendicativi più e meglio dei loro avi. Chi ci riesce scappa e non torna più. O torna giusto per le feste, giusto per i saluti, giusto per i titoli di coda. Pochi hanno il coraggio di restare o ritornare e cercare di cambiare le cose. Giulia insieme alla sua musica credo sia una delle poche. “Tra me e questo ambiente non ho mai cercato di mettere delle mura, ma di creare dei veri e propri ponti. Per me tornare in Umbria significa staccare dalla vita frenetica e riabbracciare le persone a cui tengo che sono ancora qui ma è anche brutto vedere che poco e niente è cambiato e che spesso se si erano fatti dei passi avanti poi qualcuno ne ha rifatti 100 indietro è bello vedere che ci sono giovani che seguono il mio esempio ma fa schifo vedere chi ha mollato perché sì "che fico, facciamo i diversi" ma se poi non hai le palle "fare i diversi" pesa” Parole da aggiungere ce ne potrebbero essere a centinaia ma sarebbe solo un esercizio di stile. Piuttosto se vi è nata, con questo articolo, un pò di curiosità vi invito, nient'altro, che ad un ascolto selvaggio di Rap da Block. See ya Non dimenticate di visitare: www.extralad.com (per scaricare l'EP Rap Da Block), www.youtube.com/user/Mc NillOfficial, http://www.facebook.com/pages/McNill/113502078708104

FOLIGNO APRILE 2011

LA VITA NON È UNO SCHERZO PAROLA DI UN EROE DELLA SINISTRA RIVOLUZIONARIA TURCA SILVIA PALLARACCI

Nazim Hikmet è un poeta comunista. Un rivoluzionario che per le sue idee marxiste si è autoesiliato a Mosca e ha condizionato tutta la sua vita. Nasce a Salonicco nel 1902, da una famiglia di artisti, quindi si accosta giovane alla poesia, frequentando scrittori, poeti e circoli letterari. Nel ‘21, attratto dalla grandiosa guerra d’indipendenza promossa da Kemal Atatürk, si reca in Anatolia insieme ai nazionalisti: lo colpisce il personaggio e il suo messaggio di rinnovamento del vecchio sistema ottomano, che tuttavia non si realizzerà. In Anatolia vive tra i contadini, parla con loro, conosce le arsure della steppa, la spaventosa miseria di un'umanità fuori della storia. Questa esperienza segna definitivamente la sua esistenza. Presto infatti si distacca dal partito kemalista che, incapace di risolvere il problema fondamentale della Turchia (la riforma agraria e l'inserimento nello Stato della classe contadina), subisce una rapida involuzione conservatrice. In Anatolia conosce anche un gruppo di operai reduci dalla Germania, che gli descrivono entusiasti le ideologie di Marx. Nel marxismo Hikmet intravede la soluzione dei problemi che lo stato kemalista lascia insoluti. Atatürk intanto, profondamente antirusso e antisovietico, tiene le frontiere con l'URSS sbarrate e non costruisce strade in Anatolia per impedire ogni traffico e scambio tra i due paesi; non sente più il bisogno dell'appoggio del governo di Mosca, che l'aveva sostenuto nella sua lotta per l'indipendenza, e inizia una dura persecuzione contro l'esiguo partito comunista turco. Il suo estremo nazionalismo sfocia in una vera e propria dittatura, nonostante le apparenze di un regime costituzionale. Hikmet, affascinato dalla rivoluzione bolscevica e dalle sue promesse di giustizia sociale, nel ‘22 si iscrive all’Università a Mosca. Qui frequenta Lenin, Majakovskij, Esenin e si appassiona alle avanguardie sovietiche e occidentali. Comincia a scrivere i suoi libri di ideali comunisti, libera la poesia dalle convenzioni letterarie ottomane ed introduce versi liberi ed uno stile colloquiale, con immagini ispirate alla civiltà industriale, alla tecnica e alla scienza: tutto ciò non piace al governo turco. Inizia l’odissea di Hikmet. Nel '28 rientra clandestinamente in Turchia, viene scoperto e arrestato per le idee antinaziste e contro la dittatura turca; da allora fino al '51 resta in patria con continui passaggi dalla clandestinità al carcere. I suoi scritti sono considerati un incitamento alla rivolta e si abbatte la censura su ogni sua opera. I tribunali turchi lo condannano in tutto a 56 anni di prigione, di cui ne sconta 17.

Alla vita. La vita non è uno scherzo. Prendila sul serio Come fa lo scoiattolo, ad esempio, senza aspettarti nulla dal di fuori o nell'al di là. Non avrai altro da fare che vivere. La vita non è uno scherzo. Prendila sul serio Ma sul serio a tal punto Che messo contro un muro, ad esempio, le mani legate, o dentro un laboratorio col camice bianco e grandi occhiali, tu muoia affinché vivano gli uomini di cui non conoscerai la faccia, e morrai sapendo che nulla è più bello, più vero della vita. Prendila sul serio, ma sul serio a tal punto che a settant'anni, ad esempio, pianterai degli ulivi non perché restino ai tuoi figli ma perché non crederai alla morte pur temendola, e la vita sulla bilancia peserà di più. La situazione politica peggiora e la Turchia, pur senza entrare in guerra, appoggia la Germania hitleriana. Le condizioni della prigionia sono ora durissime per Hikmet, con mesi interi di segregazione, soprusi e la minaccia dell'impiccagione sospesa sulla testa; tuttavia Hikmet continua a scrivere e a tentare di far uscire i suoi versi dalla prigione. A volte gli negano anche di scrivere, allora elabora le poesie mentalmente e le fa imparare a memoria a chi lo va a visitare. Nel ‘49 un comitato internazionale composto, fra gli altri, da Picasso, Tzara e Sartre chiede la liberazione di Hikmet. Nel ’50 è rilasciato, abbandona la Turchia e ritorna a vivere a Mosca, ma il governo turco impedisce alla moglie e al figlio di raggiungerlo e lo priva anche della cittadinanza. Muore il 3 giugno ’63 a Mosca, folgorato da un infarto sulla soglia di casa. In occasione del centenario della sua nascita, il governo turco gli restituisce la cittadinanza. L’iniziativa fa seguito a una petizione di oltre mezzo milione di persone. Ho voluto dilungarmi sulla biografia di quest’uomo perché in Hikmet azione e parola sono legate in modo così organico che, per comprendere i suoi scritti, non si può prescindere dalle sue vicende. Hikmet ha vissuto fino all’ultimo, scrivendo, viaggiando, discutendo, amando il mondo, fiducioso nell’avvenire, interessato a creare un legame con ciò

che lo circondava, curioso dell'uomo come prodotto di una società. E poeta, sempre. La cronaca e la politica sono la sua materia poetica ed è personalmente impegnato nelle vicende che descrive: nella biografia individuale si inscrive una biografia universale. In una vita di lotte, di esili, di carceri e di poesie, coagulano le lotte, gli esilii, i carceri e le poesie di ognuno. La poesia diviene "servizio" e la natura profonda della sua ispirazione è proprio questa “coscienza dell'utile”("Credo che la forma sia perfetta quando dà la possibilità di creare il ponte più solido e più comodo tra me e il lettore. Detesto le celle della prigione ma anche quelle dell'arte, dove si sta in pochi o da soli. Sono per la chiarezza senza ombre del sole allo zenit, che non nasconde nulla del bene e del male. Se la poesia regge a questa gran luce, allora è vera poesia"). Nelle ultime opere emerge il pensiero della morte, della separazione dalla vita così immensamente amata. Non si tratta più di una morte epica, di un rischio volontario quale estremo atto di vita, come in carcere e durante la lotta e l'azione. Si tratta di una morte estranea e fatale, che sceglie il suo momento senza chiedere nulla all'interessato, e perciò spiacevole e umiliante (“Non ho paura di morire, ma morire mi secca, è una questione di amor proprio. Non ci si può saziare del mondo. Non ci si può saziare!”)


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Scuola

a cura di Maura Donati

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Sognando un posto di lavoro nella scuola pubblica L’amaro risveglio di una giovane generazione di brillanti precari Se è vero che gli errori del passato prima o poi si scontano nel futuro che attende con pazienza, è altrettanto vero che le errate previsioni di una scuola capace di assorbire con dignità un esercito di ragazzi laureati e pronti a insegnare, si sono scontrate contro il muro di cemento di un presente scolastico che boccheggia senza l’ossigeno e le riforme necessari per vivere. I professori, gli universitari e gli studenti scesi nelle piazze d’Italia per protestare e far conoscere le ragioni di tanto malcontento, sono il risultato di una politica scolastica riduttiva, frettolosa, mediocre, superficiale. Incapace di seguire un iter coerente nel tempo. Una politica scolastica fatta di generici tagli e cambiamenti di rotta improvvisi che non tengono conto delle decisioni prese in precedenza. Quelle stesse decisioni che hanno condizionato, nel bene e nel male, le scelte di vita di migliaia e migliaia di giovani illusi che fossero loro il punto di arrivo delle strategie politiche. Ignari di essere invece la strada calpestata, graffiata e ferita su cui la politica è passata con superficialità per andare oltre. Oggi, tanti giovani trentenni che si sono laureati e hanno frequentato la Ssis nella previsione (fatta dai nostri politici) di ottime speranze di immissioni in ruolo, si ritrovano a casa senza lavoro. O meglio, senza il lavoro di insegnante. La vita va avanti e qualcosa bisogna pur fare: ripetizioni private, servizio al ristorante o al bar, part time nei negozi di abbigliamento o di scarpe. Insomma, ci si arrangia. D’altronde, di questi tempi, soprattutto con una laurea umanistica non ci si possono fare grandi cose oltre all’insegnamento. Intanto, però, l’attesa di essere chiamati per qualche supplenza (dalle scuole o dal provveditorato) si fa sempre più pressante perché gli anni passano in fretta e il desiderio di lavorare cammina di pari passo a quello di avere una famiglia, dei figli e un futuro sereno. E nonostante questo tenero quadretto di “vita normale” possa sembrare passato di moda, tanti giovani e meno giovani continuano a crederci a costo di grandi sacrifici vissuti anche nella consapevolezza che un giorno potrebbe rendersi necessario cambiare percorso di vita per nuove prospettive lavorative e una serenità apparentemente irraggiungibile. A questo proposito, raccontiamo la storia di una giovane donna folignate laureata con il massimo dei voti, legata affettivamente all’uomo della sua vita con cui ha costruito una famiglia, impegnata a livello sociale e politico e tenace nel perseguire il proprio sogno di insegnante ma, consapevole delle difficoltà, pronta a rimettersi in gioco se necessario. Lei ha 32 anni e si chiama Gioietta Volpi. Dopo aver fatto il liceo linguistico ha conseguito il diploma di laurea in lettere con una tesi di ricerca sperimentale in antro-pologia: un

traguardo ampiamente meritato dopo un anno di studi e ricerca a Rio de Janeiro in Brasile sugli emigrati umbri che vivono in questa nota realtà di vita al di là dell’oceano. Il primo scoglio made in Italy è arrivato quando si è resa conto di non poter intraprendere la carriera di ricercatrice se non a rischio di fare quella stessa vita da precaria squattrinata che appartiene a tante giovani brillanti menti del nostro paese. Sarebbe potuta andare all’estero a sperimentare questa passione ma gli affetti l’hanno trattenuta nella sua terra. La scelta è stata dura ma quasi obbligata. Da questo momento in poi è trascorso un anno durante il quale ha cercato lavoro senza risultato. Così, spinta e motivata da tante belle speranze (viste le previsioni ministeriali favorevoli circa le immissioni in ruolo), si è messa a studiare un’estate intera per superare il concorso della Ssis, la scuola di specializzazione per l’insegnamento. Apparentemente, l’ultimo ostacolo prima della professione. “La sera lavoravo al ristorante, di giorno studiavo – ci ha raccontato – con tanto impegno e passione ho superato il concorso e ho iniziato i

miei due anni di Ssis: frequenza obbligatoria, tante materie da studiare e molti soldi da spendere per le tasse nonostante si tratti a tutti gli effetti di un tirocinio che, ad esempio, a medicina viene addirittura pagato. Partendo dal presupposto (non trascurabile) che per accedere a questa scuola di specializzazione è condizione fondamentale dimostrare di aver dato determinati esami universitari e di aver conseguito una determinata laurea (se non a rischio di non poter neanche iniziare la Ssis), va detto che in base a questi presupposti si possono ottenere delle abilitazioni all’insegnamento piuttosto che altre”. Gioietta ha tre abilitazioni: lei può insegnare alle scuole medie e agli istituti superiori ma è anche insegnante di sostegno. Come professoressa di lettere può insegnare italiano, storia, geografia, educazione civica. Ma torniamo ai fatti: Gioietta ha concluso la Ssis e per lei si apre un anno indimenticabile, l’ultimo respiro prima dei “tagli” della riforma Gelmini. “Era l’anno scolastico 2007/ 2008 e si respirava ancora nell’aria la possibilità reale di essere chiamati dalle scuole o dal provveditorato per fare

supplenze che, poi, dopo tre o quattro anni avrebbero portato con tranquillità all’assunzione – ha precisato Gioietta – era bella questa percezione di un futuro possibile. Infatti, sono stata subito chiamata per supplenze alle scuole di Campello e Sellano. Sono state esperienze magnifiche. Mi alzavo prestissimo e lavoravo con grande impegno ma avevo un entusiasmo incredibile perché vedevo realizzarsi ciò per cui avevo studiato tanto. Le classi erano costituite da 14/15 ragazzi, di conseguenza era possibile gestire e seguire tutti allo stesso modo. Si poteva spiegare, approfondire, ripassare, interrogare più volte e si aveva la netta sensazione che i ragazzi si sentissero coinvolti e partecipi. L’insegnate vedeva realmente i progressi. Poteva fare bene il suo mestiere e gli studenti imparavano veramente”. Ma il sogno è durato poco. L’amaro risveglio è arrivato con la riforma Gelmini che ha ridotto le ore di insegnamento e aumentato il numero di alunni per classe. Ha inferto un duro colpo alla scuola pubblica prevedendo tagli al corpo docenti, al personale tecnico amministrativo, ai corsi serali, agli inseg-

nanti di sostegno, al materiale didattico, ai plessi scolastici e alle classi di concorso. “Prima della riforma Gelmini, alle medie chiamavano tranquillamente chi era in terza fascia (cioè nella graduatoria di coloro che possono insegnare pur non avendo fatto la Ssis; queste persone devono comunque avere quegli stessi requisiti che servono per essere ammessi alla Ssis, poi possono essere chiamati dalle scuole). Oggi, dopo la riforma, non arrivano neanche a chiamare chi è abilitato in prima fascia come me – ci ha detto Gioietta - mi trovo in un’ottima posizione in graduatoria eppure ho di fronte a me tanta gente che non lavora nonostante fino all’anno prima della riforma veniva chiamata puntualmente dal provveditorato. Riflettendo su questa situazione mi viene da pensare che, nonostante tutto, io ho un’età in cui posso ancora cavarmela e ricominciare se necessario. Purtroppo, a vivere questa mia stessa situazione ci sono persone di 40 o 50 anni con famiglia e tante responsabilità sulle spalle. Per loro è veramente drammatico. Ma il dispiacere più grande è per i giovani che, senza una scuola

9 e 19 aprile, LIBERI TUTTI verso lo sciopero generale Tratto dal sito internet www.unionedeglistudenti.net Non c’è momento in questo Paese in cui i poteri forti non perdano occasione per costruire un modello di società fondato su sfruttamento, repressione, cancellazione dei diritti e precarietà. I tagli al diritto allo studio e all’edilizia scolastica hanno la stessa origine dei processi di privatizzazione dei saperi e dei beni comuni. Ci mobilitiamo per pretendere autonomia e libertà di scelta dei nostri percorsi di vita, liberi dal fa-

milismo e dal precariato a cui ci vogliono legare. Il 9 Aprile continua il nostro percorso di lotta per affermare che il nostro tempo è adesso, che ci riprendiamo il presente per costruire un futuro senza precarietà. Il 19 aprile abbiamo intenzione di moltiplicare ed estendere il percorso che dal 9 Aprile arriverà allo sciopero generale del 6 Maggio. La lotta contro la precarietà passa dai percorsi di lotta e di proposte che come studenti porteremo nelle città per costruire dal basso a partire dalle scuole un nuovo model-

lo di società. Costruiremo quindi una giornata di azioni e mobilitazioni sul tema del welfare, della precarietà e dell'accesso ai saperi e alla cultura. Vogliamo la possibilità di costruire il nostro futuro, partendo dal nostro presente.Il 9 e il 19 aprile grideremo LIBERI TUTTI anche per quei popoli del Mediterraneo che si stanno ribellando ai regimi; per affermare che libertà, democrazia, giustizia e diritti umani sono diritti inalienabili; per ribadi-

re anche il nostro no alla guerra di chi specula sulla libertà dei popoli per ottenere interessi geopolitici.

adeguata, rischiano di compromettere il proprio futuro e quello della nazione”. Le scuole non hanno soldi, il numero di alunni per classe è aumentato incredibilmente e l’insegnamento si è trasformato in una corsa contro il tempo dove la qualità dell’apprendimento risulta essere la prima grande sconfitta. “E noi che abbiamo fatto tanta strada e tanti sacrifici per poter insegnare, siamo fermi, bloccati, congelati in graduatorie infinite – ha precisato Gioietta – stiamo a casa nell’attesa di essere chiamati ma è tutto immobile. Quando ho finito la Ssis ho scelto la provincia in cui inserirmi in prima fascia in maniera definitiva con graduatoria a esaurimento: la scelta è ricaduta su Perugia ma la situazione è bloccata. Inoltre, ho avuto la possibilità di inserirmi nelle graduatorie di altre tre province, ma solo “in coda” nonostante il mio punteggio risultasse più alto di altri davanti a me. A tal proposito, alcuni miei colleghi hanno fatto ricorso vincendolo. Io non l’ho fatto, forse ho sbagliato”. In ogni caso le attuali vicende politico-giudiziarie hanno dato ragione ai prof contro l’inserimento in coda: la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima questa “soluzione”. Il Governo era riuscito ad aggirare la sentenza imponendo il congelamento delle graduatorie per due anni fino al 31 dicembre 2012 ma sembrerebbe che le graduatorie possano essere riaperte a maggio. Ritorna così un barlume di speranza anche se “ancora non si sa come risolveranno il problema del ‘pettine’ nelle diverse provincie”. Tra l’altro, neanche la “riforma salva precari” del 2010 ha aiutato Gioietta e altri precari come lei a essere chiamati a insegnare per supplenze brevi o progetti regionali: si tratta di una graduatoria prioritaria per coloro che l’anno precedente hanno lavorato 180 giorni anche non continuativi nello stesso istituto scolastico. “Io non ci sono rientrata per tre giorni perché ho lavorato 177 giorni in un istituto e circa 60 in un altro – ha sottolineato Gioietta – a dire il vero, la scuola in cui ho lavorato per 177 giorni mi aveva chiesto di rimanere ma io avevo già dato la mia disponibilità all’altra. Se solo la notizia fosse stata data in tempo per poter raggiungere le ore previste invece di essere strutturata come retroattiva, oggi avrei finalmente una porta aperta davanti a me. Invece no. Ho fatto ricorso ma sono ancora qui ad aspettare. Non so quando finirà quest’odissea e se finirà. So soltanto che da parte mia come anche di tanti altri colleghi c’è la volontà di andare avanti ma dobbiamo anche guardare al nostro futuro con i piedi per terra. La necessità di fare una riforma scolastica c’era, ma non in questo modo.Non avvilendo la scuola pubblica, coloro che da sempre lottano per renderla migliore e i giovani che sono il futuro del paese”.


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Corrispondenze, Sport e Cucina

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FALOCI PULIGNANI - INVITO ALLA DISCUSSIONE

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Riceviamo un articolo sulla figura storica, politica e culturale di Foloci Pulignani inviatoci da don Sergio Andreali redattore della Gazzetta di Foligno. Riteniamo corretto ricambiare l’attenzione che don Andreoli ha riservato più volte al nostro giornale sulle pagine della Gazzetta e quindi pubblichiamo, per necessari stralci, il lungo articolo ricevuto, invitando anche per parte nostra i lettori di questo giornale a voler esprimere i propri giudizi in merito. Precisiamo che, ovviamente, questo giornale non condivide il tentativo di rivalutazione della figura del sacerdote fascista, facendo proprie le valutazioni del giornale richiamato da don Andreoli.

PAOLO AZZARELLI

Restano da disputare solamente 120 minuti per terminare la stagione regolare e il campionato di calcio a 7 UISP deve ancora emettere molti dei suoi verdetti. Ed è la logica e unica possibile conclusione per un torneo che, fin dalle prime battute, ha palesato un equilibrio estremo, come nella migliore tradizione. Naturalmente la nostra disamina è rivolta alla fase successiva del campionato, quella dei playoff, senz’altro più avvincente ed elettrizzante poiché non concede prove d’appello. E proprio in questa fase finale le squadre stanno cercando di ottenere le migliori posizioni nella graduatoria nell'intento di facilitare il proprio cammino nella fase a eliminazione diretta. Dobbiamo ricordare, a tal proposito, che per il particolare regolamento dei playoff, in caso di parità al termine di una partita, accederà al turno successivo la squadra meglio classificata al termine della stagione regolare. Inoltre, poiché accedono alla fase dei play-off le prime dodici classificate, le squadre che occupano le prime quattro piazze della graduatoria verranno esentate dal primo turno di gare,qualificandosi direttamente per i quarti di finale. Le compagini comprese tra il quinto e il dodicesimo posto disputeranno gli ottavi di finale. E anche se i play-off spesso riescono nell'impresa di rimettere in discussione un intero campionato con una serie di risultati a sorpresa, d'altra parte risulta evidente che poter scendere in campo con il vantaggio di poter giocare per due risultati-vittoria o pari, è un vantaggio considerevole. Esaminando la situazione più da vicino, in vetta sembra delinearsi il quartetto delle squadre che accederanno direttamente ai quarti di finale: Asso Computer, Beautyglobal, Ba-

FOLIGNO

DON

caro sembrano già al sicuro, mentre per la quarta pretendente dovremo attendere il risultato del recupero MB System - Old Stars, con il Silvy's United spettatore interessato: per la MB System un risultato positivo rappresenterebbe la matematica certezza della quarta piazza, mentre una vittoria rilancerebbe addirittura le ambizioni di un ritorno al primato. Per l'Old Stars l'opportunità di salire ancora in graduatoria e riavvicinare sensibilmente Cecconi Impianti che deve ancora osservare un turno di riposo. Per la vetta assoluta, favorita rimane Asso Computer, in virtù anche di un calendario tutt'altro che proibitivo nelle ultime due uscite. Rischia di uscire dal "poker" della vetta il Silvy's United, uscito sconfitto nell'incontro di cartello con Asso Computer, in un match dominato da tensione e nervosismo. Solo una inopinata sconfitta di MB System potrebbe rimettere in gioco i nerocelesti per le posizioni di vertice assoluto. In ogni caso, c'è la quasi totale certezza di poter confermare lo stesso piazzamento della scorsa stagione, quinto posto che fruttò la finale, sarà sufficiente battere Porco Alegre o Planet Café, due squadre che ormai non sembrano più avere niente da chiedere al campionato. Nelle immediate posizioni di rincalzo, Forno Nocera Umbra, Old Stars, Mojito F.C., Nuova Stella Rossa sono ormai matema-

ticamente certe di accedere alla seconda fase del torneo. Restano da attribuire gli ultimi due posti disponibili e le squadre in lizza sono 4: Gus Team, che è in vantaggio di punti e sembra anche essere il complesso meglio attrezzata, Bar Polly, compagine che sembra non riuscire ad uscire da un periodo di profonda crisi dopo essere giunta ai margini delle zone nobili della graduatoria, mentre qualche spicciolo di speranza rimane anche per Spartak Foligno e Arci Bahia, anche se il calendario non sembra essere particolarmente benevolo per queste ultime due compagini. Dobbiamo ancora ricordare che le squadre che si classificheranno dalla tredicesima all'ultima piazza disputeranno i play-out, un torneo di consolazione che nella scorsa stagione ha premiato il Porco Alegre. A proposito di campioni uscenti, va segnalato il malinconico ritiro dal torneo della squadra vincitrice del campionato 2009-10, Pizzeria Pietrarossa, ex D.L.F., che non solo non difenderà il titolo conquistato la scorsa stagione, ma non parteciperà nemmeno ai play-out. A questo punto non resta che attendere emozioni e sorprese che certamente le ultime due gare sapranno riservarci. CLASSIFICA ASSO COMP.–MASSAGGIO BEAUTYGLOBAL BACARO PARRUCCHIERI SILVY'S UNITED M.B. SYSTEM CECCONI IMPIANTI FORNO NOCERA UMBRA OLD STARS MOJITO F.C. NUOVA STELLA ROSSA GUS TEAM BAR POLLY SPARTAK FOLIGNO ARCI BAHIA SAN MAGNO CAFFE' PORCO ALEGRE QUINTANELLA SCAFALI BORRONI PLANET CAFFE' EQUILIBRI ESTETICA A.D SERVICE ECOSUNTEK GUALDO T. PIZZERIA PIETRAROSSA

42 42 42 40 39 39 37 35 34 32 29 28 26 26 21 21 17 14 12 10 3 0 0

SERGIO ANDREOLI

Il folignate monsignor Michele Faloci Pulignani (nato il 9 luglio 1856 e morto il 1 ottobre 1940), Priore del Capitolo della Cattedrale di San Feliciano, Professore nel Seminario Diocesano, Cancelliere della Curia Vescovile e per molti anni Vicario Generale della Diocesi di Foligno - fu anche Vicario Capitolare dal 22 dicembre 1894 al 18 marzo 1895 -, è noto a chiunque abbia anche una sola volta prestato interesse alla storia - a quella francescana e angelana, in particolare -, e tuttavia viene poco celebrato. Che pesi su di lui il fatto di aver operato per il bene della Chiesa e della sua città in un’epoca, che politicamente non suscita più simpatia? Sarebbe, questa, una forma di preconcetto pericoloso, che potrebbe generare ostracismi fuori della storia. La serenità dei giudizi è attualmente favorita da quanto in Italia è avvenuto in questi ultimi anni e la capacità di distinguere, e quindi di riconoscere i meriti delle persone in campo culturale e i limiti in quello politico, dovrebbe caratterizzare il dialogo culturale. E i meriti di monsignor Faloci Pulignani non sono pochi. Basterebbe scorrere l’elenco della sua produzione letteraria, per convincersi che non è stato un qualsiasi erudito. Fu, infatti, uno studioso molto attento ai documenti e alla

fonti, per ricostruire le vicende delle istituzioni cittadine e non solo. In questa sede voglio ricordare che nel 1932 favorì la trascrizione, la pubblicazione e la traduzione di un manoscritto riguardante la beata Angela da Foligno (4 gennaio1309), conservato nella Biblioteca Statale del Monumento Nazionale di S. Scolastica, di Subiaco. Solo questa sua iniziativa sarebbe sufficiente per collocarlo tra i benemeriti della cultura. Ma tante altre sono state quelle che egli ha portato a compimento e che lo rendono meritevole di attenzione maggiore e di pubbliche celebrazioni [...] Poiché, però, a Foligno, fu anche Assessore alla Cultura e di Direttore della Biblioteca Comunale, - pochi anni fa è stata intitolata a Dante Alighieri -, auspicherei qualche iniziativa da parte dell’Amministrazione Comunale, per riportare l’attenzione dei folignati su uno dei suoi figli più illustri [...] Per questo sarà preziosissimo l’appuntamento dell’8-9aprile, quando si terrà il convegno promosso dalla Gazzetta di Foligno, fondata dal Faloci Pulignani nel 1888 [...] Sorprendente quanto di monsignor Michele Faloci Pulignani è stato scritto dal mensile micropolis-segnocritico.it, all’inizio di marzo di quest’anno; le riporto di seguito: “Revisionismo clericale. Siamo alle solite, il passato torna ad essere un terreno di battaglia. Ricorre quest’anno il 70° anni-

versario della morte di mons. Michele Faloci Pulignani, un colto quanto reazionario prete folignate, che in vita fu feroce oppositore di ogni forma di modernità, sanfedista e temporalista, contrario ad ogni anelito di cambiamento all’interno della Chiesa [..] Fatto sta che Faloci aderì al fascismo, fu consigliere e assessore della giunta che governò la città dal 1923 al 1927, combatté i preti popolari che riteneva pericolosi seguaci del ‘modernismo’ ed usurpatori del “suo” giornale la “Gazzetta”, che aveva diretto per lunghi anni [...] Un suo estimatore, don Dante Cesarini, ha sostenuto che fu fascista per “civilizzare” i fascisti, per reazione all’anticlericalismo e alla violenza massonica e socialista e per amore della sua città. A noi sembra che la sua adesione al fascismo altro non sia stata che la logica conclusione della sua coerente ideologia reazionaria. Fabio Bettoni, opponendosi alla titolazione della Sala di lettura a Faloci, ha ricordato che già ci sono sui muri della città e di palazzo Trinci cinque epigrafi dedicate al monsignore e che a lui è titolata una piazza centrale, mentre sulla sua attività sono stati scritti ben sette volumi. Anche a noi ci pare possa bastare”. Mi chiedo: L’estensore della nota conosce veramente la vita e le opere di monsignor Faloci Pulignani? Invito i lettori a intervenire nella discussione, scrivendo a questo indirizzo: donsergioa@gmail.com.

INVITO AI LETTORI Piazza del Grano giunge al 17° numero registrando un gradimento da parte dei lettori (che deduciamo dall’esaurimento i pochi giorni delle 3.000 copie distribuite in oltre 60 punti della nostra Città) che ci fa piacere e onore. Ciononostante ci sentiamo ancora insoddisfatti. Il progetto di questo giornale, infatti, non consiste solo nella diffusione di informazioni ed elementi di conoscenza fortemente carenti nei “media” governativi e padronali; bensì soprattutto nel mettere a disposizione di tutti i citadini, e per primi dei lavoratori, degli studenti, dei tutti gli esclusi dall’accesso attivo ai mezzi di comunicazione, uno strumento di espressione, di scambio e di confronto delle proprie opinioni, aspettative e legittime pretese, per condividerle e farne patrimonio comune con tutti coloro che vivono le stesse condizioni di esclusione. Ogni mese riceviamo nuovi contributi e offerte di partecipazione (che ci fanno piacere e alle quali diamo sempre spazio), ma assai poco riscontro riceviamo da coloro ai quali è anzitutto dedicato questo giornale comunista. Insistiamo e ripetiamo l’invito ai lavoratori, ai giovani, ai disoccupati, ai pensionati a farsi avanti, a “prendere in mano” questo giornale, a farne un loro strumento di comunicazione. Non preoccupatevi della “forma”, se necessario la redazione Vi aiuterà a migliorarla. Se non siete pratici di internet, Vi indichiamo un indirizzo postale al quale inviare liebramente i Vostri contributi: Piazza del Grano c/o Sandro Ridolfi, via Cairoli 30, Foligno. Scriveteci, Vi aspettiamo.

RICETTE DEL MESE: SPUMA DI YOGURT E ZEPPOLE DI CARNEVALE Redazione: Via della Piazza del Grano 11 06034 Foligno (PG) tel. 0742510520 Mail: redazionepiazzadelgrano@alice.it Autorizzazione tribunale di Perugia n° 29/2009 Editore: Sandro Ridolfi Direttore Editoriale: Sandro Ridolfi Direttore Responsabile: Giorgio Aurizi Direttore Sito Internet: Andrea Tofi Stampa: Del Gallo Editori, loc. S. Chiodo, Spoleto Chiuso in redazione il 27/3/2011 Tiratura: 3.000 copie Periodico dell’Associazione “Luciana Fittaioli”

ANTONIETTA STADERINI

Spuma di yogurt con frutti di bosco Ingredienti per 6 persone: gr 400 yogurt bianco intero, gr 500 panna liquida fresca, zucchero a velo gr 50, frutti di bosco (possono essere utilizzati anche i surgelati) gr 400, gr 50 zucchero, un mazzetto di menta. Procedimento: montare l a panna aggiungendo a pioggia lo zucchero a velo sino a che non sia ben ferma, lasciarla riposare in frigo.

Mettere lo yogurt in un contenitore e lavorare bene con un cucchiaio, aggiungere poi la panna zuccherata, molto delicatamente perché non deve smontarsi, lasciare il composto ottenuto i frigorifero. In una piccola casseruola cuocere i frutti di bosco con lo zucchero e, se necessario, un cucchiaio di acqua, il tempo necessario che si ammorbidiscano e formino uno sciroppo. Questo dessert va servito in coppe mettendo alla base frutti di bosco e sciroppo e poi la spuma di yogurt e infine una fogliolina di menta.

Zeppole di carnevale Ingredienti per 8 persone: farina gr 300, burro o margarina per pasticceria gr 200, acqua mezzo litro, uova 8/9, un pizzico di sale,olio di semi di

mais l 1, zucchero gr 200. Procedimento: a fiamma bassa In una casseruola sciogliere il burro nell’acqua con il pizzico di sale, aggiungere poi la farina e mescolare velocemente fino a ottenere un composto omogeneo che facilmente si stacca dalle pareti della casseruola; togliere dalla fiamma e far raffreddare il composto, aggiungere poi le uova, una alla volta, sempre mescolando in modo che si amalgamino bene al composto. In una casseruola a bordi medi far scaldare l’olio e in esso friggere il composto in piccoli quantitativi

(circa mezzo cucchiaio di impasto da far scivolare nell’olio bollente dando una forma arrotondata). Scolare bene dall’olio le zeppole appoggiandole su di un foglio di carta assorbente e poi, utilizzando un sacco da pasticcere, riempirle con crema pasticcera, crema al cioccolato, ricotta lavorata con zucchero e scaglie di cioccolato, o qualsiasi altra crema si voglia, infine farle rotolare sullo zucchero semolato in modo che i granellini rimangano attaccati a questi dolcetti famosi nel periodo di carnevale ma ottimi da servire sempre.


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Spettacoli ed Eventi

a cura di Piter Foglietta

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Pasqua, Pesah, Paque, Easter, Pacua, è un momento di rinascita per il Mediterraneo? L'antica Pesah, festa ebraica del passaggio celebrata il 15 di Nisan, strettamente vicina all'Equinozio di Primavera, col Cristianesimo si trasforma nella celebrazione della resurrezione di Gesù, celebrata dal IV secolo nella domenica successiva al 15 Nisan e, costituisce l'elemento chiave della teologia cristiana. Ma la figura di un dio che muore e risorge per salvare il mondo non è certamente un elemento nuovo nella mitologia mediterranea: possiamo citare, ad esempio, non solo l'Osiride egizio, ma anche la figura di Attis, divinità dell'Asia Minore che nel mondo greco-romano veniva celebrato in connessione con Cibele. La morte e resurrezione di Attis, generato da una vergine che lo aveva concepito poggiando sul suo seno una mandorla (e non a caso ritroviamo la mandorla nella simbologia cristica dell'antico Cristianesimo), venivano celebrate con feste primaverili con digiuni rituali e processioni che, assieme alle fiaccolate e al rito della flagellazione, ritornano nelle celebrazioni cristiane del Giovedì e Venerdì Santo. Il 22 marzo avveniva la celebrazione dell'«Albero Sacro», simboleggiante il dio morto sotto un

pino, con il suo trasporto nel tempio di Cibele da parte di tre portatori che avvolgevano il corpo come se si trattasse di un cadavere. Sulle bende, erano posate ghirlande di viole (sbocciate dal suo sangue), mentre sul tronco veniva fissata la sua immagine che, poi, finiva sepolta per simboleggiarne la morte. Il 25 marzo, data fatta coincidere coll'equinozio di primavera, si celebrava la sua resurrezione. Riti analoghi, in fondo, a quelli del culto di Adone, i cui «giardini» (frumento, miglio e lenticchie seminati e tenute al buio sino al loro germogliare) venivano posti sulle tombe a ricordo della sua resurrezione, influenzando, secoli dopo, i riti pasquali di molte regioni europee.Benché nella teologia cristiana la resurrezione di Gesù sia ovviamente vista come un fatto storico, irreversibile e irripetibile, è innegabile come la Chiesa sia riuscita a innestare il seme della nuova fede sull'antico ceppo del paganesimo. Negli stessi simboli quotidiani della Pasqua, del resto, ritroviamo antiche credenze. A cominciare dall'uso nordico del «coniglietto pasquale» (Easter Buny), miti e simboli pagani persistono ancor oggi:

l'animale più fertile in assoluto, legato al simbolismo lunare della ciclicità e della trasformazione, figura non a caso dell'Osiride egiziano, diviene ben presto il simbolo del rinnovamento della vita e della primavera. Ecco, allora, che la Germania lo eleggerà a simbolo pasquale sin dal XV secolo e, dai primi dell'800, se ne faranno dolci e biscotti: gli emigranti tedeschi e olandesi lo porteranno poi in America e da lì nascerà la tradizione di un coniglietto che, guarda caso, porta un cesto di uova colorate ai bambini. Emblematica, infatti, la comparsa dell'uovo di Pasqua: l'uovo, simbolo antico dell'origine della vita, è da sempre associato alla primavera ed alla rinascita. Legato al simbolismo del rinnovamento periodico della natura, l'uovo rappresenta la ri-nascita ripetuta secondo il modello cosmico e in questo senso lo troviamo, sotto forma di uova di argilla, nelle antiche sepolture della Russia e della Svezia e, più vicino a noi, nell'antico scambio di uova dipinte nelle feste propiziatorie della fertilità, uso che risale agli Egiziani ed ai Persiani. L'Uovo Cosmico delle antiche tradizioni, fosse l'uovo di serpente celtico, l'uovo sputato

Teatro

produzione di testi: da un'idea d'ispirazione originale, può verificarsi un repentino cambiamento non portandola a termine e sostituendola con una migliore. Nelle sue opere la musica è presente, è un aspetto pregnante che non deve mai mancare, in un tempo stabilito, dove la durata di uno spettacolo si deve aggirare intorno ai sessanta minuti, minutaggio ideale per non lasciar far pensare lo spettatore e coinvolgerlo a pieno, in un contesto di una strutturazione ben specifica. “Io non scrivo esclusivamente per gli attori della mia compagnia, a volte ne cerco altri che non ne fanno parte”ha sottolineato Lasley “nel momento di recitare ciò che ho scritto cercando di farmi coinvolgere il meno possibile.”Si è proceduto conseguentemente ad analizzare “The Infant” libro ispirato a un periodo attuale dove i media manipolando alcuni termini generano pericoli di ogni genere, tra cui minacce di atti di terrorismo. Ed estremizzare il tutto mettendo in dubbio il buon senso delle persone è la strada guida utilizzata nello scrivere il testo, usando la fi-

toinvalidanti. Nella nostra tradizione popolare i Cantapassione girovagavano di casolare in casolare per le nostre campagne durante i giorni festivi e prefestivi del periodo quaresimale. Il ricordo del martirio e della morte di Gesù affonda le sue radici nella

tradizione delle Laudi medioevali non più in forma teatrale sulle piazze, ma di aia in aia in forma quasi privata. La tradizione dei canti di questua rappresentava un rito e un forte coinvolgimento emotivo, unendo la fede e la cultura popolare, alla letteratura.

La Scrittura e l'Immagine

THE INFANT dal 7 al 16 aprile,– TEATRO SAN CARLO Trend - ZoeTeatro -Teatro Stabile dell’Umbria di Oliver Lansley, traduzione Serenella Martufi, con Michele Bandini, Emiliano Pergolari, Francesco Ferri, Marianna Masciolini, diretto da Michele Bandini, Emiliano Pergolati Lo stato è in pericolo: nemici della patria meditano in segreto grandi rivoluzioni. Una coppia viene presa in ostaggio da due sinistre figure che incarnano il potere costituito, l’ordine sociale. Chi è stato a fare il disegno? Cosa c’è in questo disegno? In nome del controllo, della “prevenzione”, viene dato il via alla caccia alle streghe, inizia l’attività frenetica, maniacale di chi entra senza ritegno nelle vite private, nelle nostre case, cercando un segno, una condotta, che possa essere interpretata come prova di appartenenza al cosiddetto e presunto male. Partendo dal testo visionario, feroce e grottesco di Oliver Lansley “The Infant”, ci siamo ritrovati dentro il teatrino degli inquisitori, il luogo del processo sommario, dell’inquisizione preventiva, della dittatura del pensiero, che ci fa venire in mente Beckett, Kafka, Orwell, autori che proprio grazie alla visione e al paradosso indagano lucidamente la nostra realtà. “The Infant” di Oliver Lansley è l'opera che ha successivamente ispirato gli Zoe Teatro, nella loro ultima produzione. Presenti il professore Lorenzo Mango che ha presieduto l'incontro, l'autore del testo Oliver Lasley, Michele Bandini e Emiliano Pergolari della compagnia sopracitata. Lo scrittore, regista e attore inglese, dopo le rituali presentazioni, ha inizialmente spiegato il suo metodo di lavoro base nella

dallo «Kneph» egiziano o dal drago cinese, rappresenta la realtà primordiale che contiene ingerme tutti gli esseri e tutte le possibilità: ecco perché dall'Uovo può uscire, spesso, l'Uomo Primordiale. E se il re Luigi VII di Francia lancerà l'uso di regalare uova colorate ai propri sudditti, Il Re Sole, amante del lusso sfrenato, avrà l'idea di rivestirle con uno degli alimenti più costosi: il cioccolato.Nella nostra Valle è periodo di purificazionie processioni, rituali che affondano nella notte dei tempi e che simboleggiano il risveglio della natura lungo la traiettoria nascita-rinascita cosmica, che l’uovo benedetto delle nostre colazioni di Pasqua ben rappresenta. Questo periodo, la primavera è ormai alle porte, è tempo di divinazioni, come le inchinate di Cannara e Bastia, dai sincronismi delle quali dipende l’esito della stagione agricola fino alle processioni del Venerdì Santo, che trova precedenti nelle processioni in onore di Attis e Cibele, con pratiche flagellanti e au-

gura del clown, in un contesto grottesco. La sfida è quella di non ripetersi, di utilizzare linguaggi differenti da quelli precedenti, essendo anche attore protagonista di ciò che redige, con Beckett come modello da seguire. Michele Bandini e Emiliano Pergolari hanno deciso di sposare “The Infant” producendo Zoe Teatro, vari i motivi che hanno spinto i due autori a seguirne le orme: tematiche attuali avvertite anche in Italia che mette il dito nella piaga nella società attuale, modalità di scrittura con una forte componente grottesca ,elemento musicale presente di grande rilevanza. Nello spettacolo non ci sono cambiamenti significativi rispetto al testo, solo piccole battute modificate, inoltre ci sono riferimenti a coloro che nelle società odierne vengono definiti “diversi”, che sono ai margini e quindi “insetti da schiacciare”.

Il primo libro stampato in Italia, che fornisca almeno indicazioni sull’epoca e luogo di origine, è l’Opera del Lattanzio. Fu stampato il 29 ottobre 1465 nel Monastero di Santa Scolastica di Subiaco, dove i due tedeschi Konrad Sweynheim e Arnold Pannartz avevano fondato, l’anno precedente, un’officina tipografica. Un cenno storico senza dubbio di rilievo perché da quel 1465 è nata la tradizione tipografica che ancora oggi va avanti imperscrutabile.Foligno dal canto suo rappresenta un viatico letterario di alto livello in quanto nel lontano 11 aprile 1472 venne data alle stampe, per la prima volta in Italia e nel mondo, la “Comedia di Dante Alighieri da Firenze”. Il clima umanistico sviluppatosi sotto la Signoria dei Trinci e consolidato ancor più negli anni del Pontificato di Sisto IV° (14711484) fece di Foligno un luogo ideale per il tentativo portato a compimento da Emiliano Orfini, zecchiere pontificio, Giovanni Numeister di Magonza, allievo del Gutemberg, sceso in Italia per dare concretezza alla sua idea, ed Evangelista Angelini di Trevi. Le grandi fabbriche della zona e la grande manualità degli artigiani folignati sono stati degli elementi cardine per la diffusione del prodotto cartaceo in larga scala nazionale. Una delle punte di diamante per la diffusione

cartacea è senza dubbio la prestigiosa cartiera di Pale. Nello stesso anno vennero alla luce anche le edizioni di Jesi e di Mantova, ma la priorità di Foligno da anni non è stata più messa in discussione. Secondo uno storico locale la prima tiratura fu di 300 copie e di queste solo 59 ne sono rimaste in circolazione (in Italia soltanto 11, nessuna in Umbria). Basandosi sulla grandiosa storia e tradizione cartacea della città di Foligno la scelta di fare un evento che potesse ricordare le prime stampe effettuate in zona è stata quasi una scelta obbligata. Dal 1993 difatti si è costituito un Comitato di Coordinamento che tra le varie iniziative organizza "La scrittura e l'Immagine", mostra mercato del libro antico alla quale partecipano espositori da tutt' Italia. Una mostra che con il passare degli anni è divenuta una degli appuntamenti più seguiti sia per gli addetti ai lavori che per i privati, alla ricerca di rarità. Lo scambio di documenti più o meno antichi rappresenta senza dubbio una delle giornate più ambite dai collezionisti e dai veri cultori del settore e che ha fatto divenire Foligno il polo centrale tra i più importanti per l’interscambio e la compravendita.Per celebrare i natali della prima edizione a stampa della Divina Com-

Contributi, informaioni, materiali scritti e fotografici relativi a eventi di spettacolo, manifestazioni e mostre, possono essere inviati alla redazione di pagina all’indirizzo e-mail p.foglietta@libero.it

media, il Comitato organizza anche le Celebrazioni Dantesche, con convegni, pubblicazioni di atti, letture di brani dell'opera con attori molto noti, ecc.

Giovedì al Cinema 7 aprile - passioni Bright Star di Jane Campion Uk-Aus-Fr 2009 120’ 14 aprile - famiglie Amore liquido di Marco L. Cattaneo Italia 2010 100’ 21 aprile - altrove e qui Uomini di Dio di Xavier Beauvois Francia 2009 120’ 28 aprile - passioni La bocca del lupo di Pietro Marcello Italia 2009 76’


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FOLIGNO

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APRILE 2011

Il lavoro rende liberi? Giorgio Cremaschi, presidente del Comitato Centrale della FIOM e leader della sinistra CGIL, ne parla a Foligno presentando il suo ultimo libro Venerdì 18 marzo, nella sede dell’Associazione Luciana Fittaioli in via della Piazza del Grano a Foligno, è stato presentato il libro di Giorgio Cremaschi “Il regime dei padroni, da Berlusconi a Marchionne”. L’incontro è stato voluto e organizzato dalla redazione del mensile “Piazza del Grano” insieme al circolo culturale “Primomaggio” con l’intento di dare spazio a una delle tematiche più discusse e sentite del momento a livello nazionale. “La Fiat di Sergio Marchionne è la cartina di tornasole dell’Italia del futuro – si legge nel retro del libro – Giorgio Cremaschi, presidente della Fiom, il più combattivo sindacato italiano, de-

MAURA DONATI

“Se vuoi lavorare devi rinunciare ai tuoi diritti riconosciuti dalla costituzione, quegli stessi diritti conquistati in anni e anni di battaglie, trattative, compromessi e sacrifici che hanno fatto dell’Italia un paese democratico, una Repubblica fondata sul lavoro. Se vuoi lavorare devi diventare suddito della Fiat e non più cittadino italiano. Questo è un ricatto”. Con queste parole e come un fiume in piena davanti a un pubblico numeroso e attento, Giorgio Cremaschi ha aperto l’incontro per la presentazione del suo libro. Serio ma con lo sguardo sereno di chi sa trovare il barlume di luce nel buio della notte, di chi è entusiasta delle proprie idee ancorché opposte alle dinamiche socio politiche dell’attualità, ha trattato tanti argomenti, storie, fatti, personaggi del vivere quotidiano di un’Italia stretta nella morsa di “un modello lavorativo fatto dai ricchi e per i ricchi, il modello Marchionne”. Forte delle proprie idee, disinvolto e battagliero, Cremaschi si è presentato al pubblico folignate vestito con giacca e abiti comodi e gli occhiali rotondi di sempre, quasi a voler rassicurare sulle proprie intenzioni di uomo deciso, scaltro, sicuro, ma al contempo gioviale, affabile ed estroverso. Lui ha parlato del suo libro affrontando anche le tematiche più forti senza scrupoli né timori, la gente lo ha ascoltato in silenzio per oltre un’ora. Al di là della condivisione o meno delle sue idee, è stato di certo coinvolgente e interessante. “Ho scritto questo libro perché volevo assolutamente dire che i lavoratori stanno subendo un violento attacco e, inoltre, che è necessario capire come è possibile che siamo arrivati fino a questo punto – ha esordito Giorgio Cremaschi – come è possibile che nella più grande fabbrica italiana, finanziata dallo Stato e quindi da noi, si è potuto arrivare al ri-

scrive lo snodarsi di una vicenda che sta segnando il paese col piglio ironico del grande narratore e con la passione di chi non è disposto a rinunciare a dire la verità in cambio di facili compromessi. Il caso Melfi, Pomigliano, lo spostamento delle linee produttive di Mirafiori in Serbia, le fabbriche in Polonia, Brasile e Usa. Un impero fatto sulla pelle di chi lavora e finanziato con i soldi pubblici, un terremoto che coinvolgerà tutto e tutti. Il libro snocciola fatti e cifre su cui Cremaschi basa una denuncia aperta e spietata: l’Italia, da Berlusconi a Marchionne, si sta tramutando in un vero e proprio regime dei padroni”. A queste

parole che riassumono il contenuto del libro, precedono delle domande poste sulla copertina: “L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro? Viviamo ancora in una democrazia? Quale futuro attende milioni di famiglie in tutto il paese?”. Interrogativi incolonnati accanto a una storica immagine di Charlie Chaplin nell’indimenticabile film “Tempi moderni” dove i gesti ripetitivi, i ritmi disumani e spersonalizzanti della catena di montaggio minano la ragione del povero Charlot, operaio meccanico. Un forte ed evidente richiamo allo snaturarsi del lavoro a cui stiamo assistendo oggi. Ancora una volta, uno sguardo ironico su

una società in crisi dove i valori enunciati dalla Costituzione andrebbero recuperati, analizzati in profondità e riproposti come base per un futuro migliore. Su queste basi si è snodato anche il discorso introduttivo alla presentazione del libro fatto dal presidente del circolo culturale “Primomaggio” Luigino Ciotti che poi ha lasciato la parola a Giorgio Cremaschi, sindacalista dei metalmeccanici nella Cgil sin dal 1974, oggi presidente del comitato centrale della Fiom e portavoce dell’ala più battagliera e tenace dei lavoratori disposti a sacrificarsi se corrisposti dal riconoscimento dei diritti che spettano loro in Italia.

catto chiamando gli stessi lavoratori ad esprimersi con il voto personale. Della serie: sei disposto a rinunciare ai tuoi diritti di lavoratore per continuare a lavorare? Sei disposto a diventare suddito della Fiat perdendo la dignità di lavoratore per come è riconosciuta nella Costituzione italiana?”. Silenzio. “Solo la Fiom si è accorta di quanto stava accadendo, mentre gli altri erano intenti a gettare fango addosso agli operai costretti sotto un regime autoritario a scegliere senza libertà”. Un punto su cui ha insistito molto Cremaschi è l’uso generalizzato che ormai si fa in tutti i campi del modello Marchionne: “la stessa Gelmini ha detto di essersi ispirata a tale modello nella gestione dell’istruzione a livello nazionale. Ma ha ispirato anche il federalismo presentato apparentemente come elemento di libertà, quando in effetti è ciò che è avvenuto per il contratto nazionale dei lavoratori: non è che partendo da una stessa base di diritti fondamentali per ogni regione, oltre quei diritti, le regioni più ricche ed efficienti possono avere qualcosa in più. No, perché sopra al federalismo c’è il patto di stabilità fondato sui tagli indiscriminati e generalizzati: per cui il federalismo diventa la libertà per ogni regione di decidere dove tagliare e cosa chiudere definitivamente. Potrà significare anche un insieme di accordi, compromessi e strategie tra città e regioni per poter mantenere i servizi essenziali. Così, tra tante cose tagliate e altre rimaste, si aprirà la strada a una vera e propria ‘guerra tra poveri’, inducendo le persone, le città e le regioni a sbranarsi per avere quello che invece dovrebbe essere garantito ma non lo è”. Voltando pagina senza neanche dare respiro ai pre-

senti, Cremaschi ha virato verso l’America per portare l’esempio degli Stati Uniti dove è stato deciso recentemente che per tutti i lavoratori pubblici viene abolito per legge il contratto nazio-

c’è anche Marchionne. D’altronde, analizzando la cosa al rovescio, si potrebbe dire che non si può essere contro Berlusconi se si è a favore di Marchionne”. E qui, Cremaschi introduce l’articolo 41

nale (cosa che in Italia fece soltanto il Fascismo) mantenendo soltanto la paga personale decisa di volta in volta. “Quello che ha proposto Marchionne è un modello di vita che va evidentemente verso questa direzione, che azzera tutti i diritti conquistati in anni e anni di battaglie, che assicura ai ricchi e taglia ai poveri e che, inevitabilmente, sorregge la politica di Berlusconi. Non è un caso che in Italia Berlusconi sia così forte: di certo ha i media che lo sorreggono ma

della Costituzione: “L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”. Di nuovo silenzio. Non c’è nulla da aggiungere perché quello che sta succedendo in Italia a livello politico, economico e sociale parla da

sé. “Sono stanco di manifestazioni dove le parole più forti e di sinistra sono quelle enunciate dai cantanti – ha continuato Cremaschi – la nostra Costituzione impone il rispetto di diritti a prescindere dal mercato, dalla politica e dall’economia del paese. Ma nessuno si accorge che questo non accade? Questa cecità avvalora inevitabilmente l’attuale governo perché nessuno si oppone. Di conseguenza, continua quest’opera di mortificazione del lavoro e dei lavoratori trasformati in merce”. Forte, duro, incisivo, Cremaschi ha continuato su questo concetto ricordando quando una volta gli chiesero di immaginare un ipotetico lavoro del futuro sulle basi di questo presente: “feci l’esempio di un lavoro come una sorta di Grande Fratello e quello che mi sconvolge è che, oggi, in effetti, esiste davvero: si tratta di un reality show (trasmesso in un canale televisivo in questi giorni) dove il giovane in cerca di lavoro viene seguito e accompagnato in ogni suo passo professionale fino al momento dell’assunzione (che riguarda solo il vincitore e non tutti). Insomma: lavoro uguale merce per i media. In tanti si mettono in gioco su una cosa seria e solo un’élite ci guadagna. Così fa anche Marchionne. I ricchi decidono gli interessi di tutti, spacciando quelli che sono propri interessi per interessi di tutti”. E a questo punto, Cremaschi snocciola le cifre che tutti si aspettano: “sapete quanto guadagna Marchionne? In Italia avevamo notizia ‘soltanto’ di 5/6 milioni di euro l’anno, ma dalla commissione degli Stati Uniti che controlla le paghe dei manager (siccome la Chrysler ha preso soldi dallo stato Marchionne deve fare una relazione precisa sulle sue entrate) sono arrivate le cifre precise riguardo tutte le sue entrate così da chia-

rirci una volta per tutte che il suo stipendio annuale è in media di 38/40 milioni. E’ facilmente comprensibile che se Marchionne rinunciasse anche a una piccola percentuale della sua retribuzione potrebbe contribuire al ripristino di tanti diritti spettanti ai lavoratori. Invece no perché i ricchi chiedono sacrifici al popolo portando come scusa la crisi economica mondiale, ma loro non sono disposti a fare sacrifici”. L’Italia, secondo Cremaschi, ripartirà quando riconoscerà che gli interessi dei ricchi non sono anche quelli di tutti gli altri e , quando anche le persone meno abbienti torneranno a fare la lotta di classe che, per ora la fanno solo i ricchi per i propri interessi e nessuno si oppone. “Viviamo in un mondo rovesciato” e per riportarlo alla normalità c’è bisogno di ribaltare la situazione: la parola d’ordine è “rivoluzione democratica”. Nel mondo aumentano sempre di più le mobilitazioni destinate a ripensare, rivedere, ricreare là dove non vi è più rispetto, libertà e senso civico. “Concludo il mio libro con il termine ‘speranza’ perché credo che non debba mai mancare. Dobbiamo credere in un cambiamento possibile perché con le classi dirigenti che abbiamo oggi non si va da nessuna parte. Perché anche le classi dirigenti di sinistra non hanno né la forza, né la credibilità né la convinzione per poter cambiare davvero le cose. Dobbiamo riprendere in mano i nostri destini e credere nel fatto che possiamo cambiare il futuro attraverso una rivoluzione intelligente, strutturata e ben organizzata fra tutti. Credo fermamente che, come sta già accadendo, in Europa cresceranno sempre di più le lotte, le rivolte, le mobilitazioni democratiche per far riconquistare ai cittadini la propria dignità. Dobbiamo ripensare il nostro futuro riconquistando una sinistra che abbia la voglia di cambiare sul serio e che rimetta la questione sociale e lavorativa al primo posto rispetto a tutto il resto”.


ne e della nazione [...] I sindacati dei lavoratori rappresentano la forza produttrice fondamentale della società e la stragrande maggioranza della popolazione economicamente attiva nei vari rami dell'industria, dell'agricoltura, del commercio, del credito, della scuola, dei pubblici servizi ecc. Tutta la società moderna pone il lavoro come fondamento del proprio sviluppo. Se la funzione sociale del lavoro, e quindi delle organizzazioni sindacali che lo rappresentano, sono considerate sempre di maggiore preminenza, in tutti i paesi economicamente più sviluppati ciò è tanto più giusto e necessario in Italia, dove il capitale più grande e più prezioso di cui dispone la nazione è rappresentato appunto dalla sua immensa forza-lavoro; ossia, dal gran numero di lavoratori che conta il nostro paese, nonché dalle loro spiccate e riconosciute capacità tecniche e professionali che - attraverso il lavoro dei nostri emigrati - si sono affermati in quasi tutti i paesi del mondo. I lavoratori,

CGIL

quando cerano i Comunisti

Camera del Lavoro di Foligno Murales cileno - 1971 per la loro condizione sociale, sono i maggiori interessati al consolidamento e allo sviluppo ordinato della libertà e delle istituzioni democratiche, come lo comprova il fatto che essi hanno costituito il nerbo decisivo delle forze nazionali che hanno abbattuto il fascismo ed hanno portato un contributo efficiente alla liberazione della patria dall'invasore tedesco. I sindacati dei lavoratori, quindi, costituiscono obiettivamente uno dei pilastri basilari dello Stato democratico e repubblicano e un presidio sicuro e forte delle civiche libertà, che sono un bene supremo dell'intera nazione. I sindacati dei lavoratori, quali organismi unitari di milioni di cittadini in tutte le province d'Italia e tutori dei loro interessi collettivi e solidali, costituiscono obiettivamente il tessuto connettivo più solido della nazione e della sua stessa unità. (Giuseppe Di Vittorio, Intervento all’Assemblea Costituente, 1945)

Cera una volta la

Foligno, Piazza della Repubblica Comizio del primo maggio 1958

Gli interessi che rappresentano e difendono i sindacati dei lavoratori sono interessi di carattere collettivo e non particolaristico o egoistico; interessi che in linea di massima coincidono con quelli generali della nazione. Il benessere generalizzato dei lavoratori, infatti, non può derivare che da un maggiore sviluppo dell'economia nazionale, da un aumento incessante della produzione, da un maggiore arricchimento del paese, oltre che da una più giusta ripartizione dei beni prodotti. Non è mai accaduto, e non può accadere ai liberi sindacati dei lavoratori, di avere interessi contrari a quelli della collettività nazionale, com'è accaduto - e può sempre accadere, invece - a determinati tipi di associazioni padronali (trust, cartelli, intese ecc.), i quali sono notoriamente giunti a limitare di proposito la produzione - ed anche a distruggerne notevoli quantità- per mantenere elevati i prezzi, allorquando i prezzi elevati, piuttosto che la massa di prodotti vendibili, assicurano agli interessati maggiori profitti, con danno evidente della maggioranza della popolazio-

supplemento al numero 4 - Anno III - aprile 2011 di Piazza del Grano - www.piazzadelgrano.org

I


(Tratto da un opuscolo di Bruno Ravasio per i 100 anni della CGIL)

II

1. Nascita di un sindacato La CGIL è nata a Milano nell’autunno del 1906, ma la sua storia inizia almeno mezzo secolo prima. Nella seconda metà del 1800, molto in ritardo su altri paesi europei, anche nel Regno d’Italia nascono le prime forme di industria moderna. L’Italia è un paese molto povero, prevalentemente agricolo, su circa 25 milioni di abitanti solo un milione sa leggere e scrivere, molti meno quelli che hanno il diritto di voto, solo in virtù del “ censo” e riservato ai maschi. La nascita delle fabbriche al nord provoca un massiccio esodo di contadini dalle campagne verso le città dove si concentrano le industrie e determina la formazione di due classi sociali: la borghesia industriale, che possiede i “mezzi di produzione” con i quali accumula capitale, e il proletariato, che dispone solo della propria “forza lavoro”. E’ la nascita del capitalismo che con la “rivoluzione industriale” cambia radicalmente il vecchio lavoro su base artigianale. Agli albori del capitalismo, il prezzo della merce-lavoro è davvero molto basso: l’accumulazione di capitali richiede il massimo dello sfruttamento del lavoro operaio. Salari che consentono la pura sopravvivenza fisica, orari di lavoro massacranti, disciplina durissima, nessuna forma di tutela per infortuni, malattie, gravidanza, pensioni. Ancora peggio va alle donne e ai fanciulli, largamente sfruttati e sottopagati. Nascono così le “società di mutuo soccorso” che hanno lo scopo di fornire sussidi ai propri aderenti. I soci si autotassano per permettere a chi si ammala, o si infortuna, o alla famiglia di chi muore di poter attingere a un fondo comune. Nel 1891 a Milano, Piacenza e Torino nascono le prime “Camere del Lavoro” e nel 1892 il Partito Socialista Italiano, che dichiara le Camere del lavoro strumento di lotta sindacale dei lavoratori. Nel 1901 si costituiscono le prime federazioni sindacali: tipografi, ferrovieri, edili, lavoratori agricoli e la FIOM. Nell’ultimo decennio del secolo, tuttavia, le classi dominanti tentano, con il governo Crispi, di reprimere con spietata durezza le mobilitazioni sociali che crescono in ogni parte del paese. L’ultimo grande tentativo di reprimere con la forza le crescenti lotte per il diritto all’organizzazione sindacale, l’aumento dei salari e la riduzione degli orari di lavoro avviene nel dicembre 1900, con lo scioglimento della Camera del lavoro di Genova. Lo sciopero di protesta, proclamato dai lavoratori portuali, si estende immediatamente agli operai delle fabbriche e coinvolge tutta la città. Il decreto di scioglimento viene revocato. Il grande successo del primo sciopero generale contribuisce a determinare una profonda svolta politica in Italia. Finalmente le classi dominanti si accorgono che non è più possibile solo reprimere le rivendicazioni. Il 29 settembre 1906, a Milano, le Camere del lavoro, le Leghe e le Federazioni decidono di confluire in una unica organizzazione e fondano la Confederazione Generale del Lavoro (CGdL). Sono presenti all’atto di nascita delegati di quasi 700 sindacati locali, in rappresentanza di oltre 250.000 iscritti. 2. La CGdL - Confederazione Generale del Lavoro Fin dall’inizio, la CGdL si configura come organizzazione ba-

sata sulla solidarietà generale fra lavoratori e non soltanto sulla rappresentanza di mestiere. Un ruolo importantissimo è svolto dalle Camere del Lavoro con funzioni di unificazione della classe operaia e di coordinamento fra i sindacati, gestiscono il collocamento al lavoro e la formazione, prestano assistenza nelle controversie di lavoro. Nelle Camere del Lavoro si insegna a leggere e scrivere e si organizzano biblioteche popolari. La CGdL si caratterizza per una struttura fortemente centralizzata e, a differenza delle Trade Unions inglesi e dei sindacati tedeschi, l’idea di confederazione generale prevale su quella delle singole federazioni di categoria. Nel primo decennio del nuovo secolo si realizzano importanti conquiste nell’ambito della legislazione sociale e si affermano significative esperienze di contrattazione territoriale e nazionale. Il governo Giolitti vara le prime leggi di tutela del lavoro delle donne e dei fanciulli, decreta l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, regola il riposo settimanale e impone il divieto del lavoro notturno in alcuni settori. Inoltre, riforma la Cassa nazionale invalidità e vecchiaia, primo embrione del futuro Istituto Nazionale della Previdenza Sociale. Si firmano i primi contratti collettivi di lavoro e nascono le prime forme di rappresentanza sui luoghi di lavoro, le Commissioni Interne, i contratti aziendali alla Società Automobilistica Itala di Torino e alla Borsalino ne legittimano l’esistenza. Il cauto riformismo del governo Giolitti subì una brusca inversione di tendenza con la guerra di Libia (1911-1912). Nel segno di un nazionalismo aggressivo e reazionario, riprendono le repressioni poliziesche contro il movimento operaio. La CGdL, che si oppone alla guerra coloniale, è indebolita dalla scissione dei sindacalisti rivoluzionari che formano la USI, che a sua volta subirà una scissione da parte dei sindacalisti “interventisti”, favorevoli all’entrata in guerra dell’Italia. La situazione peggiora con lo scoppio della prima guerra mondiale. La CGdL proclama manifestazioni contro la guerra in tutto il paese. Quando l’Italia entra in guerra, viene decretata la “mobilitazione industriale”, le industrie di importanza strategica sono sottoposte a disciplina militare e viene abolito il diritto di sciopero. Anche la legislazione sociale introdotta nel periodo giolittiano è di fatto abrogata. Alla fine della guerra, le tensioni accumulate durante il conflitto, con una l’inflazione spaventosa determinata dalla mancanza dei generi di prima necessità, innescano una formidabile ripresa della conflittualità sociale e delle rivendicazioni sindacali. La forza organizzata dalla CGdL cresce nel “biennio rosso” (1920-1921), dai 250.000 iscritti alla fine della guerra a oltre 1 milione nel 1919 e 2 milioni e duecentomila nel 1920. Nel tumultuoso clima politico e sociale del dopoguerra, fortemente influenzate dall’esempio della rivoluzione sovietica, si ottengono grandi conquiste. Nel febbraio del 1919 la FIOM realizza la storica conquista della giornata lavorativa di 8 ore. A Torino, per impulso del movimento Ordine Nuovo di Antonio Gramsci e Palmiro Togliatti, si impongono nuovi strumenti di rappresentanza operaia, sul modello dei soviet bolscevichi: i consigli di fabbrica. Nel 1920 la FIOM presenta agli industriali un memoriale contenente rivendica-

zioni salariali e normative. Dopo il rifiuto dei padroni a trattare, si arriva rapidamente all’occupazione delle fabbriche, che coinvolge circa 400.000 operai. L’occupazione delle fabbriche del settembre 1920 si chiude con una dura sconfitta e la reazione padronale non si fa attendere. I grandi gruppi industriali decidono di finanziare il movimento e i fascisti si scatenano contro le sedi delle camere del lavoro, delle cooperative, del partito socialista e dei Comuni amministrati dai socialisti in un clima continuo di aggressioni, incendi e omicidi spesso protetti dalle forze dell’ordine. La risposta allo squadrismo fascista è debole. Il partito socialista è lacerato da contrasti interni, che culminano con la scissione, al congresso di Livorno, con la fondazione del Partito Comunista d’Italia. Siamo nel 1921. La vecchia classe politica di orientamento monarchico e liberale apre di fatto le porte ai fascisti, nell’illusione di poterli controllare. Nell’ottobre del 1922 la monarchia favorisce l’avvento al potere del partito fascista, ancora largamente minoritario nel paese, chiamando Mussolini a formare il governo. Con il Patto di Palazzo Chigi (1925) e con il Patto di Palazzo Vidoni (1926) il regime fascista e la Confindustria stabiliscono il riconoscimento giuridico del solo sindacato fascista. Contemporaneamente, viene praticamente eliminata la libertà di espressione, di associazione e di sciopero. All’inizio del 1927, il Comitato Direttivo della CGdL decide l’autoscioglimento. Molti dirigenti sindacali tuttavia decidono di tenerne vivo il nome: così Bruno Buozzi esule in Francia, così dirigenti sindacali comunisti clandestinamente in Italia. 3. Breve la vita della CGIL unitaria Nei primi mesi del 1943 la “lunga notte” del fascismo si avvia alla sua tragica conclusione. Lo sbarco degli alleati anglo-americani in Sicilia, praticamente senza incontrare resistenza, precipita il regime fascista nel panico. Ma un grave colpo alla credibilità del regime era già stato inferto nel marzo del 1943, con i massicci scioperi che gli operai di Torino e delle grandi fabbriche del Nord effettuarono – cogliendo del tutto di sorpresa l’apparato fascista - per protestare contro la guerra e il carovita. Fu l’inizio della riscossa operaia, preparata nei mesi precedenti dalla CGdL clandestina, le cui due anime - quella all’estero di Bruno Buozzi e quella operante in Italia - avevano superato stretto dal 1935 un patto di unità di azione. Il 9 giugno del 1944, in una capitale ancora occupata dall’esercito nazista, viene firmato il Patto di Roma fra i tre principali partiti antifascisti. Il patto sancisce l’unità sindacale e la ricostituzione della Confederazione Generale Italiana del Lavoro (CGIL) e viene siglato da Giuseppe Di Vittorio per il PCI, da Emilio Canevari per il PSI, da Achille Grandi per la DC. Bruno Buozzi, che con Di Vittorio aveva lavorato intensamente alla realizzazione del Patto, era stato trucidato dai tedeschi pochi giorni prima della sigla. La Chiesa non si oppone a una CGIL unitaria fortemente voluta dai comunisti e dai socialisti ma, a ogni buon conto, favorisce la costituzione, nel 1945, delle ACLI. Fino alla fine della guerra la CGIL si adopera nelle regioni liberate per diffondere le Commissioni Interne e le Camere del lavoro e stipula accordi salariali, fra cui quello per l’indennità di contingenza (che deve appunto

Storia della CGIL ai tempi dei comunisti

il suo nome alla “contingenza” della guerra). La CGIL contribuì fortemente alla vittoria della Repubblica nel referendum che pose fine alla monarchia. Alle elezioni del 2 giugno 1946, che decisero la nascita della Repubblica e l’Assemblea Costituente che avrebbe redatto la nuova Costituzione, parteciparono per la prima volta in Italia anche le donne, ma l’eliminazione dai contratti collettivi nazionali delle tabelle remunerative differenti per maschi e femmine sarà sancita solo nel 1960. L’Italia, dopo la liberazione, è in condizioni disastrose. La CGIL, di fronte ai gravi problemi di ricostruzione del paese, stipula gli accordi nazionali che fissano salari, paga base, indennità di contingenza e assegni familiari, pur decidendo una “tregua salariale” per favorire il rientro dell’inflazione. Al I congresso nazionale, che si svolge a Firenze nel giugno 1947, la CGIL registra 5.735.000 iscritti. Segretario generale viene eletto Giuseppe Di Vittorio. Ma già in quel congresso si avvertono i segni delle divisioni fra la componente socialcomunista e quella cattolica. Il fatto è che lo scenario politico è rapidamente cambiato. A Yalta le grandi potenze vincitrici del nazismo si dividono il mondo in due sfere contrapposte: l’est europeo e asiatico a egemonia sovietica, l’occidente capitalistico a influenza economica e militare degli Stati Uniti d’America. E’ la “guerra fredda. L’Italia è un paese strategicamente importante: collocato ai confini del blocco dei paesi socialisti, rappresenta inoltre una sorta di portaerei naturale per la sua configurazione geografica nel-

l’area del mediterraneo. Fortissima è dunque la pressione americana per ridurre e isolare la presenza del Partito comunista, che ha accresciuto notevolmente la sua forza, soprattutto fra i lavoratori, durante gli anni della lotta al fascismo. I comunisti nel maggio del 1947 sono estromessi dalla direzione del Paese e la rottura del Governo di unità nazionale si riverbera anche sulla CGIL. Il contributo ancora unitario dei dirigenti della CGIL ai lavori della Costituente permette alla nuova Costituzione Italiana di assumere il lavoro quale valore fondamentale della vita civile e sociale e di sancire l’assoluta libertà e volontarietà dell’organizzazione sindacale. Alle elezioni del 18 aprile del 1948 la Democrazia Cristiana conquista la maggioranza assoluta dei seggi in Parlamento, il rischio di una rottura sindacale è sempre più probabile nonostante l’impegno personale di Di Vittorio a mantenere l’unità della CGIL. Il pretesto che la corrente democristiana cercava per scindersi dalla CGIL è fornito dallo sciopero generale che la Confederazione proclamò a seguito dell’attentato a Togliatti avvenuto il 14 luglio del 1948. Ma la decisione era già presa da tempo, l’esistenza delle ACLI offriva una struttura su cui basarsi e pochi giorni dopo lo sciopero la componente democristiana decise la scissione dalla CGIL. Il nuovo sindacato fu denominato inizialmente “Libera CGIL” e poi, nel 1950, definitivamente CISL. Contemporaneamente, sempre nel 1950, escono dalla CGIL anche i centristi laici e socialdemocratici e fondano la UIL.

4. La CGIL di Di Vittorio Gli anni 50 sono gli anni della divisione - ma sarebbe meglio dire della contrapposizione frontale, fra i principali sindacati che subiscono il collateralismo con i partiti politici di riferimento. In particolare, la CISL sostiene i governi centristi della Democrazia Cristiana e cerca l’insediamento nelle aziende con una politica negoziale basata sulla moderazione e la collaborazione con l’impresa. La CGIL è fortemente classista e anticapitalista, legata a doppio filo con i partiti di ispirazione marxista e si impegna in grandi lotte politiche generali come quando, nel gennaio e nel marzo del 1953, proclama lo sciopero generale contro la “legge truffa”, una legge elettorale maggioritaria voluta dal governo per rafforzare la propria maggioranza. Ma la rottura non è soltanto di natura ideologica. Emergono differenze fondamentali anche sulla concezione della rappresentanza e della democrazia sindacale, differenze le cui tracce permangono tuttora e spiegano perché, nonostante la caduta delle antiche barriere ideologiche, sia ancora oggi così difficile la strada dell’unità sindacale. La CGIL ha una visione della rappresentanza di tipo “universalistico”. In buona sostanza essa pensa che l’azione negoziale, riguardando tutti i lavoratori, iscritti e non iscritti al sindacato, debba essere validata appunto “dall’universo” dei lavoratori. La CISL ritiene, al contrario, che fonte di legittimazione della propria azione siano soltanto i propri “soci” e cioè coloro che hanno liberamente deciso di associarsi al loro sinda-

cato. Da qui, la contrarietà all’istituto del referendum e alla definizione legislativa della rappresentanza, come pure è previsto dall’art. 39 della Costituzione. In un clima di pesante anticomunismo, scatta - dopo la rottura sindacale - una dura repressione nei confronti dei militanti della CGIL in fabbrica e nelle campagne. Molti attivisti sono licenziati, molti altri costretti - come alla FIAT - nei reparti “confino” dove vengono umiliati anche quadri di grande professionalità. Sempre alla FIAT dal ‘49 al ‘53 sono licenziati 30 membri di commissione interna iscritti alla CGIL. L’ambasciatrice americana in Italia, Clara Luce, dichiara che le imprese dove i sindacalisti della CGIL avessero ottenuto più del 50% dei voti alle elezioni della Commissione Interna non avrebbero potuto accedere a contratti con gli USA. Pio XII lancia la scomunica ai comunisti e favorisce l’alleanza con il MSI per il Comune di Roma. Durissima è anche la repressione poliziesca. Il Ministro degli interni Scelba scatena i reparti della “celere” contro le manifestazioni operaie e non si esita a sparare sui lavoratori. La CGIL, guidata dal comunista Giuseppe di Vittorio, reagisce ai durissimi attacchi di Governo e Confindustria lanciando il “Piano del lavoro”, una grande iniziativa politica con al centro un’altra idea di sviluppo economico e sociale. Il Piano del lavoro prevede la nazionalizzazione delle aziende elettriche, la realizzazione di un vasto programma di opere pubbliche e di edilizia popolare, la costituzione di un ente nazionale per la bonifica e l’irrigazione delle terre. Il

Piano del lavoro non fu recepito dal Governo ma con esso la CGIL riesce a rompere l’isolamento, a parlare a tutto il paese, a tenere uniti lavoratori occupati e disoccupati, gli operai delle fabbriche del Nord e i braccianti delle campagne del Sud. Al III congresso del 1952, la CGIL assume l’obiettivo di far entrare la Costituzione nei luoghi di lavoro, con il riconoscimento dei diritti dei lavoratori. Obiettivo che si concretizzerà nel 1970, con l’approvazione dello Statuto dei lavoratori. Il contrasto con la CISL e la UIL è all’apice e mentre la CGIL si batte per le grandi questioni nazionali, soprattutto la CISL persegue il proprio radicamento nelle fabbriche siglando numerosi accordi separati. Le stesse elezioni delle Commissioni interne, nei luoghi di lavoro, si svolgono all’insegna della più aspra contrapposizione ideologica fra le organizzazioni sindacali, riflettendo le scontro frontale delle elezioni politiche. E proprio alle elezioni per il rinnovo della Commissione Interna alla FIAT, nel marzo del 1955, la FIOM CGIL, che dalla Liberazione aveva sempre conquistato la maggioranza assoluta con percentuali prossime al 65%, subisce un pesante ridimensionamento diventando il secondo sindacato con il 36% dei voti, mentre alla FIM CISL va il 41% e il 23% alla UILM. Ma la CGIL reagisce con un’analisi rigorosa delle ragioni della sconfitta: una vera e propria autocritica. E’ la svolta: la CGIL accetta la sfida di misurarsi con la realtà dell’impresa e riorienta la propria politica contrattuale in direzione di una più diffusa articolazione. La contrattazione

aziendale, in questo senso, diventa uno strumento nuovo e più elastico dello scontro di classe. Questa scelta strategica permetterà alla CGIL, nel giro di pochi anni, di riconquistare posizioni nelle fabbriche e di innescare - a partire dai luoghi di lavoro – l’inizio di un nuovo processo unitario, favorito anche da un ripensamento della CISL delle proprie tesi collaborative. 5. Sessantotto e dintorni Dopo gli anni della “guerra fredda” si apre, alla fine degli anni ‘50, la stagione del disgelo cui seguirà una politica di distensione internazionale, pur con momenti di drammatica tensione come la crisi per i missili sovietici a Cuba, la costruzione del Muro di Berlino e l’inizio della “escalation” della guerra nel Vietnam. In Italia, la mutata situazione internazionale favorisce l’inizio di una timida apertura a sinistra. Ma un primo governo DC-PSDI presieduto da Fanfani è ben presto affondato e il governo Tambroni, nel 1960, ottiene la maggioranza in Parlamento grazie all’appoggio della destra neofascista. Riconoscente, Tambroni consente al MSI di celebrare il proprio congresso a Genova, città medaglia d’oro per la Resistenza. Contro questa vera e propria provocazione, a non molti anni dalla Liberazione, scoppiano a Genova e in tutto il Paese scioperi e imponenti manifestazioni di massa, nel corso delle quali la polizia spara e uccide operai e giovani. Il governo Tambroni è costretto a dimettersi il 19 luglio e si apre un lungo periodo di mutamento politico che porterà al governo di centro-sinistra con la partecipazione del PSI. All’inizio degli

anni ‘60 l’Italia è nel pieno del boom economico e da Paese prevalentemente agricolo nel dopoguerra si è rapidamente trasformata in una delle Nazioni più industrializzate del mondo. I bassi salari hanno favorito l’insediamento di molti capitali stranieri e la nascita di nuove industrie manifatturiere italiane. Il tumultuoso processo di industrializzazione produce costi sociali enormi. In particolare si rafforza lo squilibrio fra le regioni del “triangolo industriale”, Piemonte, Liguria e Lombardia, e quelle del Mezzogiorno. Tra il 1951 e il 1961 ben 1.700.000 lavoratori emigrano dalle regioni del Sud verso il Nord industrializzato: un vero e proprio esodo di massa. Alla fine del 1964 le correnti interne alla CGIL avevano la seguente consistenza: 57,2% per i comunisti, 28% per i socialisti, 14,8% per i socialproletari. Il patto di governo della CGIL fra le diverse componenti manterrà l’unità interna fino alla fine degli anni 80, nonostante la divaricazione dei relativi partiti di riferimento. Nel 1965 si svolgono i congressi della CGIL e della CISL, entrambi caratterizzati da un forte dibattito sulla programmazione economica e sull’autonomia del sindacato e sono decise le prime regole per l’incompatibilità fra cariche politiche e sindacali. Il congresso delle Acli rompe ogni colletaralismo con la DC e si pronuncia per l’unità sindacale e contro ogni forma di discriminazione verso i comunisti. La FIM radicalizza in senso anticapitalistico le proprie posizioni e si schiera contro la politica imperialista degli USA nel Vietnam. Il 1968 si apre con un successo storico per il movimento operaio: la riforma delle pensioni, ottenuta dopo che una forte protesta dei luoghi di lavoro aveva indotto la CGIL a ritirare il consenso di massima che aveva espresso, con CISL e UIL, su un precedente accordo con il governo. Lo sciopero generale proclamato dalla sola CGIL il 7 marzo registra ovunque un’adesione massiccia e unitaria. Nel frattempo è esplosa la rivolta studentesca, partita dalla università californiana di Berkeley contro la chiamata alla guerra nel Vietnam, si estende alla Francia, alla Germania e all’Italia. La contestazione riguarda l’intero sistema formativo, il suo carattere selettivo e mette in discussione l’intero modello sociale. In Italia, le lotte studentesche si intrecciano con le lotte. Al Petrolchimico di Porto Marghera, alla Pirelli Bicocca di Milano e in molte altre grandi fabbriche si sperimentano nuove forme di rappresentanza, per delega diretta del gruppo omogeneo di reparto e non per sigla sindacale. Il Primo Maggio 1968 vede, per la prima volta dopo la rottura del 1948, cortei unitari di CGIL, CISL e UIL a celebrare insieme la festa del lavoro. Nonostante una forte repressione poliziesca che reprime con diversi morti le lotte scopiate nel sud Italia (Avola, Battipaglia), all’inizio del 1969 si conclude positivamente un’altra grande vertenza sindacale, che assume un valore emblematico della spinta egualitaria che sale dalle fabbriche: l’abolizione delle “gabbie salariali” e cioè dei salari differenziati a seconda dell’area geografica di appartenenza. Preceduta da migliaia di vertenze e accordi aziendali, la stagione dei contratti nazionali in autunno si avvia con un durissimo braccio di ferro alla Fiat e esplode con piattaforme rivendicative radicalmente innovative : aumenti salariali uguali per tutti, le 40 ore settimanali, il diritto all’as-

semblea in fabbrica, il controllo sull’organizzazione del lavoro, la parità normativa fra operai e impiegati, le “150 ore” per il diritto all’istruzione dei lavoratori. Lo sciopero generale indetto il 19 novembre dalle tre confederazioni sindacali sulle riforme e in particolare sul diritto alla casa, registra un’adesione pressoché totale. Soprattutto cresce un nuovo protagonismo dei lavoratori, che vogliono decidere le piattaforme, rivendicano il diritto a nuove forme di lotta, impongono nuove pratiche democratiche. E’ la nascita dei consigli di fabbrica, che il nuovo sindacato unitario degli anni 70 riconoscerà come propria struttura di base. 6. Gli anni della crisi L’autunno caldo si dilata per buona parte del decennio successivo. Nel maggio del 1970 è varata, sull’onda delle grandi lotte di massa e per iniziativa del Ministro socialista del Lavoro, Giacomo Brodolini, la legge 300 nota come “Statuto dei lavoratori” che riconosce ai lavoratori: diritto all’opinione politica e sindacale, diritto all’assemblea nei luoghi di lavoro, diritto di partecipazione e di organizzazione sindacale in fabbrica, diritto – con il famoso art. 18 – al ripristino del rapporto di lavoro in caso di licenziamento senza giusta causa. Le piattaforme, le lotte, gli accordi si svolgono ovunque in modo unitario, sia a livello nazionale che territoriale. Dai luoghi di lavoro, la spinta in senso unitario è fortissima, favorita anche da un forte ricambio generazionale dei delegati e dei rappresentanti sindacali. Nell’ottobre del 1970 i consigli generali delle tre confederazioni si riuniscono a Firenze per esaminare la possibilità di avviare un percorso di unificazione sindacale. In particolare i sindacati metalmeccanici FIOM, FIM e UILM spingono sull’acceleratore, ma nella UIL e in larghi settori della CISL nascono forti resistenze. Nel luglio 1972 i tre consigli generali, in sessione unificata, siglano a Roma il Patto Federativo, eleggendo un direttivo paritetico di 90 componenti e una segreteria di 15 componenti, ugualmente paritetica. La Federazione CGIL, CISL e UIL garantirà la gestione unitaria delle principali vicende sindacali per tutti gli anni 70 e sarà sciolta definitivamente dal governo Craxi. Nell’ottobre del 1972 l’assemblea nazionale dei delegati metalmeccanici fonda la Federazione Lavoratori Metalmeccanici (FLM) con organismi e sedi unitarie a ogni livello. I metalmeccanici, nell’ottobre 1972, organizzano un grande manifestazione a Reggio Calabria, epicentro di una ribellione popolare, guidata dalla destra neofascista. L’approvazione della riforma sanitaria e di quella scolastica, dopo la riforma delle pensioni, completano la struttura essenziale del welfare italiano. Gli anni settanta sono segnati anche da grandi conquiste civili, grazie soprattutto alle lotte di emancipazione e liberazione femminile. Nel 1970 è approvata la legge 898 sul divorzio, nel 1971 la fondamentale legge 1204 di tutela delle lavoratrici madri e quella sugli asili nido. Nel 1975 è varata la legge 151 di riforma del diritto di famiglia che introduce la parità tra uomini e donne nell’ambito familiare e nel 1976 la legge 903 di parità in materia di lavoro. Infine, nel 1978 è approvata la legge 194 “ Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”. Quest’ ultima legge e, in precedenza, quella sul divorzio hanno anche

registrato due grandi vittorie del NO ai rispettivi referendum abrogativi. Tuttavia, nella seconda metà degli anni settanta, l’azione del sindacato inizia a indebolirsi. Gli industriali utilizzano la crisi economica per ribaltare a proprio favore i rapporti di forza scaturiti dall’autunno caldo. Quasi ovunque, nelle aziende, si attuano intensi processi di ristrutturazione, favoriti dall’introduzione di nuove tecnologie di automazione dei processi produttivi. Gli investimenti in nuovi impianti, basati sulla robotica e sull’informatica, tendono soprattutto a risparmiare forza lavoro, creando forti eccedenze di personale. Cresce a dismisura il ricorso alla cassa integrazione a zero ore, alla fine della quale scattano licenziamenti collettivi. Contro l’accresciuto potere del movimento sindacale, vengono scatenate anche oscure trame golpiste e lo stragismo fascista. Il 28 maggio 1974, in Piazza della Loggia a Brescia, esplode una bomba durante una manifestazione sindacale. Otto morti e più di cento feriti è il tragico bilancio di quell’attentato fascista. Un’altra bomba fascista, pochi mesi dopo, esplode sul treno Italicus provocando 12 morti e 48 feriti. Il 16 marzo 1978, il giorno in cui fu rapito, Aldo Moro - presidente della DC - si stava recando in parlamento per il voto di fiducia al governo Andreotti, che includeva, per la prima volta nella storia della Repubblica, il PCI nella maggioranza. Il 2 agosto 1980, quasi in un tragico contrappunto, un’altra strage fascista ferisce il paese: una bomba esplode alla stazione di Bologna causando 85 morti e 200 feriti. Nel settembre del 1980 la Fiat dichiara che procederà al licenziamento di 14.000 lavoratori e mette unilateralmente in cassa integrazione 23.000 lavoratori. E’ l’inizio di un drammatico braccio di ferro. I metalmeccanici - contro i licenziamenti – bloccano la produzione e presidiano per 35 giorni i cancelli della Fiat. Enrico Berlinguer, segretario generale del Partito Comunista Italiano, con un comizio davanti ai cancelli della Fiat di Mirafiori sostiene la lotta dei lavoratori. Contro questa lotta, e contro il sindacato che l’ha organizzata, la Fiat stimola e ottiene la reazione di quadri e impiegati, che organizzano un corteo di protesta, ricordato come la “marcia dei 40.000” per le vie di Torino. Le vicende della Fiat segnano sempre, nel bene e nel male, la storia sindacale e dopo la sconfitta si acuiscono i dissensi già presenti all’interno della Federazione Unitaria CGIL-CISL-UIL. Dopo aver respinto unitariamente, con una grande manifestazione a Roma nel giugno del 1982, la disdetta dell’accordo sulla scala mobile da parte della Confindustria, emergono posizioni nettamente contrastanti. Il problema viene risolto il 14 febbraio 1984 dal governo Craxi, con il famoso “decreto di San Valentino” che taglia per legge 4 punti di scala mobile. CISL e UIL esprimono il proprio consenso al decreto, la CGIL si oppone duramente e lancia una imponente mobilitazione sociale. La grave divisione fra le organizzazioni sindacali provoca la rottura definitiva della Federazione Unitaria. Il Partito comunista raccoglie le firme per il referendum abrogativo del decreto, che si svolge nel 1985, con la vittoria di misura del Governo. Un anno prima era morto Enrico Berlinguer. Al Congresso di Rimini del febbraio 1991 muore il Partito Comunista Italiano.

III


(Tratto da un opuscolo di Bruno Ravasio per i 100 anni della CGIL)

II

1. Nascita di un sindacato La CGIL è nata a Milano nell’autunno del 1906, ma la sua storia inizia almeno mezzo secolo prima. Nella seconda metà del 1800, molto in ritardo su altri paesi europei, anche nel Regno d’Italia nascono le prime forme di industria moderna. L’Italia è un paese molto povero, prevalentemente agricolo, su circa 25 milioni di abitanti solo un milione sa leggere e scrivere, molti meno quelli che hanno il diritto di voto, solo in virtù del “ censo” e riservato ai maschi. La nascita delle fabbriche al nord provoca un massiccio esodo di contadini dalle campagne verso le città dove si concentrano le industrie e determina la formazione di due classi sociali: la borghesia industriale, che possiede i “mezzi di produzione” con i quali accumula capitale, e il proletariato, che dispone solo della propria “forza lavoro”. E’ la nascita del capitalismo che con la “rivoluzione industriale” cambia radicalmente il vecchio lavoro su base artigianale. Agli albori del capitalismo, il prezzo della merce-lavoro è davvero molto basso: l’accumulazione di capitali richiede il massimo dello sfruttamento del lavoro operaio. Salari che consentono la pura sopravvivenza fisica, orari di lavoro massacranti, disciplina durissima, nessuna forma di tutela per infortuni, malattie, gravidanza, pensioni. Ancora peggio va alle donne e ai fanciulli, largamente sfruttati e sottopagati. Nascono così le “società di mutuo soccorso” che hanno lo scopo di fornire sussidi ai propri aderenti. I soci si autotassano per permettere a chi si ammala, o si infortuna, o alla famiglia di chi muore di poter attingere a un fondo comune. Nel 1891 a Milano, Piacenza e Torino nascono le prime “Camere del Lavoro” e nel 1892 il Partito Socialista Italiano, che dichiara le Camere del lavoro strumento di lotta sindacale dei lavoratori. Nel 1901 si costituiscono le prime federazioni sindacali: tipografi, ferrovieri, edili, lavoratori agricoli e la FIOM. Nell’ultimo decennio del secolo, tuttavia, le classi dominanti tentano, con il governo Crispi, di reprimere con spietata durezza le mobilitazioni sociali che crescono in ogni parte del paese. L’ultimo grande tentativo di reprimere con la forza le crescenti lotte per il diritto all’organizzazione sindacale, l’aumento dei salari e la riduzione degli orari di lavoro avviene nel dicembre 1900, con lo scioglimento della Camera del lavoro di Genova. Lo sciopero di protesta, proclamato dai lavoratori portuali, si estende immediatamente agli operai delle fabbriche e coinvolge tutta la città. Il decreto di scioglimento viene revocato. Il grande successo del primo sciopero generale contribuisce a determinare una profonda svolta politica in Italia. Finalmente le classi dominanti si accorgono che non è più possibile solo reprimere le rivendicazioni. Il 29 settembre 1906, a Milano, le Camere del lavoro, le Leghe e le Federazioni decidono di confluire in una unica organizzazione e fondano la Confederazione Generale del Lavoro (CGdL). Sono presenti all’atto di nascita delegati di quasi 700 sindacati locali, in rappresentanza di oltre 250.000 iscritti. 2. La CGdL - Confederazione Generale del Lavoro Fin dall’inizio, la CGdL si configura come organizzazione ba-

sata sulla solidarietà generale fra lavoratori e non soltanto sulla rappresentanza di mestiere. Un ruolo importantissimo è svolto dalle Camere del Lavoro con funzioni di unificazione della classe operaia e di coordinamento fra i sindacati, gestiscono il collocamento al lavoro e la formazione, prestano assistenza nelle controversie di lavoro. Nelle Camere del Lavoro si insegna a leggere e scrivere e si organizzano biblioteche popolari. La CGdL si caratterizza per una struttura fortemente centralizzata e, a differenza delle Trade Unions inglesi e dei sindacati tedeschi, l’idea di confederazione generale prevale su quella delle singole federazioni di categoria. Nel primo decennio del nuovo secolo si realizzano importanti conquiste nell’ambito della legislazione sociale e si affermano significative esperienze di contrattazione territoriale e nazionale. Il governo Giolitti vara le prime leggi di tutela del lavoro delle donne e dei fanciulli, decreta l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, regola il riposo settimanale e impone il divieto del lavoro notturno in alcuni settori. Inoltre, riforma la Cassa nazionale invalidità e vecchiaia, primo embrione del futuro Istituto Nazionale della Previdenza Sociale. Si firmano i primi contratti collettivi di lavoro e nascono le prime forme di rappresentanza sui luoghi di lavoro, le Commissioni Interne, i contratti aziendali alla Società Automobilistica Itala di Torino e alla Borsalino ne legittimano l’esistenza. Il cauto riformismo del governo Giolitti subì una brusca inversione di tendenza con la guerra di Libia (1911-1912). Nel segno di un nazionalismo aggressivo e reazionario, riprendono le repressioni poliziesche contro il movimento operaio. La CGdL, che si oppone alla guerra coloniale, è indebolita dalla scissione dei sindacalisti rivoluzionari che formano la USI, che a sua volta subirà una scissione da parte dei sindacalisti “interventisti”, favorevoli all’entrata in guerra dell’Italia. La situazione peggiora con lo scoppio della prima guerra mondiale. La CGdL proclama manifestazioni contro la guerra in tutto il paese. Quando l’Italia entra in guerra, viene decretata la “mobilitazione industriale”, le industrie di importanza strategica sono sottoposte a disciplina militare e viene abolito il diritto di sciopero. Anche la legislazione sociale introdotta nel periodo giolittiano è di fatto abrogata. Alla fine della guerra, le tensioni accumulate durante il conflitto, con una l’inflazione spaventosa determinata dalla mancanza dei generi di prima necessità, innescano una formidabile ripresa della conflittualità sociale e delle rivendicazioni sindacali. La forza organizzata dalla CGdL cresce nel “biennio rosso” (1920-1921), dai 250.000 iscritti alla fine della guerra a oltre 1 milione nel 1919 e 2 milioni e duecentomila nel 1920. Nel tumultuoso clima politico e sociale del dopoguerra, fortemente influenzate dall’esempio della rivoluzione sovietica, si ottengono grandi conquiste. Nel febbraio del 1919 la FIOM realizza la storica conquista della giornata lavorativa di 8 ore. A Torino, per impulso del movimento Ordine Nuovo di Antonio Gramsci e Palmiro Togliatti, si impongono nuovi strumenti di rappresentanza operaia, sul modello dei soviet bolscevichi: i consigli di fabbrica. Nel 1920 la FIOM presenta agli industriali un memoriale contenente rivendica-

zioni salariali e normative. Dopo il rifiuto dei padroni a trattare, si arriva rapidamente all’occupazione delle fabbriche, che coinvolge circa 400.000 operai. L’occupazione delle fabbriche del settembre 1920 si chiude con una dura sconfitta e la reazione padronale non si fa attendere. I grandi gruppi industriali decidono di finanziare il movimento e i fascisti si scatenano contro le sedi delle camere del lavoro, delle cooperative, del partito socialista e dei Comuni amministrati dai socialisti in un clima continuo di aggressioni, incendi e omicidi spesso protetti dalle forze dell’ordine. La risposta allo squadrismo fascista è debole. Il partito socialista è lacerato da contrasti interni, che culminano con la scissione, al congresso di Livorno, con la fondazione del Partito Comunista d’Italia. Siamo nel 1921. La vecchia classe politica di orientamento monarchico e liberale apre di fatto le porte ai fascisti, nell’illusione di poterli controllare. Nell’ottobre del 1922 la monarchia favorisce l’avvento al potere del partito fascista, ancora largamente minoritario nel paese, chiamando Mussolini a formare il governo. Con il Patto di Palazzo Chigi (1925) e con il Patto di Palazzo Vidoni (1926) il regime fascista e la Confindustria stabiliscono il riconoscimento giuridico del solo sindacato fascista. Contemporaneamente, viene praticamente eliminata la libertà di espressione, di associazione e di sciopero. All’inizio del 1927, il Comitato Direttivo della CGdL decide l’autoscioglimento. Molti dirigenti sindacali tuttavia decidono di tenerne vivo il nome: così Bruno Buozzi esule in Francia, così dirigenti sindacali comunisti clandestinamente in Italia. 3. Breve la vita della CGIL unitaria Nei primi mesi del 1943 la “lunga notte” del fascismo si avvia alla sua tragica conclusione. Lo sbarco degli alleati anglo-americani in Sicilia, praticamente senza incontrare resistenza, precipita il regime fascista nel panico. Ma un grave colpo alla credibilità del regime era già stato inferto nel marzo del 1943, con i massicci scioperi che gli operai di Torino e delle grandi fabbriche del Nord effettuarono – cogliendo del tutto di sorpresa l’apparato fascista - per protestare contro la guerra e il carovita. Fu l’inizio della riscossa operaia, preparata nei mesi precedenti dalla CGdL clandestina, le cui due anime - quella all’estero di Bruno Buozzi e quella operante in Italia - avevano superato stretto dal 1935 un patto di unità di azione. Il 9 giugno del 1944, in una capitale ancora occupata dall’esercito nazista, viene firmato il Patto di Roma fra i tre principali partiti antifascisti. Il patto sancisce l’unità sindacale e la ricostituzione della Confederazione Generale Italiana del Lavoro (CGIL) e viene siglato da Giuseppe Di Vittorio per il PCI, da Emilio Canevari per il PSI, da Achille Grandi per la DC. Bruno Buozzi, che con Di Vittorio aveva lavorato intensamente alla realizzazione del Patto, era stato trucidato dai tedeschi pochi giorni prima della sigla. La Chiesa non si oppone a una CGIL unitaria fortemente voluta dai comunisti e dai socialisti ma, a ogni buon conto, favorisce la costituzione, nel 1945, delle ACLI. Fino alla fine della guerra la CGIL si adopera nelle regioni liberate per diffondere le Commissioni Interne e le Camere del lavoro e stipula accordi salariali, fra cui quello per l’indennità di contingenza (che deve appunto

Storia della CGIL ai tempi dei comunisti

il suo nome alla “contingenza” della guerra). La CGIL contribuì fortemente alla vittoria della Repubblica nel referendum che pose fine alla monarchia. Alle elezioni del 2 giugno 1946, che decisero la nascita della Repubblica e l’Assemblea Costituente che avrebbe redatto la nuova Costituzione, parteciparono per la prima volta in Italia anche le donne, ma l’eliminazione dai contratti collettivi nazionali delle tabelle remunerative differenti per maschi e femmine sarà sancita solo nel 1960. L’Italia, dopo la liberazione, è in condizioni disastrose. La CGIL, di fronte ai gravi problemi di ricostruzione del paese, stipula gli accordi nazionali che fissano salari, paga base, indennità di contingenza e assegni familiari, pur decidendo una “tregua salariale” per favorire il rientro dell’inflazione. Al I congresso nazionale, che si svolge a Firenze nel giugno 1947, la CGIL registra 5.735.000 iscritti. Segretario generale viene eletto Giuseppe Di Vittorio. Ma già in quel congresso si avvertono i segni delle divisioni fra la componente socialcomunista e quella cattolica. Il fatto è che lo scenario politico è rapidamente cambiato. A Yalta le grandi potenze vincitrici del nazismo si dividono il mondo in due sfere contrapposte: l’est europeo e asiatico a egemonia sovietica, l’occidente capitalistico a influenza economica e militare degli Stati Uniti d’America. E’ la “guerra fredda. L’Italia è un paese strategicamente importante: collocato ai confini del blocco dei paesi socialisti, rappresenta inoltre una sorta di portaerei naturale per la sua configurazione geografica nel-

l’area del mediterraneo. Fortissima è dunque la pressione americana per ridurre e isolare la presenza del Partito comunista, che ha accresciuto notevolmente la sua forza, soprattutto fra i lavoratori, durante gli anni della lotta al fascismo. I comunisti nel maggio del 1947 sono estromessi dalla direzione del Paese e la rottura del Governo di unità nazionale si riverbera anche sulla CGIL. Il contributo ancora unitario dei dirigenti della CGIL ai lavori della Costituente permette alla nuova Costituzione Italiana di assumere il lavoro quale valore fondamentale della vita civile e sociale e di sancire l’assoluta libertà e volontarietà dell’organizzazione sindacale. Alle elezioni del 18 aprile del 1948 la Democrazia Cristiana conquista la maggioranza assoluta dei seggi in Parlamento, il rischio di una rottura sindacale è sempre più probabile nonostante l’impegno personale di Di Vittorio a mantenere l’unità della CGIL. Il pretesto che la corrente democristiana cercava per scindersi dalla CGIL è fornito dallo sciopero generale che la Confederazione proclamò a seguito dell’attentato a Togliatti avvenuto il 14 luglio del 1948. Ma la decisione era già presa da tempo, l’esistenza delle ACLI offriva una struttura su cui basarsi e pochi giorni dopo lo sciopero la componente democristiana decise la scissione dalla CGIL. Il nuovo sindacato fu denominato inizialmente “Libera CGIL” e poi, nel 1950, definitivamente CISL. Contemporaneamente, sempre nel 1950, escono dalla CGIL anche i centristi laici e socialdemocratici e fondano la UIL.

4. La CGIL di Di Vittorio Gli anni 50 sono gli anni della divisione - ma sarebbe meglio dire della contrapposizione frontale, fra i principali sindacati che subiscono il collateralismo con i partiti politici di riferimento. In particolare, la CISL sostiene i governi centristi della Democrazia Cristiana e cerca l’insediamento nelle aziende con una politica negoziale basata sulla moderazione e la collaborazione con l’impresa. La CGIL è fortemente classista e anticapitalista, legata a doppio filo con i partiti di ispirazione marxista e si impegna in grandi lotte politiche generali come quando, nel gennaio e nel marzo del 1953, proclama lo sciopero generale contro la “legge truffa”, una legge elettorale maggioritaria voluta dal governo per rafforzare la propria maggioranza. Ma la rottura non è soltanto di natura ideologica. Emergono differenze fondamentali anche sulla concezione della rappresentanza e della democrazia sindacale, differenze le cui tracce permangono tuttora e spiegano perché, nonostante la caduta delle antiche barriere ideologiche, sia ancora oggi così difficile la strada dell’unità sindacale. La CGIL ha una visione della rappresentanza di tipo “universalistico”. In buona sostanza essa pensa che l’azione negoziale, riguardando tutti i lavoratori, iscritti e non iscritti al sindacato, debba essere validata appunto “dall’universo” dei lavoratori. La CISL ritiene, al contrario, che fonte di legittimazione della propria azione siano soltanto i propri “soci” e cioè coloro che hanno liberamente deciso di associarsi al loro sinda-

cato. Da qui, la contrarietà all’istituto del referendum e alla definizione legislativa della rappresentanza, come pure è previsto dall’art. 39 della Costituzione. In un clima di pesante anticomunismo, scatta - dopo la rottura sindacale - una dura repressione nei confronti dei militanti della CGIL in fabbrica e nelle campagne. Molti attivisti sono licenziati, molti altri costretti - come alla FIAT - nei reparti “confino” dove vengono umiliati anche quadri di grande professionalità. Sempre alla FIAT dal ‘49 al ‘53 sono licenziati 30 membri di commissione interna iscritti alla CGIL. L’ambasciatrice americana in Italia, Clara Luce, dichiara che le imprese dove i sindacalisti della CGIL avessero ottenuto più del 50% dei voti alle elezioni della Commissione Interna non avrebbero potuto accedere a contratti con gli USA. Pio XII lancia la scomunica ai comunisti e favorisce l’alleanza con il MSI per il Comune di Roma. Durissima è anche la repressione poliziesca. Il Ministro degli interni Scelba scatena i reparti della “celere” contro le manifestazioni operaie e non si esita a sparare sui lavoratori. La CGIL, guidata dal comunista Giuseppe di Vittorio, reagisce ai durissimi attacchi di Governo e Confindustria lanciando il “Piano del lavoro”, una grande iniziativa politica con al centro un’altra idea di sviluppo economico e sociale. Il Piano del lavoro prevede la nazionalizzazione delle aziende elettriche, la realizzazione di un vasto programma di opere pubbliche e di edilizia popolare, la costituzione di un ente nazionale per la bonifica e l’irrigazione delle terre. Il

Piano del lavoro non fu recepito dal Governo ma con esso la CGIL riesce a rompere l’isolamento, a parlare a tutto il paese, a tenere uniti lavoratori occupati e disoccupati, gli operai delle fabbriche del Nord e i braccianti delle campagne del Sud. Al III congresso del 1952, la CGIL assume l’obiettivo di far entrare la Costituzione nei luoghi di lavoro, con il riconoscimento dei diritti dei lavoratori. Obiettivo che si concretizzerà nel 1970, con l’approvazione dello Statuto dei lavoratori. Il contrasto con la CISL e la UIL è all’apice e mentre la CGIL si batte per le grandi questioni nazionali, soprattutto la CISL persegue il proprio radicamento nelle fabbriche siglando numerosi accordi separati. Le stesse elezioni delle Commissioni interne, nei luoghi di lavoro, si svolgono all’insegna della più aspra contrapposizione ideologica fra le organizzazioni sindacali, riflettendo le scontro frontale delle elezioni politiche. E proprio alle elezioni per il rinnovo della Commissione Interna alla FIAT, nel marzo del 1955, la FIOM CGIL, che dalla Liberazione aveva sempre conquistato la maggioranza assoluta con percentuali prossime al 65%, subisce un pesante ridimensionamento diventando il secondo sindacato con il 36% dei voti, mentre alla FIM CISL va il 41% e il 23% alla UILM. Ma la CGIL reagisce con un’analisi rigorosa delle ragioni della sconfitta: una vera e propria autocritica. E’ la svolta: la CGIL accetta la sfida di misurarsi con la realtà dell’impresa e riorienta la propria politica contrattuale in direzione di una più diffusa articolazione. La contrattazione

aziendale, in questo senso, diventa uno strumento nuovo e più elastico dello scontro di classe. Questa scelta strategica permetterà alla CGIL, nel giro di pochi anni, di riconquistare posizioni nelle fabbriche e di innescare - a partire dai luoghi di lavoro – l’inizio di un nuovo processo unitario, favorito anche da un ripensamento della CISL delle proprie tesi collaborative. 5. Sessantotto e dintorni Dopo gli anni della “guerra fredda” si apre, alla fine degli anni ‘50, la stagione del disgelo cui seguirà una politica di distensione internazionale, pur con momenti di drammatica tensione come la crisi per i missili sovietici a Cuba, la costruzione del Muro di Berlino e l’inizio della “escalation” della guerra nel Vietnam. In Italia, la mutata situazione internazionale favorisce l’inizio di una timida apertura a sinistra. Ma un primo governo DC-PSDI presieduto da Fanfani è ben presto affondato e il governo Tambroni, nel 1960, ottiene la maggioranza in Parlamento grazie all’appoggio della destra neofascista. Riconoscente, Tambroni consente al MSI di celebrare il proprio congresso a Genova, città medaglia d’oro per la Resistenza. Contro questa vera e propria provocazione, a non molti anni dalla Liberazione, scoppiano a Genova e in tutto il Paese scioperi e imponenti manifestazioni di massa, nel corso delle quali la polizia spara e uccide operai e giovani. Il governo Tambroni è costretto a dimettersi il 19 luglio e si apre un lungo periodo di mutamento politico che porterà al governo di centro-sinistra con la partecipazione del PSI. All’inizio degli

anni ‘60 l’Italia è nel pieno del boom economico e da Paese prevalentemente agricolo nel dopoguerra si è rapidamente trasformata in una delle Nazioni più industrializzate del mondo. I bassi salari hanno favorito l’insediamento di molti capitali stranieri e la nascita di nuove industrie manifatturiere italiane. Il tumultuoso processo di industrializzazione produce costi sociali enormi. In particolare si rafforza lo squilibrio fra le regioni del “triangolo industriale”, Piemonte, Liguria e Lombardia, e quelle del Mezzogiorno. Tra il 1951 e il 1961 ben 1.700.000 lavoratori emigrano dalle regioni del Sud verso il Nord industrializzato: un vero e proprio esodo di massa. Alla fine del 1964 le correnti interne alla CGIL avevano la seguente consistenza: 57,2% per i comunisti, 28% per i socialisti, 14,8% per i socialproletari. Il patto di governo della CGIL fra le diverse componenti manterrà l’unità interna fino alla fine degli anni 80, nonostante la divaricazione dei relativi partiti di riferimento. Nel 1965 si svolgono i congressi della CGIL e della CISL, entrambi caratterizzati da un forte dibattito sulla programmazione economica e sull’autonomia del sindacato e sono decise le prime regole per l’incompatibilità fra cariche politiche e sindacali. Il congresso delle Acli rompe ogni colletaralismo con la DC e si pronuncia per l’unità sindacale e contro ogni forma di discriminazione verso i comunisti. La FIM radicalizza in senso anticapitalistico le proprie posizioni e si schiera contro la politica imperialista degli USA nel Vietnam. Il 1968 si apre con un successo storico per il movimento operaio: la riforma delle pensioni, ottenuta dopo che una forte protesta dei luoghi di lavoro aveva indotto la CGIL a ritirare il consenso di massima che aveva espresso, con CISL e UIL, su un precedente accordo con il governo. Lo sciopero generale proclamato dalla sola CGIL il 7 marzo registra ovunque un’adesione massiccia e unitaria. Nel frattempo è esplosa la rivolta studentesca, partita dalla università californiana di Berkeley contro la chiamata alla guerra nel Vietnam, si estende alla Francia, alla Germania e all’Italia. La contestazione riguarda l’intero sistema formativo, il suo carattere selettivo e mette in discussione l’intero modello sociale. In Italia, le lotte studentesche si intrecciano con le lotte. Al Petrolchimico di Porto Marghera, alla Pirelli Bicocca di Milano e in molte altre grandi fabbriche si sperimentano nuove forme di rappresentanza, per delega diretta del gruppo omogeneo di reparto e non per sigla sindacale. Il Primo Maggio 1968 vede, per la prima volta dopo la rottura del 1948, cortei unitari di CGIL, CISL e UIL a celebrare insieme la festa del lavoro. Nonostante una forte repressione poliziesca che reprime con diversi morti le lotte scopiate nel sud Italia (Avola, Battipaglia), all’inizio del 1969 si conclude positivamente un’altra grande vertenza sindacale, che assume un valore emblematico della spinta egualitaria che sale dalle fabbriche: l’abolizione delle “gabbie salariali” e cioè dei salari differenziati a seconda dell’area geografica di appartenenza. Preceduta da migliaia di vertenze e accordi aziendali, la stagione dei contratti nazionali in autunno si avvia con un durissimo braccio di ferro alla Fiat e esplode con piattaforme rivendicative radicalmente innovative : aumenti salariali uguali per tutti, le 40 ore settimanali, il diritto all’as-

semblea in fabbrica, il controllo sull’organizzazione del lavoro, la parità normativa fra operai e impiegati, le “150 ore” per il diritto all’istruzione dei lavoratori. Lo sciopero generale indetto il 19 novembre dalle tre confederazioni sindacali sulle riforme e in particolare sul diritto alla casa, registra un’adesione pressoché totale. Soprattutto cresce un nuovo protagonismo dei lavoratori, che vogliono decidere le piattaforme, rivendicano il diritto a nuove forme di lotta, impongono nuove pratiche democratiche. E’ la nascita dei consigli di fabbrica, che il nuovo sindacato unitario degli anni 70 riconoscerà come propria struttura di base. 6. Gli anni della crisi L’autunno caldo si dilata per buona parte del decennio successivo. Nel maggio del 1970 è varata, sull’onda delle grandi lotte di massa e per iniziativa del Ministro socialista del Lavoro, Giacomo Brodolini, la legge 300 nota come “Statuto dei lavoratori” che riconosce ai lavoratori: diritto all’opinione politica e sindacale, diritto all’assemblea nei luoghi di lavoro, diritto di partecipazione e di organizzazione sindacale in fabbrica, diritto – con il famoso art. 18 – al ripristino del rapporto di lavoro in caso di licenziamento senza giusta causa. Le piattaforme, le lotte, gli accordi si svolgono ovunque in modo unitario, sia a livello nazionale che territoriale. Dai luoghi di lavoro, la spinta in senso unitario è fortissima, favorita anche da un forte ricambio generazionale dei delegati e dei rappresentanti sindacali. Nell’ottobre del 1970 i consigli generali delle tre confederazioni si riuniscono a Firenze per esaminare la possibilità di avviare un percorso di unificazione sindacale. In particolare i sindacati metalmeccanici FIOM, FIM e UILM spingono sull’acceleratore, ma nella UIL e in larghi settori della CISL nascono forti resistenze. Nel luglio 1972 i tre consigli generali, in sessione unificata, siglano a Roma il Patto Federativo, eleggendo un direttivo paritetico di 90 componenti e una segreteria di 15 componenti, ugualmente paritetica. La Federazione CGIL, CISL e UIL garantirà la gestione unitaria delle principali vicende sindacali per tutti gli anni 70 e sarà sciolta definitivamente dal governo Craxi. Nell’ottobre del 1972 l’assemblea nazionale dei delegati metalmeccanici fonda la Federazione Lavoratori Metalmeccanici (FLM) con organismi e sedi unitarie a ogni livello. I metalmeccanici, nell’ottobre 1972, organizzano un grande manifestazione a Reggio Calabria, epicentro di una ribellione popolare, guidata dalla destra neofascista. L’approvazione della riforma sanitaria e di quella scolastica, dopo la riforma delle pensioni, completano la struttura essenziale del welfare italiano. Gli anni settanta sono segnati anche da grandi conquiste civili, grazie soprattutto alle lotte di emancipazione e liberazione femminile. Nel 1970 è approvata la legge 898 sul divorzio, nel 1971 la fondamentale legge 1204 di tutela delle lavoratrici madri e quella sugli asili nido. Nel 1975 è varata la legge 151 di riforma del diritto di famiglia che introduce la parità tra uomini e donne nell’ambito familiare e nel 1976 la legge 903 di parità in materia di lavoro. Infine, nel 1978 è approvata la legge 194 “ Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”. Quest’ ultima legge e, in precedenza, quella sul divorzio hanno anche

registrato due grandi vittorie del NO ai rispettivi referendum abrogativi. Tuttavia, nella seconda metà degli anni settanta, l’azione del sindacato inizia a indebolirsi. Gli industriali utilizzano la crisi economica per ribaltare a proprio favore i rapporti di forza scaturiti dall’autunno caldo. Quasi ovunque, nelle aziende, si attuano intensi processi di ristrutturazione, favoriti dall’introduzione di nuove tecnologie di automazione dei processi produttivi. Gli investimenti in nuovi impianti, basati sulla robotica e sull’informatica, tendono soprattutto a risparmiare forza lavoro, creando forti eccedenze di personale. Cresce a dismisura il ricorso alla cassa integrazione a zero ore, alla fine della quale scattano licenziamenti collettivi. Contro l’accresciuto potere del movimento sindacale, vengono scatenate anche oscure trame golpiste e lo stragismo fascista. Il 28 maggio 1974, in Piazza della Loggia a Brescia, esplode una bomba durante una manifestazione sindacale. Otto morti e più di cento feriti è il tragico bilancio di quell’attentato fascista. Un’altra bomba fascista, pochi mesi dopo, esplode sul treno Italicus provocando 12 morti e 48 feriti. Il 16 marzo 1978, il giorno in cui fu rapito, Aldo Moro - presidente della DC - si stava recando in parlamento per il voto di fiducia al governo Andreotti, che includeva, per la prima volta nella storia della Repubblica, il PCI nella maggioranza. Il 2 agosto 1980, quasi in un tragico contrappunto, un’altra strage fascista ferisce il paese: una bomba esplode alla stazione di Bologna causando 85 morti e 200 feriti. Nel settembre del 1980 la Fiat dichiara che procederà al licenziamento di 14.000 lavoratori e mette unilateralmente in cassa integrazione 23.000 lavoratori. E’ l’inizio di un drammatico braccio di ferro. I metalmeccanici - contro i licenziamenti – bloccano la produzione e presidiano per 35 giorni i cancelli della Fiat. Enrico Berlinguer, segretario generale del Partito Comunista Italiano, con un comizio davanti ai cancelli della Fiat di Mirafiori sostiene la lotta dei lavoratori. Contro questa lotta, e contro il sindacato che l’ha organizzata, la Fiat stimola e ottiene la reazione di quadri e impiegati, che organizzano un corteo di protesta, ricordato come la “marcia dei 40.000” per le vie di Torino. Le vicende della Fiat segnano sempre, nel bene e nel male, la storia sindacale e dopo la sconfitta si acuiscono i dissensi già presenti all’interno della Federazione Unitaria CGIL-CISL-UIL. Dopo aver respinto unitariamente, con una grande manifestazione a Roma nel giugno del 1982, la disdetta dell’accordo sulla scala mobile da parte della Confindustria, emergono posizioni nettamente contrastanti. Il problema viene risolto il 14 febbraio 1984 dal governo Craxi, con il famoso “decreto di San Valentino” che taglia per legge 4 punti di scala mobile. CISL e UIL esprimono il proprio consenso al decreto, la CGIL si oppone duramente e lancia una imponente mobilitazione sociale. La grave divisione fra le organizzazioni sindacali provoca la rottura definitiva della Federazione Unitaria. Il Partito comunista raccoglie le firme per il referendum abrogativo del decreto, che si svolge nel 1985, con la vittoria di misura del Governo. Un anno prima era morto Enrico Berlinguer. Al Congresso di Rimini del febbraio 1991 muore il Partito Comunista Italiano.

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La storia “dimenticata” della CGIL di Foligno Senza memoria non c’è consapevolezza del presente e tanto meno ci può essere progetto per il futuro L’idea degli inserti di questo giornale poggia sul progetto di fornire elementi di conoscenza, memoria, informazione che, senza pretesa né di completezza né di qualità scientifica, si propongono l’obiettivo di stimolare curiosità, interessi e dibattito anche, se necessario e comunque sia il benvenuto, di scontro e confronto politico, ideologico e culturale. Alcuni numeri addietro abbiamo realizzato un inserto dedicato alla storia dei comunisti nella amministrazione comunale di Foligno, specificamente nel suo periodo più duro e difficile della ricostruzione post bellica e della sottomissione del nostro paese all’influenza interna della Democrazia Cristiana ed esterna degli Stati Uniti d’America. Per questo numero avevamo pensato di ripetere l’operazione appuntando l’attenzione sulla storia parallela, ma fortemente interdipendente, dei comunisti nell’azione sindacale e dunque sulla storia del sindacato comunista, la CGIL. Nella redazione del precedente inserto avevamo avuto la fortuna (guidata peraltro da una “memoria storica” della amministrazione comunale, Roberto Testa) di reperire negli archivi della biblioteca comunale una straordinaria (anche perché ma più ripetuta) pubblicazione del rendiconto ai cittadini reso dalla prima amministrazione comunale. Questa volta le ricerche sono state straordinariamente (stesso termine in senso negativo) deludenti. Nonostante la preziosa e generosa collaborazione di un’altra “memoria storica” del sindacato, Feliciano Cer-

IV

velli, e un’ulteriore collaborazione documentale degli operai della FIOM della OMA, che stanno ammirabilmente cercando di costruire una biblioteca sindacale, siamo riusciti a trovare solamente materiali fotografici (anche se abbondantissimi), ma tutti riferiti ai soli primi anni del dopo guerra. Ne è valsa a recuperare la memoria della storia della CGIL locale la celebrazione del centenario della nascita della Confederazione (abbiamo acquisito un’ottima pubblicazione, purtroppo però limitata al solo periodo temporale dalla nascita della Camera del Lavoro di Foligno, primi del novecento, sino all’avvento della dittatura fascista che, per circa un ventennio, la ha condannata al silenzio). La delusione e il dispiacere sono notevoli, anche perché il materiale fotografico raccolto ci racconta con le immagini di fenomeni di partecipazione impressionanti, non solo se rapportati all’odierna (chiamiamola) disaffezione di massa, ma anche in termini assoluti per quei tempi e quel territorio. Testimonianze di una realtà di lavoro, soprattutto operaio e metalmeccanico di alto profilo professionale, unica nella nostra Regione e di rilevanza persino nazionale (sorprendente indice in tal senso è la presenza del sindaco di Bologna, il “sindaco” per antonomasia Dozza, in testa a un corteo del 1 maggio a fianco del sindaco di Foligno Fittaioli). Ringraziamo ovviamente la famiglia di uno dei principali artefici della Camera del Lavoro di Foligno, Vincenzo Loreti, che ci ha almeno consentito di ricordarne,

anche se per brevi cenni, la vita e l’azione. Questo inserto si chiude quindi, deliberatamente, con una quarta pagine “tronca”; bianca com’è bianca (sbiancata?) la memoria delle lotte sindacali della nostra città. L’augurio che questa “denuncia” provochi una benefica reazione e chi ne ha il dovere, per memoria personale e per ruolo, perché si impegni a colmare questa gravissima lacuna. Abbiamo festeggiato i 150 anni dall’Unità d’Italia celebrando anche, con abbondanza di materiali, ricerche e studi, importanti personaggi della nostra città che hanno vissuto e contribuito a quegli eventi remotissimi. Cosa ne è della nostra storia più recente, quella che realmente e concretamente ha creato i presupposti del nostro oggi? Vengono in mente i tempi della scuola primaria e inferiore quando gli scolari venivano tempestati dalla narrazione delle gesta eroiche del risorgimento sino all’irredentismo della prima guerra mondiale, quella “grande”, quella vinta dall’Italia, mentre veniva calata una cortina di silenzio sul più recente passato della dittatura fascista, della resistenza e della nascita della Repubblica. Stiamo forse tornando a quei tempi di oscurantismo ideologico e culturale? Ci auguriamo di no e, quindi, confidiamo che coloro che possono e che debbono facciano il loro dovere. Ci impegniamo quindi a tornare sul tema delle lotte sindacali che hanno interessato il nostro territorio a partire dal secondo dopoguerra non appena disporremo dei materiali oggi mancanti.

Vincenzo Loreti è nato a Foligno il 6 gennaio 1928. Rimasto orfano di padre insieme ad altri due fratelli (che complessivamente avevano 8 anni), a causa della povertà in cui si era venuta a trovare la famiglia, venne affidato agli zii paterni che abitavano a Roma. Nel 1937 tornò a Capodacqua con la madre, che nel frattempo si era risposata, e completò gli studi frequentando la quinta elementare. Iniziò quindi a lavorare nell’agricoltura e al taglio della legna per aiutare la famiglia. Nel 1939 dotato di amore per il sapere e fornito di un’arguta intelligenza si iscrisse a Foligno alla scuola di avviamento industriale conseguendo ottimi risultati. Sopraggiunta la guerra, nel 1940 fu costretto a sospendere gli studi che riprese al termine della guerra. Nel 1943, giovanissimo, iniziò l’attività di partigiano portando viveri e medicinali ai compagni nascosti nei boschi. Tra il ’49 e il ’51, tornato dal servizio militare, riprese a lavorare nella campagna per i “padroni” della zona, continuando a leggere ogni genere di libri sul partito comunista. In questo periodo visse la sofferenza del lavoratore della terra, del suo sfruttamento e sentì l’esigenza di lottare per la conquista dei diritti dei lavoratori. Già dal 1° maggio del 1951 riuscì a far rispettare la Festa dei Lavoratori, coinvolgendo tutti i suoi compagni a non lavorare e a farsi retribuire la giornata come di diritto, pur sapendo che il giorno successivo sarebbero stati licenziati, e così accadde. Nel 1951, venuto a conoscenza che a Foligno c’era una riunione sulle problematiche del

lavoro, partì a piedi da Capodacqua per parteciparvi e intervenire portando il suo pensiero. Il Sindaco Italo Fittaioli, presente all’Assemblea, rimase colpito dal suo intervento, volle conoscere il giovane e, intuitone il coraggio, l’entusiasmo e le capacità, lo indirizzo alla Scuola di Partito passaggio allora necessario per l’iscrizione al Partito Comunista (varrà di ricordare che la scuola di partito del PCI non era affatto un luogo di becero indottrinamento, ma una vera e propria “università” per la solida preparazione culturale e scientifica dei futuri quadri politici, sindacali e amministrativi del PCI. A quella scuola insegnavano i più qualificati docenti, anche di livello universitario e di fama internazionale. All’epoca fare parte del Partito Comunista era una prerogativa di tutti i maggiori esponenti della cultura, della scienza e dell’arte italiani). Da quel momento in poi Loreti lavorò nel PCI e nel 1952 entrò a far parte della CGIL con l’incarico di seguire il patronato INCA, successivamente le vertenze e i contratti. In quel periodo era segretario della Camera del Lavoro di Foligno Paolo Ortolani (per chi ne ha ancora memoria, detto “Peppoletta”). Nel 1958 Loreti assunse l’incarico di segreteria della Camera del Lavoro, della quale divenne segretario nel Congresso del 1965 e vi rimase sino al 1975. Il Partito Comunista di Foligno iniziava allora un lungo

percorso di mutazione genetica con l’ingresso massiccio di “quasi” comunisti e il progressivo depotenziamento e allontanamento dei quadri storici. In forte e aperto contrasto con questa grave deriva ideologica, che dal Partito era ricaduta anche sul suo sindacato, Loreti si dimise dalla carica di segretario della Camera del Lavoro e, senza pretese (né, va detto, minime offerte di aiuto), tornò al mondo del lavoro, anche concorrendo per un posto di “spazzino” nell’azienda municipalizzata. Emblematica la specifica circostanza che portò alla rottura con la nuova dirigenza del Partito e del sindacato: l’occupazione da parte di lavoratori a rischio di posto di lavoro della sala del Consiglio Comunale. L’Amministrazione “comunista” reagì con una denuncia penale e, come detto, con la sostanziale cacciata dell’ “agitatore” sindacalista responsabile. L’Amministrazione, cioè l’esercizio del “potere”, aveva sopraffatto il Partito e lo stessa cosa si apprestava a fare anche con il sindacato dei lavoratori.


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