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4 pagine di inserto Mensile di informazione, politica e cultura dell’Associazione Luciana Fittaioli - Anno II, n. 12 - Foligno, dicembre 2010

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iviamo un tempo difficile. Con questa frase oramai iniziano tutti i discorsi sia che riguardino la situazione economica locale o mondiale, le possibilità e le condizioni del lavoro, il degrado della istruzione e della cultura, lo stato sociale in genere. A questo disastro se ne aggiunge un altro, quello della politica, vittima di un imbarbarimento che vede riaffiorare fantasmi autoritari e reazionari nel vuoto, o almeno nello sbandamento ideologico e organizzativo delle forze così dette “progressiste”. Ciò conforta e rinforza una nuova aggressività del padronato che non si limita più a sottrarre i profitti del lavoro, ma pretende di far pagare ai lavoratori le proprie incapacità e inefficienze. Di fronte a questa aggressione le storiche organizzazioni dei lavoratori sembrano vacillare e perdere terreno, alcune, e non diciamo quali, per debiti, altre per paura del futuro. Una organizzazione sembra tuttavia resistere e reagire pensando e progettando. Non è un caso che sia proprio l’organizzazione che è stata in grado di conservare una propria cultura identitaria. E’ la FIOM, l’organizzazione che esprime la classe operaia, una classe sociale e culturale bene identificata, l’unica da sempre storicamente in grado di assumere l’avanguardia della difesa dei diritti non solo dei lavoratori, ma dell’intera nazione che sul diritto al lavoro fonda le proprie speranze. La manifestazione di ottobre non ha esaurito la sua spinta di resistenza e reazione. Vogliamo qui ricordarla trascrivendo un breve intervento di un operaio romano. Sabato a Roma sarò quasi certamente alla manifestazione indetta dalla tanto, negli ultimi tempi, depauperata FIOM, l'organismo sindacale dei metalmeccanici. E così facendo, rivivrò da lontano l'autunno caldo del 70' in cui mia madre, metalmeccanica alla FATME mi portava con sé […] La FATME era per Roma, quello che poteva essere allora, con i dovuti distinguo, ciò che la FIAT costi-

tuiva e che tutt'ora rappresenta per Torino. Serrate, picchetti, una situazione a tratti molto difficile per i tempi […] Le loro storie. Storie fatte spesso di sacrifici ripetuti negli anni, di famiglie divise, di aspirazioni e mète da raggiungere, molte volte rimaste tali. Ma sempre con una caratteristica precisa, con una particolarità singolare; l'orgoglio di lavorare, sudando e spaccandosi la schiena a volte, ma contenti di fare, di costruire il futuro nostro e dei nostri figli, potendo offrire al mondo l'onestà, sotto forma di dedizione e professionalità, integrità morale […] Si rischia di cadere nella facile retorica, ma queste proprio sono le motivazioni che mia madre mi ha permesso di condividere in tutti questi anni di vita in comune, valori che oggi io cerco di trasmettere alle mie di figlie, e che certamente animano la vita di coloro che le fabbriche ancora le frequentano. Il lavoro come capacità di vivere in onestà, la forza di porsi di fronte ai fatti e le persone con la condizione di essere nel giusto, una certa idea magari romantica di libertà […] Il nostro paese è in piena crisi politico istituzionale già da diverso tempo, dove ad un presidente del consiglio sempre più indaffarato nelle sue cose e portatore di un concetto di democrazia quanto meno discutibile per non dire di peggio, si contrappone una classe politica e sindacale non all'altezza di quella che da più parti viene definita come emergenza democratica. Nel guado dell'immobilismo della classe dirigente, si stanno inserendo a turno i cosi detti poteri forti, in questo caso la FIAT ed il suo management, che con arroganza prossima alla prevaricazione, tentano l'assalto decisivo al mondo del lavoro, ai suoi diritti, allo Statuto stesso che dovrebbe sancire quei diritti […] Ecco, non facciamo che i metalmeccanici, ma anche gli studenti, i precari, chi vive situazioni di difficoltà, tutti noi insomma, ci sentissimo sabato più soli di quanto già siamo. Ne va in gioco il nostro futuro, quello dei nostri figli, finanche i nostri sogni!

Ospedale psichiatrico di Foligno - 1950

“Sanitopoli” unaquestionepenale Diritto alla salute unaquestionepolitica SANDRO RIDOLFI

Ci è stato chiesto come mai questo giornale non ha parlato delle inchieste penali in corso presso la ASL, il Comune e la VUS. La risposta è già nel titolo. Le questioni penali, se tali sono e come le riterrà la magistratura, competono a quest’ultima. Alla politica, alla quale invece si ispira ed è dedicato questo giornale, compete la ricerca e la critica delle ragioni che hanno reso possibile una così grande deriva morale che prescinde comunque dall’accertamento di fatti di rilevanza penale. La difesa e la concreta assicurazione del diritto alla salute e alla buona amministrazione in genere è stata una prerogativa di merito della nostra regione dall’immediato dopoguerra sino almeno alle ultime amministrazioni comuniste. Constatare il degrado di un tanto grande patrimonio morale, culturale e sociale è il fatto più grave che emerge dalle indagini della magistratura penale. Se abbiamo il diritto, ma anche il dovere, di lamentare e denunciare inefficienze, insufficienze, scarsità di qualità dei servizi erogati dalle strutture sanitarie, amministrative e di servizi pubblici nella nostra città è perché alcuni decenni addietro un grande numero di cittadini impegnati, onesti e competenti, sotto la guida di un grande Partito Comunista e con la forza di una vasta partecipazione e consenso popolare, hanno saputo

creare queste realtà, facendo emergere la nostra città e la nostra regione dalle devastazioni della seconda guerra mondiale all’eccellenza di un sistema sociale moderno, equo e solidale. Alla vicenda della buona amministrazione municipale dedichiamo l’inserto di questo numero, alla lungimiranza, ma anche al coraggio delle scelte e dell’impegno nella difesa e nell’affermazione del diritto alla salute vogliamo dedicare questo articolo. Citeremo un’esperienza di assoluta avanguardia destinata a restare nella storia della medicina e della salute pubblica, ovviamente per coloro che vorranno e sapranno ricordarla, difenderla e proseguirla. Il 13 maggio 1978 il Parlamento italiano ha approvato la legge n. 180, universalmente nota con il nome di “legge Basaglia” dal suo ideatore e promotore, lo psichiatra Franco Basaglia (anche se va ricordato che tale legge, e in genere il pensiero medico scientifico che la muoveva, è stato parimenti merito anche della moglie Franca). La “legge Basaglia” costituisce ancora oggi, a oltre 30 anni dalla sua promulgazione, la normativa in materia di salute mentale più avanza del mondo. La “legge Basaglia”, tuttavia, a oltre 30 anni dalla sua promulgazione, non ha ancora trovato nel nostro paese compiuta applicazione, tante sono state e sono ancora le resistenze non solo, o non soltanto, scientifiche, quanto soprattutto culturali ed economiche.

30 anni di straordinarie esperienze e risultati non sono bastati a fugare un quasi ancestrale rifiuto per il disagio mentale come malattia sociale e anzi, proprio in questi ultimi tempi, si sta assistendo a una regressione culturale che rigetta il malato mentale nel recinto del “diverso”, dei tanti diversi: asociali, omosessuali, tossici, immigrati, così detti abilmente diversi ed emarginati in genere. Una società che corre, che compete in un mondo globalizzato, che parla inglese, sembra non poter tollerare la presenza dei “diversi”: i matti vanno di nuovo rinchiusi nei manicomi oggi chiamati strutture protette, i dasabili mentali, meglio noti col nome di “ritardati”, vanno espulsi dalle scuole degli abili e di nuovo ghettizzati nelle apposite differenziali (questo sarà l’esito della abolizione degli insegnanti di sostegno). Più di 30 anni fa non era così, non era questo il sentimento culturale, morale, sociale e politico della nostra città e della nostra regione. La salute mentale era di competenza della Provincia che gestiva la rete degli ospedali psichiatrici, cioè dei manicomi, uno persino imponente in rapporto alle dimensioni della città di allora c’era anche a Foligno, in via Oberdan, negli edifici oggi occupati dalla Università. Quando nel 1978 entrò in vigore in tutta Italia la “legge Basaglia”, in Umbria non vi fu alcuna conseguenza perché era già stata applicata da almeno un decennio. Un giorno di diversi anni prima, infatti, operai della

Amministrazione della Provincia cominciarono a demolire, silenziosamente e senza alcun clamore propagandistico, l’alto muraglione che, praticamente nel cuore della città di Perugia, circondava il vasto ospedale psichiatrico. I matti, così venivano ancora chiamati ma con confidenza e simpatia e senza paura o disprezzo, iniziarono a uscire dal loro carcere, a spargersi nella città, a vivere come uomini liberi “diversi” in mezzo a tutti gli altri uomini liberi ma tutti, comunque e ciascuno in modo proprio, “diversi”. Di quell’evento è stata incisa la memoria in due lungometraggi girati uno dal regista Marco Bellocchio col titolo di “Matti da slegare” e l’altro dal regista Gianni Serra col titolo di “Fortezze vuote”, quest’ultimo proprio nell’ex manicomio di Perugia. Quella scelta non fu certamente facile né per chi la decise, né per quanti se la trovarono nella loro vita quotidiana. C’era allora una grande spinta culturale e soprattutto c’era grande partecipazione, fiducia e rispetto tra gli amministrati e i loro amministratori. Non era certamente “Atlantide” e vizi e difetti, piccoli e gradi, sicuramente abbondavano anche allora, ma contro questi, quando eccedevano ed emergevano, non c’era bisogno dell’intervento della magistratura, prima arrivava il giudizio e, se dovuta e necessaria, la condanna di una cittadinanza attenta e partecipe. C’era un grande Partito comunista.

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“Io sto con la FIOM”


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Leggi e diritti

FOLIGNO DICEMBRE 2010

Legge 241/90: un caso particolare l’accesso ai pareri legali della Pubblica Amministrazione MARCO MARIANI Per pubblica amministrazione nel senso indicato dalla definizione contenuta nell’art. 22, primo comma, lett. e) della legge 241/90 amministrazione” si intendono tutti i soggetti di diritto pubblico o di diritto privato limitatamente all’attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario. Con questa definizione, il legislatore ha inteso pienamente recepire il principio di origine comunitaria – già cristallizzato dalla giurisprudenza – della neutralità delle forme, in forza del quale il regime amministrativo dell’attività va valutato in termini oggettivi, considerando la rilevanza pubblicistica dell’interesse curato, piuttosto che la natura del soggetto agente. In altri termini, si qualifica amministrativa ogni attività rivolta alla cura concreta di un interesse pubblico, individuato da una norma di legge come obiettivo di un ente, a prescindere sia dallo status soggettivo (ente pubblico, azien-

da autonoma, società per azioni) da questo posseduto sia dallo strumento (privatistico o pubblicistico) utilizzato per perseguirlo. A conferma di quanto detto l’art. 22, primo comma, lett. d), delineando la definizione di documento amministrativo, si riferisce ad ogni rappresentazione del contenuto di atti detenuti da una P.A. e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale. Citando una giurisprudenza consolidata sul punto, è possibile affermare che in base alla normativa in materia e, in particolare, a quanto statuito dall'art. 22 comma 1 lett. d), l. n. 241 del 1990, anche gli atti provenienti da soggetti privati sono equiparati agli atti amministrativi ai fini dell'accesso e, quindi, sono suscettibili di ostensione se utilizzati ai fini dell'attività amministrativa, vale a dire allorché, indipendentemente dalla caratterizzazione soggettiva (pubblicistica o privatistica), abbiano avuto un'incidenza nelle determinazioni amministrative.

Forniti gli opportuni chiarimenti preliminari è necessario chiarire la consistenza ed i limiti del diritto di accesso degli interessati. Non è questa la sede per partecipare alla contesa sulla natura giuridica del diritto di accesso; basti accennare al fatto che dopo che l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nel 1999 aveva sentenziato in favore della tesi dell’interesse legittimo, buona parte della giurisprudenza amministrativa ha proseguito nel sostenere la natura di diritto soggettivo. Da ultimo, con pronuncia del 20.4.2006, n. 7, l’Adunanza Plenaria, nuovamente chiamata a dirimere il conflitto insorto fra i giudici amministrativi, ha adottato una tesi intermedia, configurando il diritto di accesso come situazione soggettiva avente natura ancipite la quale, più che fornire utilità finali (caratteristica da riconoscere ormai non solo ai diritti soggettivi ma anche agli interessi legittimi) risulta caratterizzata per il fatto di offrire al titolare dell’interesse poteri di natura procedimentale volti in senso strumentale alla tutela di un interesse giuridicamen-

te rilevante. E’ dunque necessario che ogni istanza rivolta all’acces-

determinate categorie di atti sono sottratte all’ostensione in ragione del loro particolare

so palesi nella motivazione (imprescindibilmente prescritta dall’art. 25, comma secondo) un nesso di strumentalità fra l’accesso alla documentazione amministrativa ed una posizione giuridica legittimante ad esso. Invero la legge 241/90 dopo aver riconosciuto all’art. 22 un’ampia portata al diritto di accesso, prevede nel successivo art. 24 alcune specifiche limitazioni di carattere oggettivo, definendo le ipotesi in cui

collegamento a interessi o valori giuridici cui l’ordinamento riserva una peculiare e più pregnante tutela. Nell’ambito di tali atti devono ascriversi i pareri tanto dell’Avvocatura dello Stato, quanto delle Avvocature interne alle diverse amministrazioni e ai professionisti esterni di fiducia. Tale principio in materia di accesso ai pareri legali della P.A è stato tuttavia precisato dal Consiglio di Stato (doc. m. 7237 del 30 sett. 2010) il qua-

le ha tracciato un discrimine tra i pareri legali accessibili e non, secondo la loro funzione. Invero, le Pubbliche Amministrazioni. possono far ricorso a consulenze legali in tre distinte ipotesi: per istruire più compiutamente un procedimento; per gestirne gli effetti prima dell’insorge della relativa fase contenziosa o c.d. precontenziosa; o infine per tutelarsi allorquando la lite è ormai iniziata. Nel primo caso, secondo il Giudice amministrativo, il parere è richiesto con l’espressa indicazione della funzione istruttoria che è destinato ad assolvere e del suo futuro richiamo nel provvedimento finale, talché l’atto consultivo, pur reso nell’ambito di un rapporto fiduciario, degradando a mero atto istruttorio, perde le necessarie caratteristiche di riservatezza sulle quali l’eccezionale disciplina derogatoria dell’accesso si fonda, così diventando ostensibile agli interessati, analogamente ai restanti atti del procedimento. Di contro restano sottratti all’acceso, gli atti difensionali, rispondendo il principio in parola ad elementari considerazioni di salvaguardia della strategia processuale della P.A., che non è tenuta a rivelare ai propri contraddittori, attuali o potenziali, gli argomenti in base ai quali intende confutare le pretese avversarie.

Novità per gli immobili

Fondi comuni d’investimento

Manovra correttiva legge n. 122/2010

Alcune indicazioni dopo 25 anni dalla legge

GIANLUCA MATILLI

Aggiornamento dati catastali Al fine di istituire l’Anagrafe immobiliare integrata l’Agenzia del Territorio entro la fine del 2010 concluderà l’attività di accertamento dei fabbricati cosiddetti “fantasma” ( stimati in due milioni) così come rivelati dai rilievi aerei ; i contribuenti titolari di diritti reali su tali immobili avranno tempo fino al 31 dicembre 2010, per procedere al loro accatastamento. Possono essere oggetto di regolarizzazione tramite accatastamento sia gli immobili non censiti che quelli censiti che hanno subito delle variazioni nella consistenza o della destinazione tali da modificarne la rendita catastale. E’ da precisare che le previsioni legislative introdotte sono dei semplici aggiornamenti di rendite catastali e non una sanatoria o condono; l’adeguamento catastale volontario evita infatti che lo stesso avvenga d’ufficio con dei costi nettamente più elevati di quelli ordinati, ma sicuramente non mette al riparo dalle problematiche riguardanti le irregolarità di tipo edilizio ed urbanistico. Nuovi obblighi per la circolazione degli immobili Il comma 14 dell’articolo 19 del D.L. n. 78/2010, prescrive delle nuove regole da applicarsi a tutti gli atti per cui viene richiesta la trascrizione così come individuati dall’articolo 2643 del c.c. In particolare dalla data del 1 luglio 2010, vige l’obbligo

per i notai pena la nullità dell’atto, di indicare i dati catastali sia negli atti pubblici che nelle scritture private autenticate aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali su fabbricati già esistenti. Riferimento alle planimetrie Come indicato altro adempimento sempre a pena di nullità è l’indicazione nell’atto negoziale del riferimento alle planimetrie depositate in catasto, in sostanza gli intestatari dovranno rendere in atto una dichiarazione con cui si attesti la conformità dei dati e delle planimetrie catastali con lo stato reale degli immobili urbani oggetto dell’atto. Tale attestazione da parte dei proprietari, grazie ad una modifica apportata al comma 14 dell’articolo 19 del D.L. n. 78/2010 può essere sostituita da un’attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale quale un ingegnere un architetto, geometra agronomo, ecc.). Nel caso in cui la planimetria catastale non riproduca fedelmente la configurazione reale e attuale dell’immobile, al fine del rilascio in atto della prescritta dichiarazione di conformità, l’intestatario dovrà presentare in catasto una denuncia di variazione, allegando la nuova planimetria aggiornata con lo stato reale dell’immobile. Il Legislatore ha disposto che la dichiarazione possa essere rilasciata anche in presenza di “lievi difformità” rispetto

alle planimetrie e ai dati castali, purché non vadano ad intaccare il valore della rendita catastale come ad esempio degli spostamenti interni senza creazione di nuovi vani ( spostamenti interni di porte, tramezzi finestre,ecc.) . Obblighi catastali per contratti di locazione Il comma 15 dell’articolo 19 del D.L. n. 78/2010 sempre con decorrenza 1 luglio 2010 ha previsto l’obbligo di comunicare i dati catastali dei beni immobili oggetto di contratti scritti o verbali di locazione o affitto. Le nuove norme impongono tassativamente l’obbligo di riportare i dati catastali degli immobili censiti al cata-

sto anche nelle richieste di registrazione di contratti sia scritti che verbali relativi alle locazioni ed agli affitti ed alle loro cessioni, risoluzioni e proroghe anche tacite. Per questa fattispecie il Legislatore ha previsto una specifica sanzione ed esattamente la mancata od errata indicazione dei dati comporta una sanzione amministrativa dal centoventi al duecentoquaranta per cento dell’imposta dovuta.

ROBERTO FRANCESCHI

I fondi comuni di investimento sono raccolta di denaro presso i sottoscrittori che viene utilizzato per l' acquisto di valori mobiliari. Viene costituito un patrimonio unico di cui ogni investitore detiene un determinato numero di quote a seconda del denaro investito. Sono gestiti da professionisti del settore consentendo anche con un capitale modesto di potersi avvicinare, in base al proprio profilo di rischio,ad investimenti anche particolarmente sofisticati. Prima di elencare le principali categorie dei fondi è indispensabile tornare ad un

concetto più volte citato nei miei articoli “Profilo di rischio”: quale è il mio obiettivo di conseguire un guadagno e viceversa la possibilità di subire delle perdite? Nel mondo dei valori mobiliari, non esistono titoli a rischio zero, esistono titoli a modesto rischio (ai quali peraltro corrispondono rendimenti bassi) e titoli estremamente rischiosi (dai quali potremmo attenderci rendimenti elevatissimi ma anche la totale perdita del nostro

denaro). Avvicinarsi al mondo dei fondi senza avere chiaro questo concetto è assolutamente sbagliato e non ci sarà consulente, bravo esperto professionale, che potrà mai veramente realizzare le vostre aspettative o peggio veder concretizzare le più cocenti delusioni. Passiamo ora a elencare due delle principali tipicità di fondi: - fondi a distribuzione dei proventi, con un pagamento ricorrente degli eventuali utili realizzati - fondi ad accumulo dei proventi (sempre se realizzati) all'interno delle quote del fondo che l'investitore vedrà in denaro solo alla effettiva vendita delle quote. Esistono una molteplicità di categorie di fondi che solo a titolo informativo citerò per poi soffermarmi a solo tre tipologie: fondi speculativi (hedge fund), fondi di fondi, index fund, ETF (exchange traded fund), a mio parere tipologie raramente idonee al piccolo medio risparmiatore. Le tipologie principali possono riassumersi in fondi obbligazionari, misti obbligazioni azioni, azionari puri. Il loro livello di rischio è chiaramente intuibile e crescente (tenendo però in considerazione il fatto che l’effettivo grado di rischio è riferibile non solo alle tipologie citate, ma all'effettiva composizione del portafoglio). Per spiegarmi meglio un fondo obbligazionario che investe in obbligazioni non solide(ricordate ad esempio Cirio Parmalat) o in titoli di stato di paesi a rischio (titoli argentini) potrebbe risultare ben più problematico di un fondo azio-

nario puro che si rivolga a paesi di area euro. Un approccio consapevole e informato e l'effettiva consulenza di un esperto che con chiarezza illustra la composizione, gli obiettivi e i “costi” del fondo proposto è la garanzia principale per avvicinarsi al mondo dei fondi. E' vero d' altra parte che la diversificazione del portafoglio costituisce probabilmente la metodologia più affidabile che si possa offrire all' investitore da parte dei fondi, ma purtroppo se fosse sbagliato il tempo d'ingresso (corso dei titoli sia azionari che obbligazionari ai massimi livelli) con una eventuale inversione dei corsi, cosa quanto mai ricorrente negli ultimi anni, potrebbe arrecare danni patrimoniali non rimediabili quanto meno del medio tempo. Ho precedentemente inserito la voce "costi". E' da ricordare che i fondi hanno un costo per la gestione non sempre modesto,costi d'ingresso e a volte costi di uscita prima di un determinato periodo. Queste voci incidono pesantemente sul rendimento effettivo (se si è realizzato) e ricordatevi che i fondi percepiscono questi costi sia in caso di utili che di perdite... il banco vince sempre... L’argomento purtroppo è particolarmente ostico per essere riassunto in un articolo giornalistico e gli attuali momenti finanziari di tale complessa interpretazione che sicuramente mi sento di consigliare solo ed esclusivamente, almeno per la tipologia dei piccoli e medi investitori solo... prudenza, prudenza, prudenza.


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Politica ed Etica

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La famiglia di fatto L’intervento dello Stato sul rapporto di convivenza, invasione di campo o tutela di diritti? LUIGI NAPOLITANO

Uno degli argomenti che, al pari delle comete di corto periodo, appare di tanto in tanto sulla scena politica nazionale è quello legato ai rapporti di coppia non regolamentati dal matrimonio ed in particolare alla rilevanza che gli stessi assumono per la società in cui si realizzano. Un’ampia discussione su questo argomento si è avuta nel periodo successivo alle elezioni politiche del 2006 quando la coalizione uscita vincitrice, comprendente tutti i partiti del centrosinistra, pose all’ordine del giorno dei lavori parlamentari il problema dei diritti civili e del riconoscimento delle unioni delle coppie di fatto sia etero che omosessuali. L’epilogo di quella breve stagione governativa è noto, ma va detto che il corso dell’iter legislativo del disegno di legge, prima indicato come Di.Co. (Diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi), poi con l’acronimo CUS (Contratto di Unione Solidale), per le forti contrapposizioni createsi a seguito delle critiche di incoerenza rispetto all’impostazione originaria definita nel programma dell’Unione, fu abbandonato dalla stessa parte proponente, ancor prima della fine della legislatura. A difesa del legislatore, per la mancata promulgazione di una legge specifica, va detto che l’argomento è di grande delicatezza per le implicazio-

ni sociali che ne scaturiscono, per le difficoltà concrete che si pongono nella pratica quotidiana e per il principio secondo il quale il diritto deve dare certezze non potendo fondarsi, in alcuna circostanza, su dichiarazioni di parte. La nostra Costituzione, all’art. 29, recita “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”. Del pari l’art. 16 della Dichiarazione Universale dei Dirit-ti dell’Uomo afferma “Uomini e donne in età adatta hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia, senza alcuna limitazione di razza, cittadinanza o religione... La famiglia è il nucleo na-turale e fondamentale della società ed ha diritto ad essere protetta dalla società e dallo Stato”. L’orientamento di entrambe le norme citate sembra essere quello di individuare la funzione primaria della famiglia nell’ambito riproduttivo della società sia da un punto di vista biologico che socio-culturale basata sul matrimonio inteso come l’istituto giuridico da cui scaturiscono una serie di effetti normativamente regolamentati. Il termine matrimonio nasce dall’unione di due parole latine mater, madre, genitrice e munus, compito, dovere; il matrimonium era, dunque, nel diritto romano un compito della madre. Su questi presupposti, bisogna valutare quali siano le tutele che lo Stato deve, o meglio dovrebbe, dare alla famiglia di fatto, priva di un’unità

coniugale, che fonda il rapporto solo sul sentimento di affetto ed amore. Nessun dubbio sorge circa la capacità socio-culturale di una famiglia non basata sul rapporto matrimoniale e circa i diritti dei figli che il nostro ordinamento ha quasi del tutto equiparato, siano essi legittimi, ossia nati in costanza di matrimonio, naturali, ossia nati da genitori non sposati, o riconosciuti, ossia per i quali i genitori hanno posto in essere un atto formale di riconoscimento. Indipendentemente dalla condizione di nascita devono, infatti, essere mantenuti, cresciuti ed educati da entrambi i genitori secondo le possibilità familiari e nel ri-spetto delle loro inclinazioni ed hanno diritto ad una quota di eredità in virtù del vincolo di parentela che li lega al defunto. Solo per completezza di informazione aggiungo che i figli naturali, in caso di matrimonio dei genitori, divengono legittimi. Unico elemento discriminante per i figli naturali è dato dal fatto che i nati all’interno di una convivenza sono in rapporto solo con gli ascendenti, ossia nonni e bisnonni e non con i collaterali, ossia zii e cugini. Più problematico è invece individuare le tutele a favore del convivente. Da alcuni giuristi la tutela più rilevante è stata individuata nel disposto dell’art. 2 della Costituzione laddove recita “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo, sia nelle formazioni sociali”. Altre

ne esistono in ambiti più circoscritti, delineati da alcune leggi e dalla giurisprudenza quali: la possibilità di succedere nel contratto di locazione in caso di morte del convivente e, in presenza di figli naturali quando cessa la convivenza; il diritto al risarcimento del danno per morte del convivente provocato da un fatto illecito di un terzo; il diritto di ricevere prestazioni assistenziali dai consultori familiari. Nessun diritto patrimoniale è riconosciuto, invece, al convivente in tema successorio e di reversibilità pensionistica. Nè allo stesso è consentito, sul solo rapporto di convivenza, qualora l’altro abbia bisogno di un intervento medico urgente, autorizzarlo. In questo contesto bisogna interrogarsi circa la necessità di un intervento legislativo che, stabi-lendo delle regole, sottrae spazio alla libertà di chi ha scelto la convivenza come stile di vita e che potrebbe surrogare la previsione legislativa con una serie di strumenti giuridici per la regolamentazione degli aspetti patrimoniali della convivenza, attuabili anche nelle more di risoluzione di un precedente matrimonio, i cui tempi non sono, in genere, lunghissimi. E’ infatti possibile autoregolamentarsi contrattualmente prevedendo la ripartizione delle spese quotidiane e non, la suddivisione dei beni in caso di separazione, la disposizione testamentaria del patrimonio, la designazione di un amministratore di sostegno per il caso che un’infermità o una

“Oggi chiamano filosofi se stessi gli insegnanti di filosofia” (Ivano Fossati) 67 anni, capelli lunghi e barba folta, tutto scuro senza neppure un pelo bianco, un extraterrestre sicuramente. Lui non ha passato, non c’è mai stato, non ha mai detto o fatto quello che ha detto e fatto, se c’era dormiva. Ed eccolo dunque candido e puro a dirci come “gira il mondo”. Ideologie? Vecchiume! Destra e sinistra? Termini antichi, anzi vecchi, passati di moda! (Davvero è stata – o meglio è – una “moda” essere di destra o di sinistra?). Comunque tutte anticaglie! Il mondo cambia e va veloce, bisogna riformare, anzi innovare. Via gli obsoleti e stantii steccati: non più destra e sinistra, solo due “parti” che, ovviamente non potranno essere i “bianchi” e i “neri”, e tanto meno i “verdi” e i “rossi”, i colori sono pieni di ideologie; si chiameranno gli “uni” e gli “altri”. Stare con gli “uni” o con gli “altri”, per chi come il nostro marziano ha attraversato l’intero universo politico, è del tutto casuale; si sta dove c’è spazio e, quindi, se gli “uni” hanno già il loro leader con il relativo codazzo di consiglieri e pensatori vari, è giocoforza stare con gli “altri” che sembrano ancora allo sbando. L’approccio ripetutamente tentato con la Lega non è andato a buon fine (nel senso

che lo hanno “schifato”), eppure lui aveva elaborato una splendida idea federalista: quelli del nord, quelli del centro e poi giù, in fondo, quelli del sud. Ma ora è apparsa all’orizzonte una grande novità: Fini; il capo della destra fascista rompe gli storici steccati e passa (lo crede lui!) dalla destra alla sinistra, correggo dagli “uni” agli “altri”. Così il nostro professore, pardon filosofo marziano, riscopre i valori ideologici e culturali della destra e inizia a lavorare a nuove produzioni filosofiche. Chi scrive non ha letto le opere del filosofo marziano e dunque non può giudicarle, qualcuno tuttavia lo ha rassicurato che sono solo lavoretti di basso profilo. Perfetti, viene da dire, per una produzione culturale di destra che, appunto, è geneticamente allergica a tutto ciò che si avvicina alla cultura. Fallita l’intesa con Bossi, il professore marziano si apre allo studio di Fini. Ma non finisce qui! Evidentemente preso atto di non avere spazio per proporre seriamente la propria candidatura a leader degli “altri” (dove peraltro sembra che si contino più leader che elettori), il professore marziano si fa talent scout del nuovo leader vincente. Niente meno che

Luca Cordero di Montezemolo (il “Piccolo Luca” di un nostro precedente articolo del mese di agosto). Testualmente da una intervista al quotidiano on line “Affari Ita-liani.it”, Luca Cordero di Montezemolo secondo il professore, ha "prestigio da vendere. Ha una visione internazionale pazzesca grazie a Fiat e Ferrari. E' stato presidente della Confindustria e in termini di esperienza politica e sui settori più strategici del Paese è perfetto". In altri termini: "E' la persona ideale per fare da collante tra il Pd e il centro". Perfetto, cosa di meglio dopo un leader degli “uni” che si è occupato solo dei suoi interessi televisivi che candidare alla successione il padrone (o almeno il portavoce) del più grande e più disastrato impero industriale privato italiano? Peraltro, come dice il professore, è stato anche il capo del sindacato dei padroni, quindi, avrà sicuramente una visione e una condotta assolutamente imparziale e sensibile alla tutela dei diritti dei lavoratori. Nell’intervista in questione si parla di “Papa nero” per indi-

care la figura redentrice del Montezemolo. Se ben ricordo con “Papa nero” si usava prefigurare il rischio di una catastrofe imma-

nente, di una sciagura. Almeno in questo il professore “c’ha preso”: Montezemolo leader dell’opposizione e del governo post Berlusconi sarebbe davvero una sciagura, con l’aiuto del suo consigliere filosofo poi l’effetto catastrofe è assicurato. Direbbe Beppe Grillo: “Cacciari, ma va... S.R.

menomazione fisica/psichica provochi l’impossibilità di provvedere ai propri interessi, la redazione di un te-stamento biologico che consente, per l'eventualità di una malattia allo stadio terminale o di una lesione traumatica cerebrale invalidante ed irreversibile o in previsione di una futura incapacità, di dettare disposizioni inerenti alle cure mediche cui si intende o meno essere sottoposti. Essendo i rapporti delle coppie eterosessuali già giuridicamente disciplinati dal matrimonio, istituto la cui normativa può e deve essere adattata all’evoluzione della società, appare quanto me-no singolare la richiesta di norme di tutela per chi non abbia ritenuto opportuno assoggettarsi a quelle esistenti. Il Codice civile italiano, nulla prevede a proposito della diversità di sesso degli sposi, ma in alcuni articoli contiene le parole moglie e marito, previsione che ha fatto ritenere ad alcuni Tribunali fondata l'impossibilità di celebrare un

matrimonio omosessuale. La Corte Costituzionale, recentemente, ha respinto come inammissibili ed infondati i ricorsi sui matrimoni dello stesso sesso poiché ha ritenuto la questione non di sua competenza. Tali pronunce, seppur giuridicamente motivate, privano, di fatto, di qualsiasi diritto e/o tutela le coppie tra persone appartenenti allo stesso sesso. Essendone il numero in costante crescita, avendo il Parlamento Europeo emesso una Risoluzione che invita gli Stati membri ad abolire ogni disparità di trattamento delle persone con orientamento omosessuale e in particolare ad eliminare gli ostacoli frapposti al matrimonio ovvero ad un istituto giuridico equivalente, garantendone pienamente diritti e vantaggi, stante la sempre più manifestata propensione di tali coppie alla loro ufficializzazione, sembrano maturi i tempi per una regolamentazione legislativa che elimini una disparità discriminante.

Chi è il “filosofo” Massimo Cacciari Dopo aver aderito a Potere Operaio entrò nel Partito Comunista Italiano, venne poi eletto alla Camera dei deputati dal 1976 al 1983, membro della Commissione Industria della Camera. Sindaco di Venezia dal 1993 al 2000 per la lista di centrosinistra, sostenitore dei Democratici di Romano Prodi, si parlò di lui come di un probabile leader dell'Ulivo. Fin dall'inizio della sua attività politica vide nel federalismo una tradizione da recuperare per i progressisti italiani, fu a favore di un Ulivo del Nord, del centro e del sud e spinse per l'alleanza con la Lega. In preparazione delle elezioni regionali del 2000 tentò di agganciare l’elettorato moderato in fuga dalla ex DC, ma venne sonoramente sconfitto alla corsa per la presidenza della regione Veneto; ciò fece tramontare l'ipotesi di diventare il futuro leader dell'Ulivo. Nel 2005, a sorpresa, annunciò la sua intenzione di

ricandidarsi a sindaco di Venezia nonostante che partiti dell'Ulivo avessero già raggiunto l'accordo per la candidatura unitaria del magistrato Felice Casson. Cacciari decise di andare avanti lo stesso con il sostegno dell’UDEUR e Margherita, mentre Casson ricevette l'appoggio di tutti gli altri partiti del centrosinistra. Al primo turno Casson ebbe il 37,7% dei voti mentre Cacciari si fermò al 23,2% e due andarono al ballottaggio. A sorpresa Cacciari, seppur sostenuto da liste più deboli, riuscì a far leva sull'elettorato di destra e vinse la sfida con circa 200 voti di vantaggio sul suo competitore (50,5% contro 49,5%). Il quinquennio del suo governo fu del tutto insignificante. Non fu ovviamente ricandidato alle successive elezioni comunali avendo la destra berlusconiana e leghista scelto un proprio candidato di fiducia, niente meno che il ministro Brunetta che, però, venne battuto da un modesto candidato di centrosinistra. Scaduto il mandato di Sindaco nello scorso aprile, Cacciari aveva dichiarato di abbandonare la politica e invece...


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dal Mondo

Viaggio a XI’AN e il “Panino alla cultura”

Seconda parte; la prima parte è stata pubblicata nel numero di novembre e nel sito internet Torniamo ora invece in Cina e dopo aver visitato durante il secondo giorno di permanenza il moderno Conservatorio musicale di Xi’an scopriamo, dai docenti di canto cinesi incontrati, che gli allievi di canto lirico sono oltre 400 su 4000 iscritti al conservatorio. Un numero altissimo che frequenta fatalmente e massicciamente il repertorio lirico italiano (l’80% di quanto nel mondo rappresentato nei teatri è opera lirica italiana). 400 giovani che quindi frequentano la lingua italiana, si avvicinano alla cultura italiana e che magari sognano un giorno di venire in Italia, la patria del Belcanto, a perfezionarsi. Con il modesto amor di patria rimasto nei nostri cuori, non abbiamo confidato che in Italia le cose non vanno bene in generale e nemmeno nel settore della cultura e della musica. Non abbiamo rivelato che lo storico Teatro Carlo Felice di Genova è sprangato e gli artisti del coro e i professori d’orchestra sono in cassa integrazione in deroga (chissà mai che tipo di corsi di formazione faranno nell’ambito della cassa in deroga alcuni tra i migliori strumentisti italiani… panettieri, calzolai?), non abbiamo rivelato che è saltata l’ultima produzione del Teatro dell’Opera della Capitale per mancanza di fondi, che il Ministro Bondi non si presenta al Consiglio dei Mini-

stri per protesta, che nel 2011 il 30/40% delle istituzioni musicali rischiano di chiudere in Italia... I giovani cinesi erano troppo entusiasti di vederci, di incontrarci, di parlare di Verdi, Puccini, Donizetti; non sanno che da noi chi ci governa considera questi compositori quasi come dei nemici. Ma eravamo in Cina e non potevamo innescare polemiche antinazionali, né raffreddare i loro entusiasmi. I cantanti hanno socializzato, hanno cantato invitando i giovani cinesi al Daming Palace nei giorni successivi. Dopo l’ennesima tazza di te rigorosamente verde (di fatto il colore è paglierino e il sapore quasi nullo… ma fa bene, dicono, e noi deglutiamo), salutiamo e partiamo alla volta del sito dell’esercito dei guerrieri di terracotta. Dopo circa un’ora di bus giungiamo. Visione emozionante, unica. 8000 soldati di terracotta, dai volti uno diverso dall’altro ci guardavano fieri a dispetto degli oltre 2000 anni di vita. Un esercito immortale in pieno assetto di guerra pronto a difendere l’imperatore e in quel momento a difendere anche noi, abbiamo pensato, dai tagli ministeriali. Ripartiamo dopo circa due ore dopo aver poco efficacemente evitato gli assalti dell’esercito degli ambulanti venditori delle riproduzioni in miniatura dell’esercito di terracotta. Ripartiamo con quasi ottomila (no, scherzo, ma sicuramente qualche centinaia sì) riproduzioni di guerrieri e, come un’armata, riprendiamo il torpedone alla volta del centro cittadino. Terminata la vacanza concessaci dagli organizzatori

DICEMBRE 2010

cinesi inizia il lavoro che si articola per una settimana con 10 recital e 1 concerto. Il Concerto si svolge il 2 ottobre nell’immensa piazza antistante il Daming Palace. Si stimano non meno di 8000 persone presenti (stime degli organizzatori) che già da quasi un’ora attendono l’arrivo dei cantanti italiani. I cantanti giungono, si cambiano indossando gli abiti adeguati e iniziano a firmare autografi e a essere immortalati dalle fotocamere. Tra il pubblico c’è chi si presenta dicendo di aver studia-

cere. Ci sentiamo tutti per un attimo molto più italiani. E’ raro ultimamente, ma questa volta siamo cosi lontani, siamo in Cina. Il Concerto ha inizio; dopo i primi brani solistici si passa ai brani d’insieme, quartetti e quintetti, la Traviata, il finale del “Rigoletto”, ma anche brani della più conosciuta canzone napoletana: un trionfo. Il pubblico batte il tempo con le mani, e molti cantano insieme ai nostri cantanti. Una grande emozione davanti al Damingon nell’im-

si dell’interno della Cina, persone umili, sincere alle quali abbiamo offerto alcuni minuti di gioia. Ma ci hanno restituito molto più di quanto noi abbiamo dato a loro. E’ venerdì 8 ottobre: la partenza, il ritorno in Italia. La sera precedente siamo stati premiati insieme alle altre delegazioni di artisti provenienti da Cina, Russia, Iran, Turchia, Mongolia e che insieme a noi hanno partecipato al Festival. Noi eravamo gli “Italiani” e i nostri cantanti hanno ricevuto più applausi di tutti anche perché invitati dal Presidente del Parco Archeologico a intonare l’ultimo brano d’opera prima del saluto finale. E’ancora Verdi il complice rivoluzionario che agita i cuori persino dei mongoli in sala: anche da loro applausi a scena aperta. Ma anche i mem-

to canto italiano e improvvisa un concerto sotto al palcoscenico principale. Gli italiani ovviamente socializzano e senza conoscere una parola di cinese si scambiano indirizzi, si fanno fotografare in posa da concerto, cantano insieme al pubblico dell’improvvisato concertino. Gli uomini della sicurezza tollerano visto l’entusiasmo e a noi fa solo che pia-

mensa piazza piena di pubblico entusiasta ad applaudire Verdi, Donizetti, Puccini, quegli stessi che in Italia provocano nel pensiero dei governanti solo danni e deficit nei teatri… Continuano nei giorni successivi i recital sull’altro palcoscenico del grande parco. Ancora successo, ancora foto, autografi richiesti da un pubblico vero, cittadini cine-

bri della compagnia di danza iraniana, apparentemente cosi distanti dalle nostra cultura, hanno applaudito con convinzione ancora la musica di quel sovversivo di Giuseppe Verdi intonata dai giovani cantanti italiani. E’ ancora l’8 ottobre a causa del fuso orario, siamo giunti finalmente a Fiumicino. Io ho terminato il romanzo di John Fante; bello, scritto con

leggerezza con una fine fatalmente dolorosa più della mia cervicale offesa dal viaggio e dai tentativi di prender sonno seduto a 95 gradi. Camilla Lopez, un amore impossibile per Antonimo Bandini, il protagonista, si perde nel deserto della California. Lui lancia il libro verso il deserto, verso dove è scappata Camilla. Nel deserto americano muore pure Manon Lescaut, l’eroina pucciniana dell’omonima opera lirica. Nei deserti americani in genere si muore, quindi Camilla sarà senz’altro morta. Le valige ovviamente arrivano in tempi biblici, forse trasportate con i cammelli della Via della Seta sul deserto di Fiumicino dove non si muore, ma dove si possono spesso perdere le valige (sapevano del nostro viaggio gli addetti al movimento bagagli dell’ADR e volevano prolungare le emozioni esotiche?). Questa volta arrivano. Usciamo e fuori ci accoglie la notizia urlata da due tassisti lividi di rabbia: il raccordo è bloccato. Avevamo bisogno di sentirci a casa e un blocco o un ritardo non potevano che predisporci ancor meglio a riassaporare l’Italia. Il ritorno in Umbria sarà più lungo del previsto. Evitiamo di comprare quotidiani all’autogrill. Tanto in albergo, in Cina, abbiamo tutti fatto zapping alla TV per cercare qualche notizia sull’Italia: canali cinesi e internazionali, CNN, BBC, NHK nulla di notizie italiane, nulla di significativo, tranne Valentino Rossi che saluta i tifosi. Cosi come nessuna automobile italiana in una metropoli di 9 milioni di abitanti. Solo auto tedesche, francesi, americane, giapponesi. Ah sì, ho visto una Ferrari ma mi hanno detto che era taroccata con motore cinese e carrozzeria in plastica. Come mai non ci sono Fiat? La Via della Seta è impervia per le Panda serbe, mi risponde un tassista di sinistra. Ma io non ci credo.

di fascisti. L’Argentina in quel periodo era un paese molto ricco, il quinto nell’ economia mondiale, per avere quasi il monopolio mondiale nell’esportazione di carne e grano a una Europa distrutta e affamata dalla guerra. Nel frattempo, con la complicità della CIA e di settori della chiesa, contrariamente a quanto fatto per gli ebrei che fuggivano dell’olocausto ai quali era stato negato l’asilo in Argentina, aprì le porte e diede rifugio sicuro, con l’ “Operazione Odessa”, a migliaia di criminali nazisti, fascisti e ustascia che fuggivano dall’Europa. Le motivazioni erano a uno stesso tempo nell’affinità ideologica e nelle enor-

mi fortune rimediate come bottino di guerra che questi portarono in Argentina. Ovviamente, siccome Peròn non faceva niente senza interessi personali, provate a immaginare dove sono finite una parte di queste fortune?. La risposta la troverete nei prossimi articoli su Peròn. Come dato curioso dell’ambiguità che segnò tutta la vita di questo personaggio, bisogna notare che quando Peròn assunse al potere in Argentina, sia il Movimento Sociale Italiano che sia il PCI esaltarono la sua l’ascesa al potere sottolineando “posizioni ideologiche affini”. Accidenti che lungimiranza! Non avevano ancora capito nulla!

Appunti di viaggio: l’ammirazione dei cinesi per la lirica italiana e la disattenzione del governo italiano CLAUDIO LEPORE

FOLIGNO

Juan Domingo Peròn, un fascista camuffato da rivoluzionario (prima parte) OSVALDO GUALTIERI

Fin dalla nascita, la vita di questo oscuro personaggio che ha condizionato e continua a condizionare la vita politica argentina, è stata marcata dall’ambiguità. Alcuni dicono che è nato a Lobos, provincia di Buenos Aires, nell’ottobre del 1895: altri che è nato nel 1993 a Roque Pèrez, e addirittura, secondo quanto assicurano i ricercatori sardi Peppino Cannedu e Gabriele Cosula, sarebbe nato in Sardegna ed emigrato in Argentina da piccolo. Vai a sapere. Quello che si sa è che più o meno a 16 anni è entrato nella scuola militare da dove è uscito con il grado di sottotenente. Con tale grado, secondo alcune versioni, all’inizio dei anni 30 ha partecipato nella repressione della rivolta chiamata “La Patagonia Rebelde”, organizzata da operai anarchici europei nel sud del-

l’Argentina, finita con la fucilazione di oltre 1.500 operai disarmati che avevano avuto il coraggio di affrontare le oligarchie latifondiste per opporsi ai loro brutali metodi di sfruttamento. Alla fine dei anni 30, per due anni prestò servizio in Italia come “osservatore militare”. Osservò così bene che finì per essere dichiaratamente un ammiratore di Mussolini, imparando da lui sia l’ideologia fascista che i metodi per applicarla. Ottima scuola che più tardi gli servirà molto per arrivare al potere e rimanerci. Tornato in Argentina, insieme ad altri ufficiali integranti del GOU (Grupo Oficiales Unidos) nel 1943 partecipò a un colpo di stato contro il governo civile presieduto da Ramòn Castillo. Peròn, che nel frattempo era diventato colonnello, assunse l’incarico di Ministro del lavoro e dello stato sociale e poi Vice Presidente e segretario di guerra, fino a 1944 quando viene arrestato per

dissensi con il resto dei militari al potere. Va precisato che in Argentina, da sempre, quando un militare viene arrestato, il suo “arresto” si svolge dentro delle lussuose strutture per ufficiali che ci sono nelle caserme. Il 17 ottobre del 1945 venne rilasciato anche grazie a una manifestazione popolare, segnando questa data la nascita del Partito Giustizialista. Come curiosità senza spiegazione, in quella enorme manifestazione, a differenza delle precedenti dove sparavano contro in manifestanti, il ferito più grave è stata una vecchietta che si è storto un piede scendendo del marciapiede. Un’altra curiosità è che quel giorno faceva caldo e gli agitati oratori, tra cui Peròn, si tolsero la giacca e cravatta. Era così nato il movimento dei “descamisados”, simbolo del peronismo. Sempre nel 1945 si sposò in seconde nozze (della prima moglie non si è mai saputo

niente) con Eva Duarte, nata nel 1915 in una famiglia più che umile e fino a quel momento ballerina e attrice di secondo livello in spettacoli piuttosto “piccanti” per quell’epoca. Tutti i film dove lei partecipava vennero fatti scomparire immediatamente. Comunque, il matrimonio con “Evita”, una donna con un grande carisma e piena di ambizioni, gli portò enormi vantaggi per la successiva carriera politica sfruttando la capacità di Evita di presentarsi come la rappresentante delle classi sociali più povere. Purtroppo ancora in Argentina e nel mondo c’è gente che crede a questa favola. Nel 1946, con il lo slogan “ni capitalismo ni socialismo, tercera vìa”, a capo di una alleanza di diverse forze, vinse le elezioni con un consenso del 56 % aprendo un periodo di grandi riforme sociali alcune veramente vantaggiose per i lavoratori ed altre degne dei migliori (o dei peggiori) meto-


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dalla Città

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Polisportiva disabili Foligno Scuola e Salute Appello alla Città e alle Istituzioni contro Quando la promozione della salute inizia i tagli della Finanziaria 2011 dalla scuola MASSIMO CATARINUCCI

Nel momento in cui servirebbero più risorse da dedicare al settore sociale, per compensare una grave crisi economica, queste vengono ridotte, acutizzando gli effetti della crisi stessa sulle famiglie italiane più fragili. Il taglio più importante riguarda il Fondo Nazionale per le Politiche Sociali, ridotto costantemente in questi ultimi anni, quest’anno il taglio è di 299 milioni, ben due terzi dell'intero finanziamento. Dal 2007 a oggi lo Stato ha destinato 400 milioni di euro alle associazioni di volontariato, cooperative sociali. Da oggi saranno solo 100 milioni, il 5 per mille è infatti stato ridotto a un quarto rispetto agli anni precedenti. Il 5 per mille, raccolto grazie alla solidarietà dei contribuenti, è dunque vitale per la nostra sopravvivenza. Ridurre a un quarto questa risorsa significa uccidere un intero settore. Le associazioni che si basano sul volontariato sono le uniche che, con pochi soldi e grande agilità, riescono a difendere le fasce più deboli e le aree marginali. In un momento di crisi occupazionale come questo e di difficoltà delle famiglie, le risorse statali per il sociale, che verranno erogate nel 2011 alle Regioni, e poi attraverso queste ai Comuni, diminuiranno notevolmente. Si tratta di decisioni di governo che vanno in controtendenza rispetto alle necessità attuali del Paese. Il risultato complessivo di

questi tagli sarà un ulteriore aggravio di spesa per le famiglie bisognose e soprattutto per quelle famiglie dove all’interno vive una persona svantaggiata. La manovra varata dal Governo non dà risposte alle reali esigenze dei cittadini e frena lo sviluppo del Paese, calpestando valori, persone, territori ed enti locali; non dà risposte concrete alle reali esigenze del Paese, ma si limita a tagliare risorse colpendo soprattutto gli enti locali. La manovra aggrava le differenze sociali, mettendo in seria difficoltà gli enti locali, a causa

della nuova finanziaria del Governo il Comune di Foligno avrà 10 milioni di euro in meno nei prossimi due anni. Vorremo, da chi ci governa, nuove proposte per il futuro. È necessario efficientare i servizi, semplificare, far crescere il rapporto pubblico-privato, investire su formazione scuola e ricerca, scommettere su acqua ed energia, applicare il principio di solidarietà, sussidiarietà e mutualità, coltivare la cultura del merito. È importante costruire una nuova classe politica, con nuovi sistemi di selezione della classe dirigente che restituiscano ai cittadini la possibilità di scegliere. È fondamentale tener presente, che l’aumento della disoc-

cupazione probabilmente colpirà quegli individui che stanno affrontando già ora discriminazioni nel mercato del lavoro, come ad esempio le persone affette da una qualche disabilità. La crisi economica e i tagli alla spesa pubblica stanno facendo sentire anche in Umbria i loro effetti sui soggetti più deboli, sugli anziani soli e spesso inabili, sul mondo della non autosufficienza. Investire nei servizi sociali è positivo per gli individui e per la società e il non riuscire a svilupparli e migliorarli, specialmente in un periodo di recessione, significa abbandonare i cittadini. Qualsiasi riduzione dei servizi costituirebbe inoltre un passo indietro nel raggiungere i propri obiettivi di uguaglianza, pari opportunità e di una qualità di vita dignitosa per tutti. La “Polisportiva Disabili Foligno” è in allarme, sia per le sorti della stessa, che come la maggior parte cooperative rischia posti di lavoro, sia per i propri associati e le loro famiglie: la diminuzione dei servizi alle persona, negherà il diritto alle pari opportunità, all’autonomia, perdendo la fiducia in se stessi e la consapevolezza, pur vivendo la propria disabilità, di sentirsi utile alla società. La Polisportiva si appella alla Città, alle Istituzioni, di esortare il Governo, affinché tutti quei valori sociali in cui abbiamo creduto fino ad ora, non vengano meno, fornendo risposte e interventi fondati sul riconoscimento delle persone nella loro globalità e in rapporto al loro contesto di vita.

LEONARDO MERCURI

Non passa giorno che nei media non ci sia una notizia su come la scuola italiana faccia acqua da tutte le parti, oppure su quanto il piano formativo non tenga conto delle reali necessità degli studenti. Sinceramente non è facile dare torto a molte di queste critiche, ma se come si dice, per cambiare bisogna partire dalle piccole cose, io credo che possiamo avere una speranza. Mi sono imbattuto in una piccola realtà in cui la scuola cerca di affrontare delle problematiche reali, quelle in cui un ragazzino può trovarsi davanti tutti i giorni. Cannara conta circa 5000 abitanti,vi è una unica scuola primaria, l’istituto comprensivo “Anna Frank” in cui la dirigenza scolastica ha capito l’importanza di avere nel piano di offerta formativa anche delle materie che riguardano problematiche sociali come la droga, l’alcool, il doping, e non ultima l’educazione alimentare e motoria. La dirigente ha cosi messo in moto una serie di progetti atti a portare i suoi ragazzi ad avere la consapevolezza scientifica di ciò che potrebbero trovare sulla propria strada, anche al di fuori della scuola, in particolare ha rivolto la propria attenzione ai ragazzi delle 3° medie che sono quei ragazzi che dovranno lasciare Cannara per seguire la scuola secondaria in altre cittadine. I progetti messi in campo

negli ultimi anni dai dirigenti scolasti dell’istituto “Anna Frak” cercano di colmare quella lacuna generazionale tra ragazzi e famiglia che li porta a non discutere o parlare con la famiglia dei problemi che incontrano nel loro percorso di crescita. Lo scorso anno scolastico i ragazzi delle 3° classi hanno potuto usufruire di professionisti che hanno spiegato loro le problematiche legate alla droga e all’alcool, in questo anno scolastico, sempre le 3° classi potranno usufruire di un progetto chiamato “Costruisci la tua salute” che li porterà durante tutto l’arco dell’anno a scoprire le regole di base di una sana e corretta alimentazione, cos’e la sicurezza alimentare, come si deve nutrire un giovane atleta, cosa è il doping, perché fumare è pericoloso, ecc, ecc. La salute di una persona si costruisce da bambini e soprattutto si costruisce se si insegna ai ragazzi come affrontare i pericoli ad essa correlati. Ma questo piccolo comune non stupisce solamente per l’impegno e la pro-

fessionalità elevata dei suoi dirigenti scolastici, basta guardare come nel piccolo auditorium cittadino una dottoressa della farmacia comunale in collaborazione con le istituzioni comunali, sempre attente e presenti, organizzi dei convegni pubblici in cui la popolazione può ritrovarsi dei Medici del calibro del dr Gabriele Perriello docente di nutrizione all’Università di Perugia, che spiegano ed aiutano la popolazione ad affrontare patologie come il diabete o la sindrome metabolica, o ancora gli incontri futuri che vedranno Dietisti laureati all’università di Perugia affrontare argomenti come la promozione per un invecchiamento di successo nella popolazione anziana. Allora se un piccolo comune può avere dirigenti comunali e scolastici cosi attenti e virtuosi bisognerà volgere la nostra attenzione alle piccole realtà in cui si fanno ancora buone cose piuttosto che copiare utopistici castelli nel deserto realizzati spesso dalle grandi città.

di nuclei di controllo sugli abusi. Insomma, di contenimento dei consumi e repressione degli sprechi, anche con misure incentivanti la green economy. Continuiamo imperterriti a lavare i nostri panni con l’acqua minerale, pensando che sia una risorsa senza fine. Sarebbe invece proprio questo il momento, a bocce ferme, per impostare una saggia politica di lungo termine. Se non serve a questo, l’acqua pubblica. Per la cronaca, le previsioni stagionali elaborate dalla

NOAA per il prossimo inverno 2010-2011continuano da mesi ad avvertire sul rischio di un inverno caratterizzato da precipitazioni scarse e da molta ventilazione orientale, per il nostro comparto. Con i conseguenti rischi di una fortissima evapotraspirazione, analoga a quella che ci mise in ginocchio nel 2001-2002. A questo punto, immagino che molti di voi stiano già facendo gli scongiuri. Appunto. Se servono gli scongiuri, di nuovo, dopo 10 anni, vuol dire che non è cambiato nulla, da allora.

Le pioggie eccezionali non bastano a reintegrare le risorse idropotabili Senza una seria politica di risparmio intelligente dei consumi di acqua potabile neppure le alluvioni garantiscono il futuro dell’acqua pubblica LUISITO SDEI

In questi giorni di grandi piogge, perfino di locali esondazioni, può sembrare assurdo parlare di deficit pluviometrici, di falde al lumicino. Eppure, i dati sulla portata delle sorgenti appenniniche umbre, disponibili a fine novembre 2010, mettono in luce tutta l’enorme fragilità del sistema di approvvigionamento idrico, soprattutto idropotabile, della nostra regione e del comprensorio folignate in particolare. Siamo appena reduci da uno dei semestri freddi più pio-

vosi della storia recente del nostro territorio. Le stazioni pluviometriche collinari registrano già, per l’anno 2010, quantitativi di precipitazioni cumulate superiori a 1.000 mm.; e già l’anno 2009 si era concluso in maniera favorevole, con gli ultimi due mesi dell’anno molto al di sopra delle medie. Di fronte a questi diluvi, e a un’estate caratterizzata da precipitazioni nella norma, molto ben distribuite, e da temperature inferiori alle medie, ci si sarebbe potuti attendere una rosea situazione, nella pancia dei nostri monti. Niente affatto. Tutte le sorgenti appenniniche sono tor-

nate al punto di partenza dell’ottobre 2009, con incrementi di portata modestissimi, se non nulli; al massimo pari al 20% su un anno fa. “Tanto rumore per nulla”, si potrebbe dire; ma a Foligno usiamo un’espressione più colorita ed efficace: “Ci siamo mangiati tutto il grasso”. Per una riprova, basta andare su http://www.arpa.umbria.it/retiacque/default.asp ?idapp=2 Un’annata così favorevole avrebbe dovuto invece costituire scorte consistenti per tempi più magri. Così non è: il nostro sistema idrico sotterraneo è sottoposto a un tale prelievo, da bruciare qualunque scorta, la-

sciandoci inermi di fronte ad eventuali colpi del destino e delle mutazioni climatiche in atto. Quanti invocano una seria, dura politica di risparmio idrico e di razionalizzazione dell’uso della risorsa più importante ricevono, a parole, belle pacche sulla schiena. Peccato poi che di interventi concreti, a parte alcuni lodevoli investimenti sulla rete idrica, se ne parli ma non se ne faccia nulla. In nome dei tempi magri dell’economia, nessuno parla più di imporre il doppio scarico in tutte le case, di impianti di riciclo dell’acqua piovana, di doppio ciclo, etc. Nessuno parla più


61www.piazzadelgrano.org La cittadinanza attiva efficace antidoto alla cultura dell’illegalità SALVATORE MARCRÌ Non è certo rassicurante il mondo d’oggi dove la mancanza di riferimenti certi e di prospettive concrete ingenera sensazioni di marginalità e di deriva. Fortunatamente permane negli animi irrobustiti dalla certezza delle proprie scelte valoriali la volontà di procedere sulla strada della giustizia. Un desiderio che trova alimento nella partecipazione responsabile alla vita della città quale antidoto civile alla crisi che si nutre di illegalità, disimpegno, opportunismo, apatico disinteresse. E’ uno stile di vita da coltivare fin da giovani, anzi già nei giovanissimi, perché la cittadinanza attiva, che è fatta di atteggiamento critico, di condivisione di problemi e di servizio a vantaggio della polis, tutela la trasparenza e la legalità contrastando il rischio in-

combente dell’omologazione e della subalternità. Corrado Alvaro sosteneva che: “ La disperazione più grande che possa impadronirsi di una società è il dubbio che essere onesti sia inutile”. Per fugare la perplessità occorre il coraggio di sporcarsi le mani facendo, operando per la comunità senza timore dei rischi a cui si espone chi contrasta il potere e senza cedimenti al richiamo ammaliante della scorciatoia che rende tutto apparentemente facile e comodo. L’educazione è la grande carta da giocare in una partita in cui è in palio la sorte della democrazia. E’ per questo che vale la pena lottare senza timori di ritorsioni e di sconfitte perché comunque ne vale la pena. Per dire io sono me stesso, io ci ho provato, io ci ho messo la faccia, io ci sono, io… perché no … ce l’ho fatta.

Ritmi dell’anima, l’arte ritrovata Antonella Fasano Antonella Fasano è nata a Cesena nel 1971, si è diplomata all’istituto d’Arte B. di Betto di Perugia nella sezione “Moda e Costume” per poi conseguire il diploma accademico di pittura verso la metà degli anni ’90 presso l’accademia di Belle Arti Pietro Vannucci di Perugia. Ancora studentessa in accademia si è interessata di restauro che diverrà successivamente la sua principale attività per oltre un decennio. Nel 2008 si è laureata in Scienze dei beni storico artistici archivistico librari e musicali presso la facoltà di Lettere dell’Università di Perugia. Attualmente vive a Foligno e lavora in una struttura diocesana nell’ambito dei beni culturali. Un lungo percorso di crescita ha portato Antonella a riprendere in mano la grande passione per l’arte, cercando il suo percorso attraverso la sperimentazione di tecniche e materiali diversi. Dopo le prime opere del periodo accademico appartenenti al ciclo “Traccia dell’Immagine”, infatti, la sua dedizione all’arte personale lascia il posto agli impegni lavorativi nel campo del restauro, un mondo che soddisfa la sua grande passione per la cultura, la storia e l’arte e che le fornisce quell’importante bagaglio di nozioni che ritroviamo nel ciclo di opere con cui è tornata a produrre la sua arte, quella nata dalla sensibilità, dalla dolcezza e dalla freschezza che sempre la contraddistinguono. E’ tornata ad essere se stessa con “Ritmi dell’Anima”, opere esposte per la prima volta in occasione di Cavour Art Festival 2010

Cultura/e

FOLIGNO DICEMBRE 2010

Ricerca della felicità e ricerca della giustizia, tra USA e Europa Estratto di una lezione di Gustavo Zagrebelsky

La Dichiarazione d´indipendenza dei tredici Stati Uniti d’America del 4 luglio 1776 inizia con un’enfatica dichiarazione. Esistono verità “per se stesse evidenti”: che tutti gli uomini sono creati uguali e che sono dal Creatore dotati di alcuni inalienabili diritti. Tra questi, oltre alla vita e alla libertà, c’è la ricerca della felicità (pursuit of happiness). La (ricerca della) felicità è uno dei grandi temi che ha caratterizzato, nel suo insieme, il secolo XVIII, dal punto di vista morale e politico. La Dichiarazione d’indipendenza è figlia di quel tempo e, come vedremo, di quella terra. Il secolo successivo è stato molto più prudente. Anzi: la felicità come mèta della vita individuale e collettiva è stata piuttosto associata all’infelicità, in una sorta di coincidentia oppositorum. Per gli individui, è fonte d’inquietudine e di aspirazioni mai stabilmente soddi-

sfatte. Per le società, è fonte di forze distruttive, operanti su larga scala [...] Che la libertà sia un peso è quasi un luogo comune. Che questo peso, almeno nella letteratura reazionaria basata sull’idea della corruzione della natura umana, possa essere sopportato solo da uomini superiori e non dalla massa, anche. La massa è fatta da schiavi con la costituzione del ribelle, (...) in quanto ribelli, vogliono la felicità, ma in quanto schiavi non ne sono capaci e hanno bisogno del padrone. (...) il diritto “americano” di cercare la felicità era in realtà la condanna all’infelicità. Dovrà regnare la felicità, sì, ma la dovrete ricevere da noi (...) che ve la amministreremo nella misura che vi è consona. Ma quale felicità? La felicità consiste nell’aver tolto dal cuore il tormento che deriva da quel dono che è la libertà. Non s’intende qui la libertà come possibilità di scelta di convenienza; della libertà, per così dire economica, legata semplicemente a preferenze, la libertà del consumatore, per intenderci. Stiamo parlando di ben altra cosa, della libertà di realizzare se stessi, di scegliere che cosa si vuole che sia la nostra esistenza. È questa, non l’altra, la libertà che deve essere tolta all’essere umano per renderlo felice. Non è forse questo il segreto di un certo tipo di dominio su vasta scala, su esseri umani standardizzati nei piccoli loro desideri, alimentati continuamente dal-

la “comunicazione”, questa nuova scienza del governo che sempre di nuovo propone stili vita, modelli di massa che promuovono desideri mediocri, volgari e conformisti? Oggi, così si vive in società, attraverso il governo dei desideri, cioè degli animi: una forma di potere che sembra avere sostituito, con effetti anche più radicali, il controllo dei corpi. Che sia meglio una cosa o l’altra, è discutibile, poiché il controllo dei corpi almeno lascia la libertà interiore di desiderare, pur se impedisce di perseguire l’oggetto del desiderio. Questo è un modo per contrastare gli effetti distruttivi della (ricerca della) felicità, tramite il controllo omologante dei desideri, un controllo che può giungere fino a spegnerli, con ciò riducendo gli esseri umani a bestie. (...) L´altro modo è quello di ricondurli non di disumanizzarli, ma di “istituzionalizzarli”, trasformando l’instabile “materiale psichico” soggettivo che alimenta la ricerca della felicità in qualcosa di obbiettivo, funzionale alla vita sociale. [...] Sono i potenti, i “Prominenten”, che la rivendicano come diritto, la praticano e l’esibiscono, spesso oscenamente, come stile di vita. Non sentiremo uno sfrattato, un disoccupato, un lavoratore schiacciato dai debiti, un migrante irregolare, un individuo strangolato dagli strozzini, un rom cacciato, una madre che vede il suo bambino morire nei primi me-

si di vita, rivendicare il suo diritto alla “felicità”. Grottesco! Sentiremo questo eterogeneo popolo degli esclusi e dei sofferenti chiedere, invece che felicità, giustizia. La loro “felicità” sta nel chiedere un poco di giustizia. Negli spazi pieni, la felicità nel senso della Dichiarazione citata all’inizio è diventata la pretesa dei forti, che fa torto ai deboli; la giustizia, non la felicità che è (...) diventata parola doppressione, parola di classe, e come tale dovremmo trattarla. Con quest’ulteriore precisazione, che viene quasi da sé: la felicità è un’aspirazione che riguarda i singoli individui, la giustizia, è un’aspirazione che riguarda la società tutta intera. Come tale, è funzione non delle pulsioni individuali ma delle politiche collettive (...) Così è che, nella ricerca dell’equilibrio tra libertà della ricerca individuale della felicità e giustizia sociale, in Europa entra quel vincolo esterno alla coscienza che è l’obbligo legale. Anche nella Dichiarazione dei diritti francese del 1789 si parla di felicità. Ma non è la felicità individuale; è “le bonheur de tous”. Tra questi “tutti”, la legge ha il compito di stabilire i limiti e i confini, onde la felicità dell’uno non diventi infelicità degli altri. Una dimensione oggettiva della felicità fa qui apparizione, come insieme dei diritti di libertà previsti, regolati e limitati dalla legge. [...]

L’insegnamento del latino nelle scuole a Terni. “Nei miei lavori – ci racconta Antonella - ciò che reputo fondamentale è la continua sperimentazione tra materiali diversi allo scopo di creare composizioni che attraverso i “segni” e le sovrammissioni abbiano un linguaggio forte ed espressivo. Nei lavori accademici davo grande risalto alla materia, contrapponendo positivo e negativo, superfici lucide, opache o trasparenti, poi ho sentito l’esigenza di introdurre in uno spazio già affollato da stratificazioni materiche e da elementi modulari, l’espressività del colore: nascono i Ritmi dell’Anima. A primo impatto si può essere quasi disorientati perché si hanno contemporaneamente sollecitazioni percettive diverse determinate dalla materia (con le sue trame, e i suoi segni), dalla forma (ripetitiva , fluida, ossessiva, non sempre riconoscibile quando il modulo accoglie la materia) e dalla prepotenza del colore che gli conferisce quasi una valenza decorativa. Dopo una più attenta analisi ci si accorge che in questa composizione si viene a creare un campo di forze dove ogni elemento ha un proprio equilibrio e il colore ha un peso ben preciso”. Per tutto il mese di dicembre, Antonella Fasano espone le sue opere nello spazio ad angolo (ex sede Arredocasa) tra via Umberto I e via Rinaldi a Foligno.

La cultura umanistica giova a tutti. Dagli operai la spinta per una maggiore ricchezza del mondo interiore CONCETTO MARCHESI

Durante il quinto congresso del Partito comunista un mio breve discorso, il quale suscitò rumore di molti applausi e taciturnità di molti dissensi, mi fece apparire ostinato paladino dell'insegnamento della lingua latina in tutte le scuole d'Italia, escluse le elementari. E naturalmente mi si imputò di volere imporre una cultura umanistica a ragazzi e bimbette di dodici anni. In realtà non ho mai gravato l'anima mia di così nero peccato. Allora intendevo soltanto proporre la grammatica di una lingua morta quale strumento più adatto che quella di una lingua viva alla

formazione mentale dell'alunno. La esperienza di non pochi anni ci dice che è questo un pronostico fallito; che lo studio grammaticale del latino nella scuola media unica è un inutile tormento e perciò un insensato perditempo. M'inchino alla evidenza: e recito il mio atto di contrizione. Si escluda il latino dalla scuola media unica, ma gli si dia reverente ospitalità nelle scuole dove si forma e si precisa la cultura, il gusto, l'abito intellettuale di quanti nella vita sentiranno bisogno di estendere l'attività del proprio spirito oltre i limiti più o meno angusti di una specifica attività quotidiana: né solo per uno svago voluttuario delle ore oziose, ma perché tutte le ore della vita sentano il beneficio di una spaziosa educazione mentale. La cultura umanistica giova a tutti; il giorno in cui decadesse sarebbe notte nel mondo. L'elettricità percorre ormai tutta la terra; dà moto e luce; crea nuove energie fisiche; ha tolto l'uomo dalla solitudine, dalla oscurità, dai riposi umiliati e accasciati e lo ha sospinto verso le gioiose distrazioni dì cui ha bisogno la fatica per essere più fruttuosamente ripresa. Ma c'è nella nostra esistenza qualcosa che non sazia e non stanca mai; di

cui non ci rendiamo conto come ci si rende conto di un meccanismo, a cui non sappiamo dare il nome perché il nome varia da un libro a un quadro a un suono. È una cosa che ci fa dimenticare ogni altra cosa e ci dà una luce che illumina dentro e assicura, talora, l'istante inatteso di felicità. Questo si deve a quella scienza che si fa arte e si fa vita; si deve a quella cultura umanistica che fuori della scuola ha bisogno di dilatarsi liberamente e nella scuola di raccogliersi e profondamente operare. Lo studio del latino c'è sempre stato nelle scuole italiane: nel ginnasio prima, fin dalla prima classe, nella scuola media unica, dopo. Il latino, si dice, ha fatto cattiva prova: è un peso morto, senza compensi. Colpa degli scolari, delle famiglie, dei maestri, dei regolamenti scolastici? I regolamenti non c'entrano. La scuola dipende da colui che vi insegna. Oltre e sopra il regolamento, qualunque esso sia, c'è il maestro. Il fastidio o il gradimento, l'interesse o la noia, l'equilibrio o il disordine dipendono da lui, dall'uomo che insegna. Si può ridurre il pane al maestro, si può levargli anche la libertà, ma non la facoltà di penetrare nell'animo dell'alunno e ri-

chiamarlo alla luce e alla gioia della conoscenza. Gli si lasci soltanto in mano il catechismo e ne farà uno strumento di scienza e di nobiltà umana se non è un pitocco o un servo. Se qualche volta o molte volte il latino nella scuola media si insegna male, è da domandare quanto si insegnino bene e con quale profitto le altre discipline. A quattordici anni si può imparare una lingua viva. La lingua morta ha bisogno di penetrare lentamente nella curiosità, nell'interesse, nell'applicazione mentale dello scolaro: deve essere assorbita con un processo conoscitivo calmo e conciliante, attraverso i fatti, le parole, gli scritti dei grandi personaggi dell'antichità: i quali sono anche i personaggi antichi della nostra storia, siccome quella lingua morta è la nostra stessa lingua quale si parlava e si scriveva allora. Stiamo attenti. Non uccidiamo il latino. Da quanto ho detto non pochi compagni di elevata cultura dissentiranno; ma so che degli operai molti concordano con me: e non me ne stupisco, perché proprio di là, dal campo operaio, nasce l'aspirazione verso una maggiore ricchezza nel mondo interiore dello spirito umano.


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Cultura/e

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Non lavorare stanca MARIA SARA MIRTI

I poeti antichi (assirobabilonesi, greci) per spiegare le catastrofi naturali, le guerre insensate e le altrettanto insensate stragi di uomini che queste portavano in dote, erano giunti alla conclusione che gli abitanti del pianeta fossero in sovrannumero e che quindi facessero soffrire la terra, opprimendola col loro peso; oppure che il loro chiasso fosse insopportabile agli dei, e che, in ogni caso, a un certo punto fosse pur necessario diminuire la quantità dei viventi. Gli uomini dunque, erano considerati dagli dei e dagli elementi divinizzati come portatori di un fastidio certo e di un incerto diritto di affermazione. Alla luce di come la storia umana è trascorsa da allora, pare sensato affermare che solo attraverso un lavoro ordinato e rispettoso dei cicli naturali, che permetta il sacrificio agli dei, gli uomini abbiano trovato la propria ragion d’essere agli occhi del creato, facendosi intermediari tra le istanze viscerali della terra e quelle sovrannaturali dei numi “celesti” (irrazionalità viscerali irraggiungibili), collocandosi, con il proprio pensiero simbolico, a metà strada tra la trascendenza pro-

fana e l’immanenza sacra, magistralmente descritte da G. Bataille. Oggi però le difficoltà legate al lavoro hanno reso quest’ultimo né sacro né profano, quasi innaturale. Il tempo della “festa”, inteso come sospensione obbligatoria dal lavoro, ha preso

tv, nei giornali patinati, nell’ostentazione mondana o religiosa di un abito nuovo: la festa viene così a perdere il proprio carattere ciclico. La festa è la nostra costante aspirazione, il tempo continuo, pre-esistente e non fondativo, che il lavoro si trova a interrompere.

il sopravvento nella percezione della nostra quotidianità. Ovunque volgiamo lo sguardo ci colpisce la certezza che da qualche parte, anche quando non guardiamo, quando dormiamo, quando siamo costretti a lavorare, ci sia una festa in atto. Sta a noi decidere quale sia la più vicina, la più fruibile, nella

I nostri panni da lavoro non contengono la nostra identità, perché l’estetica del travestimento che spesso s’impossessa della festa ci spinge a credere di poter esistere solo all’interno dei panni dismessi da qualcun altro, come in una morte rituale privata della rinascita. Esiste un legame certo tra il lavoro degli uomini e

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Eve of destruction le varie forme di pensiero, e questo legame è visibile, più che altrove, nel tempo della festa, purché la festa non duri troppo a lungo, purché permetta alle varie istanze culturali di esprimersi e non le snaturi, purché ripristini lo status quo precedente. Oggi, nel nostro messianico “tempo che resta” (G. Agamben), si è persa la consapevolezza che proprio dal lavoro nasce il pensiero più profondo, il legame più stretto con ciò che “resta” di noi. In un eterno presente i sacrifici appaiono senza fine, ingiusti, feroci, le illusioni superano in numero le realtà, non esistono limiti da valicare o da cui tornare, ci si parla con linguaggio di ubriachi. “Quale significato hanno le nostre attività, le riflessioni che perseguiamo, il lavoro che ci serve per mangiare? Essi significano sempre qualcosa che è situato al di là di noi, come la carota per l’asino quando lo si vuole far proseguire con un trucco.” (G. Bataille, Sulla religione. Tre conferenze e altri scritti) Oggi si vogliono imporre al tempo del lavoro canoni di visibilità reciproca tipici del tempo della festa: non importa il benessere reale dei singoli, ma solo l’apparire produttivo, al prezzo corrisposto di una carota.

Barry McGuire - 1965

L’Est del mondo sta esplodendo La violenza si diffonde, i colpi sono in canna Sei abbastanza grande per uccidere, ma non abbastanza per votare Tu non credi nella guerra, ma che cos’è quell’arma che stai imbracciando? E perfino sul fiume Giordano ci sono dei corpi che galleggiano Ma dimmi, amico, ancora ed ancora Non credi che siamo al principio della fine? Non capisci quello che sto tentando di dire E non riesci a percepire i timori che sento oggi? Se verrà premuto il bottone, non ci sarà nessun posto dove scappare Nessuno si salverà, il mondo diventerà una tomba Dai una occhiata attorno a te, ce n’è abbastanza per spaventarti, ragazzo. Si, il mio sangue è così furioso che sembra stia coagulando Sono seduto qui e sto facendo considerazioni Io non posso rivoltare la verità, non conosce regole Un piccolo numero di senatori non fa passare la legge E le marce da sole non possono portare l’integrazione Quando il rispetto per l’uomo si sta sgretolando Questo grande pazzo mondo è veramente troppo frustrante Pensa a tutto l’odio che c’è nella Cina rossa E dopo getta un occhio a Selma in Alabama Ah, tu puoi girare per quattro giorni nello spazio Ma quando torni giù è sempre il solito vecchio posto Il rullo dei tamburi, l’orgoglio e il disonore Tu puoi sotterrare i tuoi morti, ma senza lasciare una traccia Odia il tuo vicino, ma non dimenticare di dire le preghiere

Lasciateci almeno Babbo Natale IOLANDA TARZIA

“Il bambino capriccioso C'era una volta un bambino capriccioso che non faceva mai quel che voleva la mamma. Perciò il buon Dio ne era scontento e lo fece ammalare; e nessun medico poté salvarlo e presto egli giacque sul letto di morte. Quando fu sepolto e la fossa fu coperta di terra, tutt’a un tratto spuntò fuori il suo braccino e si tese in alto; lo misero dentro e lo coprirono di terra fresca, ma era inutile: il braccino tornava sempre fuori. Allora dovette andar sulla tomba la mamma, e batterlo sul braccino con la verga; e come l'ebbe fatto il braccino si ritirò e il bimbo ebbe finalmente pace sotto terra” (Jacob e Wilhelm Grimm –Fiabe; Ed. Einaudi Tascabili). Questa, come tante altre più note, è una delle fiabe dei fratelli Grimm. Si tratta di antiche fiabe della tradizione popolare, le cosiddette “Fiabe del focolare” che nell’Ottocento i fratelli Jacob e Wilhelm Grimm decisero di raccogliere e far pubblicare come testimonianza di poesia popolare convinti che, attraverso le fiabe avrebbero fatto conoscere e amare la cultura e le tradizioni del loro Paese a tutti, non solo ai bambini. Chi di noi non ha mai ascoltato o raccontato la favola di Hansel e Gretel o quella di Cenerentola, o, ancora

quella di Cappuccetto Rosso? Sono le storie che hanno accompagnato, accompagnano e certamente accompagneranno ancora negli anni a venire milioni e milioni di bimbi nelle braccia di Morfeo. Storie che, nell’immaginario, dovrebbero far sorridere e sognare i bambini. Invece sono dei veri e propri racconti dell’orrore. Sono storie che raccontano di un Dio che fa morire un

bimbo solo perché capriccioso e di una madre che non riesce ad avere pietà del figlio neppure dopo la morte, di matrigne che maltrattano i figliastri, di padri che abbandonano i figli nel bosco, di streghe cattive e di lupi che mangiano i bambini. Quanta crudeltà c’è in ognuna di esse? E’ la crudeltà che solo un adulto può trasferire ad un bambino farcendone i racconti allo stesso destinati. Crudeltà che, per fortuna, l’animo dei

bimbi difficilmente riesce a percepire e comprendere. E’ la stessa crudeltà che ha ispirato l’agenzia pubblicitaria, la banca e la TV che in Francia hanno deciso di ideare e mandare in onda nei giorni scorsi, prima del film animato “Ratatouille”, uno spot che annuncia che “Babbo Natale non esiste”. No, Babbo Natale non si tocca! Quel vecchio rubicondo dalla barba bianca che parten-

do dal polo nord va in giro per tutto il mondo con una slitta trainata da renne volanti per esaudire in una sola notte i desideri di tutti i bambini, non può essere eliminato così. I bambini hanno diritto di credere che Babbo Natale esiste; hanno diritto alle emozioni che regala l’attesa di un omone vestito di rosso che, scendendo dal camino, arriverà nelle loro case perché sono bambini buoni. La magia del mondo fanta-

stico in cui ogni bambino colloca Babbo Natale, dove non trova dimora alcuna forma di bruttezza e la malvagità, è unica ed irripetibile. Non si può vedere e non si può comprendere se non con gli occhi e l’animo dell’innocenza. E’ una magia che gli adulti dovrebbero preservare il più a lungo possibile. E non solo per i bimbi. Quanto farebbe bene all’animo di noi adulti abbandonarci, sia pure per pochi momenti, all’illusione che esiste un mondo in cui, se siamo buoni, i nostri desideri, quelli più preziosi, quelli che non si comprano, quelli che spesso non abbiamo neppure il coraggio di desiderare, saranno esauditi da Babbo Natale! Quanto ci renderebbe migliori mantenere viva negli anni che ci scorrono addosso anche solo un pizzico di quell’innocenza che fa credere che le renne volano e che un vecchio ciccione possa scendere attraverso un camino; che aiuta a vedere e percepire ciò che di buono c’è anche nella fiaba più crudele; che preserva la capacità di credere che qualunque storia, anche la difficile e triste, avrà un lieto fine! Non permettiamo, allora, che si costruisca un futuro in cui Babbo Natale “non esiste” ma, semmai, facciamo di tutto affinché la magia del suo mondo accompagni la vita dei bambini il più a lungo possibile, forse saranno degli adulti ancora capaci di sognare e sperare.

Genialità dei figli

Un padre entra nella camera della figlia e la trova vuota con una lettera sul letto. Presagendo il peggio, apre la lettera e legge quanto segue: “Caro papà, mi dispiace molto doverti dire che me ne sono andata col mio nuovo ragazzo. Ho trovato il vero amore e lui, dovresti vederlo, è così carino con tutti i suoi tatuaggi, il piercing e quella sua grossa moto veloce. Ma non è tutto, papà: finalmente sono incinta e Abdul dice che staremo benissimo nella sua roulotte in mezzo ai boschi. Lui vuole avere tanti altri bambini e questo è anche il mio sogno. E dato che ho scoperto che la marijuana non fa male, noi la coltiveremo anche

per i nostri ami-ci, quando non avranno più la cocaina e l’ecstasy di cui hanno bisogno. Nel frattempo, spero che la scienza trovi una cura per l’AIDS così Abdul potrà stare un po’ meglio: se lo merita! Papà, non preoccuparti, ho già 15 anni, so badare a me stessa. Inoltre Abdul, forte dei suoi 44 anni di età, mi segue e mi consiglia al meglio nelle scelte, come quella di convertirmi all’Islam. Spero di venire a trovarti presto così potrai conoscere i tuoi nipotini. La tua adorata bambina.” P.S.: tutte balle, papà! Sono dai vicini. Volevo solo dirti che nella vita ci sono cose peggiori della pagella che ti ho lasciato sul comodino. Ti vo-glio bene


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Lavoro

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MERLONI

ci sono manifestazioni d’interesse ma la Regione Umbria insiste con il “piano B” Alla vigilia della scadenza degli ultimi bandi pubblicati dai Commissari “sembra” che siano state presentate proposte di interesse; “sembra” che le proposte siano più d’una; “sembra” che siano diverse per l’interesse manifestato: al sistema industriale, agli immobili, a singoli segmenti; “sembra” che si tratti di “gruppi” o di “cordate”; “sembra” che siano di origine asiatica. Sembra, tutto sembra, perché nulla di chiaro, certo e sicuro è stato reso noto quanto meno, verrebbe immediatamente da pensare, ai diretti interessati, cioè ai lavoratori in cassa integrazione. Sembra, ancora, che il merito sia dei politici della nostra Regione Umbria o forse di quella Marche, sembra invece che la colpa del ritardo sia del governo. Ancora tutto sembra. Certo è invece che c’è sempre pronto un “piano B”, un piano cioè di frazionamento degli stabilimenti e di dispersione a pioggia dei contributi stanziati dallo Stato e dalle Regioni proprio per il salvataggio e rilancio del complessivo sistema indu-

striale ex Merloni. Contro quest’ultima soluzione continua a battersi il Comitato della Lavoratori dello stabilimento di Nocera Umbra che, con un documento presentato al Consiglio regionale, pubblicato per esteso nel precedente numero di questo periodico (vedi anche nel sito internet), ha affermato con chiarezza e durezza che l’unica soluzione realmente in grado di garantire la salvaguardia dell’occupazione dello stabilimento di Nocera Umbra, ma anche degli altri siti marchigiani, è solamente quella della riattivazione totale del sistema industriale ex Merloni, ricercando imprenditori di respiro internazionale. Riceviamo quindi con soddisfazione e fiducia la comunicazione del Presidente della Regione Marche Gian Mario Spacca (che pubblichiamo a lato) il quale rispondendo a un lavoratore dello stabilimento Merloni di Fabriano, conferma la presenza di una manifestazione di interesse da parte di un grande gruppo internazionale cinese che si era fatto avanti già durante il primo bando andato de-

serto. Lascia invece perplessi l’ostinazione con cui i rappresentanti della Regione Umbria che, pur dovendo ammettere la novità della presentazione delle proposte di interesse, continua ad insistere, facendosene merito, nella predisposizione di una soluzione “paracadute”, il così detto “piano B”, che altro non significa se non lo smembramento irreversibile del sistema industriale Merloni, quanto meno per lo stabilimento umbro di Nocera Umbra, a vantaggio di interventi a pioggia in un territorio già in profonda crisi e nell’assenza di reali capacità imprenditoriali. Ci auguriamo che il Consiglio regionale umbro si decida infine a convocare la seduta, già richiesta dal Comitato dei Lavoratori, dedicata alla discussione della questione Merloni nel corso della quale approvare un documento che impegni formalmente tutte le forze politiche rappresentate a coltivare l’opzione del rilancio del sistema industriale, definitivamente abbandonando la pessima ipotesi del “piano B”.

La FIOM contraria alla Camusso

Gentile signor Piras, anche se non ci conosciamo personalmente ho voluto scriverle questa lettera dopo aver visto al Tgr Marche il suo intervento. Ho ascoltato con interesse e partecipazione le interviste agli operai della Antonio Merloni, ai quali non posso che rinnovare la mia vicinanza di fronte al dramma che da mesi stanno vivendo. Mi hanno particolarmente colpito le sue parole, signor Piras, rivolte a me personalmente. Se comprendo e condivido, come ho sempre fatto, la pressione a cui ormai da troppo tempo lei e tutti i lavoratori del gruppo siete sottoposti e la disperazione per un futuro che appare ancora incerto, non capisco al contrario le sue espressioni nei confronti della Regione Marche. [...] Lei parla di promesse riguardo ai cinesi che, dice ironicamente, “sono arrivati a Fabriano in massa”. Ebbene, su questo specifico punto vorrei richiamare la sua riflessione. Da diverso tempo la Regione Marche ha avviato rapporti con tutto il mondo asiatico, da Dubai alla Cina. Abbiamo com-

preso la potenzialità che quest’area può rappresentare per l’economia delle Marche e per la possibilità di attrarre investimenti nel nostro territorio. E cos’è accaduto? Lei sicuramente ricorderà il flop del bando per la vendita della Antonio Merloni alla sua prima pubblicazione: nessuna richiesta fu inviata ai commissari straordinari. Un duro colpo per gli operai e per la comunità non solo fabrianese, ma marchigiana tutta. Nonostante questo, nel giugno scorso, fu prorogata la cassa integrazione, un risultato reso possibile anche perché nel frattempo, in totale assenza di altri interessi concreti a rilevare l’azienda, qualcuno ne aveva manifestati. E quel qualcuno era proprio un gruppo cinese che, lei comprenderà perfettamente, difficilmente sarebbe venuto a conoscenza della vicenda della Antonio Merloni se la Regione Marche non avesse avviato una strategia di comunicazione nell’intera area asiatica. E arriviamo alla seconda pubblicazione del bando. A differenza della prima volta, il bando non

è andato deserto: pur nel riserbo e nella prudenza mai così necessari come in questo caso, alcune manifestazioni di interesse all’acquisto della Antonio Merloni sono state avanzate. Sono tutte manifestazioni di interesse internazionale, provenienti dall’area asiatica. Non è un mistero che ci sono anche quei cinesi di cui lei ironicamente parla. Questo non significa che l’esito delle manifestazioni d’interesse andrà con certezza a buon fine, anche se ce lo auguriamo con forza. Significa però sicuramente che il totale disinteresse per la Ardo, che aveva caratterizzato il primo bando, non si è replicato questa volta. Questo è accaduto anche perché la Regione, come pure tante altre istituzioni del territorio, non ha mai mollato la presa [...] Nel salutarla, auguro a lei e a tutti i lavoratori di ritrovare presto la serenità di un lavoro certo. E su questo obiettivo sicuramente continuerà a non mancare l’impegno della Regione Marche. Cordialmente Gian Mario Spacca

RSU ACI Perugia

I lavoratori dell’ACI di Perugia destinano a Le ragioni del NO della FIOM alla elezione sostegno della lotta dei lavoratori della A. della nuova segretaria generale della CGIL Merloni il rimborso del “Progetto tasse” Susanna Camusso

Il fatto che una donna sia eletta per la prima volta segretaria generale della Cgil è sicuramente un fatto importante e positivo. Ma sarebbe un’offesa alla storia delle donne di questo sindacato far derivare solo da questo fatto un giudizio favorevole alla candidatura di Susanna Camusso. Il mio è contrario. Susanna Camusso viene candidata segretaria generale della Cgil sull’onda di una campagna mediatica che non ha avuto precedenti nella storia degli insediamenti dei segretari generali dell’organizzazione. Una parte rilevante di tale campagna, sempre più insistente negli ulti-

mi giorni, punta a presentare la nuova segretaria generale come colei che riporterà finalmente la Cgil nell’alveo della concertazione del patto sociale, superando le ambiguità di Epifani e mettendo a posto la Fiom. Non ci sono state sufficienti smentite a questa campagna promozionale e la storia del dirigente sindacale Susanna Camusso la presenta come naturale interprete di una linea moderata e, come si dice oggi in tutti i palazzi della politica, “riformista”. Ma non è solo una questione di tendenze filosofiche. C’è una stretta immediata che la Cgil deve affrontare. La piazza del 16 ottobre ha chiesto con forza lo sciopero generale. Nello stesso tempo la Confindustria, alla fine delusa anch’essa da Berlusconi, tenta un patto sociale che ha al centro la produttività del lavoro, cioè le scelte di Marchionne contro i lavoratori Fiat. La Cgil ha annunciato lo sciopero in piazza, ma poi l’ha tolto dall’agenda e si è seduta al tavolo delle trattative dichiarandosi disposta a negoziare a livello confedera-

le sulla produttività. Una scelta di questo genere sarebbe un regalo senza precedenti alle posizioni più oltranziste e retrive del padronato italiano. Tuttavia nel quadro di crisi politica in cui sta precipitando il paese, la spinta a un pateracchio sulla produttività è fortissima. Come dimostra il recente accordo unitario sull’apprendistato in cui Cgil e Regioni di sinistra hanno sostanzialmente accettato la linea della Gelmini sulla formazione aziendale e quella di Sacconi sul mercato del lavoro. Siamo al dunque, nelle prossime settimane i lavoratori che sono scesi in piazza il 16 ottobre e quelli in lotta in questi giorni possono ricevere dalla Cgil conferme e sostegni oppure terribili delusioni. Speriamo che non sia così ma in ogni caso è bene che nuova segretaria sappia che se davvero dovesse seguire gli indirizzi verso cui la spingono tanti sospetti estimatori, si troverà contro una parte rilevante dell’organizzazione. E’ bene che tutto sia chiaro fin da subito. Giorgio Cremaschi

PERUGIA 11 novembre 2010 – Simbolico gesto di protesta e solidarietà nei confronti di altri lavoratori che pagano l’incapacità di una giusta contrattazione, quello fatto nei giorni scorsi dai rappresentanti dell’RSU ACI Perugia. La consegna è stata fatta martedì 9 novembre in occasione del presidio che i lavoratori della Merloni avevano allestito sotto la sede della Regione dell’Umbria per avere risposta sulla difficile situazione che stanno vivendo. «I lavoratori dell'ufficio provinciale ACI Perugia protestano per una contrattazione inesistente sul "Progetto tasse 2008" – spiegano -, che ha riconosciuto, a giugno di quest'anno, ai lavoratori ACI di Perugia, la som-

ma irrisoria di circa E.41,00 a testa. Come gesto simbolico abbiamo deciso di devolvere, per protesta, queste somme a favore del Comitato del Lavoratori della Merloni lavoratori del privato in lotta per avere riconosciuto il diritto alla contrattazione e un futuro per il proprio posto di lavoro. Noi lavoratori dell'ACI diciamo: abbiamo un altro progetto quello di rendere il diritto alla contrattazione una realtà, non una farsa giocata a Roma o in sede locale per imbonire noi che poi lavoriamo a contatto con le problematiche vere dei cittadini umbri e che svolgiamo seriamente il nostro lavoro C'è una convenzione per la gestione delle tasse automo-

bilistiche per la quale la Regione Umbria sborsa migliaia di euro all'ACI, ma nonostante le promesse dei nostri dirigenti quei soldi si sono "volatilizzati"». «Anche se può sembrare paradossale la nostra protesta – proseguono i lavoratori - il nostro progetto è molto serio, restituire ai lavoratori il diritto di parola sulle vicende che riguardano il proprio posto di lavoro, il loro futuro e il diritto ad una giusta retribuzione, fare dei luoghi di lavoro, luoghi dove si pratica la democrazia e la trasparenza. Decidiamo noi quindi cosa fare di quei E. 41,00 che ci vengono consegnati devolvendoli ad altri lavoratori che, come noi, chiedono diritto di parola».


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Lavoro

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Italia: intervento pubblico per una nuova occupazione Estratto del documento conclusivo approvato dal Comitato Centrale delle FIOM l’8 novembre 2010 Il grande successo della manifestazione nazionale dello scorso 16 ottobre a Roma rafforza le ragioni della nostra mobilitazione, indica l'esistenza di un vasto dissenso sociale alle politiche del Governo e della Confindustria chiede alla Fiom ed alla Cgil di continuare con una azione ed una pratica sindacale nei luoghi di lavoro e nel Paese che coerentemente difenda l'occupazione e delinei un'alternativa sociale e industriale di uscita dalla crisi. La grande partecipazione al 16 ottobre ha rimesso al centro della discussione sociale e politica, il lavoro quale interesse generale del Paese, il valore del Contratto nazionale, e della democrazia in alternativa alla deleteria pratica degli accordi separati, ed ha riaffermato che a partire dalla Fiat non è accettabile lo scambio tra riduzione dei diritti e investimenti, ma al contrario va affermata una nuova politica industriale socialmente ed ambientalmente sostenibile fondata sulla qualità delle prestazioni lavorative, sulla

stabilità dell'occupazione, sull'innovazione dei prodotti, sul diritto alla Contrattazione collettiva, su un nuovo intervento pubblico nell'economia anche per una nuova occupazione. Il 16 ottobre è stato capace di unire, a partire dalla piattaforma della Fiom, le lotte in corso degli studenti, dei precari, dei lavoratori pubblici e privati, dei migranti, dei pensionati, dei movimenti sui beni comuni e in difesa dello stato sociale, dei movimenti in difesa della Costituzione e contro la deriva del Governo Berlusconi, avviando dei rapporti, un percorso ed un dibattito nuovo che va alimentato e perseguito sia a livello nazionale che sul territorio […] Il Governo con il consenso della Confindustria ha fatto approvare dalla sua maggioranza in Parlamento il famigerato Collegato al Lavoro, legge che il Presidente della Repubblica aveva rinviato alle Camere, con cui si destruttura il diritto del lavoro nel nostro paese, rendendo sempre più difficile per il singolo lavoratore far valere in sede giudiziaria la lesione dei propri diritti. La Confindustria ha ribadito che va affrontato il nodo del-

la crescita di produttività agendo in due direzioni: rendere ancora più libero senza vincoli l'utilizzo del ricorso ai contratti a termine e di somministrazione ed allungare il periodo di prova per le assunzioni a tempo indeterminato […] Contemporaneamente la Fiat continua a negare qualsiasi confronto sul piano industriale, continua a voler cessare le attività a Termini Imerese facendo saltare oltre 2.500 posti di lavoro, disdice gli accordi aziendali in vigore in materia di agibilità sindacale e di contrattazione dei tempi e metodi di lavoro ed ha reso esplicita la volontà di procedere a Pomigliano con la costituzione di una nuova Newco in cui riassumere individualmente gli attuali lavoratori già dipendenti del gruppo Fiat nel sito campano, per sancire il completo superamento del Ccnl […] Il Comitato Centrale della Fiom valuta che il tavolo di confronto aperto con le controparti imprenditoriali, proposto dalla Confindustria, si sta svolgendo senza che l'insieme dell'organizzazione abbia potuto conoscere e discutere preventivamente i contenuti e le proposte con le quali la Cgil partecipa a tale negoziato.

Il Comitato Centrale considera non condivisibile che siano stati consegnati al Governo documenti con il consenso della Cgil in cui ad esempio si richiede “di incrementare e rendere strutturali tutte le scelte normative che incentivano la contrattazione di secondo livello, che collegano aumenti salariali variabili all'andamento delle imprese”. Così nei fatti si svuota il ruolo salariale dei contratti nazionali, tanto più in una situazione di grave crisi. Così come ad esempio, in presenza dell'accordo di Pomigliano e dell'accordo separato sulla derogabilità, nel caso della nostra categoria, non è condivisibile che la Cgil condivida che “nuovi investimenti produttivi e le crisi occupazionali nel Mezzogiorno dipendono da riforme di sostegno al lavoro, attraverso l'utilizzo di tutte le strumentazioni contrattuali nazionali e decentrate”. In ogni caso il Comitato Centrale della Fiom, considera che materie relative agli orari di lavoro ed ai contenuti della contrattazione collettiva che compongono la prestazione lavorativa siano e debbano rimanere di titolarità della categoria. Per

Cina: scioperi e aumenti salariali fanno crescere l’economia Nei primi mesi di quest’anno in numerosi grandi stabilimenti industriali della Cina si sono verificati ripetuti e prolungati scioperi che hanno bloccato per diversi giorni la produzione. Gli scioperi hanno interessato soprattutto stabilimenti stranieri che si sono trovati ad affrontare richieste di aumenti salariali che sembravano mettere in discussione sia la disciplina che l’economicità della manodopera cinese. I “benpensanti” italiani hanno plaudito alla grande novità democratica che metteva in crisi il rigore del “sistema” cinese e sembrava segnare l’inizio della caduta della competitività del gigante orientale, prefigurando la fuga degli investimenti stranieri, ma anche il trasferimento delle stesse produzioni cinesi verso altri paesi caratterizzati da minori diritti sindacali e minore costo della manodopera. Curioso notare che in quello stesso tempo i medesimi “benpensanti” italiani hanno cominciato a denunciare i diritti sindacali dei lavoratori italiani accusandoli di essere responsabili della grave crisi produttiva, invocando persino l’abolizione del diritto di sciopero giudicato quasi un crimine contro l’economia nazionale, prefigurando la “delocalizzazione” delle industrie italiane in paesi con minori diritti sindacali e minor costo della manodopera. Sia i timori che gli auspici dei “benpensanti” italiani si sono rivelati sbagliati (relativamente ovviamente alla situazione cinese, perché per quella di casa nostra le “cose” stanno

andando persino peggio). I lavoratori cinesi hanno manifestato lungamente e duramente senza provocare l’intervento repressivo del governo e, alla fine, hanno ottenuto significativi aumenti salariali oscillanti tra il 20%, generalmente riconosciuto da tutte le amministrazioni pubbliche locali e nazionali, e oltre il 50% acconsentito dalla imprese industriali sia nazionali che di investitori stranieri. Nessuna industria se ne è andata, nessun investitore estero ha ritirato i propri investimenti, la produzione industriale ha continuato a crescere raggiungendo la percentuale del 12% (dati pubblicati dalla Camera di Commercio italiana in Cina). I “benpensanti” italiani hanno allora aggiunto che i lavoratori cinesi sono sottoposti a condizioni di lavoro da schiavismo e per salari bassissimi. Sulle condizioni di lavoro c’è sicuramente ancora molto da dire e da fare, per quanto se ne può sapere con la dovuta certezza; sui salari però la verifica è assai semplice. Un operaio cinese di una fabbrica meccanica o elettronica guadagnava prima degli scioperi l’equivalente di circa 150 euro mese e oggi supera i 200/220 euro mese. Un recente bando della Ca’ Foscari dell’Università di Venezia, organizzando un progetto di scambio di studenti

con una Università cinese, segnala ai candidati i costi che dovranno sostenere nella loro permanenza in Cina: 50/100 euro mese tutto compreso! (Dettagli: 5 euro mese una camera doppia con ba-

zione cresca notevolmente, per due ragioni: aumentano esponenzialmente le importazioni di prodotti dall’estero e una parte sempre più significativa della produzione cinese resta in Cina per alimen-

gno; 2 euro al giorno i pasti completi alla mensa). Il costo della vita in Cina è dunque di circa 10 volte inferiore a quello italiano. Ciò vuol dire che un operaio meccanico cinese guadagna oltre 2.000 euro al mese, contro 1.100 dell’operaio italiano, i 750 euro di quello polacco e i 500 di quello serbo, tutti dipendenti di stabilimenti Fiat europei. I dati pubblicati dalla Camera di Commercio italiana in Cina ci danno anche altre indicazioni estremamente interessanti. L’avanzo della bilancia commerciale cinese diminuisce nonostante la produ-

tare il mercato interno. Il reddito procapite aumenta del 10% nelle città e del 12% nelle campagne; unico caso al mondo in cui la forbice tra aree ricche e aree povere si stringe con un ritmo che prefigura il raggiungimento della parità in un periodo oramai assai breve. La spesa pubblica cresce del 12%, con punte di aumento sino a quasi il 70% nel settore della ricerca scientifica e della cultura. In conclusione in Cina i diritti sindacali crescono, crescono anche le retribuzioni, cresce la spesa pubblica in investimenti sociali e scientifici,

queste ragioni il Comitato Centrale della Fiom considera non praticabile il tavolo di confronto sulla produttività proposto dalla Confindustria e chiede alla Cgil di sospendere tale negoziato e di mettere nella condizione tutta l'organizzazione fino ai luoghi di lavoro di poter conoscere e discutere preventivamente le scelte e gli orientamenti negoziali della Cgil […] Il Comitato Centrale della Fiom in coerenza con gli obiettivi ed il successo della manifestazione del 16 ottobre avanza le seguenti proposte: La riunificazione del mondo del lavoro pone la necessità di assumere quale evoluzione dell'attuale sistema di relazioni sindacali la realizzazione del Contratto dell'Industria. Il processo di unificazione a livello europeo dei sindacati dell’industria (me-

talmeccanico, chimico, tessile) deve prevedere uno sforzo analogo a livello italiano. In questa ottica, nel nostro Paese si può prevedere quale passaggio intermedio l'unificazione dei Contratti nazionali per ogni categoria […] Nel confermare il valore della proposta di legge da noi presentata in parlamento e la necessità di una regolamentazione legislativa in materia di democrazia e rappresentanza, si propone a Federmeccanica a Fim e Uilm l'apertura di un tavolo e di confronto per definire l'eleggibilità della Rsu anche nelle imprese sotto i 15 dipendenti, il superamento dell'1/3 riservato alle organizzazioni sindacali, procedure per la validazione delle piattaforme e degli accordi tramite il ricorso al voto referendario anche in caso di diverse posizioni.

eppure non solo non diminuisce ma anzi aumenta significativamente la produzione industriale. In Italia, al contrario, i diritti sindacali vengono demonizzati, le retribuzioni ristagnano quando non diminuiscono, la spesa pubblica si contrae con tagli maggiori proprio a danno della ricerca e della cultura, eppure la produzione ristagna (ad essere ottimisti!). C’è una risposta precisa a questa paradossale incongruenza: in Cina l’economia è nelle mani dello Stato, l’unico vero “imprenditore” che può nello stesso tempo stimolare la produzione e difendere lo stato sociale, programmando il futuro. Ma questa, seppure in un diverso contesto politico, non è affatto una novità nella storia e nell’esperienza dell’industria italiana. Uscita fortemente compromessa dalle distruzioni delle seconda guerra mondiale l’economia italiana, nel giro di due decenni, è letteralmente “esplosa” facendo coniare l’appellativo del “miracolo economico italiano”, emergendo da un’economia fondamentalmente agricola arretrata, ad un’economia industriale caratterizzata da punte di eccellenza mondiali. L’eccellenza non era data dalla miriade di piccole imprese sostanzialmente contoterziste, ma esclusivamente dall’industria pubblica, praticamente in tutti i settori. Dalla cantieristica (Fincantieri), alla meccanica pesante e di precisione (Finmeccanica

con la sua miriade di partecipate, dalla Terni alla Galileo, ecc.), alla aeronautica (Agusta, Alenia già Selenia), alla ferroviaria (Breda, Ansaldo), alla chimica (Montedison), alla siderurgica (Finsider), alle comunicazioni (Stet, Telespazio), all’energia (Enel, Eni), e avanti ancora tramite l’IRI sino all’alimentare (Motta, Alemagna, Cirio, ecc.), all’automobilistica (Alfa Romeo che competeva con la Ferrari in Formula 1), alle produzioni degli elettrodomestici, anzi degli “elettroaddomesticati”. Dietro i giganti nazionali, basati anche sul controllo sostanzialmente totale pubblico del credito bancario (BNL, Comit, ecc.), una miriade di piccole, medie e persino grandi aziende locali nei settori dei servizi di igiene pubblica, acqua, gas, ma anche alimentari, sanitari e trasporti. E’ riapparso di recente un messaggio pubblicitario televisivo che magnifica le qualità di un elettrodomestico con la slogan: “è Bosch, è tedesco”. Dello stesso tipo di elettrodomestico anni addietro si diceva “è migliore di quello tedesco, è italiano, è Sangiorgio”, industria pubblica del gruppo Finmeccanica. C’è una risposta alla crisi industriale italiana, certamente non facile e non di breve periodo di attuazione, è quella di un ritorno deciso e “pesante” della gestione pubblica quanto meno nei settori strategici dell’economia, della finanza e dell’industria, a cominciare dalla difesa incondizionata di quanto di “pubblico” esiste ancora, sia a livello nazionale che locale, prima che speculatori privati, nazionali o internazionali, se ne approprino per farlo a pezzi (Alfa Romeo, Montecatini, Telecom e mille altre “splendide” privatizzazioni insegnano).


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Enti locali e servizi

Stop alle “persecuzioni” telefoniche Nasce l’elenco degli abbonati che non vogliono essere “disrtubati” SALVATORE ZAITI

Il 17 novembre 2010 è entrato in vigore il DPR 7 settembre 2010, n. 178 che istituisce il registro pubblico degli abbonati che si oppongono all’utilizzo del proprio numero telefonico per vendite o promozioni commerciali. Il regolamento, di grande attualità e di altrettanta utilità, si pone nel solco di quella legislazione (di ispirazione comunitaria) in materia di tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche. Mentre l’obiettivo merita certamente la massima considerazione, perplessità possono essere sollevate in ordine al suo effettivo conseguimento. Innanzitutto perché il regolamento (e la conseguente iscrizione nel registro delle opposizioni) si applica alle sole numerazioni telefoniche riportate negli elenchi di abbonati; anzi, viene espressamente chiarito che il provvedimento non si applica ai trattamenti di dati aventi origine diversa dagli elenchi di abbonati a disposizione del pubblico e legittimamente raccolti dai titolari presso gli interessati o presso terzi nel rispetto del Codice della privacy. Paradossalmente, quindi, proprio coloro che non hanno consentito al gestore telefonico la pubblicazione del proprio numero, saranno esclusi dal novero dei sog-

getti abilitati ad opporsi a ricevere quella serie di telefonate che la comune esperienza classifica quali invio di materiale pubblicitario o di vendita diretta o per il compimento di ricerche di mercato o di comunicazione commerMa, ciale. tant’è. Veniamo, ora, alle modalità di iscrizione al registro. Ciascun abbonato potrà chiedere l’iscrizione gratuitamente mediante modalità elettronica (sito web del gestore), chiamata telefonica, posta elettronica, lettera raccomandata o fax. L’iscrizione è a tempo indeterminato; cessa solo per revoca da parte dell’interessato e decade automaticamente in caso di cambio dell’intestatario o di cessazione dell’utenza. L’iscrizione dell’abbonato nel registro pubblico è, infatti, riferita unicamente alla numerazione da esso indicata e ad esso intestata e non può estendersi a numerazioni intestate ad altri abbonati. Interessanti sono gli obblighi che fanno carico agli operatori che effettuano trattamenti dati oggetto del regolamento. Questi, quando effettuano chiamate nei confronti degli abbonati, saranno tenuti a garantire la

presentazione dell’identificazione della linea chiamante e a non modificarla. Inoltre, anche in assenza di specifica richiesta dell’interessato, gli operatori, al momento della chiamata, dovranno indicare con precisione agli interessati che i loro dati personali sono stati estratti dagli elenchi di abbonati e dovranno pure fornire le indicazioni utili all’eventuale iscrizione dell’abbonato nel registro delle opposizioni. La concreta realizzazione e il funzionamento del registro dovranno essere garantiti entro novanta giorni dalla data di pubblicazione del regolamento (G.U. n. 256 del 2 novembre 2010). La gestione del registro è a carico del Ministero dello Sviluppo economico il quale potrà procedere ad affidamento a soggetti terzi mediante apposito contratto di servizio.

FOLIGNO DICEMBRE 2010

La concessione della cittadinanza italiana per matrimonio o residenza LORENZO BATTISTI

La cittadinanza italiana può essere concessa, nei casi più ricorrenti, ai cittadini stranieri coniugati con italiani e a cittadini stranieri residenti in Italia. Nella prima ipotesi il richiedente, straniero o apolide, deve esser coniugato con cittadino italiano e risiedere legalmente in Italia da almeno due anni dalla celebrazione del matrimonio, mentre se risiedono all’estero occorre attendere tre anni dalla data del matrimonio. Tali termini sono ridotti della metà in presenza di figli nati o adottati dai coniugi. Al momento dell’adozione del decreto di concessione della cittadinanza non deve essere intervenuto scioglimento, annullamento o cessazione degli effetti civili del matrimonio e non deve sussistere la separazione personale dei coniugi. Nella seconda ipotesi, invece, può essere concessa allo straniero che risiede legalmente da almeno 10 anni nel territorio italiano. Il provvedimento di concessione della cittadinanza è atto altamente discrezionale ed è condizionato all’esistenza di un interesse pubblico che con l’atto stesso si intende raggiungere. I presupposti prescritti dalla legge, infatti, consentono solo di avanzare l’istanza di naturalizzazione, ma non comportano l’automatica concessione della cittadinanza, in quanto al conferimento dello status civitatis italiano è collegata una capacità giuridica spe-

ciale propria del cittadino cui è riconosciuta la pienezza dei diritti civili e politici: una capacità alla quale si ricollegano anche doveri e cui sono speculari determinati obblighi di facere gravanti sullo Stato comunità. Dunque la concessione della cittadinanza italiana rappresenta il frutto di una ponderazione di ogni elemento utile al fine di valutare la sussistenza di un concreto interesse pubblico ad accogliere stabilmente all’interno dello Stato comunità un nuovo componente e dell’attitudine dello stesso ad assumersene anche tutti i doveri ed oneri. La decisione, pertanto, comporta valutazioni ampiamente discrezionali che implicano un delicato bilanciamento di interessi fra l’aspirazione di un residente straniero ad essere pienamente integrato nella comunità nazionale, e l’interesse di quest’ultima ad accogliere come nuovi cittadini solo soggetti in grado di rispettarne le regole, ivi comprese quelle attinenti alla solidarietà sociale, nei termini previsti dalla Costituzione. La sintesi che può trarsi da tali principi è quella per cui l’inserimento dello straniero nella comunità nazionale è legittimo allorquando l’amministrazione ritenga che quest’ultimo possieda ogni requisito atto ad inserirsi in modo duraturo nella comunità e sia detentore di uno status illesae dignitatis morale e civile, nonché di un serio sentimento di italianità che escluda interessi personali e speculati-

vi sottostanti alla concessione dello status di cui trattasi: concessione che costituisce l’effetto della compiuta appartenenza alla comunità nazionale e non causa della stessa. Occorre inoltre considerare che la concessione della cittadinanza è irrevocabile, e che quindi l’Amministrazione, prima di poter concedere allo straniero lo status di cittadino, deve essere assolutamente certa che il richiedente sia pienamente integrato in Italia e sia compiutamente appartenente alla comunità nazionale, atteso che una volta che lo straniero è divenuto cittadino, non può più essere espulso o sottoposto a controlli ove ritenuto pericoloso, e i suoi atti possono avere anche ripercussioni nei rapporti internazionali, in quanto atti commessi da un cittadino italiano nei confronti di soggetti appartenenti a paesi terzi. Pertanto anche il giudizio di pericolosità sociale è ancorato a parametri diversi a seconda se si tratti di uno straniero - passibile di espulsione - o di uno straniero ormai naturalizzato, il quale non può più essere espulso dall’Italia ove venga accertata successivamente la sua pericolosità. Per tali ragioni, tutto il procedimento di concessione della cittadinanza non viene inteso, in nessun caso, come una sorta di diritto per il richiedente che il Paese deve necessariamente e automaticamente riconoscergli ove riscontri la sussistenza di determinati requisiti e l’assenza di fattori ostativi.

94/2009, che esclude l’aggravamento di pena per i cittadini di paesi appartenenti all’Unione Europea, comprova ancor più nitidamente la natura discriminatoria della disposizione in oggetto. Infatti, sotto tale profilo, risulta che la particolare disciplina dell'aggravante di clandestinità fa leva prevalentemente sullo status soggettivo del reo, giacché la circostanza non si applica ai cittadini di Stati dell'Unione europea neppure nella più grave ipotesi dell'inottemperanza ad un provvedimento di allontanamento.

La Corte conclude affermando che la ratio sostanziale posta a base della norma censurata è una presunzione generale ed assoluta di maggiore pericolosità dell'immigrato irregolare, che identifica un tipo di autore assoggettato, sempre e comunque, ad un più severo trattamento sanzionatorio, qualunque sia la legge penale violata: pertanto, l’art. 61, n. 11bis, c.p., deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo per violazione degli artt. 3, comma 1, 25, comma 2 e 27, comma 1 e 3 della Costituzione.

L’aggravante di clandestinità è illegittima La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 249/2010, censura l’art. 61, n. 11bis del codice penale perché non conforme ad alcuni principi espressi nella Carta fondamentale. ELISA BEDORI

Due Tribunali hanno sollevato questione di legittimità costituzionale relativamente all’art. 61, n. 11bis del codice penale, introdotto con il decreto legge 92/2008, che prevede la circostanza aggravante comune per i fatti commessi dal colpevole «mentre si trova illegalmente sul territorio nazionale». Tale norma è stata ritenuta, dai giudici rimettenti, difforme nei confronti dell’ articolo 3, dell’articolo 25, comma 2 e dell’articolo 27, commi 1 e 3 della Costituzione sotto diversi profili. Da una parte, la citata aggravante violerebbe il principio di personalità della responsabilità penale, in quanto, connette un au-

mento di pena al «tipo d'autore» e non già alla pericolosità concretamente manifestata dall'interessato. L'aumento di pena non dipenderebbe, quindi, né dalla maggiore gravità del reato né dalla maggiore pericolosità dell'autore, cioè dai fattori che segnano altre circostanze riguardanti la persona del colpevole, come la recidiva o la condizione di latitanza. In sostanza, per i due Tribunali risulterebbe irrazionale la presunzione di maggior pericolosità che la norma collega alla “illegalità” della presenza del reo nel territorio nazionale, posto che non vi sarebbe alcuna relazione automatica tra l'adempimento degli obblighi concernenti l'immigrazione ed il compimento o non di un determinato reato. D’altra parte, l’aggravante

in esame comporterebbe, per i giudici rimettenti, un difetto di proporzione nel trattamento punitivo, tanto da privare la pena della sua funzione rieducativa, non potendo il condannato percepirla come strumento utile al suo reinserimento nella società, ma solo ed appunto come una punizione eccedente il grado della propria responsabilità. Adita in merito, la Corte Costituzionale in data 8 Luglio 2010 ha pronunciato sentenza dichiarativa dell’illegittimità costituzionale dell’art. 61, n. 11bis, c.p., “dal momento che la qualità di immigrato irregolare, che si acquista con l’ingresso illegale nel territorio italiano o con il trattenimento dopo la scadenza del titolo per il soggiorno, dovuta anche a colposa mancata rinnovazione dello stesso entro i

termini stabiliti, diventa uno stigma che funge da premessa ad un trattamento penalistico differenziato del soggetto.” La Consulta, nell’affrontare la questione di legittimità costituzionale sollevata, parte dalla premessa concernente i diritti inviolabili della persona, il cui rispetto rigoroso implica l’illegittimità di trattamenti penali più severi, radicati in qualità personali dei soggetti derivanti dal compimento di atti del tutto estranei al fatto di reato (C. Cost., sent. 354/2002). In tal modo una qualità, come quella di clandestino, diviene il segno di riconoscimento negativo, al quale si può ricorrere per punire più aspramente un soggetto. Inoltre, la Corte Costituzionale rileva come l’art. 1, comma 1, della legge


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Salute

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Epatite: nuove prospettive Eco-color doppler: una terapeutiche innovazionetecnologica PARIDE TRAMPETTI Da circa 10 anni la terapia dell'epatite C è affidata al PEGINTERFERONE (interferone peghilato, cioè a lento assorbimento) più la RIBAVIRINA. Questa associazione di farmaci ha portato un netto miglioramento della risposta alla terapia, tanto che per l'epatite C, attualmente, per i genotipi favorevoli (G2-G3) vi è una risposta sostenuta (scomparsa permanente del virus) di circa il 70-80%. Però per i genotipi difficili, cioè meno risponsivi alla terapia (G1-G4), questo tasso di risposta si abbassa di molto (circa 50%) e in particolari condizioni (fibrosi avanzata, alta carica virale, sovrappeso, ecc) questo si riduce ulteriormente. Per questo motivo molte case farmaceutiche da anni hanno intrapreso sperimentazioni, con l'impiego di ingenti investimenti, per sintetizzare nuovi farmaci che potessero, soprattutto nei pazienti difficili, aumentare la risposta alla terapia. Molti sono i farmaci che sono stati sintetizzati, ma molto pochi sono stati

quelli che hanno superato l'ostacolo della sperimentazione sia su animali sia sull'uomo. Nel prossimo anno dovrebbero entrare in commercio due nuovi farmaci della famiglia “degli inibitori delle proteasi”, TELAPREVIR e BOCEPREVIR. Tali farmaci saranno associati alla terapia già in uso per l'epatite C (peginterferone + ribavirina), aumentandone l'efficacia, ma anche gli effetti collaterali già pesanti e il costo, già cospicuo. Ma ecco la sorpresa. E' recentemente uscito uno studio israeliano, poi confermato da altri lavori internazionali, e italiani, che potrebbe rivoluzionare la terapia dell'epatite C. Questo studio è partito dal presupposto che gli individui di colore (africani) rispondono meno alla terapia. E' stato visto che questa ridotta risposta era correlata a bassi livelli di vitamina D nel sangue. Evidenze successive sono giunte alla conclusione che pazienti che presentavano livelli basi di vitamina D rispondevano meno alla terapia, a differenza di coloro che avevano alti livelli di vitamina.

Sono iniziati studi su nuovi pazienti a cui veniva somministrata insieme alla terapia standard, vitamina D; i primi dati sembrano indicare una netta miglior risposta alla terapia per i pazienti che assumono Vitamina D. Concludendo: 1) la vitamina D non ha effetti collaterali; 2) ha un costo irrisorio rispetto agli altri farmaci antivirali. Speriamo che i lavori internazionali in corso confermino i dati preliminari. Sarebbe proprio una bella rivoluzione.

GIANCARLO MARTINI L’ecografia è un esame diagnostico che utilizza gli Ultrasuoni (onde sonore ad alta frequenza che non possono essere udite dall’orecchio umano) tali onde sono riflesse e deviate dalle varie strutture del corpo umano e tali modificazioni delle onde, interpretate da calcolatori, permettono di visualizzate su un monitor televisivo le strutture in studio. L'eco-color Doppler, la più recente innovazione tecnologica nella diagnostica con ultrasuoni, visualizza in modo diMihai Bara Lo specchio del labirinto

retto e in tempo reale il flusso all'interno dei vasi codificandolo a colori. Quando necessario indirizza la valutazione quantitativa del flusso permettendo il calcolo della velocità dei globuli rossi o di una serie di indici indiretti, che esprimono le caratteristiche di resistenza al flusso dei diversi territori vascolari. Le metodiche eco-color Doppler permettono di esaminare con elevata accuratezza i vasi arteriosi che originano dall'aorta per afferire all'encefalo, agli organi addominali, agli arti. Rilevano ogni tipo di patologia vascolare documentando l'entità delle stenosi arteriose e la pervietà del circolo venoso sia a livello dell'addome che degli arti. Consente all'Operatore di documentare le alterazioni delle pareti vasali arteriose, quali depositi lipidici o placche aterosclerotiche stenosanti e a rischio emboligeno. Individua anomalie di spessore ed elasticità delle pareti dei vasi venosi (trombosi venose superficiali e profonde). L’esame non è né doloroso né fastidioso. Il medico che svolge l’esame, spalma un gel denso, che dà una lieve sensazione di freddo, e appoggia la sonda, facendo una certa pressione, e muovendola ve-

de le immagini delle strutture od organi riprodotte su un monitor; alcune delle immagini saranno poi fotografate. La durata dell’esame ecografico, dipende dal numero di strutture da esaminare, ma varia tra pochi minuti a mezz’ora, gli esami più lunghi si hanno nello studio di patologie complesse come per la stenosi delle arterie renali. Terminato l’esame non è necessaria nessuna precauzione, il paziente può riprendere le sue normali abitudini. L’indagine non si può fare nel caso di pazienti assolutamente non collaboranti, nel caso di apparecchi gessati o di bendaggi che non si possono togliere, e per lo studio dell'addome se vi è una quantità eccessiva di gas intestinale l’esame avrà dei risultati molto incompleti, se nello studio dell’addome inferiore la vescica è poco piena, l’esame è impossibile. Da ricordare che l'ecografia dimostra solo delle alterazioni dei tessuti, non è un rilevatore di dolore, e solo in rari casi è in grado di studiare le malattie dello stomaco e dell'intestino, inoltre non può assolutamente studiare i polmoni, tranne i versamenti pleurici, per la presenza di aria.

Malattie invernali: le piante Il fumo e lo sport per curarle naturalmente LEONARDO MERCURI

FRANCESCA VENTURA L’abbassamento della temperatura, l’aumento dell’umidità ambientale, la minor disponibilità di luce e l’essere costretti a soggiornare per lunghi periodi di tempo in luoghi chiusi, può determinare l’insorgenza di alcuni disturbi, soprattutto a carico dell’apparato respiratorio, caratteristici del periodo invernale. L’aria fredda e secca può provocare microlesioni alle mucose delle prime vie aeree, rendendole più vulnerabili con la conseguente insorgenza dei disturbi stagionali più diffusi quali raffreddori, mal di gola, tosse, riniti oltre ad altri fastidiosi malesseri spesso concomitanti quali debolezza, cefalee, reumatismi. Nei confronti di questi stati debilitanti, si ricorre soprattutto alla terapia convenzionale mediante l’ausilio di farmaci antipiretici (per combattere lo stato febbrile), antidolorifici (per alleviare la sintomatologia dolorosa), antinfiammatori e/o decongestionanti (per ostacolare l’eccessiva produzione di secrezioni nasali) e sedativi della tosse o mucolitici.

Tuttavia, recentemente si è fatta strada una valida alternativa all’uso di farmaci di sintesi, dando largo spazio a terapie alternative come quella omeopatica e fitoterapica che risultano efficaci, ben tollerate anche dai bambini e sicure, non creando, nella maggior parte dei casi, interazioni con i farmaci convenzionali. Normalmente si conside-

rano tre grandi classi di intervento: - preventivo, basato sull’uso di piante di sostegno al sistema immunitario (Echinacea, Astragalo etc.) ed antisettici (Propoli, Mirra etc.). Lo scopo in questo caso è evitare che l’agente patogeno arrivi alla fase di replicazione, preparando l’organismo ad una tempestiva risposta; - trattamento sintomatico dei disturbi delle mucose (naso, faringe, bronchi) che utilizza estratti dotati di at-

tività anticatarrale, espettorante e antinfiammatoria topica, derivati da Timo, Piantaggine, Altea, Grindelia, Scutellaria, contenenti principi attivi ad azione emolliente e balsamica; - rimedi utili per modulare la risposta fisiologica complessiva dell’organismo ai sintomi già sopra elencati. Ovvero estratti fitoterapici di sostegno al sistema immunitario, ma soprattutto capaci di attenuare il processo infiammatorio e febbrile già in atto. A questo gruppo appartengono Sambuco, Spirea e Acerola, fonti naturali rispettivamente di salicilati e vitamina C. Questi rimedi sono disponibili in diverse formulazioni (estratti fluidi, tinture madri, tavolette orosolubili, sciroppi, spray orali) per soddisfare le esigenze individuali. Concludendo si può affermare che l’uso di prodotti fitoterapici, non solo riveste una valida alternativa alle terapie convenzionali, ma potrebbe agire sinergicamente con queste ultime limitando la quantità di principi attivi di sintesi da assumere e garantendo una maggiore tollerabilità dell’organismo.

Dalla inchiesta più recente (Doxa 2008) risulta che fuma il 22% della popolazione italiana e il 20% dei ragazzi tra i 15 e i 24 anni. La percentuale di italiani che praticano uno sport è quasi sovrapponibile, ma solo pochi sportivi fumano e pochi fumatori riescono a fare sport. Difficile in queste statistiche capire quanto fuma il singolo individuo o quante ore passa a fare sport il ragazzo della porta accanto: sembra comunque che vi sia un bivio, a un certo punto della vita, per cui c'è chi sceglie il pacchetto di sigarette e chi le scarpette chiodate. Chi sceglie lo sport lo fa per passione, per mantenersi in forma, per divertimento. La mancanza di tempo, uno scarso interesse, la pigrizia sono le giustificazioni di che si lascia andare a una vita sedentaria che di solito è il primo passo verso l'obesità e il fumo. Chi fuma lo fa per placare l'ansia e lo stress, controllare il peso, darsi un'aria da adulto. Spesso per questo vizio si abbandona l'attività fisica senza sapere che lo sport ha gli stessi effetti del fumo, ossia stimola gli stessi mediatori del benessere che sono attivati dalla nicotina. Per questa caratteristica lo sport è l'antidoto più efficace per resistere alle crisi di astinenza. Infatti consente di controllare il peso corporeo aumentando l'efficienza muscolo scheletrica, diminuisce lo stress e potenzia l'autostima

e la sicurezza. Lo sportivo è un modello per gli altri giovani, il fumatore viene sempre più considerato uno sfigato che non riesce a controllarsi... veramente la corsa è l'ultima cosa che interessa i medici che devono curare le malattie provocate dal fumo. Però è bene sapere che il tabacco non solo uccide lentamente e in mille modi diversi, ma danneggia anche le capacità sportive. La nicotina, che determina l’aroma del tabacco e che è responsabile della dipendenza del fumatore, aggredisce soprattutto l’apparato cardiocircolatorio, provocando una riduzione delle dimensioni dei vasi sanguigni periferici e causando l’aumento della frequenza cardiaca, della pressione arteriosa, dell’eccitabilità del cuore e quindi dell’incidenza di cardiopatie ischemiche. Tanto per capirci, l’allenamento (soprattutto quello delle discipline aerobiche) provoca esattamente l’effetto opposto. Certo, se ami lo sport e sogni

di diventare un campione, ricorda che… chi fuma non vince, fumo e sport sono inconciliabili, per due grandi ordini di motivi. Il primo motivo è che il fumo altera pesantemente ogni performance sportiva; basta fare un test della corsa per verificare. Test della corsa: si fa correre liberamente per 12 minuti un giovane e si misura la distanza percorsa; un non fumatore in 12 minuti percorre in media 2613 metri, un fumatore moderato (1-5 sigarette al giorno) percorre 95 metri in meno, un fumatore medio (fino venti sigarette) 242 metri in meno, un fumatore pesante (più di venti sigarette) 360 metri in meno. Il secondo motivo è che l’esercizio fisico non protegge in alcun modo dal rischio che un fumatore abituale ha di ammalarsi di cancro al polmone. Quindi prima di prendere una sigaretta sulla bocca ricordiamoci che in fumo oltre al tabacco se ne stanno andando anche molti anni della nostra vita.


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LA SOCIETÀ, PER CERTI “VERSI…” …CHE POI NON SI DICA CHE IL POETA È UNA PERSONA TRISTE… SILVIA PALLARACCI “In cinquant'anni molte cose sono profondamente cambiate, la poesia è cambiata, ma non è cambiato il compito dei poeti, quello di disegnare il profilo ideologico di un’epoca.” Edoardo Sanguinetti (Genova1930-2010) A pochi mesi dalla sua scomparsa, voglio ricordare un uomo che, nella “globalità” del suo impegno, si è costantemente mosso fuori dagli schemi, in una società sempre più omologata e appiattita dal crollo generale di qualsiasi valore ed ideologia. Edoardo Sanguineti è stato un intellettuale eclettico; poeta, romanziere, critico e teorico letterario, autore teatrale, uomo politico di rigorosa moralità (sposò le ideologie del Pci e fu parlamentare dal 1979 al 1983), tenace fautore del progresso e della sperimentazione, soprattutto in ambito letterario, convinto che l’unità di un popolo, tra le altre cose, dovesse risiedere anche nella “socializzazione dei beni linguistici”. A tal proposito contribuì alla nascita del celebre Gruppo 63, movimento di Neoavanguardia a cui aderirono intellettuali quali Umberto Eco, Antonio Porta, Giorgio Manganelli, Luigi Malerba ed altri, che in letteratura rappresentò il fenomeno culturale più fruttuoso dell’Italia del dopoguerra. Le istanze del movimento si contrapponevano alla “conservazione culturale” della classe intellettuale uscita dalla guerra, che esercitava il controllo dell’industria letteraria, delle case editrici e delle università; i membri del Gruppo 63 proclamavano l’esigenza di un nuovo stile di vita e di pensiero,in contrasto a quei conservatori di valori di un’Italia contadina e paesana.

Non si metteva in dubbio il talento di certi autori (Calvino, Cassola, Moravia, Vittorini, Bassani), ma si imputava all’establishment letterario di non essersi accorto della nascita dei nuovi linguaggi del giornalismo, della pubblicità e della tv, del conseguente sviluppo della lingua italiana, della rapida crescita della piccola borghesia. Il Gruppo 63 assumeva posizioni sperimentali e di rottura rispetto all’italiano medio, ricercando un linguaggio orientato allo scardinamento di ogni struttura sintattica e semantica. Sanguineti, il poeta novissimo e “difficile”, rappresentò l’anima di questo movimento. La parola era per lui materia viva da lavorare e giocava con il linguaggio quotidiano tanto da derivarne una parodia onirica del consumismo, dei rapporti uomo-donna, di quelli tra individuo e istituzioni nella soffocante società liberale. (Laborintus del 1956, la sua prima raccolta poetica, è un testo fondamentale dello sperimentalismo degli anni ’60). La sua scrittura era qualcosa di nuovo e apriva soluzioni sconosciute alla poesia fino ad allora. L’avanguardia esprimeva “una verità generale di

“(due giorni più tardi) storditi ancora, quasi inerti: e pensare (dissi); che noi (quasi piangendo, dissi); e volevo dire, ma quasi mi soffocava, davvero, il pianto; volevo dire: con un amore come questo (noi): un giorno (noi); (e nella piazza strepitava la banda; e la stanza era in una strana penombra); (noi) dobbiamo morire” (da “Purgatorio de l’Inferno”)

dai vangeli ufficiali, non da quelli apocrifi, qualcuno ammoniva: “Gesù entrò poi nel tempio e scacciò tutti quelli che vi trovò a comprare e a vendere; rovesciò i tavoli dei cambiavalute e le sedie dei venditori di colombe e disse loro: la mia casa sarà chiamata casa di preghiera ma voi ne fate una spelonca di ladri". Eppure la città pullula di mercanti, di speculatori, di strilloni, di pubblicità, di market gestiti direttamente da uomini in tonaca, che abbindolano credenti umili servitori del signore, per vendere souvenir con l’effige del santo impressa su qualsivoglia porcheria. Dov’è la spiritualità, dov’è l’intimità del contatto, dov’è la sacralità? Dove sono i tavoli rovesciati? Chissà, forse con le recenti aperture del santo padre, nel prossimo futuro troveremo anche il nuovo gadget ufficiale; il preservativo con l’effige del santo; anche quello, in fondo è un gran bel business! Anche se qualcuno dice che l’AIDS non si guarisce con i condoms. E c’è da giurargli, non se lo lasceranno scappare. Bartolo

DICEMBRE 2010

“FRIGIDAIRE” 30 ANNI DOPO – THE SUBURBIAN MIRACLE

carattere sociale” e non solo “una verità particolare di carattere estetico”; cambiare il linguaggio, minarlo, farlo esplodere, poteva “mettere in causa i rapporti sociali” e, quindi, far saltare per aria la società neocapitalista. Non si può negare difatti che ogni parola implica una visione del mondo, una posizione di coscienza. E alla verità non s’arriva che per tramite d’un linguaggio autentico e vivo. Quando in un’intervista gli fu chiesto “Quale è il disordine da cui noi oggi dobbiamo uscire? Quali modelli da seguire?” rispose: “La poesia deve rifiutare i modelli. Si continua a tornare all’ordine quando invece bisogna tornare a quel disordine”. Uomo coraggioso, che cercò di cambiare il mondo a colpi d’acceleratore linguistico, uomo di certezze, che non smise mai di seminare dubbi, Edoardo Sanguineti ci lascia l’insostituibile eredità culturale di un pensiero che cercò di fare da ponte tra passato e futuro, nella speranza di valicare“l’impossibilità di comunicare nella società contemporanea dei consumi”. A quel disordine a cui ritornare per rifiutare i modelli imposti, a noi piace dare il nome di vita. Che è poesia.

SAMANTHA PASSERI Se uno cresce in un paesino di provincia, non è che trova molti sogni a cui attaccarsi. Non c'è molto da fare, se non vivere una monotona realtà cercando di uniformarsi il più in fretta possibile alla piccola massa di uomini e donne, vecchi e giovani, che hanno rappresentato il tuo passato, sono il tuo presente, accompagneranno il tuo futuro. Però, statene certi, a volte i miracoli accadono anche in periferia. Un intervista. Poche frasi. Non importa che le mie tavole siano giudicate belle o brutte da qualcuno, ma che quel qualcuno, leggendole, ad un dato istante possa sentire il suo cuore battere più o meno forte, le ghiandole secernere più o meno liquido. Quando incontri Andrea Pazienza così, non può che rimanerti dentro per tutta la vita. Ma come riuscire a far rivivere questo concetto di arte? E' più o meno con questa idea in testa che si comincia ad acquistare Frigidaire, verso i 20 anni scarsamente compiuti. Cari lettori, molti di voi, arrivati a questo punto, si staranno chiedendo se Frigidaire sia: una medicina, una droga, un maglione. Se volete scoprire quale di queste tre cose sia ascoltate, per una volta, il mio consiglio: “Foligno, poi Bastardo, frazione di pianura del Comune di Giano, di là verso il vecchio borgo di Giano in collina. Proseguire poi oltre il borgo sulla strada del Monte Martano. A sinistra, circa duecento metri dopo il borgo, c’è il cancello d’ingresso di Frigolandia.” Frigidaire. Frigolandia. ?

Frigolandia è la terra di Frigidaire, che come spero avrete ormai scoperto è un mensile popolare d'élite che a novembre ha compiuto i suoi ben portati 30 anni. E' realmente la terra di Frigidaire eh. Lo so vi state ingarbugliando con i pensieri e a dirla tutta pure io con le parole. Insomma: Frigidaire è un mensile popolare d'élite che esce ogni mese in edicola, costa 3 euro (e sono spesi bene e fidatevi che se lo dice una che non ha mai un soldo bucato in saccoccia ci potete credere) e come se

non bastasse da 30 anni continua a dare natali, pasque e giorni del ringraziamento alle migliori menti che il nostro italico Paese possieda (Andrea Pazienza, Filippo Scozzari, Tanino Liberatore, Stefano Tamburini su tutti) (aspettate voglio aggiungerci anche Ugo Delucchi). Frigolandia è la repubblica della fantasia. Un accampamento nomade sulle vie del sogno, come la definisce il suo presidente Vincenzo Sparagna, nonché fondatore insieme a due delle sopracitate menti, di Frigidaire. E' una repubblica marinara di montagna. Che sta in pratica a uno starnuto dai posti più

belli dell'Umbria, precisamente a Giano. Una repubblica dotata persino di Costituzione. E anche della possibilità di fare un passaporto. Lo so, lo so. Non c'avete capito nulla. Tranquilli lettori. Tranquilli. E' che si stanno aprendo le vostre menti e inizialmente si hanno di questi effetti da capogiro e uno si sente smarrito e perso e mio Dio che sta succedendo? Allora facciamo così: chiudiamo qua quest'articolo, per ora. Tralasciamo di raccontare del paesaggio bellissimo che si gode dalle finestre di Frigolandia, delle cene stupende, del caffè caldo di Eleonora, delle spiegazioni e delucidazioni di Maila su Ranxerox, del sorriso di Vincenzo che t'accoglie come fossi un ospite atteso più o meno da un triliardo di anni oppure un amico che finalmente si è deciso a tornare a casa. Evitiamo indignazioni inutili, raccontando di come la giunta comunale di Giano dell'Umbria abbia tentato di sfrattare ingiustamente e ignobilmente Frigolandia dal territorio, una giunta di sinistra per altro, ma di quella sinistra malata che oggi sta ammorbando l'Italia. Per non far arrabbiare i cittadini di Giano non diremo nemmeno che la giunta comunale ha perso questa causa di sfratto e ora dovrà sprecare soldi che sarebbero potuti servire per la gestione del territorio, per pagare le spese del giudizio. Nelle prossime volte prometto di tornare a raccontarvi di Pazienza e di tutte le menti di frigidaeriana memoria che conosco. Intanto avviate l'auto. Vi aspetto ai cancelli di Frigolandia. http://www.frigolandia.eu/

LOTIUM A ROMA IL BINOMIO VITA CONTEMPLATIVA - AZIONE AI GIORNI NOSTRI

UOMINI IN TERRA, MERCANTI IN PARADISO IDEE DI BUSINESS IN TEMPI DI CRISI Ci si arriva dopo mille tornanti a salire incrociando colonne di autobus targati da ogni parte d’Italia e non solo; il mare del Gargano, con le sue luci, è lontano. La cartellonistica stradale indica padri, frati, santi, madonne vicino a market, souvenir, pizzeria, tavola calda, macelleria…si macelleria dei santi!. Il paesaggio è brullo, spoglio, triste. In alto, a ridosso del costone roccioso, a protezione della città un’enorme cattedrale (del deserto?) bianca, gigante, maestosa. È il famigerato ospedale Casa Sollievo della Sofferenza. Appesa alla facciata principale, come usa in Iran, in Libia, ed in qualche altra democrazia sparsa qua è là per il pianeta, la gigantografia di padre pio. Icona che troveremo poi nell’ordine: nei tovaglioli, nella carta igienica, nelle bottiglie dell’acqua, nel sapone dell’albergo, nell’ombrellone del bar ecc. ecc. Signori questa è San Giovanni Rotondo, un bazar della cristianità, una piccola Lourdes, una miniera di denari, un tempio a cielo aperto trasformato in mercato; eppure

FOLIGNO

Pensieri e Parole

ARIANNA BOASSO La vita ci costringe a ritmi frenetici, la fretta ci divora, e a volte ci si dimentica di noi stessi, della nostra interiorità. Nella cultura romana era frequente il ricorso al cosiddetto “otium”, che nulla ha a che fare con il moderno significato di ozio, inteso come inattività, pigrizia, inerzia, sicuramente in un’accezione negativa. Al contrario, il termine “otium” indicava il tempo lontano dai “negotia”, ovvero dagli affari e dalla vita politica, dedito all’attività contemplativa, alla speculazione intellettuale; era una sorta di dolce riposo della mente, uno spazio privato, che atteneva alla domus, alla dimensione privata del cittadino. Otium come disimpegno politico, distacco dallo Stato, e riscoperta della propria individualità, spazio riservato allo studio, alla cultura, alle arti, al nutrimento e alla rigenerazione del proprio spirito. In particolare Seneca (4 a. C.65 d.C.), nel suo libro “De otio” (“La vita contemplati-

va”), dedicato ad Anneo Sereno, afferma la necessità dell’otium come spazio privato, perché la vita contemplativa migliora l’uomo, che a sua volta sarà migliore anche per gli altri e più facilmente saprà rendersi utile per la propria

mezzo per salvarci da essi, isoliamoci: già questo solo fatto ci renderà migliori. D'altronde chi c'impedisce, pur vivendo appartati, di avvicinare uomini virtuosi e ricavarne un esempio su cui modellare la nostra esistenza? E

E. Bernard – Madeleine nel Bois d’ Amour comunità. Afferma Seneca “ Tutti sono d'accordo nel ritenere che, vivendo in società, è difficile essere immuni dai vizi, e allora, se non abbiamo altro

ciò non è possibile se non in una vita tranquilla, lontana dalle pubbliche faccende: solo così potremo mantenere fermi i nostri propositi, non avendo accanto nessuno che,

sollecitato dalla grande massa che gli sta intorno, possa distoglierci dalla nostra decisione, ancora instabile, all'inizio, e perciò facile a sgretolarsi.” Seneca , in questa opera,risolve il binomio azione-vita contemplativa a favore della seconda, probabilmente influenzato dalle vicende personali; il saggio deve evitare i turbamenti dello Stato, deve dedicarsi a se stesso perché “se io passerò in rassegna tutti gli Stati, uno per uno, non ne troverò nessuno, che possa accettare un saggio o che il saggio possa sopportare. E se non si trova quello Stato che noi immaginiamo, comincia ad essere necessaria per tutti la vita appartata”. E allora se anche noi, in alcuni momenti, pensiamo che il nostro Stato sia pieno di vizi, insopportabile, allora ritiriamoci nell’otium; se non ce la facciamo più a correre da una parte all’altra dietro alle nostre quotidiane attività, allora dedichiamoci al nostro spirito e riposiamo le nostre anime affinchè si possa trarre dall’otium un miglioramento complessivo.


FOLIGNO DICEMBRE 2010

Scuola a cura di Maura Donati

A scuola si fa economia. Ma non nel senso che si studiano le materie di economia, bensì nel senso che si procede con delle sforbiciate progressive a tutte le macroaree dell’insegnamento pubblico. Si fa economia sui docenti, sulle classi, sul personale tecnico amministrativo, sui corsi serali, sulle insegnanti di sostegno, sulle risorse per il materiale didattico, sui plessi scolastici e sulle classi di concorso. Insomma, si taglia su tutto. D’altronde, la legge numero 133 del 2008 elenca con chiarezza la riduzione dei fondi destinata alla scuola pubblica nel corso dei tre anni scolastici 2009 – 2012. Si parla di 8 milioni di euro in meno così distribuiti: 456 milioni di euro nell’anno 2009, 1.650 milioni di euro nell’anno 2010, 2.538 milioni di euro nell’anno 2011, 3.188 milioni di euro nel 2012. Soldi che – secondo i rappresentanti dei Cobas – vengono tolti ad una scuola già in grave crisi di sopravvivenza rispetto invece alle scuole private che continuano a crescere grazie ai fondi pubblici. Ma a farne le spese di questo cambiamento di rotta chi è? Non una categoria ma la società intera e in primo luogo i giovani che si trovano all’interno di classi superaffollate, dove mancano i servizi di base, un numero di docenti tale da assicurare la continuità didattica e un decadimento improvviso e ingiusto di valori positivi legati al concetto di pubblico insegnamento. Ma a farne le spese sono anche i genitori che non hanno più (o, non avranno ben presto) la scuola nel paese vicino ma a distanze enormemente più gravose sia in termini di tempo che di spesa e di gestione della sicurezza per i figli. O quei genitori che non potranno permettersi di pagare la retta di una scuola privata e, usufruendo di una scuola pubblica, sapranno bene di indirizzare il proprio figlio verso una realtà di insegnamento che non ha solide basi perché non è sorretta economicamente a sufficienza dallo stato. Ma a pagare le conseguenze dei

POVERA SCUOLA PUBBLICA

GIOIETTA VOLPI

I giovani di Foligno ci sono e fanno sentire la loro voce

Tutto è nato qualche settimana fa in un’aula del Liceo Classico Frezzi di Foligno, quando durante la lezione di Greco - la lezione riguardava Tucidide – il discorso scivola spontaneamente su argomenti della nostra attualità. Qualche anno fa, spiega la professoressa, Paolo Rossi fu escluso da un programma della Rai ( Domenica In) in quanto il testo sulla democrazia che avrebbe voluto leggere fu giudicato troppo forte. Il testo in questione, scritto 2500 anni fa, è il celebre “Monologo di Pericle”, brano di Tucidide tratto da “La guerra del Peloponneso”; questi i passaggi incriminati. "Qui ad Atene noi facciamo così. Il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi per questo è detto democrazia. Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private. Ma in nessun caso si occupa delle pubbliche faccende per risolvere le sue questioni

tagli alla scuola pubblica sarà soprattutto la società di domani, divisa tra una piccola fetta di adulti che avranno ricevuto un ottimo insegnamento in scuole private, e la maggioranza delle persone che saprà (o forse no!) di aver perso l’occasione della vita per imparare e conoscere, crescere. Per loro, gli insegnanti avranno dato il massimo ottenendo però solo il minimo viste le condizioni in cui versa la scuola pubblica. Così, la società di domani avrà pochi figli di serie A e tanti figli di serie B e non è difficile immaginare chi riuscirà a “sfondare” nei posti di comando e di potere mantenendo questa condizione di disparità che non è degna di una repubblica democratica. Per fortuna, però, a questo quadro desolante si può ancora rimediare e i professori, i ricercatori e gli studenti lo sanno bene. Non a caso continuano a scendere in piaz-

za per manifestare attivamente con proposte concrete contro i tagli alla scuola pubblica, ma anche dichiarando di voler bloccare “ciò che non è didattica o obbligo contrattuale”: “CONTRO l’immiserimento della scuola pubblica, i tagli di posti di lavoro, classi, materie, orario, l’espulsione dei precari dalla scuola, il blocco dei contratti e degli scatti di anzianità, le cattedre oltre l’orario contrattuale, la ‘riforma’ delle superiori, l’aumento degli alunni/e per classe, la cancellazione dei diritti dei diversamente abili – scrivono i Cobas per la campagna contro il collaborazionismo e le illegalità nelle scuole - BLOCCHIAMO i progetti e le attività aggiuntive, con distribuzione egualitaria del Fondo di istituto, le attività di coordinamento, i viaggi di istruzione e le visite guidate, le cattedre oltre l’orario contrattuale, l’accettazione in aula di alunni/e di altre classi”.

Su questa linea è stata organizzata una delle ultime manifestazioni dei Cobas per lo scorso 30 novembre a Roma contro l’ulteriore finanziamento alle scuole private e la cancellazione dei fondi per i libri di testo gratuiti alle elementari. “La legge finanziaria per il 2011 (ora denominata “legge di stabilità”) prosegue la strage di legalità nella scuola pubblica – si legge in una nota pubblicata sul sito dei Cobas - utilizzando la breccia aperta nel 2000 da Berlinguer e dal centrosinistra con la “legge di parità”, la finanziaria aumenta di 245 milioni le risorse alle scuole private che raggiungono quindi così i 526 milioni annui di finanziamento statali. In 10 anni le risorse statali per le private sono quasi raddoppiate rispetto al finanziamento del 2001 che era di 323 milioni. Questo, mentre la ‘controriforma’ Gelmini taglia ogni tipo di risorse alla scuola

statale, diminuendo drasticamente ore di lezione, materie, insegnanti, Ata, scuole, classi ed espellendo in massa i precari, con il taglio triennale di 140 mila posti di lavoro docente ed Ata”. Una posizione chiara quella dei Comitati di base della scuola: quando si parla di attacchi alla stabilità della scuola pubblica non si guarda né a destra né a sinistra e, in questo senso, i dati parlano da soli (con riferimento alle ultime finanziarie del centrodestra e del centrosinistra): “stanziamento per il pagamento delle supplenze sceso del 72% in 6 anni, per il funzionamento amministrativo e didattico si è passati da 823 milioni a 350 in tre anni, le risorse per l’aggiornamento del personale si sono ridotti dai 33 milioni agli attuali 8 milioni, meno di 2 euro a testa l’anno. Così, questo anno scolastico lo Stato spenderà per ogni studente (900 mila) delle scuole pri-

Giovedì 25 novembre i ragazzi della città hanno organizzato una pubblica assemblea per protestare contro l’informazione mediata private… ci è stato insegnato a rispettare i magistrati e c'è stato insegnato a rispettare le leggi, anche quelle leggi non scritte la cui sanzione risiede soltanto nell'universale sentimento di ciò che è giusto e di buon senso. La nostra città è aperta ed è per questo che noi non cacciamo mai uno straniero" . I ragazzi rimangono toccati, colgono il profondo legame che passa tra le parole dello storico greco e la situazione di profondo malessere che tocca la nostra Democrazia oggi. La discussione si anima, le riflessioni si rincorrono nel corso dei giorni, attraversano i corridoi della scuola… I ragazzi decidono di far sentire la loro voce, di far capire che non tutti condividono la situazione preoccupante in cui si trova la libertà di informazione; si sono informati, si sono indigna-

Foto di Giulia Pallucchi ti di fronte alle notizie “rivedute e corrette” mandate in onda da vari programmi televisivi ed infine hanno proclamato l’assemblea pubblica del 25 Novembre, che si è tenuta agli Orti

Orfini. Scopo: coinvolgere più giovani possibile, soprattutto far vedere che anche da una piccola realtà possono partire messaggi importanti, non è vero che i giovani di oggi non valgono

niente, che non hanno più sogni ed ideali. La manifestazione è stata molto articolata, si sono succeduti tanti interventi interessanti, che hanno riguardato naturalmente l’informazione in

131 vate 580 euro mentre per gli 8 milioni di studenti della scuola pubblica si arriva a 75 euro sommando spese di funzionamento e per le supplenze”. Inoltre “come se non bastasse, la Legge di Stabilità taglia 103 milioni del bilancio del ministero, finora serviti per la gratuità dei libri di testo della scuola elementare. Dopo i lavori nelle Commissioni parlamentari, questi soldi sono passati in un capitolo di bilancio Miur (di 350 milioni) denominato ‘interventi di carattere sociale’ destinato anche al pagamento di 27.000 Lsu (Lavoratori Socialmente Utili) che garantiscono la pulizia in 3.500 scuole. Sarà un futuro decreto del Presidente del Consiglio a decidere la destinazione dello stanziamento che prevedibilmente cancellerà definitivamente i libri gratuiti visto che per i soli Lsu nel 2010 si sono spesi 370 milioni. Se in Aula dovesse passare il testo delle Commissioni, la finanziaria cancellerebbe per sempre la voce di bilancio destinata specificatamente all’acquisto dei libri per i bambini delle elementari”. E’ naturale che i lavoratori socialmente utili debbano essere stipendiati ma è altrettanto giusto che in un paese come l’Italia dove il diritto all’istruzione viene difeso e tutelato, le famiglie dei bambini che iniziano il proprio percorso di studi di base nelle scuole dell’obbligo possano contare sul supporto economico dello stato. Quando si rimane nell’ambito dell’istruzione pubblica, dunque, il problema non sta nel fatto che si toglie ad una categoria per aiutarne un’altra altrettanto importante, quanto piuttosto nel dover constatare con non è più possibile fare altrimenti dal momento che diminuiscono continuamente i fondi per la scuola pubblica. Tagliarli, spostarli, modificarli: non cambia nulla e rimane sempre il fatto che i finanziamenti sono troppo pochi.

Italia (nella classifica stilata dalla Freedom House, occupiamo infatti il 72° posto tra i paesi con la libertà parziale) i vari casi riguardanti Biagi, Santoro, la trasmissione “Vieni via con me”, i telegiornali che non divulgano importanti notizie… sono stati letti brani significativi tratti da canzoni ("Meno male" di Cristicchi dalla quale è stata tratta la frase per lo striscione "..e vissero sempre felici e contenti, ma disinformati sui fatti!") e poesie ("Ecologia dei media" del sociologo statunitense Neil Postman), si è discusso di corruzione e di meritocrazia. Ha inoltre parlato l’Assessore Elisabetta Piccolotti, che ha spiegato ai giovani intervenuti che nessuno regala i diritti, ma che questi vanno conquistati e che loro in quel momento li stavano conquistando. I ragazzi sono ben consapevoli del fatto che con questo loro gesto non riusciranno a cambiare o ad influenzare la condizione grave in cui si trova l’Italia, ma sicuramente con questo evento hanno smosso gli animi di chi si è fermato ad ascoltare.


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Corrispondenze, Sport e Cucina

CALCIOA 7 UISP, IL NUOVO CHEAVANZA

DICEMBRE 2010

ZOEGARAGE 2011

PAOLO AZZARELLI

GIOIETTA VOLPI

Ripartono anche quest’anno i laboratori teatrali rivolti ai giovani della città.

Silvy’s United vice-campioni anno 2010 quasi certamente reciterà un ruolo da protagonista da qui fino alla fine del campionato. Altra matricola sul terzo gradino del podio, Cecconi Impianti, attardata di tre distanze rispetto a Beautyglobal avendo disputato una gara in meno a causa del turno di riposo già osservato. Nelle immediate posizioni di rincalzo troviamo Bacaro Parrucchieri, squadra quasi completamente rivoluzionata rispetto alla precedente stagione nella quale era stata relegata ad un ruolo di semplice comprimaria. Solo nove punti e aria di metà classifica per Asso Computer anche se con una partita da recuperare e il turno di riposo già osservato. In ogni caso l'ex Osteria del Vicoletto rimane una delle principali indiziate per il successo finale. Scendendo ancora un po' nella classifica troviamo squadre solitamente abituate a respirare aria di alta classifica. Prima fra tutte i campioni uscenti della Pizzeria Pietrarossa, ex DLF, con un magro bottino di sette punti in cinque parti-

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te all'attivo. C'è da aspettarsi, peraltro, un pronto riscatto della compagine che lo scorso anno aveva sorpreso tutti giungendo ad una difficilmente pronosticabile vittoria finale. Ancora peggiore, se possibile, il bilancio del Silvy's United che dopo un mercato estivo quasi principesco, ha totalizzato zero punti in classifica dopo le prime tre giornate di campionato. I nerocelesti si sono trovati alle prese con enormi problemi di organico ma,non appena hanno avuto la possibilità di scendere in campo al gran completo, non hanno mancato l'appuntamento con la vittoria, rimpinguando una classifica a tutt'oggi, però, ancora deficitaria. Ma se la squadra ritroverà l'apporto dei suoi interpreti principali, il Silvy's rimane, a nostro modesto avviso, la candidata più seria alla vittoria finale. Intanto si torna in campo lunedì 29 e martedì 30 e tra le altre partite spicca Asso ComputerM.B.System, incontro di cartello di questa settima giornata. CLASSIFICA M.B. SYSTEM BEAUTYGLOBAL CECCONI IMPIANTI BACARO PARRUCCHIERI NUOVA STELLA ROSSA OLD STARS ECOSUNTEK GUALDO T. ASSO COMP.–MASSAGGIO QUINTANELLA SCAFALI MOJITO F.C. PIZZERIA PIETRAROSSA EQUILIBRI ESTETICA GUS TEAM SAN MAGNO CAFFE' BAR POLLY SILVY'S UNITED FORNO NOCERA UMBRA ARCI BAHIA BORRONI SPARTAK FOLIGNO PORCO ALEGRE PLANET CAFFE' A.D SERVICE

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Il 6 Dicembre si svolgerà il primo incontro di uno dei progetti culturali più interessanti e seguiti nella città di Foligno: i Laboratori Teatrali ZOE-GARAGE, presentati dall’ Associazione Culturale ZOE, in collaborazione con l’Assessorato alle Politiche Giovanili e alla Cultura del Comune di Foligno, guidati da Michele Bandini ed Emiliano Pergolari della Compagnia Zoeteatro; dal 2004 coinvolgono ogni anno dai trenta ai cinquanta ragazzi del comprensorio folignate. Durante gli incontri si lavorerà sull’improvvisazione e la riscrittura dei testi scelti, facendo del gioco teatrale uno strumento di conoscenza di sé e delle proprie potenzialità, a partire da un’idea di teatro come “gioco serio” di espressione e ricerca sull’agire umano, nella spontaneità, ma anche nel rigore. In itinere saranno realizzati incontri con vari artisti e personalità dello scenario teatrale italiano che saranno presenti all'interno della stagione di prosa di Foligno. In questo modo i ragazzi potranno confrontarsi con una realtà più ampia arricchendo il proprio bagaglio d'esperienza riguardo al teatro italiano e alle diverse modalità d'approccio alla scena. Il progetto si contraddistingue da anni per la capacità di rivolgersi a tutti i giovani della città, e quindi per i suoi connotati di progetto non solo culturale ma anche sociale, con l'inclusione di giovani appartenenti ad aree di disagio. Fra gli obiettivi inol-

rebus

E' giunto ormai a un quarto del suo svolgimento della stagione regolare il campionato di calcio a 7 UISP ed è tempo di un primo bilancio. Il torneo, giunto quest'anno alla decima edizione, mai come quest'anno, competitivo sia dal punto di vista tecnico che agonistico, con molte squadre che, almeno sulla carta, sembrano essersi rinforzate in sede di mercato. E quello che rende ancora più interessante perlomeno questo primo scorcio da campionato è, oltre alla spettacolarità di gran parte degli incontri, la presenza di non poche sorprese rispetto a quelle che erano le previsioni della vigilia, soprattutto per quello che concerne i quartieri nobili della classifica. Fa sensazione trovare in vetta alla classifica la matricola terribile M.B. System che dopo aver battuto i vice-campioni del Silvy's United nella giornata inaugurale, ha inanellato cinque successi consecutivi e adesso guarda tutti dall'alto verso il basso, essendo a punteggio pieno con 18 punti in sei gare e assurgendo al titolo di vera squadra rivelazione dell'anno. Difesa granitica e tanto carattere i punti di forza di questa squadra da non considerare ormai solo una semplice meteora. A due soli punti di distanza il Beautyglobal, cenerentola delle due ultime edizioni del torneo ed autentico rullo compressore di questa prima fase con cinque successi ed un solo pari. Certamente numeri e statistiche non possono spiegare tutto, ma anche il Beautyglobal

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tre c'è quello dell'integrazione sociale di etnie e razze diverse nel nostro ambito locale. Gli incontri si svolgeranno la sera di un giorno della settimana ancora da stabilire, nel periodo da Dicembre 2010 a Marzo/Aprile 2011. Il laboratorio si rivolgerà a ragazzi di età compresa tra i 15 e i 35 anni, che saranno suddivisi in due gruppi in base all'età. Nel corso degli anni Zoe, per perseguire le proprie finalità ha avviato una collaborazione proficua oltre che con il Comune anche con vari enti e associazioni della città (Arci Feedback, Officina della Memoria, Informagiovani, Centro Giovani, Casa dei Popoli, Grass, Progetto Marat). L’Associazione Zoe nasce nel Gennaio 2003 con l’intento di proporre, organiz-

zare e realizzare eventi culturali legati in particolare al teatro. Zoeteatro svolge da sette anni un’intensa attività di formazione teatrale per i giovani e con i giovani grazie al sostegno del Comune di Foligno, della Provincia di Perugia e della Regione dell’Umbria. Dall’Associazione Zoe è nata la Compagnia ZoeTeatro - all’attivo “Quartetto d'Ombre”, “Metallo”, “Malacorte", (prodotti dal Teatro Stabile dell'Umbria) e "The Infant" (ultima produzione di Zoe) - che da 5 anni, in collaborazione con il Teatro Stabile dell’Umbria produce e distribuisce spettacoli teatrali a livello nazionale. Per informazioni o iscrizioni zoegarage@hotmail.it Tel 3488143957 Web www.zoeteatro.it

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LA RICETTA DEL MESE: BIGNÈ E TORTINO AL CIOCCOLATO Redazione: Via della Piazza del Grano 11 06034 Foligno (PG) tel. 0742510520 Mail: redazionepiazzadelgrano@alice.it Autorizzazione tribunale di Perugia n° 29/2009 Editore: Sandro Ridolfi Direttore Editoriale: Sandro Ridolfi Direttore Responsabile: Giorgio Aurizi Direttore Sito Internet: Andrea Tofi Stampa: Grupo Poligrafico Tiberino srl, Città di Castello Chiuso in redazione il 25/11/2010 Tiratura: 3.000 copie Periodico dell’Associazione “Luciana Fittaioli”

ANTONIETTA STADERINI Bigné al cioccolato per 10 persone Difficoltà ++ Tempo di preparazione: 120 minuti Ingredienti: lt- 1/2 pasta choux, lt. 1/2 panna montata, lt. 1/2 crema pasticcera, cioccolato fondente gr 300 Procedimento: con la pasta choux preparare dei piccoli bigné utilizzando il sacco da pasticcere e cuocerli in forno, farcirli di crema lavorata con la panna e bagnare la parte superiore con il cioccolato fuso.

Pasta choux - Ingredienti: lt. 1/2 acqua, gr 200 burro, gr 300 farina, 1 pizzico di sale, 8/9 uova. Procedimento: in una casseruola sciogliere nell'acqua il burro con il pizzico di sale, aggiungere tutta la farina insieme, precedentemente setacciata e lavorare energicamente sino a quando il composto non risulterà omogeneo e sulle pareti della casseruola si comincerà a formare una patina bianca; togliere dal fuoco e stendere il composto su di un piano per farlo raffreddare. Mettere l'impasto in un contenitore e incominciare a in-

corporare le uova, uno alla volta, la pasta sarà pronta quando risulterà liscia, omogenea e filamentosa. Inserire il composto in un sacco da pasticcere con la punta liscia e, in una placca da forno, formare tante piccole noci, distanziate l'una dall'altra, cuocere in forno a 180° per circa 20 minuti. Crema pasticcera - Ingredienti: lt. 1/2 latte, 4 uova, gr 150 zucchero, gr 80 farina, scorza di limone, 1 bustina vanillina. Procedimento: far bollire il latte con la scorza del limone e la vanillina; intanto montare i tuorli con lo zucchero, ag-

giungere poi la farina ed infine il latte, A fiamma molto bassa cuocere la crema sino a che non incomincerà a rapprendersi. Tortino caldo di cioccolato con crema al Grand Marnier per 6 persone Difficoltà + Tempo di preparazione 40 minuti Ingredienti: gr 150 cioccolato fondente, 4cucchiai di acqua, gr 120 zucchero, 1 cucchiaio di cacao in polvere amaro, 4 uova, lt 1/2 crema pasticcera morbida, 1 bicchierino di Grand Marnier, un quarto di litro di

panna montata, gr 50 zucchero a velo. Procedimento: in una casseruola sciogliere il cioccolato fondente con l'acqua, aggiungere lo zucchero ed il cacao, mescolare bene, aggiungere poi i tuorli, lavorare ancora il composto e lasciarlo raffreddare; aggiungere infine gli albumi montati a neve ferma. Distribuire il composto in stampini di alluminio e cuocere in forno a 180° per circa 10 minuti. Cospargere la sommità dei tortini con lo zucchero a velo e servirli con la crema pasticcera profumata al Grand Marnier e fiocchetti di panna montata


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Spettacoli ed eventi a cura di Piter Foglietta

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La Rassegna Teatrale Auditorium San Domenico Tre eventi d'eccezione a Foligno: Marco Travaglio, Giobbe Covatta ed Enzo Iachetti e Paolo Rossi Prima tappa “Promemoria” di Marco Travaglio La prima Repubblica muore affogata nelle tangenti, la seconda esce dal sangue delle stragi, ma nessuno ricorda più nulla. Si dice che la storia è maestra, ma nessuno impara mai niente”. L'incantatore di serpenti Marco Travaglio, ha ipnotizzato un Auditorium gremito e piacevolmente sorpreso dalla vena ironica del giornalista e dal prezioso contributo musicale di Valentino Corvino, che insieme a Fabrizio Puglisi hanno dato vita sul palco ad una sorta di dj set alternando la musica a documenti audio, con le voci di alcuni protagonisti della scena politica, primo fra tutti Berlusconi. La regia teatrale è curata da Ruggero Cara. Con Promemoria Travaglio ha raccontato i fatti che intercorrono dagli anni di Tangentopoli fino ai nostri giorni. Nel racconto sfilano le vicende che abbiamo visto scorrere sotto i nostri occhi, e spesso sentito sulla nostra pelle, negli ultimi quindici anni di cronache italiane: Tangentopoli, le stragi di mafia, i ricatti incrociati della politica, l’at-

tacco alla Costituzione. Un promemoria per non dimenticare, proposto da un giornalista che, come ha detto Indro Montanelli, “non uccide nessuno con il coltello, ma usa un’arma molto più raffinata e non perseguibile penalmente: l’archivio”. In un paese che dimentica con facilità la sua storia, far riaffiorare il ricordo di eventi rimossi nel giro di pochi anni costituisce già in sé un atto eversivo, una sfida al potere opprimente dell’oblio. In Promemoria Travaglio ha fatto ampio ricorso alla sua tagliente, feroce ironia, quello stile corrosivo che è ormai il tratto inconfondibile del suo lavoro di giornalista. Ma l’autore non rivendica a sé tutti i meriti: “I testi sono miei. Le battute migliori sono dei politici”. Usando un linguaggio semplice e trasparente, in forma di memorandum, suddiviso in sei quadri più un epilogo, il percorso è iniziato dalle ceneri della prima Repubblica, per arrivare sino ad oggi, dai sette milioni di tangenti a Mario Chiesa che innescarono Mani pulite, allo stalliere mafioso di Arcore, dalle

“Mafia export. Come ‘ndrangheta, cosa nostra e camorra hanno colonizzato il mondo”

Interessante presentazione del libro di Francesco Forgione a Palazzo Trinci lo scorso 30 ottobre presso la Sala delle Conferenze di Palazzo Trinci. Dopo il saluto del Sindaco di Foligno, Nando Mismetti, sono intervenuti l’autore del libro, Francesco Forgione, già Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia; Mauro Volpi, consigliere uscente CSM e professore ordinario di Diritto Pubblico Comparato dell’Università di Perugia e Fausto Cardella, Procuratore della Repubblica di Terni. L’Assessore Piccolotti ha

spiegato come “questo sia il primo appuntamento di un percorso che l’assessorato vuole portare avanti al fine di sviluppare una coscienza unitaria fra i cittadini e le Amministrazioni sul tema delle politiche antimafia. A questo proposito è stato importante comprendere, attraverso gli studi di Forgione, come la mafia non sia più solo un problema del Mezzogiorno d’Italia, ma un problema dell’intero Paese e, più in generale, una questione internazionale che molto ha a che fare con la globalizzazione dei capitali avvenuta negli ultimi venti anni. La pubblicazione di Forgione rappresenta la prima trattazione globale del made in Italy mafioso, completa delle mappe della diffusione delle mafie italiane nel mondo e delle rotte della droga. Grazie alla mappatura completa della dislocazione globale delle “famiglie”, fotografa lo stato attuale della “globalizzazione occulta” delle tre mafie italiane. Uno strumento unico per capire le dimensioni di quell’“economia canaglia” che intossica il mondo, più di quanto possiamo immaginare”.

spartizioni delle tangenti tra Dc, Psi, Pci e gli altri partiti, al rimpianto finale per gente onesta come Ambrosoli, Borsellino e Berlinguer. E a Berlinguer è dedicato il finale di Promemoria. Travaglio riporta un estratto della celebre intervista a Eugenio Scalfari sulla questione morale del 28 luglio 1981. “Quale politico oggi sarebbe capace di parlare così?”, conclude Travaglio. “Forse è il caso di portarcelo Berlinguer, nel Pantheon del Partito Democratico, anzi in tutti i Pantheon di tutti i partiti: perché, da morto, è molto più vivo di tanti morti viventi”. La rassegna proseguirà il 24 Gennaio con "Niente Progetti per il Futuro” di Giobbe Covatta ed Enzo Iachetti. Un progetto sperimentale con due diversi modi di comunicare e di vivere che caratterizzano una curiosa accoppiata che per la prima volta si incontra in teatro. Il sodalizio nasce per portare in scena il testo di Francesco Brandi, una delle più nuove e più autentiche voci della drammaturgia italiana. “Niente progetti per il fu-

turo” è un gioco teatrale surreale, una parabola contemporanea, che racconta con i toni della leggerezza e del paradosso una società in crisi dove i valori umani sono sostituiti da un progressivo impoverimento spirituale Due uomini si incontrano di notte su un ponte della periferia di una grande città. Entrambi hanno pensato di compiere il medesimo gesto: suicidarsi gettandosi dal ponte. Tobia è un Vip della tv, psicologo di nascita ma opinionista-tuttologo di adozione televisiva. Finito in disgrazia dopo aver involontariamente offeso un alto papavero della televisione in una delle solite schermaglie dei salotti televisivi. E proprio nel fatidico istante in cui sta per lasciarsi andare giù dal ponte appare Ivan, garagista, uomo semplice e concreto, di estrazione sociale bassa. Tradito dalla fidanzata vuole togliersi la vita, adesso però ha conosciuto Tobia di cui è da sempre grande fan decide così che la sua ultima buona azione da vivo sarà impedirgli il suicidio.

Ultimo e altrettanto importante atto della rassegna è lo spettacolo, “Mistero Buffo - Opera Pop” (in scena il 3 febbraio 2011) col quale Paolo Rossi rende omaggio al capolavoro di Dario Fo (oltre cinquemila allestimenti in tutto il mondo). La regia è di Carolina De La Calle Casanova e le musiche, composte ed eseguite dal vivo, sono di Emanuele Dell’Aquila. La produzione è della Corte Ospitale di Rubiera e della Compagnia del Teatro Popolare, in collaborazione con la Fondazione Giorgio Gaber. Perfetto giullare dei giorni nostri, Paolo Rossi rivisita uno dei punti di svolta del teatro contemporaneo italiano,

probabilmente il vertice dramdell´invenzione maturgica di Dario Fo, peraltro molto ricca di opere. Al centro di infuocate polemiche al suo apparire, "Mistero buffo", che Fo portava con la sua compagnia in luoghi al di fuori del classico circuito teatrale italiano (case del popolo, circoli culturali, luoghi alternativi), presenta, in vari quadri, vicende e situazioni che fanno parte della cultura religiosa popolare. Il "mistero", infatti, è inteso qui come sacra rappresentazione, ma ripreso in chiave buffonesca, sebbene, a tratti, pervaso da sentimenti di toccante drammaticità.

Decima Edizione per Giovedì al Cinema “Un altro Cinema è possibile” Ha preso il via lo scorso 18 novembre la decima edizione della rassegna promossa dall’associazione “Casa dei Popoli” in collaborazione con l’assessorato all’associazionismo e alla cooperazione sociale del comune di Foligno, la regione dell’Umbria, Avis e Politeama Clarici. L’iniziativa, curata da Roberto Lazzerini, si terrà fino al prossimo 2 giugno, con l’interruzione del periodo natalizio (in quattro spettacoli giornalieri 1618-20,20-22,30 al prezzo ridotto di 4,50 euro e di 3 euro per gli studenti under 25 e i cittadini over 65) e si aprirà con il film palestinese di Elia Suleiman “Il tempo che ci rimane” (2009). La rassegna, come sempre, è caratterizzata da film, organizzati e divisi in sezioni tematiche. Nella sezione “qui” e “altrove” saranno presentati film di varia provenienza mondiale e di recente produzione, che interrogano la nostra vita alla luce dello sguardo, del contatto e della presenza di persone diverse da noi e di persone migranti nella nostra cultura. La sezione vuole suggerire un principio di somiglianza, piuttosto che di differenza, delle culture. Nella sezione Italia e Napoli, invece, giovani (e meno giovani) cineasti ita-

liani (Tizza Covi con Rainer Frimmel, Daniele Gaglianone, Aurelio Amadei, Stefano Incerti, Marco Luca Cattaneo, Pietro Marcello, Massimo Coppola, Paola Livia Randi, Pasquale Scimeca, Giuliana Gamba e Piergiorgio Gay) mettono alla prova quello che sono diventati gli italiani. Non mancheranno i film di memorie e di celebrazioni (soprattutto quest’anno il giorno della memoria, 8 marzo e 1 maggio) con racconti però che non si sottraggono allo scavo del monumento, della ricorrenza civica, offrendo nuovi sguardi. I prossimi appuntamenti: 2 dicembre “About Elly” di Asghar Farha Iran 2009 119’

premiato al Festival del Cinema di Berlino 2009 con l'Orso d'Argento, sbarca og-

gi nei cinema italiani e ci offre un ritratto inedito e, sicuramente, interessantissimo, sui giovani iraniani di oggi, sulle loro aspettative, i sogni, i compromessi, le bugie in fondo al pozzo dei desideri. Il regista Asghar Farhadi racconta quello che conosce bene: l'amicizia, l'amore, la voglia di costruire qualcosa di chi ha superato i 30 anni e lo fa usando come spunto un week end sul Mar Caspio organizzato da una comitiva di ragazzi per festeggiare la visita del loro amico Ahmad. Nel gruppo anche Elly, che è stata invitata per favorire un eventuale coinvolgimento sentimentale col giovane tornato dalla Germania dopo un matrimonio fallimentare con una donna europea. L'atmosfera rilassata, i divertimenti semplici, la convivialità spontanea sono, però, bruscamente interrotti dalla scomparsa di Elly.E il film, fin qui destramente giocato sui toni de Il grande freddo, si tinge di noir e comincia a indagare le radici di un mistero che porterà a risposte insospettate... 9 dicembre. “London River” di Rachid Bouchareb UK-Fr-Algeria 2009 87’ Un racconto credibile di incontro-scontro nella nostra era globale dove sono para-

dossalmente i conflitti ad avvicinarci e a farci conoscere superando le barriere preesistenti come succede ai personaggi di questo film ovvero i genitori di due giovani scomparsi nel tragico

attentato avvenuto a Londra nella mattina del 7 lugio 2005 contro un bus e una linea della metro.I due uniti in questa disperata e vana ricerca dei loro cari si parlano dopo le iniziali resistenze specie da parte della mamma bianca nei confronti del papà di colore come due esseri umani che si riconoscono una nell'altro trovando persino delle affinità nei loro percorsi come l'amore alla terra che li unisce. Un film di introspezione sicologica drammatico ma mai sopra le righe.


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C’era una volta la CGIL Giuseppe Di Vittorio Bracciante poverissimo e autodidatta, partecipò all’esperienza del sindacalismo rivoluzionario e aderì all’USI (l’Unione Sindacale Italiana, nata nel 1912 dalla scissione con la CGdL riformista), ricoprendone dal 1913 la carica di membro del Comitato Centrale. Scoppiata la Grande Guerra, condivise le motivazioni degli interventisti e partì come volontario per il fronte, da dove sarebb tornato gravemente ferito. Nel 1921 è eletto deputato come indipendente nelle liste del PSI. Influenzato dall’esperienza della rivoluzione bolscevica in Russia, Di Vittorio guardò con attenzione alla nascita del Partito Comunista d’Italia nel 1921, al quale aderì qualche anno più tardi. Dopo la stretta totalitaria del fascismo, che produsse la cancellazione delle libertà sindacali in Italia e che costò a Di Vittorio alcuni mesi di prigionia (dal settembre 1925 al maggio 1926), nel novembre dello stesso anno venne condannato a dodici anni di carcere dal Tribunale Speciale; costretto a riparare in Francia, diventò uno dei principali organizzatori della lotta di resistenza antifascista, dapprima come membro del Comitato Centrale del Partito (dal 1928) e quindi come responsabile della CGdL clandestina, di orientamento comunista (dal 1930). Di Vittorio proseguì la lotta antifascista, combattendo nelle file delle Brigate Internazionali durante la guerra civile spagnola; dal 1937 diresse a Parigi il giornale “La Voce degli Italiani”. Arrestato dalla Gestapo il 10 febbraio 1941, dopo circa nove mesi di carcere fu affidato alle autorità italiane di polizia

che lo mandarono al confino a Ventotene, dove sarebbe rimasto fino alla caduta di Mussolini nel luglio 1943. Tra il 1943 e il 1944, Di Vittorio fu tra i protagonisti della rinascita del sindacato libero e democratico in Italia; insieme a Grandi e Canevari fu uno dei firmatari del Patto di Roma (9 giugno 1944), l’atto ricostituivo della CGIL. Tra il 1944 e il 1948 ricoprì la carica di Segretario Generale della CGIL unitaria fornendo un contributo decisivo alla ricostruzione economica nazionale, alla rilegittimazione internazionale del Paese e alla elaborazione della Costituzione repubblicana in qualità di Deputato dell’Assemblea Costituente. Mantenne la guida della nuova CGIL anche dopo le scissioni del 1948-1950. Tra gli anni Quaranta e Cinquanta, Di Vittorio fu Presidente della FSM, la Federazione Sindacale Mondiale, nonché Deputato dal 1948 al 1957. Tra i suoi atti principali alla guida della CGIL, occorre ricordare l’elaborazione del Piano del Lavoro, presentata al Congresso di Genova del 1949, e la proposta di uno Statuto dei diritti dei lavoratori, lanciata al Congresso di Napoli del 1952 Pur vivendo una stagione assai difficile, segnata da tensioni ideologiche stridenti legate al sottile equilibrio bipolare della guerra fredda, Di Vittorio lavorò sempre per l’unità di tutti i lavoratori, dalla quale faceva derivare anche l’unità sindacale; a suo avviso, solo in questo modo sarebbe stato possibile difendere, l’interesse generale della classe lavoratrice, lottando efficacemente per la sua emancipazione.

Lavoratori e padroni, il compito del sindacato Abbiamo il dovere di difendere le libertà democratiche e i diritti sindacali che sono legati alla questione del pane e del lavoro; abbiamo il dovere di difendere i diritti democratici dei cittadini e dei lavoratori italiani, anche all’interno delle fabbriche. In realtà oggi i lavoratori cessano di essere cittadini della Repubblica Italiana quando entrano nella fabbrica. Quando al Congresso dei Chimici io an-

nunciai l’idea di proporre lo Statuto, qualche giornale degli industriali scrisse: “Ma Di Vittorio dimentica che le aziende appartengono ai padroni e che colore che vi entrano debbono ubbidire ai padroni”. E’ una risposta, questa, che rivela proprio una mentalità feudale, che rivela come i lavoratori siano considerati dai padroni come loro proprietà, come se fossero degli attrezzi qualsiasi. I padroni

non considerano il lavoratore un uomo, lo considerano una macchina, un automa. Ma il lavoratore non è un attrezzo qualsiasi, non si affitta, non si vende. Il lavoratore è un uomo, ha una sua personalità, un suo amor proprio, una sua idea, una sua opinione politica, una sua fede religiosa, e vuole che questi suoi diritti vengano rispettati da tutti e in primo luogo dal padrone. Tutta l’esperienza

storica, non soltanto nostra, dimostra che la democrazia, se c’è nella fabbrica, c’è anche nel Paese, e se la democrazia è uccisa nella fabbrica, essa non può sopravvivere nel Paese. Il rapporto di lavoro tra padrone e dipendente non può in nessun modo e per nessun motivo ridurre o limitare i diritti inviolabili che la Costituzione Repubblicana riconosce all’uomo sia come singolo, sia nelle formazioni so-

ciali dove svolge la sua personalità. Il rapporto di lavoro riconosce al padrone solo il diritto di esigere dal proprio dipendente una determinata prestazione di opera, per un determinato periodo di tempo, nel rispetto di una data organizzazione e disciplina di lavoro. Nella realizzazione di questo diritto il padrone, o chi per esso, deve rispettare l’inviolabilità personale del dipendente. Il rapporto di

lavoro non può in nessun modo e per nessun motivo vincolare o limitare i diritti civili del dipendente. Meno che mai può limitare il diritto del lavoratore di discutere con i suoi compagni le questioni relative al proprio lavoro, di collaborare alla gestione delle aziende, di tutelare i propri interessi di lavoratore e di adempiere ai propri doveri associativi. Giuseppe Di Vittorio


supplemento al numero 12 - Anno II - dicembre 2010 di Piazza del Grano - www.piazzadelgrano.org

I Comunisti nelle amministr azioni de g li Enti locali Non è a caso che dal nuovo grande partito del popolo, dal Partito comunista nella sua compiuta visione democratica e progressiva, parte l'iniziativa per una più profonda democratizzazione della vita pubblica anche locale. Ma sarebbe il più funesto degli errori ritenere che la funzione dei comunisti sia semplicemente di lottare sul terreno propagandistico o su quello legislativo per l'autonomia amministrativa degli enti locali, e che in attesa di conquistare tale obbiettivo altro non sia possibile fare che dell'ordinaria amministrazione. Le difficoltà, lo sappiamo bene per esperienza, sono grandissime, ma non bisogna lasciarsi arrestare da esse. Funzione del Partito comunista è precisamente di aiutare le masse popolari a superare le difficoltà che esse incontrano nella loro dura vita di ogni giorno. Bisogna sforzarsi di tradurre in atto una pubblica amministrazione costruttiva nell'interesse del popolo. E se per questa strada incontreremo, come certamente incontreremo, degli ostacoli, ciò renderà più concreta agli occhi delle popolazioni che cosa è quell'auspicata autonomia amministrativa che, presentata in termini generici, riesce spesso poco comprensibile alle masse popolari; ciò che non potrà non aiutare l'azione che sarà necessario svolgere per raggiungere quegli obbiettivi per i

quali l'unità di tutto il popolo è già fatta. Funzione essenziale che noi riconosciamo alle amministrazioni comunali popolari dirette da comunisti è di agire nel senso di avviare alla più rapida soluzione possibile alcuni problemi essenziali. Un buon sindaco può aumentare il prestigio del Partito comunista: un sindaco che si allontani dall’animo del popolo può gravemente comprometterlo. Il legame e l'accordo fra gli organi dirigenti locali del Partito ed i compagni amministratori dev'essere stretto e permanente. Gli amministratori sono tenuti a rendere conto al Partito del loro operato, mentre debbono avere massimo rispetto per gli organi che li hanno eletti, per gli organismi rappresentativi dei lavoratori. Rendere conto del proprio operato, chiedere l’ausilio e il consiglio degli elettori è una delle caratteristiche dell’amministratore comunista che è popolo in mezzo al popolo. E per questa via esso farà appello alle immense energie che sono latenti nel popolo e bisogna saper sprigionare, organizzando in forme molteplici la collaborazione degli operai e dei tecnici, degli intellettuali e dei contadini con coloro che in questo momento hanno la grande responsabilità e il non indifferente peso di reggere le pubbliche amministrazioni. Giuseppe Dozza

Le Autonomie locali nella convenzione europea Le Autonomie locali nella Costituzione della Repubbica Italiana Dalla Relazione al “Progetto della Costituzione della Repubblica Italiana” 1947 L’innovazione più profonda introdotta dalla Costituzione è nell’ordinamento strutturale dello Stato su basi di autonomia che può aver portata decisiva per la storia del paese. «Il Comune: unità primordiale». Non si tratta

soltanto, come si diceva allora, di «portare il governo alla porta degli amministrati», con un decentramento burocratico e amministrativo sulle cui necessità tutti oggi concordano; si tratta di «porre gli amministrati nel governo di se medesimi». La tendenza si collega alle rivendicazioni di libertà, che sono la grande nota di questo mo-

mento storico: di tutte le libertà, anche degli enti locali come «società naturali». Riecheggia più viva, in questa atmosfera, l’affermazione di Stuart-Mill che nelle autonomie locali si ha un «ingrandimento della persona umana», e che «senza istituzioni locali una nazione può darsi un governo libero, ma non lo spirito della libertà».

Preambolo della “Carta europea della Autonomie locali” 1985 Gli Stati membri del Consiglio d’Europa, firmatari della presente Carta, considerando che il fine del Consiglio d’Europa è di realizzare un’unione più stretta tra i suoi membri, per salvaguardare e promuovere gli ideali ed i principi che sono il loro patrimonio comune; considerando che la stipulazione di accordi nel settore amministrativo è uno dei mezzi atti a realizzare detto fine; considerando che le collettività locali costitui-

scono uno dei principali fondamenti di ogni regime democratico; considerando che il diritto dei cittadini a partecipare alla gestione degli affari pubblici fa parte dei principi democratici comuni a tutti gli Stati membri del Consiglio d’Europa; convinti che è a livello locale che il predetto diritto può essere esercitato il più direttamente possibile; convinti che l’esistenza di collettività locali investite di responsabilità effettive consente un’amministrazione efficace e vicina al cittadino; consapevoli del fatto che

la difesa ed il rafforzamento dell’autonomia locale nei vari Paesi europei rappresenti un importante contributo all’edificazione di un’Europa fondata sui principi della democrazia e del decentramento del potere; affermando che ciò presuppone l’esistenza di collettività locali dotate di organi decisionali democraticamente costituiti, che beneficino di una vasta autonomia per quanto riguarda le loro competenze, le modalità d’esercizio delle stesse, ed i mezzi necessari all’espletamento dei loro compiti istituzionali;

I


I primi 6 anni di amministrazione democratica a Foligno 1946 - 1952

ne che presto prima o poi dovranno essere veramente trasformate. La maggior parte delle nuove strade sono di collegamento dei paesi della montagna con il centro offrendo la possibilità di isti¬tuire nuovi servizi automobilistici anche in montagna, (come nella via Casenove-Volperino-Popola-FraiaSerravalle) dove prima non esistevano che vie mulattiere come la strada Annifo-Cassignano, quella Pisenti-Pian di Ricciano: l'altra Verchiano-Civitella ecc. (confine del Comune di Serravalle per collegare S. Martino di Cupana.) sostenendo una spesa di L. 30.454.222, oltre a utilizzare mol¬te migliaia di opere stradali obbligatorie e volontarie per circa lire 4.000.000.

Gli amministratori rendono conto ai cittadini L'Amministrazione Comunale che gli elettori scelsero nei comizi del marzo 1946 ha da tempo compiuto il suo ciclo normale di vita - quattro anni - e continuato non senza difficoltà il suo duro lavoro per altri due anni, in attesa che il Governo si decidesse ad indire le elezioni per la sua rinnovazione.

E' naturale e doveroso che, al termine del mandato, gli amministratori presentino, a coloro che li elessero e alla popolazione tutta, il consuntivo della loro opera, affinché questi possano giudicare se essi hanno mantenuto fede al programma col quale si presentarono ai loro suffragi, considerate le difficoltà incontrate e gli impedimenti che sono stati opposti alla attuazione delle loro determinazioni. La relazione sarebbe incompleta se non venisse integrata dalla enunciazione del piano di attività per il nuovo ciclo di amministrazione qualora, come si confida, il corpo elettorale confermi la sua fiducia agli amministratori popolari.

II

Questo lavoro quindi verrà diviso in tre capitoli: 1) Resoconto delle realizzazioni nelle varie branche della attività amministrativa. 2) Elenco dei progetti non attuati e cause che lo hanno impedito. 3) Programma da eseguire nel prossimo ciclo di amministrazione. Foligno, vitale città di provincia, con 45.000 abitanti, il cui agglomerate urbano ne conta circa 20.000, era, prima della guerra, prospera per la sua attività industriale e commerciale. Ben 5.000 operai lavoravano in modo continuativo e perma¬nente negli stabilimenti cittadini. Infatti 2.500 operai erano occupati presso la fabbrica di aeroplani Società Aeronautica Umbra (A.U.S.A.); 500 circa presso il Carnificio di Scanzano, altri 500 presso le Officine Ferroviarie, e circa

altrettanti, una parte per tutto l'anno e il resto per il solo periodo di lavorazione stagionale, presso il locale Zuccherificio. Un altro migliaio trovavano lavoro, e quindi il sicuro sostentamento per le loro famiglie, presso varie piccole e medie industrie, meccaniche e tipografiche, cartiere, molini, pastifici, ecc. Numeroso e fiorente l’artigianato. Davano vita e apportavano benefici economici alla città il 1o Reggimento d'Artiglieria, il Campo di Aviazione con annessa Scuola allievi Ufficiali di aeronautica. La guerra maledetta spazzò la maggior parte dei ricordati complessi industriali e molti impianti civili e militari, oltre a far vittime molteplici fra la popolazione. Circa il 50% delle abitazioni furono distrutte o gravemente danneggiate. La vita cittadina rimase paralizzata per oltre due anni a causa dei forzati sfollamenti durante la guerra e degli impediti ritorni per deficienza di alloggi, al termine del conflitto.

La situazione alimentare gravemente preoccupante, la disoccupazione, la miseria, il disfunzionamento dei servizi pubblici, specie dei mezzi di comunicazione, che hanno sempre costituito l'incremento più efficiente per lo sviluppo della nostra città, le forzate restrizioni allo svolgimento della istruzione elementare e media; questo il quadro che tuttora perdurava quando gli amministratori eletti dai suffragi del marzo 1946 assunsero la direzione del Comune. Che cosa era stato promesso da essi alla popolazione? La ricostruzione della città; ogni sforzo per fronteggiare la crisi dell'alimentazione; il riordinamento delle scuole; il

miglioramento delle condizioni igieniche e sanitarie; l'estensione della assistenza ai malati, ai vecchi, ai bimbi bisognosi; ogni appoggio, nella lotta dei lavoratori della città e delle campagne; la fine dello stato di abbandono in cui erano sempre state tenute le popolazioni. delle frazioni, specialmente montane; una

politica fiscale onesta e giusta; la municipalizzazione dei servizi pubblici. Prima di esporre l'attività amministrativa esplicata va rilevato che il Comune di Foligno è forse il più povero, certamente uno dei Comuni più poveri della Provincia. Esso è privo di qualsiasi azienda industriale o agricola; il patrimonio immobiliare è costituito esclusivamente da fabbricati, in parte notevole distrutti o danneggiati dalla guerra; tali stabili non sono certo fonte di entrata,. ma anzi rappresentano un onere per il bilancio comunale a causa delle continue indispensabili spese di manutenzione ordinaria e straordinaria e per il fatto che sono per lo più utilizzati per il ricovero di sfrattati e famiglie di indigenti. Gli Enti o istituti di Ricovero e beneficenza hanno patrimoni, modestissimi, di modo che il peso della assistenza sanitaria, del ricovero e della beneficenza, grava in misura rilevante - per non dire esclusiva - sulle finanze del Comune, che deve destinare a tale scopo circa il 25% delle sue entrate ordinarie senza riuscire a disimpegnare, come la necessità richiederebbe, il proprio compito sociale di soccorrere i miseri ed i malati poveri. Nonostante questa deficienza di mezzi e la triste situazione del Comune più danneggiato dalla guerra della nostra Provincia, la Amministrazione ha potuto svolgere un apprezzabile programma sociale e di lavori pubblici nell'interesse della popolazione amministrata. Esponiamo ora quello che è stato fatto nelle varie branche di attività municipale. CASE L'abitazione è uno degli elementi essenziali per una esistenza civile. Foligno e alcune sue frazioni, come Valtopina, Pontecentesimo, Casenove, Sterpete ebbero il 47% delle abitazioni distrutte o danneggiate dalla guerra. L'Amministrazione si interessò per far includere la nostra città nell'elenco di quelle danneggiate, e potè ottenere la costruzione di case per senza tetto per un importo di 106 milioni. Sollecitò l'Istituto Autonomo delle Case Popolari per la ricostruzione di quelle distrutte e la edificazione di nuovi quartieri; ciò che l'Istituto ha fatto per circa 150 milioni di spesa. Sempre per l'incessante interessamento del Comune, che fu scelto quale Ente gestore, sono state costruite o sono in corso di costruzione case per lavoratori per un ammontare di 288 milioni. In

complesso dagli Enti predetti sono stati costruiti 283 alloggi e sono in costruzione altri quartieri. FOGNATURE E IMPIANTI IGIENICI Foligno città era per quasi il 90% delle sue strade priva di fognature, pur esistendo un progetto redatto dall'ing. Cornero per incarico del Comune sin dal 1918.

Palmiro Togliatti parla nella Sala del Consiglio Comunale di Foligno

L'Amministrazione, parte con fondi ordinari di bilancio, parte con mutui, ha quasi completato la rete di fognature in città, inoltrandosi nei più piccoli vicoli ed ha eseguito tratti di fogne anche; in alcune frazioni (Belfiore, Colfiorito, Cave, S. Eraclio, ecc.) per una lunghezza complessiva di dieci chilometri ed una spesa di Lire 66.725.320. Ha costruito o sistemato in città (via Bolletta, presso Porta Todi, Cipischi) nei sobborghi e frazioni 28 lavatoi, per lo più coperti e dotati di acqua igienica e 8 impianti igienici pubblici, in alcuni luoghi anche con docce, per una spesa di oltre 7 milioni. Ha restaurato o costruito ex novo forni pubblici nelle frazioni di Corvia e Budino per circa 500.000 lire. STRADE II territorio del Comune di Foligno, assai estesa e comprendente oltre 40 frazioni, è deficiente di vie di comunicazione sia fra frazioni e capoluogo come fra frazione e frazione e dove queste strade esistono non sono agevolmente praticabili. Era necessarie migliorare la viabilità nel territorio comunale come quella entro la città.

L'Amministrazione ha aperto al traffico o sistemato km. 37,640 di strade. Ha creato o sistemato in città il Viale Marconi, viale delle Grazie, via S. Giovanni dell'Acqua, il viale XVI giugno. Ha iniziato la costruzione del nuovo Corso, l'arteria che darà respiro al transito entro Foligno. Ha provveduto alla sistemazione delle vie cittadi-

I comunisti alla guida del Comune di Foligno Per le amministrazioni degli Enti locali l’immediato dopoguerra è stato un periodo tragico, ma anche eroico. Tragico perché i nuovi amministratori dell’Italia libera si sono trovati davanti un paese che, già povero e arretrato, aveva subito immani devastazioni dalla guerra e questo sia dagli eserciti tedeschi in ritirata che distruggevano ogni residuata struttura produttiva e infrastruttura, sia per la violenza degli eserciti liberatori che a volte hanno ampiamente superato le necessità belliche con azioni vendicative e di vero terrorismo ai danni della popolazione civile, come il bombardamento del quartiere di San Lorenzo a Roma (3.000 morti in due incursioni aeree) o il tentativo di incendiare Milano (sorte toccata alla città tedesca non militarizzata di Dresda). Dopo il passaggio del fronte il 50% quasi delle abitazioni e degli edifici pubblici risultava distrutto e quasi il 100% delle insediamenti industriali. Questa è la situazione che si trovarono a dover affrontare le prime amministrazioni democratiche, in un paese ancora occupato

e giustamente (questa era la pena dei vinti) emarginato dal sistema politico ed economico dei paesi vincitori. Ma tra i vincitori c’erano anche alcuni italiani, quelli che non si erano sottomessi, accodati o collusi con la dittatura fascista e l’avevano combattuta nelle carceri come sulle montagne: erano i comunisti. A loro per primi toccava il compito, l’onore e l’onere, di ricostruire il paese. E questo avvenne anche a Foligno con la prima amministrazione democratica post fascista guidata dal partito comunista. Da allora, da quegli anni in cui non c’erano sufficienti beni alimentari, case, fogne, strade e soprattutto posti di lavoro, la nostra città ha fatto una lunga, lunghissima strada. Per comprendere come ciò è stato possibile, come è stato possibile risalire dalla devastazione e dalla povertà quasi assoluta al livello di benessere di cui oggi godiamo (anche se lo vediamo ogni giorno diminuire e a rischio di precipitare) bisogna ricordare quei primi anni, bisogna ricordare l’impegno, il coraggio, l’intelligenza degli amministratori di quegli anni.

Dal 1946 al 1966 Foligno è stata amministrata da una giunta guidata dai comunisti che è stata in grado, per le sue qualità, per il rapporto di intelligenza e di fiducia stabilito con i cittadini tutti, di resistere ai ricatti e alle pressioni dei così detti “poteri forti” dall’ostilità del governo nazionale, a prepotenza del sitema bancario e del padronato industriale, sino alla sorda ma incessante ostilità della chiesa. Nel 1966 il tradimento dei socialisti (già nel 1921 Gramsci affermava che in Italia c’era il peggior partito socialista d’Europa) consegnò la città a una amministrazione di così detto (allora) centrosinistra partecipato dalla democrazia cristiana. Fu comunque un periodo breve, alle successive elezioni i comunisti tornarono al governo della città e vi rimasero ancora a lungo, ancora almeno finché continuarono a chiamarsi comunisti. In questo inserto vogliamo ricordare quel periodo, tragico ed eroico, del primo governo comunista della città di Foligno, perché per costruire il futuro bisogna anzitutto ricordare il passato (quando lo merita!).

SCUOLE A causa degli eventi bellici erano quasi inservibili tutti gli edifici scolastici della città occupati per lungo tempo dalle truppe. Il materiale di arredamento era andato quasi completamente distrutto, o asportato, o resoinservibile. Le scuole delle frazioni erano state quasi tutte occupate da famiglie sfollate dalla città. Durante l’attuale Amministrazione si è provveduto a ripristinare tutti gli edifici scolastici della città e furono riaperte tutte le scuole delle frazioni. Si è provvedutp a costruire i seguenti nuovi edifici scolastici:casenove, Maceratola, S. Eraclio, Annifo. Volperino, Vescia. Si è provveduto alla ripresa dei lavori di costruzioe della nuova sede dell’Istituto Tecnico. Sono in programma di costruzione i seguenti edifici scolastici: Fiammenga, Colle S. Lorenzo, Popola, Uppello, Scopoli, Pale e presso le Case operaie in cui non esistono ambienti idonei per l’istruzione elementare e i cui abitati

reclamano, giustamente, decenti e igienci locali scolastici. Attaulemnet tutt ele scuole sono funzionanti, ma oc-

corre modernizzare l’arredamento di fortuna. SERVIZI AUTOMOBILISTICI Foligno è capolinea di varie corse automobilistiche che lo collegano col capoluogo e con i centri principali della Provincia nonché con le frazioni ed il suburbio. Per facilitare l'attesa dei viaggiatori, le operazioni di partenza e di arrivo, l'Amministrazione Comunale ha iniziato la costruzione di una nuova stazione di autobus mediante sistemazione del piazzale in località allo scopo, prossimo alla stazione ferroviaria e nel luogo di maggior traffico stradale, costruendo pensiline e sostenendo una spesa di Lire 5 milioni.

RICOSTRUZIONE DI OPERE PUBBLICHE DISTRUTTE O DANNEGGIATE DALLA GUERRA Anche per interessamento della Amministrazione Comunale fu sollecitamente ricostruita 1a nostra Stazione Ferroviaria. E' stato ripristinato, nella maggior parte, lo storico Palazzo Trinci, ove ha ritrovato sede la Biblioteca e la Pinacoteca e ove verranno sistemati

l'archivio notarile, il museo archeologico ecc. Lo Stato ha speso a Foligno circa 1 miliardo: circa 700 milioni per opere pubbliche danneggiate, circa 300 milioni per le case dei senza tetto, reduci, ecc. e lavori a sollievo della disoccupazione. Sono stati ripristinati molti dei capannoni e palazzine dell'ex carnificio di Scanzano acquistato dal Ministero delle Poste e Telecomunicazioni, che ne ha iniziato la utilizzazione per vari usi, che indubbiamente andranno aumentando e concentreranno in quella zona un rivelante numero di impiegati, operai ecc. della Amministrazione: postale. E' imminente la ricostruzione della Pescheria in piazza del Campanile per un importo di L. 16.000.000, in attesa della integrazione con il mercato coperto. Furono sollecitamente riparati i gravi danni che la guerra produsse al nostro Mattatoio, uno dei più attrezzati della Provincia, ma che ha bisogno di essere al più presto migliorato. E' in via di ricostruzione la Caserma di Artiglieria. Sono finora stati appaltati lavori per 150 milioni che consentiranno il prossimo ritorno a Foligno di una importante unità militare. Furono pure eseguite notevoli opere di riparazione alle sorgenti di Capodacqua e Acquabianca e altri lavori sono già stati appaltati e avranno prossimo inizio. E' stata completata la ricostruzione del Carce-

Dignità del lavoro, democrazia e partecipazione nel 1946!

Umberto Terracini, Presidente dell’Assemblea Costituente, con il Sindaco di Foligno Italo Fittaioli

Solo dando una dignità al lavoratore, a qualsiasi grado e categoria egli appartenga, si può ottenere che dia la sua collaborazione e si può esigere correttezza e miglioramento delle sue capacità. Questo è un aspetto di fondamentale importanza nel caso particolare di una Amministrazione comunale, giacché a ciò che è il diritto di chi lavora, fa riscontro il diritto della cittadinanza tutta, al servizio della quale sta appunto il personale comunale. Mentre si è chiesto e ottenuto che questo usasse un comportamento educato verso il pubblico, specie quello meno colto, e in particolare nei confronti degli abitanti della campagna e della montagna, cui è stato riconosciuto titolo di precedenza nella esplicazione delle loro pratiche, si è cercato di migliorare la con-

dizione giuridica ed economica dei dipendenti comunali. Fra le prime cure dell'Amministrazione va annoverata quella della modifica del regolamento organico, ispirato a questi principi. Equiparazione del trattamento economico del personale maschile e femminile, in quanto a parità di funzioni, secondo lo spirito della Costituzione repubblicana, deve corrispondere parità di retribuzione. Miglioramento nello sviluppo della carriera e delle retribuzioni. Riconoscimento giuridico del Sindacato e delle Commissioni interne. Democratizzazione dell'apparato burocratico, immettendo in ogni commissione che interessi il personale, uno o più rappresentanti sindacali. Per quanto riguarda il trattamento economico va segnalato che oltre a con-

cedere al personale tutti i miglioramenti, che gli Enti locali avevano facoltà di accordare, l'amministrazione ha esteso a tutto il personale impiegatizio e salariato, qualunque sia la anzianità di servizio, trenta giorni di ferie retribuite all’anno, e ha preso fin dal 1948 l’iniziativa consacrata nel regolamento organico, primo fra i Comuni d'Italia, di corrispondere al personale di ruolo che va in pensione, oltre al normale trattamento di quiescenza, la indennità di buonuscita, pari a un anno di emolumenti. Il nostro è stato fra i primi Comuni della Provincia a deliberare la concessione dell'indennità accessoria e, se finora ha potuto corrispondere solo un modestissimo acconto, ciò è conseguenza delle capziose disposizioni governative, che hanno impedito la esecuzione

re Mandamentale adiacente alla Pretura. E molte altre distruzioni sono state riparate, ma c'è ancora da insistere presso le Autorità Statali affinché le ferite prodotte dalla guerra ai nostri edifici pubblici - Teatro Lazzaretto, ecc. siano completamente eliminate. POLIZIA: Al cittadino non occorre certo un grande sforzo di memoria per ricordarsi non solo del cumulo di macerie che ovunque testimoniavano le atroci distruzioni arrecate dalla guerra bestiale alla nostra città, ma quale era l'aspetto delle vie e delle piazze cittadine anche allorché nel 1946 l'Amministrazione prese la direzione del Comune. Unici cartelli indicatori, quelli in lingua inglese.

Ogni marciapiede, ogni angolo di piazza sede di mercato nero o peggio. Pochissimi veicoli targati; le norme di circolazione totalmente ignorate. I vigili urbani oltre a trovarsi di fronte a compiti assai gravi, erano senza mezzi per circolare, senza divise, e per lo più impreparati al disimpegno del loro delicato ufficio. L'Amministrazione democratica dovette affrontare tale problema e lo ha risolto in maniera soddisfacente tanto che ora il corpo dei vigili del Comune di Foligno, per il suo comportamento esteriore e per il tatto con il pubblico, è oggetto di quasi unanime elogio.

dei provvedimenti adottati. L'Amministrazione ha provveduto, nei limiti delle modeste disponibilità di bilancio, alla migliore sistemazione degli uffici e dei servizi. Infine nello spirito del principio : « il Comune al popolo e il popolo al Comune » e inteso a creare una sana e giusta collaborazione fra Amministratori, apparato burocratico e popolazione, ha attuato quei mezzi, istituti e organi, che, se pur non previsti dalla legislazione vigente, rispondono alle esigenze del nuovo regime democratico, sinceramente concepito e attuato. Assemblee popolari al centro e nelle frazioni, istituzione dei delegati del Sindaco nelle frazioni, da integrare con commissioni di villaggio; costituzione di commissioni rionali per l'assistenza; Consiglio Tributario; Comitati cittadini; consulte popolari. Tutti questi organismi e queste forme di maggiore contatto con gli amministrati dovranno essere potenziate, intensificate ed estese.

III


I primi 6 anni di amministrazione democratica a Foligno 1946 - 1952

ne che presto prima o poi dovranno essere veramente trasformate. La maggior parte delle nuove strade sono di collegamento dei paesi della montagna con il centro offrendo la possibilità di isti¬tuire nuovi servizi automobilistici anche in montagna, (come nella via Casenove-Volperino-Popola-FraiaSerravalle) dove prima non esistevano che vie mulattiere come la strada Annifo-Cassignano, quella Pisenti-Pian di Ricciano: l'altra Verchiano-Civitella ecc. (confine del Comune di Serravalle per collegare S. Martino di Cupana.) sostenendo una spesa di L. 30.454.222, oltre a utilizzare mol¬te migliaia di opere stradali obbligatorie e volontarie per circa lire 4.000.000.

Gli amministratori rendono conto ai cittadini L'Amministrazione Comunale che gli elettori scelsero nei comizi del marzo 1946 ha da tempo compiuto il suo ciclo normale di vita - quattro anni - e continuato non senza difficoltà il suo duro lavoro per altri due anni, in attesa che il Governo si decidesse ad indire le elezioni per la sua rinnovazione.

E' naturale e doveroso che, al termine del mandato, gli amministratori presentino, a coloro che li elessero e alla popolazione tutta, il consuntivo della loro opera, affinché questi possano giudicare se essi hanno mantenuto fede al programma col quale si presentarono ai loro suffragi, considerate le difficoltà incontrate e gli impedimenti che sono stati opposti alla attuazione delle loro determinazioni. La relazione sarebbe incompleta se non venisse integrata dalla enunciazione del piano di attività per il nuovo ciclo di amministrazione qualora, come si confida, il corpo elettorale confermi la sua fiducia agli amministratori popolari.

II

Questo lavoro quindi verrà diviso in tre capitoli: 1) Resoconto delle realizzazioni nelle varie branche della attività amministrativa. 2) Elenco dei progetti non attuati e cause che lo hanno impedito. 3) Programma da eseguire nel prossimo ciclo di amministrazione. Foligno, vitale città di provincia, con 45.000 abitanti, il cui agglomerate urbano ne conta circa 20.000, era, prima della guerra, prospera per la sua attività industriale e commerciale. Ben 5.000 operai lavoravano in modo continuativo e perma¬nente negli stabilimenti cittadini. Infatti 2.500 operai erano occupati presso la fabbrica di aeroplani Società Aeronautica Umbra (A.U.S.A.); 500 circa presso il Carnificio di Scanzano, altri 500 presso le Officine Ferroviarie, e circa

altrettanti, una parte per tutto l'anno e il resto per il solo periodo di lavorazione stagionale, presso il locale Zuccherificio. Un altro migliaio trovavano lavoro, e quindi il sicuro sostentamento per le loro famiglie, presso varie piccole e medie industrie, meccaniche e tipografiche, cartiere, molini, pastifici, ecc. Numeroso e fiorente l’artigianato. Davano vita e apportavano benefici economici alla città il 1o Reggimento d'Artiglieria, il Campo di Aviazione con annessa Scuola allievi Ufficiali di aeronautica. La guerra maledetta spazzò la maggior parte dei ricordati complessi industriali e molti impianti civili e militari, oltre a far vittime molteplici fra la popolazione. Circa il 50% delle abitazioni furono distrutte o gravemente danneggiate. La vita cittadina rimase paralizzata per oltre due anni a causa dei forzati sfollamenti durante la guerra e degli impediti ritorni per deficienza di alloggi, al termine del conflitto.

La situazione alimentare gravemente preoccupante, la disoccupazione, la miseria, il disfunzionamento dei servizi pubblici, specie dei mezzi di comunicazione, che hanno sempre costituito l'incremento più efficiente per lo sviluppo della nostra città, le forzate restrizioni allo svolgimento della istruzione elementare e media; questo il quadro che tuttora perdurava quando gli amministratori eletti dai suffragi del marzo 1946 assunsero la direzione del Comune. Che cosa era stato promesso da essi alla popolazione? La ricostruzione della città; ogni sforzo per fronteggiare la crisi dell'alimentazione; il riordinamento delle scuole; il

miglioramento delle condizioni igieniche e sanitarie; l'estensione della assistenza ai malati, ai vecchi, ai bimbi bisognosi; ogni appoggio, nella lotta dei lavoratori della città e delle campagne; la fine dello stato di abbandono in cui erano sempre state tenute le popolazioni. delle frazioni, specialmente montane; una

politica fiscale onesta e giusta; la municipalizzazione dei servizi pubblici. Prima di esporre l'attività amministrativa esplicata va rilevato che il Comune di Foligno è forse il più povero, certamente uno dei Comuni più poveri della Provincia. Esso è privo di qualsiasi azienda industriale o agricola; il patrimonio immobiliare è costituito esclusivamente da fabbricati, in parte notevole distrutti o danneggiati dalla guerra; tali stabili non sono certo fonte di entrata,. ma anzi rappresentano un onere per il bilancio comunale a causa delle continue indispensabili spese di manutenzione ordinaria e straordinaria e per il fatto che sono per lo più utilizzati per il ricovero di sfrattati e famiglie di indigenti. Gli Enti o istituti di Ricovero e beneficenza hanno patrimoni, modestissimi, di modo che il peso della assistenza sanitaria, del ricovero e della beneficenza, grava in misura rilevante - per non dire esclusiva - sulle finanze del Comune, che deve destinare a tale scopo circa il 25% delle sue entrate ordinarie senza riuscire a disimpegnare, come la necessità richiederebbe, il proprio compito sociale di soccorrere i miseri ed i malati poveri. Nonostante questa deficienza di mezzi e la triste situazione del Comune più danneggiato dalla guerra della nostra Provincia, la Amministrazione ha potuto svolgere un apprezzabile programma sociale e di lavori pubblici nell'interesse della popolazione amministrata. Esponiamo ora quello che è stato fatto nelle varie branche di attività municipale. CASE L'abitazione è uno degli elementi essenziali per una esistenza civile. Foligno e alcune sue frazioni, come Valtopina, Pontecentesimo, Casenove, Sterpete ebbero il 47% delle abitazioni distrutte o danneggiate dalla guerra. L'Amministrazione si interessò per far includere la nostra città nell'elenco di quelle danneggiate, e potè ottenere la costruzione di case per senza tetto per un importo di 106 milioni. Sollecitò l'Istituto Autonomo delle Case Popolari per la ricostruzione di quelle distrutte e la edificazione di nuovi quartieri; ciò che l'Istituto ha fatto per circa 150 milioni di spesa. Sempre per l'incessante interessamento del Comune, che fu scelto quale Ente gestore, sono state costruite o sono in corso di costruzione case per lavoratori per un ammontare di 288 milioni. In

complesso dagli Enti predetti sono stati costruiti 283 alloggi e sono in costruzione altri quartieri. FOGNATURE E IMPIANTI IGIENICI Foligno città era per quasi il 90% delle sue strade priva di fognature, pur esistendo un progetto redatto dall'ing. Cornero per incarico del Comune sin dal 1918.

Palmiro Togliatti parla nella Sala del Consiglio Comunale di Foligno

L'Amministrazione, parte con fondi ordinari di bilancio, parte con mutui, ha quasi completato la rete di fognature in città, inoltrandosi nei più piccoli vicoli ed ha eseguito tratti di fogne anche; in alcune frazioni (Belfiore, Colfiorito, Cave, S. Eraclio, ecc.) per una lunghezza complessiva di dieci chilometri ed una spesa di Lire 66.725.320. Ha costruito o sistemato in città (via Bolletta, presso Porta Todi, Cipischi) nei sobborghi e frazioni 28 lavatoi, per lo più coperti e dotati di acqua igienica e 8 impianti igienici pubblici, in alcuni luoghi anche con docce, per una spesa di oltre 7 milioni. Ha restaurato o costruito ex novo forni pubblici nelle frazioni di Corvia e Budino per circa 500.000 lire. STRADE II territorio del Comune di Foligno, assai estesa e comprendente oltre 40 frazioni, è deficiente di vie di comunicazione sia fra frazioni e capoluogo come fra frazione e frazione e dove queste strade esistono non sono agevolmente praticabili. Era necessarie migliorare la viabilità nel territorio comunale come quella entro la città.

L'Amministrazione ha aperto al traffico o sistemato km. 37,640 di strade. Ha creato o sistemato in città il Viale Marconi, viale delle Grazie, via S. Giovanni dell'Acqua, il viale XVI giugno. Ha iniziato la costruzione del nuovo Corso, l'arteria che darà respiro al transito entro Foligno. Ha provveduto alla sistemazione delle vie cittadi-

I comunisti alla guida del Comune di Foligno Per le amministrazioni degli Enti locali l’immediato dopoguerra è stato un periodo tragico, ma anche eroico. Tragico perché i nuovi amministratori dell’Italia libera si sono trovati davanti un paese che, già povero e arretrato, aveva subito immani devastazioni dalla guerra e questo sia dagli eserciti tedeschi in ritirata che distruggevano ogni residuata struttura produttiva e infrastruttura, sia per la violenza degli eserciti liberatori che a volte hanno ampiamente superato le necessità belliche con azioni vendicative e di vero terrorismo ai danni della popolazione civile, come il bombardamento del quartiere di San Lorenzo a Roma (3.000 morti in due incursioni aeree) o il tentativo di incendiare Milano (sorte toccata alla città tedesca non militarizzata di Dresda). Dopo il passaggio del fronte il 50% quasi delle abitazioni e degli edifici pubblici risultava distrutto e quasi il 100% delle insediamenti industriali. Questa è la situazione che si trovarono a dover affrontare le prime amministrazioni democratiche, in un paese ancora occupato

e giustamente (questa era la pena dei vinti) emarginato dal sistema politico ed economico dei paesi vincitori. Ma tra i vincitori c’erano anche alcuni italiani, quelli che non si erano sottomessi, accodati o collusi con la dittatura fascista e l’avevano combattuta nelle carceri come sulle montagne: erano i comunisti. A loro per primi toccava il compito, l’onore e l’onere, di ricostruire il paese. E questo avvenne anche a Foligno con la prima amministrazione democratica post fascista guidata dal partito comunista. Da allora, da quegli anni in cui non c’erano sufficienti beni alimentari, case, fogne, strade e soprattutto posti di lavoro, la nostra città ha fatto una lunga, lunghissima strada. Per comprendere come ciò è stato possibile, come è stato possibile risalire dalla devastazione e dalla povertà quasi assoluta al livello di benessere di cui oggi godiamo (anche se lo vediamo ogni giorno diminuire e a rischio di precipitare) bisogna ricordare quei primi anni, bisogna ricordare l’impegno, il coraggio, l’intelligenza degli amministratori di quegli anni.

Dal 1946 al 1966 Foligno è stata amministrata da una giunta guidata dai comunisti che è stata in grado, per le sue qualità, per il rapporto di intelligenza e di fiducia stabilito con i cittadini tutti, di resistere ai ricatti e alle pressioni dei così detti “poteri forti” dall’ostilità del governo nazionale, a prepotenza del sitema bancario e del padronato industriale, sino alla sorda ma incessante ostilità della chiesa. Nel 1966 il tradimento dei socialisti (già nel 1921 Gramsci affermava che in Italia c’era il peggior partito socialista d’Europa) consegnò la città a una amministrazione di così detto (allora) centrosinistra partecipato dalla democrazia cristiana. Fu comunque un periodo breve, alle successive elezioni i comunisti tornarono al governo della città e vi rimasero ancora a lungo, ancora almeno finché continuarono a chiamarsi comunisti. In questo inserto vogliamo ricordare quel periodo, tragico ed eroico, del primo governo comunista della città di Foligno, perché per costruire il futuro bisogna anzitutto ricordare il passato (quando lo merita!).

SCUOLE A causa degli eventi bellici erano quasi inservibili tutti gli edifici scolastici della città occupati per lungo tempo dalle truppe. Il materiale di arredamento era andato quasi completamente distrutto, o asportato, o resoinservibile. Le scuole delle frazioni erano state quasi tutte occupate da famiglie sfollate dalla città. Durante l’attuale Amministrazione si è provveduto a ripristinare tutti gli edifici scolastici della città e furono riaperte tutte le scuole delle frazioni. Si è provvedutp a costruire i seguenti nuovi edifici scolastici:casenove, Maceratola, S. Eraclio, Annifo. Volperino, Vescia. Si è provveduto alla ripresa dei lavori di costruzioe della nuova sede dell’Istituto Tecnico. Sono in programma di costruzione i seguenti edifici scolastici: Fiammenga, Colle S. Lorenzo, Popola, Uppello, Scopoli, Pale e presso le Case operaie in cui non esistono ambienti idonei per l’istruzione elementare e i cui abitati

reclamano, giustamente, decenti e igienci locali scolastici. Attaulemnet tutt ele scuole sono funzionanti, ma oc-

corre modernizzare l’arredamento di fortuna. SERVIZI AUTOMOBILISTICI Foligno è capolinea di varie corse automobilistiche che lo collegano col capoluogo e con i centri principali della Provincia nonché con le frazioni ed il suburbio. Per facilitare l'attesa dei viaggiatori, le operazioni di partenza e di arrivo, l'Amministrazione Comunale ha iniziato la costruzione di una nuova stazione di autobus mediante sistemazione del piazzale in località allo scopo, prossimo alla stazione ferroviaria e nel luogo di maggior traffico stradale, costruendo pensiline e sostenendo una spesa di Lire 5 milioni.

RICOSTRUZIONE DI OPERE PUBBLICHE DISTRUTTE O DANNEGGIATE DALLA GUERRA Anche per interessamento della Amministrazione Comunale fu sollecitamente ricostruita 1a nostra Stazione Ferroviaria. E' stato ripristinato, nella maggior parte, lo storico Palazzo Trinci, ove ha ritrovato sede la Biblioteca e la Pinacoteca e ove verranno sistemati

l'archivio notarile, il museo archeologico ecc. Lo Stato ha speso a Foligno circa 1 miliardo: circa 700 milioni per opere pubbliche danneggiate, circa 300 milioni per le case dei senza tetto, reduci, ecc. e lavori a sollievo della disoccupazione. Sono stati ripristinati molti dei capannoni e palazzine dell'ex carnificio di Scanzano acquistato dal Ministero delle Poste e Telecomunicazioni, che ne ha iniziato la utilizzazione per vari usi, che indubbiamente andranno aumentando e concentreranno in quella zona un rivelante numero di impiegati, operai ecc. della Amministrazione: postale. E' imminente la ricostruzione della Pescheria in piazza del Campanile per un importo di L. 16.000.000, in attesa della integrazione con il mercato coperto. Furono sollecitamente riparati i gravi danni che la guerra produsse al nostro Mattatoio, uno dei più attrezzati della Provincia, ma che ha bisogno di essere al più presto migliorato. E' in via di ricostruzione la Caserma di Artiglieria. Sono finora stati appaltati lavori per 150 milioni che consentiranno il prossimo ritorno a Foligno di una importante unità militare. Furono pure eseguite notevoli opere di riparazione alle sorgenti di Capodacqua e Acquabianca e altri lavori sono già stati appaltati e avranno prossimo inizio. E' stata completata la ricostruzione del Carce-

Dignità del lavoro, democrazia e partecipazione nel 1946!

Umberto Terracini, Presidente dell’Assemblea Costituente, con il Sindaco di Foligno Italo Fittaioli

Solo dando una dignità al lavoratore, a qualsiasi grado e categoria egli appartenga, si può ottenere che dia la sua collaborazione e si può esigere correttezza e miglioramento delle sue capacità. Questo è un aspetto di fondamentale importanza nel caso particolare di una Amministrazione comunale, giacché a ciò che è il diritto di chi lavora, fa riscontro il diritto della cittadinanza tutta, al servizio della quale sta appunto il personale comunale. Mentre si è chiesto e ottenuto che questo usasse un comportamento educato verso il pubblico, specie quello meno colto, e in particolare nei confronti degli abitanti della campagna e della montagna, cui è stato riconosciuto titolo di precedenza nella esplicazione delle loro pratiche, si è cercato di migliorare la con-

dizione giuridica ed economica dei dipendenti comunali. Fra le prime cure dell'Amministrazione va annoverata quella della modifica del regolamento organico, ispirato a questi principi. Equiparazione del trattamento economico del personale maschile e femminile, in quanto a parità di funzioni, secondo lo spirito della Costituzione repubblicana, deve corrispondere parità di retribuzione. Miglioramento nello sviluppo della carriera e delle retribuzioni. Riconoscimento giuridico del Sindacato e delle Commissioni interne. Democratizzazione dell'apparato burocratico, immettendo in ogni commissione che interessi il personale, uno o più rappresentanti sindacali. Per quanto riguarda il trattamento economico va segnalato che oltre a con-

cedere al personale tutti i miglioramenti, che gli Enti locali avevano facoltà di accordare, l'amministrazione ha esteso a tutto il personale impiegatizio e salariato, qualunque sia la anzianità di servizio, trenta giorni di ferie retribuite all’anno, e ha preso fin dal 1948 l’iniziativa consacrata nel regolamento organico, primo fra i Comuni d'Italia, di corrispondere al personale di ruolo che va in pensione, oltre al normale trattamento di quiescenza, la indennità di buonuscita, pari a un anno di emolumenti. Il nostro è stato fra i primi Comuni della Provincia a deliberare la concessione dell'indennità accessoria e, se finora ha potuto corrispondere solo un modestissimo acconto, ciò è conseguenza delle capziose disposizioni governative, che hanno impedito la esecuzione

re Mandamentale adiacente alla Pretura. E molte altre distruzioni sono state riparate, ma c'è ancora da insistere presso le Autorità Statali affinché le ferite prodotte dalla guerra ai nostri edifici pubblici - Teatro Lazzaretto, ecc. siano completamente eliminate. POLIZIA: Al cittadino non occorre certo un grande sforzo di memoria per ricordarsi non solo del cumulo di macerie che ovunque testimoniavano le atroci distruzioni arrecate dalla guerra bestiale alla nostra città, ma quale era l'aspetto delle vie e delle piazze cittadine anche allorché nel 1946 l'Amministrazione prese la direzione del Comune. Unici cartelli indicatori, quelli in lingua inglese.

Ogni marciapiede, ogni angolo di piazza sede di mercato nero o peggio. Pochissimi veicoli targati; le norme di circolazione totalmente ignorate. I vigili urbani oltre a trovarsi di fronte a compiti assai gravi, erano senza mezzi per circolare, senza divise, e per lo più impreparati al disimpegno del loro delicato ufficio. L'Amministrazione democratica dovette affrontare tale problema e lo ha risolto in maniera soddisfacente tanto che ora il corpo dei vigili del Comune di Foligno, per il suo comportamento esteriore e per il tatto con il pubblico, è oggetto di quasi unanime elogio.

dei provvedimenti adottati. L'Amministrazione ha provveduto, nei limiti delle modeste disponibilità di bilancio, alla migliore sistemazione degli uffici e dei servizi. Infine nello spirito del principio : « il Comune al popolo e il popolo al Comune » e inteso a creare una sana e giusta collaborazione fra Amministratori, apparato burocratico e popolazione, ha attuato quei mezzi, istituti e organi, che, se pur non previsti dalla legislazione vigente, rispondono alle esigenze del nuovo regime democratico, sinceramente concepito e attuato. Assemblee popolari al centro e nelle frazioni, istituzione dei delegati del Sindaco nelle frazioni, da integrare con commissioni di villaggio; costituzione di commissioni rionali per l'assistenza; Consiglio Tributario; Comitati cittadini; consulte popolari. Tutti questi organismi e queste forme di maggiore contatto con gli amministrati dovranno essere potenziate, intensificate ed estese.

III


Giuseppe Dozza, il “Sindaco” Ispiratore e guida di tutte le amministrazioni locali guidate dal Partito Comunista... e non solo Giuseppe Dozza nasce a Bologna il 29 novembre 1901. Fra i fondatori del Partito comunista d'Italia, perseguitato dal fascismo espatrierà in Francia e poi in Unione Sovietica da dove tornerà per partecipare alla resistenza nel 1943. Subito dopo la liberazione di Bologna, per volontà del Comitato di Liberazione Nazionale, ne diviene Sindaco, carica che manterrà sino alle dimissioni per motivi di salute nel 1966. Sin dalla Costituente è stato il referente del Partito Comunista in materia di enti locali e la sua esperienza alla guida del Comune di Bologna è stata la guida indiscussa di tutte le amministrazioni progressiste e non solo comuniste, tanto

da farlo considerare universalmente il “Sindaco” per antonomasia. La principale caratteristica della sua linea amministrativa è stata quella della partecipazione dei cittadini con la creazione di organismi di democrazia diretta: i Consigli tributari e le Consulte popolari cittadine. I Consigli tributari, primo esperimento in Italia, coniugavano il bisogno di autogoverno con il principio di "tassazione progressiva" e con quello di controllo dei cittadini nel reperimento delle risorse. Erano composti da eletti dal consiglio comunale in rappresentanza di tutte le categorie economiche e sociali. Il loro compito era quello di

gestire l'applicazione dell'imposta di famiglia; quell'imposta che colpiva il superfluo, cioè la parte di reddito complessivo eccedente il fabbisogno fondamentale di vita del nucleo famigliare. I consiglieri tributari disponevano poi di un corpo di agenti tributari che avevano il compito di indagare sulla massa dei contribuenti per scoprire gli evasori totali o parziali. La gestione dei tributi voleva essere un "casa di vetro" non solo in senso metaforico, gli uffici della ripartizione tributi, compresa la stanza dell'assessore, vennero separati dagli altri e racchiusi fra pareti trasparenti, attraverso le quali i cittadini potevano "vedere" come si

lavorava sui loro redditi. Le Consulte popolari cittadine volevano offrire ai bolognesi un surplus di democrazia sul principio che la partecipazione non si doveva esaurire nel solo diritto di voto, ma doveva disporre di uno strumento di controllo, continuo e costante sull'operato degli eletti. Le Consulte nascono nel 1947, non sulla base di un provvedimento istituzionale, ma attraverso atti informali ispirati dalla giunta e dai partiti, comunista e socialista, che la componevano. Erano composte dai cittadini più rappresentativi di ciascuna categoria sociale nei rispettivi quartieri e discutevano su tutti gli argomenti

Giuseppe Dozza, Sindaco di Bologna Italo Fittaioli, Sindaco di Foligno

dell’amministrazione cittadina, dalla illuminazione o dalla pulizia delle strade del quartiere al piano regolatore. I loro deliberati venivano recepiti dalla giunta comunale

della quale faceva parte un apposito assessore alle Consulte Popolari, in pochi anni divennero dei propri municipi decentrati degli uffici comunali.

La lega dei Comuni democratici Due grandi Sindaci comunisti Dalla resistenza, sotto la guida del PCI, rinasce l’autonomia degli Enti locali

IV

La nascita della Lega avvenne in occasione del congresso degli amministratori locali comunisti svoltosi a Firenze il 27 dicembre 1947. La scelta del luogo rispondeva a precise ragioni politicoistituzionali legate alla Resistenza: “Se mai c’è stata nella storia unitaria una congiuntura nella quale la prospettiva della rifondazione dello Stato su basi autonomistiche, cioè della restituzione del potere dal centro alla periferia, si sia delineata, essa si chiama Resistenza. Se mai c’è stata una fase di questa nella quale la prospettiva abbia acquistato nei fatti precisione di contorni istituzionali, essa va vista nella seconda metà del1944. Se mai c’è stato un luogo nel quale allora si siano poste le premesse del mutamento, esso deve essere individuato in Firenze, città e capoluogo riconosciuto dell’intera Toscana. Se mai c’è stato in quel contesto un soggetto politico, che come tale abbia apprezzato, assunto e propugnato la causa del capovolgimento della struttura dello Stato accentrato e della sua ricostruzione dal basso, esso non si può che identificarlo nel Comitato toscano di liberazione nazionale” Nella Toscana del secondo dopoguerra, fucina di progetti di riforma istituzionale, a essere al centro dell’attenzione dei partiti della sinistra, e soprattutto dei comunisti, non furono progetti propagandistici, puramente antagonisti rispetto alla politica del governo ma, soprattutto, i concreti problemi del governo locale e quelli della formazione degli amministratori. In questo contesto fu di particolare importanza l’attività della Lega. Specie dopo il 1948, infatti: “la Lega diventa sempre più il centro promotore e coordinatore dell’iniziativa delle amministrazioni di sinistra,

non tanto in opposizione alla politica governativa […] quanto in funzione di una politica alternativa dei poteri locali, volta a soddisfare i bisogni primari della popolazione, ad attivare e potenziare i servizi pubblici essenziali, ad affermare l’effettiva autonomia della vita amministrativa contro le pesanti ingerenze dell’autorità statale”. Nella seconda tornata delle elezioni amministrative, svoltesi il 10 novembre 1946, le sinistre ottennero un notevole successo conquistando le amministrazioni comunali di Torino, Genova e Firenze, e poiché nella tornata primaverile avevano già conquistato quelle di Milano, Bologna e Venezia si veniva a delineare un quadro nel quale comunisti dirigevano tutte le maggiori città dell’Italia centrosettentrionale; su 7.319 comuni esistenti più di 3.000 erano quelli amministrati dal partito comunista. Nell’Italia del Nord su 57 comuni con più di 30.000 abitanti 40 erano retti dalla sinistra, nel Centro erano 23 su 27. L’esclusione dei partiti della sinistra dal IV Governo De Gasperi, consumatasi a Roma alla fine di maggio del 1947, segnò la fine dell’unità dei partiti del Cln a livello nazionale ed ebbe ripercussioni pressoché immediate nella vita dei comuni democratici. “La forza democratica dei Comuni sta nella loro unione. Anche per i Comuni il Governo di parte che è stato costituito può rappresentare più di un pericolo: troppe leve sono nelle mani dell’alta burocrazia perché non si debba temere che esse potranno essere adoperate a scopi elettoralistici o di oppressione, con l’assoluta violazione dei veri interessi delle popolazioni. Ebbene, se questo si verificherà, i Comuni facciano sentire la loro voce e gridino forte che è finito

il tempo di Giolitti o di Mussolini e che la libertà non è stata riconquistata, con il sangue di tanti italiani, perché di essa venisse fatto scempio”. E il partito si mosse. Nell’aprile del 1947, nelle settimane che precedettero l’esclusione della sinistra dal Governo nazionale, mentre la lotta politica diveniva via via sempre più aspra, la direzione del Partito comunista avvertì la necessità di dotarsi di una rivista per i propri amministratori locali. Le ragioni che portarono a questa pubblicazione erano, ufficialmente, di carattere tecnico: “un numero elevato di autentici lavoratori” era stato eletto nelle assemblee locali e “L’Amministratore democratico. Bollettino mensile di orientamento e d’informazione. Edito a cura del centro di consulenza per gli enti locali del P.C.I.” intendeva aiutarli “efficacemente”. La nuova rivista rivolgeva la propria attenzione più decisamente verso questioni di carattere generale. Ospitava articoli di informazione sugli avvenimenti di politica nazionale, sui lavori della Costituente in materia di enti locali, sulla finanza locale, sulle riunioni di sindaci ed amministratori di partito a livello locale e nazionale, ma non mancavano articoli su specifiche questioni di amministrazione locale e, più in generale, su problemi di governo. Erano molto numerose le notizie sulla finanza locale, in particolare sul risanamento della finanza di comuni e province e sulla gestione dell’imposta di famiglia. Erano molti poi gli articoli in difesa degli amministratori della sinistra contro i soprusi del Ministero dell’Interno e sugli specifici organi di consultazione dei cittadini istituiti dalle amministrazioni di sinistra.

nella città di Marchionne Celeste Negarville

Nato ad Avigliana (Torino) il 17 giugno 1905, deceduto a Roma il 18 luglio 1959, operaio, dirigente e parlamentare comunista. A Torino, dove è stato il primo sindaco eletto dopo la Liberazione, anche molti suoi compagni (stando attenti a non farsi sentire da lui), lo chiamavano - per la distinzione e la finezza del tratto - "il marchese". In realtà Ne-

Diego Novelli

Sindaco di Torino per dieci anni, dal 1975 al 1985, comunista non pentito descrive il suo autoritratto con poche righe nell’incipit del suo libro: “Come era bello il mio Pci” : “Non sono un apostata come Giuliano Ferrara. Non mi sono iscritto al Pci per combattere il comunismo, come ha dichiarato Piero Fassino. Il partito di Berlinguer e il Pci per me erano la stessa cosa, contrariamente a quanto vorrebbe far credere Walter Veltroni. Non è vero che non sono mai stato comunista, come ora dice di sé Claudio Petruccioli. Sono stato comunista non solo

garville (che qualcuno abbreviava familiarmente in "il Nega"), così come il fratello minore Osvaldo, aveva lavorato in fabbrica, da operaio, sin da ragazzo. Durante la Prima guerra mondiale, interrotti gli studi secondari, era entrato alla Diatto e poi alla Spa e alla Giacchero e aveva partecipato alle prime lotte operaie. Nel 1920, durante l'occupazione delle fabbriche, fu "guardia rossa" e nel 1922 divenne segretario della Sezione comunista torinese di Borgo San Paolo. Nel 1928, viene condannato dal Tribunale speciale a 12 anni di reclusione per ricostituzione del Partito comunista; è scarcerato nel 1934 e ripara in Francia e poi a Mosca, come membro del "presidium" dell'Internazionale giovanile comunista. Dopo la caduta del fascismo torna in Italia e rappresenta i comunisti nella giunta militare del

Comitato di Liberazione Nazionale. Primo direttore de l'Unità legale, Negarville è nominato membro dell'Alta Corte di Giustizia. Sottosegretario agli Esteri nel Governo Parri e poi nel primo Gabinetto De Gasperi, è eletto tra i costituenti. "Il Nega" - come ricorda Diego Novelli nel suo libro Com'era bello il mio Pci (Melampo editore, 2006) - nelle patrie galere aveva fatto una 'università speciale'. "Conosceva a memoria tutti i canti dell'Inferno, del Purgatorio e del Paradiso... Ci esortava a studiare dicendoci: «Ricordatevi, l'istruzione è obbligatoria, mentre l'ignoranza è facoltativa»". Non a caso, quindi, il nome di Celeste Negarville compare, nel 1945, tra quelli degli sceneggiatori di quel capolavoro del realismo che è “Roma città aperta” di Roberto Rossellini.

perché avevo in tasca una tessera di partito. E oggi non sono un ex comunista solo perché non ho in tasca una tessera di partito”. Raccontando la storia del comunismo torinese afferma “allora il grande vivaio dei leader del Pci era la fabbrica, soprattutto a Torino. Dalle fabbriche arrivavano non solo operai, ma anche impiegati e tecnici. Diversi dirigenti della Federazione torinese furono paradossalmente eletti da Vittorio Valletta, visto che erano stati licenziati dalla Fiat a causa della loro attività politica. C’era il culto degli operai nelle istituzioni, oggi non se ne vede più neanche uno. Non ci sono operai in parlamento, ma neppure nel Consiglio comunale di Torino. Quei fantastici metalmeccamici torinesi, capaci di rifare i ‘baffi alle mosche’, quegli strenui resistenti comunisti di Mirafiori, quei mitici compagni della Officina 32, il reparto “confino”, la famigerata Osr (officina sussidiaria residui), subito ribattezzata Officina stella rossa”.

Negli ultimi anni del suo secondo mandato di Sindaco scoprì che alcuni componenti della propria Giunta, in combutta con alcuni dirigenti comunali, avevano dato vita a una serie di illeciti e veri e propri reati nella gestione dei loro mandati e incarichi. Approfondì, accertò e denunciò i fatti all’Autorità Giudiziaria provocando un vero e proprio terremoto politico dal qual non restò indenne neppure la credibilità della sua amministrazione e dei partiti che lo avevano sostento. Alle successive elezioni il partito comunista perse il Comune. Alcuni anni più tardi, tuttavia, entrato in vigore il nuovo sistema di elezione diretta dei Sindaci, si candidò di nuovo alla carica di Sindaco sostenuto da una piccola coalizione di sinistra ottenendo oltre il 46% dei voti al primo turno; al secondo, tuttavia, fu sconfitto da una coalizione guidata dal PDS alla quale si erano “compattati” tutti i partiti del centro e della destra terrorizzati dal ritorno alla guida del Comune di un comunista onesto.


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