Dicembre 2012

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Mensile di informazione, politica e cultura dell’Associazione Luciana Fittaioli - Anno IV, n. 7 - dicembre 2012 - distribuzione gratuita

“Prima di giudicare (e per la storia in atto o politica il giudizio è l’azione) occorre conoscere e per conoscere occorre sapere tutto ciò che è possibile sapere” (Antonio Gramsci) “Faremo il possibile per esporre in forma semplice e popolare, senza presupporre la conoscenza nemmeno dei concetti più elementari. Vogliamo farci comprendere dagli operai.” (Karl Marx)


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Sommario del mese di dicembre Non è uno scherzo Contro le politiche di rigore di redazione

pagina 7

Grazie signor Monti! La crisi economica avanza senza pietà di Andrea Tofi

pagina 11

Infiltrazioni mafiose in Umbria Relazione al Consiglio regionale di Salvatore Zaiti

pagina 15

La morale nella politica Ancora sulla questione Goracci di Sandro Ridolfi

pagina 19

Disagio psichico e malattia mentale Vincenzo entra in comunità di Giampiero Di Leo

pagina 23

Le mille e una donna Le contraddizioni del “velo” di Olindo Mussu

pagina 27

Psiconauta... cioè? Autointervista sul teatro (seconda parte) a cura di Roberto Ruggieri

pagina 31

La Paranoia del Porcospino Definizioni di paranoia sociale di Sara Mirti

pagina 35

Il Signoraggio Speculazioni ultraveloci e derivati di Jacopo Feliciani

pagina 39

Somos Ricos - Insula Felix Racconti da Cuba di Sandro Ridolfi

pagina 43

Redazione: Corso Cavour n. 39 06034 Foligno redazionepiazzadelgrano@yahoo.it

Autorizzazione: tribunale di Perugia n. 29/2009 Editore: Sandro Ridolfi Direttore Responsabile: Maria Carolina Terzi Sito Internet:

Andrea Tofi Stampa: GPT Srl Città di Castello Chiuso: 25 novembre 2012 Tiratura: 3.000 copie Periodico dell’Associazione “Luciana Fittaioli”


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Editoriale

“Noi mai come l’occidente”

Hu Jintao

DI

SANDRO RIDOLFI

“Comunismo alla cinese”

S

i è appena concluso il Congresso del Partito Comunista Cinese che ha segnato il passaggio della dire zione del Partito (che sarà seguita nei prossimi mesi da quella del governo) dalla così detta quarta alla quinta ge nerazione: Mao, Deng Xiaoping, Jiang Zemin, Hu Jintao e oggi Xi Jinping. E’ questa una caratteristica del sistema politico cinese nel quale ogni dieci an ni (tempo massimo che prevede co munque una conferma intermedia do po i primi cinque anni) cambia sostan zialmente l’intero vertice del Partito e dello Stato. I leader raggiungono le ca riche massime all’età di circa 60 anni e ne escono sostanzialmente al raggiun gimento dei 70 anni, lasciando ogni in carico nel Partito, nello Stato, nel l’esercito, seppure entrando, se ne hanno acquisito l’autorità politica e morale, nel così detto “olimpo dei sag gi” (noi li chiameremmo “padri della patria”), ma senza più alcun potere che non sia, appunto, quello morale. L’evento è a uno stesso tempo “epoca le” e di ordinaria “continuità”. Epocale: per il ruolo straordinario che assunto in questo secolo la ex sottosviluppata e marginale Cina nel sistema economico e politico dell’intero Mondo; continui tà: perché il passaggio generazionale realizza un processo iniziato sin dal l’insediamento della precedente gene razione e così a ritroso sin dalla nascita della Repubblica Popolare del 1948 e ancora più indietro sin dalla fondazio ne del Partito Comunista del 1921, per risalire agli interi 5 mila anni di storia della civiltà cinese. Per comprendere tale apparente contraddizione tra rin novamento e continuità bisogna en trare nella cultura di un continente an cora a noi, alla nostra diversa cultura occidentale, sconosciuto e soprattutto ostinatamente rifiutato di studio e ri conoscimento. Il tema è vastissimo e

assai dicile da comprendere a fondo e quindi, ancor più, da spiegare. Que sta piccola rivista marxista non ha l’ar roganza di voler spiegare un fenomeno così vasto, ma ha certamente la prete sa di volerne rappresentare almeno l’importanza e con essa stimolare un approfondimento serio, privo di ottuse pregiudiziali e attentamente scientifi co. Prima però di affrontare il “feno meno” Cina/comunismo cinese (ter mini che oggi costituisco un “unico” inscindibile), appare doveroso e neces sario fare una premessa metodologica di approccio scientifico marxista che, come si vedrà di seguito, trova la sua conferma proprio in un caposaldo del marxismo cinese quello della afferma zione del “comunismo alla cinese”.

Conoscere per giudicare

L

e democrazie come le rivoluzio ni, comprendendo in questi due termini la vastissima materia della partecipazione popolare al gover no delle comunità, non si esportano. Lo sappiamo bene (o almeno dovrem mo saperlo) avendo a mente la barba rie delle più recenti false “guerre de mocratiche” occidentali (leggi USA e suoi sudditi), finalizzate in verità alla conquista del petrolio e delle materie prime in genere; ma anche gli infelici tentativi dei pure onesti esperimenti rivoluzionari tanto borghesi (pensia mo all’esportazione, per lo più fallita, degli ideali della rivoluzione francese della fine settecento), quanto comuni sti (pensiamo alle esperienze fallimen tari del Che in Congo e in Bolivia). La democrazia (utilizziamo per il mo mento un termine assolutamente ge nerico senza volerla qualificare nei suoi innumerevoli e a volte diversissi mi contenuti sostanziali), così come la rivoluzione proletaria, non può che nascere dall’interno di ogni singola co munità (Paese in termini di aggregato etnico e culturale), in quanto deve es sere il risultato di un percorso di cre scita economica e culturale delle sin

gole specifiche comunità. In questo percorso di crescita interna, ambedue le forme politiche, assumono caratte ristiche proprie e uniche, pertanto non ripetibili pedissequamente in altri di versi contesti. Il marxismo ci insegna che il materialismo scientifico non è un dogma e, dunque, si evolve, si arric chisce nel tempo e nei luoghi dai quali assorbe e rielabora le caratteristiche particolari. Pensiamo alla straordinaria differenza tra il comunismo “alla ma niera cinese” con quello “alla maniera cubana”, così lontani tanto nelle forme che nelle modalità attuative, apparen temente contraddittori tra di loro, ep pure appartenenti allo stesso pensiero scientifico, allo stesso percorso di libe razione dell’uomo per la costruzione della società degli uguali comunista. Muovendo dal principio marxista della base economica che produce le idee di società Lenin insegnava a essere tutti “amministratori” per costruire, appun to, la base economica dello Stato socia lista; il Ministro dell’Industria cubana, Ernesto Che Guevara, incitava a pro durre beni per procedere nella costru zione della società socialista; Deng Xiaoping, col suo “non importa il colo re del gatto, l’importante è che prenda il topo”, apriva alla vorticosa crescita economica cinese. Nessun marxista, e dunque chi scrive, intende non solo proporre, ma neppure pensare che il pur straordinario successo del “comu nismo alla cinese” sia esportabile altro ve, sia nel sottosviluppato terzo e quar to mondo, sia nel nostro occidente al collasso economico, sociale e morale. Se ci sarà un comunismo in Italia (Eu ropa), questo dovrà essere “alla manie ra europea”: né ex sovietico, né cubano caraibico o sud americano, né cinese, indocinese, nepalese e quant’altro. Ma, ci insegna Gramsci “Prima di giudicare (e per la storia in atto o politica il giu dizio è l’azione) occorre conoscere e per conoscere occorre sapere tutto ciò che è possibile sapere”. Proviamo dun que a entrare con modestia e attenzio ne nell’ “universo” del “comunismo al la cinese”.


4 Il “Mondo” Cina

P

rima però dovremmo fare un’operazione il più possibile “liberatoria” dagli schemi mentali, ancor prima che culturali, consolidati nella nostra storia occi dentale. Per capire il “comunismo alla cinese” dovremo prima provare a capire il “Mondo” Cina, perché di un Mondo si tratta. Un Mondo “al tro” rispetto al nostro; un Mondo che ha avuto una sua storia pluri millenaria assolutamente autono ma dalla nostra; figurativamente potremmo dire un altro Pianeta ge mello ma separato da quello che noi conosciamo, abbiamo vissuto e viviamo. Nel precedente numero di luglioagosto abbiamo pubblicato un inserto, intitolato “Futuro”, de dicato proprio a un approfondi mento del Continente Cina. In quell’inserto abbiamo riprodotto un articolo firmato da un giornali sta inglese particolarmente esperto in cultura cinese, Martin Jacques, e un estratto dal libro “Maonomics” sugli aspetti culturali, politici e so ciali dell’esplosione dell’economia cinese scritto dell’economista Lo retta Napoleoni. Vi invitiamo a ri leggere quei due contributi estre mamente utili per comprendere il contesto storico culturale nel quale si è svolto il Congresso del PCC in esame. Per quanto più pertinente e utile alla migliore comprensione del presente articolo faremo una breve citazione specificamente mi rata al rapporto intercorrente tra il Stato e il popolo cinese, avendo ben presente che in Cina Stato e Partito sono quasi sinonimi, non tanto in termini di occupazione da parte del Partito delle funzioni dello Stato, quanto, come appresso meglio dire mo, per la oggettiva dimensione di partecipazione democratica che in teressa il Partito, tale da farne ben più di una avanguardia, bensì quasi una sintesi dello Stato a livello pro gettuale e programmatorio, per dir la con Gramsci: la testa pensante collettiva, il “moderno Principe”. “Il terzo luogo la relazione tra lo Stato e la Società cinese è molto di versa da quella occidentale. Lo Stato cinese gode di maggiore legittimità ed autorità tra i Cinesi di quello che

Editoriale succede in un qualunque Paese dell’Occidente. Ci sono due motivi. In primo luogo, lo Stato in Cina ha un significato molto speciale come rappresentante, come corpo e guar dia della Civiltà Cinese, dello Stato Civiltà. Questo è il livello a cui arri va in Cina, un ruolo quasi spirituale. La seconda ragione: mentre in Euro pa il potere dello Stato viene conti nuamente sfidato – ad esempio, dal la chiesa, da settori dell’aristocrazia, dalla borghesia, e così via – per mille anni il potere dello Stato cinese non è mai stato messo alla prova, non ha mai avuto seri rivali. Il risultato è che i Ci nesi hanno una vi sione diversa dello Stato. Dove noi ten diamo a vederlo co me un intruso, uno straniero, certamen te un organo i cui poteri vanno limita ti, i cinesi vedono lo Stato come una per sona stretta, come un membro della fa miglia, anzi, come il capofamiglia, il pa triarca della fami glia. Questa è la vi sione cinese dello Stato, molto ma molto diversa dalla nostra.” Compresa la percezione che i cinesi hanno del lo ro Stato/Partito passiamo ora ad analizzarne il profi lo della straordina ria partecipazione democratica comu nista

100 milioni di iscritti

I

l Partito Comunista cinese, co me tutti i partiti leninisti, fonda la sua organizzazione sui princi pi del “centralismo democratico” del quale abbiamo trattato in prece dente inserto, dedicato proprio a questa forma di democrazia, pub

blicato nel numero di ottobre di questa rivista. Questi in sintesi i principi del centralismo democrati co: 1) carattere elettivo e revocabile di tutti gli organi di partito dalla base al vertice; 2) tutte le strutture devono rendere conto regolarmen te del loro operato a chi li ha eletti e agli organi superiori; 3) rigida e responsabile disciplina nel partito, subordinazione della minoranza al

la maggioranza; 4) libertà di critica e autocritica all'interno del partito; 5) le decisioni degli organi superiori sono vincolanti per gli organi infe riori. Oggi il PCC conta poco meno di 100 milioni di iscritti, circa l’8% dell’intera popolazione e circa il 15% della popolazione attiva in ter mini di partecipazione politico am ministrativa. Precisiamo subito che


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Editoriale la tessera del Partito Comunista in Cina non si “acquista” con cinque o dieci euro, non la si trova a sorpre sa nella cassetta delle lettere o ad dirittura si scopre di averla, cioè di essere iscritti nelle liste di un de terminato partito, senza neppure saperlo, come accade per molti dei così detti partiti democratici, liber tari, ecologisti, perbenisti, ecc. ita liani. L’iscrizione al PCC è un titolo

di merito, il risultato di un percor so d’impegno e al tempo stesso l’as sunzione di un impegno di parteci pazione a tutti i livelli della vita po litica, amministrativa, sociale e cul turale dei “meritevoli” membri del grande partito di Mao. 100 milioni circa di cinesi si trovano dunque più o meno quotidianamente impe gnati a svolgere il loro compito po

litico nei vari ruoli, luoghi e conte sti sociali. Facciamo un’astrazione e immaginiamo che nella nostra città che conta 60.000 abitanti ci siano circa 5.000 persone che sta bilmente si occupano e si impegna no nelle vita politica, amministrati va, culturale e sociale in genere. Onestamente, guardandoci attor no, riusciremmo a superare il nu mero di 100? Improbabile. Come definiremmo, nel caso come detto di pura fantapolitica, una partecipazione politi ca e sociale quotidia na di 5.000 folignati? Un sistema assem bleare, quasi plebisci tario, assimilabile all’Atene dell’età di Pericle. Eppure noi chiamiamo democra zia la nostra gravissi ma assenza di parteci pazione popolare e dittatura, anzi “regi me”, una situazione macroscopicamente opposta come quella cinese. Lo pensiamo, e purtroppo lo dicia mo anche (per fortu na non tutti!) perché focalizziamo la lettu ra della partecipazio ne democratica nel ri to della periodica de posizione di una sche da in un’urna. Demo crazia è dunque per noi, non partecipazio ne attiva e fattiva alla vita sociale, ma la li bertà di apporre una croce su una delle tante schede che, co me si dice, “ogni due per tre” ci vengono messe in mano assie me a una matita co piativa. Riportiamo quest’ultimo evento in Cina e proviamo a molti plicare il 15% degli aventi diritto al voto iscritti al PCC per un certo nu mero di familiari, amici o cono scenti solidali e avremo il sorpren dente risultato di almeno un 50% di aventi diritto al voto cinesi pronti a mettere una croce sulla scheda del PCC. Se poi prendiamo a paragone

le sempre più irrisorie percentuali dei cittadini che nel nostro demo cratico occidente esercitano effetti vamente il diritto di voto, percen tuali che, ce lo insegna l’ultima ele zione in Sicilia o quella per il Presi dente USA, non superano nemme no la soglia del 50%, in Cina avrem mo un 100% di voti (votanti) al PCC! E’ solo una esercitazione reto rica, ovviamente, ma è bene farla per mettere ogni tanto i “piedi in terra e la testa in alto” come ci ha insegnato Marx: è la realtà che pro duce le idee e non solo le idee a creare la realtà

Novità e continuità

V

eniamo ora al discorso con il quale Hu Jintao ha aperto il Congresso a uno stesso tem po facendo il rendiconto dei suoi dieci anni di Presidenza del Partito e dello Stato e di programma per i prossimi anni a venire. Scorrendo la così detta “stampa bene informata” (da chi e di cosa?!) occidentale tro viamo due letture totalmente con trapposte: grandi novità, nulla di nuovo. Nella prima vengono enfa tizzati i passaggi relativi alla lotta alla corruzione, alla democratizza zione del sistema, alle privatizza zioni e all’apertura al mercato (do ve le hanno viste in particolare que ste ultime due affermazioni è un mistero). Nella seconda si ripete la vecchia (ma sempre utile da tirare fuori a ogni momento opportuno) critica del regime chiuso, fossilizza to, ostile ai cambiamenti, ecc. Para dossalmente ambedue le letture so no in parte vere, anche se separate sono ambedue clamorosamente sbagliate. Partiamo dalla seconda: continuità. La Cina, la storia e la cultura cinese, diversamente dalla nostra, non prevede “salti”, cioè fratture tra un’epoca e l’altra, ma si fonda su di un principio di conti nuità millenaria dove il pensiero di Mao si allaccia a quello di Confucio, il pensiero comunista di innesta e quasi fonde con quello buddista (parliamo del buddismo vero diffu so nella quasi totalità dei paesi dell’estremo oriente e non di quello feudale del Dalai Lama Re capo della modesta minoranza tibetana).


6 Una frattura in verità c’è stata nella più recente storia cinese, quella della Grande Rivoluzione Culturale che ha liberato il percorso del “comunismo alla cinese” dall’influenza del comuni smo sovietico krusceviano. Ma in quel caso non c’è stata frattura nella storia della Cina, al contrario c’è stato pro prio il recupero dell’identità e della diversità cinese col rifiuto di un mo dello imposto dall’esterno e dunque lui discontinuo. Il discorso di Hu Jin tao ha seguito un “canovaccio” pluri decennale, del quale potremo trovare grandi parti nel discorso dell’anniver sario del 90° dalla fondazione del PCC, in quello dell’anniversario del 60° dalla proclamazione della Repub blica Popolare, sino a quello della fine del primo quinquennio del suo gover no. La lotta alla corruzione, le denun cia delle diseguaglianze economiche, l’esigenza di una maggiore partecipa zione popolare, ecc. sono tutti temi ri correnti con la stessa enfasi in tutti i discorsi citati (cfr. l’estratto del di scorso di Hu Jintao alle forze armate

Editoriale dei primi mesi del corrente anno pub blicato nel numero di ottobre di que sta rivista nell’inserto sul Centralismo democratico). Ma il discorso di Hu Jintao contiene anche delle importan ti novità: la conferma della giustezza della linea politica, e quindi economi ca, sociale e culturale sin qui seguita e dunque ancora da seguire: “noi non diventeremo mai come l’occidente”, che vuol dire che lo Stato continuerà a controllare l’economia per evitare il disastro delle liberalizzazioni, priva tizzazioni e libero mercato che ha tra volto l’occidente; nel senso che conti nueremo a svilupparci controllando e gestendo le contraddizioni che una crescita economica (che prosegue a saggi superiori al 7,5% rispetto ai sem pre più grandi meno dell’occidente) necessariamente produce; nel senso che proseguiremo nella ricerca di una “sviluppo scientifico” anche ecososte nibile senza dimenticare la priorità della soddisfazione delle necessità pri maria del popolo; nel senso che avan zeremo nella costruzione di una socie

Xi Jinping Una vittima delle epurazioni della Rivoluzione Culturale... anzi no, unex Guardia Rossa, il “sosia di Mao” Due anni fa unimportante rivista USA pubblicò una copertina con la foto di Hu Jintao e la didascalia “luomo più potente del mondo”. Con il Congresso del PCC il testimone del potere in Cina passa ora nelle mani di Xi Jinping che per i dieci anni a venire sarà luomo ancora “più potente del mondo” considerando la continuità della forte crescita delleconomia cinese di fronte al collasso di quella occidentale. La stampa occidentale “bene informata” sta cercando almeno da un paio di anni di interpretare la storia e dunque i futuri comportamenti di questo personaggio. Sono infatti due anni che Xi Jinping ha assunto la carica di Vice Presidente che, nella prassi cinese, rappresenta lo scalino di passaggio per la successiva nomina a segretario generale di PCC, presidente della Repubblica Popolare e capo, sostanzialmente, dellEsercito di Liberazione del Popolo. Al riguardo in questi due anni si sono susseguite le più disparate interpretazioni, ma soprattutto “opinioni” (ovviamente sempre “bene informate”). Due anni fa, e sino quasi allapertura del Congresso, il “principino” Xi Jinping, figlio di un importante personaggio della guerra di liberazione popolare molto vicino, allepoca, a Mao, veniva descritto come una vittima delle epurazioni della Rivoluzione Culturale; allontanato il padre dai vertici del Partito, lui stesso era stato spedito nella campagna più remota della Cina ad allevare maiali. Segnato da questa esperienza repressiva e ritenuto vicino alla “cricca di Shangai” (perché poi una corrente del PCC, guidata peraltro dallex presidente Jang Zemin, venga qualificata “cricca” è difficile da capire nel linguaggio della stampa “bene

tà mediamente benestante e armonio sa; nel senso che insisteremo nell’ap pello alla sempre maggiore partecipa zione popolare in parallelo con la cre scita economica e quindi anche cultu rale della popolazione sempre più consapevole dei propri diritti e doveri; nel senso che proseguiremo (purtrop po) anche nel rafforzamento delle no stre capacità militari perché non ci sia più nessun “gendarme del Mondo” che si arroghi il diritto di decidere, con la sua straripante forza militare, cos’è giusto e cos’è sbagliato, cosa è possibile fare e cosa è vietato a “suon di cannonate” (democratiche ovvia mente) per tutti gli altri popoli del Mondo. Queste sono certamente agli occhi dei nostri dominanti occidentali le grandi novità di un gigante econo mico e politico che si pensava destina to a cadere nei nostri stessi vizi e difet ti occidentali e, invece, mantiene e conferma saldamente la sua identità comunista, anzi marxista “alla cinese”. E se provassimo a capire invece di osti narsi presuntuosamente a giudicare?

informata”), veniva considerato un progressista, liberale, ecc. ecc. Allapertura del Congresso le interpretazioni sono improvvisamente radicalmente cambiate e così si legge, sempre dai reportage della stampa “bene informata”, che invece Xi Jinping è un ex Guardia Rossa, lontano dalla corrente così detta più “mercantile” di Shangai, molto accreditato presso lEsercito più ortodosso, fino a meritarsi la definizione di “sosia di Mao”. A questo proposito, peraltro, varrà di evidenziare come la solita “bene informata” stampa estera, che aveva qualche settimana fa anticipato lo scoop della “demaoizzazione” del PCC con lesclusione del riferimento al pensiero di Mao dallo statuto del PCC, ha dovuto prendere atto che Hu Jintao, nel discorso di apertura del Congresso, ha richiamato diverse volte linsegnamento del “Grande Timoniere”. Se il rendiconto dei dieci anni del suo governo presentato dal presidente uscente Hu Jintao contiene anche le indicazioni per il futuro governo (così come è ovvio e comunque chiaro nelle conclusioni della relazione), il suo successore Xi Jinping sarà certamente un maoista ortodosso che “non copierà mai dalloccidente”, contrasterà liberalizzazioni, privatizzazioni e libero mercato e, anzi, come ha chiaramente precisato il suo predecessore: "Dobbiamo fermamente consolidare e sviluppare il settore pubblico dell'economia, permettendo alla proprietà pubblica di assumere forme diverse, approfondire la forma delle imprese di proprietà statale, migliorare i meccanismi per la gestione di tutti i tipi di beni dello Stato e investire capitale dello Stato nei più importanti settori industriali in campi chiave che costituiscono la linfa vitale dell'economia e sono vitali per la sicurezza nazionale." Quello che sarà possiamo solo prevederlo e comunque lo vedremo; ciò che invece possiamo da subito avere per certo è che “per giudicare bisogna sapere”, conoscere i fatti e i dati reali e non sparare opinioni “a cavolo”... (anche se “bene informate”).


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Fantastici

Non è uno scherzo!

(e noi non vogliamo scherzare)

E’ tempo di primarie. Quando questo numero verrà distribuito la prima fase delle primarie del PD si sarà conclusa e quindi non possiamo (ma soprattut to non vogliamo) prevederne gli esiti. Alcuni anni fa sembravano una “ame ricanata”. D’altra parte lo stesso “glo rioso” (senza ironia) ex partito comu nista italiano era finito nelle mani di un “americano de Roma” (questa volta con ironia! Veltroni/Sordi). Oggi sem brano crederci tutti a questo “bagno di democrazia” (sinistra e destra; il cen

tro no, perché oltre a non avere idee, non ha neppure candidati alternativi ad Azzurro Caltagirone/Casini), Quel che in questi ultimi anni è però fonda mentalmente cambiato è che, questa volta, tutti i candidati partono e arri vano (se arrivano) alla pari, perché pa ri è la loro mancanza di progetti. Ogni società, in ogni epoca, ha mille e più problemi da risolvere per il passato o progettare per il futuro. Quello gran de, immenso, talmente vasto da assor bire quasi qualsiasi altro passato o fu

turo che noi stiamo vivendo oggi in tutto l’occidente, è il problema della drammatica crisi economica indotta dalle follie speculative della finanza che ricadono e stanno schiacciando l’economia reale e con essa lo stato so ciale. Nelle pagine seguenti esporremo quindi le idee, analisi, approfondi menti, progetti e impegni che i “Fanta stici 5” candidati alle primarie del PD hanno sottoposto alle valutazioni, cri tiche e condivisioni dei propri elettori. Buona lettura!


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Fantastici


Fantastici

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E’ inutile che tentate di leggere, non serve lente d’ingrandimento, né controluce; le pagine sono proprio bianche, vuote come i pro grammi dei “Magnifici 7” candidati alle primarie del PD sul tema della crisi economica. Certo ci sono piogge, anzi alluvioni di frasi fatte, luoghi comuni, sull’equità sociale, sullo sviluppo ecosostenibile, sul futuro dei giovani e sul presente dei pensionati, sui diritti civili, sulle coppie di fatto e gli omosessuali e chi più ne ha più ne metta. Ma su come affrontare questa crisi, che da economica si fa sempre più sociale, culturale, di civiltà, nessun serio ragionamento o concreta proposta. Finanza, mercati, spread, e contro, in tervento dello Stato, investimenti, spesa pubblica, controllo delle banche, contrasto alla speculazione finanziaria nazionale e mon diale che uccide l’economia reale, nulla. Tutti argomenti lasciati ai “tecnici”, come se la politica non fosse, prima di tutto, il governo dell’economia. Poiché però, come abbiamo scritto nel sottotitolo, non vogliamo (solo) scherzare, nella pagina che segue pubbli chiamo un documento redatto da 120 economisti francesi che suggeriscono al nuovo governo socialista di Hollande l’urgenza e la direzione del radicale cambiamento di rotta, contro un’austerity sbagliata che non salva ma uccide l’economia. Potrebbe essere una buona base per una “seria” proposta politica alternativa (non antagonista, ma almeno alternativa) anche in Italia. Nel prossimo numero della rivista ci proponiamo di aprire un dibattito su cosa pensiamo e cosa vogliamo dalla politica di governo, dal locale al nazionale. Invitiamo quindi tutti i lettori a mandare i loro contributi, li pubblicheremo così come li riceveremo (spazio permet tendo). Facciamo sentire le nostre voci, non limitiamoci a mettere una crocetta sull’ennesima scheda, primaria, secondaria, ecc.


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Fantastici

Più di 120 economisti hanno pubblicato lo scorso 3 ottobre un articolo su Le Monde, ripreso da molti siti di informazione, in cui si pronunciano contro il trattato di bilancio dell’Unione europea. Denunciano un trattato “portatore di una logica recessiva che aggrava gli squilibri esi stenti” e chiedono a François Hollande di non perseguire le politiche di austerità dei suoi predecessori. Dal 2008, l’Unione europea (UE) si tro va ad affrontare una crisi economica senza precedenti. Contrariamente a quanto sostenuto dagli economisti liberisti, la crisi non è dovuta al de bito pubblico. Spagna e Irlanda ora sono sotto attacco dei mercati finan ziari benché questi paesi abbiano sem pre rispettato i criteri di Maastricht. L’aumento dei deficit è una conseguen za della caduta delle entrate fiscali do vuta in parte ai regali fatti ai redditi più alti, degli aiuti pubblici alle banche commerciali e del ricorso ai mercati fi nanziari per finanziare questo debito a tassi di interesse elevati. La crisi è do vuta anche alla totale mancanza di regolamentazione del credito e dei flussi di capitale a scapito dell’oc cupazione, dei servizi pubblici e delle attività produttive. E’ alimen tata dalla Banca Centrale Europea (BCE) che supporta incondiziona tamente le banche private, e invece, quando si tratta di rivestire il ruolo di “prestatore di ultima istanza“, richiede “rigorose condizionalità” di austerità agli Stati. Essa impone loro politiche di austerità e non è in grado di combatte re la speculazione sul debito sovrano, dato che la sua unica particolare mis sione riconosciuta dai trattati è quella di mantenere la stabilità dei prezzi. Inoltre, questa crisi è aggravata dal dumping fiscale intraeuropeo e dal di vieto imposto alla BCE di prestare di rettamente agli stati per finanziare le loro spese, a differenza delle altre ban che centrali di tutto il mondo, come la Federal Reserve degli Stati Uniti. Infine, la crisi è rafforzata dalla debolezza estrema del bilancio dell’Unione euro pea e dal suo tetto al tasso irrisorio dell’1,24% del PIL, con un orientamento che rende impossibile qualsiasi coordi nata e ambiziosa espansione del busi ness in Europa. Francois Hollande, do po essersi impegnato durante la cam pagna elettorale a rinegoziare il tratta to europeo, non gli ha realmente ap portato alcun cambiamento, e, come ha riconosciuto anche Elisabeth Gui gou, ha scelto di proseguire la politica

di austerità iniziata dai suoi predeces sori. Si tratta di un tragico errore. L’ag giunta di un pseudopatto sulla cresci ta, dall’importo effettivamente misero, è accompagnata dall’accettazione della “regola d’oro” del bilancio difesa da A. Merkel e N. Sarkozy. Essa stabilisce che il disavanzo cosiddetto strutturale (al netto delle variazioni dei cicli economi ci) non deve superare lo 0,5% del PIL, cosa che condannerà qualsiasi logica di spesa pubblica futura e porterà ad at tuare un drastico programma di ridu zione del campo di applicazione della amministrazione pubblica. Limitando più che mai la capacità dei paesi di raf forzare le loro economie e imponendo loro l’equilibrio dei conti pubblici, que sto trattato comporta una logica reces siva che aggraverà meccanicamente gli squilibri esistenti. I paesi che soffro no il crollo della loro domanda in terna dovranno ridurre maggior mente la loro spesa pubblica. Dato che numerosi Stati membri sono già in recessione, questo minaccerà ulteriormente l’attività produttiva e l’occupazione, e quindi le entrate del governo, il che alla fine farà au mentare il deficit. Così, l’OFCE preve de già in Francia 300.000 disoccupati in più a fine 2013, per il solo fatto del l’austerità. Nel medio e lungo termine, questo metterà un’ipoteca sulla transi zione sociale ed ecologica che richiede notevoli investimenti. Nel nome di una cosiddetta “solidarietà europea”, il trat tato organizza di fatto una garanzia pubblica per i grandi patrimoni finan ziari privati. Incide sulla pietra delle misure automatiche di austerità impo ste ai rappresentanti del popolo, po nendo dei vincoli alle loro decisioni di bilancio, vincoli dettati da un’istanza di non eletti. Il Meccanismo Europeo di Stabilità (ESM), istituzione antidemo cratica per eccellenza, può essere in grado di offrire prestiti a un tasso leg germente inferiore (5% in media). Ma questi prestiti sarebbero subordinati al l’attuazione di drastiche misure di au sterità imposte al popolo! La garanzia del Governo agli investitori privati

incoraggia solo la speculazione, mentre bisognerebbe stroncarla to gliendole dalle mani il debito pub blico. L’intero edificio poggia quindi sulla condizionalità antisociale impo sta a qualsiasi tipo di assistenza o di in tervento, nonché sul rifiuto di un inter vento diretto da parte della BCE per le nuove spese. La BCE si accontenta di un acquisto limitato di titoli di debito sul mercato secondario, come ha re centemente annunciato Mario Draghi. Centinaia di economisti di tutto il mon do riuniti intorno a Premi Nobel come Joseph Stiglitz e Paul Krugman, hanno ampiamente criticato l’assurdità della politica economica attualmente in atto in Europa. La conclusione è chiara: l’austerità è nello stesso tempo in giusta, inefficiente e antidemocra tica. Siamo in grado di fare diversa mente. Il futuro dell’Europa merita un dibattito democratico sulle soluzioni alla crisi. Oggi in Europa sarebbe pos sibile un’espansione coordinata della produzione, dell’occupazione e dei ser vizi pubblici, in particolare attraverso il finanziamento diretto selettivo e a tassi bassi da parte della BCE alle ammini strazioni pubbliche. Perché l’UE possa attuare questa politica, è urgente rifor mare e democratizzare le sue istituzio ni. Un fondo europeo per lo sviluppo so ciale ed ecologico, a gestione democra tica, potrebbe sostenere questa dinami ca. Inoltre, l’UE potrebbe istituire un controllo della finanza, tra cui il divieto di scambio di titoli di Stato sul mercato OTC, limitando severamente la carto larizzazione e i derivati e tassando i movimenti speculativi di capitali. Le sfide sociali ed ecologiche di oggi sono immense. E’ urgente cambiare rotta per uscire dalla crisi in positivo. E’ possibile annullare il triste record delle politiche liberiste di una Fran cia con 5 milioni di disoccupati e 10 milioni di poveri. Per riuscirci, dob biamo spezzare la morsa dei mer cati finanziari e non alimentarli. È per questo che respingiamo la ratifica del Trattato europeo di stabilità, di co ordinamento e di governance (TSCG).


Grazie!

Grazie signor Monti!

DI

ANDREA TOFI

I tagli del governo e la politica del rigore nei conti pubblici aumentano le imposte per i servizi impoverendo ancora di più le famiglie e bloccando i consumi e l’economia. Servizi pubblici sempre più cari, bollette di luce, acqua e gas in aumento, imposte locali più esose e conguaglio dell’IMU alle porte. E’ questa la situazione delle famiglie italiane alla fine del “tun nel”, come viene definito dal nostro Premier.

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Grazie!

La “crisi economica” avanza senza pietà Anche la nostra regione ed il nostro comprensorio sono oramai nel baratro della recessione: i consumi sono crollati, i negozi so no vuoti e i disoccupati sono in aumento Le nostre famiglie non ce la fanno più! “....l’altro ieri tornando a pranzo dal lavoro mi sono fermato a prendere la posta nella cassatta delle lettere. 267 Euro la bolletta dell’Enel, 146 la bollet ta dell’acqua, al momento ho escla mat: che c..o! Poi ho pensato però che sono fortunato perchè ancora un lavo ro ce l’ho e sono entrato in casa. Mi so no seduto per pranzare e discutendo con mia moglie lei mi fa: sai oggi mi hanno dato il bollettino della mensa scolastica sono 160 Euro, poi ho versa to la quota per le lezioni di inglese, la quota per il progetto di continuità ed ho messo dei soldi per il fondo cassa della scuola, perchè le maestre ci han no chiesto se potevamo contribuire ha comperare del materiale didattico, i bicchieri, la carta assorbente...” Que sta situazione non interessa solo il nostro amico G., purtroppo coinvolge la maggior parte delle famiglie italia ne che si svegliano tutte le mattine per andare al lavoro per permettere ai figli di andare a scuola. I continui tagli alla spesa che gli ultimi Governi han no apportato al bilancio dello Stato, hanno contribuito sicuramente ad impoverire le tasche delle famiglie, ma non hanno evitato gli sprechi nel le Pubbliche Amministrazioni. Ta gliare le spese per i servizi non serve per far quadrare i conti dello Stato, ma per appesantire i bilanci domesti ci. Ridurre drasticamente i soldi per la Scuola, per la Sanità, per i Traspor ti, ma più in generale ridurre le risor se da destinare agli Enti Locali com porta un considerevole aumento delle tariffe per la fruizione dei servizi ed un aggravio di imposte locali per far fronte ai bilanci dei Comuni. Aumen tare il costo dell’abbonamento per l’Autobus, piuttosto che il pasto della mensa nelle scuole, partecipare finan ziando tutte le attività che vengono svolte all’interno dell’istituto scolasti co, incidono in modo considerevole nei bilanci delle famiglie.

La disgregazione dello Sta to Sociale In un precedente articolo pubblicato in questa rivista mi ero soffermato sull’importanza di mantenere uno stato sociale elevato per fronteggiare i disagi economici che la crisi sta provocando. La politica del governo Monti ed in generale della comunità europea sta disgregando purtroppo questo sistema di tutela del ceto più debole ed indifeso. Per loro il primo pensiero è quello di salvare le ban che ed il sistema finanziario; delle famiglie e più in generale delle mi gliaia di persone che ogni giorno fi niscono in povertà non importa nul la. I capitali non si possono toccare, le rendite finanziarie non possono essere tassate, l’accordo con la Sviz zera per la trasparenza bancaria non può essere fatto, ma l’IMU può esse re instituito, l’IVA può essere innal zata, le tariffe per i servizi si debbo no allineare ai costi, la pressione fi scale su chi paga le tasse può au mentare. Per quale motivo a pagare debbono essere sempre gli ultimi,

personalmente mi sento molto vici no al nostro amico G. che ci ha rac contato un brandello della sua quo tidianietà che è l’espressione del di sagio di un padre di famiglia che purtroppo non vede in prospettiva un futuro roseo per i propri figli. Lo sciopero continentale indetto dalla confederazione europea dei sindaca ti contro l’Austerity alla quale vergo gnosamente hanno deciso di non partecipare CISL ed UIL, ha eviden ziato un disagio di proporzioni smi surate che lascia presagire un futuro molto difficile, con i Governi oramai assoggettati al potere “Finanziario” che non hanno altro strumento che ricorrere alla repressione ed alla vio lenza per mettere a tacere il malu more della piazza. C’è stata una fra se della segretaria della CGIL Susan na Camusso rivolta ai suoi colleghi di sindacato in cui li invitava a non scappare dalle piazze, che mi ha col pito profondamente, perchè innesca in me la speranza che finalmente un giorno possa tornare un sindacato forte che tutela i diritti dei più debo li e che non si assoggetta al potere politico.


Grazie!

13 Il dramma di chi deve an che pagare il mutuo

Carrelli della spesa vuoti e sempre più gente si rivolge alla Caritas. Ma lo Stato dovè? Ogni giorno che passa diventa sen pre più difficile fare la spesa, l’infla zione aumenta e nel settore alimen tare addirittura corre, è oramai un miraggio accingersi alle casse di un supermercato e scorgere dei carelli colmi. Se questo fosse l’inzio di una inversione di tendenza al consumi smo che in questi anni ci ha con traddistinto sarei ben felice, ma purtroppo quello che stiamo attra versando è un vero e proprio perio do di recessione, le persone che ri mangono senza lavoro sono sempre di più, la disponibilità economica è sempre più esigua e la gente ha pau ra a spendere perchè non sa cosa gli riserverà il futuro. La contrazione dei consumi sta portando e porterà ancor di più nei prossimi mesi una riduzione di posti di lavoro anche nel commercio, sono molte le realtà che nel nostro territorio hanno fat to già ricorso alla cassa integrazio ne. In questo periodo vengono presi d’assalto i Discount e tutti quei ne gozi dove la gente riesce a rispar miare acquistando prodotti non di marca ad un prezzo più accessibile a discapito alcune volte però della qualità e del servizio. Alcuni giorni

fa su un quotidiano nazionale sono stati pubblicati i risultati di un son daggio commisionato dalla Coldi retti sul comportamento degli ita liani travolti dalla crisi economica: rispetto a un anno fa aumentano le famiglie in difficoltà (una su quat tro) e quasi la metà (il 48%) crede che la situazione peggiorerà. E poi: sei italiani su dieci conservano gli avanzi e li riutilizzano, il 53% ricicla anche gli abiti vecchi. Al supermer cato non si compra nulla di super fluo, si compra meno di tutto e la metà dei consumatori acquista pro dotti in offerta. Nel 2011 oltre 31 mila persone si sono rivolte alla Caritas (per il 70,7% stranieri e per il 28,9% italiani). Rispetto al 2009 sono au mentati del 51,3% gli anziani, del 65,6% i pensionati, del 177,8% le ca salinghe, spiegando come la povertà stesse aggredendo il ceto medio e facendosi un giretto nei mercati rio nali di Roma come il Testaccio, a Trastevere, a Monteverde, non fosse infrequente incontrare persone “normali”, che per anni erano stati clienti abituali dei banchi di verdura e pesce, avvicinarsi con circospezio ne alle casse di rifiuti e prendere una mela bacata, un pomodoro marcio o un carciofo avvizzito. Dal macellaio sempre più persone ac quistano una fettina di carne e poi chiedono gli scarti per un cane o un gatto che non hanno.

La crisi ridisegna i consumi e c’è an che chi per onorare le rate del mutuo si vede costretto a rinunciare al cibo o ai farmaci, ai vestiti o alle spese sco lastiche. È quanto emerge dall’appro fondimento Bankitalia sull’economia delle regioni italiane che per l’Um bria indica un 15% di famiglie con un mutuo casa a carico di un valore me diano di 65mila euro. La rinuncia alle spese domestiche, indotta dai debiti, colpisce di più i nuclei con redditi medi ma in totale si stimano circa tremila famiglie siano attualmente in difficoltà per onorare le rate di un mutuo o di un prestito. I motivi alla base della vulnerabilità finanziaria delle famiglie che hanno un mutuo da pagare sono legati principalmente a due fattori. Al primo posto, «una sfavorevole evoluzione del proprio reddito», dovuta principalmente alla condizione lavorativa del titolare del mutuo. Questo significa che licenzia menti, cassa integrazione e chiusure di aziende, in questi ultimi anni, ri schiano di far impennare la vulnera bilità di tali famiglie anche nelle altre fasce di reddito. L’analisi Bankitalia già indica a rischio anche il 3,8% dei nuclei compresi nella fascia di reddi to medioalto (erano il 2,7% nel 2005). L’incidenza scende invece per i redditi bassi, per le già elevate ri nunce cui sono sottoposti, e per quel li più alti che, invece, possono dispor re di maggior disponibilità finanzia ria e mostrano una maggior frequen za di indebitamento. L’altro fattore di vulnerabilità è invece dovuto dalla crescita imprevista della spesa per in teressi dovuta in questo caso al l’eventuale tasso variabile del mutuo contratto. In un’analisi comparata tra la probabilità di perdere il lavoro nei successivi 12 mesi (rischio interno al la famiglia) e la quota di mutui a tas so variabile (rischio esterno), l’Um bria si colloca in una posizione inter media a livello nazionale, con un va lore che nel primo caso è di poco su periore a due, mentre l’incidenza dei prestiti indicizzati si aggira intorno al 60%. La cosa che più spaventa però le famiglie è la difficoltà per chi ha per so il posto di lavoro di trovare un’oc cupazione stabile che gli permetta di onorare il debito.


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Grazie!

14 Novembre 2012

L’Europa si ribella ai governi delle banche Scioperi e proteste in tutta l’Italia come nel resto d’Europa, con decine di migliaia di dimostranti scesi in strada per manifestare contro le mi sure d’austerità del Governo Monti. Roma è stata come sempre il fulcro delle manifestazioni, con i lavoratori e gli studenti che hanno bloccato le strade cercando di dimostrare la rabbia di un intero paese stremato da continui tagli e nuove tasse. Stes so scenario anche in Portogallo che ha attuato lo sciopero generale con manifestazioni contro l’austerità in 40 città di tutto il paese. Lisbona è rimasta bloccata con la gente scesa nelle strade: la metropolitana è stata chiusa, gli scioperi delle ferrovie hanno lasciato abbandonati a sé stessi i pendolari ed è stata cancella ta metà dei voli. Migliaia di persone, frustrate da una disoccupazione al

15,8 %, si sono riunite di fronte al parlamento portoghese. Gli scontri sono esplosi, quando la polizia ha tentato di liberare a sera le strade di Lisbona. Sono stati riferiti almeno cinque feriti dalla polizia portoghe se, con un dimostrante portato in ospedale. Solo in tarda serata i di mostranti di Lisbona sono stati di spersi. Dopo il vigoroso sciopero di 48 ore della settimana scorsa contro l’austerità, i greci stremati da una crisi economica interna senza prece denti, si sono riuniti in una protesta dai toni pacati ad Atene e hanno in detto una fermata del lavoro di tre ore in solidarietà con gli spagnoli, gli italiani e i portoghesi. La gente ha scandito “Atene, Roma, Madrid, Li sbona – tutti nelle strade!” Contem poraneamente a Bruxelles sono state scagliate uova e mortaretti contro l’ambasciata portoghese, come parte delle proteste di solidarietà, con fol le di gente arrivata al quartier gene rale dell’Unione Europea per mani

festare. Ma anche se le manifestazio ni in Belgio sono state largamente pacifiche, i sindacati sono riusciti a bloccare i trasporti con i lavoratori delle ferrovie che hanno bloccato i treni ad alta velocità in tutto il pae se. La Confederazione Generale del Lavoro francese ha parlato degli scioperi del 14 novembre come del primo “movimento sociale di questi dimensioni” nella storia della UE. La Giornata Europea di Azione e Soli darietà organizzata con lo slogan: “Per il lavoro e la solidarietà in Euro pa. No all’austerità”, ha inteso tra smettere un messaggio ai leader eu ropei affinchè interrompano gli au menti delle tasse e i tagli alla spesa governativa. Ma nonostante la fru strazione e la rabbia montanti della gente, i governi dei paesi della UE colpiti dalla crisi stanno mostrando scarsi segni di voler abbandonare l’austerità che essi ritengono essere il metodo migliore per portare le proprie economie fuori dal debito.


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Mafia

Infiltrazioni mafiose in Umbria

DI SALVATORE ZAITI

“La situazione umbra manifesta i segni di infiltrazioni criminali di stampo ma fioso nell’economia legale…non nella forma classica del controllo pieno, di do minio, del territorio ma nella ricerca di impieghi e attività utili al riciclaggio di enormi quantità di denaro liquido prove nienti da traffico di droga, armi ed esseri umani”. E’ quanto emerge con chiarez za dalla Relazione della Commissione d’inchiesta su infiltrazioni mafiose in Umbria, metodologie di controllo, pre venzione e lotta alla criminalità appro vata con voti unanimi dal Consiglio re gionale il 9 ottobre scorso. Anche il cuore verde d’Italia non è quindi immu ne da quelle contaminazioni che fino a

poco tempo fa sembravano contraddi stinguere le sole regioni del mezzogior no; in tempi recenti ampi territori del nord hanno dovuto pure riconoscere la presenza rilevante di tale fenomeno, con un radicamento così profondo da rivelarsi imbarazzante da parte di quei movimenti politici che della “purezza” ne avevano fatto una bandiera. Ebbene, se non si può parlare di una penetrazio ne mafiosa in Umbria intesa come con trollo totale del territorio mediante la classica organizzazione per cosche è, però, ormai accertata la forte presenza “di una criminalità che agisce nel conte sto di finanziarizzazione dell’economia”. Cosa ancora più grave, e sulla quale oc corre riflettere ben oltre i confini (sep pure istituzionali) di una Commissione d’inchiesta, è il riscontrato atteggia

mento di sottovalutazione del fenome no delle infiltrazioni malavitose nel no stro territorio. “L’Umbria – si legge nella Relazione – non ha anticorpi sviluppati e un vigile controllo sociale nei confronti del fenomeno criminale mafioso, e nem meno l’abitudine a tenere alta la guardia dell’attenzione e del sospetto. Perciò l’Umbria corre il rischio di essere un campo fertile in cui infiltrarsi, acquisire patrimoni, attività con forte flusso di cassa, per operare il riciclaggio dei pro venti delle attività mafiose condotte in altre parti”. Il campanello d’allarme è suonato; ora spetta alle Istituzioni, comprese quelle scolastiche e culturali, alle forze politiche e sociali, agli organi investigativi individuare le iniziative e le azioni di contrasto di tipo preventivo, elevando i necessari livelli di sicurezza.


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Mafia

Relazione al Consiglio Regionale (estratto)

Riciclaggio e reinvestimento Entrando nel dettaglio dei fenomeni cri minali emergono con forza i temi del ri ciclaggio e del reinvestimento. Si sottoli nea una presenza nel territorio che non è diretta e non si manifesta nelle forme più conosciute (estorsioni, pizzo, omicidi) ma nel riciclaggio, che rappresenta per la maggior parte delle audizioni il fattore più pregnante, sia nella percezione del fe nomeno, sia alla luce dei risvolti investi gativi e processuali. Il punto di debolezza, in questo caso, è dettato dalla difficoltà di verificare e provare, anche in sede giudizi aria, l’esistenza del reato, anche perché, in un contesto di crisi come quello attua le, risulta difficile che un imprenditore o un titolare di azienda in difficoltà, possa rifiutare offerte di denaro. A ciò si aggiun ge l’analisi per cui in Umbria è facile rici clare proventi di attività criminose, pro prio perché non esiste ancora la cultura dell’ attenzione cui si accennava prima, perché non ce n’è mai stato bisogno fino ra, motivi che non determinano riflessio ni adeguate sull’origine e la provenienze dei flussi di denaro [...] Emerge, da altre audizioni, che sebbene non ci siano re gioni avulse da fenomeni di infiltrazione mafiosa, l’Umbria, in quanto zona di pre gio, risulta più appetibile per investimenti attraverso i quali riciclare il denaro. Quin di, escludendo l’insediamento tipico delle regioni del sud, viene ribadita la presenza di investimenti e personaggi sospetti, pe raltro attentamente monitorati, che suf fragano l’esistenza del fenomeno, il cui grado di pervasività è però difficile da sta bilire.[...] Sempre in tema di riciclaggio, altro settore su cui porre attenzione risul ta essere quello del gioco. In generale, tut to ciò che ruota intorno ai giochi rappre senta un settore di grandissimo interesse per il crimine organizzato, in quanto for midabile canale di riciclaggio. La norma tiva, in tal senso, sembra facilitare tale processo. Al gioco si associa l’altro canale dei locali notturni: di questi un buon 95% sono destinati allo sfruttamento della prostituzione. Parlando di riciclaggio oc corre tenere in considerazione quella che viene definita “zona grigia”, vale a dire il complesso sistema di connivenze e con vivenza imprescindibili per il radicamen to di stampo mafioso. Non a caso, la vi cenda dei prestanome è legata al settore dell’ edilizia, dei locali notturni e del gio

co. Il prestanome è soggetto che di solito appartiene a una cerchia ri stretta, fidata, e in moltissimi casi at tigua all’ organizzazione. Il prestano me, chiunque sia, è un soggetto che opera nel territorio determinando l’inquinamento della società civile lo cale. [...] Altro importante legame è quello che lega l’usura con il riciclag gio e l’investimento Mentre una volta l’usura puntava ad avere il massimo profitto dal punto di vista della liqui dità, mettendo tassi di interesse più alti possibile, adesso il problema è come riciclare questo denaro. Vi è un cambiamento di metodo rispetto all’applicazione dell’usura: come già spiegato, si fa in modo di portare l’azienda al punto di collasso. Quando non ce la fa più a pagare, senza usare vio lenza o intimidazione, agli imprenditori in difficoltà viene offerta la possibilità di cedere l’azienda. E’ uno dei metodi “mi gliori” per riciclare denaro sporco, diven tano subito proprietari dell’impresa, per poi, dopo un po’ di anni, rivenderla a im prenditori puliti e così il denaro è ripulito. In questo caso il problema sta nell’assen za di denunce. Il fenomeno dell’usura ri schia oggi di acuirsi a seguito della stretta creditizia [...] Uno dei settori più esposti al riciclaggio e all’infiltrazione è senza dubbio il settore societario edilizio. Qui si impiegano enormi capitali e, di solito, ci si avvale di aziende che operano in subap palto. Con questo sistema si assiste all’in gresso dei “caporali” di camorra, che ap plicano un sistema di severo sfruttamen to economico a danno dei lavoratori. Il meccanismo è quello dei subappalti: que sti procedono a catena, poiché a loro volta i subappaltatori ricorrono al subappalto e così a cascata, costituendo una rete di su bappalti assolutamente impossibile da gestire. A ciò si aggiunge la possibilità (questo dicono le indagini in corso) degli appalti formali su carta. Se ad esempio una società appaltatrice subappalta a X, X subappalta a Y, Y non fa nulla, prende il contratto di subappalto e lo gira a un ter zo, ma per questa “girata”  è come se il subappalto fosse un assegno  ottiene un compenso per la mediazione. Si tratta di un processo incontrollabile. [...] Sulle compravendite di immobili è fondamen tale poi il contributo di notai e avvocati che, con le banche e le società finanziarie,

hanno l’obbligo per legge di segnalare fe nomeni sospetti. [...] Tratta degli esseri umani. Sebbene assente in tutte le audizioni, al tro fenomeno caratterizzante la situazio ne umbra è quello della tratta degli esseri umani. Uno studio dell’Università di Trento svolto presso la Facoltà di Sociolo gia circa dodici anni fa, individuava nel l’Umbria, nelle Marche, la bassa Toscana e l’alto Lazio, gli approdi della tratta degli esseri umani. Allora, parliamo degli anni 2000, non era ancora entrata in vigore la legge sulla tratta degli esseri umani, che è del 2003.Tutte le contestazioni delle Pro cure d’Italia e delle Direzioni Distrettuali Antimafia fondavano le accuse sul reato dell’ art. 416 bis, cioè sul delitto di associa zione mafiosa, in quanto la tratta si carat terizza come espressione dello svilimento totale della persona umana, quindi l’as servimento alle funzioni dell’organizza zione criminale. La differenza, rispetto agli altri fenomeni, è che la tratta è un fe nomeno endemico. Le indagini ne danno assoluta contezza, l’Umbria è il territorio finale di destinazione della tratta. Ciò, ap punto, rappresenta un problema sociale e culturale endemico alla regione, legato soprattutto al numero di locali notturni in cui si esercita e si sfrutta la prostituzio ne. A ciò si associa la prostituzione su strada. In questo caso non si parla di infil trazioni ma di imprese criminali, che non sempre sono oggetto di attenzione da parte di organizzazioni di tipo mafioso: in ogni caso sono gestite da cittadini sia um bri che di altri Paesi, ma che si collocano stabilmente sul territorio umbro.


Mafia Rifiuti Altro settore importantissimo ai fini dei lavori in Commissione risulta essere il trattamento dei rifiuti. Qui siamo in un’area tipicamente a rischio che in altre regioni ha prodotto effetti evidenti e pres santi. Da segnalare, però, che non ci sono indagini su questo fronte. Si segnala, altre sì, che con riferimento al traffico di rifiuti, la criminalità organizzata trova in Umbria degli ostacoli allo smaltimento illegale, per la natura specifica della regione in cui non c’è agricoltura intensiva, né rilevante attività industriale. Il narcotraffico nel nostro territorio La situazione umbra, specie nella zona urbana perugina, desta forte preoccupa zione. Perugia è al centro di una rete di smercio che copre un’area molto più va sta della regione. La provenienza dei morti per overdose, in numero eccezio nalmente elevato, indica che la dimensio ne del fenomeno abbraccia anche le re gioni vicine. Questa caratteristica attira in Umbria, soprattutto a Perugia, organiz zazioni criminali di varia provenienza, che si dividono il mercato [...] che la DIA chiama mafie “alloctone”: albanesi, nige riane, magrebine. E’ facile ipotizzare le gami con le organizzazioni criminali che in Italia detengono tale mercato. [...] In questo senso le mafie “alloctone” stanno facendo a Perugia quello che non fanno le mafie tradizionali: occupazione del terri torio, acquisizione di basi logistiche, svi luppo di attività legali di mascheramento e organizzazione. A ciò è risultato funzio nali e il permesso di adibire ad alloggi spa zi che non avevano questa destinazione d’uso, il proliferare di attività commerciali di copertura e la mancata vigilanza dei manufatti edili abbandonati, sia nel cen tro che nelle zone più agricole. Questo fatto pone in assoluto rilievo la necessità di riconquista del territorio da parte della società legale, accompagnata da una ro busta opera di repressione delle forze dell’ordine e dalla riacquisizione della co noscenza della popolazione realmente presente in città da parte dell’ammini strazione. [...] Nodo critico, [’intelligence Segnalato da più audizioni, il problema che potremmo definire dell’ intelligence è senza dubbio centrale. Mentre esiste sul territorio uno strumento dedicato di ca rattere repressivo, ovvero la Procura Di strettuale, non risulta esserci analogo strumento per quanto riguarda l’intelli gence.È necessario ideare uno strumento capace di analizzare e coordinare le varie,

situazioni, un soggetto in grado di capire, fatta tutta la disamina delle notizie in proprio possesso, cosa succede nel conte sto territoriale. [...] Proposte Formazione, informazione Risulta evidente come il fenomeno crimi nale sia ancora ai margini del dibattito pubblico, soprattutto quello politicoisti tuzionale. [...] A tal proposito si intende: organizzare momenti formativi aperti e chiusi, per la comprensione del fenome no mafioso e organizzare seminari for mativi e convegni per aumentare l’atten zione pubblica su queste tematiche. Riciclaggio e reinvestimento Tale ambito risulta essere centrale nel l’analisi del fenomeni delle infiltrazioni in Umbria. Un primo passo è quello di dare attuazione al decreto legislativo 231 del 2007 in cui si sancisce l’obbligo di segna lazione delle transazioni finanziarie so spette. In particolare in Umbria sono per venute 126 segnalazioni, ma nessuna di esse è stata trattenuta (anno 20102011), monitoraggio dei “compro oro” e sale da gioco (numero per abitanti) istituzione di un albo in cui annotare e verificare le sin gole società che si occupano di edilizia e che possono operare sul territorio; moni toraggio e messa in relazione del numero edifici in costruzione con la domanda re sidenziale; elaborazione dell’albo per le imprese edilizie, sviluppando un sistema informatico che consenta di raccogliere in un unico database la calendarizzazione settimanale dei lavori nelle aree cantierali e l’indicazione dei mezzi e del personale con cui le varie opere verranno realizzate, ostacolando in questo modo la pratica del subappalto; abbassamento del limite al di sopra del quale è necessario che l’appalta tore acquisisca le informazioni obbligato rie da parte della Prefettura per tutte le

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prestazioni ritenute sensibili e più per meabili al condizionamento criminale (come il movimento terra e la fornitura di bitume e calcestruzzo). [...] Prevenzione Le azioni volte a individuare tempestiva mente processi di infiltrazione mafiosa nel territorio investono direttamente gli enti locali, sia sotto il profilo dell’accerta mento della condizione patrimoniale del la cittadinanza e il contrasto dell’evasione fiscale, sia sotto il profilo della program mazione dello sviluppo urbanistico e ter ritoriale.[...] Tratta Approfondire la situazione migratoria re gionale (nazionale e transnazionale): mo nitorare le migrazioni femminili in rela zione al fenomeno della prostituzione; va lorizzare, tramite appositi protocolli d’in tesa con le Questure presenti sul territo rio, le possibilità derivanti dall’ applicazio ne della legge 228/2003 e dell’art. 18 del DIgs 286/98, che prevede la concessione di un permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale alle persone trafficate, nonché la possibilità di essere inserite in programmi di assistenza e di integrazione sociale, valutando inoltre l’opportunità di sollecitare presso il legislatore nazionale analoghe disposizioni per il contrasto del narcotraffico e del lavoro nero. [...] Droghe Urgente progettazione comune con la Commissione regionale competente in materia per le opportune azioni di conte nimento e descrizione del fenomeno, specie nella connessione tra spaccio e at tività delle mafie alloctone. Proposta alle autorità giudiziarie di adottare, per le or ganizzazioni dedite allo spaccio con mo dalità di stampo mafioso, le stesse misure previste dall’articolo 416 bis, compren dente il sequestro dei beni.


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Mafia

Gli investimenti dei Casalesi a Perugia. Il caso del riciclaggio a Ponte San Giovanni Il controllo da parte di imprenditori rite nuti affiliati ai Casalesi del complesso im mobiliare ex Margaritelli a Ponte San Gio vanni evidenzia un salto di qualità nella penetrazione dei capitali mafiosi da rici clare in Umbria. Ad assumere un rilievo particolare è la “tecnica finanziaria” adot tata dal clan. Dopo aver acquisito il con trollo del complesso immobiliare attra verso una società con sede nel Canton Ti cino, non si è proceduto, infatti, a conse guenti operazioni immobiliari legate alla vendita dei beni, ma è stato impiegato l’immobile come garanzia per l’otteni mento di crediti bancari indirizzati su ol tre 200 conti correnti. Il ruolo degli istituti di credito è risultato dunque centrale, in quanto sono stati utilizzati (o si sono pre stati) a effettuare un’operazione di rici claggio del tutto inedita per l’Umbria in cui il bene controllato di venta garanzia per linee di credito che consentono una ripulitura del denaro sporco quasi perfetta (banca su banca) senza che la mafia debba “farsi imprenditrice”. Da evidenziare come quest’operazione di riciclag gio sia emersa del tutto ca sualmente: una coppia di coniugi aveva anticipato la caparra per l’acquisto del l’appartamento e, non riu scendo entrare in possesso della casa, ha proceduto a fare una denuncia alle forze dell’ordine. Un aspetto che apre interro gativi sui livelli di controllo da attivare nel la regione. Lo svolgimento dei fatti La morsa dei Casalesi su Perugia è stata clamorosamente confermata a settembre del 2011 con l’operazione denominata “Apogeo” condotta dai carabinieri del Ros e dal Gico della Guardia di Finanza che ha portato alla luce un’estesa operazione di riciclaggio di soldi sporchi in cantieri edili e alberghi perugini. Per la prima volta si è avuta una plastica rappresentazione di co me funziona concretamente la colonizza zione economica mafiosa in Umbria. La banda sgominata era formata da sedici persone, tutti finite agli arresti, legati ai clan Casalesi degli Uccieri Nuvoletta di Villa Literno. Il gruppo aveva investito su Perugia somme enormi provenienti dal pizzo, dallo spaccio e dagli incassi dei vi

deo poker. Soldi che avevano trasformato in un vero tesoro posto sotto sequestro dagli inquirenti. Si tratta di ben 320 appar tamenti per un valore di novanta milioni nell’area ex Margaritelli a Ponte San Gio vanni, degli alberghi “Il Giardino” di Ponte San Giovanni, “Domo” a Santa Lucia di Perugia, “Corallo” di Pesaro e “Diamond” di Montecatini, oltre a diciotto società, 144 automobili del valore di un milione, due barche da 750 mila euro e duecento conti correnti in 53 banche diverse, polizze as sicurative e partecipazioni azionarie in 45 aziende per un altro milione di euro. Al cuni appartamenti di Ponte San Giovanni erano già stati venduti a numerose fami glie che avevano già versato le relative ca parre. Seguendo il consueto schema, il clan era sbarcato su Perugia utilizzando una testa di legno, l’operatore televisivo

Gennaro De Pandi, il quale sarebbe stato arruolato direttamente dal capo del grup po criminale, il casertano Giuseppe D’Ur so. Costui movimentava un giro d’affari di 60 milioni di euro, ex imprenditore di Messina dichiarato fallito, con una con danna definitiva per bancarotta fraudo lenta e dunque impossibilitato a gestire una società. Aveva così assunto De Pandi. [..] Il cuore del business perugino era rap presentato dal grande cantiere di Ponte San Giovanni, formato da quattro palaz zine con negozi e garage per un valore di 48 milioni che, una volta completato, avrebbe reso sul mercato immobiliare del capoluogo almeno 72 milioni. Questa vi cenda è emblematica degli elevati rischi di infiltrazione malavitosa che si corrono in un periodo di crisi economica come l’at tuale. La crisi aziendale favorisce l’in gresso della malavita Le palazzine della periferia erano state in

fatti costruite da un imprenditore finito in gravi difficoltà finanziaria, il pesarese Eli gio Palazzetti, costruttore attivo nelle Marche fin dal 1959 che aveva costruito oltre dieci mila appartamenti prima di trovarsi improvvisamente nei guai, inde bitato per cento milioni soprattutto a cau sa del crack della cooperativa “Cmr” di Ravenna. Palazzetti aveva ipotecato ogni sua proprietà per evitare il tracollo ed era stato costretto a chiedere il concordato preventivo. Per cercare di salvare l’azien da dal fallimento, Palazzetti aveva fatto esattamente quello che si ritrovano spes so a fare imprenditori con l’acqua alla go la: aveva incassato i soldi freschi senza sta re tanto a guardare chi fosse l’acquirente. Il gruppo legato alla Casalesi aveva rileva to il cantiere edile per un esborso com plessivo di quarantuno milioni, di cui due milioni e 200 mila a titolo di caparra. AI gruppo Palazzetti sarebbero dovuti anda re due milioni ed altri dodici per l’accollo integrale dei lavori fino ad allora eseguiti a cui si erano aggiunti i 26 milioni di mutuo stipulato con l’Unipol. In realtà, il co struttore pesarese aveva vi sto solo una parte dei soldi promessi. Il mutuo con l’Unipol 110nera stato mai ri levato e gli unici soldi finiti al costruttore erano stati quelli della caparra. Per entrare in Umbria senza destare so spetti, l’organizzazione che faceva capo a Giuseppe D’Urso si era mossa con strumenti finanziari sofisticati. D’Urso aveva infatti costituito in Svizzera, nel Canton Ticino, la società Sfa Swiss Finan cial Advisor la cui sede legale era stata re gistrata ad un indirizzo fittizio. Secondo la magistratura perugina, il vero ruolo della società svizzera il cui capitale sociale di 100 mila franchi svizzeri era composto per la metà di opere d’arte, sarebbe stato in realtà quello di “cannibalizzare le aziende”, ovvero assumere il controllo di imprese in crisi anche attraverso il ricorso a crediti bancari a cui accedere grazie ad una apparente solidità e presentabilità. Oltre a Giuseppe D’Urso (che in una con versazione telefonica intercettata con la sua compagna aveva definito i propri re ferenti casertani come “i peggiori assassini d’Italia”), ad avere un ruolo di primo pia no sarebbero stati anche Angelo Russo ri tenuto colui che gestiva l’affare dei video poker e Pasquale Tavoletta che già vanta va precedenti per associazione mafiosa.


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Morale

La morale nella politica

“I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal governo. Hanno occupato gli enti lo cali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti cultu rali, gli ospedali, le università, la Rai TV, alcuni grandi giornali. Insomma, tutto è già lottizzato e spartito o si vorrebbe lottizzare e spartire. E il ri sultato è drammatico. Tutte le "opera zioni" che le diverse istituzioni e i loro attuali dirigenti sono chiamati a com piere vengono viste prevalentemente in funzione dell'interesse del partito o della corrente o del clan cui si deve la carica. Un credito bancario viene con cesso se è utile a questo fine, se procu ra vantaggi e rapporti di clientela; un'autorizzazione amministrativa viene data, un appalto viene aggiudi cato, una cattedra viene assegnata, un'attrezzatura di laboratorio viene finanziata, se i beneficiari fanno atto

di fedeltà al partito che procura quei vantaggi, anche quando si tratta sol tanto di riconoscimenti dovuti. I par titi debbono, come dice la nostra Co stituzione, concorrere alla formazio ne della volontà politica della nazio ne; e ciò possono farlo non occupando pezzi sempre più larghi di Stato, sem pre più numerosi centri di potere in ogni campo, ma interpretando le grandi correnti di opinione, organiz zando le aspirazioni del popolo, con trollando democraticamente l'operato delle istituzioni. [...] Noi comunisti abbiamo sessant'anni di storia alle spalle e abbiamo dimostrato di perse guirle e di farle sul serio. In galera con gli operai ci siamo stati noi; sui monti con i partigiani ci siamo stati noi; nel le borgate con i disoccupati ci siamo stati noi; con le donne, con il proleta riato emarginato, con i giovani ci sia mo stati noi; alla direzione di certi co

muni, di certe regioni, amministrate con onestà, ci siamo stati noi. Noi pensiamo che il tipo di sviluppo eco nomico e sociale capitalistico sia cau sa di gravi distorsioni, di immensi co sti e disparità sociali, di enormi spre chi di ricchezza. [...] La questione mo rale non si esaurisce nel fatto che, es sendoci dei ladri, dei corrotti, dei con cussori in alte sfere della politica e dell'amministrazione, bisogna scovar li, bisogna denunciarli e bisogna met terli in galera. La questione morale, nell'Italia d'oggi, fa tutt'uno con l'oc cupazione dello stato da parte dei par titi governativi e delle loro correnti, fa tutt'uno con la guerra per bande, fa tutt'uno con la concezione della poli tica e con i metodi di governo di co storo, che vanno semplicemente ab bandonati e superati. Ecco perché di co che la questione morale è il centro del problema italiano.”


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Morale

Ancora sulla “Questione Morale” DI

SANDRO RIDOLFI

Premessa

A

lcuni mesi fa, dando vita alla nuova edizione del giornale in formato di rivista, ho pensato di dedicare l’editoriale di apertura a un evento che aveva alcuni mesi prima (in verità allora erano ancora in corso taluni degli aspetti più gra vi) fortemente scosso il mondo del la politica della nostra Regione. L’editoriale, intestato alla “questio ne morale”, riguardava la vicenda dell’arresto e della detenzione in regime carcerario di isolamento notturno e diurno protratto per ben 50 giorni del compagno Orfeo Goracci, già parlamentare, vice pre sidente della Regione e per due vol te sindaco del Comune di Gubbio, militante di così detta punta del l’ultimo Partito Comunista in Ita lia, il Partito della Rifondazione Comunista. La vicenda aveva una enorme risonanza, non solo per l’inatteso coinvolgimento di un personaggio pubblico sino ad allora universalmente accreditato di una grande stima non solo politica, ma anche (e forse di più) per le moda lità teatrali dell’arresto e la dimen sione assolutamente inusuale delle misure di segregazione adottate dalla magistratura inquirente. I media si erano allora riempiti per intere settimane delle più disparate illazioni sulla natura e la gravità dei fatti contestati, ma soprattutto di una pioggia di comunicati di censu ra, critica e presa di distanze. on quell’editoriale, coerente mente con il rinnovato spirito politico e culturale della rivista, avevo inteso, seppure affermando trasparentemente la mia personale posizione politica e morale, provo care un dibatto sulla “annosa” que stione della morale politica (o cor rettamente “in politica”), uscendo dal pantano del gossip e delle abiu re. Sin dall’uscita di quel numero le uniche risposte che ho ricevuto dai

C

lettori sono state di segno negativo, di dissenso dalla mia posizione/im postazione sulla vicenda umana e politica del personaggio recluso. distanza di tempo ricevo anco ra critiche, più argomentate e quindi meno condizionate dal l’emergenza di quegli eventi, che, forse proprio per questo, mi hanno fatto intendere che il senso pro priamente politico di quell’edito riale non è stato compreso appieno o comunque correttamente. Poiché il primo dubbio che si deve porre chi ritiene di non essere stato com preso è quello di non essere stato lui stesso sufficientemente chiaro, ritengo doveroso tornare su quel l’argomento per provare a chiarire meglio il mio pensiero e sperare di riuscire a dare risposta esauriente alle critiche ricevute. Voglio subito aggiungere che questo secondo in tervento non vuole essere, né limi tarsi a una difesa pura e semplice di uno scritto mal compreso (espres so), ma assume una particolare im portanza a difesa della “missione” di questa rivista che, come enuncia no le citazioni riportate sotto il ti tolo di copertina, vuole, con lin guaggio semplice, chiaro e soprat tutto comprensibile, fornire stimoli di dibattito, approfondimento e co noscenza.

A

I tre temi dell’editoriale “Goracci”

L

’editoriale in questione si artico lava per così dire in tre sezioni logiche consequenziali che inten devano trattare tre temi, stretta mente collegati tra di loro, che quell’evento giudiziario aveva pro vocato e portato all’evidenza. Il pri mo tema concerneva il rispetto del la persona umana, il secondo la di stinzione tra questione penale e questione morale, il terzo propria mente la questione morale comuni sta. Il primo tema, a sua volta, si ar ticolava in due parti: il rispetto del la persona umana da parte di tutti, in via assoluta; il rispetto della per

sona umana da parte della funzione giudiziaria, in particolare.

Il rispetto della dignità della persona umana

I

nizio con delle domande che ri volgo a tutti i lettori: se qualcuno vi dicesse che una persona a voi ca ra e ben nota, ad esempio un figlio, un coniuge, un amico stretto, ha commesso un fatto grave, o gravis simo, assolutamente non coerente e quasi impossibile da credere sulla base della conoscenza che sino ad allora avete avuto di quella persona, cosa fareste? Prendereste subito le distanze, lo rinneghereste “per tre volte prima che il gallo canti”? Op pure cerchereste di capire non solo se, ma, ove fosse vero, il come e il perché? E ancora, parlando di rap porti di conoscenza e condivisione prolungati e stretti, vi porreste il problema di una vostra responsabi lità, o almeno coresponsabilità? E comunque prima di ogni cosa, Vi porreste lo scrupolo morale di esse re vicino anche a chi ha sbagliato, se ha sbagliato, per aiutarlo a com prenderne le ragioni, a correggersi, a recuperarsi? a nostra secolare cultura giuridi ca prevede, ben oltre la presun zione di innocenza dell’imputato si no alla condanna definitiva, il pre cetto del recupero sociale di coloro che hanno sbagliato. I comunisti vanno oltre e affermano che è un dovere comprendere chi ha sbaglia to e aiutarlo a correggersi con l’obiettivo di recuperarlo alla vita e quindi alla causa comune: “I comu nisti non devono mettere in disparte coloro che hanno commesso errori nel proprio lavoro; useranno invece la persuasione, per aiutare chi ha sbagliato a correggersi e a trasfor marsi” (Mao). La prima parte del l’editoriale ha dunque voluto costi tuire una voce dissonante, fuori dal coro dei detrattori, dei facili mora listi, e soprattutto dei “dissociati” preoccupati di curare solo il loro la to “b” (e scusate l’inglese!).

L


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Morale

L

a seconda parte, restando sem pre nell’ambito del primo tema, riguardava, come dire, lo stupore nel vedere adottate dalla magistra tura inquirente misure di sicurezza così gravi, esagerate nel modo e nel tempo (interdizione dai colloqui con i difensori, isolamento nottur no e diurno, 50 giorni di reclusione, ecc.). Appartiene alle conoscenze tecniche, ma è di facile compren sione anche per i non addetti, la norma che circoscrive la possibilità dell’adozione di misure detentive cautelari sostanzialmente a tre ipo tesi: rischio di reiterazione del rea to, rischio di inquinamento delle prove, rischio di fuga dell’indagato. Goracci non era più nelle funzioni di Sindaco di Gubbio, il cui, ipotiz zato, illegittimo esercizio aveva da to luogo all’indagine giudiziaria; non era inoltre in condizione di in quinare prove, atteso che la giunta comunale a lui succeduta apparte neva a una diversa maggioranza e, anzi, forse proveniva proprio dal l’interno della stessa la segnalazio ne dei presunti illeciti; pacifica mente non era in procinto di fuga. Si poneva a quel punto un dubbio legittimo: ci si trovava di fronte a un eccesso di esercizio dei poteri da parte del giudice inquirente, ov vero, e nel caso assai più grave, quelle misure estreme puntavano ad altro risultato: la confessione di reati non ancora individuati dal giudice? Nell’uno e, come detto as sai peggio, nell’altro caso, appariva evidente che l’azione della magi stratura aveva ampiamente supera to i limiti indiscutibilmente pre giudiziali e superiori del rispetto della persona umana dell’indagato. on a caso ero ricorso alla cita zione di una proposta di arti colo costituzionale avanzata in se de costituente da Giorgio La Pira che affermava (la cito nuovamen te): “Nel suo magistero punitivo la legge non oblierà mai il valore della personalità umana del reo. Qualun que trattamento che aggravi la pena legalmente applicabile importa la responsabilità personale di chi lo mette in atto”. La seconda parte del primo tema dell’editoriale ha volu to affermare quindi, fuori dal coro tanto dei succubi ossequiosi del l’autorità giudiziaria, quanto dei

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suoi assai più pericolosi interessati detrattori, il diritto dei cittadini di insorgere contro qualsiasi tipo di abuso, anche se commesso dall’au torità giudiziaria nel doveroso esercizio delle sue funzioni. La pri vazione della libertà personale è un fatto gravissimo, il più grave che la nostra cultura umanista e garanti sta dei diritti dell’uomo e del citta dino può concepire. Farne uso sen za criterio di proporzionalità e ri spetto della persona umana del presunto reo, e peggio ancora farne uso deviato per estorcere confes sioni, costituisce una lesione gra vissima ai fondamentali principi di civiltà. i è stato contestato che questa sensibilità è stata manifestata con tanta enfasi perché la vittima dell’abuso era un comunista. A pre scindere dal fatto che almeno da dopo la fine del fascismo i comuni sti godono legittimamente degli stessi diritti politici e sociali di ogni altro cittadino, io non credo (anzi ne sono sicuro e lo affermo) che questo giornale, che certamente non può farsi carico di tutte le in giustizie del mondo, abbia mai omesso di denunciare, quando e come ce n’è stata la possibilità, al trettante ingiustizie subite da chiunque (dalla tratta dei minatori italiani in Belgio gestita dal gover no De Gasperi, alla tratta degli im migrati nord africani concordata tra il governo Berlusconi e il “rais” Gheddafi, al sequestro di persone attuato anche sul territorio italiano degli agenti USA, ecc.). n conclusione questa era la pro vocazione di discussione lanciata con quella prima parte dell’edito riale: il rispetto della persona uma na come questione pregiudiziale assoluta.

M

I

Questione penale e que stione morale

I

l secondo tema riguardava un punto di chiarezza estremamen te importante: la netta distinzione tra penale e morale. La distinzione è di estrema importanza poiché è diffusa la mentalità di equiparare la prima alla seconda e, quindi, di ridurre la questione morale, ovvero

il suo contrario: immorale, a soli fatti di rilevanza penale. Prima di entrare nel campo della politica, voglio fare ancora un passo indie tro e andare all’esperienza della vi ta comune, ponendo alcune do mande. Cos’è immorale nella vita delle persone così dette “comuni”, di quelle che i reati li conoscono solo dalla pagine di cronaca nera dei giornali o dai telefilm polizie schi delle televisioni? Un padre che non si cura dei figli, un figlio che non rispetta i genitori, un uomo o una donna che tradiscono i loro ri spettivi compagni, un parassita che ruba lo stipendio con finte malat tie, permessi parentali falsi o altro, scaricando il proprio lavoro sugli altri o rendendo un pessimo servi zio ai cittadini, è morale o immora le? Le risposte sono facili, le do mande retoriche. Eppure tutti que ste persone immorali non commet tono reati, non sono perseguibili dalla legge, non vengono arrestate dal giudice penale. ntrando nel campo della politi ca, un eletto che se ne frega di quello che ha promesso ai suoi elet tori e che assume incarichi, molto spesso tristemente, solo per “sbar care il lunario”, perché non sa o non ha voglia di fare altro, perché non è in grado o non se la sente di vivere con i propri mezzi e capaci tà, è morale o immorale? Eppure anche questo signore non ha com messo alcun fatto di rilevanza pe nale. Occupa una poltrona, sperpe ra un po’ di denaro pubblico, a vol te tanto a volte anche pochissimo, ma sempre, in ambedue i casi, sper pera il patrimonio più grande della democrazia: la fiducia dei cittadini che lo hanno eletto e delegato a cu rare gli interessi della collettività. Certo l’errore grande è nella stessa delega laddove intesa, così com’è oggi universalmente intesa, in ter mini di mancanza totale di parteci pazione e quindi di controllo da parte degli elettori. qui si pone un’ulteriore consi derazione dialettica per così di re di reciprocità. Quanta parte dell’immoralità dell’eletto dipende dalla passività degli elettori? Faccio una considerazione che potrà sem brare fortemente provocatoria, e in effetti lo è!

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22 Il Parlamento ha recentemente ap provato una grottesca legge così detta “anticorruzione”, come se non ci fossero già le apposite nor me del codice penale (la prima ste sura risale al 1936!) che prevedono e puniscono i reati di corruzione e concussione. Ma tant’è, per depu rare (far finta di depurare) la deva stante immoralità dell’attuale poli tica gli stessi politici si sono dotati di una legge speciale fatta su misu ra per loro (cioè larghissima!) che definisce i limiti massimi delle con danne penali per non essere eletti. Ciò vuol dire che sopra una certa misura di pena si è ritenuti immo rali e quindi non meritevoli di assu mere cariche e incarichi pubblici, al di sotto no. Sorvoliamo sulla misu ra e sull’idea stessa che possa esi stere una misura di condanna al di sotto della quale, come dire, non fa niente, come non fosse! Ebbene, questa è la provocazione, a giudizio di chi scrive quella legge è sbaglia ta, di più è ingiusta perché priva i cittadini del diritto di esprimere il loro senso, la loro misura, di mora lità. i spiego ed esemplifico. Nella nostra circoscrizione elettora le si candida, diciamo, un “certo Lusi”. Qualcuno lo voterebbe? Nes suno viene da dire, perché si tratta di un inquisito per frode allo Stato. Dunque dov’è il problema di vietar ne la candidatura? L’elettorato “morale” lo scarterebbe. Ma se l’elettorato non lo scarta, lo vota e lo elegge benché si tatti di un in quisito per truffa? Dov’è, o meglio chi è l’immorale? Il “certo Lusi” im putato di reato o gli elettori che no nostante tutto lo hanno votato? Ho detto un “certo Lusi”, ma quanti Lusi anche non indiziati e non con dannati ci sono nelle liste, anzi nei vertici dei partiti che riempiono le liste elettorali e che vengono poi votati anche a grandi numeri. Aerei di Stato che trasportano nani e bal lerine verso le ville in Sardegna, escort promosse a rappresentanti del popolo in virtù di servizi resi al padrone del partito, acrobazie con tabili per mascherare evasioni fi scali da capogiro, patrimoni costi tuiti con trasferimenti illeciti di ca pitali all’estero che rientrano in Ita lia con lo “scudo fiscale” e via di se

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Morale guito. Tutto ciò è morale perché non è penale, o è immorale? Occor re una legge anticorruzione per im porre l’ineleggibilità di questi per sonaggi o basterebbe un senso della morale nella politica a partire dai cittadini elettori? rovate ora a rileggere l’intervista di Berlinguer riassunta per estratto nella prima pagina di que sto inserto: “La questione morale non si esaurisce nel fatto che, essen doci dei ladri, dei corrotti, dei con cussori in alte sfere della politica e dell'amministrazione, bisogna sco varli, bisogna denunciarli e bisogna metterli in galera. La questione mo rale, nell'Italia d'oggi, fa tutt'uno con l'occupazione dello Stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt'uno con la guerra per bande, fa tutt'uno con la concezione della politica e con i me todi di governo di costoro”. Confon dere penale con morale significa svilire fino a cancellare il vero e proprio male della politica attuale che è morale e non (non solo per ché anche questo c’è alla grande) penale.

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La questione della mora le comunista

popolo in mezzo al popolo”. os’è accaduto allora a Gubbio nei dieci anni dell’amministra zione Goracci, che ha generato una così grande distanza tra il partito a cui apparteneva il Sindaco e la grande maggioranza dei cittadini? Sono stati compiuti fatti di rilevan za penale? Questo lo accerterà il giudice e, se sì, applicherà le misure punitive previste dalla legge. Molto probabilmente no, perché scorren do l’incredibile numero di fatti di presunti reati elencati dal giudice inquirente nell’avviso di garanzia, non appare alcun fatto di rilevanza penale, ma tanti, tanti, tanti fatti di esercizio manageriale, autocratico e autoreferenziale, della carica di Sindaco. Era questo il mandato rila sciato dai cittadini? Era questo il mandato affidato dal partito al suo candidato? Questa è la questione morale. Come e chi risarcirà ora il danno causato alla politica, quella onesta e trasparente, quella dei co munisti, davanti a una così grave separazione tra amministratori e cittadini? uesta (di nuovo) è la questione morale!

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l terzo tema lo introduce proprio la citazione ora riportata della storica intervista di Berlinguer: noi comunisti siamo diversi! Noi comu nisti non occupiamo le amministra zioni per farne luoghi e mezzi di potere o anche solo di “miglior” vita personale. Noi comunisti conqui stiamo (cerchiamo di conquistare) la gestione delle amministrazioni pubbliche per portarci gli interessi (i legittimi diritti) dei cittadini che ci hanno eletti, operando con tra sparenza, onestà, correttezza e competenza. Scriveva Giovanni Dozza primo Sindaco di Bologna li berata: “Gli amministratori sono te nuti a rendere conte al Partito del loro operato, mentre debbono avere massimo rispetto per gli organi che li hanno eletti, per gli organismi rappresentativi dei lavoratori. Ren dere conto del proprio operato, chie dere l’ausilio e il consiglio degli elet tori è una delle caratteristiche del l’amministratore comunista che è

“Domando conto ad ognuno di essi del come ha svolto il com pito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pie tà, di non dover spartire con loro le mie lacrime.”


Vincenzo

Disagio psichico e malattia mentale: che fare?

DI GIAMPIERO DI LEO PRESIDENTE FENASCOP FEDERAZIONE CENTRO ITALIA

La mente umana è una cosa assai complessa, in gran parte già for mata alla nascita e nei primissimi mesi di vita, si evolve e si strut tura attraverso le esperienze e le relazioni che la persona incon tra durante tutto il suo cammino.

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24 Lo sforzo che ognuno di noi compie per il raggiungimento dei suoi scopi primari, nutrimento (cibo), affetti (sessualità/procreazione) affermazione sociale (potere) può trovare ostacoli che ne pervertono il cammino (perversioni), lo rallentano o lo accellerano (depressioni/maniacalità), lo bloccano (fissazioni) o lo fanno tornare indietro (regressioni). Finché si rimanga nell’ambito di una sofferenza sopportabile e che può essere trattata in uno studio medico di psicologia/psicoterapia si usa parlare di “nevrosi”. Nei casi più gravi, la sofferenza causata da queste difficoltà che appaiono insuperabili porta alla rottura con la realtà, alla fuga dalla stessa e al rifugio nella incomprensibilità: la follia, la malattia mentale. Naturalmente questo è uno schema molto semplificante della complessa materia che concerne la sofferenza psichica più o meno grave. E’ uno schema che segue la “vecchia”.impostazione della psicoanalisi freudiana. Sicuramente da allora si sono fatti molti passi avanti sia sulla teoria che sulle tecniche di cura, ma in sostanza i bisogni e le pulsioni primarie sono rimasti gli stessi. Vero è che i processi di civilizzazione, in apparenza, hanno aggiunto negli individui altri bisogni/pulsioni che sembrano essi stessi “primari”, sono bisogni per lo più collettivi (le mode e le tendenze) che sembrano aggiungersi a quelli individuali, ma se osserviamo bene, anche le masse, le nazioni, gli stati

Vincenzo si muovono percorrendo le stesse strade e gli stessi processi evolutivi: le guerre si combattono sempre il per bisogno di nutrimento delle popolazioni, per il bisogno di spazi per dare posto ai figli delle famiglie in crescita che continuano a procreare, per il potere di leader più o meno sani di mente. Tutti i bisogni, anche quelli indotti dai successivi processi di civilizzazione possono essere riportati a questi bisogni primari che, secondo Freud, in fondo, in fondo, hanno sempre ruotato intorno alla sessualità come sintesi e origine di tutti gli altri bisogni/pulsioni. Questa lunga premessa per arrivare alla presentazione di un percorso terapeutico, un cosiddetto “caso clinico” trattato all’interno di una Comunità dove si cura il disagio psichico/malattia mentale. In una Comunità terapeutica per la cura della malattia mentale necessariamente si debbono tenere in conto tutti i fattori patologici di disturbo del processo evolutivo, in quanto in una Comunità terapeutica la persona vive, si alimenta, intesse relazioni, cerca il suo spazio e la sua visibilità ottiene più o meno facilmente il consenso del gruppo per le sue azioni. Si percorre/ripercorre necessariamente la strada della evoluzione dell’individuo, in un contesto però diverso da quello familiare, un contesto regolato diversamente e osservato in continuità e psicodinamicamente. Il confronto con la realtà quotidiana, e una osservazione orientata psicodi-

namicamente, cercano di svelare e rilevare gli ”intoppi” che ha subito una corretta crescita. Le ragioni di questi “intoppi” che spesso hanno determinato una fuorviante interpretazione della realtà e quindi una crescita mancante o errata, se ben gestite e con una corretta interpretazione, si trasformano, da errori e limitazioni, in risorse per la cura. Il “caso clinico” che presentiamo è tratto da un articolo già pubblicato su un precedente numero di questa rivista (”Che cosa è oggi una comunità terapeutica di C. Caltagirone, Roberto Quintiliani) e non riportato allora per ragioni di spazio. Lo pubblichiamo in questo numero avvertendo che nomi e riferimenti sono stati cambiati per rendere anonimo il protagonista. Non è anonima invece la Comunità terapeutica che è appunto La Reverie Comunità 1 dove operano gli autori dell’articolo. Anche la presentazione delle problematiche relative alla cura del disagio psichico/malattia mentale risulta estremamente semplificata, questo su specifica richiesta dell’editore che ritiene che il messaggio, e la rivista stessa, sono per lo più diretti a non “addetti ai lavori”. Mi scuso con questi ultimi se nonostante la semplificazione dei concetti non tutto possa risultare facilmente comprensibile. Mi scuso ancor più fortemente con gli “addetti ai lavori” per la semplificazione, al limite della banalizzazione che sono stato (mi sono) costretto ad operare...

(Le immagini utilizate in questo inserto sono particolari di pitture di Michelangelo Merisi detto “Caravaggio”)


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Vincenzo

Il percorso di cura in una Comunità Terapeutica per il disagio psichico. Vincenzo arriva in Comunità

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incenzo arriva in comunità all'età di 30 anni. La richiesta fatta dal Servizio di Salute Mentale di una re gione del sud d'Italia, è motivata da un periodo prolungato in cui Vincenzo ha messo a dura prova tutta la rete di so stegno sociale che nel tempo si è occu pato di lui. Ha rotto i legami con i fa migliari con i quali, durante le sue crisi maniacali, ha litigato più volte con l'intervento anche della forza pubbli ca. L'insorgere del disturbo, definito in psichiatria di tipo schizoaffettivo è collocato intorno all'età di diciotto an ni, caratterizzato da dispercezioni fisi che, olfattive, visive, con idee di in fluenzamento. Dalla prima crisi sono stati effettuati più di venti ricoveri di cui molti in regime di T.S.O. (Tratta mento Sanitario Obbligatorio). Le cri si sono diventate 'miste', con una forte componente di disturbo dell'umore associata al disturbo psicotico. Il rico vero avviene a causa di uno stato con fusionale che fa seguito al periodo ma niacale in cui Vincenzo rompe i legami con tutti e presenta deliri a carattere persecutorio. Nei periodi tra una crisi e l'altra, riesce anche a svolgere delle attività lavorative e a sviluppare degli interessi culturali grazie all'aiuto di una presente rete sociale. Si presenta curato a suo modo nell'aspetto, l'elo quio è fluente ma molto confuso fa cendo trasparire un pensiero a tratti incoerente. L'operatrice a cui viene af fidato lo incontra preliminarmente al l'ingresso in comunità secondo la no stra modalità da anni messa in pratica, che prevede un periodo di conoscenza reciproca tra il nuovo ospite, l'opera tore ed il gruppo dei residenti prima di procedere all'ingresso vero e proprio. Vincenzo si mostra sin dall'inizio iper critico e sospettoso, dichiarando più volte la sua ostilità verso la 'psichiatria' (intendendo il suo Servizio) da cui di pende e al quale rimprovera il ricorso puntuale al ricovero coatto. Passa il primo anno mettendo a dura prova la tenuta del gruppo degli operatori e de gli ospiti, nonché la sua operatrice e l'équipe di cui questa fa parte, con un atteggiamento richiedente, manipola tivo e critico in cui nulla è contrattabi

le e tutto sembra essergli dovuto. Non compie però mai acting aggressivi, in gaggiando unicamente gli operatori in estenuanti discussioni, in particolare la sera prima di prendere sonno (mo mento particolarmente delicato per lui). L'operatore avverte continuamen te il rischio di perdersi, di perdere il contatto con lui e quindi di perderlo, ma l'équipe riconduce questa condi zione di Vincenzo all'ansia del mo mento, legata al suo timore di sprofon dare nel sonno, con la perdita di con tatto e di controllo. Man mano che au menta la conoscenza reciproca, gli al tri pazienti (e) gli operatori, senza pro vocare in lui reazioni rabbiose e di ri fiuto, riescono anche a scherzare con lui sulle sue critiche e sulla messa in discussione di ogni cosa: dalla quantità di sale nella pasta all'interpretazione psicodinamica dei terapeuti e del tutor all'interno del piccolo gruppo dell'uni tà operativa in cui è inserito. Nono stante la sfiducia, Vincenzo accetta la nostra proposta di iniziare una psico terapia individuale settimanale, que sta volta all'esterno della comunità con una terapeuta ad orientamento psico dinamico. Inizia quindi a recarsi Roma da solo, una volta a settimana. ll'inizio del suo secondo soggiorno estivo, ad un anno e qualche mese dal suo ingresso, Vincenzo comincia però a presentare un'alterazione del

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l'umore in senso maniacale. Conside riamo che l'entrare in contatto con un senso di possibile dipendenza e di bi sogno, mai sperimentate nella sua vita anche a causa di una situazione fami liare estremamente difficile e carente (Vincenzo era infatti considerato da tutti i componenti della famiglia, la persona sulla quale fare affidamento), lo portano ad una fuga maniacale. Sap piamo infatti come il paziente border line viva con la sensazione di essere stato espulso prematuramente dallo spazio materno e lotti per riconquista re questo spazio. Tale fantasia, a causa della concretezza del pensiero, si tra duce in un desiderio di vivere in fusio ne dentro il corpo (del) con l'altro. La vicinanza con l'operatore di affida mento permette di coltivare questa fantasia dando luogo però a movimen ti opposti dovuti al terrore di rimanere intrappolati nella relazione. Secondo vari autori clinici questa situazione dà luogo ad un 'dilemma claustroagora fobico'. Vincenzo, dopo essersi recato in una città del nord d'Italia per due giorni, rientra in comunità e va pro gressivamente in crisi. Rifiuta l'intro duzione di una diversa terapia farma cologia e comincia ad ingaggiare gli operatori in continue discussioni au mentando progressivamente il livello di conflittualità e la tendenza a fare va ri agiti di lieve entità.


26 Presenta aggressività verbale, instabili tà motoria, idee di riferimento e perse cutorie. Sembrerebbe una situazione avviata verso un nuovo t.s.o. ma cogliendo l'occasione di un ampio spa zio a disposizione e di operatori bravi e disponibili sulle ventiquattrore (ci tro vavamo infatti ad un soggiorno estivo che facciamo ogni anno nella cittadina di Bolsena) decidiamo di provare a gestire la situazione nonostante le per plessità sollevate da alcuni: pazienti e operatori. Ci alterniamo quindi in maniera continuativa, giorno e notte, in una relazione duale offrendo spazi e contenimento a seconda delle oscilla zioni umorali di Vincenzo. Chi non è impegnato direttamente con lui si occupa della vacanza degli altri ragazzi che partecipano comunque emotiva mente sopportando e tolle rando provocazioni e tensio ni. Al ritorno dal soggiorno, arrivato al culmine della ten sione e al limite della tollera bilità per il gruppo, Vincenzo accetta infine la sommini strazione di uno psicofarma co specifico (depot) per via iniettiva e, raggiunto un acme di agitazione psicomo toria contenuta dalla profon da relazione ormai creatasi, comincia progressivamente a star meglio. a fase successiva è carat terizzata da un cambia mento nelle modalità di rap portarsi di Vincenzo. Si lavo ra molto (nei gruppi terapeu tici, nelle assemblee e nei col loqui individuali) sul momento precedente alla crisi e si fanno assieme varie ipotesi sull'accaduto, colle gandolo alle precedenti crisi e a possibi li fattori scatenanti. Vincenzo si mostra autenticamente grato per essere riuciti tutti ad evitare un nuovo ricovero in una casa di cura e sembra scoprire egli stesso una diversa modalità di affronta re le difficoltà con una diminuzione di fenomeni di “identificazione proiettiva” ad esempio mostrando un minor biso gno di cercare nelle azioni degli altri occasioni per provare ed esprimere disprezzo, al contrario apparendo da quel momento più accogliente e rico noscitivo. Il lavoro psicoterapico indivi duale e di gruppo che procede in maniera più fluida ed il rapporto con

Vincenzo l'operatrice di affidamento si fanno più intensi ed importanti. Dopo qualche mese Vincenzo, in seguito ad un rientro nel suo paese e ad un incontro rappaci ficatore con il padre, da lui descritto come particolarmente 'emozionante', proprio a causa del profondo stato emo zionale conseguente, torna in preda ad uno stato maniacale, che nella sua sto ria abitualmente precede, la crisi psico tica vera e propria. Questa volta però ci troviamo all'interno della comunità in presenza di una situazione gruppale che non consente un protratto assorbi mento e sopportazione di quanto da lui mosso nell'ambiente. Consapevoli però dell'importanza che ha avuto per lui la passata gestione della crisi, faticosa mente temporeggiamo: il gruppo degli operatori e dei residenti viene messo a

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dura prova ed infine proponiamo un ricovero (questa volta volontario) che dopo varie resistenze, Vincenzo accetta. L'operatrice segue l'evoluzione del rico vero con continue assistenze in una cli nica (e non in un ospedale  reparto psi chiatrico  SPDC), facendo successiva mente diventare questo momento di difficoltà l'occasione per riflettere ulte riormente sui motivi che scatenano le crisi, sulla possibilità che ha finalmente guadagnato di dare nome a certe sue emozioni, sul proseguimento del pro gramma. el corso del successivo soggiorno estivo, (dopo mesi di intensa

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terapia psicologica e psicoterapeuti ca) Vincenzo sperimenta la possibili tà di viversi una vacanza partecipando al buon clima gruppale e verificando che la sua crisi dell'anno precedente non ha distrutto i rapporti con le per sone del luogo che, anzi, si mostrano amichevoli e contente di trovarlo meglio. Successivamente, dopo un incontro col suo Servizio che gli ha garantito la possibilità di continuare il percorso in comunità per un altro anno, e dopo un incontro successivo col padre che si è mostrato disponibi le ad aiutarlo per trovare, all’uscita dalla Comunità una autonoma situa zione alloggiativa, Vincenzo (ha) manifesta(to) nuovamente segni di crisi. Questa volta però (ha) chiede(sto) esplicitamente aiuto attraverso un conteni mento farmacologico e affettivo, per poter evita re di raggiungere lo stato maniacale, con l'intento di "riuscire a prevenire e controllare la malattia". Ad un mese dall'inizio di questa ulteriore fase, Vincenzo sembra fiducio so e motivato a prosegui re per questa strada. Nei gruppi della sua Unità Operativa di Base (gruppi composti da quattro ope ratori, un tutor condutto re per cinque pazienti), Vincenzo esplicita il suo avvicinamento alla com prensione delle sensazio ni e delle emozioni. Si stupisce della propria capacità di dare loro un nome ed indica questa acquisizione come la stra da per prevenire i momenti di crisi. Malgrado la ricchezza di vocabolario con cui si è sempre espresso Vincenzo sembra per la prima volta contattare il nesso esistente tra le parole e gli affet ti da queste richiamati. onostante i tre anni trascorsi insie me a noi Vincenzo avrà bisogno ancora a lungo anche al di fuori della Comunità di una relazione terapeutica per continuare il suo lavoro che comunque richiederà la capacità del Servizio di Salute mentale del suo terri torio di consolidare le acquisizioni rag giunte fornendo, in continuità, i sup porti opportuni.

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Velo

Le Mille e una Donna

Le contraddizioni del “velo”

O Profeta, di' alle tue spose, alle tue figlie e alle donne dei credenti di coprirsi dei loro veli, così da essere riconosciute e non essere molestate. Allah è perdonatore, misericordioso (Corano XXXIII v. 59)

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La donna è “mobile” DI

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OLINDO MUSSU

ello scorso mese di ottobre si è appresa la notizia che nell’edi zione 2013 del catalogo Ikea diffuso in Arabia Saudita sono state rimosse di gitalmente tutte le immagini femmi nili di adulte e bambine. Il catalogo Ikea, invero, è identico in 43 paesi al mondo; solo per il mercato saudita è stato diffuso in una edizione speciale in cui le foto edite sono state ritocca te e li dove c’erano figure femminili sono comparsi mobili o pareti. I gra fici incaricati dell’“operazione puli zia” non hanno fatto distinzioni di merito e dalla versione saudita è scomparso anche il profilo di una de signer Ikea. I motivi? Religiosi e cul turali. Nella monarchia della penisola araba sono in vigore severe leggi che vietano alle donne di mostrarsi in pubblico “scoperte” (le donne arabe devono indossare una lunga tunica nera – abaya  e coprire il capo e il volto con un velo) e regole molto rigi de per quanto riguarda la segregazio ne dei sessi: le donne sono oggetto di abusi sessuali, non hanno ancora il diritto di voto (lo avranno dal 2015); la loro testimonianza in tribunale ha meno valore di quella di un uomo; al le donne è tutt'ora proibito viaggiare, avere un lavoro retribuito, accedere all'istruzione superiore o sposarsi senza l'autorizzazione di un uomo che ha la potestà su di loro; è persino vietato guidare. L’Arabia Saudita è lo stesso paese in cui alle bambine è ne gato il diritto di essere adolescenti perché, compiuti dieci anni, grazie ad una fatwa (decreto religioso) del Mufti Supremo, possono essere date in mogli ad uomini anche molto più grandi senza che nessuna ribellione sia consentita alle piccole: la famiglia decide per loro. In un paese, dunque, in cui i diritti delle donne sono così compressi e limitati, in cui una bam bina di dieci anni è già considerata “donna da matrimonio”, certamente non poteva trovare ingresso e divul gazione un catalogo in cui accanto ai mobili sono esibite le immagini di una donna o di una bambina, peral

tro, coperte solo da “striminziti” abiti occidentali. Presto fatto! Per non ur tare la sensibilità degli integralisti musulmani, Ikea ha cancellato le fi gure femminili dalla realtà rappresen tata nei propri cataloghi sostituendo le con i mobili. Ciò che ha destato più stupore e incredulità è che questa operazione di marketing sia stata rea lizzata da un’azienda che negli anni si è posta come pala dina dei diritti umani facendo campagne pubbli citarie a difesa delle minoranze. Le scu se del colosso sve dese dell’arreda mento sono presto arrivate. L’episodio ha, però, portato all’attenzione le contraddizioni di un mondo, quello arabo, in cui la glo balizzazione rap presentata dai mo bili Ikea in tanto può trovare ingres so in quanto si sot tometta alle rigide regole religiose e culturali ivi impe ranti che rifiutano la donna in quanto “essere visibile”. erché è questo che dice il Corano: “E di' alle credenti di abbassare i loro sguardi ed essere caste e di non mostrare, dei loro ornamenti, se non quello che appare; di lasciar scendere il loro velo fin sul petto e non mostra re i loro ornamenti ad altri che ai loro mariti, ai loro padri, ai padri dei loro mariti, ai loro figli, ai figli dei loro ma riti, ai loro fratelli, ai figli dei loro fra telli, ai figli delle loro sorelle, alle loro donne, alle schiave che possiedono, ai servi maschi che non hanno desiderio, ai ragazzi impuberi che non hanno in teresse per le parti nascoste delle don ne. E non battano i piedi sì da mostra re gli ornamenti che celano” (Corano, Sura XXIV, 31). Non offro certezze in merito all’esatta traduzione di questo precetto Coranico, però il senso do

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vrebbe essere alquanto chiaro: la fisi cità della donna deve essere tenuta nascosta così da non destare “deside rio” in chi la vede. Ma può l’immagi ne di una donna o di una bambina che promuove un mobile destare de siderio sessuale? Certamente meno di quanto non ne desti nell’immagi nario collettivo la sensualità di una danzatrice di “danza del ventre”. che dire della rappresentazione di alcuni personaggi femminili pro tagonisti dei vari racconti che hanno dato vita al capolavoro più amato e osannato della letteratura orientale

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“Le Mille e una Notte”? In essi la don na è un essere, oltre che astuto e intel ligente, sensuale, trasgressivo, spudo rato, che nulla ha in comune con la donna “invisibile” del catalogo Ikea “… Shahzamàn, invece, dopo la par tenza del fratello rientrò nel suo pa lazzo e si sedette accanto a una fine stra, lasciando vagare lo sguardo sulle diverse parti del giardino. [Omissis] Ad un tratto vide aprirsi la porta se greta dalla quale si entrava nel palaz zo di suo fratello. Ne uscì la sposa di questo, circondata da una ventina di ancelle. [Omissis] Arrivate che furono sotto le mura, tutte abbandonarono le loro vesti e dieci di loro si rivelarono degli schiavi mori che senza indugio si mescolarono con le dieci donne del la compagnia. "Masùd! 0 Masùd!".


Velo Gridò la regina. Un altro schiavo moro saltò allora a terra dalla cima di un al bero e in un attimo la raggiunse. Le alzò in aria le gambe, le scivolò fra le cosce e la penetrò.Nello stesso modo i dieci schiavi si lanciavano sulle dieci ancelle, mentre Masùd, per suo conto si lanciava sulla regina. E non smisero di folleggiare fino a notte fon da [cfr. Le Mille e una Notte – Storia del re Shahriyar e della bella Shahra zad; ed. Fabbri editori]. Come conci liare l’immagine della regina e delle sue ancelle tramandata per secoli in questo racconto della cultura medio

rientale con l’immagine della “don na/mobile” imposta oggi sul catalogo Ikea dalla medesima cultura? Vero è che “Le Mille e una Notte” fa infuriare gli islamisti e i conservatori, tanto che in Egitto il libro, bollato come “osceno”, “antislamico” e “immorale” rischia la censura non solo perché la protagonista è una “eretica” come Sherazad (è figlia dei Sassanidi, i re della Persia preislamica e zoroastria na prima della conquista araba del 641 d.C.), ma perché contiene scene di un erotismo molto intenso e parla di sesso e sensualità. Ayman Abdel Hakeem, a capo degli avvocati islami ci che hanno perorato la domanda di censura, avrebbe dichiarato: “Com prendiamo che questo tipo di lettera tura è accettabile in occidente, ma noi

abbiamo una cultura differente”. In nome di questa cultura, dunque, è le cito censurare libri, anche se costitui scono un patrimonio culturale, così come è lecito censurare i cataloghi Ikea se riproducono immagini fem minili. a quante contraddizioni ci sono in una cultura che ostacola la di vulgazione di un catalogo di mobili perché considera immorale mostrare l’immagine di una donna o una bam bina senza la censura di una tunica o di un velo, imponendo per ciò che sia no sostituite da un mobile, mentre non considera im morale la segrega zione, le violenze e gli abusi cui le don ne sono sottoposte e ritiene persino le gittimo che il corpo di una bambina possa essere tocca to e violato da un uomo, anche molto anziano, perché lo ha potuto compra re. Le contraddi zioni, invero, sono causate dal fatto che nella cultura islamica l’essere femminile è consi derato inferiore e subordinato rispet to a quello maschile perché è questo che, secondo una certa interpretazio ne estremista, è scritto nel Corano. na rappresentazione di siffatte contraddizioni si rinviene in queste parole: “Gli uomini non dava no molta importanza ai litigi delle donne, li consideravano un’ulteriore prova della loro mancanza di cervello, proprio come aveva detto il profeta (che Dio lo benedica). Gli uomini tra scorrevano la giornata lottando dura mente per procacciarsi il pane e tor navano la sera sfiniti con l’unico pen siero di soddisfare i loro tre piaceri fa voriti: cibo caldo e saporito, qualche tiro di ma’assel e di hashish (quando si presentava l’occasione) da fumare nella shisha da soli o in compagnia nelle notti d’estate sul terrazzo, e il sesso, di cui tutti parlavano aperta mente senza imbarazzo, visto che la

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29 religione lo permetteva. La cosa di per sé era contraddittoria. Gli uomini in fatti – come voleva la tradizione popo lare – si vergognavano di chiamare per nome le mogli alla presenza di al tri uomini, così le chiamavano “la ma dre … (nome del primogenito)”, oppu re dicevano: “I marmocchi hanno cu cinato la zuppa mulukheyya” e i pre senti capivano che con il termine mar mocchi si riferivano alle mogli. Ma quando si riunivano da soli sul terraz zo non si vergognavano affatto di de scrivere nei minimi particolari i loro rapporti intimi. Ognuno conosceva le predilezioni del vicino. Le donne, a lo ro volta – tralasciando i diversi gradi di fervore religioso – adoravano il ses so. Si sussurravano i segreti più na scosti, ridendo fragorosamente e quando si ritrovavano da sole diventa vano spudoratissime. Il sesso per loro non era unicamente piacere. Il sesso bramato avidamente dai mariti le fa ceva sentire ancora belle e desiderate, nonostante la dura vita che conduce vano. Quando in casa c’era cibo suffi ciente per una settimana e qualche soldo risparmiato per le emergenze, quando l’unica stanza che condivide vano era pulita e in ordine, le donne mettevano a letto i bambini dopo cena e aspettavano il marito che il giovedì sera tornava a casa di buonumore per gli effetti di qualche di qualche pipata di hashish, desideroso di passare la notte con la moglie. Allora si prepara vano: si lavavano, si profumavano e si facevano belle. Quelle poche ore di fe licità non regalavano forse loro l’illu sione di essere delle privilegiate, mal grado quella vita di stenti? Sarebbe necessaria la mano di un pittore di ta lento per immortalare l’espressione dei loro volti nel momento in cui, il ve nerdì mattina, uscivano a stendere le lenzuola sul terrazzo mentre i mariti si recavano a pregare in moschea. In quell’istante, con i capelli bagnati, la carnagione viva e lo sguardo limpido, sembravano rose che la rugiada del mattino ha fatto sbocciare improvvi samente”. Il brano è tratto da uno dei libri più venduti nel mondo arabo “Palazzo Yacoubian”, scritto proprio da un egiziano, ‘Ala AlAswan, pub blicato nel 2002 (Ed. Feltrinelli). Nel catalogo Ikea, dunque, come sul ter razzo del palazzo Yacoubian la donna è invisibile solo perché gli uomini la rendono tale.


Le Pubblicazioni di Piazza del Grano La critica marxista deve porsi questa parola d’ordine: studiare, e deve respingere ogni produzione di scarto e ogni arbitraria elucubrazione del proprio ambiente. (Lev Trotsky) La cultura è organizzazione, disciplina del proprio io interiore, é conquista di coscienza superiore. Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. (Gramsci) Basta un profumo di rosa smarrito in un carcere perché nel cuore del carcerato urlino tutte le ingiustizie del mondo. (Ho Chi Minh)

Veniamo da molto lontano e andiamo molto lontano! Il nostro obiettivo è la creazione di una società di liberi e di eguali. (Togliatti) Alcuni piagnucolano, altri bestemmiano ma pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere sarebbe successo ciò che è successo? Perciò odio gli indifferenti. (Gramsci) Siate tutti degli amministratori. Accanto a voi si troveranno i capitalisti stranieri, si arricchiranno accanto a voi. Si arricchiscano pure; ma voi imparerete da loro ad amministrare. (Lenin)

Sono come l’ingombro al centro di un incrocio, dovrei svoltare e l’unica cosa che mi viene da fare è solo ridere L'amore è la capacità di avvertire il simile nel dissimile.(T.W. Adorno) Fin da quando era piccolina la bimba mi ha chiesto di raccontarle delle favole e io mi sono inventata storie di draghi, ecc.

Chi ha il cuore bambino vede da un'altra angolazione la realtà, perché non volge gli occhi in basso ma li rivolge al cielo “Siamo realisti, esigiamo l’impossibile”, può dare forse, più d'ogni altra argomentazio ne sociologica, filosofica o politica, una idea corretta della realtà cubana. Quando discuti con un avversario, prova a metterti nei suoi panni. Ma i panni dei miei avversari erano così sudici che ho concluso: è meglio essere ingiusto qualche volta che provare di nuovo questo schifo.

nel sito www.piazzadelgrano.org  inediti


Sentiero

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Psiconautica… cioè?

«Stretto come il filo di un rasoio, e difficile da percor rere è il sentiero che conduce alla Realtà» (Upanishad)

“ La vita spirituale, a cui appartiene anche l’arte, e della quale quest’ulti ma è uno dei più potenti fattori, è un moto ascendente e progrediente, complicato, ma determinato e suscettibile di esser ridotto a unità. Questo moto è quello della conoscenza. Può assumere varie forme, ma in fondo mantiene sempre il medesimo significato interiore, il medesimo fine." (V. Kandinskij)


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Sentiero

Pubblichiamo in questo numero la seconda parte della “autointervista” rilasciata da Roberto Ruggieri alla nostra rivista. Roberto Ruggeri ci ha anticipato ulteriori contributi di approfondimento, li attendia mo con interesse e curiosità, ringraziandolo sin d’ora. Le foto, anche del numero precedente, sono di Antonello Turchetti, che ringraziamo. (prosegue dal numero di ottobre 2012)

Approfondiamo ulteriormente il capitolo delle politiche cultu rali, mi sembra una questione nodale. Abbiamo leggi regionali ad esempio molto discutibili che stabiliscono cri teri pressoché univoci di selezione sulla base di valori inerenti la quanti tà di persone impiegate: ciò consente di elargire contributi economici esclusivamente in considerazione della consistenza numerica, che rap presenta certo un valore, ma non cre do IL valore principale, se non addi rittura esclusivo. Il teatro professio nale non può fare a meno del soste gno finanziario pubblico, si sa, ormai è così da una vita. Il problema che si apre è che la funzione dell’Ente pub blico chiamato alla responsabilità di scegliere un indirizzo anziché un al tro è gravoso e importante. Occorro no competenze che non tutti hanno. Parlo di teatro professionale ma pen so anche a quello ‘amatoriale’ che tanta importanza ha per il canale di retto che ha con i cittadini: spesse volte si pensa a questo tipo di teatro come se in questa categoria debba rientrare soltanto il teatro dialettale. Non è così. Andrebbero ritrovate le radici di nobiltà originarie del termi ne ‘amatoriale’. Non so se sia giusto confondere l’arte con un assistenzia lismo sociale indiscriminato e non re golamentato, più a favore del sogget to operante che dell’operato. Non è un dovere favorire tutti in modo indi scriminato, non è giusto né utile con tribuire all’illusione narcisistica ge nerale indipendentemente dai risul tati che si producono. Se c’è talento, lo si capisce dai risultati, c’è poco da fare. La diversificazione di competen ze e di qualità è indispensabile e se non la compie lucidamente il sogget to stesso, allora per lui la deve fare l’Ente pubblico delegato dal cittadi

no, visto che è chia mato a riconoscere ufficialmente ruolo e funzione sociale e culturale del sog getto impegnando risorse finanziarie pubbliche. E’ una responsabilità di un certo rilievo. Per il territorio vuol di re valorizzare le ri sorse artistiche del territorio, proteg gere e sollecitare la propria autonomia culturale, che poi vuol dire la propria identità civile. Per non parlare dei teatri intesi come edi fici, più che risorse sono forieri di pro blemi: una volta ristrutturati non si sa che farne, una volta esaurito l’investi mento economico (europeo) non si sa neanche lontanamente trarne tutto il bene possibile, investendo sulle mi gliori risorse umane e artistiche del territorio. Ma è bene interrompere, altrimenti mi viene la nausea, quella di sartriana memoria. Nessuno può negare l’avvilente tristezza della si tuazione.

Qualcuno potrebbe dire che lei non tiene conto della crisi in atto… La crisi poteva essere vissuta come un’opportunità scesa dal cielo, un se gnale, un’occasione per riflettere se riamente su tutto l’esistente, per ridi segnare il territorio e il tessuto artisti co registrandolo rispetto all’attuale stato delle cose, definendo priorità e scale di valori, cambiando insomma le modalità di approccio a questo set torechiave per la nostra identità cul turale e sociale. Ma non è stato così, è evidente. Sono poche le regioni e i co muni in Italia che anziché decurtare i fondi destinati alla cultura hanno de ciso di incrementarli, rendendosi conto che in discussione c’è la nostra

civiltà. Si pensi ai profitti che potreb be trarre lo Stato se investisse consi stentemente e in modo sistematico sui propri beni artistici e culturali. I politici rimarranno prigionieri degli interessi della crescente pletora di questuanti che riempiono kafkiana mente i corridoi dei Palazzi. E’ come se a un certo punto si fosse verificato un errore, una sorta di inganno diabo lico, per cui tutti a un certo punto avessero ricevuto l’olio santo della consacrazione. Si è verificata e diffusa una cosa spaventosa, viziosa e perico losissima. Molti giovani hanno pensa to, buttandosi in massa, che se un ta le, poniamo ‘Bianchi’ è in grado di so pravvivere salendo su un palcosceni co e firmando spettacoli in quel mo do, allora anch’io, ‘Rossi’ posso farlo. Che vivaio strano il nostro teatro at tuale che crea questi calchi dozzinali, che genera queste specie di mutanti.

Dove coglie l’origine del pro blema? Tutto deriva da una grottesca distor sione in atto: noi percepiamo il teatro come una fabbrica, officina da una parte e arte in forma di commercio e propaganda dall’altra, con i favori dei gazzettieri, locali e non, specializzati nell’ungere (per non dire altro…) con improbabili recensioni le cricche dei potenti.


Sentiero

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Da una parte il teatro commer ciale, e dall’altra?... Attenzione alle categorie verticali che tendono a separare l’insieme in modo corporativo, penserei più volentieri a una lettura in questo caso di tipo oriz zontale. Molti ripetono che il teatro è uno solo, quello fatto bene. C’è da cre dergli. Il valore artistico infatti è tra sversale, è presente o meno in tutte le categorie di lavoro, così come in tutte le opere c’è gradazione di valori, nei soggetti, nei contenuti e nelle forme. Sfortunatamente i responsabili istitu zionali altolocati sono ben lontani dal sostenere il teatro d’arte e d’autore, sfugge alle loro logiche, non viene con siderata come una risorsa culturale meritevole d’investimenti. Sembra da sempre il destino stregato di buona parte dell’arte d’autore. Credo che l’at tenzione verso quest’ultima venga av vertita come perdita dispersiva di tem po e di denaro, senza ritorni né econo mici né d’immagine. Nei Palazzi e nei Teatri si tende a considerare il teatro non come forma d’arte, bensì come possibilità di commerciare, trasfor mando lo spettacolo in una comune merce, e gli spettatori genericamente in pubblico fruitore da ammannire con la presenza sulla scena di ricono sciuti divi televisivi e cinematografici e di autori ed opere di classica memoria, oltre che di registi e attori campioni di rivisitazioni. Nel frattempo noi soffo chiamo per l’eccesso d’informazione e nello stesso tempo i messaggi più im portanti, quelli in grado di trasformare la nostra vita, non raggiungono la no stra coscienza. Una parte del panora ma teatrale si è difesa dalle logiche commerciali, in un certo senso dallo stesso teatro ufficiale, insistendo sulla ricerca di questi messaggi importanti e riuscendo anche a creare un proprio pubblico, attento e sensibile, aperto a nuovi percorsi artistici. Nonostante ciò questa parte del mondo teatrale viene relegata spesse volte ai margini, ove rimane ammassata inutilmente agli angoli senza distinzioni di meriti e di funzioni, facile preda dei maneggio ni. Anche per colpe proprie, come ho appena detto. L’abusivismo e il clien telismo non premiano. Di fronte alle esigue risorse dovrebbe imporsi la ne cessità di operare distinzioni, proget tare miratamente, sostenere e ricono scere il valore della qualificazione pro

fessionale, investire sul futuro, pre miare i meritevoli. Ma questa è altra cosa rispetto a ciò che avviene, è co munque una delle possibili angolazio ni dalle quali considerare il teatro, po tremmo leggere tutto anche da altre angolazioni.

Quali ad esempio? Un modo di leggere il teatro può esse re anche quello di distinguere in esso due correnti: una in espansione di ri dondante spettacolarità, in cerca di ef fetti dilatati e di contaminazioni arti stiche di linguaggi, l’altra di contrazio ne, concentrata a definire il proprio campo d’azione, il proprio specifico senso, eliminando ogni inessenziale ri dondanza. Io appartengo alla schiera di coloro che hanno cercato di restrin gere e definire sempre più il campo d’azione, respingendo le contamina zioni, rimanendo con il timone rivolto verso il centro, in modo centripeto. Tutte sono direzioni lecite, chi preferi sce ad esempio rivolgersi al sociale e chi all’individuo. Chi sostiene una con cezione prevalentemente letteraria, subalterna rispetto al repertorio, clas sico o moderno, e chi come me è soste nitore di una pratica teatrale di ‘scrit tura scenica’ che dà rilievo alla figura del performer/scrittore sulla scena o in ogni caso a partire dalla scena. In cerca di distinzioni e contrapposizioni di questo genere si potrebbe procedere all’infinito. Se ne potrebbero elencare abbondantemente tante.

Può dirsi fiducioso che le sue ri flessioni generino interesse in qualcuno? Può essere di una qualche utilità dirlo? Sinceramente, non credo. E’ solo un sasso gettato nello stagno. E’ semplice mente una memoria personale. Tutta via, nel caso potesse interessare qual cuno, in questo caso mi augurerei che venisse ‘ascoltata’ da un talentuoso teatrante, ricco di doti, rigoroso,one sto, operoso e non arrogante, rispetto so e vocato alla trasmissione del filo che unisce il presente al passato e che ci riporta alle origini per poter vivere meglio il futuro. Non è facile. Mi rivol go a lui per sostenerlo nell’impervio cammino che lo aspetta.

Prima di cominciare l’intervista mi ha citato Virgilio: Felice colui a cui fu dato di conoscere le cau se delle cose… E’ il fine ultimo di ogni ricerca, non crede? Io difendo essenzialmente per esperienza personale l’autodidatti smo e cerco di destare questo seme negli allieviattori dei corsi che con tribuisco a promuovere come C.U.T.. L’autodidattismo conduce l’indivi duo a porsi per necessità le giuste domande, quelle essenziali, ad inda gare in modo del tutto personale su ‘la causa delle cose’, per cercare di dare risposte soddisfacenti, soprat tutto se è un individuo esigente


34 e non facile da accontentare: è come procedere in un fitto e intricato bosco aprendo sentieri, anziché passeggiare in un ordinato parco cittadino ben dise gnato. E’ un’esperienza che segna chi la compie se non altro perché richiede una buona dose di acume e determinazione che scaturiscono, secondo me, da una profonda necessità di carattere spiritua le. L’arte sprigiona energia spirituale. E’ qui che risiede il suo alto fine. Solo se si possiede un proprio sguardo sulle cose il regista diventa artista e il teatro diven ta arte. Non avendo avuto in vita mae stri al mio fianco ho fatto di necessità virtù: fin dall’inizio, dopo aver effettuato al C.U.T. i primi passi come attore, fru strato dai tanti interrogativi e dalle po che risposte esaurienti che ricevevo e trovavo, assunto il ruolo pedagogico di docente e di regista (quando in loco ce ne erano pochi altri, operando a Perugia all’epoca solo il C.U.T. di Frondini e Ra gni), ho iniziato a dialogare con maestri quantomeno assenti se non defunti che mi hanno illuso di coadiuvare generosa mente nel tracciare il percorso di cono scenza perigliosamente affrontato insie me a transeunti compagni d’avventura.

Ci può introdurre con parole semplici alla sua concezione este tica senza farci cadere dal sonno? Ci provo… Ognuno è mosso da qualcosa: in genere si parla di successo, denaro, potere,ecc. Non potrei discutere sulla li

Sentiero bertà di scelta di ognuno. Ognuno ri sponde come può a se stesso, ma in am bito artistico tuttavia le finalità non do vrebbero essere di natura materiale. E’ più utile chiedersi ad esempio: quali sono e che ruolo hanno le sorgenti istintive spirituali nell’arte? Si tratta più che altro anche in questo caso di esplorare. Nel mio contesto definisco esplorazioni le operazioni di scrittura scenica compiute sia da me che dai performers, ove il micro e il macro coincidono, come c’insegna la fisica quantistica. Scendere nel nostro centro è come librarsi verso l’Infinito. Qualcuno può storcere il naso davanti a espressioni come questa. Ogni artista pe rò sa che è così. E’ così, perlomeno se consideriamo l’essenza. Si tratta di non accontentarsi più di recitare una parte e di interpretare un personaggio. Per me ciò che conta davvero è di compiere azio ni interiori. Qui mi devo fermare perché dovremmo entrare in dettagli che po trebbero annoiare qualcuno. Se vuole ci torneremo sopra un’altra volta… Posso solo aggiungere che la qualità della regi strazione da effettuare prima dell’azione è la fase del processo più essenziale. L’og getto d’indagine è uno. L’uomo. Attra verso la contemplazione della realtà e della propria e altrui vita si manifesta l’istinto spirituale dell’umanità, e nel l’opera l’aspirazione dell’uomo verso l’eterno, il trascendente, il divino, soven te a dispetto della natura peccaminosa del poeta stesso. Lo scrive Tarkovskij, uno dei più grandi registi cinematografici

del Novecento. Tarkovskij, Bergman, Fel lini, Antonioni, Tarr, Sokurov, Grotow ski, Bene, Barba, Brook, Bausch, per dir ne solo alcuni, cos’è che li accomuna? Hanno l’uomo al centro dei loro interessi e delle loro opere. Il fatto di concentrarsi solo sull’uomo, su chi performa, non si gnifica essere riduttivi, nel senso profes sionale del termine. Significa solo che per questi artisti il mondo si riflette negli oc chi dell’attore, nelle rivoluzioni che av vengono dentro di lui, durante i conflitti di un attore con l’altro. Colui che perfor ma, attore, regista o testimone/spettato re che sia, dev’essere libero, ma nel rigo re, per poter vivere quanto più libera mente possibile all’interno delle circo stanze nelle quali si è posto, deve letteral mente vivere in quel frammento, vivere in senso fisiologico, nel senso di condi zione psichica. Poiché nell’arte è come nella vita reale: l’uomo è sottomesso ai propri sentimenti, non conoscendo la drammaturgia della sua vita. In sostanza, a teatro, un attore/performer è molto più libero quando il regista non gli dice qual è la propria idea e non lo lega ad un testo precostituito, può sfuggire così più facil mente alla tentazione insita nella ten denziosità ideologica dell’interpretazio ne che tenderebbe ad intrappolarlo. Ma ripeto, se vuole potremo tornarci sopra… Qui mi fermo veramente, il discorso si farebbe per me molto interessante, ma magari per voi no, quindi faccio bene a fermarmi in tempo. Vorrà dire…che se son rose…fioriranno…


Paranoia

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“La paranoia del porcospino”

La mente di Aiace è sostanzialmente vuota. Poiché il vuoto si riempie per legge naturale, com pare in essa la sensazione che qualcosa stia arrivando. Una novità sconosciuta, di cui la men te diffida ma a cui, avendone bisogno, si affida. Nell'attenderla, l'ansia cresce. A un certo pun to basterà mettergli a disposizione un nemico e il semplice si sentirà, paradossalmente, più in pace: ossia in guerra, perché per lui, oramai, fa proprio lo stesso. L'importante è non vivere più nell'incertezza. Non dover fare più l'atroce sforzo di capire. La macchina semplificatrice della logica paranoica potrà funzionare scorrevolmente: la presenza del nemico spiega tutto. Il sospetto di un complotto è diventato certezza.” (Da "La follia di Aiace", in L. Zoja, "Paranoia. La follia che fa la storia", Bollati Boringhieri, Torino 2011, p. 17)


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Paranoia

Definizioni di paranoia sociale DI SARA MIRTI

"Il dilemma del porcospino", a cui questo articolo si ispira, recita così: “Una compagnia di porcospini, in una fredda giornata d’inverno, si strinsero vicini vicini, per proteg gersi, col calore reciproco, dal rima nere assiderati. Ben presto, però, sentirono le spine reciproche; il do lore li costrinse ad allontanarsi di nuovo l’uno dall’altro. Quando poi il bisogno di riscaldarsi li portò di nuovo a stare insieme, si ripeté quell’altro malanno, di modo che venivano sballottati avanti e indie tro fra due mali, finché non ebbero trovato una moderata distanza reci proca, che rappresentava per loro la migliore posizione”  (Schopenha uer, “Parerga e Paralipomena”). Ma, fuori dal contesto allegorico, per noi che non siamo dei semplici porco spini, trovare quella che M. Vozza definisce la "debita distanza" non è un compito semplice come sembra: bisogna avere il tempo per fermarsi a riflettere, avere la capacità e i mez zi per misurare gli spazi e, infine, avere abbastanza libertà da poter decidere da soli la rispettiva distan za dalle spine. Per lo più, non aven do la libertà di muoversi dal proprio posto e mal sopportando la vicinan za degli altri  vicinanza di cui non si percepisce il diretto vantaggio , ci si accontenta di dare un nome alle spine che ci pungono i fianchi ad ogni movimento. Esse possono di ventare, di volta in volta, frutto di complotti malvagi, di ingiustizie, di soprusi. Le insicurezze generano in cubi e gli incubi, attraverso i nostri occhi, le nostre orecchie, i nostri ge sti, diventano realtà in grado di per seguitarci. A volte potrebbe capita re, e difatti capita, di guardare qual cosa che si trova proprio sotto i no stri occhi senza tuttavia riuscire a vederlo, o magari di ascoltare dei di scorsi e fraintenderne il significato, di stravolgerne il tono. Altre volte potrebbe capitare di vedere e ascol tare cose che non appartengono alla realtà e che quindi non sono mai

comparse davvero nel raggio d'azio ne dei nostri sensi; eppure, quando capita, tali sensazioni appaiono co me fossero molto più che concrete, diventano minacce, insidie e, a se conda dei casi, sono in grado di mu tarsi in volti criminali o mostruosi: incarnano insomma delle vere e pro prie urgenze, delle necessità di fuga o di reazione dal cui espletamento, almeno così pare a chi le prova, di pende la sopravvivenza stessa di una o più persone, di uno Stato, di un gruppo, o, peggio ancora, di un idea le "imprescindibile". Potrebbe capi tare di temere, con tutto il proprio essere, un nemico specifico e ugual mente di non riuscire a rintracciarlo al di fuori dei propri confini: esso in fatti, come recitava la nostra coper tina di ottobre, probabilmente mar cia alla testa dell'esercito che do vrebbe stanarlo e cacciarlo, oppure si trova dentro le insospettabili file degli apparati che reggono tutto il cosiddetto "sistema". Eppure, non trovandolo, la caccia non si ferma mai, si fa anzi più crudele, più indi scriminata. In fondo la presenza di uno o più nemici spiega ogni soffe renza, ogni umiliazione patita, ogni dolore possibile. Certo, parafrasan

do tanto Stalin (ma sarebbe meglio dire quello che di Stalin ci hanno tramandato) quanto Kurt Cobain, nulla vieta al paranoico di avere so stanzialmente ragione. Chi è dun que un "paranoico"? "Paranoici", "in sensati", "deliranti", "furiosi", posse duti da una follia vera o simulata so no gli eroi ed i personaggi omerici: Aiace appunto, che compie un'inuti le strage di armenti convinto di ave re davanti i suoi stessi compagni di guerra, percepiti ora come nemici per essersi rifiutati di concedergli le armi di Achille da poco caduto in battaglia, ma anche lo stesso Achille, Odisseo, e poi Clitemnestra, Elena, Oreste, Agamennone (probabilmen te fu Eschilo a "inventare" il termine "paranoia", addirittura prima che entrasse nel vocabolario medico); la follia dei padri ricade sulle genera zioni che seguono, si eredita come il sangue, ma la loro follia è un'affezio ne divina, teoricamente reversibile tanto quanto lo sono i doni, graditi o sgraditi, delle divinità; in fondo sta agli uomini scegliere come affron tarla. La follia di Edipo, tanto per fa re un altro esempio, è stata sia la causa che l'effetto della sua empietà, in un circolo vizioso che t rascina


Paranoia Edipo verso un'inevitabile catastrofe alla cui fine tuttavia non è esclusa una forma di "redenzione"; ma an che gli dèi (molte sono le divinità ca paci ugualmente di provocare e di guarire dalla pazzia: Pan, Ecate, Ares, Apollo, Dioniso…) e persino i potenti padri di tutte le divinità sono "paranoici", o almeno, all'occorrenza si comportano come tali: Urano, Crono, Zeus…tutti arroccati sul tro no del potere e divorati dal terrore di esserne spodestati. Essi sono soli perché convinti di essere i soli a di stinguere chiaramente le oscure tra me del destino e quindi i soli in gra do di poterle contrastare. Proprio come è accaduto all'insieme dei regi mi totalitari del "secolo breve" e alle masse che li hanno seguiti  che han no abbracciato la stessa paranoia dei loro dittatori, degli intellettuali, dei generali, degli scienziati e di tutti gli altri uomini, compresi quelli schie rati sul fronte opposto ; gli uomini moderni caduti nella trappola dei propri demoni, grandi o mediocri che siano, si trovano, oggi come allo ra, chiusi "fuori" dalla comunità estesa degli uomini, essi anzi la te mono, la guardano con sospetto e la vedono mutare continuamente e or ribilmente faccia. Gli eventi vengo no subiti e amplificati, in una reazio ne a catena inarrestabile, tipica, pa rafrasando un'espressione efficace di L. Zoja, di chi si muove su di un pia no inclinato: si finisce per scivolare anche quando si vorrebbe restare fermi. Fuori dai confini della propria

mente le facoltà razionali paiono inalterate, solo le sensazioni diventa no ostinate, ossessive, furiose: senza dubbi circa le proprie ragioni i para noici finiscono per realizzare piani folli in maniera razionale e meticolo sa: l'ultimo demone a scatenarsi su di loro è anche il regista occulto di ogni azione e reazione fin lì compiuta, va le a dire la colpa, inevitabile prezzo da pagare per un'autoaffermazione di sé che improvvisamente si trova a ignorare i propri giusti confini. L'universo che si estende oltre i pro pri limiti è sconfinato e temibile, la lotta sembra al paranoico impari, op pure, in piena crisi di onnipotenza, egli finisce per convincersi di essere padrone dell'immensità tutta.L'ansia di vincolar a sé l'inimmaginabile, ha spinto tutti i moderni Eracle del xx secolo a uccidersi l'un l'altro per pos sedere nuovi confini, nuove ideolo gie, nuovi rapporti di potere dal sa pore di cenere stantia. La verità è che nonostante temiamo l'intrusione del prossimo, del potenziale nemico, en tro i nostri limiti, riusciamo a rico noscere sempre, in ogni istante, la luce e l'ombra che si agitano nell'al terità più mostruosa: esse sono le no stre stesse luci e ombre. Anzi, lo sco nosciuto più temibile è spesso in gra do di parlare alla nostra parte oscura, o alla nostra parte più benevola, me glio di quanto non riusciamo a fare noi stessi. Segretamente invidiamo, ammiriamo, a volte emuliamo "il ne mico" e, se possibile, finiamo per in globarne in parte le qualità per poi

Quando mormorerai nel sonno, E la tua voce sarà stizzita, Ti prenderò piano per un dito E sussurrerò: "Racconta di me,Quanto mi ami, amore mio? Come mi vezzeggi, colombo mio?" E si apriranno i battenti spaventosi Di una porta, sino ad allora serrata. Con folle sveltezza Sgorgherà un dolore celato,E il tuo animo, piangendo, vedrà Quanto odia pazzamente. (Sofja Parnok, 24 dicembre 1919)

37 distruggerlo. Come le stelle antropo faghe di Mendel Osipovich, la cui vi cinanza troppo spinta le induce alla tentazione di distruggersi e inglobar si, gli uomini tendono a voler brillare da soli nell'universo, come dire che vorrebbero veder riconosciuto il pro prio modo di brillare quale unica pratica universale, legittima e sacro santa. Questa moderna paranoia, fin troppo facilmente liquidata come una patologia senza soluzioni effica ci, differisce dalla paura perché non è indotta dall'alto, non è un'ansia fo mentata da pochi e subita passiva mente: essa è il frutto disastroso di convinzioni collettive, di fini collet tivi, di abbagli di massa, di difetti di visione e di significato avvenuti trop po in fretta e tutti al medesimo mo mento. Il gioco perverso dei numeri poi fa il resto: la massa schiaccia per sua stessa natura ogni singola voce di opposizione, si autoinfluenza, si au toconvince della propria bontà, si in fervora, non rimane mai senza "car burante", si illude e si chiude ermeti camente in se stessa. Eppure alla massa furiosa manca sempre il terre no sotto i piedi, la massa è bulimica di certezze, ideali e materiali, peren nemente affamata di spazi, di risorse, di facili, eroiche vittorie, di mondi da travolgere e rifondare. "Ah, chi trac cerà il confine tra il sonno e la veglia, tra il giorno e la notte, tra la notte e l'alba, tra il ricordo e il vaneggiamen to? / Chi porrà un limite netto tra il sonno e la morte? / […] Beati coloro che di notte sognano e di giorno si


38 ricordano i loro sogni, perché essi si rallegreranno. / Beati […] coloro che di giorno sanno dove sono andati di notte, perché di essi è il giorno e di essi è la notte" (D. Kis, “Enciclopedia dei morti”, trad. L. Costantini, Adel phi, Milano 1988, pp. 9495). Beati coloro che sanno affrontare le pro prie paure e le proprie colpe così co me le colpe e le paure altrui: nulla di ciò che accade viene da lontano, da una galassia sconosciuta, niente av viene per un caso fortuito, nulla è frutto di una singola follia: i mali so ciali, le guerre di conquista, le guerre preventive, quelle per il pane, quelle per i diritti, sono tutte causate diret tamente o in riparazione di paranoie collettive, da grandi abbagli dovuti alla facilità di una prima lettura degli eventi, alla comprensibile fatica di mettersi nei panni altrui e nel rifiuto di un possibile torto, così come di una possibile ragione. Il vuoto della mente abituata a leggere parole sem plici, scritte a caratteri grandi, viene

Il fuori è andato perduto (1958) Quando nell'anno 2058, mezzo secolo dopo la fondazione dello stato mondiale, un alunno lesse nella "Storia del 20° secolo" la frase: "Nei momenti in cui qua e là il peso delle dittature diveniva insopportabile, c'erano sempre folle di fuggiaschi", chiese - perché per lui il mondo fosse uno ed ermeticamente chiuso era assolutamente scontato: "Folle di fuggiaschi? Ma che significa? E dove mai poterono scappare? C'era davvero un fuori?" - Ed esclamò, colmo di disprezzo, come se per lui queste domande fossero già state risolte, e come se la condizione misera in cui era nato potesse essere motivo d'orgoglio, o addirittura un merito personale: "Guarda un po', un peso le avevano definite quelli!" - Dal che si deve imparare che dovremmo riflettere tre volte prima di fondare uno Stato mondiale. Perché laddove ve ne è soltanto uno, allora non rimane più nessuno spazio al di fuori. Quindi nemmeno alcun rifugio possibile. (G. Anders, "Lo sguardo dalla torre. Favole con illustrazioni di A. Paul Weber, cur. D. Colombo, Mimesis, Milano-Udine 2012, pp. 80-81)

Paranoia fisiologicamente riempito da una storia altrettanto semplicistica e fal samente chiara, in cui giusto e sba gliato non si discutono e non si scambiano mai di posto, in cui man ca ogni sorta di approccio critico in grado di permettere davvero al torto e alla ragione di restare tali. I moder ni paranoici, una volta trovato un "li bretto delle istruzioni" vi si affidano totalmente e dolentemente: possono rassegnarsi alle ingiustizie e alle pro prie sofferenze purché vi sia un col pevole a colmare col proprio essere il vuoto lasciato dalle occasioni perdu te. Il vero colpevole è la mentalità che ammette e giustifica la follia so ciale quando questa risulti vincente, conveniente, in qualche modo op portuna. Così facendo, tuttavia, essa ci abbandona lontano da noi, pren dendosi la stessa vita che tanto avremmo voluto proteggere. Per tor nare ai giorni nostri: è "paranoico"  letteralmente "fuori dalla mente", dalla propria, ma anche "vicino alla

mente", quella altrui, troppo vicino, come lo sono le stelle che finiscono per andare in collisione , chi ante pone ciecamente la legge ai diritti, l'ideologia alla vita reale, spendendo energie essenziali in battaglie inutili. Per concludere con Zoja: "Il paranoi co puro è un caso limite, non molto frequente nella realtà quotidiana. Il vero paranoico clinico non conosce il dubbio, neppure un problema di fe de: la sua verità è un a priori, esisten te da sempre. Ma questo difficilmen te è il caso degli agitatori pubblici, dei "paranoici di successo". Essi han no fatto strada scegliendo tra diverse opzioni, e, almeno in parte, se ne so no resi conto. Hanno sofferto di quella che abbiamo chiamato 'la sin drome di Creonte': cedere alla ragio nevolezza o insistere nella diffidenza feroce? Proprio come Creonte hanno finito col preferire la paranoia al l'umanità, completando in ogni sen so la tragedia, della loro e della no stra storia" (L. Zoja, op. cit. p. 373).


Signoraggio

Il Signoraggio

Mentre l'operaio libra in aria il proprio martello percuotendo il ferro rovente, il contadino apre il braccio con la falce per far cade re le spighe di grano e il boscaiolo alza la scure per spaccare la le gna, producendo beni indispensabili alla vita sociale, dal suo ya cht il potere pigia i propri bottoni...

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Signoraggio

Speculazioni ultraveloci e derivati DI JACOPO FELICIANI

L

'Economia reale serve per la produ zione di beni e servizi della collettivi tà e per instaurare un clima di lavoro se reno. La turbativa viene dall'estremo e dall'esterno, dalle altre Società parassite che vivono sulle spalle degli altri, insie me ai complici locali. Oggi lo sfrutta mento avviene con moderni sistemi. In borsa non è sufficiente non 'GIOCARE'; la speculazione mette a terra il sistema sociale nel suo complesso e non ci sono vie di fuga. Quando i 'giocatori protago nisti' hanno speculato a ribasso su una Nazione, ci si può aspettare di tutto fin ché non sono rientrati a sufficienza del loro investimento. Ma veniamo ai pro blemi più recenti individuati. Di che co sa si tratta? Il problema di Sovranità mo netaria per gli Stati, il Signoraggio è am piamente dibattuto, chiaro, noto e in sabbiato dalle classi politiche dei Paesi. Riassumendo, gli Stati rinunciano alla gestione della propria moneta e la con cedono gratuitamente a dei soggetti pri vati, ossia le Banche Centrali  soggetti privati costituite dagli Istituti di credito ordinari (le normali Banche), gli istituti di Assicurazione e gli Istituti di previden za sociale. Il profitto che le Banche cen trali generano, appartiene ai cittadini dello Stato, pertanto andrebbe destinato al pagamento di minori tasse. Ecco la ra gione della permanente difficoltà nel pa gamento del debito pubblico degli Stati, altro che le favole alternative che ci rac contano... Diciamo che è il sistema con cui la finanza internazionale tiene in pu

gno gli Stati, le Nazioni, indebitandole e facendone delle colonie economiche. Questo è dunque il sistema per tenere in scacco le popolazioni con il tacito bene stare di politici e governi. A volte, special mente nel mondo d'oggi, il meccanismo può non funzionare a causa dell'elevato volume degli scambi del mercato reale e/o finanziario, economie sommerse, politici troppo accomodanti, allora ci so no altri sistemi e strumenti. titoli derivati sono dei titoli creati con dei criteri sempre più ad alto contenu to ingegneristico in cui il sottostante su cui vengono articolati è sempre più com plesso. Tale complessità li connota con una forte distorsione informativa per cui a guadagnare sono solo coloro che li han no emessi e li conoscono. A parte il pro blema d'informazione esiste anche il

I

*(1) I Supercomputer scientifici. HPC - High Performance Computing I più potenti supercomputer non distribuiti sono i seguenti: Titan il supercomputer Cray XK6 dell'ORNL - Oak Ridge National Laboratory - con oltre 20 petaflops, ossia 20 milioni di miliardi di calcoli per secondo, è oltre due volte più veloce ed efficiente del Giapponese K. K Computer il supercomputer - kei che significa 10 biliardi in Giapponese - prodotto dalla Fujitsu per l'Istituto RIKEN di Kobe in Giappone con 8 petaflops. Seguono il Cinese Tianhe-1A con 4 petaflops, l'Us Jaguar con 2 petaflops. Tutti i sistemi girano sotto il sistema Linux o Unix. Alcuni utilizzano Windows HPC Server 2008. I supercomputer Italiani: - Supercomputer del Cineca, di Bologna, una piattaforma con cinquemila processori raffreddati ad acqua, 100 teraflops, 20 terabyte

problema dell'accesso all'investimento. Ci sono titoli che presentano bassissimo rischio e altissimo rendimento, all'ordine del 20% su base annua. Il problema è che sono prodotti in maniera così limitata che l'acquisto è consentito solo a investi tori privilegiati. I derivati più complessi sono denominati Esotici, cui seguono warrant, swap, opzioni e future. Per ciò che riguarda i Volumi di scambio del l'economia finanziaria assistiamo ad un'esplosione preoccupante. La ricchez za invece di sviluppare e perfezionare l'Economia reale, transita nel circuito fi nanziario con dei volumi. Sempre mag giori investitori stanno distogliendo i lo ro risparmi dal mercato reale, allettati dai facili guadagni che la tecnica ultrave loce consente, non consapevoli che quando cominceranno a fare il passo

di ram sviluppato da Ibm (settantesimo nella lista dei "top 500" supercomputer mondiali); - Cilea di Milano quattromila microprocessori e 35,6 teraflops sviluppato da Hewlett Packard; - Csr4 di Sardegna Ricerche di Cagliari. Abbiamo qui dato una lista di Supercomputer che servono per scopi scientifici e che occupano una superfice delle dimensioni fino a 5.000mq. I supercomputer, generalmente, adottano i più veloci processori prodotti dalle case commerciali Intel e AMD impiegandone in numeri elevatissimi e sono collegati in modo di sfruttare in maniera ottimale la rom e la ram e di accedere agli archivi con velocità le più alte possibili. Processori AMD: .- Desktop ---> Phenom II - Athlon II - Server ---> Opteron;


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Signoraggio loro più lungo della gamba gli sarà sot tratto il capitale che hanno investito, se nel frattempo non si saranno inde bitati ulteriormente con le tecniche di leverage. l problema diventa ancora più grave quando la speculazione colpisce le Economie reali, e quando l'Economia reale deve pagare per gli indebitamenti delle finanziarie. Non è possibile che ignari individui, che conducono una vita di sacrifici, debbano pagare per i giochi permessi ad un sistema fuori controllo. E il problema non si risolve mettendo tasse generiche sulle transazioni fi nanziarie perché così si frena lo scambio di attività che migliora il sistema reale. La soluzione è quella di regolare opportuna mente tali attività finanziarie pe nalizzando quelle puramente speculative e destabilizzanti. Oramai, il vecchio trader che operava sul terminale riflettendo e studiando sull'ordine (il book, ossia la schermata che mette in primo piano titoli in compraven dita, sta diventando reperto ar cheologico; così pure lo scalper, l'operatore che scovava le condi zioni speculative migliori. Il tradizionale buyandhold di acquistare i titoli e de tenerli in portafoglio non conviene più.) in base alla solidità, solvibilità, al futuro di sviluppo tecnologico e alla perfetta conduzione di un'azienda ha lasciato il posto ai supercomputer(1) perché i mac chinari sono fulminei, decisi e perfetta mente in grado di valutare le situazioni. Poste queste condizioni, un investitore nel 2012 non vorrà mai aprire una attività tradizionale e se la possiede vorrà sven derla perché basta un ordine di un su percomputer per vanificare un'attività

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che vorrà fornire o ha fornito beni o ser vizi per la collettività. A parte il problema dei bugs non troppo diffuso, il problema è che gli algoritmi a volte sono utilizzati malevolmente per destabilizzare un ope ratore, un titolo, una valuta, una Nazio ne. i indiscussa utilità è la situazione in cui i supercomputer riescono a mettere in comunicazione gli operatori per accelerare la compravendita, il credi to. Però se tale compravendita è falsata artificialmente dai macchinari inizia su bito un problema di informazione o di

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ciamo di disinformazione. Se mando de gli ordinativi di vendita di quantità enor mi di titoli il prezzo si deprime e l'altro operatore che voleva vendere, deve sven derli... L'alternativa poteva essere di dire all'operatore: “Se io ti vendo i tuoi titoli mi corrispondi una percentuale sulla vendita?” Anche qui si intravede un pro blema di autorizzazione per effettuare delle transazioni mobiliari. La situazione peggiore però è quando l'attacco è con dotto dai Supercomputer a delle valute o Paesi specifici perché mette a terra intere economie. Qui il Diritto Internazionale

- AMD [Advanced Micro Decives] con architetture Bulldozer; - cpu multiprocessore 2-4-8-16 core, riduzioni dimensioni 32 nanometri e contenuto consumo energetico, possibilità di overclock di 8.429 MHz; - AMS Opteron Magny-Cours a 32-64bit e 8-12 core - socket G34. Processori Intel: - Desktop ---> Core - Pentium - Celeron; - Server ---> Xeon Itanium; - Hardware Intel Core i7. Processori Intel in sviluppo: - Ivy Bridge a 22 nm con transistor 3d (3 gate) e 8core; - Intel Haswell con architettura x86 undicesima generazione prevista per il 2013; - 8 core a 14 stadi di pipeline - cache L1 da 128 KB (64 KB dati 64 KB per le istruzioni);

dovrebbe entrare in gioco per risolvere la situazione. na soluzione potrebbe essere quella di inserire obbligatoriamente negli algoritmi, una componente che assicura una certa stabilità del sistema. Uno scambio nel mercato finanziario avviene con questa procedura: un investitore de cide di comprare dei titoli attraverso il tradizionale sistema e propone un certo prezzo. Questa sua proposta diventa di dominio pubblico e il supercomputer di un trader HFT in un millisecondo acqui sisce e scansiona un venditore per gli stessi titoli ad un prezzo inferiore. Il software non fa altro che esegui re entrambe gli ordini e il trader che utilizza l'hft guadagna la diffe renza. I software sono inoltre pro grammati per confondere la con correnza e sviare le proprie mosse. Questo è un semplice esempio, ma il trader affina sempre le proprie tecniche e la speculazione è possi bile in molte direzioni: finché il trader hft si accontenta di guada gnare su tali operazioni, può anda re perché passa molta liquidità al sistema. Il problema è quando ar riva a causare i flash crashes, i vio lentissimi ribassi degli indici in tempi ul trarapidi. I trader Hft si difendono soste nendo che la scansione dei mercati ultra veloci può prevenire le crisi in quanto riescono ad individuare le minacce alla stabilità finanziaria mercati con largo an ticipo, consentendo l'intervento delle au torità e la fuga degli investitori. I titoli vengono detenuti in media per un perio do di tempo che dura circa 10 secondi... insider trading e aggiotaggio sono termi ni obsoleti. Come operano i Supercom puter? Ci sono moltissime alternative di operare dei supercomputer.

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- Broadwell a 14 nm; - Skylake con architettura x86 a 14 nm dodicesima generazione prevista per il 2015; - Skymont tredicesima generazione probabilmente un die-shrink a 12 nm, per il 2016. Gli speculatori casalinghi utilizzano i normali Pc con processori Pentium o Amb, in alternativa gli Appel iMac che sono comunque equipaggiati con i suddetti processori. Apple iMac fino al 2005 ha adottato processori Ibm poi ha scelto gli Intel, ora sta pensando ad una soluzione proprietaria. I supercomputer per usi finanziari hanno delle dimensioni più contenute ma con velocità sostanzialmente simili. Sono progettati per accedere facilmente alle reti per estrarre i nuovi dati notizie di politica, di economia, e per consultare archivi e database, elaborare e prendere delle decisioni fulminee di investimento nel mercato Hft.


42 Alcuni sono determinati dalla tecnolo gia, quindi la sola obiezione è quella per la quale il Trading superveloce esclude ed emargina i più poveri, destinati a diven tarlo sempre di più.Una sorta di evoluzio nistico economic digital divide. I super computer sono guidati dagli algos, algo ritmi upper class, 'Aristocratici'.che sono 300 volte superiori a quelli del circuito reale. Nel 2011 gli scambi nell'Economia reale sono stati di 15.000 miliardi di dol lari l'anno; i volumi dell'Economia finan ziaria 4.000 miliardi al giorno. Questo vuol dire che in circa 4 giorni l'economia finanziaria supera i volumi annuali di quella reale! I titoli derivati trattati nel circuito extraborsistico, con 601 mila mi liardi di dollari valgono 10 volte il Pil glo bale. A pagare il prezzo è il cittadino co mune, le società e gli enti che sono sotto posti a misure di austerità disumane. l problema è davvero grave perché pur conoscendolo, si assiste impassibili e nessuno corre ai ripari per risolverlo. Lo Scambio ad alta velocità invece? E' un fenomeno relativamente nuovo, per il lettore medio. I supercomputer hanno delle caratteristiche particolari di velo cità data sia dall'evolutissimo hardware  utilizzano un gran numero di proces sori, Processori vettoriali con CPU a 64 bit, processo produttivo a 0,15 micron, memoria espressa NUMA [NonUni form Memory Access], Hard disk in pa rallelo RAID, ilesystem paralleli, raf freddamento a liquido e software pro grammi che utilizzano algoritmi molto complessi. La combinazione tra har dware e software d'eccellenza riduce al minimo i tempi di attesa o latency e per mette un predominio sui mercati finan ziari appositamente creati. Tale tecnica di speculazione é utile o dannosa? Se utilizzata nel modo opportuno è utile ai mercati. Genera liquidità nel sistema fi nanziario nel suo complesso e rende ef ficienti domanda ed offerta di moneta per effettuare gli scambi e per il sistema creditizio. Dall'altro lato distoglie il de naro da investine nell'Economia reale, la sola che può garantire i beni e i servizi indispensabili alla società civile.Si opera con le tradizionali tecniche di scalping. La tecnica utilizza l'ordinativo Ioc Im mediate or cancel [esegui subito o can cella], un ordine con una breve durata con la possibilità di annullarlo/eseguirlo tutto o in parte. Tali operazioni con bre vissimi tempi di latenza, servono per sondare le condizioni di mercato, senza necessariamente portare ad effettuare

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Signoraggio

transazioni. Queste operazioni servono per disorientare mercato ed investitori e la ricerca di offerenti nelle due direzioni acquisto e vendita di uno stesso titolo scovate le quali il super pc esegue l'ordi ne facendo guadagnare al possessore enormi profitti. l sistema si basa essenzialmente sul l'elevato numero di titoli (quantità scambiate) che si ottiene utilizzando delle leve finanziarie. Uno dei metodi è lo Short selling vendita allo scoperto: è un tipo di speculazione finanziaria che consiste nel prendere in prestito dei ti toli e rivenderli ad una scadenza breve scommettendo sulla flessione degli stes si dopo un certo periodo di tempo, per guadagnare sulla differenza di prezzo. Si tratta specialmente di una speculazione che punta al ribasso di un titolo. Altre sono operazioni veri e propri trucchi che vengono definite algoritmi middle class, 'borghesi'. Queste sono invece le tecni che utilizzate per ottenere in una manie ra subdola dei risultati catastrofici per al tri soggetti. I flash orders sono consenti te soltanto da quattro piattaforme negli Usa ossia Cboe, NasdaqOmx , BATS e Direct Hedge. Tali operazioni permetto no di sapere in un anticipo di qualche millisecondo il prezzo di un ordine pri ma che diventi noto al pubblico. I flash order sono diventati di dominio pubbli co nell'giugno 2009. l Layering è una tecnica che consiste nella emissione di grandissimi ordini di acquisto o vendita di un titolo che vengono cancellati un istante prima di venir eseguiti. E' una tecnica vietata per chè distorce il mercato. "Borrowing on margin" una leva finanziaria che consi ste nel prendere a prestito denaro da reinvestitre in titoli, cedendo titoli azio nari in portafoglio come garanzia. I mer

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cati finanziari risultano dunque nelle mani di un'oligarchia ristretta di entità finanziarie globali, le sole a disporre del permesso per operare e dei mezzi eco nomici per acquisire ed aggiornare la tecnologia dei supercomputer [il centro dati NYSE Euronext di Basildon (GB) ha una superficie coperta di 15.000metri quadri di edifici]. Per entrare nellHft da protagonisti occorre investire in tecno logia almeno 10 milioni di dollari Usa e avere una squadra dei migliori trader, ingegneri e algoritmi. Il problema fon damentale è che le Società sono alla ri cerca forzata dei numeri piuttosto che dell'economia reale di chi produce beni e servizi indispensabili alla vita quotidia na fuorviati dai parassiti che speculano sulla ricchezza virtuale. lcuni si chiedono se è indispensabile un mercato dominato da squali. Non è necessario, anzi, è negativo per tutti. Infatti alcuni operatori seri si stan no mettendo al lavoro per costruire un algoritmo, un modello informatico per ristabilire e proporre la migliore soluzio ne finanziaria grazie all'ausilio di un Su percomputer. Il progetto si chiama Futu rICT Knowledge Accelerator e CrisisRe lief System portato avanti dall'Istituto Svizzero di Tecnologia del Prof. Helbing. Il problema è se sarà attuato noto l'egoi smo umano… Come è possibile evitare le crisi e il panico nel mercato finanziario? Effettuando la transazione denominata 'batch', ossia l'identificazione del vendi tore, dell'acquirente e dell'intermediario, che non influisce sostanzialmente sulla velocità delle transazioni, ma rendereb be noti gli artefici dei fenomeni specula tivi. In questo modo si può perseguire fa cilmente i responsabili dell'uso di tecni che speculative in mala fede, finalizzate alla destabilizzazioni del mercato.

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Inediti

Il Libro è pubblicato per intero,in digitale, nel nostro sito internet allindirizzo www.piazzadelgrano.org,

Eppure i cubani, siano essi socialisti o quanto meno e molto più spesso “ca stristi”, ovvero esattamente al contra rio antisocialisti o meglio anticastri sti, sono tutti, indifferentemente, sinceramente ed acriticamente con viti del contrario. Sicché per i primi il terribile e demonizzato embargo USA e per i secondi il regime totalita rio, vengono caparbiamente dichia rati e sinceramente creduti come le cause uniche ed assorbenti del sotto sviluppo, o meglio del mancato de collo di un paese che, in verità e real tà, non ha proprio nulla! Cuba non ha risorse energetiche, non ha mate rie prime, non ha produzioni agricole (almeno e livelli significativi da ecce dere le necessità del sostentamento interno, peraltro già assai insoddi sfatte), e soprattutto i cubani non hanno nessuna seria propensione al lavoro (certamente per come la si in tende nei paesi sviluppati o in quelli di nuova emergenza di sviluppo co

Siamo realisti, esigiamo l’impossibile!

me ad esempio la Cina o lo stesso Vietnam). Questi argomenti sono del tutto sconosciuti alla “intelligenza” (intesa come capacità o disponibilità alla comprensione) del popolo cuba no che vive, con serena convinzione e sincera allegria, la condizione di rap presentare una “piccola Svezia”, forse con meno industrie, automobili e be ni consumo, ma con più meritata vi sibilità mondiale e certamente (ed in questo almeno sono nel giusto) con molto più mare e più sole. “Diaboli che” sfortunate circostanze, come lo ro usano dire nell’idioma spagnolo, impediscono a Cuba ed ai cubani di emergere e primeggiare nel mon do.Ma questo è solo per l’oggi, perché il domani sarà certamente diverso e migliore, quindi, concludono, non resta che aspettare, non a caso in spa gnolo tradotto dal verbo “esperare” che esprime ad uno stesso tempo i nostri concetti di attesa e di speran za; attendere sperando dunque, ma

nel frattempo anzitutto, senza mezzi termini e riserve: vivere. Credo pro prio che questo sia il grande, singola re e straordinario fascino di que st’isola, così lontana nello spazio fisi co, ma così tanto vicina in quello mentale al nostro modo di sognare, per quel che ancora resta della matri ce latina o più propriamente medi terranea, di vivere e godere e nel frat tempo di “(rac)contarsela e cantarse la”. Questo fascino non credo che si possa rendere con delle immagini al le quali mancherà comunque il sapo re, l’odore e la complessità dialettica e mutevole della vita reale. Ho così pensato di provare a renderlo e resti tuirlo raccontandone momenti dina mici di vita e, quindi, non luoghi ma persone e rapporti. Analizzare e sco prire sino in fondo le persone ed i rapporti con loro, penso e spero, mi servirà a capire, infine, le ragioni del fascino che l’ “Isola Felice” ancora esercita, così fortemente, su di me.


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Inediti

In Treno per Cuba Servizi, disservizi e fantasia Il treno è un mezzo di trasporto collettivo tanto comune e di uso per così dire popo lare da noi, quanto straordinario invece nell’Isola di Cuba. Anche il treno, nel suo insieme di infrastrutture fisse ed apparati di locomozione e trasporto, ha subito nella più recente storia di Cuba il repen tino degrado conseguente alla cessazione degli aiuti economici e tecnici provenien ti dalla ex Unione Sovietica, sicché all’ab bandono progressivo delle tratte minori e più degradate si è aggiunta la notevole riduzione del numero dei convogli, non ché l’abbassamento della qualità dei ma teriali e del servizio in genere. Non ho co nosciuto la migliore qualità del servizio ferroviario cubano nell’epoca d’oro del socialismo assistito, ma posso narrare quel che ho visto a circa otto anni dal drammatico inizio del così detto “perio do speciale”. L’esperienza che ho vissuto, tuttavia, ha ben poco a che fare con le dif ficoltà del “periodo speciale”, ma offre uno spaccato eloquente della reinterpre tazione cubana del concetto e della ge stione concreta di un servizio pubblico. Poter utilizzare il mezzo di trasporto fer roviario nel mio primo viaggio che mi ha portato a percorrere in ambedue le dire zioni l’Isola di Cuba, facendo centro ad Avana, è stata una mia “fissazione” che, alla fine, sono riuscito a soddisfare sep pure per la breve tratta da Holguin a San tiago. Ma cominciamo dall’inizio, da quando cioè per soddisfare tale desiderio mi sono recato per la prima volta alla Sta zione Centrale del “Ferro Carril” di Ava na. La stazione ferroviaria si trova a ridos so della Avana Vecchia, sul fronte del ma re interno alla baia, ed è costituita da un notevole complesso di stile ottocentesco molto simile alle nostre più antiche ed un poco sontuose stazioni ferroviarie euro pee. Un edificio monumentale con am pie scalinate di accesso ad un vastissimo atrio, con lunghe tettoie che si proiettano dalla testa dei binari lungo il loro percor so verso l’esterno della città, costeggian do dapprima il mare e poi all’interno, lungamente fiancheggiando la Carretera Central che da Avana conduce a Santiago all’altro capo orientale dell’isola. Il primo obiettivo, una volta verificata l’esistenza di un sistema ferroviario niente affatto

promosso per l’uso dei turisti stranieri e quindi ignorato dalle relative guide, è stato quello di conoscere l’orario dei treni, le possibili destina zioni, le modalità, infine, di prenotazione dei biglietti ed i relativi costi. Un orario dei treni effettivamente esiste ma, contrariamente a quanto si possa immaginare sulla base della nostra esperienza e co noscenza, questo non è rap presentato in un tabellone luminoso e co munque stampato e leggibile al pubblico, l’orario dei treni in partenza dalla stazio ne centrale di Avana è rappresentato da un enorme signore nero. Nero a Cuba si dice semplicemente e spontaneamente “negro”, così come bianco è “blanco”, mu latto è “mulato” e se ci si riferisce a donne graziose si dice “blanchita” o “negrita”, “mulata” invece resta sempre uguale sep pure alcune molto articolate precisazioni sulla gradazione verso il bianco o il nero. Diversamente nella ipocrita cultura nord americana i bianchi sono caucasici, i neri afroamericani, i messicani ispanici e gli indiani? Quelli non ci sono più o quasi salvo che nelle riserve per i turisti. Tor nando alla stazione di Avana, ad una spe cie di banco informazioni posto al lato esterno verso il piazzale di partenza dei treni, probabilmente per problemi od op portunità di ventilazione naturale dato il caldo soffocante dell’atrio, c’era un enor me scurissimo impiegato (“negro” scuro) che, a richiesta del pubblico, declinava gli orari e le destinazioni dei treni in parten za per l’intera settimana. La cosa non sa rebbe stata sorprendente più di tanto se non fosse stato che ad ogni successiva ri chiesta di ripetizione o di chiarimento o dettaglio tutto cambiava, giorni, orari e destinazioni. Problema di memoria o sfo go di fantasia creativa dell’addetto? Quel la volta non lo ho approfondito avendo poi scelto di partire da Avana verso Cien fuegos con un altro mezzo di trasporto, però una conferma dell’originalità del si stema informativo cubano (non certo in formatico o informatizzato!) la ho avuta qualche anno più tardi ripetendo l’espe rimento dal capo opposto della linea fer

roviaria alla stazione di Santiago. La sta zione ferroviaria della città “ribelle, ospi tale e sempre eroica” è invece una strut tura molto moderna, anche se già un po co andante, ma il sistema di quelle che qui chiameremmo le “relazioni con il pubblico” è lo stesso. Dietro il vetro un poco appannato della porta d’ingresso all’atro passeggeri c’è un signore, appena un poco più chiaro del suo collega “ava nero” ma molto più piccolo di statura che, socchiudendo appena il necessario la porta sbarrata agli utenti non già muniti di biglietto, fornisce cortesemente le in formazioni richieste sugli orari e le desti nazioni dei treni in partenza. Ebbene per Avana parte un solo treno al giorno, ma in orari diversi per i giorni pari e per quelli dispari; il punto è ricordarsi quale è l’ora rio dei giorni pari e quale quello dei giorni dispari. In conclusione (o almeno alla fine questa è stata la mia personale conclusio ne) si tratta di andare presto la mattina al la stazione ed aspettare pazientemente per scoprire a quale ora parte il primo (so lo) treno per Avana in quel giorno e salirci sopra, ovviamente, prima della sua par tenza. Comunque io una volta il treno so no riuscito a prenderlo dopo avere esple tato il giorno prima le formalità della ob bligatoria prenotazione del posto rivol gendomi all’apposito sportello riservato ai turisti stranieri e quindi pagando la re lativa speciale tariffa in dollari nord ame ricani. In un voluminoso registro qua drettato è stato scritto il mio nome, con l’indicazione del treno, del vagone e del numero del posto riservatomi; analoga annotazione è stata quindi riportata sulla ricevuta di pagamento rappresentante il mio biglietto di viaggio.


Inediti Il giorno successivo, con ampio margi ne di anticipo sull’orario di partenza previsto, mi sono quindi recato alla stazione ferroviaria. La stazione di Holguin è una gradevolissima struttu ra di foggia coloniale, realizzata da un ampio porticato che costituisce l’atrio di attesa pieno di sedili disposti per file parallele, aperto verso il piazzale ester no con grandi arcate, chiuse invece dal lato verso i binari da cancellate di ferro a maglia molto larga. Una di queste cancellate era apribile, ma l’apertura era vigilata da un impiegato seduto dal lato esterno verso i binari su di un alto sgabello, attento a non far passare nes suno che non fosse stato prima verifi cato come “addetto ai lavori”. Di quan do in quando, in effetti, qualcuno si presentava al cancello dal lato interno all’atrio, confabulava lungamente con l’addetto il quale, evidentemente dopo averne verificato le credenziali, conce deva il passo; estraeva pertanto dal ta schino della camicia un piccola chiave, apriva la serratura del cancello, lascia va passare l’interessato, richiudeva ac curatamente cancello e serratura, ri poneva la chiave nel taschino della ca micia e si sedeva nuovamente sull’alto sgabello in attesa del prossimo interlo cutore e così di seguito. Ho assistito lungamente e ripetutamente a tali operazioni di controllo in qualche mo do sorprendendomi per il rigore e la disciplina del sistema di sicurezza fer roviario cubano, nel mentre l’atrio si andava riempiendo di viaggiatori e di bagagli in numero esponenzialmente crescente via via che si avvicinava l’ora prevista per la partenza del treno. Il treno è infine arrivato scorrendo len tamente e con fortissimo rumore di ferraglie dietro le cancellate chiuse dell’atrio di attesa. A quel punto si è verificato un fenomeno di eccitazione collettiva: tutti i passeggeri sono bal zati in piedi all’unisono afferrando i propri bagagli e lanciandosi in gruppo verso il passaggio sino ad allora scru polosamente serrato e vigilato dall’ap posito addetto alla sicurezza. Grande sorpresa (mia) il cancello era stato im provvisamente spalancato ed il guar diano si era volatilizzato nel nulla. Nessun controllo d’ingresso, nessuna disciplina, sul marciapiede del binario è stata una scena di assalto alla diligen za. Ho visto scene di corse, spinte, gri da e lancio di bagagli attraverso i fine strini verso l’interno delle carrozze che

mi hanno riportato alla memoria gli assalti ai treni speciali delle vacanze vissuti ventiventicinque anni prima nelle stazioni di Milano o di Torino quando grandi masse di lavoratori del sud, emigrati nel ricco ed industrializ zato nord, si affollavano in massa sui treni speciali che in uno o due giorni di viaggio da carro bestiame li avrebbero riportati, per i pochi giorni della chiu sura delle fabbriche, ai loro paesi di origine a riabbracciare mogli, figli, pa renti ed amici abbandonati alla dispe rata ricerca di un lavoro per non mori re di fame nella miserabile arretratez za dell’assolato ma povero sud d’Italia. Ricordo una volta, in particolare, quando anch’io lasciando la grigia cit tà di Torino per tornare nella mia città per le ferie estive, sono salito, con grandi dicoltà e paura di rimanere a terra o appeso al predellino esterno del vagone, su di un treno che da Torino mi avrebbe portato senza cambi sino a Firenze e poi, con un solo cambio, più a sud. Il treno, sovraccarico e sovrari scaldato dalla massa dei viaggiatori nonostante l’ora mattutina quasi an cora notturna, è partito in orario, ha attraversato abbastanza velocemente la afosissima pianura padana e poi, giunto in prossimità della stazione di Bologna, ha iniziato a rallentare, sem pre più, procedendo a piccoli salti, ri prese, frenate, soste, poi di nuovo ri prese e frenate e così via. Con un note vole ritardo sul tempo previsto il treno è infine giunto alla stazione di Bologna ma, stranamente, si è fermato su di un binario lontanissimo dalla banchina

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della stazione, mi sembra di ricordare il binario numero venti o ventuno. Lì è rimasto a lungo, senza spiegazioni o apparenti motivazioni. Infine, in un caldo divenuto oramai torrido ed asfis siante per l’avanzare dell’ora pomeri diana, ha ripreso la sua marcia arrivan do con non meno di quattro o cinque ore di ritardo nella stazione di Firenze. Solo allora ho saputo cosa era accadu to. Era il 10 agosto 1980 ed una bomba esplosa nelle prime ore della mattina aveva devastato la stazione di Bologna uccidendo un grandissimo numero di viaggiatori, di turisti ma anche, in maggior parte, di emigranti in transito verso il sud. Di quell’atto criminale ol tre ogni limite di follia a venti anni di distanza non è stata fatta giustizia; una cosa sola è stata inequivocabilmente accertata, dietro la mano fisica del pazzo criminale che ha deposto ed in nescato la bomba c’era una assai più lunga, potente, folle e criminale mano: quella dei servizi segreti italiani asser viti a quelli nord americani. Con quell’atto, che non fu in quell’epoca l’unico neppure per l’efferatezza e la gravità, si voleva terrorizzare un paese e rigettare all’indietro decenni di con quiste democratiche e sociali. Il piano non riuscì, o almeno non del tutto, ma la mente criminale che ha armato quella e quelle mani è sempre viva ed attiva, pronta ad armare altre mani di pazzi criminali in qualsiasi altra parte del mondo, ovunque gli interessi della superpotenza nord americana corrano il rischio di essere messi in pericolo o forse anche solo in discussione.


46 Quel giorno di venti anni più tardi nulla di questo è accaduto nella calda, rumorosa, caotica ma allegra piccola stazione di Holguin. Nel sole cubano quell’assalto al treno esprimeva un’aria di festa popolare. Alla fine an ch’io sono riuscito a raggiungere la mia vettura, a salire e ad individuare il mio posto riservato. La carrozza era del tutto priva di porte e di finestrini, con un pavimento di assi di legno ab bastanza larghe da far vedere le tra versine sottostanti, mentre i sedili era no fatti da gusci di plastica di diverso colore sui quali erano disegnati a pen narello i relativi numeri d’ordine. Il mio sedile era già occupato da una persona che mi aveva preceduto mu nita di regolare biglietto con indicato il numero di quel posto, lo stesso stampato sul mio biglietto e dietro di me c’era almeno un’altra persona con lo stesso numero di prenotazione. In altri termini quel posto era stato rego larmente, attentamente e formalmen te riservato ad almeno tre viaggiatori. Evidentemente quel particolare nu mero doveva essere specialmente sim patico all’impiegato addetto alle pre notazioni tanto che invece altri nume ri adiacenti o prossimi non erano stati riservati, sicché, alla fine, ci siamo co munque seduti tutti con grande reci proca simpatia, cortesia ed allegria. Una occasione, in fondo, per fare inte ressanti conoscenze confrontandoci i

Inediti rispettivi biglietti di prenotazione con tanto di nomi, cognomi, paesi di pro venienza, ecc., altri dati e notizie ce li siamo scambiati a voce nel corso del viaggio. Il treno, stracarico ed altret tanto rumoroso di voci e grida di ri chiami, è quindi partito dando inizio alla parte più avventurosa del viaggio. Ho già detto delle caratteristiche strut turali delle carrozze, nel corso della marcia del treno ho poi potuto apprez zare le condizioni delle rotaie. Una volta in movimento il treno iniziava a vibrare come un frullatore, in certi momenti entrando in risonanza come un diapason. Occorreva aggrapparsi a qualsiasi sostegno che si auspicava sta bile, tenersi saldamente, mentre era impossibile parlare data la grande ru morosità del mezzo di trasporto. For tunatamente la velocità era molto bas sa ed assai frequenti e lunghe le ferma te intermedie che permettevano di sgranchire gli arti contratti nella salda tenuta nel corso del movimento, scambiare alcune parole con i propri vicini ed infine, grazie alla temporanea libertà delle mani, anche fumare una sigaretta o un sigaro, a preferenza. Nelle varie fermate dal treno saliva e scendeva di tutto, cioè non solo perso ne e bagagli, sacchi o pacchi d’ogni ti po e dimensione, ma anche biciclette, motocicli ed infine un maiale. Que st’ultimo si è tanto avvicinato a me guardandomi dritto negli occhi da far

mi pensare che anche a lui fosse stato riservato lo stesso mio numero di po sto. Così non era e fortunatamente il maiale di lì a poco è sceso lasciandomi anche respirare un poco meglio. Ad un certo punto del viaggio è sopraggiunta la notte che ha calato il treno nel buio più totale a causa della mancanza di qualsiasi sorgente di illuminazione di versa dalle punte rosse delle sigarette accese. Nel buio “qualcosa” è successo in più di un sedile non lontano dal mio, al punto che il controllore, che di tanto in tanto passava guidato dalla lu ce di una torcia elettrica che teneva in mano, più di una volta ha ripreso ad al ta voce e con tono imperativo la con dotta di qualche coppia, o “coppietta” di viaggiatori sollevando, tuttavia, un coro di risate ed anche, una volta, un caloroso battimano alla fantasia degli acrobati del sesso viaggiante (o alme no delle effusioni evidentemente un poco “spinte”). Come Dio, per chi ci crede, o l’orario dei treni del “famoso” impiegato negro della stazione di Ava na ha voluto, alla fine, siamo giunti a Santiago, mèta del viaggio e termine degli scambi affettuosi dei viaggiatori di cui sopra. Non ho più avuto occasio ne di ripetere altri viaggi con il servizio del Ferro Carril cubano, ma quello che mi sembrava il massimo dell’avventu ra ha dovuto ben presto cedere il pri mato ad altre successive esperienze automobilistiche ed aeree.


La Lista

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le cinque generazioni Mao Zedong Nasce a Shaoshan (Hunan), in Cina, nel 1893. Figlio di contadini Mao cresce tra lo studio e il lavoro nei cam pi. Si diploma come maestro e vive insegnando in una scuola serale mentre frequenta l'Università di Pechino. Al Congresso costitutivo del Partito Comunista Cinese (Shangai, 1921), Mao partecipa come delegato. Nel 1927 il Partito Comunista viene sottoposto alla repressione di Chiang Kayshek, e Mao si unisce alla lotta par tigiana nelle montagne Chingkang shan, dove pone le basi dell'esercito rosso. Tra il 1934 e il 1935 conduce la "lunga marcia” per mettere in salvo l’esercito sulle montagne dello Yunan. Superata l'occupazione giap ponese, la guerra civile riprende nel 1946, e si conclude con la proclamazione della Repubblica Popolare Ci nese (Pechino, 1 Ottobre 1949). Eletto Presidente della Repubblica e del Partito Comunista, Mao lancia dapprima la riforma agricola, poi quella intellettuale con lo slogan “che cento fiori sboccino, che cento scuole di pensiero competano”, infine quella industriale con lo slogan del “grande balzo in avanti”. Nel 1966 lancia la Grande Rivoluzione Culturale che segnerà la rottura de finitiva con l’Unione Sovietica krusceviana e la riforma democratica del partito. Mao muore nel 1976. Il suo corpo imbalsamato è conservato nel mausoleo in Piazza Tien an'men, dominata da una gigantografia del Grande Timoniere. Deng Xiaoping Nato a Paifan nel Sichuan nel 1904, dopo brevi studi tradizionali si recò in Francia a studiare e lavorare; vi soggiornò dal 1920 al 1926 e qui aderì ai gruppi comunisti formati da Zhou Enlai. Passato brevemente per le scuole di partito a Mosca, ritornò nel 1927 in Cina, appena prima della repressione contro i comunisti. Impegnato nel lavoro clan destino, raggiunse la zona di guerriglia di Mao e partecipò alla Lunga Marcia come dirigente politicomilitare. So stenitore convinto della linea maoista, diresse la resistenza antigiapponese nello Shanxi e nel Hebei riportando vit torie decisive nella guerra civile contro il Kuomintang. Dopo la vittoria salì al vertice del governo e del partito del quale diresse la segreteria difendendo sempre il potere supremo del partito su tutte le istanze sociali. Durante la ri voluzione culturale si allontanò dalla linea di Mao, del quale aveva criticato il “grande balzo”, e venne rimosso dalle sue cariche e inviato in campagna. Nel 1976, subito dopo la morte di Mao, tornato a Pechino e al potere, intraprese una serie di radicali riforme economiche lanciando lo slogan “non importa il colore del gatto, l’importante è che prenda il topo”. Nell'attuazione di queste riforme, coronate da sostanziali successi, ma anche causa di forti disparità regionali e sociali, Deng mantenne sempre con rigore il principio dell'autorità as soluta del partito, linea che lo portò nel 1989 a dover contrastare il dissenso degli studenti dell’Università di Pechino sostenendo la re pressione di piazza Tien an’men. Deng si ritirò dall’attività politica nel 1994 lasciando tutte le cariche e morì a Pechino nel 1997. Jiang Zemin Nato a Yangzhou, 17 agosto 1926 é stato il cuore della "terza generazione" dei capi del Partito Comunista Ci nese (PCC), come Segretario Generale del Partito Comunista Cinese dal 1989 al 2002, Presidente della Re pubblica Popolare Cinese dal 1993 al 2003 e Presidente della Commissione Militare Centrale del partito dal 1989 al 2004 e della Commissione militare dello Stato dal 1990 al 2005. Sotto la direzione di Jiang, la Cina ha portato avanti le riforme di mercato introdotte da Deng Xiaoping con il suo "socialismo con caratteristiche cinesi" e ha visto il pacifico ritorno di Hong Kong e di Macao sotto il governo cinese. Jiang ha mantenuto co munque il PCC alla guida del suo paese, elaborando la teoria delle Tre Rappresentanze, oggi adottata come linea base del PCC insieme alla teoria di Deng Xiaoping. Alcuni criticano Jiang di avere ecceduto nella spinta alla crescita eco nomica lanciando lo slogan del “comunismo di mercato”, col rischio di portare la Cina verso un ritorno al capitalismo. Hu Jintao E’ nato nel 1942 a Jiangyan. È stato un attivista della Lega della Gioventù Comunista, considerata l'ala riformista del partito, della quale divenne il maggior esponente. Si unì al Partito Comunista Cinese prima della Rivoluzione culturale cinese, quand'era ancora studente all’Università di Pechino, dove si laureò in Ingegneria idraulica nel 1964. Dopo la laurea, Hú divenne assistente universitario sino al 1968. Appena quarantaduenne fu nominato se gretario del partito della provincia di Guizhou fino al 1988, quando fu mandato a ricoprire la stessa carica nella Re gione Autonoma del Tibet dove, dall'anno precedente, erano iniziate manifestazioni indipendentiste sfociate nel tentativo secessionista dell’allora giovane Dalai Lama sostenuto e finanziato dalla Cia. Nel 1992 fu richiamato a Pechino da Deng Xiaoping ed eletto membro del Politburo, massimo organo decisionale cinese. Nel 1999 divenne vicepresidente della Repubblica Popolare Cinese, nel 2002 viene eletto Segretario Generale del Partito Comunista Cinese ed infine, nel 2003 divenne Pre sidente della Repubblica Popolare Cinese e nel 2005 della Commissione Militare Centrale dello Stato. Hu si è impegnato per fare uscire la Cina da una politica di "sviluppo economico a tutti i costi" sostenuta dal suo predecessore Jiang Zemin, favorendo una politica eco nomica più equilibrata che tenesse conto di fattori di diseguaglianza sociale e dei danni ambientali lanciando i due slogan dello “svi luppo scientifico sostenibile” e della costruzione della “società socialista armoniosa”. Xi Jinping E’ nato a Pechino nel 1953, figlio di Xi Zhongxun, un combattente comunista di lunga data molto vicino al Presi dente Mao. Durante Rivoluzione culturale il padre cadde in disgrazia e il giovane Xi venne inviato nello Shanxi in un gruppo di produzione, divenendo segretario della cellula di Partito del gruppo, terminando questa attività nel 1975. Successivamente avrebbe ricordato con favore questo periodo importantissimo per la conoscenza della realtà rurale cinese. Nel corso della sua carriera ebbe incarichi dirigenti nelle province di Shaanxi, Hebei, Fujian e Zhe jiang. Nel 2002 Xi si trasferì nello Zhejiang, dove divenne governatore facendone una delle province più virtuose dal punto di vista economico, grazie ad un alto tasso di investimenti stranieri, creandosi anche una fama di nemico dei dirigenti corrotti. Nell'ottobre 2007 Xi fu eletto membro dell'Ufficio politico del Partito e del Comitato permanente dell'Ufficio po litico. Un anno dopo, nel 2008, l'Assemblea popolare nazionale lo elesse vicepresidente della Repubblica. Tutti questi incarichi ne han no fatto il candidato successore di Hu come segretario generale del Partito e presidente della Repubblica



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