Comandante
Mensile di informazione, politica e cultura dell’Associazione Luciana Fittaioli - Anno V, n. 4 - aprile 2013 - distribuzione gratuita
“Prima di giudicare (e per la storia in atto o politica il giudizio è l’azione) occorre conoscere e per conoscere occorre sapere tutto ciò che è possibile sapere” (Antonio Gramsci) “Faremo il possibile per esporre in forma semplice e popolare, senza presupporre la conoscenza nemmeno dei concetti più elementari. Vogliamo farci comprendere dagli operai.” (Karl Marx)
2 Sommario del mese di aprile Elezioni. Quale il futuro di Foligno? di Luigi Napolitano
pagina
5
Il lavoro la nostra “stella” di Andrea Tofi Liberismo economico e lavoro a cura di Redazione
pagina
7
pagina
9
De tu querida presencia La rivoluzione bolivariana gramsciana a cura di Sandro Ridolfi
pagina 11
Chavez con Gramsci La conquista dell’egemonia a cura di Sandro Ridolfi
pagina 15
Lascia passare il mio popolo Mozambico (parte prima) di Sofia Gonoury e Sara Mirti
pagina 19
Siate “buoni”, siate “folli” Dal “Cantico” al Tablet di Sandro Ridolfi
pagina 23
Lisbon Story Il suono e il sogno a cura della Redazione
pagina 27
Storie curiose di baci Un complicato e versatile omaggio di Sara Mirti
pagina 31
Carmen Storia di una donna libera di Chiara Mancuso
pagina 35
Regalo di compleanno Ho cominciato a leggere dentro di me di Catia Marani
pagina 39
Nero di Pece Oltre le barriere dell’anima un racconto di Annarita Falsacappa
pagina 43
Redazione: Corso Cavour n. 39 06034 Foligno redazionepiazzadelgrano@yahoo.it
Autorizzazione: tribunale di Perugia n. 29/2009 Editore: Sandro Ridolfi Direttore Responsabile: Maria Carolina Terzi Sito Internet:
Andrea Tofi Stampa: GPT Srl Città di Castello Chiuso: 24 marzo2013 Tiratura: 3.000 copie Periodico dell’Associazione “Luciana Fittaioli”
3
Editoriale
Merloni, la crisi dimenticata Ci sono le risorse, mancano le idee e le competenze “Di fronte alla crisi economica, la coesione sociale si crea soprattutto con la protezione e il sostegno del lavoro, dei lavoratori e del loro reddito, attraverso il consolidamento degli strumenti regionali sia di tutela che di promozione attiva e dotandosi anche di nuovi strumenti regionali a sostegno di una ripresa con occupazione, con misure che aiutino la resistenza e il rilancio della base occupazionale”. Con queste parole il presidente della Regione Marche, Gian Mario Spacca, aveva annunciato la sottoscrizione il 19 marzo 2010 dell’Accordo di Programma per la salvaguardia dei posti lavoro messi a rischio dal fallimento del Gruppo industriale Antonio Merloni. Le stesse parole erano state ripetute con la medesima enfasi anche dalla Giunta della Regione Umbria il cui territorio era da subito apparso destinato a subire le maggiori conseguenze di perdita produttiva e occupazionale. Il mega stabilimento di Colle di Nocera, che alla data occupava circa 1.200 tra operai e impiegati, da tempo già soffriva, infatti, di una emarginazione produttiva nelle strategie del Gruppo Merloni che avevano spostato produzioni (e macchinari) verso stabilimenti di comodo artificiosamente realizzati nell’est europeo e comunque privilegiava produzioni più organiche dei siti storici marchigiani. L’Accordo prevedeva la messa a disposizione di 70 milioni di euro: 35 milioni dal Ministero dello Sviluppo Economico, 20 milioni dalla Regione Marche e 15 milioni dalle Regioni Umbria ed Emilia Romagna. In attesa e nella ovvia previsione di un esito sicuramente non pienamente conservativo dell’occupazione del procedimento di cessione del/dei complessi aziendali da parte della procedura di Am-
ministrazione Straordinaria, l’Accordo di Programma si proponeva tre finalità principali: sostenere gli eventuali acquirenti di assets ex Merloni in ipotesi di cessione in discontinuità produttiva; sostenere l’indotto dei fornitori del Gruppo fallito; favorire la diversificazione delle iniziative economiche del territorio che, caratterizzate da proposte innovative, contribuissero al riassorbimento dei lavoratori non reintegrati dall’eventuale acquirente dalla procedura pubblica. L’esito della vendita del complesso aziendale Merloni da parte della procedura di Amministrazione Straordinaria è stato estremamente insoddisfacente, per non dire disastroso, specificamente per quanto riguarda il sito di Nocera, sostanzialmente destinato ad essere smantellato e abbandonato. Dopo lunghissimi e ripetuti esperimenti di asta, in data 27 dicembre 2011 la procedura di Amministrazione Straordinaria ha infatti aggiudicato l’intero complesso industriale ex Merloni alla J&P Industries, società del tutto sconosciuta nel mondo dello specifico comparto industriale degli elettrodomestici e sostanzialmente creata ad hoc da ex fornitori, creditori, della società fallita (Giancarlo Porcarelli). Senza entrare nei dettagli di un “libro dei sogni” (o “delle chiacchiere” narrate dall’acquirente ai Commissari) il progetto proposto dalla società acquirente si è rilevato basato, per quanto riguarda il sito di Nocera, sullo smantellamento dell’impianto (salva la simulazione di modeste riprese di produzioni assolutamente disorganiche e quantitativamente insignificanti in relazione alle capacità produttive dello stabilimento), al punto che è lecito pensare che l’intero complesso produttivo di Nocera sia stato, in veri-
tà, comprato “a ferro” da smontare e smaltire, lasciando vuoto l’enorme “capannone” ex industriale. Nel frattempo, a dispetto degli impegni assunti con il menzionato Accordo di Programma, non è stata attivata alcuna procedura: non solo per il recupero ancorché parziale del sito produttivo (l’Accordo prevedeva il diritto della Invitalia, società destinata all’attuazione in parte dell’Accordo, di riacquistare dall’acquirente della procedura porzioni di stabilimento non utilizzate), ma neppure sono state individuate nuove iniziative produttive, da insediare nei territori dei Comuni interessati per residenza dei lavoratori espulsi dal fallimento della Merloni, in grado di recuperare e rioccupare parte della manodopera non riassunta. Fatto salvo un ristrettissimo numero di dipendenti riassunti dalla acquirente J&P Industries sulla base di elenchi nominativi assolutamente incredibili in termini di coerenza per una reale ripresa di processi produttivi (stragrande maggioranza di figure professionali inattive per qualifica ed età – moltissimi pensionandi), ancora oggi circa 700 lavoratori del sito di Nocera restano senza lavoro, seppure ancora assistiti (ma per quanto ancora?) dal sussidio di una modesta cassa integrazione. La grande crisi che ha colpito l’intero sistema economico occidentale certamente ha costituito un ulteriore elemento negativo per le speranze di una ripresa produttiva non solo del vecchio complesso industriale fallito, ma anche per l’insediamento di nuove iniziative, anche diversificate. E’ un fatto certo però che nel caso della ex Merloni esistono risorse economiche notevoli, destinate e disponibili oramai da anni, che non trovano impiego.
4 Certamente non compete alle forze politiche (quelle che sono sopravvissute), né sindacali (anche se queste ultime hanno “messo in salvo” buona parte dei propri aderenti e soprattutto funzionari da tempo immemorabile distaccati delle attività produttive), né infine alle Amministrazioni locali e alla Regione, farsi imprenditori e, anche in questo campo, il nostro paese sconta la gravissima carenza di una vera e propria classe imprenditoriale (la vicenda della ex Antonio Merloni ne è esempio “luminoso”). Resta però il forte e legittimo dubbio (con la critica) della assoluta inadeguatezza del quadro politico anche locale (sul nazionale c’è ben poco da aggiungere) a far fronte alle emergenze del proprio territorio. La “ex Regione bella”, franata sul piano della trasparenza (il ripetersi e diffondersi a macchia d’olio di procedimenti penali), sta mostrando i suoi limiti anche su quello della competenza. Il 18 ottobre 2012 è stato sottoscritto un Atto Integrativo all’Accordo di Programma del 2010 che, come dicono i politici estensori e sottoscrittori, “rimodula” la destinazione delle risorse non impegnate. "Le misure previste dalla rimodulazione
Editoriale
dell'Accordo di programma Merloni rappresentano un cambio di passo per le prospettive di occupazione dei lavoratori ancora in carico alla procedura e di rilancio del processo di sviluppo dell'area" ha affermato l’Assessore regionale umbro alle politiche industriali. Ma in che modo e in quale direzione non c’è la minima indicazione concreta. All’Atto integrativo c’è, in verità, allegata una brochure redatta da Invitalia, piena di utili dati storici e attuali, ma anche di “sogni” resi sfavillanti della fantasia della grafica e dei colori. Scenari di rilancio: fotovoltaico, domotica, green building, meccanica di precisione e percorsi virtuosi della “Offerta localizzativa”, ma neppure una ipotesi (proposta, progetto, sollecitazione) concreta. Le uniche iniziative che sembra siano state concretamente attivate in questi anni concernono la così detta riqualificazione professionale, ma anche in questo caso senza un progetto di utilità finale concreta. Si riqualifica (si dice di riqualificare) a quale fine? L’insegnamento della lingua inglese (di base) sembra il tema principale della riqualificazione offerto agli operai (saldatori, fresatori, montatori, meccanici, verniciatori, ecc. della
ex Merloni), peraltro con costi esagerati che stanno, questo sì in concreto, erodendo le somme disponibili dell’Accordo di Programma e, di fatto, sostengono solamente l’inutilità sostanziale di organizzazioni pubbliche (e parapubbliche: patronati e simili) utili solo a se stesse. Il LAVORO, o più correttamente il suo contrario: la mancanza di lavoro, è il dramma che attraversa questo nostro tempo e questa nostra società. E’ tempo che la politica, a tutti i livelli a cominciare da quello locale per quanto di sua competenza, si occupi seriamente di questo problema, ma non inteso come lavoro per se stessi, ma per la collettività amministrata. Se il territorio non è in grado di esprimere potenzialità imprenditoriali persino incapaci di profittare delle non indifferenti dotazioni economiche disponibili, si cerchino altrove, ma serie, credibili, competenti: “non importa il colore del gatto, l’importante è che prenda il topo” (Deng Xiaoping), di falsi imprenditori senza denaro, scrupoli e competenze siamo già pieni, guardiamo più avanti, altrimenti... chi non è in grado torni al suo impiego di scrivania (se ce l’ha) e si faccia da parte. (Redazione)
5
Parliamo di Politica
Elezioni. I segnali, le prospettive. Quale il futuro di Foligno? DI
A
LUIGI NAPOLITANO
vendo la stampa dato ampio risalto alle cause del risultato dell’ultima tornata elettorale, mi limito a dire che l’effetto più evidente è stato quello di aver rivelato uno scollegamento assoluto tra i poli-tici e i cittadini, con i primi chiusi, per non dire asserragliati, nelle loro tane ed i secondi decisi a contare sempre più. Non è infatti un caso che, secondo le stime, gli schieramenti di centrodestra e centrosinistra abbiano perso tanti voti rispetto a quelli conseguiti nelle precedenti elezioni. Più precisamente un voto su due il centrodestra, uno su tre il centrosinistra. Non condivido le critiche di coloro che, ponendo la responsabilità a carico dell’elettorato, ritengono che il voto sia la causa delle attuali difficoltà nella formazione del governo. Al contrario, credo che il risultato sia l’effetto dell’attività dei rappresentanti di quel mondo. A tacere della circostanza che concausa del risultato è senz’altro una legge scellerata, che nessuno degli schieramenti ha voluto concretamente modificare nell’anno di insediamento del “governo tecnico”, tuttora in carica, che pure aveva tra le sue priorità quella di riscriverla. Governo che, per inciso, con una decisione di inaudita leggerezza, è venuto meno alla parola data, ritornando sui suoi passi al primo accenno di ritorsione, circa il rientro dei fucilieri di Marina in India e inferto un ulteriore colpo alla nostra credibilità internazionale. Quanto lontani i tempi del console romano Marco Atilio Regolo che,
narra Tito Livio, catturato dai Cartaginesi venne da questi inviato a Roma per convincere il Senato a trattare la pace, avendo giurato che sarebbe comunque tornato in Africa; essendosi reso conto delle difficoltà in cui versavano i nemici, a Roma perorò la causa della guerra che fu continuata e quando, rispettando l’impegno assunto, tornò a Cartagine fu ucciso tra atroci supplizi. In questo scenario mi limiterò, in attesa di valutare gli ulteriori accadimenti, a rilevare i segnali che, da un primo esame, possono individuarsi negli atteg-giamenti assunti dai protagonisti della politica dopo le elezioni ed a porre una domanda che, spero, avrà qualche risposta. Credevo che il massimo del servilismo politico si fosse raggiunto nella precedente legislatura, in occasione del voto sul conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato. In quella circostanza, con sprezzo cosmico del ridicolo, l’allora maggioranza affermò che, siccome Berlusconi credeva che la giovane marocchina Karima El Mahroug (Ruby) fosse la nipote del Presidente d’Egitto Mubarak, avendo agito nell’esercizio delle sue funzioni di presidente del consiglio, fosse processabile solo da parte del tribunale dei ministri. Mi sbagliavo, andando oltre, buona parte degli eletti in questa legislatura della stessa parte politica, prima ancora della loro proclamazione, hanno marciato alla volta del Tribunale di Milano, per di più intonando l’inno nazionale, per protestare contro i magistrati che pretendevano di processare il loro capo. Non faccio valutazioni sui giudizi in corso, ma penso che chiunque sia costretto a confrontarsi con la giustizia, tanto più se ha rivestito cariche istituzio-
nali di rilievo, debba avere grande rispetto per quel potere dello Stato, pur senza mai rinunciare al diritto di difesa nelle forme e con i modi che la legge consente. Atteggiamenti siffatti portano, tristemente, all’esclusione dai giochi politici del centrodestra che rappresenta una parte importante dell’elettorato e pongono un problema di democrazia; problema che non può in alcun modo essere imputato alla democrazia stessa ed alle sue regole, ma solo all’ostinazione con cui si pretende di ignorare le regole per tutelare un leader che per le sue attività si trova ad essere di continuo processato ed inquisito. Questa circostanza crea un’emergenza politica e morale che si somma ad un macroscopico conflitto di interessi che solo i disinformati e gli adoranti possono essere riusciti ad ignorare per oltre venti anni. Non è tollerabile alcuna pretesa di impunità che possa violare principi costituzionali. Valuto invece positivamente, e molto, la scelta dei nuovi Presidenti dei due rami del parlamento. Innanzitutto per l’alto profilo delle persone chiamate a presiedere le camere, a dimo-strazione che ancora esistono tra i politici figure che riescono a canalizzare apprezzamento e stima per l’attività svolta, sin qui, solo fuori degli ambienti della politica. Sentimenti tanto più corroborati dai contenuti dei discorsi di insediamento. Abbiamo finalmente ascoltato parole sulla richiesta di cambiamento, sulla necessità di un impegno contro tutte le mafie, sull’importanza di un’Europa Unita e delle istituzioni internazionali che tutelano i diritti dei deboli, sul rispetto delle persone normali, di quelle che quotidianamente
6 combattono la loro battaglia contro le emarginazioni, delle giovani generazioni prigioniere della precarietà, delle donne che subiscono violenza travestita da amore. Ed ancora sulla necessità di dare strumenti a chi ha perso il lavoro con l’invito a dare risposte ai disoccupati, ai cassintegrati, agli esodati, alle imprese e a tutti quei giovani che vivono una vita a metà, essendo necessaria una nuova fase costituente che sappia volare alto e proporre soluzioni condivise. Sono convinto, tuttavia, che le scelte dei Presidenti siano state più subite che volute da coloro che sono stati costretti a farle sull’onda di un sentimento popolare, finalmente avvertito, di fastidio verso personaggi che sono sin qui stati imposti e ritenuti buoni per tutte le stagioni. Essendo irrilevante la presenza parlamentare delle forze che si ispirano al vecchio centro, ed avendo dato prova il neo leader di essere più preoccupato della propria collocazione che degli interessi del Pae-se, auspico, che le forze veramente nuove giunte in Parlamento, sappiano cogliere l’importanza del ruolo e abbandonino
Parliamo di Politica
un atteggiamento demagogico e di sola denuncia delle storture fin qui provocate dai vecchi politici, favorendo quelle riforme indispensabili di cui si avverte il bisogno, per poter affrontare e risolvere i tanti problemi che attanagliano il nostro Paese. Un atteggiamento di auto esclusione costituirebbe una grave mancanza ai compiti cui è chiamato chiunque sieda sui banchi del Parlamento, circostanza questa che, a ben vedere, sarebbe sicuramente in un prossimo futuro sanzionata dall’elettorato, che ha mostrato di essere molto attento e determinato nell’espressione del voto. ssendo residente a Foligno, ove ho scelto di vivere dal luglio del 1984 e avendo ad oggi vissuto in questa città per più tempo che nella mia città natale, chiudo, con una considerazione a carattere lo-cale ed un invito, la cui formulazione ho, naturalmente condiviso con l’Editore. Il risultato delle e-lezioni ha visto diventare prima forza della nostra (mi sia consentito definirla tale) Città, il Movimento 5 Stelle che, non me ne vogliano i suoi rappresentanti, non ha una visibilità ed
E
una connotazione altrettanto forte di quella del Centrosinistra, del Centrodestra e del Centro, usciti pesantemente sconfitti da questa tornata elettorale, rivelando un malcontento ed un distacco dalla politica che solo chi è veramente cieco non riesce a vedere. E allora, è pur vero che le elezioni locali sono molto più improntate a un rapporto diretto, ma i presupposti sembrerebbero indicare che dobbiamo prepa-rarci ad assistere in prossimità delle elezioni amministrative ad uno stravolgimento della politica locale. Quali sono i programmi del centrosinistra, del centrodestra e del centro per tentare di arrestare il fenomeno del malcontento che sembrerebbe premiare i seguaci di Grillo? E quale la proposta di questi ultimi che, senz’altro alle prossime elezioni si proporranno a giocare un ruolo fondamentale? Le pagine di questo giornale sono pronte ad ospitare i progetti di chi rappresenta le categorie, le isti-tuzioni economiche e non, le forze produttive della realtà in cui viviamo e di chi intende proporsi ad amministrare la Città.
Parliamo di Lavoro
Contro la crisi: una sola “stella”, la “nostra” stella
“Si possono distinguere gli uomini dagli animali per la coscienza, per la religione, per tutto quello che si vuole; ma essi cominciarono a distinguersi dagli animali allorchè cominciarono a produrre i loro mezzi di sussistenza, un progresso che è condizionato dalla loro organizzazione fisica. Producendo i loro mezzi di sussistenza, gli uomini producono indirettamente la loro stessa vita materiale.” Karl Marx
7
8
Parliamo di Lavoro
Ripartire dal lavoro e dalle fabbriche Chi difenderà i diritti dei lavoratori in questo difficile periodo di crisi economica se anche uno dei maggiori esponenti della Fiom, Maurizio Landini, ammette che Grillo ha ragione sui sindacati quando afferma che hanno esaurito il proprio ruolo? DI ANDREA TOFI
I lavoratori non hanno più punti di riferimento a sinistra: l’alternativa è Grillo? Il primo partito fra gli operai è diventato il movimento Cinque Stelle, subito dietro l’accoppiata Pdl e Lega ed al terzo posto si può dire anche giustamente il Partito Democratico. La sinistra “chic” di Vendola ha raccolto appena il necessario per non rimanere fuori dal Parlamento e Rifondazione e gli altri sono di nuovo tornati a casa. Purtroppo la mancanza di un grande e forte partito di Sinistra si sente ed i risultati sono sotto gli occhi di tutti: gli operai, i giovani senza lavoro, tutti coloro che hanno un’occupazione temporanea con i cosiddetti contratti atipici, non si sentono più tutelati, nè dai partiti, nè tantomeno dai sindacati. Il segretario della FIOM, in una dichiarazione riportata su alcuni giornali nazionali ha affermato che non ci voleva Grillo per prendere atto della crisi della politica e del sindacato in Italia e che è giunta l’ora di ritrovarsi con la CGIL. Ora io mi chiedo di cosa stanno parlando questi personaggi, Landini compreso, che tutti i giorni occupano i nostri telegiornali e i quotidiani. Sono anni che i lavoratori dimostrano il proprio malcontento, togliendo le tessere sindacali e disertando le urne elettorali, ma tutti hanno fatto “le orecchie da mercanti” facendo finta di non capire. Ora dopo lo “Tsunami” creato da un comico prestato alla politica tutti sembrano essere rinsaviti. Bersani che propone un governo di cambiamento, i sindacati che dicono che le cose così non possono andare avanti e che occorre proporre un sindacato più democratico ma che stia con i lavoratori, Monti che dice di aver effettivamente forzato sulle tasche degli italiani ma che è stato costretto per “la Governance” del paese. Ma che cavolo dicono, sino a ieri dov’erano! Le fabbriche, quello poche rimaste aperte sono state sempre
lì, nessuno le ha spostate, i lavoratori, i pensionati, i precari, i disoccupati, gli emarginati sono sempre gli stessi di prima del 24-25 Febbraio, ed hanno le medesime esigenze: sopravvivere! L'unico modo per far ripartire il nostro paese è investire sul lavoro, per circa trent'anni siamo stati il volano d'Europa e non solo, siamo diventati la quinta potenza mondiale pur non avendo un briciolo di risorse minerali. Grazie alle lotte sindacali di quel periodo è stato possibile raggiungere obbiettivi economici e salariali impensabili, la tutela del lavoratore, ma più in generale quella del lavoro è cresciuta di pari passo con l'economia del nostro paese. Un lavoro forte e stabile ha contribuito al boom economico dell'Italia, ma in questo meccanismo c'era allora uno Stato che occupava i settori strategici dell' Energia e delle Infrastrutture, controllava tutta la Siderurgia italiana grazie all'IRI, dopo che la Banca Commerciale Italiana (avevamo anche una banca di Stato) nel 1921 rilevò l'Ilva e tutte le fabbriche da essa acquisite. Dal dopoguerra in poi, però ciò che ha smarcato la posizione del movimento operaio è stata la presenza di un partito il "PCI" che è stato in grado di portare avanti le istanze dei più deboli, sostenuto ancora da un sindacato la "CGIL" capace di contrapporsi nelle vertenze nazionali alla forza predominante degli industriali, sino a giungere alla redazione
della legge n°300 del 20 Maggio 1970 denominata "Statuto dei Lavoratori". Solo con una forte politica del lavoro si potrà uscire da questa spirale di crisi economica nella quale ci siamo infilati, con il rigore ed il consolidamento fiscale che la Comunità Europea ci ha imposto si giungerà inevitabilmente al collasso. E' lo stesso Fondo Monetario Internazionale che riconosce di aver sottostimato gli effetti del risanamento dei conti pubblici degli Stati, l'aumento dei disoccupati e il calo dei consumi ha indotto un vortice recessivo senza precedenti. In Italia dopo la riforma "Fornero" sono stati interrotti 640 mila contratti di lavoro per licenziamento (collettivo o individuale), tra le nuove assunzioni solo il 17,5% ha un contratto a tempo indeterminato, l'epocale riforma dell'apprendistato così la definita l'ex Ministro ha coinvolto solamente il 2,5% dei nuovi assunti (8.800 giovani). In contrapposizione però sono cresciute in modo esponenziale le iscrizione a partita Iva, nel solo 2012 ne sono state registrate 549.000 di cui il 40% ascrivibile a giovani al di sotto dei 35 anni che lavorano per un solo committente. Una nuova forma di schiavitù, altro che stabilizzazione del lavoro, la riforma Fornero e la revisione dell'articolo 18 ha contribuito ad un incremento della precarizzazione dei nuovi occupati concedendo alle imprese la libertà di licenziare.
Piano del Lavoro
9
Liberismo economico e mercato del lavoro La politica liberista, interamente agìta dal lato dell’offerta e della competizione sui costi, in Italia ha spinto a considerare irrilevanti e residuali la qualità del lavoro, delle produzioni, del valore aggiunto di una larga parte del sistema industriale italiano, ed ha imposto le “riforme strutturali” come unica risposta, essenzialmente subalterna e difensiva, alla globalizzazione. Unito ai non investimenti e alla perdita di produttività, tale processo ha determinato un declino, per questo l’Italia somma alla crisi finanziaria quella strutturale propria. La finanziarizzazione dell’economia e il tentativo di mantenere le posizioni acquisite senza investimenti hanno paralizzato la capacità industriale italiana. Il risultato netto del primo decennio degli anni 2000 è facilmente riassumibile: poca qualità, poca conoscenza, poca innovazione nei processi produttivi; poco reddito nazionale da redistribuire e reinvestire; iniqua ripartizione della ricchezza, delocalizzazioni; elusione fiscale, contributiva, amministrativa, dei diritti e della sicurezza; degrado ambientale. La politica liberista in Italia ha prodotto la trasformazione sistematica del lavoro a fattore di risparmio nei costi di produzione, come le ultime liberalizzazioni in materia di orari commerciali hanno dimostrato, abbassando i salari senza accrescere l’occupazione. Questa strategia difensiva e miope contribuisce a congelare una specializzazione produttiva a basso livello tecnologico e di utilizzo della conoscenza, nonché una dimensione cronicamente troppo piccola delle imprese italiane e il loro eccessivo turn-over. I fattori richiamati concorrono alla progressiva riduzione della domanda interna e alla crescente dipendenza del Paese dalle importazioni. La politica industriale è stata pressoché assente nei Governi negli ultimi 20 anni (sia dal lato dei settori strategici che di quelli in declino) - con l’eccezione di industria 2015 poi lascata morire - con effetto anche di incentivare le rendite a scapito degli investimenti reali e disincentivare la ricerca e l’innovazione. Il settore del terziario, che per lungo tempo ha rappresentato un’alternativa
occupazione al declino dei settori manifatturieri, sta vivendo oggi una crisi grave e inedita, mostrando i limiti di un modello condizionato dalla contrapposizione tra produzione industriale e servizi relativi. Il welfare italiano è stato considerato costo e non risorsa. L’assenza di infrastrutture sociali e di servizi in ampie aree del Paese contribuisce a tenere fuori dal sistema produttivo le donne. Nei settori pubblici i cosiddetti processi di innovazione “legislativi” non sono stati accompagnati da investimenti in strutture e formazione. È invece continuata una politica occupazionale basata su tagli alla forza lavoro e sull'utilizzo massiccio di precariato. Tutto ciò ha accentuato arretratezza e inefficienza ed ha contribuito, nella percezione dei fruitori dei servizi pubblici, ad aumentare la distanza tra cittadini e pubbliche amministrazioni oltre che a rendere instabili i servizi pubblici, determinando la bassa produttività del sistema. La legislazione del lavoro ha favorito la precarizzazione, la minore sindacalizzazione e tutela contrattuale del lavoro atipico, l’insufficiente inserimento dei lavoratori e delle lavoratrici disabili, degli immigrati e delle immigrate, la discriminazione dei lavoratori per età, opinioni personali, orientamento sessuale e identità di genere, accentuando in tal modo le differenze e la segmentazione del mercato del lavoro. La crisi e le politiche di austerità riducono ulteriormente gli investimenti pubblici, sia nelle attività più tradizionali quali l’edilizia e le infrastrutture (caratterizzate da una precarietà crescente dei rapporti di lavoro) sia nelle attività strategiche quali l’istruzione e la ricerca. La crisi economica e occupazionale evidenzia l’epilogo di un ventennio di pensiero neo-liberista dominante che in Italia si è fondato su un’alleanza fra profitti e rendite a scapito del lavoro (che ha portato alla riduzione, dal 1980 al 2012, di 8 punti di quota di reddito nazionale prima devoluta ai salari), quindi delle retribuzioni e dell’occupazione. Il mercato del lavoro si è ulteriormente frammentato in molti segmenti separati e non comunicanti fra
loro: giovani e meno giovani, stabili e precari, maschi e femmine, regolari e irregolari, scolarizzati e non, pubblici e privati, lavoratori del Nord e del Sud, dipendenti, autonomi e pseudo autonomi, agricoltura e industria e servizi, grandi e piccole imprese, migranti e non, ecc. Si conta un grave aumento della povertà relativa e della disuguaglianza tra i lavoratori dei diversi segmenti e all’interno di ciascun segmento. Con la crisi il mercato del lavoro italiano si è ulteriormente disgregato: chi ha carriere discontinue accede sempre più difficilmente al “lavoro stabile”; lo stesso lavoro tradizionale diventa insicuro, più povero e meno tutelato, a causa delle debolezze strutturali del tessuto produttivo, della politica di svalorizzazione del lavoro, dell’assenza di politica industriale. L’attesa per entrare nel mercato del lavoro è diventata troppo lunga, chi esce dal bacino del lavoro stabile ha difficoltà a rientrarvi. La precarietà cronica e non regolata del mercato del lavoro pubblico e privato, in Italia, ha portato alla creazione di migliaia di rapporti di collaborazione professionale che mascherano contratti di lavoro subordinato e dipendente. Le leggi dell’ultimo Governo italiano hanno prodotto l’espulsione dai luoghi di lavoro di migliaia di finti collaboratori anziché consolidarne il rapporto. La crisi italiana, prima, e quella mondiale, poi, hanno prodotto un aumento del tasso di disoccupazione strutturale (il tasso di disoccupazione in Italia è da tempo superiore al 10% e continua a salire l’incidenza della disoccupazione di lunga durata). Alta e crescente l'inoccupazione e la sottoccupazione di giovani e donne (già strutturalmente superiore in Italia) che si aggiunge alla massa di lavoratori in Cassa integrazione o mobilità (il tasso di disoccupazione delle donne è oltre il 12%; quella dei giovani è oltre il 37%, con picchi che superano il 40% nel Mezzogiorno). I lavori di cura, di assistenza e di relazione, continuano ad essere non riconosciuti e sottopagati. Il numero dei cosiddetti NEET (giovani che non lavorano e non studiano) ha superato da tempo i 2 milioni.
10 Questa quota di non occupazione e non istruzione costa circa 27 miliardi di euro l’anno di mancato reddito nazionale e mancato welfare. L’Italia ha la minore spesa per combattere la disoccupazione giovanile e per le politiche attive (welfare to work) del lavoro in Europa. In compenso ha la più alta fuga di “giovani cervelli”. L’Italia ha da sempre una forte incidenza del “lavoro nero”: negli ultimi anni, secondo le diverse stime, la quota di economia sommersa è pari a 1⁄4 del PIL. Secondo stime Istat sono 800.000 le donne che hanno lasciato il lavoro dopo la maternità per più ragioni: dalle dimissioni “in bianco” all'assenza dei servizi. Il 30 % delle madri interrompe il lavoro per ragioni familiari: il tasso di occupazione femminile diminuisce all'aumento del numero dei figli. Al contrario, il lavoro delle donne crea sviluppo perché determina domanda di beni e servizi e produce a sua volta altro lavoro di donne. La Banca d'Italia e l'Ocse quantificano nel 7 % l'aumento del PIL italiano in presenza di un tasso di occupazione femminile del 60 %. 18I lavoratori inattivi restano circa 15 milioni (26,8% delle forze lavoro per gli uomini e il 48,7% per le donne), tra cui gli “scoraggiati” e i sommersi irregolari. Solo un nuovo contratto su tre è stabile, nella crisi ancor meno. La
Piano del Lavoro precarietà ha raggiunto i 4 milioni di persone. Il lavoro a tempo determinato, che dovrebbe essere attivato su esigenze di punta delle attività, è usato per sostituire il lavoro stabile. Il turnover nei ultimi 10 anni ha registrato un forte aumento dei subordinati e degli pseudo autonomi. Le competenze e le conoscenze sono troppo spesso esternalizzate e tenute fuori dal sistema delle imprese. La flessibilità in eccesso spreca risorse professionali e genera bassa produttività e bassi salari (8% di produttività perduta solo nel decennio 2000-2010 a causa dell’aumento della precarietà). Il bilancio di vent’anni di politiche di flessibilità del lavoro, ben lungi dall’aver ridefinito i nuovi paradigmi della piena e stabile occupazione nell’era post-industriale, ha esteso l’area della non- autosufficienza economica di intere generazioni, frenando gli indispensabili processi di innovazione dei quali anche il settore terziario necessita. Disoccupazione, inoccupazione, sottoccupazione, scoraggiamento, inattività, lavoro irregolare, segmentazione del mercato del lavoro e mancata valorizzazione delle competenze sono generati dalle caratteristiche regressive dello sviluppo economico italiano, non viceversa. Non c’è stato da parte del sistema economico domanda di competenza. Domanda e offerta di la-
voro non si conoscono, non comunicano, non sono orientate (nella convinzione errata che in un libero mercato domanda e offerta si incontrino spontaneamente e stabiliscano il loro giusto prezzo). Alti e medi profili scolastici non hanno una domanda corrispondente, così come alti e medi profili professionali non sono facilmente reperibili sul mercato. Non si realizzano le indispensabili politiche attive del lavoro e la formazione professionale è ridotta e inadeguata. La cultura economica dominante in Europa e in Italia sminuisce il ruolo del lavoro nella produzione del valore e il suo ruolo nel sistema sociale. La politica del lavoro realizzata in Italia contrasta con i principi costituzionali (art.1, artt. 3 e 4 della Costituzione). Con il liberismo e la crisi si è impoverita anche la conoscenza delle trasformazioni del lavoro: non si studiano le sue dinamiche quantitative disaggregate per segmenti, le sue diverse caratteristiche qualitative. Anche il mondo dell’impresa tende a trascurare i modelli organizzativi di utilizzo del lavoro e le loro diverse conseguenze sulla produttività e l’efficienza. Gli obiettivi di produttività delle imprese si sono spostati dagli investimenti all’indicatore di presenza e ore lavorate. (il documento è estratto dal Piano del Lavoro presentato dalla CGIL 2013)
Comandante
De Tu Querida Presencia
Gloria al bravo pueblo que el yugo lanzó la ley respetando la virtud y honor ¡Abajo cadenas! ¡Abajo cadenas! Gritaba el Señor, gritaba el Señor y el pobre en su choza Libertad pidió. A este santo nombre tembló de pavor el vil egoísmo que otra vez triunfó Gritemos con brío, gritemos con brío, ¡Muera la opresión! ¡Muera la opresión! Compatriotas fieles, la fuerza es la unión. Y desde el Empíreo, el Supremo Autor, un sublime aliento al pueblo infundió. Unida con lazos, unida con lazos que el cielo formó, que el cielo formó la América toda existe en Nación. Y si el despotismo levanta la voz, seguid el ejemplo que Caracas dio. (Inno nazionale del Venezuela)
Gloria al popolo coraggioso che ha tolto il giogo rispettando la legge, la virtù e l’onore Abbasso le catene! Abbasso Le catene! Il signore gridava, il signore gridava e il povero nella sua capanna chiedeva Libertà. A questo santo nome tremò di paura il vile egoismo che fino allora aveva trionfato Gridiamo con forza, gridiamo con forza, Muoia l’oppressione! Muoia l’oppressione! Compatrioti fedeli, la forza è l'unità. E dal cielo, il supremo Creatore ha infuso un respiro sublime al popolo. Unita con i legami, unita con i legami che il cielo creò, che il cielo creò, tutta l’America esiste in una unica Nazione. E se il dispotismo alza la voce, seguite l'esempio che ha dato Caracas.
11
12
Comandante
Venezuela, la prima esperienza della conquista del potere popolare attraverso la conquista dell’egemonia gramsciana
C
havez nacque a Sabaneta, nello Stato di Barinas da una famiglia con origini native americane e spagnole. Suo padre, Hugo de los Reyes Chávez, era un maestro. All'età di diciassette anni Chavez si arruolò nell'Accademia Venezuelana di Arti Militari. Dopo la laurea in Scienza e Arti Militari prestò per alcuni mesi il servizio militare. In seguito si dedicò allo studio delle Scienze politiche all'Università Simón Bolívar di Caracas, che tuttavia lasciò senza ottenere una laurea. Durante gli anni degli studi Chávez e i suoi compagni svilupparono una dottrina nazionalista di sinistra che chiamarono "bolivariana", ispirata dalla filosofia Panamericanista del rivoluzionario venezuelano dell'Ottocento Simón Bolívar, dall'influenza del presidente peruviano Juan Velasco Alvarado e dal pensiero di vari ideologi comunisti e socialisti tra cui Marx e Lenin. Ad influenzare la visione politica di Chavez fu soprattutto il pensiero di Antonio Gramsci e l'azione storica di Giuseppe Garibaldi. Di Simón Bolívar assorbì il pensiero, soprattutto sul concetto di integrazione e costruzione della Grande Colombia: Venezuela, Colombia, Ecuador, Perù e Bolivia. Nacque così la ideologia bolivariana, che inizialmente si sviluppò all'interno delle Forze Armate, dando vita già dal 1983 al Movimiento Bolivariano MBR-200. Promosso al grado di colonnello nel 1991, l'anno seguente, il 4 febbraio 1992, fu protagonista di un colpo di Stato da parte delle forze militari che tentò di rovesciare il presidente Carlos Andrés Pérez. Il golpe fallì e Chávez fu arrestato e imprigionato. Riacquistò la libertà nel 1994 grazie a un'amnistia, ma dovette abbandonare le Forze Armate. onquistatosi un vastissimo consenso presso le fasce popolari più povere, nel 1997 Chávez creò un partito politico, il Movimento Quinta Repubblica (o MVR) alla guida del quale vinse le elezioni presidenziali
C
del 6 dicembre 1998 con il 56,2% dei voti. La sua campagna elettorale era basata sul progetto di una nuova costituzione che potesse permettere una rifondazione del paese, passando dalla "Quarta Repubblica", quella nata con il "Patto di Punto Fijo", alla "Quinta Repubblica". Il nome "Quinta Repubblica" ha infatti questo significato: nuova costituzione e nuovo ordinamento giuridico. Altri temi della sua campagna, come la lotta alla corruzione e al degrado morale del paese vennero sempre subordinati all'idea di una nuova Carta Costituzionale e del conseguente rinnovamento dei poteri dello Stato. ubito dopo il "giuramento da presidente", avvenuto il 2 febbraio 1999, Chávez iniziò la realizzazione del suo programma di governo indicendo un referendum, primo nella storia del Venezuela, per chiedere al popolo il consenso alla stesura di una nuova costituzione. I voti a favore superarono l'80%. Nel dicembre del 1999, nacque la nuova costituzione, confermata da un altro referendum. Tra i punti più significativi: l'attenzione ai diritti umani; il passaggio della struttura dello Stato da una democrazia rappresentativa a una nuova forma chiamata "Democrazia Participativa y Protagónica"; l'istituzione del "referendum revocatorio" per tutte le cariche elettive, presidente compreso, nella seconda metà del mandato; la modifica del nome dello Stato del Venezuela in "Repubblica Bolívariana del Venezuela"; la modifica della durata del mandato presidenziale da cinque a sei anni, con possibilità di una sola rielezione. Approvata la nuova costituzione, tutte le cariche pubbliche elettive dovettero essere sottoposte al voto popolare e anche Chávez, rimesso il suo mandato, si ricandidò alle nuove elezioni presidenziali. Confermato a larga maggioranza (59,5% dei voti) il 30 luglio del 2000, Chávez, a capo del nuovo parlamento (rinominato "Assemblea Naziona-
S
le") diede avvio all'attuazione della nuova costituzione. Chávez chiamò questa fase Rivoluzione Bolívariana Pacifica.
I
l 30 gennaio 2005, parlando al Convegno internazionale del Social Forum a Porto Alegre, in Brasile, Chávez offrì il suo aiuto alla causa no-global, dichiarandosi, inoltre, favorevole a un socialismo patriottico e democratico che "deve essere umanista e deve mettere gli esseri umani e non le macchine in condizioni di superiorità nei confronti di tutto e di tutti”. Se per gli oppositori interni ed esterni e per gran parte dei media internazionali il governo di Chávez s'incentra su di una lotta costante contro le fasce più ricche della popolazione, secondo altri osservatori e studiosi delle problematiche del Sud America, la politica chavista mira al risanamento delle condizioni socioeconomiche disastrose della stragrande maggioranza dei venezuelani.
13
Comandante
israeliano di centro-destra, che il leader venezuelano accusa di volontà di genocidio contro i palestinesi, Chavez ha espulso l'ambasciatore israeliano nel 2009, inasprendo e di fatto interrompendo le relazioni diplomatiche tra i due paesi. n soli 7 anni di governo Chávez il paese si è dichiarato libero dall'analfabetismo e tre milioni di venezuelani sono stati inseriti nell'istruzione primaria, secondaria e universitaria. Diciassette milioni di venezuelani (quasi il 70% della popolazione) ricevono, per la prima volta, assistenza medica e medicinali gratuiti e, in pochi anni, nelle intenzioni governative tutti i venezuelani avranno accesso gratuito all'assistenza medica. Si somministrano più di 1 milione e 700 000 tonnellate di alimenti a prezzi modici a 12 milioni di persone (quasi la metà dei venezuelani), un milione dei quali li ricevano gratuitamente, in forma transitoria. La questione è centrale in un Paese come il Venezuela dove le persone sottonutrite sono cresciute dal 1992 al 2003 del 7%, raggiungendo la cifra di 4,5 milioni. La malnutrizione è scesa dal 14 % al 12 %. La mortalità infantile si è ridotta al 2 %. Il tasso di disoccupazione è sceso dall'8,9% (2006) al 6,20% (feb 2007) e la popolazione sotto la soglia di povertà è diminuita dal 37,9% (2005) al 23% (2009). Tra tutte le leggi promulgate fino ai primi mesi del 2002, alcune diedero luogo a reazioni particolarmente forti da parte dell'opposizione. a legge in assoluto più contrastata fu la cosiddetta riforma agraria; in Venezuela esistono vasti latifondi (fino a casi limite di 240.000 ettari): il 10% della popolazione detiene l'80% del territorio e senza che molti proprietari siano in grado di esibire i relativi titoli di proprietà. Queste leggi, assieme alla nazionalizzazione delle risorse petrolifere (con il conseguente aumento del gettito derivante dallo sfruttamento dell'"oro nero" venezuelano da ridistribuire alla popolazione tramite nuove forme di Stato sociale come salute, istruzione, servizi); la nuova politica estera di equidistanza e solidarietà con alcuni stati del Sud America e il conseguente sottrarsi alla storica subordinazione economica e politica agli USA, furono i presupposti per il golpe del 2002.
I
Chavez con Raul Castro (Cuba), Morales (Bolivia), Lula (Brasile),Bachelet (Cile)
T
ra le misure prese da Chávez, in gran parte reinvestendo i proventi petroliferi: lo stanziamento di 1641 miliardi di bolivar (circa 314 milioni di euro) per la ricerca scientifica, l'aumento del 40 % degli stipendi degli insegnanti, borse di studio e istruzione gratuita, creazione di una banca popolare con bassi interessi per scopi sociali e umani, come l'acquisto di un alloggio familiare, creazione di cooperative, abolizione del latifondo, nazionalizzazione dei pozzi petroliferi, uscita del Venezuela dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale, blocco della fuga di capitali e della svalutazione del bolivar, incremento alla sanità pubblica con seicento centri di diagnostica. Il PIL venezuelano è cresciuto fino a 50 trilioni di bolivares nel 2006. Chávez iniziò a operare per il rafforzamento dell’OPEC, anche grazie al miglioramento delle relazioni diplomatiche
con tutti i paesi membri (dove si recò personalmente). A livello continentale Chávez domanda un'integrazione dei paesi latino-americani da effettuarsi anche mediante l'ALBA (Alternativa Bolivariana para América Latina y el Caribe) costituita in contrapposizione all' ALCA (Area di Libero Commercio delle Americhe) voluta dagli USA. Inoltre l'amicizia tra Venezuela e Cuba (che vede ad esempio lo scambio tra la fornitura di petrolio venezuelano a prezzi vantaggiosi e il supporto della competenza medica cubana nell'ambito dei piani di miglioramento delle condizioni sanitarie del Venezuela e altri paesi sudamericani), così come quella con l'Iran e la Bolivia di Evo Morales, viene vista con sospetto dagli Stati Uniti e utilizzata dall'opposizione per discreditare Chávez. Il Venezuela riconosce lo Stato di Palestina: per questo e per protesta contro il governo
L
14
Comandante
In Venezuela non è stato come in Cile. Nel 2002 il popolo sceso per le strade sconfisse il golpe organizzato dagli USA Il 9 aprile 2002 la CTV, sindacato padronale dei trasportatori, e la Fedecamera (Confindustria venezuelana) organizzati dagli USA, con l'appoggio della Chiesa cattolica, delle televisioni e dei partiti politici di opposizione, proclamarono uno sciopero generale con lo scopo di bloccare l’economia del paese come fecero nel 1973 in Cile. L'11 aprile, dopo una riunione presso il Vescovado ove, presenti Carlos Ortega della CTV e Carmona Estanga della Fedecamera, vennero definite le linee del colpo di stato, fu organizzato un corteo di centomila persone che avrebbe dovuto dirigersi verso il palazzo di Miraflores, sede della Presidenza, per cacciare «quel traditore di Chávez». Già dalla notte attorno a Miraflores si erano radunati migliaia di sostenitori di Chávez, in sentore di ciò che poteva accadere. Il corteo non arrivò a contatto con i simpatizzanti di Chávez perché dei cecchini appostati nei palazzi circostanti cominciarono a sparare sui sostenitori di Chávez. Le televisioni private, solidali ai golpisti, sostennero l'idea di scontri provocati dai sostenitori di Chávez (e questa versione, in un primo tempo, fu ripresa anche dai media internazionali), ma le innumerevoli riprese effettuate nella zona dimostrarono che gli scontri a fuoco non erano tra i componenti delle due marce, ma era la polizia metropolitana a sparare contro i sostenitori di Chávez. I primi caduti si ebbero verso le 15,00. Dalla testimonianza di un giornalista della CNN, Otto Neustald, si seppe poi che un gruppo di alti militari, verso le ore 11,30 eseguirono una registrazione del loro pronunciamento in cui disconoscevano l'autorità del presidente parlando dei primi morti e addossandone la responsabilità a Chávez. Questo pronunciamento, registrato prima delle 12,00, fu mandato in onda dopo le prime reali uccisioni. I militari golpisti si erano riuniti in Fuerte Tiuna, presidio militare di Caracas, assieme a Carmona Estanga, e a una nutrita rappresentanza di militari USA. I militari golpisti minacciarono Chávez, ancora a Miraflores, intimandogli di arrendersi, pena il bombardamento del palazzo, come era avvenuto l’11 settembre 1973 in Cile con Salvador Allende. In un ultimo tentativo di evitare il peggio, Chávez cercò di attuare
il "Plan Avila", un piano di emergenza che, grazie alla presenza di mezzi blindati attorno al palazzo, avrebbe permesso la difesa delle istituzioni. Invece i blindati, usciti da Fuerte Tiuna, furono fatti subito rientrare da un contrordine lanciato dai cospiratori. Nel frattempo tuttavia da Maracay, il generale Raúl Isaías Baduel, fedele a Cha- Dopo essersi “segnato” con la croce per esorcizare la puzza vez e alla Costituzio- di zolfo lasciata dal “diavolo” Bush che aveva parlato il giorno ne, era pronto ad in- prima, Chavez mostra all’Assemblea dell’ONU il libro di Noam viare a Caracas mezzi Chomsky di denuncia dei crimini USA in Sud America blindati a difesa del presidente. A questo dini con saccheggi di negozi. Nei giorni punto Chávez, per evitare la guerra civi- 12 e 13 la polizia uccise più di 200 persole, decise di consegnarsi ai golpisti a ne, gli ospedali accolsero centinaia di feFuerte Tiuna, dove verso le 23,00 dell'11 riti. La gente, come già accaduto a Caraaprile, fu arrestato e posto in isolamento, cas, circondò anche la base dei paracain attesa di decidere sulla sua sorte. Alla dutisti del generale Baduel a Maracay notizia dell’arresto di Chavez iniziò l'af- chiedendo a gran voce il ritorno di Cháflusso di gente dai ranchos di Caracas, vez. Lo stesso avvenne in molte altre loverso Fuerte Tiuna. che fu circondato da calità; si calcola che in tre giorni più di oltre 600.000 persone che chiedevnoa la sei milioni di persone siano scese per le liberazione di Chávez. La stessa notte strade a difendere Chávez e il suo goverChávez venne trasferito da Fuerte Tiuna no. Nella notte del 13 aprile l'allora vea Turiamo, una base navale nel Nord-Est scovo di Caracas, Antonio Ignacio Veladella Costa dello Stato di Aragua e da lì sco García, fu inviato all'isola La Orchila fu poi trasferito all'isola La Orcila, sede con un jet privato, probabilmente di di una base logistica della Marina Mili- proprietà dei Cisneros, dove avrebbe dotare. Il 12 aprile fu data dai media, nelle vuto convincere Chávez a firmare la rimani dei golpisti, la notizia del ritiro di nuncia e partire con lo stesso jet verso Chávez e subito dopo Carmona Estanga un'ignota destinazione, forse Cuba. Dusi autoproclamò presidente del Vene- rante l'incontro arrivarono invece tre elizuela. Il Parlamento in carica fu sciolto, cotteri dei militari rimasti fedeli che rifurono destituiti tutti gli altri poteri, fu portarono Chávez a Miraflores. Con il ripristinata la vecchia costituzione e dal rientro di Chávez, e il suo ritorno al ponome ufficiale della nazione venne can- tere il 14 aprile, gli scontri e i saccheggi cellata la parola "Bolívariana". Immedia- cessarono. Il golpe fallì, dunque, grazie tamente gli USA si affrettarono a ricono- al vastissimo appoggio popolare e all'esiscere il nuovo governo, seguiti a breve guità del gruppo dei militari golpisti, forintervallo dalla Spagna del governo di mato soprattutto da alti ufficiali, mentre destra Aznar. I media venezuelani ebbe- il grosso delle forze armate venezuelane, ro un ruolo determinante sia nell'orga- guidate dal generale Raúl Isaías Baduel nizzazione che nell'esecuzione del golpe era rimasto fedele a Chávez e alla nuova e dato che tutti erano convinti della sua costituzione. Diversamente dal Cile di definitiva riuscita, si sbilanciarono in in- 30 anni prima questa volta gli USA furoterviste, trasmesse su tutte le reti, dove no sconfitti, il presidente democraticaparlavano del lavoro organizzativo dei mente eletto non venne ucciso e il Venemilitari e civili artefici dell'evento. Il 12 zuela è ancora un paese libero, anche se aprile a Caracas cominciarono seri disor- oggi orfano del suo “Comandante”.
15
Con Gramsci
"Vi batteremo di nuovo, signori della borghesia imperialista!" (Discorso pronunciato da Hugo Chavez a Caracas, Sabato 2 Giugno 2007)
Si usa dire che “nessuno è profeta in patria”, ma se la patria è l’Italia, molto più spesso verrebbe da dire che “la patria neppure conosce i propri profeti”. Antonio Gramsci è sicuramente il più grande pensatore politico italiano e uno tra i più grandi nel mondo. Abbiamo scritto in altri articoli che la dimensione, vastità e profondità, della sua opera è ancora non del tutto scoperta e studiata, certamente non da noi, non nella sua terra/patria. Nel mondo il pensiero di Gramsci è invece oggetto da decenni di studi ai massimi livelli e in genere, non i filosofi, ma i politici lo conoscono e, in alcuni casi come vedremo, lo applicano anche. Gramsci è un marxista-leninista, su questo non c’è discussione, e il suo pensiero è dunque parte integrante dell’elaborazione storica della scienza marxista che, nelle sue innumerevoli evoluzioni e contestualizzazioni, costituisce l’ “unicum” del comunismo scientifico. Ciò che rende particolare e straordinariamente attuale il pensiero di Gramsci è la sua contestualizzazione all’ambito di sistemi ca-
pitalisti più o meno avanzati, sistemi nei quali il dominio delle classi sfruttatrici non si fonda (solo) sulla forza militare, ma prevalentemente sul controllo degli strumenti di produzione del consenso, cioè sulla “egemonia” culturale che permette alle classi dominanti di asservire anzitutto mentalmente le classi sfruttate. In questi sistemi, ci insegna Gramsci, la strategia rivoluzionaria non può essere frontale, cioè di attacco alla “facciata dello Stato”, deve invece dirigersi in profondità contro le “casematte” del nemico, ossia contro l’insieme delle istituzioni della società civile. Si tratta di conquistare progressivamente i punti strategici della società civile, ponendo così le premesse per la conquista del potere attraverso una nuova egemonia rivoluzionaria. La conquista dello Stato borghese deve avvenire dunque dall’interno della società, sulla base di una prospettiva sociale, economica, politica, intellettuale e morale, che sia in grado di ottenere il consenso delle masse. Hugo Chavez Frias non solo conosceva, avendo fre-
quentato l’università, ma aveva studiato a fondo il pensiero di Gramsci già durante la prigionia sotto l’insegnamento di un oriundo italiano, Jorge Giordani grande studioso di Gramsci e poi suo ministro delle finanze. Nel discorso che pubblichiamo nelle pagine seguenti (necessariamente per stralci) Chavez spiega il pensiero di Gramsci sul quale si fonda il progetto e la strategia della rivoluzione bolivariana verso la creazione dello stato socialista venezuelano. Si tratta di un discorso pubblico che a volte potrà sembrare sommario ed eccessivamente semplificato, ma se pensiamo che nel lontanissimo Venezuela un capo di Stato spiega al suo popolo delle borgate il pensiero del “nostro” Gramsci, da noi sostanzialmente sconosciuto, e poi paragoniamo quel discorso ai rutti di un Bossi, ai vaffanculo di un Grillo, o anche alle masturbazioni sulle puttane di Berlusconi che da anni costituiscono la massima espressione culturale dei dibattiti politici di casa nostra, c’è, quanto meno, da restare “imbarazzati”! (SR)
16
Con Gramsci
Viva la dignità del nostro popolo, viva la sovranità, viva quindi il Venezuela libero e sovrano, degno e grande. Ottimo giorno il 2 giugno.
V
i voglio dire qualcosa dal profondo del mio cuore, dal profondo della mia anima: quel grido che sembra una canzone, quel grido che viene dalle gole del popolo, quella canzone che viene dall'anima popolare e che sento da diversi anni, dal 1992, da quei giorni difficili quando iniziava a nascere la patria nuova, da quei giorni terribili in cui ero dietro le sbarre della prigione, la prigione della dignità, iniziai a sentire da lontano il canto: "Chavez, amigo, el pueblo està contigo". Voglio che sappiate che quel grido, che quel canto popolare che avete inventato, per me è sacro. Voglio che sappiate che quel grido popolare arriva fino al profondo delle mie viscere, e mi dà una forza misteriosa, magica, una forza senza limiti, incommensurabile. È la forza dell'amore, della fede, della speranza, che mi ha accompagnato nei grandi eventi di massa e nei momenti di solitudine in questi ultimi 15 anni della mia vita. Per questo vi rispondo "Pueblo, amigo, Chàvez estarà siempre contigo". Questo umile Chàvez, questo umile contadino, questo umile soldato sarà sempre e per sempre con te, popolo, dignitoso, grande, eroico; ti amo popolo venezuelano, più della mia vita. E tutta la vita che mi resta, voi lo sapete, non è mia, è vostra, è del popolo venezuelano; oggi è il 2 giugno, là in fondo è uscito un arcobaleno. e nuove Università che la rivoluzione ha creato per chiudere con la volgare esclusione che tanti danni ha fatto al Venezuela e soprattutto al popolo. Be-
L
ne compagni, oggi facciamo un omaggio. Voi sapete che mi appassiona molto la storia, perché la storia è maestra, è specchio, è la fonte da cui dobbiamo bere per comprendere i nostri tempi, è la base della filosofia, così dice Marx in diversi scritti. I grandi hanno dovuto appoggiarsi necessariamente alla storia. La filosofia non è altro che l'espressione degli eventi storici interpretati dai pensatori e strutturati in corpo filosofico. Quello che oggi vediamo, quelle strutture, quegli edifici, questa valle, quei barrios, questa strada, sono il prodotto di una storia. Noi siamo il prodotto di una storia. Dal 10 gennaio sono passati solo 140 giorni e noi possiamo dire che il nuovo governo, il nuovo ciclo, il nuovo periodo, si è caratterizzato per l'accelerazione del processo di trasformazione rivoluzionaria. In soli 140 giorni abbiamo recuperato pienamente la capacità operativa, strategica, di quell'esteso territorio sotto il quale si trova la riserva di petrolio più grande del mondo. Voi sapete che mi riferisco al lembo petrolifero dell'Orinoco, adesso totalmente controllata dal Venezuela, dai venezuelani e dalle venezuelane, dalla nostra PDVSA. In questi 140 giorni, abbiamo nazionalizzato un impresa di alto valore strategico, adesso controllata dal Venezuela, dai venezuelani. Era in mani straniere la Compagnia Anonima Nazionale dei Telefoni del Venezuela (CANTV), e adesso è una compagnia nazionale. In questo breve periodo abbiamo nazionalizzato imprese elettriche, settore altamente strategi-
co e indispensabile per lo sviluppo nazionale, per citare solo alcune delle cose che sono successe. In questo breve periodo abbiamo lanciato con forza il processo di costruzione del Partito Socialista Unito del Venezuela, e il popolo ha dato, una volta ancora, una risposta che per molti è sorprendente. Una risposta chiara, forte, orientante. Ad oggi si sono registrati, come aspiranti militanti del partito, 4 milioni 735 mila venezuelani! n questi giorni ho ricevuto il segretario generale del Comitato Centrale del Partito Comunista del Vietnam, il compagno Man, col quale abbiamo ricordato una delle massime, uno degli appelli, una delle linee strategiche fondamentali del compagno Ho Chi Minh, liberatore del popolo vietnamita, quando diceva "Unità, unità, unità, vittoria, vittoria, vittoria": solo l'unità ci permetterà di continuare a conseguire vittorie, e ci assicurerà le future vittorie di cui hanno bisogno il nostro popolo, la nostra patria, la nostra rivoluzione. Approfitto di queste parole per insistere sul processo unitario del partito, di tutto il popolo, della classe operaia, dei contadini, dei movimenti culturali; per sottolineare l'importanza dell'unità nazionale, dell'unità delle forze armate bolivariane, dell'unità del popolo bolivariano. Ricordiamo Simon Bolivar, che con il suo impegno, con la sua speranza, col suo fuoco libertario continua ad insegnarci. Diceva Bolivar "Se non fondiamo l'anima, lo spirito, il corpo, la speranza nazionale in un tutto unico, la società finirà per essere un combattimento corpo a corpo per la sopravvivenza, e un nuovo colonialismo sarà ciò che lasceremo ai posteri."
I
17
Con Gramsci
C
ompagni venezuelani di tutte le latitudini, continuiamo a rafforzare la grande unità nazionale per assicurare la vittoria sempre, la vittoria per sempre. L'unità dev'essere estesa a tutti gli ambiti della realtà, della struttura e della sovrastruttura, direbbe Antonio Gramsci, e voglio tornare al suo pensiero per utilizzarne le idee. Utilizzando il suo pensiero illuminante capiamo ogni giorno di più ciò che sta succedendo oggi qui in Venezuela, dove l'oligarchia venezuelana insieme ai suoi alleati, l'oligarchia mondiale e la borghesia internazionale, si sono nuovamente scagliati contro il popolo, contro la morale, contro l'etica, la verità, contro il governo bolivariano, contro la sovranità nazionale, ed hanno attaccato di nuovo questo umile soldato presidente del Venezuela. Per quanto riguarda la mia persona non m'importa, dicano pure di me ciò che vogliono! Che i rappresentanti della borghesia internazionale vadano lontano, fuori dalle palle! Molto lontano! Glielo imponiamo dalle strade del popolo libero. Questa è una patria libera. Un popolo libero! Non mi importa essere paragonato, da questi poderosi mezzi di comunicazione mondiale e in questi spazi dominati dall'élite mondiale, a Hitler e Mussolini. Non mi interessa. Qualcuno qualche giorno fa mi chiedeva infatti come mi sentivo per il fatto che tutti o quasi tutti i media del mondo mi hanno rappresentato come il tiranno del Venezuela, il dittatore, il carnefice, il repressore dei giovani venezuelani. In sostanza che mi chiamino Hitler o Mussolini non m'importa. Lo dico a tutti, borghesia venezuelana inclusa: m'importa solo della
dignità del popolo del Venezuela, della sovranità nazionale; posso morire ma non torno indietro. Al contrario, se l'oligarchia venezuelana crede di frenarci con le sue minacce, con le sue manipolazioni, con i suoi piani destabilizzatori, può toglierselo dalla testa. Ogni piano eversivo dell'oligarchia diretta dall'impero nordamericano, avrà come risposta una nuova offensiva rivoluzionaria. Qui lo dico e così sarà. Attenzione dunque all'importanza dell'unità, alla coscienza per interpretare la realtà, per comprendere le nostre debolezze e combatterle: le minacce che ci pioveranno addosso sempre. er vedere i nostri punti deboli e rafforzarli, per intendere dunque la situazione complessiva nella quale siamo. Per questo torno ad avvalermi del pensiero di quel grande rivoluzionario italiano, Antonio Gramsci. Che nessuno si scoraggi, che nessuno rallenti nel lavoro quotidiano e nell'assunzione delle proprie responsabilità per far avanzare i piani rivoluzionari in tutti i fronti di lotta, da quello economico a quello sociale e politico, da quello territoriale e internazionale a quello della morale. Per interpretare ciò che stiamo vivendo, compagni, ci è molto utile Antonio Gramsci, l'autore di quella tesi che abbiamo ripetuto molte volte: "Una vera crisi storica si ha quando ciò che muore non finisce di morire e ciò che nasce non smette di nascere". In quello spazio si presenta una autentica crisi organica, crisi storica, crisi totale. Qui in Venezuela non ce ne dimentichiamo, da vari anni siamo in una crisi gramsciana, storica. Quello che sta morendo
P
non ha ancora finito di morire, e quello che sta nascendo, non ha smesso di nascere. All'inizio degli anni '80 il Venezuela era già entrato in una crisi storica, e oggi dopo 20 anni siamo nell'epicentro della crisi, buona parte dei prossimi anni faranno parte di questa crisi storica fino a che non sarà definitivamente morta la IV repubblica e non sarà compiutamente nata la V, la Repubblica Socialista e Bolivariana del Venezuela. Saremo sempre in una crisi dalle diverse sfumature, dai diversi colori, che si esprime in svariate forme nella realtà fenomenica, nella realtà visibile in superficie. unque Gramsci ha abbozzato e sviluppato la tesi del blocco storico, l'egemonia di una classe che riesce a creare un blocco storico nel quale si possono ben identificare le strutture e le sovrastrutture. Perdonatemi se sono un po' accademico, ma so che il livello culturale del nostro popolo ha fatto un enorme salto di qualità, e che in ogni luogo e momento siamo tutti in grado di riflettere su queste teorie che illuminano la realtà per meglio comprenderla. Gramsci, quando parla di sovrastruttura, ascoltate bene, la sovrastruttura del blocco storico dominante, dice che essa ha due livelli: la società politica e la società civile. La prima possiamo riassumerla bene nelle istituzioni dello Stato e del governo, dunque nelle istituzioni politiche; la seconda è un complesso di istituzioni economiche, di organismi o istituzioni comunemente dette "private", attraverso le quali la classe dominante può diffondere, estendere e collocare in tutti gli spazi della vita la sua ideologia, e qui arriviamo alla odierna realtà venezuelana.
D
18 Una delle grandi contraddizioni che abbiamo oggi in Venezuela, è precisamente lì, tra la società politica - lo Stato che ha sperimentato un processo di trasformazione e liberazione - e una società, detta civile, di istituzioni comunemente private, che adesso non controllano lo Stato. La classe dominante del Venezuela si era strutturata in un blocco storico con il nome di "Patto di Puntofijo". Essa riuscì a subordinare lo Stato alla società civile, quindi la società politica venne subordinata alla società civile, intendendo questa nel senso gramsciano che ho menzionato. Che succede quando Hugo Chàvez arriva al governo del Venezuela per volontà della maggioranza della popolazione? La società civile dominante cerca di impadronirsi di Chàvez, ma Chàvez non si è mai subordinato, né mai lo farà, a questa vecchia società civile del " Patto di Puntofijo ". a società cosiddetta civile possiede un insieme di istituzioni, Gramsci le elenca, e una di esse è la Chiesa, perciò la élite cattolica si scaglia contro di noi, la spiegazione storico-scientifica è questa. L'élite cattolica, con alcune eccezioni, che non sono altro che eccezioni, sempre e in tutto il mondo si è alienata, ha fatto parte dei blocchi dominanti del capitalismo. È triste dire ciò per me che sono cattolico, anche se sono essenzialmente un cristiano. Cristo è il mio signore, mio padre, il mio redentore. Mia nonna Rosa Inés Chàvez - ovunque tu sia ti ricordo sempre - quando mi vestivo da chierichetto mi diceva: "Non credere che perché indossi quest'abito e per il fatto che vai in chiesa tu stia con Dio", mi diceva: "Non credere a tutto quello che dice il prete", me lo diceva sempre, e si è molto rallegrata quando ho smesso di fare il chierichetto. Accendeva ceri ai santi affinché smettessi di fare il chierichetto. Sembrava una contraddizione, ma ora la capisco bene. In quasi tutta l'America, durante gli ultimi 100 anni e più, la chiesa, i mezzi di comunicazione e il sistema scolastico, sono stati i tre grandi corpi organici che Gramsci segnala come le istituzioni fondamentali della società civile, usate per diffondere nelle classi sociali e nei ceti popolari la propria ideologia dominante. Gramsci classifica l'ideologia in strati. La forma più elaborata dell'ideologia è la filosofia. Visto che non possiamo essere tutti filosofi, le classi dominanti hanno elaborato diversi strati di ideologia e così esse hanno i loro filosofi, le loro scuole e i loro libri di filosofia attraverso i quali
L
Con Gramsci impregnano dell'ideologia dominante la società. a c'è un secondo livello sotto quello della filosofia: il neoliberalismopossiede una sua filosofia, ma a livello filosofico è molto elaborato e non è digeribile dagli strati sociali subalterni. La classe dominante, quindi, elabora le tesi della libertà del mercato e di espressione (intesa come la intendono loro, manipolandola), le tesi dell'integrazione in un modello tipo ALCA, che è la proposta dell'impero nordamericano. Elabora un corpus di idee che si riferisce alla democrazia borghese, con la divisione dei poteri, l'alternanza, la rappresentanza come fondamento della democrazia, grandi menzogne, ma sono il corpo ideologico di quella filosofia egemonica che in Venezuela e in buona parte dell'occidente ha dominato per più di 100 anni. Un terzo livello negli strati ideologici secondo Gramsci è quel che egli chiama il senso comune, che è il prodotto dell'immersione nella filosofia e nell'ideologia dominante, in diverse forme, attraverso le telenovele, i film, le canzoni, la propaganda, etc. ompagni, qui ci sono alcuni elementi - ripeto - per comprendere bene ciò che sta succedendo. Noi stiamo liberando lo Stato, perché la società civile borghese controllava lo Stato venezuelano a proprio piacere, manipolava il governo, il potere legislativo, quello giudiziario, le imprese statali, la Banca pubblica, il bilancio nazionale. Stanno perdendo tutto questo, se non totalmente, nella sostanza. E ora sono ripiegati nei nuclei duri della società civile borghese, utilizzando, a volte in modo disperato, gli spazi che gli rimangono in quelle istituzioni segnalate da Gramsci: la Chiesa, i mezzi di comunicazione e il sistema educativo. Da qui l'importanza di capire lo scenario della battaglia. In tutto ciò, a noi non rimane che continuare a conformare il nuovo blocco storico. Ricade su di noi la responsabilità di continuare a pala e piccone, impiegando mattoni e cemento per fare più grande e più solido delle torri del Parque Central il nuovo blocco storico venezuelano. Continuiamo con i cinque motori costituenti, a pieno ritmo, nella costruzione del socialismo, a livello politico, costruendo la democrazia socialista; a livello economico costruendo l'economia socialista; etico, attivando la nuova morale socialista; sociale, costruendo la maggior quantità di felicità possibile; la nuova geopolitica nazionale; la nuova geometria del potere; la nuova geopolitica internazionale;
M
C
il mondo multipolare. Noi, dunque, continuiamo a lavorare con le due mani per costruire il nuovo blocco storico, costruendo il socialismo, la nuova società politica che sarà lo Stato sociale, lo Stato socialista, la Repubblica socialista, in tutti i suoi livelli: il potere centrale, i poteri locali, i governi comunali. Voi dal basso, dalla base, continuate a costruire il nuovo Stato, la nuova società politica. La vecchia società civile elitaria, borghese, filofascista, che indossa le camice nere di Mussolini per accusarmi di essere come Mussolini, che indossa le camice brune di Hitler per paragonarmi a Hitler, quella vecchia società civile borghese deve essere trasformata, ascoltate bene, nella nuova società socialista. me piace molto il contrattacco! L'ologarchia venezuelana dovrà lasciarci stare, dovrà stare tranquilla nei suoi spazi e convivere con la nuova realtà. Anche se non vogliono accettare tutto ciò, questa rivoluzione è arrivata per rimanere, sono passati solo 140 giorni di questo nuovo ciclo bicentenario della rivoluzione bolivariana. Mancano più di 5.000 giorni di rivoluzione fino al 24 giugno del 2021, quando avremo consolidato il progetto del Venezuela Socialista, della Repubblica Bolivariana e Socialista. Continuiamo dunque a giocare il nostro ruolo, e soprattutto voi, ragazzi, assumete il vostro ruolo, questo è il tempo in cui occorre che il movimento studentesco si metta all'avanguardia insieme alla classe operaia e con i contadini al fianco dei soldati venezuelani, per fare la storia. Costruendo la patria, costruendo il nuovo Venezuela, continuiamo dunque secondo il punto di vista gramsciano a sotterrare il vecchio blocco, il vecchio blocco storico, e a costruire quello nuovo. Vi saluto col grido di sempre: Patria, Socialismo, o Muerte! Venceremos!
A
Moçambique
Mappa del mondo all’interno della Rosa dei Venti di fronte al Monumento alle Scoperte o Padrão dos Descobrimentos, a Belèm, quartiere di Lisbona
Lascia passare il mio popolo
La notte tiepida del Mozambico E i suoni lontani di marimbas giungono fino a me -uguali e costantivenuti da non so dove. Nella mia casa di legno e zinco, accendo la radio e mi lascio cullare… Ma le voci dell’ America mi scuotono l’anima e i nervi. E Robeson e Marian cantano per me negri spirituals di Harlem. "Let my people go" -oh lascia passare il mio popolo!Dicono.
19
20
Moçambique
DI SOFIA GONOURY E SARA MIRTI
Il Moçambique: nome, popolazione, storia coloniale, indipendenza, guerra civile, arte, economia, prospettive future. Per fare una nazione servono (non necessariamente in quest'ordine) popolo, istruzione, lavoro e vigilanza - termine interessante perché non implica una difesa attiva, una specie di assetto di guerra permanente, ma uno stato di sorveglianza che non dovrebbe venire mai meno. Ugualmente, affinché un individuo abbia la possibilità di esprimersi e di autodeterminarsi deve avere un'appartenenza, delle leggi, qualcuno che le discuta, le applichi e le difenda, e, non ultima, un'istruzione adeguata, la possibilità di studiare la propria e le altrui culture, la possibilità di crescere e far crescere il proprio paese. Tra gli aspetti positivi del governo comunista del FRELIMO (Fronte di Liberazione del Mozambico, nato nel 1962 dall'unione di UNAMO, UDENAMU e MANU), nel Mozambico liberato, c'è stato, non a caso, l'accesso allo studio, così come allo sport e alla salute, seguendo un filtro meritocratico vero ed efficiente, in grado di permettere ad ognuno d'immaginare, progettare e realizzare il proprio futuro. Grazie a questo sistema, per esempio, João Ribeiro, un mulatto, il regista de "L'ultimo volo del fenicottero", ha potuto frequentare la famosa scuola di cinematografia di Cuba (ora si occupa di ci-
nema indipendente a Maputo). "Moçambique" fu per prima cosa il nome di una piccola isola corallina situata proprio all'ingresso della baia di Mossuril (abitata, secondo la leggenda, dall'arabo Mussa Al Bik, nome poi “storpiato” dai portoghesi), luogo divenuto testimone della tratta degli schiavi, "la tratta dei Negri" che è passata tanto attraverso l'Oceano Atlantico che a quello Indiano, praticata dagli arabi (schiavitù forse meno conosciuta, ma non per questo meno crudele e devastante; ancora presente in Mauritania nonostante, sulla carta, sia fuori legge) così come dagli europei; i Portoghesi nel 1510 costruirono un Forte sull’isola. Poi fu il nome di una cittadina (São Sebastião de Moçambique) e in seguito sempre lo stesso nome si trovò a identificare l'insieme delle colonie portoghesi sulla costa orientale africana. La Repubblica del Mozambico, la cui attua-
Ilha de Moçambique, Patrimonio dell’UNESCO dal 1991): Jardim de Memória
le bandiera contiene il verde-speranza, il nero, come la sua popolazione, il giallo del sole africano e il kalashnikov, il libro e la zappa, inscritti in una stella gialla a sfondo rosso, simboli dell'ideologia comunista che ha traghettato l paese fuori dal colonialismo, confina a nord con la Tanzania, a ovest con il Malawi, Zambia e Zimbabwe, a sud-ovest con il Sudafrica e lo Swaziland, a est con l'Oceano Indiano; il territorio ha un'estensione complessiva di 799.380 km2; ci sono circa 20 milioni d’abitanti. Amministrativamente è suddivisa in 11 Province (Cabo Delgado, Manica, Niassa, Inhambane, Nampula, Gaza, Zambézia, Provincia di Maputo, Tete, Città di Maputo, Sofala), ripartite in 128 Distretti divisi a loro volta in Postos Administrativos composti, infine, da più Localidades. L’’ultimo censimento della popolazione è stato realizzato dall’INE nel 1997; le religioni maggiormente diffuse sono quella animista, cattolica (la maggiore tra le religioni d'importazione), protestante, musulmana e indù. I principali prodotti agricoli sono: riso (base dell'alimentazione), mais, mandioca, canna da zucchero, anacardio, tè, palma da cocco (produzione molto estesa - qui c'è il più grande palmare al mondo - comprendente latte, olio, fibre, ecc.); mentre si pratica l'allevamento di pollame, bovini, suini, e la pesca di gamberetti, pesci di vario genere e crostacei. Si è sviluppata l'industria che produce generi alimentari e bevande, quella del tabacco, quella legata alla produzione di minerali non metallici, prodotti metallurgici, equipaggiamento e materiale per il trasporto, industria tessile, produzione dell'abbigliamento e cuoio.
Moçambique Le risorse minerarie presenti sul territorio sono: alluminio, carbone, titanio, tantalio, grafite, oro e marmo. Insomma, è un paese potenzialmente ricco e non solo di risorse; com'è stato possibile allora che anche qui abbia attecchito la piaga di quello che viene definito "sottosviluppo"? Per via delle continue depredazioni da parte dei colonizzatori, certo, ma soprattutto per via della loro politica, tipica dell'amministrazione portoghese e spagnola, di assimilazione totale: un'assimilazione basata sulla cancellazione della cultura locale, di provenienza, e sull'ignoranza indotta per meglio riuscire a dominare. Se nella vita di tutti i giorni, per intrecciare rapporti di amicizia, per il gioco dei bambini, per la considerazione personale, le differenze di colore o di religione non contavano nulla, per l'accesso allo studio e quindi anche per l'accesso al lavoro, tali distinzioni facevano la differenza. Vedere ragazzi di colore frequentare le scuole superiori era una rarità e, benché non si possa parlare di razzismo così come l'Europa l'ha conosciuto fino ai nostri giorni, resta un fatto che gli alloggi dei bianchi, dei mulatti e dei neri risultavano comunque divisi. Naturalmente la casa di un mulatto risultava sempre l'ultima dei bianchi e la prima dei neri. Il colore della pelle può essere, nella casuale imprevedibilità del suo manifestarsi, più folle e crudele di qualsiasi altro tipo "giustificato" di discriminazione. Gli stessi portoghesi, tuttavia, avendo dato in concessione i propri territori a diverse compagnie, proprietarie o non, come per esempio alla "Companhia do Niassa" e
alla "Companhia do Moçambique" (a maggioranza britannica), fin dagli anni '90 del 1800, spesso si trovavano a ricoprire ruoli intermedi, per esempio di ragioneria, di commercialista, ma mai di manager di alto livello. Nel 1920 la Companhia do Assucar de Moçambique, fondata nel 1890 da John Peter Hornung, venne trasformata nella Sena Sugar Estates Ltd., compagnia ora gestita, dopo alcune vicissitudini, da un consorzio tra lo Stato mozambicano e un’impresa privata delle Isole Mauritius, e nel 2007 ha preso il nome di Companhia de Sena. L’antica Companhia do Boror, per fare un altro esempio, fu creata nel 1892 da Joseph Émile, primo conte di Stucky de Quay, un capitalista svizzero. Inoltre le ferrovie, proprio grazie alle concessioni commerciali ai britannici, alla fine del 1800 copri-
Alla destra di Berlinguer l’attuale presidente del Mozambico, Armando E. Guebuza, a sinistra Samora Machel
21
rono 920 Km. I confini dell'Africa, fatti dai colonizzatori e la conseguente separazione dei gruppi etnici spiegano molti dei conflitti e delle rivalità postcoloniali; il Mozambico anche se in maniera diversa, non ha fatto eccezione. Anche se il Mozambico non ha al suo interno radicamenti e divisioni tribali, tuttavia ne ha di etnici, ma questo, nel periodo dell'indipendenza non ha avuto più che un significato demografico. La rivoluzione partita da Nord annoverava come membri della propria dirigenza uomini del sud (neri, bianchi, mulatti, luterani, laici…) e questo probabilmente ha facilitato la mancanza di un accordo di divisione, così come avrebbero voluto i portoghesi (impegnati già su vari fronti nelle proprie colonie): il nord, il Mozambico nero, ai ribelli, e il sud a loro. Ma i cosiddetti ribelli conquistarono zona per zona, posizione per posizione, l'intero Mozambico, decisi a farlo diventare un unico paese, libero, senza distinzione di etnia, colore o religione e schierato coi paesi comunisti (siamo in piena guerra fredda). Il processo iniziato negli anni '60 il 25 giugno del 1975 finalmente giunge a termine: s'insedia il primo governo postcoloniale del Mozambico liberato e Samora Machel (della provincia di Gaza) ne è il presidente. In virtù del lungo dominio subito (Vasco de Gama raggiunge le coste dell'Africa orientale nel 1498), verrà concesso ai mozambicani di scegliere cosa essere: portoghesi o cittadini del nuovo stato che s era costituito. Alcuni tra i bianchi sceglieranno di restare in Mozambico dove erano nati o dove risiedevano da tempo, così come neri e mulatti, sentendosi fieramente portoghesi, decideranno invece di partire, senza mai pentirsene.
22 La lunga evoluzione di una "libertà responsabile" universale: amici, nemici, vecchi e nuovi ideali. Sarà la guerra civile (anti-comunista, iniziata dalla RENAMO - Resistenza Nazionale Mozambicana, costola del FRELIMO - all'indomani dell'indipendenza e finita, grazie all'indispensabile mediazione della Comunità di Sant'Egidio, nel 1992, con gli Accordi di Roma) a causare più danni alla popolazione (le vittime saranno circa un milione) di quelli subiti nel periodo coloniale e nella guerra di liberazione messi insieme. Il Mozambico era diventato un punto di riferimento per i paesi vicini, soprattutto del Sudafrica anti-apartheid e forse per questo la guerra civile prese le sembianze di una guerra anti-comunista, priva tuttavia di quelle forti motivazioni capaci di unire un popolo, com’era avvenuto durante la guerra di liberazione. A tutt'oggi, nonostante la passata dittatura comunista, il FRELIMO mantiene la maggioranza dei voti e la RENAMO non ne ha mai intaccato il potere. Direbbe Dostoevskij: «Non basta confutare una bella idea; occorre sostituirla con qualcosa di ugualmente bello e forte; altrimenti, non volendo rinunciare al mio sentimento, respingerò nel mio intimo la confutazione, magari con violenza, checché altri ne possa dire» (F. Dostoevskij, "L'adolescente", Einaudi, Torino 1981, p. 56). Cominciano invece a manifestarsi movimenti partitici emergenti, slegati dalle vecchie ideologie, dalle logiche di contrapposizione, e spinte dalle proprie idee di sviluppo, come l'MDM, che sta accumulando un crescente, ampio, consenso. Il colonialismo, dunque, applicato nelle sue varie forme, quella della "separazione" (ne è un esempio Nelson Mandela che ha potuto studiare fino a diventare avvocato già prima di essere rinchiuso per quasi trent'anni in prigione) o quella dell’ "assimilazione" (praticata, appunto, nelle colonie portoghesi), ha cercato in ogni modo di intaccare la cultura locale, di aumentare l'odio, o almeno la divisione tra i vari gruppi etnici o politici, provocando come conseguenza conflitti sparsi nello spazio e nel tempo che sembrano non voler avere ancora fine, e questo già a partire dalle prime indipendenze, che ormai risalgono a più di cinquant’anni fa, fino ad arrivare alle indipendenze acquisite più tardi (basti ricordare che il Portogallo ha continuato a inviare coloni in Mozambico anche dopo la
Moçambique Cattedrale di Nampula, località in cui è nata Chiara, la prima figlia di Sofia
seconda guerra mondiale), indipendenze che hanno comunque portato con sé, nel bene o nel male, l’introduzione di nuove ideologie non sempre coerenti con le identità africane. In particolare il Mozambico, con le due guerre, una di liberazione e una, purtroppo, civile, ha percorso un cammino tortuoso e difficile. La sua Cultura si basa fondamentalmente su principi e valori che si tramandano di generazione in generazione (i punti di riferimento cronologici sono eventi particolari, per esempio: "è accaduto quell'anno, due anni dopo che c'è stata l'alluvione" ecc.), infatti, si dice che prima sia nato il suono e poi sia scaturita la creazione (nelle altre culture ad essere preesistenti sono gli dèi); anche per
questo quando muore un anziano, e con lui muore una parte della memoria collettiva, “una biblioteca va a fuoco”. Tuttavia, dopo una così lunga depressione scolastica (nei primi tempi gli insegnanti sono arrivati dalla Tanzania e dallo Zambia, da Cuba, dalla Russia, e dai paesi comunisti) e una così lunga assimilazione, ben poco rimane dei racconti, dei miti, delle tradizioni precedenti. Come spesso accade in molti paesi, la loro ricostruzione è affidata all’iniziativa dei singoli, alla capacità individuale di camminare “nella folla” con passo spedito, senza paura di sbagliare direzione, a chi cioè saprà fermarsi giusto il tempo di raccogliere le proprie personali “molliche di Pollicino”. per poi ripartire.
Catedral velha de Quelimane, luogo di nascita di Sofia
Folli
Francesco di Pietro Bernardone lo Steve Jobs del duecento
Humilissimi omnipotenti homini de nostro tempo, vita vestra est, non d’altrui, libertas vestra est etiam de cogitare et opinio universa sclavo non faciat lo pensier vestro. Anima vestra e lo cor seguitate, lo sentiero ve diranno de vestra vera vita e quanto avrete fatto sarà lieto e tale. Anima cetera non valet, de fame mae satii et furiosi sempre. (Steve Jobs, traduzione in volgare umbro del 1200 di Stelvio Sbardella)
[Il vostro tempo è limitato, perciò non sprecatelo vivendo la vita di qualcun’altro. Non rimanete intrappolati nei dogmi, che vi porteranno a vivere secondo il pensiero di altre persone. Non lasciate che il rumore delle opinioni altrui zittisca la vostra voce interiore. E, ancora più importante, abbiate il coraggio di seguire il vostro cuore e la vostra intuizione: loro vi guideranno in qualche modo nel conoscere cosa veramente vorrete diventare. Tutto il resto è secondario. Siate affamati. Siate folli.]
23
24
Folli
Dal “Cantico delle Creature” al Tablet di Apple; da Francesco a Steve; manager e predicatori attraverso i secoli DI SANDRO RIDOLFI
P
arlare di Giovanni di Pietro Bernardone dei Moriconi, più noto con il nome successivamente preferito dal padre di: Francesco, è un argomento indubbiamente delicato. Non solo per la propaganda della religione cattolica che gli ha attribuito l’appellativo di “santo”, ma anche per il vastissimo mondo anche dei non credenti che tendono ad attribuire a questo personaggio storico virtù di messaggi sia spirituali che materiali di comprensione e pacifica convivenza, non solo tra gli umani, ma anche tra questi ultimi e l’infinità e molteplice varietà del così detto “creato”. Questo inserto pertanto non intende offendere o ferire le suscettibilità dei credenti, termine in questo caso utilizzato non in senso religioso (divinità), ma spirituale (aspirazioni della così detta “anima”, sentimenti, sensibilità, ecc.). Come tutti gli inserti di questa rivista il discorso sul personaggio storico di Giovanni Francesco di Assisi ha lo scopo di stimolare riflessioni, con gli opportuni approfondimenti, sulla storia sociale e politica dell’uomo, presupposto di conoscenza indispensabile per la comprensione del presente e per il progetto del futuro. Il titolo della pagina di copertina “Lo Steve Jobs del duecento” esprime questa intenzione: indipendentemente dalla effettiva assimilabilità dei due personaggi storici (che va subito detto con onestà assolutamente improbabile), lo scopo è di analizzare il Francesco del duecento per capire lo Steve del 2000. Lo facciamo con modestia e attenzione, segnalando sempre che, come per tutti gli inserti della rivista, non ci sono pretese di enunciazioni scientifiche o filosofiche, ma più semplici provocazioni di ragionamento e approfondimento. Anche su questo argomento, dunque, ben vengano altri interventi che aiutino ad approfondirlo, saranno pubblicati molto volentieri.
Il contesto storico, economico e culturale nel quale è nato il progetto francescano
I
l materialismo scientifico comunista ci insegna che per comprendere un fenomeno politico-sociale per prima cosa occorre conoscere il contesto storico nel quale è sorto e si è manifestato, dato che è la realtà materiale che genera le idee e, dunque, per comprendere il messaggio spirituale e materiale del Francesco del duecento, occorre conoscere (almeno un poco) questo duecento e specificamente quello assisano nel contesto politico, economico e culturale del sud europeo dell’epoca. Parliamo del sud Europa poiché in quel tempo, e ancora per diversi secoli a venire, la penisola italica, in virtù della
sua posizione strategica al centro del mare circondato dal mondo allora conosciuto, svolgeva un ruolo determinante per gli scambi economici e quindi, necessariamente, culturali e scientifici. A ciò va aggiunta la presenza nel cuore della penisola del “quartiere generale” della Chiesa Cattolica Apostolica Romana che, con la sua struttura organizzativa sostanzialmente militarizzata, si ramificava in tutto l’occidente. Quando parliamo dell’Assisi del duecento dobbiamo completamente cancellare l’immagine dell’odierna piccola città di periferia, mèta di un importante flusso di turismo prevalentemente religioso (ma non solo), comunque tagliata fuori dalla storia politica, economica e culturale non solo europea, ma della stessa più piccola Italia (nota: non se ne abbiano a male gli assisani, la stessa considerazione vale per tutte le città, gli antichi “Comuni”, umbri, ma anche
toscani, marchigiani, ecc.). L’Assisi del duecento si trovava, non solo a ridosso del centro di potere della Chiesa Romana, ma anche sulla rotta dei più grandi processi economici e politici dell’epoca. Lungo la “Valle Umbra” transitavano infatti non solo merci e mercanti dal sud al centro dell’Europa, ma anche eserciti imperiali e con (o dietro) loro idee politiche e conoscenze scientifiche e tecniche. Al riguardo basterà ricordare che poco più di duecento anni più tardi (all’epoca il tempo scorreva molto più lentamente) a Foligno venne allestita la prima tipografia con la stampa nel 1472 della Divina Commedia di Dante Alighieri. Se dunque, seguendo la “provocazione” di copertina, volessimo attualizzare il ruolo dell’Assisi del duecento, forse potremmo assimilarlo a quello dell’odierna Copertino della California che, a sua volta, potrebbe essere l’Umbria dell’epoca.
Folli
25
Parti e classi, umani e sub umani, il “dono” della lingua Pietro di Bernardone era un ricco, forse ricchissimo commerciante di stoffe dalla Provenza francese all’Italia centrale e viceversa. Francesco, così come i suoi coetanei che successivamente lo avrebbero seguito nella costruzione della sua organizzazione religiosa, apparteneva dunque alla parte ricca della società dell’epoca. “Parte” e non “classe”, perché anche su questo aspetto occorre fare una importante operazione di riallineamento di quel contesto storico all’attuale. Noi siamo oggi abituati a concepire la società formata da una serie articolata di classi economiche di diverso livello che degrada progressivamente dalla ricchezza alla povertà; ma anche quest’ultima con uno status sociale in qualche modo riconosciuto e protetto (n.b. tutto questo sino a oggi, anzi fino a ieri, perché il domani sta prefigurando una forte trasformazione delle attuali classi sociali in termini di un radicale “sfoltimento” delle diversità verso una divisione bipolare tra ricchi, anzi ricchissimi, e tutti gli altri poveri o comunque impoveriti). Ebbene nel duecento, e per molti secoli ancora a seguire sino alla nascita della borghesia mercantile del rinascimento, la società era sostanzialmente divisa tra “umani” e “sub umani”. Parafrasando Sciascia si potrebbe dire che in quell’epoca: prima c’erano i ricchi, poi i religiosi (cioè gli appartenenti all’organizzazione della Chiesa), poi i fattori dei ricchi e dei preti, poi i militari, poi niente, poi niente, poi niente, poi niente, poi... infine i servi della gleba, contadini, pastori, operai e simili. Tra i primi e gli ultimi c’era un vero e proprio baratro. Se volessimo fare un paragone attualizzato occorrerebbe immaginare la differenza economica, sociale e quindi culturale che esiste ancora oggi tra i contadini o pastori di alcuni villaggi della più povera Africa centrale o dell’Arabia e la ristrettissima cerchia delle famiglie dei capi (tribù, principi, imperatori, sceicchi, ecc.) che studiano e viaggiano tra Parigi, Londra e New York. Come dire: Francesco apparteneva alla famiglia dello sceicco e la grande parte del popolo assisano era nelle condizioni più o meno
degli “animali da soma”. Tornando alla “provocazione” di copertina Francesco di Assisi, come Steve di Copertino, avevano il “dono” della parola, cioè, dopo avere sufficientemente mangiato ed essersi curati, erano in grado di leggere e scrivere e quindi di pensare, al di sopra della massa dei sottoalimentati, totalmente incolti pastori umbri nel primo caso, e degli immigrati clandestini centro e sud americani e dei neri richiusi nei ghetti nel secondo caso. Quando dunque pensiamo al “poverello di Assisi” dobbiamo immaginare una persona di grandissime disponibilità economiche e parimenti di elevata cultura e conoscenze. Un leader, un manager internazionale, quale effettivamente è stato.
Francesco il “poverello” e Innocenzo III l’ “inquisitore” Francesco è vissuto circa 44 anni; una vita breve, ma di molto più lunga della media dei “sub umani” del tempo; eppure in quei non molti anni è riuscito a compiere attività e realizzare progetti assolutamente straordinari. Steve Jobs è vissuto dodici anni di più e per quanto sicuramente straordinarie siano state anche le sue realizzazioni, se riallineate le epoche, non si è neppure avvicinato a quelle di Francesco. Nel duecento italiano siamo ancora nel “basso medioevo” ma già appaiono,
almeno in alcune parti dell’Europa i primi segni del nuovo evo moderno che ufficialmente inizierà con la pubblicazione (non ancora a stampa) della Divina Commedia nella nuova lingua italiana-fiorentina. La nascita della nuova lingua, che costituisce un segnale di grande importanza per significare l’avverarsi di un cambiamento epocale, va non a caso riferita proprio a Francesco di Assisi con il suo Cantico delle Creature (a parte un più o meno coevo rogito notarile del napoletano). Francesco, come detto ricco e colto, scrive per la prima volta nella nuova lingua; un grande cambiamento era in corso e lui lo ha percepito con straordinaria lucidità e lungimiranza. Stava finendo un’epoca economica e sociale; la ricchezza per quanto concentrata in poche mani, come la cultura e la conoscenza, era comunque uscita dal chiuso dei monasteri e della chiese. Stava nascendo un nuovo potere e sapere autonomo e potenzialmente antagonista a quello della Chiesa Cattolica. Francesco lo ha intercettato e “incanalato”, in questo assistito dalla non comune intelligenza politica del Papa dell’epoca Innocenzo III, anche se responsabile quest’ultimo delle più feroci crociate sia contro i musulmani d’oriente, che contro i cristiani eretici del sud della Francia, nonché e soprattutto istitutore della “Santa (?) Inquisizione”.
26 Viaggiare, legiferare, comandare: un manager del 1200 Francesco iniziò la sua attività di predicatore nel 1208, dopo una lunga crisi di identità iniziata nel 1205 in seguito a grave malattia che lo aveva colpito a Spoleto mentre era in viaggio verso la Puglia per unirsi ai crociati nell’ennesimo tentativo della conquista di Gerusalemme. Nei 18 anni successivi compirà azioni e attività straordinarie, tentando più volte di raggiungere l’oriente musulmano, dapprima attraverso la Siria e poi il Marocco, vi riuscì infine in Egitto dove incontrò il Sultano discendente dal “feroce” Saladino. Lui vivente il suo ordine ebbe una diffusione in tutta Europa enorme, al punto che il suo stesso fondatore temette di perderne il controllo e così scrisse una seconda regola, assai più morbida della prima, ma tutta fortemente incentrata sull’organizzazione gerarchica dell’ordine che garantisse a lui e alla sua ristretta cerchia di fidati il controllo totale. Fondò anche un ordine parallelo femminile, quello delle Clarisse (da Chiara, sua compagna d’infanzia) che ebbe anch’esso uno straordinario successo di adesioni, anche per la diversa impostazione meno “reclusoria” dei conventi femminili dove, in effetti, all’epoca e per secoli e secoli a venire venivano rinchiuse a vita le femmine “soprannumerarie”, cioè non idonee
Folli per numero di sorelle, doti fisiche e mezzi economici della famiglia, ad essere coniugare e partorire la prosecuzione della specie. Tornando a questo punto al parallelo con la Steve Jobs del 2000, creatore della straordinaria Apple ma largamente secondo rispetto al padrone della quasi monopolista Microsoft, Bill Gates, occorre concludere che Francesco lo superò di gran lunga per doti manageriali.
L’elogio della libertà dell’uomo e la sottomissione al “Creatore” Resta l’ultimo paragone in merito al messaggio lasciato da Steve Jobs sostanzialmente alla vigilia della sua morte (messaggio che abbiamo voluto tradurre, per curiosità e grazie al grande talento di Stelvio Sbardella, nell’italiano umbro del duecento): “Siate affamati, siate folli”. Ebbene in questo caso invece il paragone è decisamente perdente per Francesco. Pur restando attentamente (e non avrebbe potuto essere diversamente per un imprenditore produttore e commerciante) nel più spinto capitalismo consumista, Steve Jobs sembra lanciare comunque un messaggio, in qualche modo ed entro certi ben precisi limiti, rivoluzionario. Capitalismo individualista sì, consumismo sfrenato pure, ma sempre pronti (in teoria) a “buttare in aria tutto”, pur di vivere
la propria vita. Quale? A ciascuno la propria scelta. Il messaggio di Francesco è invece diametralmente opposto. In un mondo arretratissimo sotto ogni aspetto, Francesco lancia ai poveri del mondo, oramai sull’orlo della rivolta al potere millenario della Chiesa e dei così detti nobili, il messaggio della soggezione, della sottomissione, della rinuncia a ogni speranza in terra, con la promessa del riscatto nel dopo morte. Come detto il Papa Innocenzo III, inventore dell’Inquisizione, percepì quasi al volo l’importanza del messaggio di Francesco che, nella sostanza, legittimava e rinforzava il potere temporale della Chiesa e il dominio dei ricchi e dei potenti sui poveri, Così Innocenzo III da un lato massacrò ferocemente i così detti “eretici” che, invece, avevano cominciato a contestare le prevaricazioni, e dall’altro legittimò l’ordine dei poveri sottomessi. Ringraziate i doni del sole, dell’aria e dell’acqua che vi ha offerto il Signore e sperate nella prossima vita oltre la morte, predicava Francesco; siate padroni di voi stessi, della vostra vita e del vostro destino, “Non rimanete intrappolati nei dogmi, che vi porteranno a vivere secondo il pensiero di altre persone”, ha ribattuto Steve Jobs. Viene da concludere: il Tablet ha battuto il Cantico delle Creature. Un suggerimento agli “eretici”: santificate Steve Jobs e abbattete tutti i dogmi, a cominciare da quelli della fede!
Lisbon
27
Lo scettro del cinema un gigantesco microfono che registra i rumori del mondo, della vita
Si possono riprendere i suoni? No, al massimo si riprendono gli oggetti da cui si ottengono. Si può vedere un suono? Forse, i bambini che registrano “per caso” costruiscono una splendida storia sui rumori che il fonico produce. I bambini. “Ascolto senza guardare e così vedo”. Le parole e Pessoa (“nessuno” in lingua portoghese), una
fede che smuove le montagne, sono comunque il nulla. La parola è testimonianza della memoria collettiva… poi si spalanca una porta e il fado irrompe con i Madredeus, chitarre piangenti e bare a forma di cuore. Togliete una lettera alla parola “suono” e aggiungetene un’altra. Verrà fuori “sogno”.
28
Lisbon
“Lisbon Story” un film di Wim Wenders Trama "Lisbon story" è un bellissimo film sul cinema uscito nelle sale nel 1995, che porta la firma del grande autore controcorrente Wim Wenders. L'autore tedesco si tiene lontano dalle consuete forme di spettacolo cinematografico che utilizzano le capitali europee di grande prestigio al solo scopo di esibirle al pubblico; qui Lisbona viene offerta agli spettatori in una dimensione nuova: nello splendore di un significato remoto, a lungo ricercato, che riemerge da una storia in parte ancora in vita e capace di dare emozioni. E' una Lisbona altra, che non si lascia ammirare solo per le sue bellezze paesaggistiche ed architettoniche ma anche per ciò che racchiude nel suo spirito più antico, costituito da enigmi profondi, ricchi di fascino ed a volte sconfinanti nel mistero. La pellicola sembra voler richiamare i media ad una maggiore attenzione verso lo spirito antico delle capitali europee, come se in un certo senso questo fosse parte di noi e potesse in qualche modo contrastare l'invasione di una modernità non sempre rispettosa del passato. Philip, tecnico del suono, trova un messaggio di un suo amico regista che lo chiama a Lisbona per aiutarlo a finire un film che sta girando. Arrivato a Lisbona non trova il suo amico Friedrich, ma dopo qualche giorno
passato nella sua casa trova del materiale girato da lui e comincia a lavorarci sopra. Gira per la città per cercare e registrare suoni. Poi incontra Teresa, la cantante del gruppo Madredeus che sta registrando la colonna musicale del film e si innamora di lei. Quando finalmente ritrova il suo amico lo trova in preda a una grottesca ossessione: ha ripreso centinaia di ore di pellicola della città di Lisbona, puntando la macchina dietro le spalle per non vedere le immagini mentre gira. È arrivato alla conclusione che l'occhio del fotografo rovina le immagini, le rende false e contaminate. Philip lo richiama in terra, lo convince che anche nell'epoca dell'inquinamento visivo si possono ancora fare dei film e ricominciano a girare il loro film in modo "tradizionale". I momenti più belli e poetici del film sono quelli quando Philip ascolta suonare i Madredeus. La loro musica è la tipica musica popolare di Lisbona, il "fado". "Fado" esprime malinconia, tristezza, nostalgia per ciò che si è perduto o il rimpianto per ciò che si è mai raggiunto. Spesso cantato da donne e accompagnato dalla chitarra, il "fado" è l'anima profonda del Portogallo. La bellezza della musica di Madredeus e la dolce, ma espressiva voce della loro cantante renderebbero da sole il film degno di essere visto.
Critica Quanto è sincera un’immagine? Può, ingabbiata nella cornice di una fotografia o dello schermo del cinema, restituire davvero la purezza della vita oppure, essendo frutto di una scelta, di una selezione, di un punto di vista, è comunque sempre soggettiva e quindi privata, personale e, in fin dei conti, menzognera? Sono queste le domande cui tenta di rispondere il film di Wim Wenders, una riflessione sul ruolo dello sguardo e sul valore del cinema. I tempi cambiano (l’Europa unita ha infranto le barriere e allargato lo spazio dell’orizzonte dove lo sguardo, appunto, e il cinema possono inoltrarsi) ma la ricerca di autenticità che c’è dietro ogni esperienza artistica è sempre la stessa. Convocato da Friedrich, un regista che gli chiede aiuto nella realizzazione di un film, il tecnico del suono Phillip si reca a Lisbona e scopre che il suo amico è sparito nel nulla. La ricerca dell’uomo diventa così un’immersione nello spirito della città – una Lisbona che affianca alle suggestioni dell’antico l’impeto del moderno – di cui Phillip (e Wenders) cerca di cogliere l’essenza ascoltandone i rumori, nella convinzione che dove lo sguardo fallisce, forse l’udito può essere essenziale nel captarne il battito nascosto.
29
Lisbon
Intervista al regista Wim Wenders
Le impronte sonore ricostruiscono la memoria di un luogo, così le tracce dell’amico (che spesso si fanno confuse per colpa o per merito di alcuni ambigui personaggi) raccontano di un percorso di ricerca intrigante ma non ancora ultimato. Forse rimanendo sintonizzato con il fruscio di Lisbona, tutte le verità (di Friedrich, della città, della vita stessa) si riveleranno. O forse sarà opportuno tenere comunque gli occhi aperti? Una storia appassionante e piena di suggestioni in cui Wenders gioca con la scatola del cinema e si diverte, come altre volte, a imbastire un mistero e a scioglierlo in modo sorprendente. È un film in cui abbondano le riflessioni teoriche e le citazioni raffinate, animate da uno spirito cinefilo molto ricercato che forse potrebbe non essere per tutti i gusti. Molti gli omaggi alla settima arte (Dziga Vertov, Buster Keaton, Federico Fellini – morto l’anno prima e dedicatario del film – e Manoel de Oliveira, che interpreta se stesso) e un finale sorprendente che stimola anche chi non è abituato a un certo tipo di speculazione filosofica, a interrogarsi insieme al regista su quale sia il ruolo dello sguardo – e quale, fondamentale, la funzione del cinema – in una società tumultuosa come quella che si affaccia sul terzo millennio.
Qual è il ruolo del regista cinematografico nel mutato ruolo dei media? Il ruolo del cinema è cambiato. Quando ho cominciato io il ruolo era chiaro: un cinema di regia. Ora i film hanno ottenuto una funzione diversa perché è cambiata la realtà. Ci sono altre professioni che non hanno fatto bene il loro lavoro. Quando ho iniziato il ruolo della chiesa e della politica erano molto importanti nella nostra vita. È cambiato il ruolo del regista. Lei è un insegnante, oltre che un regista, cosa ritiene importante insegnare ai suoi studenti? Il mio compito come insegnante è aprire gli occhi alla gente. Gli insegnanti presentano immagini chiuse. Da dieci anni insegno, non Storia e Critica del Cinema ma Cinema Digitale. Non certo perché non mi piace la storia del cinema ma perché la realtà è quella di oggi. Alla fine i ragazzi usciranno e dovranno avere gli strumenti. Non la storia quindi ma il futuro. È un compito non facile. Non esiste il cinema senza la sua storia ma il cinema del futuro è diverso. Devo prepararli all’era del digitale per fare cose che noi non ci sognavamo nemmeno. Ho iniziato come regista a lavorare con gente che aveva lavorato nel muto. Il primo direttore della fotografia veniva dal muto. Sono fortunato perché ho questo bagaglio. Ora lavoro con microcamere che hanno cambiato la storia del cinema. Io desidero aprire gli occhi agli studenti e alla gente. Dalle lunghe inquadrature del cielo sopra Berlino è passato a un linguaggio più secco con un montaggio più diste-
so, meno osservato. Quanto è importante il montaggio? Il montaggio è tagliare tutto. Ore e ore di girato devono essere condensate in due ore di film. Puoi filmare per due anni e poi ridefinire totalmente ciò che hai scritto e filmato. Dieci montatori diversi con le stesse immagini montano un film diverso. Il montaggio è molto importante. Io agli inizi non ne avevo idea. Io giravo e per me era tutto molto importante. Ma non era montaggio era assemblaggio, un giorno è arrivato da me un giovane molto arrogante, lui aveva 24 anni, io 25 e mi ha detto “Tu non capisci niente di montaggio. Faccio io il montaggio.” Mi sono fidato di lui perché sapeva il fatto suo, ma poi ho scoperto che aveva fatto l’assistente al montaggio. Allora gli risposi, dai fammi vedere” E lui tagliava, tagliava, tagliava e io soffrivo. Da allora è rimasto con me e siamo diventati come gemelli. Non utilizza un metodo. Ognuno ha un suo approccio, deve conoscere ogni singola inquadratura. Si immerge per 12 ore al giorno e conosce tutto. Ogni volta so che lui dentro tutto il materiale trova tutto il film che io avevo nella testa. Abbiamo sempre fatto molte liti. E ha sempre vinto lui. Esiste in Germania come in Francia una legge che protegga il cinema? In Germania come in Italia non esiste una legge protezionista. Il cinema va aiutato, ad esempio nel marketing e nella distribuzione. Non si può mettere il cinema in un acquario come una cosa da salvare. In Germania il cinema è sovvenzionato e ben distribuito. Il cinema non ha bisogno di protezioni ma di progetti.
30
Lisbon
Wim Wenders, vita e filmografia Wim Wenders è nato a Düsseldorf il 14 agosto 1945. Esponente di primo piano del Nuovo Cinema tedesco, ha conosciuto il successo internazionale dirigendo pellicole quali Lo stato delle cose, Paris, Texas e Il cielo sopra Berlino che gli hanno valso numerosi riconoscimenti di carattere internazionale. Palma d'oro a Cannes nel 1984, ha inoltre ricevuto il Leone d'oro alla carriera alla Mostra del Cinema di Venezia nel 1995. Figlio di un medico, dopo il liceo si iscrive a medicina (1963), facoltà che abbandona prima per seguire i corsi di filosofia (1964) e poi per dedicarsi alla pittura. Nel 1966 si trasferisce a Parigi e qui lavora come incisore nello studio dell'artista americano Johnny Friedlander. Inizia a frequentare le lezioni dell'IDHEC e trascorre intere giornate alla Cinémathèque, dove vede anche cinque film di fila. In seguito torna in Germania, e dal 1967 al 1970 è studente dell'Accademia del cinema di Monaco. Il suo primo corto, Scenari, è del 1967 mentre l'anno successivo realizza Lo stesso giocatore spara di nuovo. Sempre nel 1968 inizia a collaborare con la rivista Filmkritk e il quotidiano Süddeutsche Zeitung come critico cinematografico. Alla fine degli anni sessanta e sulla scia della Nouvelle Vague francese, nasce in Germania il movimento del Nuovo cinema tedesco. Tra i suoi rappresentanti, oltre a Werner Herzog, Rainer Werner Fassbinder, Edgar Reitz e Alexander Kluge, c'è Wenders. Intanto nel 1970 il regista gira il suo primo lungometraggio: Estate in città. Seguono La paura del portiere prima del calcio di rigore del 1971, sceneggiato con Peter Handke, e, l'anno dopo, La lettera scarlatta, film ambien-
tato nell'America puritana del XVII secolo. Il tema del viaggio è invece al centro di quella che è stata poi definita "la trilogia della strada". Il primo film che compone la trilogia è Alice nelle città del 1973 che racconta l'amicizia tra un giovane reporter e una bambina. L'opera riceve il premio della critica tedesca nel 1974 e, ancora oggi, viene considerato uno dei lavori più riusciti del regista. Gli altri film della trilogia sono Falso movimento e Nel corso del tempo e, come nel precedente, anche in questi due ad interpretare il protagonista è Rüdiger Vogler. Arrivano per Wenders i primi riconoscimenti internazionali: il Golden Hugo al Chicago Film Festival e il premio FIPRESCI al Festival di Cannes. Nel 1975 fonda la casa di produzione "Road Movies" e in seguito dirige L'amico americano, con Bruno Ganz e Dennis Hopper nel ruolo dei due protagonisti. Wenders si trasferisce negli USA per circa quattro anni. Durante questo periodo dirige Lampi sull'acqua Nick's movie, film-testamento sull'amico e regista Nicholas Ray, malato terminale di cancro. Seguono Hammett, una "detective story" con Frederic Forrest, tratta dal romanzo di Joe Gores, e Lo stato delle cose nel 1982. Ambientato in Portogallo e a Los Angeles, quest'ultimo lavoro racconta la vicenda di un regista rimasto senza soldi e pellicola per continuare a riprendere. Il film, con Patrick Bauchau nel ruolo principale, viene premiato con il Leone d'Oro al Festival di Venezia. Il festival di Cannes lo premia nel 1985 con la Palma d'oro per Paris, Texas, scritto con Sam Shepard, mentre gli conferisce il premio come migliore regista nel 1987 per Il cielo sopra Berlino, in cui torna a
collaborare con Peter Handke per i dialoghi e con Bruno Ganz, a cui affida il ruolo del protagonista, l'angelo che vuole diventare uomo. Nel 1991 conclude Fino alla fine del mondo, al quale ha lavorato a più riprese per circa vent'anni e dove il tema del viaggio attraverso i continenti viene recuperato e intrecciato con quello dell'amore e del progresso tecnologico. Il film si caratterizza per la splendida colonna sonora, alla quale collaborano artisti come U2, Talking Heads, Lou Reed, Nick Cave e R.E.M., Gira poi il seguito del Cielo sopra Berlino, Così lontano, così vicino del 1993, e nel 1994 Lisbon Story, di nuovo con Rüdiger Vogler e Patrick Bauchau. Insieme a Michelangelo Antonioni dirige nel 1995 Al di là delle nuvole, opera che segue gli sviluppi di quattro storie ambientate rispettivamente a Ferrara, Portofino, Aix-enProvence e Parigi. Tra il 1991 e il 1996 Wenders è a capo della European Film Academy, di cui ancora oggi è il presidente, e dal 1993 è professore onorario all'Accademia del cinema di Monaco. Seguono poi Buena Vista Social Club, emozionante incontro col musicista Ry Cooder, Compay Segundo e altri grandi autori e interpreti della musica cubana, The Million Dollar Hotel, giallo con Milla Jovovich e Mel Gibson che vincerà l'Orso d'argento al Festival di Berlino, l'amaro La terra dell'abbondanza, girato a Los Angeles e Non bussare alla mia porta del 2005, contraddistinto dalle stesse tematiche di Paris, Texas. Ha poi contribuito con Invisible Crimes, episodio di 24 minuti per Invisibles, documentario dell'organizzazione umanitaria Médecins Sans Frontières presentato a Berlino ed a Cannes nel 2007. Nel 2011 ha presentato il suo lungometraggio in 3D Pina, tributo ala ballerina Pina Bausch.
Baci
Storie curiose di baci
Non il cielo – una cupola senz’aria Sul biancore spoglio delle case, Come se qualcuno, indifferente, avesse Strappato il manto dalle cose e dai volti. L’oscurità – quasi fosse l’ombra della luce, La luce – quasi fosse il riflesso dell’oscurità. Ma c’è stato il giorno? E questa è la notte? Non siamo forse il sogno torbido di qualcuno? Guardo tutto con sguardo perspicace, E poiché la mia quiete è stranamente assopita,Guardo la tua bocca, su cui giace L’impronta di baci non miei. Sia pure falsamente soave, falsamente costante Il tuo sguardo sotto le palpebre stanche, – Ah, forse può essere colpevole Una persona sotto questo cielo! (Sofija Parnok, "In una notte bianca", 1915)
31
32
Baci
Da mi basia mille. Un complicato e versatile "omaggio" DI SARA MIRTI
"Bacio che sopporti il peso / della mia anima breve / in te il mondo del mio discorso / diventa suono e paura" (Alda Merini). Pare che il "basium" latino (da non confondere col similare "osculum", o col “savium”) derivi dal sanscrito "bhadd", letteralmente "aprire la bocca"; mentre in greco il termine che designa l'atto del baciare ("io bacio") è "cunèo" da cui derivano, in tedesco, "kusz" ("bacio") e "kussen" (baciare), e, in inglese, rispettivamente, "kiss" e "to kiss"; in persino invece i termini usati sono "bons" e "bonsiden" (si veda A. Bassi, "Storia del bacio", Odoya, Bologna 2009). Cosa sono e cosa significano tutte quelle sequele di baci con cui gli uomini hanno imparato ad esprimersi da milioni di anni? Sono "lunghi sogni" dal risveglio incerto, per dirla con A. Block, sono quindi forme espressive di confine, a metà tra la vita e la morte, il cavillo giuridico e la catarsi, un linguaggio spudorato a prescindere, che male si adatta ai salamelecchi: "Quel bacio senza rumore: / labbra di sasso – / così si bacia la mano /ai morti, alle signore…" (M. Cvetaeva); ma certo è andata peggio a tutti coloro che per mostrare deferenza hanno dovuto abbracciare le ginocchia di Nerone. Non a caso, anni e anni dopo, ma in una condizione simile, il capitano normanno Rollone, di fronte a Carlo il Semplice, al momento di rendere omaggio, "[…] non volle inchinarsi davanti al re e afferrò il suo piede e se lo portò alla bocca e il re, tra le risate degli astanti, fece un capitombolo" (Nyrop, "Storia del bacio", p. 17, cit. in A. Bassi, "storia del Bacio", p. 22). (Al di là delle dicerie su francesi e olandesi, parrebbe che siano gli inglesi i tipi più espansivi in tal senso: "quando giungi in un posto ti baciano, quando devi partire ti baciano. Vieni baciato tutte le volte che incontri una persona. In ogni posto vieni sempre baciato e se hai provato il gusto e il piacere del bacio, mio caro Faust, desidererai di rimanere in esilio in Inghilterra per tutta la tua esistenza" (Erasmo da Rotterdam, "Epistolae Familiares", 1522, in A. Bassi, "storia del Bacio", p. 16). Secondo i Vangeli serve
un bacio per tradire, mentre, stando a Shakespeare, un bacio può essere persino la causa diretta di una morte, in perfetto stile Romeo e Giulietta; con la stessa velocità un bacio, indentico a qualunque altro, potrebbe benissimo anche rendere immortali (a condizione, certo, che si tratti di un bacio da parte della persona amata: "Fu il tuo bacio, amore, a rendermi immortale" - Margaret Fuller). Che stia a indicare una virgola ("Un bacio può essere una virgola, un punto interrogativo o un punto esclamativo. È una fondamentale regola di lettura che ogni donna dovrebbe conoscere" - Jeanne Bourgeois, alias Mistinguett, poliedrica attrice francese del secolo scorso, dicembre 1955), un punto e virgola, un punto fermo, un punto esclamativo o un grande, enorme, punto di domanda all'interno del linguaggio amoroso, comunque sia dicevamo (stando a Guy de Maupassant), "Un bacio legale non potrà mai valere un bacio rubato". Proprio come un pasto gratuito, regalato o "scroccato", avrà sempre (con buona pa-
ce di Dante) un sapore migliore di quello pagato di tasca propria. E infatti il bacio, più prosaicamente, nasce per esigenze (pur sempre romantiche) nutritive: in tempi remoti (per intenderci: non solo non erano stati inventati gli omogeneizzati, ma nel menù non c'era a disposizione nemmeno la carne cotta) probabilmente è stato a lungo un escamotage per passare il cibo dalla madre al figlio da svezzare. Poi è diventato un mezzo per suggellare (anche il sigillo è una sorta di bacio) un patto: il "baciatico" nel medioevo era una pratica utile, durante gli sponsali, a promettere o ad assegnare alla futura sposa una donazione (possiamo immaginarne la capitale importanza all'interno di un "diritto di famiglia" agli albori); si tratta della diretta derivazione di un'usanza romana secondo cui la "fidanzata", qualora alla promessa si fosse accompagnato un bacio, aveva diritto alla metà delle cose ricevute in dono per il suo matrimonio anche in caso di morte prematura del futuro marito.
Baci
Il bacio rappresenta un ponte, fisico e metafisico, la sospen-sione della realtà nell'intervallo tra un suo mutamento e un altro, e concretizza in sé una gamma pressoché infinita di saluti (di cortesia, di addio…) e di sinonimi amorosi, tanto che sembrerebbe incarnare facilmente il punto fermo all'interno di un discorso; invece io bacio rappresenta l'inizio o la fine di un qual si voglia capoverso. Si bacia la terra (come Agamennone di ritorno dalla guerra di Troia), si baciano oggetti cari, reliquie, immagini considerate sante, la mano altrui o la propria mano (affinché sia in grado di veicolare i nostri sentimenti quando toccheremo il nostro ospite, colui che ci ha fatto una sorpresa o un regalo gradito), gli amici, i nemici, la persona amata (e male fece Adamo nell'Eden a inaugurare tale pratica), ma anche animali, esseri immaginari e magici… Vi siete mai chiesti per quale assurdo motivo una "principessa" (e va da sé che ogni ragazza lo è, e che ogni don-
na rimane una ragazza improrogabilmente fino ai 120 anni) debba, per tradizione, andarsi a cercare un principe azzurro tra i rospi di qualche stagno? Per non farsi troppe illusioni sul proprio futuro coniugale tutto gargarismi e occhi "palpati" davanti alla tv? Naturalmente, sempre per tradizione costringe anche i principi a baciare serpenti che poi si muteranno per incanto in altrettante mogli. Si sa, "il bacio di chi ama è nettare; il bacio dell'indifferente è acqua di fonte; il bacio del malvagio è veleno" (cit. in A. Bassi, "storia del Bacio", p. 28). Il bacio è anche una battuta d'arresto, pardon "d'aspetto" (definizione usata nel cinema e nel teatro) in ogni storia, l'attimo in cui tutto si risolve nella consacrazione del protagonista o nel sacrilegio perpetrato a danno dei suoi valori. Balzac sosteneva che "vi sono delle gradazioni nei baci", proprio come vi sono gradazioni differenti nei colori del mattino: variano allo stesso ritmo con cui si assesta la sensibilità al dolore di
33 ciascuno nei diversi momenti della vita. esistono baci "scherzosi", "umoristici", "d'ammirazione", "fatali", "vulcanici", "disperati", "dongiovanneschi", baci che sono doverosi (come quelli scambiati durante le iniziazioni, o l'ingrasso alle corporazioni) e baci che altro non sono se non una moderna trappola fatta scattare da specifici giochi di società (nascono e cadono come foglie: solo a nominarli sarebbero già desueti), baci che vengono evocati per dire qualcosa d'altro, al di là di ogni ambizione romantica: "baciare il chiavistello" sta per "andarsene e non tornare più", mentre "baciare il catenaccio" vuol dire "rendere omaggio". Esistono bevande (persino l'acqua può essere reclutata tra queste), dolci, cibi prelibati ("al bacio"), la cui "dolcezza" (ma meglio sarebbe dire la dose di ebbrezza provocata) può essere assimilabile ad un bacio; ed esistono uomini (ma a dirlo è quel chiacchierone di Socrate), come i Falangi, alti nemo di mezzo obolo eppure capacissimi di far impazzire e causare dolori terribili col tocco delle labbra, o forse con un morso velenoso (mai baciare "un bello", ti renderebbe schiavo, intossicandoti perdutamente). Sarà per questa sua infida pericolosità che, per aver scritto sull'argomento, a Monsignor Giovanni della Casa (1503-1556) venne impedito di vestire i panni di cardinale; pare dunque che "l'osculum pacis" sia una speranza al di là da venire, oppure sia tutto un fraintendimento: "Ne è rimasta memoria [del bacio di pace] nell'antico irlandese, in cui la parola "poc" che deriva dal latino "pax", significa "bacio" e non "pace". Questa trasposizione di significato deve attribuirsi almeno in parte a un'errata interpretazione delle parole pronunciate dal sacerdote quando baciava il penitente: "pace do tibi" (ti do la pace). I fedeli che consideravano il bacio l'atto più importante, pensavano che "pacem" si riferisse ad esso" (Nyrop, "Storia del bacio", p. 66, cit. in A. Bassi, "storia del Bacio", p. 97). Il bacio più sacro è quello che sancisce l'alleanza tra due "amanti impossibili", e la progressiva cooptazione di uno sull'altro: bene e male (come San Francesco e il lebbroso), vita e morte (Pigmalione e Galatea)… Quello più umano è il bacio che si scambiano i protagonisti dell'Opera: è l'elemento indispensabile affinché un patto sia stretto o violato,
34 affinché un dramma abbia inizio, affinché l'eternità promessa diventi eterno distacco. Un bacio insieme d'amore e di odio evoca la "Carmen" di G. Bizet, mentre il bacio di Tosca è negazione e morte, infine per Bufferfly si tratta di una nuova tradizione, che ella trova forte e radicata e che contribuirà ad allontanarla dalla propria gente. Per tornare ai nostri tempi, è ancora fin troppo diffuso l’equivoco che vuole veritiero il cosiddetto “paradosso dei trovatori” (l’amore resta tale a condizione di non essere appagato): condizione che fa il gioco di una società che non ammette l’istaurarsi di strade secondarie, non ammette intrecci troppo personali, ma preferisce affrontare, e inevitabilmente vincere, gli individui uno per uno, senza che possano fare squadra in qualche modo. Ma il bacio, oltre a intessere legami, come in una rivisitazione della favola di Cenerentola, sa risvegliare le coscienze anche alle realtà peggiori, facendosi persino mezzo di costrizione: nel I sec. a. C. fu proibito alle donne romane il bere vino e contemporaneamente fu concesso agli uomini di baciare in pubblico (cosa fino a quel momento disdicevole) le proprie mogli (o le proprie parenti), per verificarne l’alito. D’altra parte troppi baci possono, a detta di Cicerone, arrivare a consumare le labbra di una statua del grande Ercole, immaginiamoci allora cosa potrebbe accadere a un comune mortale, non plasmato nel marmo, che ne abusasse. Insomma, da qualsiasi punto di vista storico-culturale si voglia esaminare la questione, il bacio, sia esso schioccato, mimato, immaginato, concesso, negato, sia esso lecito o illecito, rappresenta comunque la china dopo la quale, nella buona o nella cattiva sorte, precipitano gli eventi. La speranza di ogni agente coinvolto in una scena di bacio, va da sé, è che la propria anima prenda infine vita, dimentica di essere stata creata dall'argilla in un momento in cui il ponte tra la terra e il cielo era ancora percorribile, e proprio attraverso un respirro, un soffio intenso, senza distanze incolmabili,proprio come un “bacio”.
Baci
Torna: “Torna sovente e prendimi, palpito amato, allora torna e prendimi, che si ridesta viva la memoria del corpo, e antiche brame trascorrono nel sangue, allora che le labbra ricordano, e le carni, e nelle mani un senso tattile si riaccende. Torna sovente e prendimi, la notte, allora che le labbra ricordano, e le carni..." (Costantino Kavafis)
Carmen
Storia di una donna libera
“Io sono il fuoco che brucia i veli pallidi della notte, io sono il fuoco che forgia le lame delle battaglie che infiammano i tuoi occhi. Tu mi guardi e tremi, mentre pallido stringi ciò che non si prende.â€? (Chiara Mancuso)
35
36
Carmen
Carmen: dramma unico in quattro atti di G. Bizet DI CHIARA MANCUSO
S
e leggessimo le parole dell’habanera di Carmen, senza conoscere né l’autore né il periodo storico in cui sono state scritte, sicuramente penseremmo che siano state proclamate in qualche manifestazione femminista sessantottina, o magari cantate a Woodstock fra gli striscioni che inneggiavano all’amore libero. E invece, Carmen è stata scritta un secolo prima della cosiddetta “rivoluzione sessuale”, prima dei manifesti e delle occupazioni in piazza e nelle università! Sembra impossibile, ma questo dramma di Mérimée ha precorso i tempi e ha presentato un mondo che l’uomo rifiutava di vedere: la ribellione della donna, l’emancipazione femminile, una donna che prende coscienza di sé urlando di essere “ nata libera e libera morirà”. uando nel 1873 George Bizet decise di realizzare l’opera “Carmen”, su commissione del direttore artistico del Theatre National de l’Opéra-Comique di Parigi, iniziò un percorso in salita che lo fece ritardare di un anno per la stesura della partitura, non riuscendo a trovare una cantante che potesse interpretare la parte di Carmen, scritta per voce di mezzo-soprano: solo dopo mesi di trattative Célestine Galli-Marié accettò la parte dietro l’esoso compenso di 2.500 franchi al mese! Ad opera conclusa, nel 1874, all’inizio delle prove, l’assistente del direttore artistico, du Locle, preoccupato per i costi ingenti dell’opera, la definì immorale e inadatta per il pubblico dell’operà Comique, abituato a spettacoli più “leggeri”, e cercò di convincere i librettisti a cambiare almeno il finale. L’opposizione netta di Bizet non fu gradita a questi ultimi, che non credendo nel successo dell’opera, cercarono di creare un vero e proprio clima di “ammutinamento” all’interno del teatro, coinvolgendo cantanti e musicisti, che giudicarono la musica impossibile da eseguire e il libret-
Q
to osceno. Tuttavia, le prove generali convinsero la compagnia che in “Carmen” c’era qualcosa di geniale che valeva la pena rappresentare e il 3 marzo 1875 andò in scena la prima: i timori di du Locle si concretizzarono nelle critiche graffianti sul libretto non adatto alla Comique; la musica fu criticata su fronti opposti, da una parte considerando eccessiva l’attenzione all’orchestrazione a scapito dei cantanti, dall’altra i wagneriani criticarono Bizet per aver adottato solo in parte lo stile del maestro tedesco. I primi due atti furono applauditi, ma al terzo e al quarto seguì il silenzio. A fatica andarono in scena le quarantotto repliche previste e du Locle fu costretto a vendere i biglietti a prezzi stracciati per non rischiare il vuoto in sala e il fallimento del teatro che navigava già in cattive acque. Bizet entrò in depressione e tre mesi dopo morì a soli trentasette anni, probabilmente d’infarto o forse, come ipotizzò qualcuno, suicida, appena un giorno dopo aver firmato per la rappresentazione a Vienna, che avrebbe segnato il successo di Carmen a livello Mondiale, consacrandola come la terza opera al mondo più rappresentata in tutti i tempi.
I
più importanti intellettuali e musicisti del periodo la giudicarono geniale e innovativa, intuendo la lungimiranza di Bizet che iniziò uno stile ripreso più avanti da Ravèl e Debussy per citarne qualcuno. Perfino filosofi come Nietzsche e il giovane Freud apprezzarono lo stile e il coraggio del verismo dell’opera, che dipingono un nuovo personaggio femminile, contrapposto alla candida eroina romantica più simile alla donna “angelo” dantesca. Sì, perché Carmen è una gitana che lavora per vivere, emancipata, libera, spudorata, senza fronzoli, ornata solo di una bellezza sfacciata che la rende l’alter-ego femminile del Don Giovanni di Mozart. Come nel Don Giovanni, la storia è ambientata a Siviglia, trasformata nella città del “peccato”, piena di donne lascive, contrabbandieri, briganti e zingari e Carmen ne è la regina. Carmen, una sigaraia che fuma e vende le sigarette di contrabbando, Carmen, che si fa beffe degli uomini che strisciano ai suoi piedi intonando il suo “manifesto ideologico” con la celebre habanera: l’habanera è una musica di danza nata in Spagna, ripresa poi in America Latina; ha un ritmo sensuale e cadenzato simile al tango e le parole scritte dallo stesso Bizet, ne esaltano i colori caldi e vibranti.
37
Carmen “L’amore è un angelo ribelle che nessuno può domare![…] L’amore è uno zingaro per lui non esiste una legge, quando credi di averlo già, lui vola via […]se tu non mi ami io ti amerò, ma se ti amo, attento a te!” na dichiarazione che rompe con l’ideale romantico dell’amore eterno e puro, che unisce gli amanti anche oltre la morte; per Carmen l’amore è un gioco, qualcosa che nessuno può possedere, fugace e passeggero, proprio come lei. E quasi per gioco posa gli occhi su l’unico uomo che non la voleva: Don Josè, un semplice sergente, arrivato da poco a Siviglia, legato ad una brava ragazza del suo paese, Micaela, e ai suoi valori familiari. Carmen gli lancia un fiore, quasi come un guanto di sfida. “Se tu non mi ami, io ti amerò!” L’occasione per conquistare don Josè si presenta di lì a poco: Carmen sarà arrestata proprio da Don Josè per aver ferito, durante una lite, una ragazza che lavorava con lei. Durante la notte in cella, Carmen farà di tutto per sedurre Don Josè che alla fine cede e la libera, dietro la promessa che una volta fuori sarebbero stati felici insieme. “Promettimi che mi amerai!” Da quel momento, la vita di Don Josè verrà stravolta dall’amore per Carmen: per averla aiutata a fuggire sarà arrestato e una volta fuori, rinuncia alla carriera militare e si rifugia nelle montagne con Carmen, diventando un fuorilegge, un contrabbandiere. Don Josè crede nella storia con Carmen e le regala anche un anello di fidanzamento, ma lei già si è stancata di lui e pensa ad un altro, Escamillo, l’affascinante torero di Siviglia: decide, allora, di affidare la sua sorte alle carte, che però le danno un cattivo auspicio. Morte. La predizione della sua morte la turba solo per un attimo, ma poi decide di seguire il suo istinto: approfitta della partenza di Don Josè a causa della malattia della madre, per avvicinarsi ad Escamillo. ’ultimo atto è l’epilogo della forza di Carmen. Don Josè ritorna e la trova al fianco del torero; accecato dalla gelosia chiama in disparte Carmen e la supplica di fuggire con lui, rinfacciandole che a causa sua ha perduto tutto, diventando perfino un bandito. Ma Carmen è irremovibile; non le importa più di Don Josè, per lei è finita: sfila dal
U
L
suo dito l’anello e lo getta ai suoi piedi. A quel punto la gelosia si trasforma in follia omicida e tirando fuori un coltello, la minaccia di seguirlo. “Carmen è nata libera e libera morirà!” Come Don Giovanni, Carmen non teme la morte e affronta le conseguenze dei suoi gesti: Don Josè la uccide e si consegna ai gendarmi, mentre sullo sfondo si festeggia la vittoria di Escamillo. Come a Don Giovanni, anche Carmen ha avuto una possibilità di tornare indietro per evitare la morte, ma per non tradire la propria natura e rinnegare se stessa, preferisce morire da donna libera. E’ la tradizione, incarnata dal bravo ragazzo di campagna, che si fa sedurre dal nuovo, dalla trasgressione, cercando di cambiarla a suo favore, ma non riuscendoci, preferisce sopprimerla. E’ la storia dei nostri giorni, delle donne che vengono uccise per i propri ideali, giusti o sbagliati che siano, troppo spesso dagli uomini che le hanno amate. E’ l’inizio di un cambiamento che ancora oggi non ha visto del tutto la luce, soffocato dai pregiudizi e dal maschilismo. Carmen arriva a noi fresca e attuale, non dimostrando affatto i suoi centoquarant’anni, anzi, riesce ancora a sedurre e scandalizzare il pubblico. izet apre una nuova strada, mescolando la tradizione popolare al nuovo. La musica è un assortimento ben riuscito di musiche popolari spagnole, flamenco, habanera, e nuovi spunti ritmici e armonici che influenzeranno la musica del novecento. La doppia scena finale, lo schiamazzo della corrida che arriva in lontananza
B
e le urla di gelosia in primo piano, è resa con genialità e realismo cinematografico. Non ci si può annoiare assistendo alla “Carmen”: verrete catapultati nella folle Siviglia pervasa da una musica irresistibile, dove zingari balleranno il Flamenco, ragazzini beffeggeranno i soldati, affascinanti toreri si sfideranno nell’arena, per conquistare lei, la donna che tutti amano, ma che nessuno mai avrà. Carmen, storia di una donna libera. a parte di Carmen , originariamente, è stata scritta per voce di mezzosoprano, un timbro di voce generalmente delegato al personaggio antagonista dell’opera: la voce del contralto o del mezzo-soprano è più calda e scura e quindi connota o un personaggio anziano, o un personaggio sordido, negativo ( per esempio Azucena nel Trovatore o Maddalena nel Rigoletto).In questo caso, Bizet sfrutta il colore caldo della voce del mezzo-soprano, per dare più sensualità e più spessore al personaggio distaccandolo ancora di più dalle eroine romantiche. Venne scritta, però, anche la parte per soprano e contralto. Fra le grandi cantanti con voce da mezzo-soprano che hanno interpretato Carmen, ricordiamo Giulietta Simionato. Maria Callas cantò la parte da soprano, dando la stessa espressività del mezzo-soprano, grazie al particolare timbro e alla estensione unica della sua voce, tuttavia si rifiutò di interpretarla in teatro, ma ci lasciò solo una registrazione audio, in quanto sosteneva di avere le caviglie grosse e di non volerle scoprire nei costumi scenici e nelle mosse di Carmen.
L
38
Carmen
GE ORGE B I Z E T Un posto particolare tra i musicisti dell'Ottocento è occupato da Georges Bizet nato a Parigi il 25 ottobre 1838, che sin dall'infanzia rivelò spiccate tendenze musicali. Il padre, insegnante di canto, fu il suo primo maestro; anche la madre, valente pianista, apparteneva ad una famiglia di musicisti. I rapidissimi progressi che fece, permisero a Bizet di essere accolto al Conservatorio di Parigi prima di aver raggiunto l'età consentita dai regolamenti. Georges seguì un corso di studi presso il Conservatorio e, dopo aver superato gli esami con esito brillante, si applicò allo studio del pianoforte e della composizione. Appena diciannovenne, trasferitosi in Italia per approfondire gli studi, vinse il "Premio di Roma". Finito il periodo di studio tornò a Parigi. La sua prima composizione di rilevante importanza fu l'opera in tre atti "I Pescatori di perle", ambientata in Oriente e rap-
presentata nel settembre 1863. Le prime opere teatrali non ebbero molto successo: Georges Bizet era accusato di rivelare nella sua musica l'influenza di Gounod e di altri compositori. Nello stesso tempo Bizet fu incaricato di preparare una composizione per accompagnare sulla scena d'Alfonso Daudet "L'Arlesiana". Questa composizione ebbe un successo contrastato all'inizio, ma con il tempo finì per imporsi al pubblico di tutto il mondo. La musica ispirata a motivi folcloristici e popolari della Provenza, fa rivivere l'atmosfera ardente di questa regione mediterranea. L'opera in cui apparve la piena maturità artistica dell'autore fu quella per cui ancora oggi è ampiamente conosciuto: la "Carmen". Bizet si dedicò con entusiasmo e tenacia alla composizione della Carmen, creando così l'ultima e la più importante delle sue opere (che fra l'altro entusiasmò Nietzsche).
L'azione si svolge in Spagna, a Siviglia e sui monti vicini. La prima rappresentazione dell'opera ebbe luogo a Parigi, al teatro dell'opera Comique, nel 1875, ma non fu un successo. L'intreccio del dramma venne giudicato troppo immorale ed anche la musica non piacque agli amanti della tradizione. Purtroppo Georges Bizet non conobbe il successo che arrise in seguito alla sua opera e che avrebbe acceso in lui la speranza e la fiducia in se stesso, perché morì a soli 37 anni, il 3 giugno 1875, a tre mesi di distanza dalla prima rappresentazione, in seguito a un attacco di cuore. Dall'opera di Bizet nasce il mito moderno di Carmen e di questo mito se ne sono impossessati il cinema (dai tempi del muto al musical di Preminger del 1954 fino ai più recenti film di Godard, Rosi, Sauras), la danza (Gades e Petit) ed il teatro in genere.
Eva
Regalo di Compleanno
“ Ho compiuto sei anni e stò imparando a leggere dentro di me…” Ogni mese Piazza del Grano offre questo spazio a tutte le donne. Manda la tue mail a “parliamone” : pp.zzadelgranodonne@libero.it
39
40
Eva
PARLIAMONE… “la grande C” DI
CATIA MARANI
…Ho compiuto sei anni. Non saprei dire precisamente quando. Tale mia rinascita ha richiesto un lungo e doloroso periodo di gestazione. Ma so con precisione il giorno che sono morta la prima volta. Era il 25 gennaio del 2006. Con la stessa incredulità con cui ci si stupisce di un inatteso schiaffo in pieno viso, avevo appreso che quella estesa opacità che si evidenziava dalla lastra della mammografia si chiamava carcinoma. Un “fiore all’ochiello” che era spuntato senza che io, di indole pragmatica e accorta, avessi potuto minimamente sospettare. Senza alcun dolore. Nulla di nulla. Un male così grave senza aver sofferto alcun sintomo. Quando i medici mi avevano consigliato, a seguito di quella dubbiosa opacità, di sottopormi al mammotome, nel mio cuore avevo già maturato la temibile idea che le notizie a seguire non darebbero state delle più auspicabili, ma sentirselo confermare fu veramente terribile. Cancro al seno destro, bisognava operare, anzi “demolire”. Si perché da quel momento mi ero sgretolata all’idea di perdere la vita, la femminilità, l’armonia di un corpo che da un giorno all’altro non avrei riconosciuto più. Come pure la mia personalità, in quel periodo divenne instabile: piangevo, mi arrabbiavo e non sapevo contro chi sfogare una rabbia che mi teneva sveglia anche di notte ed in testa mi martellava sempre la stessa domanda: “perché proprio a me”. A quarant’anni avevo ancora tante cose da vivere. Molte mie coetanee si stavano innamorando, altre stavano diventando madri o stavano entrando nel mondo del lavoro, altre ancora più semplicemente programmavano una vacanza. Loro stavano vivendo mentre io venivo ingiustamente travolta da quello tsunami. Preso atto del fatto che dovevo affrontarlo, la decisione più difficile fu quella di decidere a chi affidare il mio corpo e la mia speranza di guarigione. Presi informazioni da chi aveva già dovuto affrontare la stessa temibile
prova, a volte riuscivo a farlo con la stessa lucidità con cui si cerca il supermercato con l’offerta migliore. Poi decisi di rivolgermi ad uno dei maggiori centri di eccellenza per quel tipo di tumore. Dopo una settimana, mi visitò il Prof. Alberto Luini, primario del Reparto di Senologia dell’IEO a Milano. Mi affidai alla sua professionalità e le sue rassicurazioni mi aiutarono a trascorrere senza impazzire i pochi giorni che avrei dovuto attendere prima dell’intervento. Panico e rassegnazione si alternavano. Di lacrime da versare non ne avevo più. Schiacciata dalla preoccupazione tentai di rifugiarmi in una ritrovata devozione divina. Non pregavo più da talmente tanto tempo, che inventavo le parole di quelle cui non avevo quasi più memoria. Fino a quel momento ero stata sopraffatta dall’ansia della vita quotidiana, dal lavoro e fin troppo spesso dall’aver dato credito ai falsi problemi che mi giravano intorno, ma che solo in quella reale difficoltà capivo quanto poco fossero effettivamente importanti. All’Istituto Oncologico Europeo, trovai un ambiente che nonostante tutto non sentivo ostile. L’aver incontrato medici che oltre alla grande professionalità, riconosciuta anche a livello internazionale, erano umanamente molto attenti e sensibili mi fu di grande sollievo. Capaci di curare con le tecniche più all’avanguardia, ma ancor meglio di ascoltare, comprendere e rassicurare. Dopo quattro giorni ero di nuovo a casa, e nel giro di poco avevo cominciato a riacquistare un po’ di forze, ero tornata al lavoro, ma ero ancora molto“incazzata”, perché sapevo di aver fatto molto, ma non tutto. Mi aspettava un lungo ciclo di radioterapia all’Ospedale di Città di Castello. Sette mesi dopo dovetti di nuovo sottopormi ad un ulteriore intervento di ricostruzione mamma-
ria. Tornai a Milano all’Istituto Oncologico Europeo, e mi affidai ancora alle mani esperte del Prof. Jean Yves Petit che a quel tempo dirigeva l’Unità di Chirurgia Plastica, e che mi aveva già operato insieme al Prof. Luini. Mi dissero che ormai ero guarita, e che i cinque anni di terapia ormonale che stavo seguendo, sarebbero serviti a scongiurare l’insorgere di una recidiva. Man mano che sbiadiva la cicatrice, anche il ricordo di quei giorni difficili e angosciosi prese ad affievolirsi, lasciando il posto ai progetti per una nuova vita. Si, perché quando ti è stata concessa un’altra possibilità non la devi sprecare. Un piano B, senza “se avessi saputo…” o “se potessi tornare indietro”. Senza il rimpianto di non aver fatto o di non aver goduto, in attesa di chissà chè, al posto del piacere delle cose semplici: il glicine in giardino che stava sbocciando, un sorriso di mia figlia che vedevo crescere, un bacio affettuoso del mio uomo, le risa con gli amici. Sono orgogliosa, di aver avuto vicino tante persone quando ne ho avuto bisogno e di aver saputo superare il rancore verso quanti mi hanno deluso. Di aver imparato a dire no ai troppi doveri. Ora capisco di essere vulnerabile, piena di debolezze e che per prima io, non devo pretendere troppo da me stessa ed essere più umile. Volermi bene ed ogni anno, non devo dimenticare mai di farmi lo stesso regalo: una mammografia.
Eva
Le grandi donne della storia Florence Nightingale Luna di miele Secondogenita di famiglia benestante britannica, fu chiamata Florence in onore di Firenze dove vi nacque, nel 1820. I genitori fecero la loro luna di miele in Europa e durò due anni. A Napoli nel 1919 nacque la loro primogenita Parthenope. La famiglia tornò in Inghilterra nel 1821. Infermiera Iniziò a visitare malati nelle case e negli ospedali, dopo che nel 1837 aveva sentito “la chiamata di Dio”, anche contro la volontà dei suoi genitori in quanto a quei tempi era considerato disdicevole fare l’infermiera. Guerra Nel 1854, dopo lo scoppio della guerra di Crimea, Sidney Herbert, ministro della guerra inglese, le chiese di organizzare un gruppo di infermiere per lavorare negli ospedali militari in Turchia. Fu la prima volta che veniva proposto alle donne. Rispetto Florence riorganizzò subito l’ospedale militare e portò ben presto ad un 50%
in più di vite salvate. Inoltre si preoccupò di aiutare molti malati economicamente e psicologicamente. Di notte andava a controllarne le condizioni con una lampada e per questo la chiamarono “La Signora della Lampada”, conquistando rispetto e fama in patria. Berretti da Giullare Li chiamava così: furono una sua invenzione i grafici a torta della moderna statistica, che lei usava per dimostrare la possibilità di insorgenza delle malattie. Sterline Nel 1859 Florence possedeva 45.000 sterline, frutto anche di generose donazioni, con le quali istituì nel 1860, a Londra, la prima scuola infermieristica, che permise alle prime infermiere diplomate di operare all’infermeria della Workhouse di Liverpool nel 1865. Firenze Morì a Londra nel 1910. Una sola riga sulla lapide a Firenze, sua città natale, presso la Basilica di Santa Croce, dove c’è un monumento con la sua statua:” A Florence Nightingale, nata nel 1820. Morta nel 1910. Ha vissuto nov’antanni e tre mesi”. Da Wikipedia.
41 In Libreria Consigliati e Sconsigliati dalle donne A seno nudo di Anna di Capua; Garusi Cristina – Ibs Fortunatamente di cancro al seno si guarisce. Partendo da questo presupposto, 14 donne raccontano la loro esperienza di ricerca del metodo migliore cui ricorrere per la ricostruzione mammaria, che le ha aiutate a ritrovare il sorriso. Un libro che infonde speranza. Si>>>>> Follia di Patrick mcGrath – Feltrinelli. La moglie di uno psichiatra si innamora di un uxoricida detenuto nell’ospedale psichiatrico dove lavora il marito. Un amore più distruttivo della malattia, che nonostante tutto la protagonista vivrà fino in fondo senza mai rinnegarlo. Si>>>>>> La Camera Azzurra di Georges Simenon – Adelphi Un libro che non mi sento solo di consigliare, ma di raccomandare per la superba narrazione di un grande autore, per la trama che lo rende a tutt’oggi di una sorprendente attualità. Tante mogli, troppe, quando ostacolano l’ossesione sessuale del proprio marito per un’altra donna, vengono “tolte di mezzo”. Narrazione in grado di mantenere alta la tensione dalla prima all’ultima pagina. Da leggere tutto d’un fiato. Si>>>>> Meglio donna che male accompagnata di Geppi Cucciari – Kowalski Leggero, divertente, racconta la storia di tre amiche, tutte single che dovranno tornare al paese d’origine senza un fidanzato per partecipare al matrimonio dell’amica d’infanzia, che sembrava meno destinata a salire i gradini di un altare. Per i giorni più tristi. Si>>> Le più belle poesie di Emily Dickinson Crocetti Editore “Se io potrò impedire a un cuore di spezzarsi non avrò vissuto invano…” In ogni verso che ella scrisse, si esalta la bellezza interiore, che in particolari momenti della vita è indispensabile ritrovare! Si>>>>>
42
Eva
Stanno lavorando per Noi IEO – Istituto Oncologico Europeo Opera nel campo della prevenzione, della diagnosi e della cura dei tumori. Tutte le prestazioni sono in convenzione con il SSN. La metà dei pazienti arriva dalla Lombardia, il resto dalle altre regioni italiane. In questo Istituto da dieci anni si esegue la radioterapia intraoperatoria (IORT), ed ha ricevuto l’accreditamento all’eccellenza da parte della
“Joint Commission”. Umberto Veronesi è il Direttore Scientifico dello IEO ed uno dei maggiori esperti mondiali nello studio dei tumori al seno. IEO – Via Ripamonti, 435 – MILANO – Tel. Centralino n. 02/574891 Il Direttore dell’Unità di Chirurgia Mammaria è il Prof. Alberto Luini – Segreteria Tel. n. 02/57489725.
Associazione “Donne Insieme Onlus” Nasce a Foligno il 18 marzo 2001, con il duplice obiettivo di fornire aiuto e sostegno psicologico a tutte le donne colpite da tumore al seno e di diffondere la cultura della prevenzione. Si compone soprattutto di donne che hanno affrontato e vissuto l’esperienza di questa malattia. Sede: Foligno, Via Massimo Ariamone – Tel. n. 0742/320045 “Progetto Codice Rosa” Il progetto è curato dall’Ospedale di Terni, che ha come obiettivo di fornire assistenza psicologica alle donne che si trovano ad affrontare due diverse drammatiche situazioni: la violenza fisica e la diagnosi di tumore al seno.
Benessere al Naturale
Mode & Modi Il Reggiseno
La Donna Ariete 20 marzo - 21 aprile
Per avere un bel seno. Limitate i cibi grassi, privilegiate fra la frutta i kiwi, le fragole, gli agrumi e i frutti di bosco. Assumete quotidianamente lievito di birra in compresse. Ogni giorno aggiungete sulle insalate semi di sesamo e germe di grano, oppure sgranocchiate qualche mandorla o noce. Mangiate almeno due volte a settimana pesce ricco di omega3. Evitate di dormire a pancia in sotto. NaHCO3 Il bicarbonato, è ottimo per evitare odori sgradevoli sotto le ascelle. Basta lavarsi e poi strofinare la polvere bianca sotto braccio quando la pelle è ancora umida. Evita che si irritino le ghiandole e il suo effetto dura da sei a otto ore. Olio di mandorle Dopo la doccia passate un getto di acqua fredda sul decolletè (le più temerarie possono farlo anche con un cubetto di ghiaccio). Asciugate delicatamente e sulla pelle ancora umida massaggiate con olio di mandorle, con movimenti circolari, dal basso andando verso l’alto. Potete acquistare l’olio in farmacia oppure al supermercato per pochi euro.
“Il reggiseno è il miglior partito politico del mondo: solleva le masse, unisce la destra con la sinistra e attira il popolo” – Groucho Marx Il reggiseno compie cento anni, i dizionari di moda ne indicano l’ideatrice in Mary Philips Jacobs, che lo brevettò il 3 novembre del 1914. Il reggiseno è un alleato prezioso che và scelto in sintonia con gli abiti e con il corpo. Per trovare il reggiseno perfetto bisogna scegliere la taglia, ma anche la forma e la proporzione più giusta per il nostro busto, perché dalle ultime ricerche emerge che circa il 50% delle donne utilizza un modello ed una taglia errata. Nelle tendenze di moda del 2013 i pizzi non perdono mai il loro fascino. Fra i tessuti più usati la microfibra, il nylon ed il cotone. Fra i colori, il nero è in assoluto quello che conferisce un tocco di raffinata naturalezza, ma sono gradite anche le fantasie floreali. Molte sono le donne che preferiscono acquistare reggiseni con il push-up, soprattutto in Italia dove il 68% porta la seconda misura.”
E’ conscia di essere la prima donna della zodiaco e tende per questo ad affermare il proprio io agendo e prevalendo. Dotata di spiccata intelligenza, è spontanea e vitale (il suo bisogno immediato di fare si traduce in un dinamismo vulcanico). La sua determinazione le dona la forza per imporsi ed emanciparsi in ogni situazione. Il suo look esprime passione ed entusiasmo senza mai cadere nell’eccesso. Le sue labbra sono sempre pronte al sorriso. La donna nata sotto questo segno ama il caldo, l’estate e il mare. Fra i colori sicuramente predilige il rosso, declinato in tutte le sue sfumature più scure sia nell’abbigliamento che nella scelta del rossetto Donne Ariete: Tina Anselmi – Esponente politico italiano – (25 marzo 1927) Lilli Gruber – Giornalista – (19 aprile 1957) Lea Pericoli – Campionessa di Tennis – (22 marzo 1935) Senza pretesa scientifica abbiamo riassunto le caratteristiche della donna pesci, abbiamo giocato con gli astri, perché è sempre divertente contrapporre il teorico all’empirico, il sogno alla realtà.
43
Il Libro è pubblicato per intero, in digitale, sul sito www.piazzadelgrano.org nella sezione “inediti”, nonché nel sito del Liceo Scientifico Marconi di Foligno nella sezione “pubblicazioni”
Editi/Inediti
Pane e Coraggio
Proprio sul filo della frontiera il commissario ci fa fermare su quella barca troppo piena non ci potrà più rimandare su quella barca troppo piena non ci possiamo ritornare. E sì che l'Italia sembrava un sogno steso per lungo ad asciugare sembrava una donna fin troppo bella che stesse lì per farsi amare sembrava a tutti fin troppo bello che stesse lì a farsi toccare. E noi cambiavamo molto in fretta il nostro sogno in illusione incoraggiati dalla bellezza vista per televisione disorientati dalla miseria e da un po' di televisione. Pane e coraggio ci vogliono ancora che questo mondo non è cambiato pane e coraggio ci vogliono ancora sembra che il tempo non sia passato pane e coraggio commissario
che c'hai il cappello per comandare pane e fortuna moglie mia che reggi l'ombrello per riparare. Per riparare questi figli dalle ondate del buio mare e le figlie dagli sguardi che dovranno sopportare e le figlie dagli oltraggi che dovranno sopportare. Nina ci vogliono scarpe buone e gambe belle Lucia Nina ci vogliono scarpe buone pane e fortuna e così sia ma soprattutto ci vuole coraggio a trascinare le nostre suole da una terra che ci odia ad un'altra che non ci vuole. Proprio sul filo della frontiera commissario ci fai fermare ma su quella barca troppo piena non ci potrai più rimandare su quella barca troppo piena (Ivano Fossati)
44
Editi/Inediti
Ner o d i p ec e Un racconto di Annarita Falsacappa tratto da "Incontriamoci...oltre le barriere dell'anima. Viaggio tra la gente del Mediterraneo e più in là", a cura di Annarita Falsacappa e Valeria Floris. Spesso per capire delle situazioni, soprattutto quando sono troppo lontane da sé, dal suo mondo, dalla realtà che vive, Rita mette in moto la sua immaginazione. Che strumento fantastico abbiamo – pensa – ti fa andare e ritornare; partire per mete distanti e luoghi sconosciuti, addirittura bastano pochi elementi, magari visti sfogliando un libro e ti trovi a pensarti un mercante di stoffe, un marinaio, un venditore di pietre preziose … E’ un po’ che Rita segue la sua immaginazione per puro divertimento, perché non la delude mai e le situazioni, i luoghi si riempiono di vita inventata, che è più bella di quella vera, perché hai la possibilità di cancellare qualsiasi intromissione scolorita. L’immaginazione ti fa volare, ti fa sentire leggera e puoi snodare ogni piega, infilarti nei contorni dei disegni, farli animare. A volte succede che Rita continui a fantasticare anche nel sonno, cosi che la sua storia si completa, si articola, si dilata, si colora e sfuma in rivoli di sensazioni, che sfociano in piacevoli suggestioni. E’ un po’ però che la sua immaginazione le fa brutti scherzi: tenta di spiegarle il perché di certi sguardi tristi, di mani che si aggrappano, di corpi esili, che si ammassano sulle carrette del mare per una traversata a rischio della vita. Per Rita il dato certo, il punto da cui partire con la sua immaginazione è che dietro ognuna di quelle persone c’è una storia di miseria, di fame, di sfruttamento, di diritti calpestati, di violenza, c’è il desiderio di rifarsi una vita. Le suonano strane quelle voci sempre più nitide che parlano di invasione, difesa delle tradizioni, ragione del rifiuto, difesa del lavoro, dei nostri diritti e quelli degli altri? E poi bisogna intendersi sugli altri e se è davvero giusto che abbiano i nostri stessi diritti, perché …. E poi noi abbiamo la religione, migliaia di anni di storia, che ci ha insegnato davvero molto, così tanto che siamo diversi, certo migliori e abbiamo il dovere di far rispettare i nostri diritti … Degli altri dobbiamo capire chi sono, che cosa vogliono, da dove vengono, che cosa fanno e che cosa hanno fatto finora per chiedere quello che per diritto abbiamo acqui-
Le immagini utilizzate in questo inserto sono particolari delle opere di Gaetano Porcasi
sito. Certo che abbiamo spirito cristiano ma la cittadinanza agli stranieri, la loro accoglienza o semplicemente non avere pregiudizi nei loro confronti, quello è davvero un’altra cosa! Invece Rita parte con la mente, dietro a quegli occhi intensi e profondi, che sanno di dolore, a quelle mani di ragazzo, che cercano un appiglio e finisce in terre riarse dal sole infuocato in cui non crescono le patate, le messi dorate non attecchiscono e l’acqua non lava le strade né schiarisce le idee, dove ore ed ore sotto il sole come d’agosto ti sfianca, mentre tutt’intorno è miseria assoluta e a casa, quel tugurio di terra e frasche, altri occhi come i tuoi gridano l’ingiustizia di un mondo feroce. Rita lo sente su di sé il peso di quest’esistenza senza presente né futuro, in un imbuto asfissiante che ti porta a contare i giorni tutti uguali con l’angoscia della morte per una malattia anche banale. Così Rita raccoglie i suoi spiccioli e, seguendo la scia dei disperati, tanti e silenziosi, arriva allo scafista. I soldi non sono sufficienti per portare con sé i figli. Deve fare una scelta difficile: sarà Alsman, il più grande, a seguirla … La paura la trattiene, lo guarda per un attimo: ha solo dodici anni, ma il suo viso è già spento, senza gioia, tantomeno entusiasmo. An-
drà lei, da sola, cercherà un lavoro, poi ritornerà, certo che tornerà a prenderli tutti. Il suo cuore è gonfio ma ha deciso di provare a cambiare quella vita fatta del troppo niente quotidiano. Si riempie gli occhi del tramonto di un rosso fuoco, che tocca la sua terra color mattone e di quel cielo limpido che guardi fin dentro, al di là dell’orizzonte, senza stracci di nubi, sempre uguale, magnifico e terribile. Qua e là piante filiformi si allungano, dipingendo strane figure inanimate. Rita ha fatto provvista dei colori, dei profumi della sua terra, della luce che le è attaccata al cuore, come i suoi figli. Il suo compagno se ne è andato qualche anno fa, stroncato da un’infezione, che lo ha consumato tra dolori insopportabili. La sua capanna laggiù è uguale a quella di tante altre famiglie e ci vive con la madre. Quella capanna è l’unica cosa che le rimane del marito: lo rivede, mentre carica l’acqua con cui bagna la terra per costruire la loro casa, o tentare di far crescere quelle sementi, che già non bastavano a sfamarli. Ormai Rita sa che deve andarsene, sua madre ha capito, non c’è bisogno di nessuna spiegazione. Non ha niente da portare con sé, solo i ricordi e l’idea che la vita dei suoi figli dipende dal suo ritorno.
Editi/Inediti Davanti a quel gommone, sulla spiaggia di sabbia fina e bianca, forse anche bella, ha intorno tanti piedi scalzi, uomini e donne disperati, bambini stranamente troppo silenziosi, con il cuore che piange. A guardarlo, quel gommone è davvero piccolo, è anche malconcio! La disperazione è la stessa per tutti e partire per sopravvivere è il pensiero comune. Partire anche a costo di perderci la vita! I giorni sono devastanti, sempre uguali, alla ricerca di qualcosa da fare e qualcosa da mangiare … Lo scafista ha modi rudi, che tagliano un cuore già in gola. Le strappa veloce i soldi dalle mani e con una spinta la sistema come un pacco, un oggetto, addosso agli altri. Lo spazio di cui ha diritto è davvero poco. Si accorge di essere troppo attaccata ad altri corpi, ma tanto l’Italia è vicina, l’Italia che risolverà i suoi problemi! Ancora prima di partire, anche se è ormai sera, il caldo si fa insopportabile, mentre il silenzio assoluto. Vorrebbe che tutto fosse già finito. Non ha diritto al cibo, l’acqua è razionata; si guarda intorno: le persone sono davvero tante e quel gommone troppo piccolo … Accanto a lei, troppo vicina da sentirla respirare e percepire ogni minimo movimento c’è una giovane donna. Quanti anni potrà mai avere? Sedici, forse qualcuno in più ed ha in grembo un esserino dagli occhi inespressivi. Il suo viso è dolce e piccolo, ha pochi mesi. Rita li osserva di nascosto. Quella donna bambina con suo figlio si trova a vivere la sua stessa situazione. I suoi occhi neri e profondi sono l’espressione della paura; ha il viso abbassato sul suo fagottino, mentre intorno si sono sistemati, in silenzio, dei ragazzi, alcuni uomini e qualche bambino. Forse la sua vicinanza, pensa Rita, non è stata casuale, forse ha visto in lei una protezione, forse ha percepito che anche lei è una mamma. Ma che senso ha pensare questo? In fondo tutte le storie si somigliano, sono storie di sopraffazione, di miseria, di fame, di disperazione, di afa che polverizza ogni speranza, fino a quando non ce la fai più e tenti l’ultima carta, tenti la sorte, fuggi dal destino di lenta dissoluzione. Dopo un po’ che sono in silenzio
i loro occhi si incontrano e Rita vorrebbe abbracciarla, assommare il loro coraggio, che è poca cosa per affrontare una storia così grande per lei ma anche per Carim, che non sono mai uscite dal loro villaggio. Quello era tutto il loro mondo, lì sono cresciute, ogni villaggio si assomiglia: la polvere fa parte della vita, speri per mesi in un temporale, passi ore a fare lunghe file per riempire le brocche, non puoi lavarti né sprecare una sola goccia d’acqua. L’acqua … è la loro angoscia: non basta mai e costringe a stare fuori casa per ore. A volte ha un
cattivo odore e un colore strano ma è solo quella, non si può pensare e tanto basta. Carim è timida e Rita immagina tutto, senza che dica una sola parola: le sue mani sono da bambina, come il suo corpo piccolo e ben fatto. Ha in testa un fazzoletto colorato messo a crocchia ed un bracciale all’omero; si rivolge ogni tanto al figlio, che si chiama Aam. E’ un bel nome – pensa Rita – mentre li osserva stretti l’uno all’altra. Chissà se ha fame, forse sete … Ma non piange, come se sapesse la scelta dolorosa della madre. Si fa forza e spezza questo silenzio. Tra qualche minuto lasceranno quella spiaggia tanto familiare, i motori sono già accesi ma non deve alzare la voce, perché le sta attaccata. Sembra contenta di parlare con qualcuno, le sorride, al-
45 lunga la mano per stringere la sua. E’ calda e morbida , con dita piccole e sottili. La storia di tutte si ripete nel suo racconto: il marito l’ha comprata a tredici anni per due mucche e un sacco di grano, ma la sua famiglia era così povera e tanto numerosa … Un giorno è arrivato e l’ha portata con sé in un villaggio vicino e subito ha capito il suo ruolo. Aam è il loro unico figlio ma ha già avuto altre due gravidanze finite male. La sua vita di sofferenza è diventata insostenibile, quando Abus, suo marito, ha cominciato a non mangiare, a farsi sempre più magro. Così si sono messi in marcia per l’ospedale. Camin aveva in braccio Aam, che non ha mai lasciato, proprio come ora. Rita la osserva, mentre parla: sul suo viso passano mille espressioni e non è più una bambina, quando mette insieme i pezzi della sua vita, perché niente è stato facile. Le suore vestite di bianco hanno raccolto Abus sulla soglia dell’ospedale e pochi giorni dopo è morto. Ora Carim è sola e sa che non può restare, che la vita per lei è impossibile. Le risuonano nella mente le parole di quella suora gentile ma insistente, che voleva visitare lei ed il suo bambino, che parlava di infezione. Carim una notte in quella stanza d’ospedale, dove il cibo era buono e l’acqua pulita, aveva preso la decisione di partire, lasciare quello che conosceva per l’ignoto, doveva farlo soprattutto per Aam. L’aveva detto alla suora bianca e buona, che aveva annuito in silenzio; le aveva preparato delle medicine e un po’ d’acqua, il latte per Aam e si era fatta promettere che sarebbe andata, una volta in Italia, in un ospedale per un controllo accurato. Carim non capiva perché ma ricordava che al suo villaggio erano morte in poco tempo parecchie persone. Forse erano stati gli insetti, affamati anche loro, o il caldo esagerato o quella fame che non ti lascia mai o forse quell’acqua che sempre più spesso ha un odore strano o forse quei barili che da qualche tempo sono sotto il ponte. Ma da quando? Forse lei era appena una bambina, quando li ha visti per la prima volta ma lo è ancora e dunque è poco che sono là mezzo coperti dalla sabbia infuocata.
46 Ma sono rossi e i bambini, si sa, sono curiosi e spesso a crocchi lì davanti si fermano a giocare, a scavare … Carim non sta male, è forte, poi ora deve proteggere suo figlio, è davvero pronta per quella traversata. Rita l’ascolta e poi prende a parlarle di sé, della sua storia per niente originale. Si sentono vicine anche nell’anima, mentre il gommone si è staccato dalla riva e il respiro sembra fermarsi. E’ questo il momento peggiore – pensa Rita – ormai non puoi più ripensarci e fra qualche minuto saranno in mare aperto, con l’acqua ovunque e si sentiranno in balia del destino. Non rimane altro che sperare forte di farcela, mentre la paura le attanaglia per ogni sussulto del gommone, che è tanto piccolo e troppo pieno. Aam è ancora silenzioso, si scalda al tepore del corpo della madre, che lo tranquillizza, si assopisce, nonostante il rumore assordante del motore ed il brusio quasi impercettibile delle persone. Anche Carim chiude quei suoi occhi grandi da bambina. Ora Rita sente di doversi prendere cura di loro, forse per il suo senso materno, forse perché semplicemente ha un animo generoso e condivide il loro dolore. Si dice che lei, per quello che le sarà possibile, ci sarà. La paura le prende la gola. Il mare è nero ed il cielo pieno di stelle; sono così tante che Rita per non pensare, si mette a contarle una ad una; sembrano lì per lei. Ma nella mente ha i figli, il suo villaggio, mentre fissa gli occhi in quello spettacolo. Le viene quasi da pensare che la vita vale comunque la pena viverla, anche per lo spettacolo sempre sorprendente e grandioso a cui assistiamo. Mentre è combattuta tra una sensazione di sconfitta e di disperazione ed una meraviglia crescente per l’ordine armonioso dell’universo, per l’infinitamente perfetto, per il suo essere fragile ed incolpevole, inerte di fronte a tanto abbandono, si sente le guance umide. Si sa, quando si è madri, ci si commuove per niente – smorza Rita – mentre il suo sguardo va ad Aam, così piccolo e così perfetto, con quel nasino e quelle manine, che si muovono nel sonno e con quegli occhi neri, che sembrano un puntino ma sono già profondi e ti ci perderesti davanti alla domanda d’obbligo: - Perché proprio io? Che colpa ho commesso o chi l’ha commessa per me? Aam forse non ricorderà nulla e conoscerà solo il lato bello della vita, quello fatto di lavoro, di pane, di amicizie ... Carim, che la vede persa dietro ai suoi
Editi/Inediti pensieri, la chiama; pensa che forse è triste per la nostalgia, anche se sono passate poche ore dalla partenza o è proprio lei ad aver bisogno di una parola, quando tutto intorno è nero pece. Le dice che troveranno certamente delle persone disposte ad aiutarle, perché gli italiani sono buoni e poi vivono tra lussi e ricchezze, così se li immagina, e nessuno potrebbe convincerla del contrario. Mentre parla, ha un brutto colpo di tosse ma Rita non ci fa troppo caso, del resto sono in mare aperto, l’umidità penetra nelle ossa e nei polmoni. La tosse riprende fastidiosa. Rita la guarda. E’ stanca, provata, non sembra poi così giovane, anche gli occhi sono incavati e lamenta delle fitte all’addome. Le dice di resistere, perché prima di quattro ore non toccheranno terra, sempre che tutto vada bene. Carim non si lamenta ma lentamente si ripiega su stessa, quasi fino a far scomparire quel piccolo fardello che è Aam, tranquillo per quell’abbraccio più forte del solito. Rita sente il fremito del suo corpo. La luce è fioca e a tratti il buio copre tutti quei volti; la lampadina rimanda immagini spente e stanche, tante vite inerti in balia di quel mare salato, freddo e nero. Rita sente Carim abbandonarsi all’indietro, appoggiandosi con il collo sulla barra di ferro. Le sembra addormentata, mentre Aam incomincia a piangere; allora Rita lo prende in braccio, lo culla per un pò. Come è leggero! Continua a piangere e allora con una scrollata cerca di svegliare Carim, piano, per non spaventarla. La testa sembra un cencio e le ricade sul mento. Rita si trat-
tiene dal gridare, non sa cosa fare ma nessuno può aiutare Carim, tanto vale rimanere al proprio posto. Del resto non c’è nemmeno lo spazio sufficiente per alzarsi in piedi e, se gli scafisti scoprissero che Carim sta male o che addirittura sta per morire, in un attimo si sbarazzerebbero di lei. Loro non vogliono guai, glielo hanno detto prima di farli salire su quel gommone. E’ meglio tacere ed ingoiare i singhiozzi. Guarda Aam, che sembra aver compreso tutto: è ritornato silenzioso e spento. Che ne sarà di lui? Rita immagina il suo domani, che si arresta ad un traguardo tragico, la fine della sua mamma. E’ in totale balia del nulla, forse crescerà per strada o, ancora peggio, accanto a persone senza scrupoli. Rita avverte intanto che il corpo di Carim è immobile, non sente più nessun fremito, i suoi occhi chiusi sembrano distesi come il volto, per quel poco che si può distinguere. Rita non ci pensa due volte: Aam è suo figlio, lo deve fare per quella donna bambina e per se stessa. E’ troppo piccolo per lasciarlo a casa e così l’ha dovuto portare con sé. Lo stringe con delicatezza, lo culla, non sarà facile fargli capire che da quel momento è lei la sua mamma, ma ci proverà. Intorno a Rita intanto c’è un po’ di brusio, forse qualcuno ha capito e parla di malattia, di contagio, di morte ma anche di polizia e di controlli. Rita finge meraviglia per quanto è successo, davanti allo sguardo indurito del giovane scafista, alle braccia inanimate di Carim e a quel collo senza ossa. Poi un tonfo nel buio e il mare si richiude nel silenzio più assoluto.
Grande!
47
Caracas 8 marzo 2013 Rompendo tutte le “regole”, religiose e diplomatiche, il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, in lacrime, abbraccia in pubblico la madre di Hugo Chavez
Nota: la “controinformazione” è un elemento fondamentale in una società sempre più orientata dalla potenza dei media. I media sono una delle “casamatte” individuate da Gramsci sulle quali si basa il potere delle classi dominanti. Manipolare l’informazione è un’arte di governo formidabile per le classi dominanti. Si manipola creando false informazioni, ma si manipola anche e soprattutto “mescolando” sapientemente informazioni vere con informazioni false e, più ancora, confondendo informazioni con opinioni. Sul personaggio Ahmadinejad è stato detto e viene detto di tutto: il “cattivissimo”. Se vogliamo cominciare veramente a comprendere il Mondo (quello che sino ieri chiamavamo spocchiosamente il “resto del Mondo”, mentre oggi siano noi quel “resto”!) e in particolare quel vasto e variegato universo raccolto sotto l’impropria catalogazione religiosa di Islam, dobbiamo cominciare a studiarlo veramente, per conoscerlo realmente e solo poi poterlo giudicare. Non vogliamo qui parlare di più di questo personaggio indubbiamente complesso e controverso, ci torneremo nei prossimi numeri, ma ci torneremo. Restiamo per oggi al suo straordinario rapporto di amicizia con il Comandante Chavez e proprio per comprenderlo Vi invitiamo a visitare questo indirizzo per inziare a formarVi direttamente una Vostra opinione: www.youtube.com/watch?v=QRhnwLWUQ0 (il brano è lungo e può essere “scorso”, ma é importante per il rinvio ad altri indirizzi d’informazione).
Hasta Siempre