Partito Comunista dItalia 1921
Non è che l’inizio la lotta continua!
L
a crescita “infinita” del mercato improvvisamente, bruscamente, drammaticamente è finita. Il capitalismo americano, entrato forse (finalmente) nella sua agonia, sta menando colpi di coda all’impazzata in tutto il mondo, bombardando, invadendo, inflazionando, destabilizzando l’intero occidente al quale si aggrappa come un naufrago cercando di portalo a fondo con lui. Ma quel che è più grave è che non c’è all’orizzonte alcuna proposta, progetto alternativo, fosse anche e ancora all’interno dello stesso sistema capitalista. Spaventoso e “spaventante” è il vuoto della politica, di una cultura politica di alternativa, che certamente non è minimamente rappresentata dalla così detta opposizione (tutta) che si dibatte: nella migliore delle ipotesi in un disperato tentativo di sopravvivenza, nella peggiore nella imitazione sterile e pedestre dell’altra parte. Solo una guerra di casta tra chi è arrivato e chi vuole arrivare, tutta impegnata nella ricerca e nella manifestazione dell’immagine di sé, lontano e del tutto indifferente alle esigenze, alle richieste, ai bisogni della così detta “gente”, che poi è il popolo, le masse dei lavoratori, degli studenti, dei disoccupati, degli immigrati. Forse non è più il tempo di “resistere, resistere, resistere” perché giorno dopo giorno è sempre minore e più povero quel che resta da difendere delle grandi conquiste sociali, economiche, culturali e morali degli ultimi decenni che hanno contribuito alla nascita del nostro Stato sociale e democratico. E’ il tempo di reagire, di contrattaccare, di proporre e di pretendere. Non sarà un piccolo periodico di periferia a cambiare la storia, ma ciascuno può e deve dare il pro-
prio, ancorché modesto, contributo. Ai lavoratori in lotta contro la violenza padronale che vuole cancellare i diritti conquistati con la Costituzione repubblicana, agli studenti in lotta contro la barbarie della cancellazione del diritto all’istruzione, ai tanti e diversi discriminati, emarginati per censo, per sesso, per etnia, vogliamo dedicare un messaggio lanciato da Fabrizio De Andrè tanti anni fa che sembrano ieri, anzi oggi. “Anche se il nostro maggio ha fatto a meno del vostro coraggio, se la paura di guardare vi ha fatto chinare il mento, se il fuoco ha risparmiato le vostre Millecento, anche se voi vi credete assolti siete lo stesso coinvolti. E se vi siete detti non sta succedendo niente, le fabbriche riapriranno arresteranno qualche studente, convinti che fosse un gioco a cui avremmo giocato poco, provate pure a credevi assolti siete lo stesso coinvolti. Anche se avete chiuso le vostre porte sul nostro muso la notte che le pantere ci mordevano il sedere lasciamoci in buonafede massacrare sui marciapiedi, anche se ora ve ne fregate, voi quella notte voi c'eravate. E se nei vostri quartieri tutto è rimasto come ieri, senza le barricate, senza feriti, senza granate, se avete preso per buone le "verità" della televisione, anche se allora vi siete assolti siete lo stesso coinvolti. E se credente ora che tutto sia come prima perché avete votato ancora la sicurezza, la disciplina, convinti di allontanare la paura di cambiare, verremo ancora alle vostre porte e grideremo ancora più forte, per quanto voi vi crediate assolti siete per sempre coinvolti, per quanto voi vi crediate assolti siete per sempre coinvolti.”
1920, sotto la guida della FIOM gli operai della Fiat occupano gli stabilimenti e iniziano la autogestione della produzione. Nella foto il Consiglio di Fabbrica si insedia nellufficio di Giovanni Agnelli
90 Dichiarazione di
GIORGIO CREMASCHI Accordo storico. Così giustamente è stato definito il testo che Marchionne ha imposto ai sindacati complici e alla Confidustria. Se si usa questo aggettivo però bisogna avere il coraggio di accettare i paragoni con i fatti del passato. Ce n'è solo uno adeguato. Il 2 ottobre 1925 Mussolini come presidente del Consiglio, la Confidustria e i sindacati corporativi, nazionalisti e fascisti, firmarono a Palazzo Vidoni un patto sociale che eliminava le commissioni interne e il diritto dei lavoratori a scegliersi liberamente le proprie rappresentanze. Il patto di Mirafiori fa la stessa identica cosa. Vengono, per la prima volta dal 1945, eliminate nella più grande fabbrica italiana le libertà sindacali. I lavoratori non potranno più liberamente scegliere a quale sindacato associarsi e non potranno più votare le proprie rappresentanze. Come all'epoca del fascismo i sindacalisti di fabbrica saranno esclusivamente nominati dalle organizzazioni sindacali complici dell'azienda e come allora potranno essere chiamati "fiduciari". Mai nella storia del nostro Paese si era giunti a tanto. Neppure negli anni cinquanta, nei momenti più duri della guerra fredda e della repressione antisindacale, in
anni di lotta contro lo stesso padrone Fiat erano state cancellate le elezioni delle commissioni interne. Ora lo si fa e lo scopo è quello di mettere fuorilegge in fabbrica la Fiom e con essa qualsiasi libertà e diritto dei lavoratori. D'altra parte, solo con una forma di autentico fascismo aziendale è possibile imporre le condizioni di lavoro che Marchionne pretende in Fiat. Orari fino a dieci ore giornaliere ed oltre, distruzione della pause e del diritto alla salute, totale flessibilità della prestazione e dei turni. Il lavoratore diventa semplicemente una merce a disposizione dell'azienda da consumare come e quanto si vuole. Autoritarismo, repressione, fascismo aziendale sono pertanto funzionali ad impedire che le lavoratrici e i lavoratori si ribellino a queste condizioni barbare che si vuol loro imporre. La gravità di quanto avvenuto a Mirafiori è stata colta dalla segretaria della Cgil Susanna Camusso che ha parlato di autoritarismo di Marchionne. Ma poi la sua denuncia si è fermata a metà, cercando un equilibrio con la presa di distanza dalla Fiom. Se quello di Marchionne è un atto autoritario fa bene la Fiom ad opporvisi e non si capisce quali compromessi sarebbero stati possibili. D'altra parte ancor più contraddittoria è la richiesta che la segretaria della Cgil rivolge a Emma Marcegaglia e alla Confindustria per un nuovo accordo sulle regole. Ma se la Confin-
dustria ha detto di sì a Marchionne che ha stracciato l'accordo sulle rappresentanze sindacali, quale nuova intesa è possibile con essa? Davvero Susanna Camusso si illude che la Confindustria possa sconfessare l'accordo di Mirafiori, con il suo vice presidente Alberto Bombassei che da pochi giorni è entrato nel consiglio di amministrazione di Fiat Industrial? Le illusioni di Susanna Camusso nei confronti della Confindustria sono le stesse di coloro che negli anni venti speravano che gli industriali avrebbero sconfessato il fascismo. L'accordo del 1925 li smentì, così come l'accordo di Mirafiori smentisce le illusioni di oggi. La Cgil deve rimproverarsi di avere rinviato e poi cancellato dalla sua agenda lo sciopero generale. La scelta di non farlo ha rafforzato Marchionne e la sua presa autoritaria anche su quella parte del mondo delle imprese che non condivide le sue scelte. Se oggi ci fosse già in atto un grande movimento di lotta confederale, se la Cgil avesse interrotto le inutili e dannose trattative sul patto sociale, Marchionne e i suoi sarebbero più deboli e contestati nel padronato. La fase delle parole e degli appelli alle buone intenzioni si è conclusa il 23 dicembre a Mirafiori. D'ora in poi solo la mobilitazione, lo sciopero generale, la costruzione di un programma economico e sociale alternativo alla re-
gressione barbara che vuole imporre il regime padronale di Marchionne, solo questa è la via democratica per uscire dalla crisi. Il patto di Mirafiori segna non solo uno spartiacque sindacale e sociale, ma anche un passaggio decisivo per la politica. Cisl e Uil hanno scritto una pagina vergognosa della loro storia sottoscrivendo che la Fiom può essere messa fuorilegge in fabbrica. Ora è chiaro che attorno alla Fiom bisogna costruire un movimento di solidarietà sociale e politico che dagli studenti ai movimenti costruisca una risposta in grado di durare. La Cgil ha il dovere morale e politico di mettere tutta la sua forza dentro questo movimento. Quanto all'opposizione la politica del ma anche sprofonda oggi più che mai nel ridicolo e nell'inutile. Già il sindaco di Torino, accettando la messa fuorilegge della Fiom, ha valicato il Rubicone nell'estraneità rispetto alla storia e alla cultura della sinistra italiana. Chi approva quell'accordo è dall'altra parte, sta con Marchionne e alla fine con Berlusconi. Dopo Mirafiori anche la sinistra italiana dovrà ridefinirsi: le alleanze che dovrebbero andare dagli amici di Marchionne fino alla Fiom e ai lavoratori che perdono la democrazia sono un insulto al buon senso. Dopo Mirafiori c'è prima di tutto da ricostruire una sinistra che sappia dire no ai padroni e al loro regime.
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Mensile di informazione, politica e cultura dell’Associazione Luciana Fittaioli - Anno III, n. 2 - Foligno, febbraio 2011
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Leggi e diritti
Figli più protetti per i maltrattamenti in famiglia NICOLA CELANO La prole è tutela dall’ordinamento giuridico italiano per il reato ex art. 572 del codice penale oltre che per i maltrattamenti subiti “personalmente”, anche per i maltrattamenti subiti dalla madre Secondo il più recente orientamento giurisprudenziale di legittimità, soggetto passivo del delitto di maltrattamenti in famiglia può essere, oltre la madre verso la quale la condotta vessatoria sia diretta principalmente, anche la prole. Lo ha stabilito la Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con sentenza n. 41142 del 22 novembre 2010, con la quale si afferma come anche i minori possano risentire fortemente del comportamento umiliante e violento esercitato dal convivente nei confronti della donna. Secondo i dettami dell’art. 572 del codice penale, il reato di maltrattamenti in famiglia integra un’ipotesi di reato necessariamente abituale che si caratterizza per la sussistenza di una serie di fatti, per lo più commissivi, ma anche omissivi, i quali isolatamente considerati potrebbe-
ro anche essere non punibili, come gli atti d’infedeltà o più genericamente di umiliazione, ovvero non perseguibili (ingiurie, percosse o minacce lievi, procedibili solo a querela), ma che acquistano rilevanza penale per effetto della loro reiterazione nel tempo, secondo quanto sancito dalla Cassazione penale, Sez.
VI, 28 febbraio 1995, n. 4636. In altre parole, la fattispecie in esame consiste nella sottoposizione dei familiari ad una serie di atti di vessazione continui e tali da cagionare sofferenze, privazioni, umiliazioni, le quali costituiscono fonte di un disagio continuo, incompatibile e fortemente turbativo delle normali condizioni di vita. Come confermato dall’orientamento dominante in giurisprudenza, ai fini della configurabilità del reato di maltrattamenti in famiglia, non
assume alcun rilievo la circostanza che l'azione delittuosa sia commessa ai danni di una persona convivente more uxorio, atteso che il richiamo contenuto nell'art. 572 c.p. alla "famiglia" deve intendersi riferito ad ogni consorzio di persone tra le quali, per strette relazioni e consuetudini di vita, siano sorti rapporti di assistenza e solidarietà per un apprezzabile periodo di tempo (Cass., pen., Sez. II, 2 ottobre 2009, n. 40727). Secondo i giudici di legittimità, “lo stato di sofferenza e di umiliazione delle vittime non deve necessariamente collegarsi a specifici comportamenti vessatori posti in essere nei confronti di un determinato soggetto passivo, ma può derivare anche da un clima generalmente instaurato all'interno di una comunità in conseguenza di atti di sopraffazione indistintamente e variamente commessi a carico delle persone sottoposte al potere dei soggetti attivi, i quali ne siano tutti consapevoli, a prescindere dall'entità numerica degli atti vessatori e dalla loro riferibilità ad uno qualsiasi dei soggetti passivi”.
La “cedolare secca” sulle locazioni abitative Imposta sostitutiva dell’Irpef a vantaggio dei Comuni Criteri del calcolo di convenienza GIANLUCA MATILLI
Il governo in attuazione della Legge 5 maggio 2009 n. 42 in data 04.08.2010 ha approvato lo “Schema di Decreto legislativo recante disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale”; pur trattandosi di uno schema di Decreto Legislativo che potrà quindi subire delle modifiche in sede di stesura definitiva è opportuno sin da ora esaminare il provvedimento nella parte relativa all’istituto della “cedolare secca”. L’articolo 2 dello Schema di Decreto in commento introduce infatti a partire dal 2011 la disciplina della c.d. “cedolare secca” (il cui gettito è devoluto ai Comuni nei cui territori sono ubicati gli immobili) che costituisce, per le persone fisiche, un regime di tassazione alternativo rispetto a quello ordinario irpef, dei redditi derivanti dalla locazione di immobili ad uso abitativo. Tale regime impositivo ha a oggetto esclusivamente gli immobili abitativi e si applica in ragione di un’aliquota del 20% dove la base imponibile è costituita dal 100% del canone stabilito dalle parti ed è sostitutiva dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e delle relative addizionali, nonché dell’imposta di bollo sul contratto di locazione. Non
sono interessati dalla disciplina in esame le locazioni immobiliari (a uso abitativo) effettuate nell’esercizio d’impresa/arti e professioni o di enti non commerciali. Trattandosi di un’imposta sostitutiva al fine del calcolo della convenienza necessita tenere conto che il regime della cedolare secca prevede la tassazione sull’intero canone di locazione senza l’abbattimento del 15% forfettario previsto nella tassazione ordinaria Irpef o del 30% previsto per la tassazione delle locazioni a canone “concordato”. Il Calcolo di convenienza può essere così riassunto nella tabella seguente da dove si evidenzia che per i contratti liberi il vantaggio in termini di
risparmio di imposta derivante dall’applicazione della cedolare secca si ha per quelli con canone annuo superiore ai 15.000,00 euro; mentre per i contratti cosiddetti agevolati il vantaggio in termini di risparmio di imposta derivante dall’applicazione della cedolare secca si ha per quelli con canone annuo superiore a 28.000,00 euro. E’ da precisare inoltre che lo schema del decreto legislativo prevede che l’istituto della “cedolare secca” sostituisca dal 2001 il pagamento dell’imposta di registro per i contratti stipulati con canone convenzionato e dal 2014 il pagamento dell’imposta di registro per tutti i contratti
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Federalismo Nuovi criteri per determinare i costi e i fabbisogni standard di comuni e province SALVATORE ZAITI Il 17 dicembre 2010 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto Legislativo 26 novembre 2010, n. 216, terzo decreto attuativo del federalismo fiscale di cui alla legge 42/2009. Tale provvedimento si pone l’obiettivo di superare, in modo graduale ma definitivo, il criterio della spesa storica in base al quale la determinazione dei trasferimenti statali a favore dei singoli enti locali avviene in relazione alla spesa sostenuta l’anno precedente aumentata di una certa percentuale. Questo sistema, non più tollerabile per la sua evidente disparità di trattamento, viene sostituito da quello, certamente più complesso ma tendenzialmente più oggettivo, di determinazione dei cd. fabbisogni standard. Fissare, quindi, tali parametri significa individuare la quantità efficace ed efficiente dei servizi da erogare ai cittadini che la legge 42/2009 considera fondamentali per i comuni (ammi-
nistrazione, polizia locale, istruzione pubblica, viabilità e trasporti, territorio e ambiente, servizi sociali) e per le province (amministrazione, istruzione pubblica, trasporti, territorio, tutela ambientale, sviluppo economico). Gli standard così individuati costituiranno, poi, il riferimento cui rapportare progressivamente nella fase transitoria, e successivamente a regime (2014), il finanziamento integrale della spesa relativa alle funzioni fondamentali e ai livelli essenziali delle prestazioni degli enti locali. Con quali risorse? Attraverso tributi propri, compartecipazioni al gettito di tributi erariali e regionali, addizionali di tali tributi e fondo perequativo, indispensabile, quest’ultimo, per mitigare le evidenti ed incancellabili differenziazioni territoriali ed economiche, Il compito di determinare i fabbisogni standard, mutuando la metodologia degli studi di settore in materia tributaria, viene affidato alla Sose s.p.a., società interamente pubblica (88% di proprietà del Ministero dell’economia e delle finanze, il re-
stante 12% della Banca d’Italia) che ha acquisito ormai una esperienza decennale proprio nell’applicazione delle metodologie per gli studi di settore. Importanti funzioni collaborative vengono assegnate pure all’IFEL (Istituto per la finanza e l’economia) e all’ISTAT. I fabbisogni standard, una volta elaborati per ciascun comune e provincia, verranno approvati con Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri da pubblicarsi in Gazzetta Ufficiale e sul sito istituzionale di ogni ente locale
Che fare se prendiamo una banconota falsa ROBERTO FRANCESCHI
La storia delle banconote o monete false coincide con il loro uso e circolazione. L'attività dei falsari si concentrò dapprima sulle monete con i sistemi semplici ma ingegnosi: rivestire con bagni di argento o d'oro monete di bronzo o stagno o barare sul peso o limare leggermente le monete di metalli pregiati per recuperare la limatura. Il passaggio alla carta moneta non scoraggiò certo i falsari, anzi ci fu la possibilità di dar vita a produzioni di falsi su vastissima scala. Il fenomeno è stato combattuto da sempre dagli stati con leggi severissime in quanto ( a parte il danno subito dal singolo individuo) le conseguenze che potrebbero causare alle economie di un paese sono veramente destabilizzanti. La produzione di biglietti falsi fu e potrebbe anche oggi essere usata come arma finanziaria. L'immissione nei mercati di immense quantità di banconote false (fenomeno già utilizzato in periodi bellici ed in particolare dalla Germania durante la seconda guerra mondiale) ha conseguenze che brevemente riassumo: processi inflattivi incontrollabili, diminuzione del valore del denaro reale, scarsa credibilità internazionale nel far accettare dai mercati la propria moneta; aspetti che è inutile commentare e con effetti negativi devastanti per l'economia
di un paese. La lotta alle falsificazioni prevede quasi in ogni paese la creazione di corpi speciali di polizia che concentrano con la professionalità necessaria la repressione di questo reato (in rete è possibile consultare un sito "banconote false" poi aprire "Direzione Centrale della Polizia Criminale" in cui si può inserire il numero di ogni banconota ottenendo in tempo reale una risposta se la numerazione è stata oggetto di contraffazione). Altre metodiche in uso per la lotta alla contraffazione, è l'inserimento di bande magnetiche, loghi riflettenti, colori e disegni assai complessi e qualità di carta difficilmente riproducibile. E' da tener presente comunque, che lo spaccio dei falsi, fa leva sulla distrazione e velocità degli scambi in quanto anche i non addetti ai lavori, con un po' di attenzione possono valutarne l'autenticità come poi brevemente illustrerò. Oggi esistono strumenti di ampia diffusione e dal costo assai modesto che possono rilevare quasi con assoluta certezza la falsità di una banconota. Cosa fare però se si entra in possesso di una banconota falsa? Attenzione, tentare di spendere una banconota falsa è un reato! Occorre recarsi presso una banca, un ufficio posta-
le o presso una filiale della banca d'Italia. L'impiegato può accertare in via preliminare la sua autenticità o in caso di falsità accertata o sospetta, deve ritirare la banconota rilasciando un verbale e trasmetterla al NAC (nucleo di analisi per le banconote sospette di falsità). Se il NAC dovesse accertare l'autenticità, l'importo verrà rimborsato senza spese, in caso contrario nulla è dovuto. Ora alcuni semplici ma efficaci consigli in caso di dubbio: toccare gli elementi in rilievo, particolari tecniche di stampa danno ai biglietti una particolare consistenza; guardare le banconote in controluce per visualizzare la filigrana, il filo di sicurezza ed il numero in trasparenza; muovere la banconota osservando sul fronte l' immagine cangiante dell' ologramma. Altre indicazioni particolari purtroppo (a meno di ricorrere a rilevatori o al tocco professionale di un cassiere) non esistono. Un po' di attenzione e prudenza nella stragrande maggioranza delle situazioni potrà essere comunque più che sufficiente.
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Politica ed Etica
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Il mondo della politica, dove a combattere sono i foderi, e la tutela della pace sociale LUIGI NAPOLITANO Ho assistito con grande perplessità al confronto televisivo nel corso del quale il deputato relato-re della legge (che nel sito della camera dei Deputati si legge essere laureanda in giurisprudenza) ed un illustre giurista commentavano la sentenza che la Corte Costituzionale ha emesso in tema di legittimo impedimento. La Suprema Corte, attribuendo al Giudice, e solo al Giudice, la competenza di valutare nel merito l’esistenza o meno dei presupposti affinché un imputato possa non presentarsi in udienza, ha svuotato di significato il testo normativo ed impedito l’attualità di una norma che, creando una disparità di trattamento di fronte alla giustizia penale, legittimava il Presidente del Consiglio dei Ministri a non presentarsi al Giudice esclusivamente in base ad una autodichiarazione. Il
provvedimento ha ricondotto l’intero impianto normativo nell’alveo dell’art. 420 ter del codice di procedura penale che già consente, in casi eccezionali valutabili dal giudice, il rinvio dell’udienza in caso di impossibilità dell’imputato di presenziarvi. Lo sgomento tuttavia nasce dal fatto che ai puntuali e ben documentati argomenti del Giurista, il relatore prescinden-do dalle argomentazioni giuridiche rispondeva di non aver fogli da leggere, così ammettendo di non essersi documentato sull’argomento oggetto del dibattito e concludeva affermando, con no-tevole protervia, che la sentenza stravolge la Costituzione e va contro la volontà popolare in quanto impedisce al Presidente del Consiglio di svolgere il lavoro al quale la maggioranza degli Italiani lo ha deputato. A tacere della mancanza di alcuna argomentazione giuridica il deputato concludeva che a null’altro poteva approdare la pronun-
cia della Consulta, stante la sua compo-sizione fatta prevalentemente di Giudici di sinistra. Né più qualificante è stato il dibattito tenu-tosi la sera precedente in un’altra trasmissione televisiva nel corso della quale, allo stesso Giuri-sta, un ministro della Repubblica, apparso incapace di analizzare l’argomento della discussione ed il motivo del contendere, non ha trovato nulla di meglio da replicare che accusarlo di essere animato da una insensata avversione nei confronti del Presidente del Consiglio, da sempre og-getto di persecuzione giudiziaria. Altrettanto violenta la reazione degli organi del Partito della Libertà che, come sempre, hanno parlato di violazione di una Costituzione di fatto che, come ben sanno tutti gli operatori del mondo del diritto non trova cittadinanza nel nostro ordinamen-to. L’ineffabile ministro dei Beni Culturali, proprio lui, ha affermato che la sentenza scardina i principi della de-
mocrazia, stabilisce la superiorità dell’ordine giudiziario rispetto a quello demo-cratico, rimettendo nelle mani di un magistrato la decisione ultima in merito all’esercizio della responsabilità politica e istituzionale. Tutti questi episodi, che mettono in risalto una volta di più, quanto meno, una scarsa cultura della funzione legislativa da parte della corte che circonda il principe, mi hanno fatto venire in mente il detto napoletano che fotografa, in maniera icastica, la pochezza del mondo della nostra politica “I foderi combattono e le sciabole stanno appese”. Mi preme, infine, una rapida valutazione circa l’insolita tranquillità con la quale il più diretto in-teressato ed i suoi avvocati hanno accolto la sentenza, definita come un compromesso accettabi-le. Nonostante la pronuncia della Consulta abbia azzoppato la legge, questa ha comunque raggiunto lo scopo che i suoi ideatori si erano prefissati,
per cui il merito di tanta saggezza è da ascrivere alla assoluta certezza che la prescrizione, i cui termini sono stati rimodulati da un par-lamento che ha legiferato in maniera privatistica in questo come in altri casi (si pensi all’abolizione del falso in bilancio), affosserà definitivamente i procedimenti in corso con buona
pace dell’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e del rispetto dell’art.3 della Costituzione. P.S. E’ dell’ultima ora la notizia di un’ulteriore azione giudiziaria intrapresa dalla “solita” Procura nei confronti del “solito” imputato. Auspico che quest’ennesima vicenda giudiziaria non occupi più del dovuto l’agenda parlamentare, visti i tanti problemi di questi giorni ed in particolare quello legato alla sorte dello stabilimento FIAT di Torino e dei suoi operai, a cui è dato ampio spazio nelle pagine anche di questo numero del giornale. E’ ora che i politici di tutti gli schiera-menti dedichino la dovuta attenzione a problemi di questa rilevanza, dimostrando di avere a cuore anche gli interessi del Paese e la pace sociale.
“Parliamone... ...con atteggiamento di sincera apertura alla verità” SANDRO RIDOLFI
Alcuni mesi addietro, nel corso di un incontro organizzato dalla Libreria Carnevali tra le diverse, nuove e “antiche”, pubblicazioni giornalistiche della nostra Città, il moderatore pose a tutti la domanda: se fosse auspicabile una collaborazione tra tutte le testate. A quella domanda risposi che non solo non era oggettivamente possibile, stanti le profonde diversità di origine e di progetto, ma che soprattutto non era opportuna, osservando come le diversità siano sempre fonte di ricchezza e che la sintesi tra le diverse opinioni andava rimessa ai lettori, ai quali era giusto far pervenire, nette, chiare e distinte, tutte le diverse voci, perché fossero loro, e non degli “opinionisti” di mestiere, a formarsi una propria opinione, potendo contare sulla più ricca possibile varietà di elementi e di argomenti. A quell’indirizzo si è attenuto questo giornale che, seppure esplicitamente caratterizzato da una impostazione editoriale ideologicamente definita, è stato e resta aperto ai più diversi contributi, col solo limite di un “non antagonismo” ideologico. Registro dunque con grande piacere il fatto che la Gazzetta di Foligno, di gran lunga il più antico e diffuso giornale della Città, si sia occupata per ben due volte di questo giornale e, in particolare, degli inserti che, come è evidente, esprimono, per temi e contenuti, la linea politica dell’editore. “Parliamone” è il titolo dell’articolo pubblicato in quarta pagina del numero di domenica
16 gennaio della Gazzetta, nel quale l’autore, estrapolando alcuni brani dell’inserto del numero di gennaio 2011 di Piazza del Grano dedicato alla questione della “religiosità e religione” sotto il titolo “storico” de “L’oppio dei popoli”, conclude con un invito a confrontarsi sull’argomento “con atteggiamento di sincera apertura alla verità”. L’invito viene sicuramente recepito e anzi rilanciato a tutti i nostri lettori perché vogliano inviare all’indirizzo e-mail “redazionepiazzadelgrano@alice.it” i loro contributi, che saranno interamente pubblicati nel prossimo numero (massimo 1.500 battute). Per quanto riguarda lo scrivente, tuttavia, il “parliamone” va rigorosamente circoscritto nell’ambito di dialettica politica ben delineato nell’articolo di Lenin pubblicato in quarta pagina dell’inserto che recita: “Ma per quanto ci riguarda, la battaglia ideologica non è un affare privato, è questione di tutto il Partito, dell’intero proletariato. Il nostro programma è interamente basato su una concezione del mondo scientifica, e, in particolare, materialista. Dunque, una spiegazione del nostro programma include necessariamente un’analisi delle reali radici storiche ed economiche della nebbia che la religione diffonde. Ma in nessuna circostanza dobbiamo cadere nell’errore di porre la questione religiosa in forme astratte e idealiste, come dibattito intellettuale slegato dalla lotta di classe, come fatto di frequente dai radicali tra la borghesia.” Questa precisazione introduce alla necessaria si una replica a un altro articolo pubblicato sullo stesso numero della Gazzetta che, senza mai menzio-
narlo esplicitamente, si riferisce pur sempre allo stesso inserto sulla “religiosità e religione” con un taglio, invece, assai meno aperto al confronto per la ricerca della verità. Mi riferisco all’articolo di fondo firmato dal direttore editoriale della Gazzetta Antonio Nizzi al quale, voglio subito precisarlo, riconosco il massimo rispetto professionale e morale, anche per la memoria del comune corso di studi superiori.
Stringiamo pure la nostra storia a quella dell’evo moderno che ci appartiene, evo che non nasce con la scoperta dell’America, ma con la grande rivoluzione borghese francese della fine del 1700. E’ il “secolo dei lumi” infatti che segna lo spartiacque tra l’evo medio e quello moderno con la nascita della nuova classe sociale della borghesia che, tenendo in una mano la “Dichiarazione dei diritti dell’uo-
Ebbene il tono e il contenuto di quell’articolo tradiscono in maniera quasi esemplare la vocazione della religione a uscire dalla sfera privata per interferire nelle “faccende” pubbliche, pretendendo di attribuire alla religione prerogative di guida etico-ideologica della politica. Possiamo dare per assodato che il medio evo si è da tempo concluso e che non vale rievocarne le brutture e i veri e propri orrori di fondamentalismo religioso laddove, ovviamente, quei “vizi” non siano ancora vivi, potenzialmente ri-emergenti, o non già ri-emersi almeno in talune aree del mondo, sia occidentale che orientale.
mo e del cittadino” e nell’altra la testa tagliata del cittadino Luigi Capeto (“in arte” Luigi XVI), tronca (il verbo è quanto mai espressivo) con il tempo passato e apre al nuovo. Muore il suddito, nasce il cittadino; muore il privilegio, nasce il diritto. Non saranno tutte “rose e fiori”, lo sappiamo bene, ma la ruota della nuova storia si è allora messa in moto e spinge ancora oggi. Seguirà un ‘800 tanto contrastato quanto rivoluzionario. E’ il secolo della rivoluzione industriale. Cessa lo schiavo o servo, nasce il lavoratore salariato; nasce il capitalismo; nascono le classi sociali, compo-
ste non più per nascita o discendenza, ma per ruolo svolto nel ciclo economico produttivo. E’ il 1848, nasce il Partito Comunista, il partito che identifica e raccoglie la nuova classe dei lavoratori salariati, degli sfruttati dai padroni dei mezzi di produzione. Il ‘900 vede poi l’esplosione non solo delle contraddizioni del nuovo evo capitalista, ma anche l’emancipazione culturale, politica e sociale dei lavoratori. Il ‘900 è stato un secolo straordinario e forse il più intenso, il più ricco, il più importante della storia dell’umanità. E’ il 1917, in Russia per la prima volta nella storia dell’umanità i subordinati, gli sfruttati, i lavoratori prendono nelle loro mani il governo del proprio destino. Occorreranno ancora 40 anni perché nel nostro paese finalmente anche alle donne venga riconosciuta la pari dignità con l’uomo, a cominciare dal diritto di voto. Nel frattempo, e a seguire incessantemente, l’istruzione, la scienza, la sanità, il lavoro stesso divengono patrimonio dell’umanità e non più privilegio o strumento di potere delle classi dominanti. Dalla “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino” ci sono voluti quasi 150 anni per riuscire finalmente a trascriverne quegli stessi principi nella nostra Costituzione. Ancora una volta non sono state certamente tutte “rose e fiori”, anzi sono stati anni, decenni di violenze anche inaudite, ma non sono state le “ideologie senza Dio” a provocare quegli orrori. La violenza, la brutalità, la ferocia è intrinseca al sistema di sfruttamento dell’uomo sull’uomo, è la “cifra genetica” del capitalismo.
Quale ruolo hanno avuto le religioni in quelle vicende: questo è il punto. Davvero a tutte quelle vicende è rimasta estranea la follia fondamentalista dell’unico Dio, dell’unica verità, o questa ha attraversato e supportato, quando non direttamente provocato, quegli orrori? Quale è stato e quale ancora potrebbe essere il ruolo delle religioni nella difesa e conservazione del sistema di sfruttamento dell’uomo sull’uomo proprio del sistema economico capitalista? La nebbia con la quale le religioni hanno nei secoli nascosto la drammaticità della vita reale, dei suoi meccanismi di sfruttamento, delle sue ingiustizie ha sommerso ancora, solo pochi anni or sono, lo “scannatoio” balcanico, quando cristiani craoto-tedeschi si massacravano con ortodossi serbo-russi o musulmani bosniaco-islamici, istigati e armati da potenze straniere statali o anche solo economicofinanziarie alla caccia del controllo delle vie del petrolio e del gas. L’integralismo religioso spinto al fanatismo omicida e suicida del musulmanesimo dei paesi del Golfo arabico sino all’Afghanistan, il feroce integralismo cristiano degli eserciti degli invasori occidentali, sino all’ultimo integralismo induista fratricida del sub continente indiano, quanto coprono e confondono sino a giustificarle le reali sottostanti strategie di dominio, saccheggio e sottomissione di popoli e di economie? Le religioni sono veramente estranee al governo del mondo da parte dei più forti o ne sono componenti complici ed essenziali? Di questo parliamo... “con atteggiamento di sincera apertura alla verità”.
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dalla Città e dal Mondo
FOLIGNO FEBBRAIO 2011
“Wounded Knee”: l’ultimo massacro di un inarrestabile genocidio IVANO BRUSCHI
Il 29 Dicembre 1890, un colpo di fucile accidentalmente esploso, segnò la condanna a morte di 250 indiani, sterminati dall’esercito statunitense al quale si stavano arrendendo a Wounded Knee nel South Dokota. Si trattava di un esiguo gruppo di nativi americani della tribù Sioux Teton che era scappato dalla riserva indiana di Pine Ridge dopo l’assassinio di Toro Seduto, avvenuto il 15 dicembre 1890. Colui che li conduceva era il capo Big Foot, gravemente malato di polmonite, il quale, tentò vanamente di guidare verso una illusoria salvezza poco più di 300 uomini, donne e bambini, stremati e totalmente confusi. In questo periodo, l’angoscia e la disperazione, diffusero tra i nativi anche alcuni culti messianici, tra cui la “danza degli spettri” che secondo il suo divulgatore (Wovoka) avrebbe riportato i guerrieri morti, la selvaggina scomparsa, scacciato i bianchi rendendoli invulnerabili alle pallottole. Ma la danza non li protesse affatto dagli oltre 500 soldati dello stesso reggimento portato al massacro dal generale Custer 14 anni prima a Little Big Horn, un reggimento ancora assetato di vendetta. Era quasi notte quando la colonna del settimo cavalleria del esercito degli Stati Uniti d’America, giunse nei pressi di Chankpe Opi Wakpala, il torrente ribattezzato poi dai bianchi, Wounded Knee. Proprio in quel luogo, tenendone segreta l’esatta posizione, era stato sepolto anni prima
Cavallo Pazzo, uno degli ultimi grandi leader militari dei Lakota. Questa volta i soldati, avevano con loro le mitragliatrici Hotchkiss formidabili e nuovissimi strumenti di morte, ed è principalmente con quelle che venne perpetrata la strage. I Sioux raggiunti furono rapidamente circondati e contati meticolosamente. Vi erano 120 uomini e 230 donne e bambini. La notte stava scendendo rapidamente così, il maggiore Whitside, per disarmare i suoi prigionieri aspetto il mattino seguente. «II mattino seguente sentii uno squillo di tromba» disse Wasumaza, uno dei guerrieri di Piede Grosso che alcuni anni dopo cambiò il suo nome con quello di Dewey
Forsyth informò gli indiani che ora dovevano essere disarmati. «Chiesero i fucili e le armi,» disse Lancia Bianca «così tutti noi consegnammo i fucili e li ammonticchiammo al centro.» I capi dei soldati non erano soddisfatti del numero delle armi consegnate e così mandarono squadroni di soldati a perquisire i tepee. «Entrarono nelle tende e uscirono con fagotti e li strapparono per aprirli» disse Cane Capo. «Presero le scuri, i coltelli e i pali delle tende e li ammonticchiarono vicino ai fucili.» Non ancora soddisfatti, i capi dei soldati ordinarono ai guerrieri di togliersi le coperte di dosso e di sottoporsi a una perquisizione. I soldati di cavalleria trovarono solo
Beard. «Poi vidi i soldati che montavano a cavallo e ci circondavano. Fu annunciato che tutti gli uomini dovevano venire al centro del campo per un colloquio e che dopo il colloquio dovevano andare nell’agenzia di Pine Ridge. Piede Grosso fu portato fuori dal suo tepee e sedette davanti alla sua tenda con gli anziani riuniti intorno a lui. Il colonnello
due fucili, uno dei quali era un Winchester nuovo che apparteneva a un giovane Miniconjou di nome Coyote Nero. Coyote Nero sollevò il Winchester sopra la testa gridando che aveva pagato molto denaro per il fucile e che apparteneva a lui. Alcuni anni dopo Dewey Beard ricordò che Coyote Nero era sordo. «Se lo avessero lasciato solo egli sarebbe an-
dato a deporre il fucile nel posto indicato. Essi si fecero avanti e afferrarono il fucile che egli si stava accingendo a deporre. Lo avevano appena circondato quando si udì un colpo di fucile abbastanza forte. Non saprei dire se qualcuno fu colpito, ma dopo quel colpo ci fu un gran fracasso.» All’inizio del tumulto, il fuoco delle carabine era assordante, e l’aria era piena di fumo. Fra i moribondi che giacevano accasciati sulla terra gelata vi era Piede Grosso. Poi il fragore delle armi cessò per un momento, mentre piccoli gruppi di indiani e di soldati combattevano corpo a corpo, usando coltelli, mazze e pistole. Poiché solo pochi indiani avevano armi, dovettero presto fuggire e allora i grandi fucili Hotchkiss sulla collina aprirono il fuoco su di loro, sparando quasi un proiettile al secondo, falciando l’accampamento indiano, facendo a pezzi i tepee con gli shrapnel, uccidendo uomini, donne e bambini. «Cercammo di fuggire ma essi ci sparavano addosso come se fossimo bisonti. Io so che vi sono alcune persone bianche buone, ma i soldati che spararono sui bambini e sulle donne furono infami. Gli indiani non avrebbero fatto una cosa simile ai bambini bianchi.» «Corsi via da quel luogo e seguii quelli che stavano scappando» disse Hakiktawin, un’altra giovane donna. «Mio nonno,
mia nonna e mio fratello furono uccisi quando attraversammo la gola, e poi una pallottola mi trapassò il fianco destro e poi anche il polso destro e lì mi fermai perché non ero in grado di camminare e più tardi un soldato mi raccolse. Quando finì l’esplosione di follia. Piede Grosso e più della metà della sua gente erano morti o erano gravemente feriti; i morti accertati furono 153, ma molti dei feriti si allontanarono strisciando e morirono in seguito. Secondo una valutazione, dei 350 Miniconjou che si trovavano lì, i morti, fra uomini, donne e bambini, furono quasi trecento. I carri carichi di Sioux feriti (quattro uomini e quarantasette donne e Bambini) raggiunsero Pine Ridge quando era già notte. Poiché tutte le baracche disponibili erano occupate dai soldati, gli indiani furono lasciati sui carri scoperti, esposti al freddo intenso per ore prima di essere “ricoverati”. Infine fu aperta la chiesa episcopale, furono tolte le panche, e il pavimento fu ricoperto con uno strato di paglia. Era il quarto giorno dopo Natale dell’anno del Signore 1890. Quando i primi corpi straziati e sanguinanti furono portati nella chiesa illuminata dalle candele, quelli che non avevano perso co-
noscenza poterono vedere gli addobbi natalizi che pendevano dalle travi del soffitto. Da un capo all’altro del presbiterio, sopra il pulpito, era appeso uno striscione con la scritta: PACE IN TERRA AGLI UOMINI DI BUONA VOLONTÀ. “Non sapevo in quel momento che era la fine di tante cose. Quando guardo indietro, adesso, da questo alto monte della mia vecchiaia, ancora vedo le donne ed i bambini massacrati, ammucchiati e sparsi lungo quel burrone a zig-zag, chiaramente come li vidi coi miei occhi da giovane. E posso vedere che con loro morì un’altra cosa, lassù, sulla neve insanguinata, e rimase sepolta sotto la tormenta. Lassù morì il sogno di un popolo. Era un bel sogno… il cerchio della nazione è rotto e i suoi frammenti sono sparsi. Il cerchio non ha più centro, e l’Albero sacro è morto.” -Alce NeroSul posto oggi campeggia un cartello con su scritto “Battle of Wounded Knee”, Battaglia di Wounded Knee, ricordando che quello fu l’ultimo scontro armato fra i nativi americani e l’esercito degli Stati Uniti. Qualcuno, saggiamente, ha cancellato la parola “battle” sostituendola con la più appropriata e considerando i fatti avvenuti, veritiera, “massacre”.
Peròn tra i dittatori e la P2 (terza parte) OSVALDO GUALTIERI
(La prima e la seconda parte dell’articolo sulla vita di Peron sono state pubblicate nei numeri di dicembre 2010 e gennaio 2011, nonchè sul sito internet) Quando Peròn fuggì dall’Argentina il 19 settembre del 1955, si rifugiò nel Paraguay sotto la protezione del suo amico il dittatore Alfedo Stronsser. In Argentina prese il potere una giunta militare presieduta dai generali Leonardi e Aramburu, quest’ultimo successivamente, maggio 1970, fu sequestrato e ammazzato in un modo macabro e rituale dai Montoneros per attirarsi i favori e simpatia di Peròn. Per come sono andate poi le cose, questo non è servito a niente e sono stati per primi i Montoneros ad essere massacrati quando Peròn è tornato in Argentina. In Paraguay Peròn è rimasto
per poco tempo per poi spostarsi a vivere in Venezuela, dove governava un altro dittatore di destra chiamato Marcos Pèrez Gimenez. Lì ha conosciuto Lopez Rega, sopranominato “el brujo” (lo stregone) per il fanatismo per le pratiche esoteriche, un ex poliziotto argentino legato alla P2 e a tutte gli intrighi più oscuri tra i potenti dell’Argentina e dell’Italia di quel epoca. Molti di questi ancora sono un mistero e probabilmente lo saranno per sempre. Lopez Rega presenta a Peròn Isabel Martinez, una “entreneusse” argentina di cui lui era il “pappone” e che svolgeva le sue funzioni nei night di Caracas, dove in quel periodo trovava più clienti facoltosi che a Buenos Aires. Evidentemente Peròn aveva un debole per questo genere di donne… Comunque sia Peròn la sposa nel 1965 per cercare di farla diventare “la seconda Evita”. Non è che ci sia riuscito molto. Nel 1958 in Venezuela c’e un
colpo di stato con conseguente fuga di Pèrez Gimenez. A questo punto anche Peròn non si sente più protetto e decide di andare a vivere in Spagna, questa volta sotto la protezione di Franco. Come si vede, nel suo esilio Peròn è sempre andato a vivere dove c’era una dittatura di destra, tanto per smentire alcune ingenue affermazioni che lo vogliono far passare come uno di sinistra. Con sé Peròn si porta ovviamente Isabel Martinez e il “brujo” come segretario e onnipotente uomo di fiducia. Fiducia tale che l’ha portato da lì in poi ad essere il vero e proprio artefice e organizzatore di tutta la vita politica e privata di Peròn, compresi gli intrighi. A Madrid Peròn si stabilisce in una enorme reggia chiamata “Puerta de Hierro”, custodita da 27 guardia del corpo private, oltre quelle che gli metteva a disposizione il suo amico Franco. Soldi non gli mancavano… Questa reggia, diventata una vera e
propria fortezza, era il quartiere generale dove Peròn gestiva i suoi rapporti con le forze politiche argentine e mondiali vicine a lui, compresa la P2 italiana. Si dice che da quella reggia non sia quasi mai uscito durante i 15 anni che passati fino a suo ritorno in Argentina. Circola una foto di quell’epoca dove si vede Peròn in ginocchio mentre bacia la mano al “venerabile” Licio Gelli”. Questo è un argomento, quello dei rapporti tra la P2, Peròn e le dittature militari del Sudamerica, sul quale finora non si è saputo quasi niente e non credo che, a questo punto, si saprà mai niente di più sugli intrighi di potere di quell’època tra quella regione e forze occulte dell’Italia. Dopo la caduta del peronismo, in Argentina si sono susseguiti governi retti da dittature militari e governi civili, senza che mai nessuno di questi sia riuscito a finire il suo mandato prima di essere cacciato con un nuovo
Francisco Franco e Juan Domingo Peròn colpo di stato. Il peronismo, in parte, continuava ad essere una forza politica molto presente, anche se divisa in varie correnti, alcune di queste successivamente passate a posizioni di sinistra rivoluzionaria. Un bel caleidoscopio politico di quello che è stato, e continua ad essere, il peronismo! Nei anni 1967-1968, nascono in Argentina, sotto la solita dittatura militare, vari gruppi rivoluzionari che portano avanti la lotta armata. Di questi, i più importanti erano il PRT-ERP, d’ispirazione marxista-leninista, e i
“Montoneros”, d’ispirazione cattolica di base e peronista. La storia di questo periodo è molto fitta di successi politici, massacri e drammi umani dei quali si sa quasi tutto; per chi lo vuol sapere… La lotta armata era arrivata a un livello di grande sviluppo e cominciava ad essere un vero pericolo per il potere, difficile da reprimere anche utilizzando i più bruttali metodi immaginabili. Per frenarla, l’oligarchia argentina, rappresentata dai militari, escogitò a una mossa geniale: favorire e preparare il ritorno di Peròn in Argentina.
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dalla Città
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2010 Il disprezzo degli spazi comuni: la vergogna come L’anno nero dell’oro bianco strumento di rispetto. LUISITO SDEI
CRISTIANO DELLA VEDOVA
Una bottiglia di plastica, vuota, che fluttua sulle onde di un mare stupendo che più azzurro non si può. La “classica” lavatrice, un po’ arrugginita ma bianca come la neve, abbandonata ai bordi di una silenziosa strada di montagna. Due bicchieri di carta, residuo di una serata, lasciati nel bel mezzo di una spiaggia: se gli autori delle scempio appena descritto avessero raccolto e buttato quei bicchieri, sarebbe stata anche “romantica”, quella serata: ormai non lo è più. I raggi del sole che si stagliano riflettendo luce sull’immancabile bottiglia di Ceres che si scorge nel bel mezzo di un prato, qui, poco fuori città. Senso di tristezza e di avvilimento che nasce dall'essere consapevole di aver commesso una “cattiva” azione. Ovviamente prima di cercare il significato della parola “vergogna” sul vocabolario mi sono dato una mia definizione: forma di paura o ansia del giudizio evidentemente negativo, di disapprovazione, che la società può dare di un determinato comportamento o di un dato di fatto. Se usata quale deterrente volto ad evitare delle azioni che possano in qualche modo compromettere la vivibilità di un contesto o di uno spazio, immagino la vergogna come un importante strumento di rispetto. Appunto. La parola vergogna deriva dal latino vereor, che significa rispetto, timore rispettoso. O meglio, timore che rispetta. «La vergogna segna nell'uomo il confine intimo del
peccato. Lì dove egli arrossisce, inizia il suo essere più nobile» (C.F. Hebbel). La sana vergogna ci nobilita. L’assenza di vergogna azzera la nostra dignità e la nostra intelligenza. Vergogna e proprietà. Vergogna e idea di possedere. Perché mai ciò che è nostro e solo nostro è rispettato è curato? Perché su ciò che è nostro e solo nostro è più semplice provare vergogna. Ecco che nel cortile di casa, in attesa di amici per una cena estiva, ci affanniamo a sistemare e a pulire. Nemmeno un sassolino deve essere fuori posto. Invece, ciò che è nostro ma non solo nostro è nella maggior parte dei casi denigrato e non rispettato come dovrebbe. Il giardino di casa da la percezione immediata di proprietà, esclusiva. Una spiaggia e la sua acqua turchese, un prato di campagna, la strada che percorriamo tutti i giorni, non danno a tanta gente purtroppo l’idea di proprietà. Quella proprietà che se esclusiva provoca vergo-
gna e automaticamente rispetto. Quella proprietà che, laddove comune, porta spesso, troppo spesso, a indifferenza e disprezzo. C’è una famosa e vecchia barzelletta: il marito che si taglia i “gioielli di famiglia” per fare un dispetto alla moglie!? Con fiducia ritengo che per ovviare a questo oltraggio basterebbe essere solamente più concentrati e riflessivi. Bè si, perché contro l’incallita ignoranza poco si può fare se non reprimere con inaudita violenza. Quante “persone” gridano “ assassino, vergogna!!!” contro un uomo che magari è solo indiziato di omicidio, senza sapere, senza conoscere. Quelle stesse persone che nella totale confusione la domenica mattina caricano quel luccicante SUV per una gita in campagna. Un prato di campagna. Lo spazio comune per antonomasia. Quelle stesse persone che finiti i bagordi tramutano il verde di tutti in una discarica. Vergogna!
Lo si sarebbe potuto intuire da un pezzo, ma gli avvenimenti dell’ultimo anno hanno chiarito definitivamente che è l’acqua la vera emergenza ambientale del nostro territorio. Risalgono al mese di Aprile i disastri combinati ai danni del Menotre dal cantiere della SS.77.: come relazionato dall’Ufficio Ambiente del Comune, "le cause delle anomalie riscontrate a carico del suolo e del fiume Menotre sono da imputare al cedimento del sottosuolo con espansione laterale causato dal carico esercitato dal materiale roccioso di scavo stoccato all'interno dell'area". Ciò ha determinato "il sollevamento del terreno per diversi decimetri, in corrispondenza di un tratto di alveo del fiume Menotre, causando difficoltà nel deflusso idrico e danneggiamenti dell'argine destro". Il fenomeno "ha anche interessato reti idriche e di scarico sia in adiacenza all'alveo fluviale sia lungo il lato ovest dell'impianto". Le consuete precipitazioni autunnali, quest’anno particolarmente copiose, lasciano un pesante strascico di frane ed esondazioni, perfino con una vittima. Senza un corrispondente beneficio per le falde acquifere, per colpa dei nostri consumi sfrenati. E tutto questo nonostante il quantitativo notevole di precipitazioni cadute: fra i 1000 ed i 1400 mm. sul Folignate: grosso modo il 25% in più rispetto alla norma. Era dal 2005 che gli accumuli piovosi in Valle Umbra non raggiungevano più la quadrupla cifra. A fine anno, il 30 dicembre, altra crisi idrologica. Un
La distilleria, figlia minore dello zuccherificio FAUSTO OTTAVIANI
Passavo in auto e come tante altre volte ho gettato uno sguardo alla mia destra per guardare lo zuccherificio, o meglio, le strutture della ex distilleria di Foligno. Da tempo si notavano strutture fatiscenti già spogliate di tutto e ho notato un grande mezzo che stava completando l'opera di definitiva demolizione. La prima sensazione è stata di compiacimento, finalmente! Da anni l'area era un vero sito archeologico praticamente dentro la città. Poi ripensando a quello che scriverò mi sono chiesto: le foto o filmati potranno ricordare la sua storia, o meglio, una foto può raccontare la storia? In parte sicuramente si... Ma cosa ne sa di quel fabbricato lungo
lungo, con un improvviso parallelepipedo che svetta in alto, e si riallinea. Di quella finestrella che guarda verso Pale, di cosa c'era dietro le porte in basso, alcune con le inferriate a proteggere qualcosa di prezioso altre no. Era la distilleria, figlia minore dello zuccherificio, ma i cui operai che ci lavoravano si consideravano l'elite della fabbrica. Il perché l’ho compreso da grande; la catena di produzione era breve,circa 3\4 passaggi. Ognuno di noi vedeva il prodotto finito e la cosa, contrariamente allo zucchero che prevedeva decine di ruoli diversi e dispersivi, era particolarmente gratificante. Noi facevamo l'alcool con la melassa della barbabietola. Sembrava petrolio dolciastro molto denso, per farla scorrere nei tubi doveva essere riscaldata. Poi mischiata con acidi e acqua, fatta fermentare, riposare e in-
viata alle grandi colonne di distillazione. Ecco l'alcool buongusto o denaturato, attentamente controllato dalla guardia di finanza che insieme a noi prestava servizio nelle 24 ore. Circa tre per turno, in totale 11\12 operai. Alla prima lavorazione erano destinati i più giovani, alcuni universitari come me, con qualche
libro dietro nella speranza di poter magari dare una ripassata all'esame in preparazione. Generalmente non si apriva libro,tanto era il rumore e le cose da fare, ma qualcosa sicuramente ha aiutato visto che, dei colleghi che ricordo, tutti abbiamo conseguito la laurea. A me piaceva il turno di notte, sonno a parte; mi
crollo nella muraglia laterale vicina al canale scolmatore causa una falla nella diga di Montedoglio, riversando centinaia di metri cubi d'acqua al secondo nel fiume Tevere e causando una piena paragonabile a quella generata da precipitazioni con tempi di ritorno di 25-50 anni. Ingenti i danni all’agricoltura delle zone dell’alta Valtiberina, fino a Città di Castello e oltre. Negli stessi giorni di fine anno 2010, arriva la notizia peggiore. L’ARPA rileva che le acque della falda superficiale, in una vasta zona del centro storico e della periferia meridionale di Foligno, sono gravemente contaminate, nientepopodimeno che dalla trielina. L’inquinamento, per ora, non interessa le risorse idropotabili. Non se ne conosce ancora la fonte,forse risalente a scarichi incontrollati verificatisi negli anni Settanta e solo ora percolati in falda. Fatto sta che, in tutta la zona colpita, l’agricoltura, soprattutto quella amatoriale, è per adesso azzerata, in attesa di analisi più dettagliate.
E del resto la falda superficiale, per usi idropotabili, era già compromessa in tutta la Valle: dai nitrati pressoché ovunque, e dagli scarichi degli allevamenti, nel distretto settentrionale. Piano piano, giorno dopo giorno, le acque della Valle Umbra perdono il loro valore. L’area della nostra utilizzabilità si restringe. Ora dobbiamo anche temere il pozzo che un tempo ci serviva per rinfrescarci e ci consentiva di coltivare. Fiumi un tempo leggendari per bellezza e attrattiva si riducono a canali di scarico posti ai piedi di possenti piloni. In confronto alla situazione di 280 altri comuni italiani, dove l’acqua per bere si prende dalle autobotti, in quanto quella del rubinetto è contaminata dall’arsenico, la nostra è forse ancora migliore. Ma, dopo questo infausto anno, non potremo di certo più vantarci. Possiamo ancora bere dal rubinetto, ma l’acqua ha ormai, pressoché definitivamente, smesso di costituire parte dell’identità verde dell’Umbria.
piaceva la sensazione che mentre altri dormivano,lì era giorno pieno. Si parlava, fumava, mangiava, lavorava normalmente, le luci erano artificiali ma la vita e le cose da fare erano le stesse fatte a mezzogiorno. Ricordo un particolare divertente del mio lavoro: la base che preparavo di melassa per la fermentazione doveva avere una determinata acidità e concentrazione zuccherina: per la presenza dello zucchero era abbastanza semplice, si usava un saccarometro ma per l'acidità si usava una cartina di tornasole che in base alla sua colorazione determinava l'aggiunta ulteriore di acido o di acqua. Abbastanza facile no? Si, se non fossi daltonico... e allora? di corsa giù per una scaletta a domandare al collega di sotto: è troppo rossa? come va? Le prime volte mi prendevano in giro, poi... più acqua, metti un po’ più di acido e il risultato era sempre raggiunto. Poi la sirena, arrivava il cambio, quattro chiacchiere e via un po' assonnato ma tutto contento di
uscire con la mia lambretta per ritrovare amici e familiari.La paga era strepitosa per un operaio (si parla degli anni '68 '69 '70): in tre mesi circa di campagna, mi comprai la prima auto e anche se utilitaria era come comprarsi ora una Punto del valore di 12\13.000euro in tre mesi di stipendio (l'equivalente di circa 3.000euro mese). Tre anni di lavoro, o meglio tre campagne, così si chiamava il periodo lavorativo. Poi si chiudeva, rimanevano gli effettivi (l'attuale contratto a tempo indeterminato) e gli avventizi venivano licenziati. Per molti era un momento di tristezza, il lavoro finiva, per altri fortunatamente ricominciava una vita più normale: studio o altro , in ogni caso si realizzavano gli obiettivi della nostra vita futura. Mazzoni, Belloni, Crisanti, Nizzi, Vittorio, sono alcuni nomi di colleghi che ricordo. Perciò tranquilli, fino a che ci saremo noi, vi racconteremo cosa c'era dietro quella porta.
61www.piazzadelgrano.org Preghiera di notte Il davanzale della finestra Trampolino verso l’eternità Del mio castello di sabbia Le gambe ciondolano nel vuoto verde Come un doppio pendolo di un vecchio orologio Che non riesce a tenere il ritmo dei secondi La marea dei sogni dispersi Come ad ogni tramonto Sale a inumidirmi lo sguardo I contorni della natura s’appannano Poco a poco, perdono corpo Si dissolvono dietro allo scrosciare Di una improvvisa cascata La terra non vuole le lacrime Le basta la pioggia Se avessi un poeta a cui raccontare Tramuterebbe in un pugno allo stomaco d’arte Questo abbozzo di dolore! Ma con me ho solo una penna Una mano troppo esile E un ragazzo che non sa scrivere ciò che pensa Ma sa pensare ciò che desidererebbe scrivere Neruda Rilke Kavafis Hikmet Whitman Ho parlato con voi per ore Nella solitudine al neon della mia stanza Cercando di colmare la vostra nostalgia Della vita Le donne, gli uomini, gli odori, gli umori, gli amplessi fugaci, la morte, gli abbandoni Hanno ripreso a pulsare nei vostri cuori celesti Dalla carta ingiallita Dall’inchiostro scalfito La parola è tornata vita Si è fatta nitida immagine del vissuto Vi chiedo di far cadere stelle comete di poesia Su questi piccoli lenzuoli bianchi Sotto cui nascondo le mie miserie Dove lascio riposare le illusioni Che non trovano altrove pace. Non risponderete, amici andati… Carlo Trampetti
Nella sua immensa misericordia C’era una volta un re di un popolo, tanto pio e obbediente da essere stato “eletto” dal suo Signore e Creatore. Il re però non riusciva ad avere un figlio maschio (le femmine ovviamente non contavano) per dare la successione al suo trono. Il re si chiamava Abramo, la moglie legittima ma sterile (almeno quanto a figli maschi, di femmine non se ne sa nulla) si chiamava Rebecca. Nonostante le infine suppliche, atti di contrizione e sacrifici al Dio onnipotente il problema non si sbloccava, gli anni passavano, la successione era in pericolo. Come si usava allora (solo all’allora?) venne concessa una deroga: il re venne autorizzato a utilizzare una serva per farsi produrre il necessario erede maschio. La serva si chiamava Sara, il prodotto che ne nacque venne chiamato Ismaele, erede al trono di Israele. Colpo di scena inatteso, la oramai vecchia Rebecca resta incinta e partorisce finalmente il maschio legittimo che venne chiamato Isacco. Che fare del bastardo Ismaele e della madre serva? Com’era usanza di allora (solo di allora?) ambedue, oggi si direbbe “vacca e vitello”, vennero cacciati dalla tribù e mandati a morire di fame e sete nel deserto. Ma ecco che Dio nella sua immensa misericordia manda in soccorso ai due reietti un angelo che li salva e promette a Sara che il figlio, persa l’aspettativa del trono di Israele, avrebbe comunque dato vita a una grande nuova stirpe, quella degli arabi. A questo punto ci si aspetterebbe la solita conclusione: e tutti vissero felici e contenti (più o meno). E invece no! Ecco che il buon Dio ha un altro bel regalo in serbo per Abramo e per il suo popolo eletto: il padre deve sacrificare la vita del figlio lungamente atteso alla gloria del Creatore. Il pio e docile Abramo obbedisce (non è detto se con animo grato o con qualche “rodimento” interiore), porta il figlio Isacco in cima a un monte, ovviamente sacro, e prepara il barbecue per la gloria del Signore. Ma il Signore, sempre nella sua immensa misericordia, ha in serbo ancora un colpo di teatro, al momento dello sgozzamento al posto di Isacco compare un agnello, che è pur sempre figlio di qualcuno ma non creato a immagine e somiglianza del suo Dio. Padre e figlio, dopo avere mangiato l’arrosto divino, se ne tornano a casa e finalmente tutti vissero felici e contenti (ma mica per tanto...). Direbbe a questo punto il ragionier Fantozzi: come è buono Lei!
Cultura/e
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“Resistenza popolare in Palestina, storia di speranza e di empowerment” Incontro con il professor Mazin B Qumsiyeh. Interventi di Fabio Amato, responsabile esteri Rifondazione Comunista e Ali Rashid, già rappresentante OLP in Italia MAURA DONATI
“Il libro di Mazin Qumsiyeh è illuminante e potente. Esso rivela le sofferenze umane e la distruzione del popolo palestinese e della terra, che sono le terribili conseguenze del progetto etnico, nazionalista e militare di Israele che ha espulso la popolazione indigena palestinese e ha commesso crimini di genocidio e apartheid. A dispetto di tale ingiustizia, tutti noi possiamo trovare speranza e ispirazione dalle storie che Mazin fa della vita delle persone coraggiose palestinesi che fanno la storia reale, spesso non registrate. Il loro spirito pacifico e la perseverante lotta per i diritti umani e il diritto internazionale, è stata e continua ad essere portata avanti (principalmente) dalla resistenza popolare nonviolenta. Il loro metodo di resistenza attiva non violenta merita di essere conosciuto meglio dalla comunità internazionale che ha bisogno di vedere esempi simili, così da poter rifiutare la violenza, il militarismo e la guerra e costruire la propria sicurezza e libertà sui diritti umani e il diritto internazionale”. Le parole del Premio Nobel Mairead Maguire riferite al libro di Mazin B Qumsiyeh “Resistenza popolare in Palestina, storia di speranza e di empowerment”
presentato l’11 gennaio scorso a Foligno nella sala “Luciana Fittaioli” di questa redazione, arrivano come una ventata d’aria fresca e fanno sollevare un sospiro di sollievo alle persone convinte che il coraggio e gli ideali siano finiti sotto le barbarie di una terra martoriata e un popolo ridotto a vivere in un piccolo fazzoletto di terra recintato e sorvegliato a vista. Oggi, solo l’8,3% della terra “combattuta” è stata lasciata ai palestinesi, la restante parte appartiene agli israeliani. Neppure durante gli ultimi giorni dell’apartheid in Sud Africa si era raggiunta una così bassa percentuale, indicativa di una reale segregazione. Eppure ci racconta Qumsiyeh - la gente continua a “resistere”: “esistere equivale alla resistenza”, “raccogliere le olive è un’altra forma di resistenza”, “continuare a pascolare le pecore è resistenza”, “andare a scuola” o “semplicemente vivere” è resistenza. Il libro di questo docente di biologia presso le università di Betlemme e Birzeit e coordinatore del comitato popolare contro il muro e gli insediamenti a Beit Sahour, riassume e analizza la lunga storia di 130 anni di resistenza civile in Palestina mostrando immagini del cambiamento e racconti di una vita difficile ma in cui non è mai mancata la forza di guardare a un futuro di pace nella giustizia.
Più di due terzi dei 10 milioni di palestinesi nel mondo sono rifugiati o sfollati – si può apprendere dal libro questo, come tutte le altre situazioni analoghe nella storia, come in Sud Africa, non avrebbe potuto avvenire senza la resistenza alla violenza del colonialismo. Ma la maggior parte di questa resistenza è stata in forma di resistenza civile / non violenta. D’altronde, varie risoluzioni delle Nazioni Unite e il diritto internazionale consuetudinario hanno affermato la legittimità della resistenza armata. Il principio di auto-determinazione prevede che, qualora l'azione violenta venga usata per sopprimere il diritto, la forza può essere usata per contrastarla e per raggiungere l'autodeterminazione. Eppure,
considerando i decenni di pulizia etnica, la violenza e la distruzione – spiega Qumsiyeh - in realtà è sorprendente quanto pochi palestinesi si siano impegnati nella resistenza violenta nel suo complesso. Infatti, dalla prima colonia sionista nel 1878 fino al 1920, nel libro si mostra che ci sono stati quasi 50 anni di resistenza popolare non violenta. Oggi, la resistenza alla violenza e alla soppressione continua. “E’ un dovere e un diritto dei popoli – ha dichiarato Ali Rashid a conclusione dell’incontro – come è importante far conoscere la storia di questo popolo perché a volte la realtà supera l’immaginazione ed è difficile credere e sostenere una causa se non si è vista e conosciuta in prima persona”.
“Orizzonti dall’astronave” Biografia artistica di Rinaldo Morosi LORENZO BATTISTI
C’è stata una grande partecipazione di pubblico, sabato 15 gennaio alla Libreria Carnevali di Foligno per la presentazione del libro di Luana Brilli “Orizzonti dall’astronave. Biografia artistica di Rinaldo Morosi”, edito da MEFL’Autore Libri Firenze nella collana Biblioteca ’80. Luana Brilli, l’autrice, è di Foligno. Educatrice da oltre venti anni (presso il nido comunale “Raggio di Sole” di S. Eraclio) ha un vero talento per la scrittura. Rinaldo Morosi invece, il protagonista del libro, è di Spello, fotografo, pittore, poeta, attore teatrale. Da questo incontro di talenti e da una bella amicizia, è nato questo libro, opera prima di Luana Brilli, che alla scrittura si dedica però da tempo in quanto esperta di metodologie autobiografiche e scrittura autoanalitica, titoli conseguiti alla Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari (LUA). Per parlare del libro, molto piacevole, interessante, intenso, sono intervenuti
Vincenzo Baldelli (giornalista Rai) che ha tenuto con simpatia e competenza le fila del dibattito; Rosella De Leonibus (psicologa, psicoterapeuta del Ciformaper) che ha evidenziato abilmente i punti salienti del libro, individuando delle “parole chiave” su cui incentrare l’attenzione dei presenti; Cristina Guarnieri, collaboratrice scientifica della LUA, che ha fatto riferimenti metodologici ed ha sottolineato l’importanza della relazione che si viene a creare tra narratore ed ascoltatore, il significato dell’ ascoltare e dell’ “ascoltarsi”, la capacità di accogliere l’altro facendo silenzio dentro di sé, l’empatia che si stabilisce. Concetti ripresi dall’autrice che ha evidenziato che il percorso autobiografico può contribuire a “reimmaginare” la propria storia, non è infatti solo una ricostruzione degli eventi succeduti nel tempo, ma può aiutarci a vivere con pienezza il presente e a darci la spinta per riprogettare il futuro. È emersa anche la figura Rinaldo Morosi. Un artista nell’accezione più profonda del termine, come
ci comunicano le sue inventive artistiche, i suoi acquerelli realizzati con pochissime pennellate, dove cerca d’intrappolare i suoi sogni che viaggiano veloci molto più del suo gesto pittorico e forse nella fotografia trova il sincronismo tra la mente e la visione e scatta continuamente i particolari che invadono il suo sguardo. Rinaldo, nella serata ha poi potuto ascoltare qualche “brano” del suo ritratto artistico-esistenziale farsi narrazione, nella voce della giovane e brava attrice Giulia Battisti. Molto coinvolgenti e apprezzati sono stati, infine, sia l’intervento musicale di Massimo Liberatori e Leonardo Piermatti, che hanno proposto delle applauditissime canzoni popolari locali, sia il video mirabilmente curato da Ga-
briella Grisanti che presentava una sintesi della biografia. Una serata coinvolgente per l’atmosfera, le parole, le immagini, la musica, tutte cose che hanno contribuito a chiudere il cerchio delle arti. Perché, come si leggeva nell’invito, “ognuno entra nel mondo con una vocazione” (James Hillman).
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Cultura/e
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La guerra dei cavalli IOLANDA TARZIA
“A ogni incontro, due o tre cavalieri ci restavano, ora dei nostri, ora dei loro. E i loro cavalli liberati, staffe impazzite e sonanti, galoppavano a vuoto e si precipitavano giù verso di noi da molto lontano con le loro selle dagli arcioni bizzarri, e il cuoio fresco come quello dei portafogli a Capodanno. Erano i nostri cavalli che andavano a raggiungere, subito amici. Una bella fortuna! Non siamo certo noi che avremmo potuto fare altrettanto! ... I cavalli hanno una bella fortuna, loro, perché se subiscono la guerra, come noi, gli si chiede mica di sottoscriverla, d'aver l'aria di crederci. Sventurati ma liberi cavalli! L'entusiasmo ahimè, ce l'abbiamo solo noi, 'sta troia!” (Céline – Viaggi al termine della notte; Ed. La Biblioteca di Repubblica). Il corpo di un altro giovane militare ritorna in Italia dall’Afghanistan. Non ritorna da una guerra, almeno così si dice, ma sicuramente è morto per mano di un altro uomo che forse, invece, ha ucciso solo in nome di una guerra. Chi ha sparato non sapeva chi stava uccidendo, ha colpito una divisa. Non si sarà chiesto, ne forse mai si chiederà, chi fosse la persona destinataria della morte che stava per infliggere. Non si sarà certamente soffermato a valutare quali sarebbero state le conseguenze provocate da un gesto, qual è quello di premere un grilletto di un’arma da fuoco puntata
contro un altro essere vivente. Non avrà pensato - prima, durante o dopo che quel suo gesto stava privando di un futuro un uomo a lui sconosciuto, verso il quale non poteva provare, personalmente e direttamente, alcun sentimento, se non l’odio dettato da circostanze. Non avrà certamente provato ad immaginare cosa sarebbe successo se l’incontro con l’uomo che stava uccidendo fosse avvenuto in altre situazioni e circostanze, ad esempio in un bar, su un treno, su una spiaggia, sui banchi di scuola, in un ristornate, ecc.. Magari avrebbe potuto scoprire di avere in comune con l’altro tante cose da dividere in quella vita che lui stesso gli stava negando. Magari sarebbero potuti essere amici se l’incontro non fosse stato così avverso. Non si sarà reso conto che lui - carnefice - e l’altro – vittima - forse erano, in quei momenti, accomunati da uno stesso identico sentimento, la medesima paura di morire. Di quanto entrambi fossero uguali di fronte alla morte. Non avrà realizzato che in quell’istante stava decidendo non solo della vita di chi stava puntato nel mirino ma, insieme, di tutti coloro che intorno a e con quella vita avevano
costruito o soltanto ideato altre vite. Che quel suo gesto avrebbe cambiato irreversibilmente l’umanità privandola di una sua componente unica ed irripetibile. L’incapacità di percepire l’altro in quanto uomo, l’“ignoranza” dell’altra vita, viene da pensare a chi una guerra non ha mai combattuto, devono necessariamente albergare nella mente e nell’animo di colui che uccide chi è ritenuto ostile per principio, che è nemico solo perché indossa una divisa diversa. Ma, invero, a nessuno è dato sapere quali pensieri e quali sentimenti avrà elaborato e provato chi contro quel militare ha sparato. Né se quel gesto sia stato effettivamente dettato da una ostilità di principio - magari del tutto priva di un substrato di odio reale - o, semplicemente
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Anarchy in the U.K. Sex Pistols - 1976
dall’incoscienza o, addirittura, dall’arroganza e dalla presunzione che sia giusto decidere della vita di chiunque non condivida i propri medesimi principi culturali e/o religiosi. Certamente chi ha sparato il colpo e chi quel colpo ha incontrato non hanno avuto la fortuna dei cavalli. Forse anche loro, come i cavalli, non hanno mai sottoscritto la “non guerra” che si sta combattendo in Afghanistan, forse non ci hanno mai creduto. Eppure i ruoli, i principi, le circostanze hanno privato entrambi della possibilità di corrersi incontro, di scoprire chi fosse l’uomo che indossava quella divisa. Magari, se avessero potuto raggiungersi spogliati da quella divisa, “liberati” dall’ostilità di principio, anche loro sarebbero diventati “subito amici”.
Eccomi ora!!! Ahahah! Io sono un anticristo Sono un anarchico Non so quello che voglio ma so come ottenerlo Voglio distruggere il viandante Perché voglio essere l’anarchia Anarchia per il Regno Unito!! Il tuo sogno futuro è una scorpacciata di acquisti Perché io voglio essere l’anarchia in città Di tante vie per ottenere quello che vuoi Io uso la migliore, uso gli altri Io uso i nemici, Io uso l’anarchia Perché voglio essere l’anarchia, È l’unico modo per essere E’ questa l’M.P.L.A., questa l’U.D.A., questa l’I.R.A.? Pensavo fosse il Regno Unito O un altro paese E un’altra stupida tendenza Io voglio essere l’anarchia Capisci cosa intendo? Io voglio essere un anarchico DISTRUGGERE!!! Dio salvi la regina Il regime fascista che hanno fatto di te un deficiente Una potenziale bomba H Dio salvi la regina Non è un essere umano Non c’è futuro Nel sogno dell’Inghilterra Non farti dire cos’è che vuoi Non farti dire ciò di cui hai bisogno Non c’è futuro, nessun futuro Nessun futuro per te Dio salvi la regina Hai capito bene Amiamo la nostra regina Dio salvi la regina Perché i turisti sono soldi Dio salvi la nostra folle parata Oh Signore Dio abbi misericordia Tutti i crimini sono pagati Quando non c’è futuro Come può esserci peccato? Siamo i fiori nella pattumiera Siamo il veleno nella vostra macchina umana Amiamo la nostra regina Dio salvi la regina Hai capito bene E non c’è futuro Nel sogno dell’Inghilterra Nessun futuro, nessun futuro Nessun futuro per te Nessun futuro, nessun futuro Nessun futuro per me
Se di Rivoluzione si può parlare MARIA SARA MIRTI
“23 febbraio-giovedì [1917] Come guardando nell’acqua torbida non riusciamo a vedere nulla, così non sappiamo a quale distanza ci troviamo dal crollo. Esso è inevitabile. Non siamo più nelle condizioni non dico di evitarlo, ma nemmeno di modificarlo, ma nemmeno di modificarlo in qualche modo (questo adesso è evidente). La volontà si è nascosta nell’ambito circoscritto dei semplici desideri. E io non voglio esprimere dei desideri. Non serve. Là si scontrano istinti e viltà, timore e speranza. Anche lì nulla è chiaro. Se domani tutto si sarà placato e torneremo a sopportare come è nostro costume in modo ottuso, insensato, in silenzio, non cambierà proprio niente nel nostro futuro. Insorti senza dignità, senza dignità chineremo un’altra volta la testa.
E se invece senza dignità non ci piegassimo? Sarebbe meglio? Sarebbe peggio? Che tormento. Meglio tacere. Penso alla guerra. Guardo da quella parte e vedo che un senso di stanchezza collettivo generato dall’insensatezza e dall’orrore si impadronisce dell’umanità. La guerra sta probabilmente corrodendo le viscere dell’uomo. Si è fatta quasi carne galvanizzata, corpo, materia viva che lotta. Lo zar è partito per il fron-
te. Ora il suo entourage è libero di ‘stroncare’. Ma loro ci ‘stroncheranno’ con la stessa debolezza con cui noi ci ribelleremo. Quale delle due debolezze vincerà? Povera terra mia. Risvegliati.” (Zinaida N. Gippius, Diari pietroburghesi 1914-1919 (dal 1914 al 1917), cur. D. Di Sora, trad. R. Gabrielli, intr. S. Trombetta, pp. 7980, Biblioteca del Vascello, Roma, 1993) …E “non avere paura di doverti svegliare”. Nem-
meno se si tratta di un freddo risveglio invernale. Mi piace il profilo degli alberi d’inverno, coi rami spogli che si allungano verso l’alto e nei quali il cielo s’impiglia al punto d’apparire immobile e gelido. Sono delle mani protese, pronte ad accogliere una specie di dono. Il dono più necessario tra quelli possibili però, non viene né dal cielo né da alcun altro posto, né lo si ritrova impigliato sui rami: il dono maggiore per una qualsiasi vita è l’assenza di paura. Smettere di tracciare confini sottili e spogli nella speranza vana di rendere esclusivamente nostra una parte di mondo, smettere d’isolarci, di fare delle nostre vite altrettanti moduli di società prefabbricate nelle quali nessuno ha il coraggio di tracciare strade abbastanza lunghe, oppure semplici linee di congiunzione tra un insieme e l’altro. Proprio questo mi paiono gli alberi d’inverno: fili lasciati a indicare altri spazi. Che lo vogliamo o no, ogni giorno trascorso si
profila come una nuova rivoluzione dei nostri moduli vitali: ogni istante, pur restando noi immobili, la terra si sposta un po’ da sotto i nostri piedi, voci, oggetti, immagini varcano giorno e notte la linea immaginaria dei nostri confini. Tutto quanto ci appartiene per diritto di fatica o di discendenza sembra sfuggirci continuamente di mano, spinto da misteriosi sobbalzi. Nessuna sorpresa dunque nel vedere persone agitate e furiose battere i pugni lamentando il fatto che qualcuno abbia sottratto loro una felicità immaginaria. Chissà se sanno di reclamare contro se stessi: anche la felicità passa dall’assenza di paura. Le paure sono tutte uguali, in ap-
parenza, per chi li vive, e se hanno ampiezze diverse, hanno comunque tutte pari profondità. Non c’è legge, provvedimento o armamento che possa arginarle davvero. A volte si ha paura che qualcosa cambi e a volte la vera rivoluzione sta proprio nell’ammettere che prima o poi le cose cambieranno lo stesso, ma che sta a noi decidere se in meglio o in peggio. Per vincere la paura bisogna recuperare quello spirito di freddezza che alita in inverno e che rende più sopportabili gli spasmi dei nostri dolori cronici. Se solo anche a noi, come all’inverno, venissero concessi, se non risvegli, almeno sonni così tranquilli…
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Lavoro
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La vittoria di Pirro di Marchionne Solidarietà ai A Mirafiori nasce il coordinamento dei lavoratori e delle la- lavoratori Fiat
voratrici in cassa integrazione per organizzare la resistenza OrSA partecipa alla manifecontro l’accordo-vergogna stazione del 28 gennaio Malgrado la pesantezza dell’ignobile ricatto di Marchionne, il 52% degli operai della Fiat Mirafiori ha risposto un secco NO nel referendum-capestro; e solo la truppa dei 500 capetti e gerarchie aziendali inquadrati come “impiegati” (che hanno votato non solo nel seggio 5, come riportato dai massmedia, ma anche nel 2C), ha provocato il successo di Pirro Marchionne. Questo risultato, oltre ad essere un grande esempio di resistenza e di forza operaia, mostra l’estrema fragilità della vittoria “pirresca” del capo-banda Fiat: e dunque riapre la partita a Mirafiori e negli stabilimenti Fiat e dà la forza ai lavoratori/trici per uscire dai tempi umilianti di vita della Cassa Integrazione a zero ore e fortificare la resistenza operaia, preparando la controffensiva. Per questo le RSU COBAS di Mirafiori (8% alle ultime elezioni), che hanno contribuito in maniera decisiva, grazie al lavoro di centinaia di operai, iscritti/e o simpatizzanti COBAS, all’eccellente risultato referendario (malgrado tale contributo determinante sia stato oscurato non solo
da quasi tutti i massmedia ma anche dalla Fiom), e che in questi anni sono stati sempre in prima fila negli scioperi e nelle manifestazioni, hanno costituito il Coordinamento dei Lavoratori e delle Lavoratrici in Cassa Integrazione a Mirafiori. Con un volantino distribuito oggi alle porte di Mirafiori i COBAS hanno iniziato la costruzione della resistenza organizzata contro l’Accordo-Vergogna e contro chi crede di cancellare impunemente un intero pezzo di storia, quella dei diritti dei lavoratori. I COBAS chiamano i lavoratori/trici in Cassa Integrazione ad essere protagonisti del Coordinamento: a iniziare dai conflitti vertenziali che sta impostando il nostro Studio Legale sulla illegittimità e/o incostituzionalità di molti dei diktat dell’Accordo-Vergogna, fino ad investire di iniziative la società, istituendo collegamenti con le lotte degli altri lavoratori, degli studenti, dei movimenti in difesa dei beni comuni e dei servizi pubblici. Nell’immediato, la splendida risposta all’AccordoVergogna potenzia le fondamenta su cui poggiare lo sciopero generale del 28
gennaio che i COBAS hanno convocato per tutte le categorie del privato e del pubblico impiego, estendendo quello che la Fiom aveva indetto per i soli metalmeccanici, rispondendo anche alle richieste di generalizzazione dello sciopero venute dai movimenti degli studenti e assumendosi quell’onere che la Cgil, corresponsabile delle politiche liberiste di questi anni e della distruzione dei diritti sindacali e del lavoro, rifugge nel timore di una estensione del conflitto contro l’arroganza padronale e governativa. Dunque, il 28 gennaio nelle
piazze (i COBAS promuoveranno manifestazioni regionali, a Roma l’appuntamento è a P.della Repubblica alle ore 10) deve convergere il più ampio fronte sociale per battere gli Accordi-Vergogna, il liberismo padronale e governativo, smascherare la finta “opposizione” parlamentare e i sindacati collaborazionisti, per riconquistare i posti di lavoro, il reddito, le pensioni, l’istruzione e le altre strutture sociali pubbliche, i beni comuni, la democrazia nei posti di lavoro e nella società. Piero Bernocchi portavoce nazionale COBAS
Sta per terminare la consultazione dei lavoratori di Mirafiori. Non si conosce ancora il risultato, ma la solidarietà e il sostegno della nostra Organizzazione ai metalmeccanici e, in particolare a quelli di Mirafiori, prescinde dall’esito del Referendum stesso. Per giorni e giorni i mass media hanno ripetuto le affermazioni dell’amministratore delegato: o vince il si o Fiat va via. E quando la scelta non è più tra un si o no all’accordo, ma tra il mantenimento del posto di lavoro e la perdita dei diritti, il quesito non è quanto siano coraggiosi e combattivi gli operai di Mirafiori, ma dove sta andando il Paese, dove sta andando una Repubblica, come la nostra, che è fondata sul lavoro. Siamo di fronte al tentativo di affermare una sorta di “dittatura datoriale”, con cui si pretende di poter cancellare i Contratti Nazionali di Lavoro, i diritti collettivi e individuali, di isolare i lavoratori, nonché di selezionare sindacati e sindacalisti. Tutto ciò, in nome della globalizzazione dei mercati: una impostazione che viene lentamente estesa anche ai settori non
esposti alla concorrenza globale. Accade, infatti, anche nei servizi che, per loro natura, non sono delocalizzabili. Anche in questi settori, attraverso la deregulation e il dumping contrattuale, ogni datore di lavoro fa come meglio crede, sceglie il contratto meno oneroso o, ancora peggio, adotta contratti atipici, precari e finanche individuali. Bene lo sanno i ferrovieri e i lavoratori dei trasporti che, in questa fase di liberalizzazione del settore stanno guardando da vicino questi fenomeni e bene comprendono che la vicenda Mirafiori o Pomigliano è anche la loro vicenda. Siamo stati al fianco dei dipendenti Fiat nella manifestazione nazionale a Roma il 16 ottobre scorso: lo saremo di nuovo, e più numerosi, nella manifestazione del prossimo 28 gennaio.
Produrre e lavorare meglio, con democrazia Lettera di 46 economisti sul conflitto Fiat-Fiom Il conflitto Fiat-Fiom scoppiato a fine 2010 sul progetto per lo stabilimento di Mirafiori a Torino - che segue l'analoga vicenda per lo stabilimento di Pomigliano d'Arco - è importante per il futuro economico e sociale del paese. Giornali e tv presentano la versione Fiat, sostenuta anche dal governo, per cui con la crescente competizione internazionale nel mercato dell'auto i lavoratori devono accettare condizioni di lavoro peggiori, la perdita di alcuni diritti, fino all'impossibilità di scegliere in modo democratico i propri rappresentanti sindacali. Vediamo i fatti. Nel 2009 la Fiat ha prodotto 650 mila auto in Italia, appena un terzo di quelle realizzate nel 1990, mentre le quantità prodotte nei maggiori paesi europei sono cresciute o rimaste stabili. La Fiat spende per investimenti produttivi e per ricerca e sviluppo quote di fatturato significativamente inferiori a quelle dei suoi principali concorrenti europei, ed è poco attiva nel campo delle fonti di propulsione a basso impatto ambientale. A differenza di quanto avvenuto tra il 2004 e il 2008 - quando l'azienda si è ripresa da una crisi che sembrava fatale - negli ultimi anni la Fiat non ha introdotto nuovi modelli. Il risultato è stata una quota di mercato che in Europa è scesa al 6,7%, la ca-
duta più alta registrata nel continente nel corso del 2010. Al tempo stesso, tuttavia, nel terzo trimestre del 2010 la Fiat guida la classifica di redditività per gli azionisti, con un ritorno sul capitale del 33%. La recente divisione tra Fiat Auto e Fiat Industrial e l'interesse ad acquisire una quota di maggioranza nella Chrysler segnalano che le priorità della Fiat sono sempre più orientate verso la dimensione finanziaria, a cui potrebbe essere sacrificata in futuro la produzione di auto in Italia e la stessa proprietà degli stabilimenti. A dispetto della retorica dell'impresa capace di "stare sul mercato sulle proprie gambe", va ricordato che la Fiat ha perseguito questa strategia ottenendo a vario titolo, tra la fine degli anni ottanta e i primi anni duemila, contributi pubblici dal governo italiano stimati nell'ordine di 500 milioni di euro l'anno. A fare le spese di questa gestione aziendale sono stati soprattutto i lavoratori. Negli ultimi dieci anni l'occupazione Fiat nel settore auto a livello mondiale è scesa da 74 mila a 54 mila addetti, e di questi appena 22 mila lavorano nelle fabbriche italiane. Le qualifiche dei lavoratori Fiat sono in genere inferiori a quelle dei concorrenti, i salari medi sono tra i più bassi d'Europa e la di-
stanza dalle remunerazioni degli alti dirigenti non è mai stata così alta: Sergio Marchionne guadagna oltre 250 volte il salario di un operaio. Questi dati devono essere al centro della discussione sul futuro della Fiat. L'accordo concluso dalla Fiat con Fim, Uilm e Fimsic per Mirafiori che la Fiom ha rifiutato di firmare - prevede un vago piano industriale, poco credibile sui livelli produttivi, tanto da rendere improbabile ora ogni valutazione sulla produttività. L'accordo appare inadeguato a rilanciare e qualificare la produzione, e scarica i costi sul peggioramento delle condizioni dei lavoratori. Sul piano delle relazioni industriali i
contenuti dell'accordo sono particolarmente gravi: l'accordo si presenta come sostitutivo del contratto nazionale di lavoro, e cancellerebbe la Fiom dalla presenza nell'azienda e dal suo ruolo di rappresentanza dei lavoratori che vi hanno liberamente aderito. Il referendum del 13-14 gennaio tra i dipendenti sull'accordo, con la minaccia Fiat di cancellare l'investimento nel caso sia respinto, pone i lavoratori di fronte a una scelta impossibile tra diritti e lavoro. In questa prospettiva, la strategia Fiat appare come la gestione di un ridimensionamento produttivo in Italia, scaricando costi e rischi sui lavoratori e imponendo un mo-
dello di relazioni industriali ispirato agli aspetti peggiori di quello americano. Esistono alternative a una strategia di questo tipo. In Europa la crisi è stata affrontata da imprese come la Volkswagen con accordi sindacali che hanno ridotto l'orario, limitato la perdita di reddito e tutelato capacità produttive e occupazione; in questo modo la produzione sta ora riprendendo insieme alla domanda. Produrre auto in Europa è possibile se c'è un forte impegno di ricerca e sviluppo, innovazione e investimenti attenti alla sostenibilità ambientale; per questo sono necessari lavoratori con più competenze, meno precarietà e salari adeguati; un'organizzazione del lavoro contrattata con i sindacati che assicuri alta qualità, flessibilità delle produzioni e integrazione delle funzioni. E' necessaria una politica industriale da parte del governo che non si limiti agli incentivi per la rottamazione delle auto, ma definisca la direzione dell'innovazione e degli investimenti verso produzioni sostenibili e di qualità; le condizioni per mercati più efficienti; l'integrazione con le politiche della ricerca, del lavoro, della domanda. Considerando l'eccesso di capacità produttiva nell'auto in Europa, è auspicabile che queste
politiche vengano definite in un contesto europeo, evitando competizioni al ribasso su costi e condizioni di lavoro. Su tutti questi temi è necessario un confronto, un negoziato e un accordo con i sindacati che rappresentano i lavoratori dell'azienda. In nessun paese europeo l'industria dell'auto ha tentato di eliminare un sindacato critico della strategia aziendale dalla possibilità di negoziare le condizioni di lavoro e di rappresentare i lavoratori. L'accordo Fiat di Mirafiori riduce le libertà e gli spazi di democrazia, aprendo uno scontro che riporterebbe indietro l'economia e il paese. Ci auguriamo che la Fiat rinunci a una strada che non porterebbe risultati economici, ma un inasprimento dei conflitti sociali. Ci auguriamo che governo e forze politiche e sindacali contribuiscano a una soluzione di questo conflitto che ristabilisca i diritti dei lavoratori a essere rappresentati in modo democratico e tuteli le condizioni di lavoro. Esprimiamo la nostra solidarietà ai lavoratori coinvolti e alla Fiom, sosteniamo lo sciopero nazionale del 28 gennaio 2011 e ci impegniamo ad aprire una discussione sul futuro dell'industria, del lavoro e della democrazia, sui luoghi di lavoro e nella società italiana.
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Merloni, in scadenza la Cassa Integrazione Il Comitato dei Lavoratori ne chiede il prolungamento e un incontro urgente con i Commissari Passa il tempo ma non sembrano arrivare notizie confortanti ai lavoratori della Antonio Merloni. La vertenza che interessa il gruppo fabrianese, dal 2008 travolto dalla crisi, vive, infatti, una fase di stallo, caratterizzata da silenzi, incertezze e indiscrezioni che spesso non trovano conferma. Con lo scopo di denunciare e mettere in luce tale situazione drammatica, è tornato a farsi sentire il Comitato dei Lavoratori dello stabilimento di Colle di Nocera Umbra (PG), che ha espresso lo sconforto e la preoccupazione per la continua mancanza di un chiarimento su quanto sta accadendo. “Dopo le notizie Ansa diffuse da fonti sindacali che parlavano della formaliz-
zazione delle due proposte di interesse da parte di gruppi cinesi e iraniani,- afferma il comunicato che porta la firma del portavoce Gianluca Tofi - stiamo purtroppo riscontrando una nuova ricaduta nel silenzio di questa vertenza”. Dal comitato ci tengono, inoltre, ad evidenziare il fatto che in data 16 dicembre gli stessi rappresentanti sindacali avevano confermato un incontro a Roma per il prossimo 19 gennaio con le istituzioni, al fine di entrare nel merito delle proposte, “incontro, questo, di cui ora - spiega la nota - nessuno ha più notizia”. In seno allo stesso comitato crescono, dunque, la paura e i dubbi che “tali notizie avevano il solo scopo di mettere a tacere il
malcontento degli operai e far perdere di nuovo altro tempo agli sviluppi della vicenda”. Ciò che chiedono ancora una volta i lavoratori è essere aggiornati sull’attuale situazione. “Quello che vogliamo è che le rappresentanze sindacali e le istituzioni sollecitino al più presto i commissari a fissare un incontro urgente per fare chiarezza sugli ultimi sviluppi”. Infine il Comitato denuncia la imminente scadenza della Cassa Integrazione e ne chiede il prolungamento, invitando tutte le forze politiche a eserciare pressioni sul Governo affinché non si arrivi alla scadenza di maggio con l’incertezza di non poter più usufruire dell’indennità.
Il Comitato dei Lavoratori scrive alla FIOM nazionale Il Comitato dei Lavoratori denuncia alcuni comportamenti scorretti da parte di delegati sindacali e invita le rappresentanze nazionali al maggior rispetto Alla Segreteria Nazionale della FIOM Siamo un gruppo di operai metalmeccanici auto organizzati dello stabilimento A. Merloni di Colle di Nocera Umbra, in cassa integrazione, sostanzialmente a zero ore, da oltre 2 anni. Abbiamo detto “sostanzialmente” perché, in verità, di quando in quando i Commissari che gestiscono la procedura di Amministrazione Straordinaria riattivano per brevi periodi alcune linee produttive, ma a essere chiamati al lavoro, e quindi a poter integrare con qualche decina di euro in
più il modesto sussidio della cassa integrazione, sono molto spesso i cosiddetti “sempre gli stessi” e non viene garantita una reale turnazione. Anche quando lo stabilimento era in piena produzione c’era una grave mancanza di democrazia sindacale, fatto che si rifletteva non solo nei criteri di assunzione, ma in ogni scelta aziendale: dai turni, alle mansioni, ai carichi di lavoro mai denunciati. Su oltre 1.100 operai gli iscritti ai sindacati confederali erano in preminenza della CISL, particolarmente
legata alla dirigenza padronale, mentre del tutto subalterna era la presenza della FIOM. Da diversi anni le rappresentanze sindacali interne non erano che il riflesso dei sindacati confederali esterni, spesso con duplicazioni di incarichi sia nelle strutture sindacali provinciali che con mandati politici locali. La crisi del sistema industriale Merloni, con i prolungati fermi delle attività produttive e quindi l’allontanamento fisico dei lavoratori dal posto di lavoro, ha accentuato il distacco tra la grande massa dei lavorato-
ri e le loro sedicenti rappresentanze sindacali che non hanno mai voluto alzare il livello di attenzione a quello che era la vicenda Merloni a livello nazionale. Gravissima, in particolare, si è rivelata la condizione di subalternità della CGIL alle istituzioni regionali e per esse al Partito Democratico umbro al quale peraltro, per diversa componente, si appoggia anche la CISL. Ciò ha dato spazio alla comparsa e alla inattesa crescita del sindacato di destra UGL fino a ora inesistente. Da due anni il sistema ex Merloni si dibatte tra due alternative: da un lato l’ingresso di nuovi imprenditori di livello anche internazionale in grado di garantire non solo l’occupazione ma anche il futuro degli stabilimenti; dall’altro il progetto di uno smembramento di alcuni segmenti più appetibili alla portata di più modesti imprenditori locali o concorrenti nazionali e l’abbandono dei siti industriali più impegnativi per dimensioni e occupazione. Governo nazionale, Unione Europea e Regioni interessate hanno stanziato importanti somme per salvaguardare l’intero sistema industriale Merloni favorendo l’ingresso di validi imprenditori, ma nello stesso tempo hanno generato una corsa all’accaparramento di queste risorse da destinare a micro interventi a pioggia, tanto inutili al salvataggio del sistema produttivo e della occupazione lavorativa, quanto funzionali a politiche di basso profilo elettoralistico. Di fronte a queste gravi difficoltà e pessime prospetti-
ve, nell’assenza di una reale rappresentanza sindacale e di una valida interlocuzione politica, un certo numero di operai del sito di Colle di Nocera Umbra ha dato vita a un organismo spontaneo con il nome di “Comitato dei Lavoratori A. Merloni” che, forte di oltre 120 adesioni, dal mese di gennaio dello scorso anno per due mesi ha occupato uno stabile all’interno della fabbrica senza alcun appoggio dei sindacati, ma con il forte sostegno della popolazione e delle istituzioni e associazioni locali. Il Comitato si batte non solo contro la gestione liquidatioria commissariale e il totale disinteresse del governo nazionale, ma anche contro le strategie di smembramento del sistema industriale sfacciatamente perseguite dal governo della Regione dell’Umbria con la complicità dei sindacati confederali. Per lungo tempo e con grande fatica abbiamo cercato, non solo di dialogare, ma soprattutto di unire le nostre forze con quelle dei sindacati confederali per promuovere un’azione unitaria in difesa dell’unico comune interesse di tutti i lavoratori: quello della salvaguardia del nostro posto di lavoro. Fatta eccezione di strumentali disponibilità inizialmente manifestate da taluni sindacati più vicini all’area governativa e padronale che non ai lavoratori, da parte della CGIL abbiamo incontrato esclusivamente atteggiamenti di incomprensibile ostilità che, negli ultimi tempi, si sono tradotti in veri e propri atti di ag-
gressività e dissuasione nei confronti di aderenti al nostro Comitato. Da certo tempo alcuni dirigenti regionali e provinciali della CGIL e il coordinatore RSU FIOM Merloni utilizzano la denominazione di Comitato dei Lavoratori Merloni per propagandare iniziative di lotta inconsistenti e comunque assolutamente prive di partecipazione da parte degli operai dello stabilimento, con finalità esclusivamente politiche elettorali. Non riusciamo a comprendere le ragioni e le finalità di tali comportamenti, se non leggendoli in una logica di totale subalternità della CGIL alla sistema di potere politico della nostra Regione che non necessariamente coincide con le istanze dei lavoratori, come dimostra l’esperienza del comportamento dell’amministrazione comunale di Torino nella vertenza FIAT. Crediamo che questa situazione di scontro tra lavoratori sia incredibile e insostenibile. Da parte nostra con spirito di responsabilità abbiamo cercato di attenuare l’effetto che questa divisione sta producendo sugli altri lavoratori e sulla cittadinanza in genere comunque coinvolta nella crisi dello stabilimento industriale. Crediamo però che sia necessario un intervento urgente da parte della segreteria nazionale della FIOM perché faccia terminare questa assurda guerra tra lavoratori, imponendo ai propri funzionari e delegati una condotta corretta e leale. Il Comitato dei Lavoratori A. Merloni
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RICERCA SCIENTIFICA LECONOMIA UCCIDE LA RICERCA IGNORANDO CHE LA RICERCA È “ECONOMIA” LUCIO LOMBARDO RADICE
Di mese in mese, di anno in anno aumenta l’angoscia, l’amarezza, la sfiducia di coloro che, in Italia, dedicano la loro attività alla ricerca scientifica. La loro posizione diventa di giorno in giorno più difficile: preziose e insostituibili energie si logorano e si perdono in una lotta sfibrante. Le Università, che sono tradizionalmente in Italia il centro della ricerca scientifica, non garantiscono in alcun modo a nessun ricercatore un minimo per vivere. Il lavoro, mal pagato o semigratuito, è massacrante. Non solo e non tanto per le lezioni e le esercitazioni, ma per gli esami. Si può affermare senza esagerare che professori, assistenti e ricercatori di fisica, matematica,
chimica, biologie, ecc. dedicano due o tre mesi all’anno agli esami universitari nei grandi centri. in ondate successive, migliaia di studenti da esaminare travolgono gli sparuti drappelli degli insegnanti, interrompono per settimane ogni possibile attività di studio e di ricerca. I mezzi, com’è noto, sono poi assolutamente insufficienti. Nei laboratori e negli Istituti il ricercatore deve fare tutto da sé, con mezzi di fortuna: deve essere elettricista e meccanico, calcolatore e uomo di fatica. “Dove andremo a finire?” è la domanda angosciosa, assillante, sempre più angosciosa, sempre più assillante che ogni giorno si ripete chi si dedica alla ricerca scientifica. La scienza italiana va alla deriva: se non si provvede subito, l’Italia decadrà rapidamente fino diventare una nazione di secondo o di
FOLIGNO
Beni Comuni
terzo piano dal punto di vista scientifico. Non è ancora così, perché tenacemente, direi eroicamente, gruppi di scienziati di valore tengono duro, procedono; ma, lasciati ancora così e senza aiuto, non potranno resistere a lungo. seguiranno la via di Fermi e di Rosetti, di Occhialini e di Segre e di Pontecorvo e di Rossi, di Wick e di Persico e dei tanti meno famosi e più giovani scienziati italiani che non hanno saputo resistere: andranno in America. Per non intristire nella miseria e nell’isolamento, per non restare alla retroguardia della scienza. Rimascita gennaio 1948
FEBBRAIO 2011
SOCIALE LETTERA APERTA AL SINDACO NANDO MISMETTI E ALLA CITTÀ DI FOLIGNO Caro Sindaco e cari cittadini, sono una giovane folignate, che scrive perché come tanti in questi giorni, si sta mobilitando in nome della democrazia e dell’integrità morale, messa in discussione da eventi che rischiano di fagocitare una piccola ma importante cooperativa sociale, come la ELLELLE di Foligno, fondata da un gruppo di genitori di ragazzi disabili. In tanti siamo preoccupati e allarmati dalla prospettiva che “errori” di valutazione nella formulazione di un cottimo fiduciario (bando di gara), possa eliminare dalla scena sociale una cooperativa per favorirne altre, ben più grandi, ma non per questo più valide e meritevoli. Chiedo sia fatta chiarezza, siano date
spiegazioni valide e non solo tra le mura degli uffici comunali. Che siano esplicitate le vere motivazioni di quanto esposto nel cottimo fiduciario, evitando di ripiegare solo sul fattore economico, considerando che si sta parlando di servizi alla persona ed in quanto tali meritano una maggiore considerazione. La chiarezza e la trasparenza permetterebbero, ai cittadini come me, di continuare a nutrire la fiducia già espressa in sede elettorale, messa ora in discussione. Senza formulare ipotesi azzardate, mi permetto anche di sottolineare che il potere politico di alcune cooperative sociali in questo territorio, spesso, ha dato modo di dubitare sulla trasparenza di alcune scelte di gestione
in ambito sociale e non solo; quindi sarebbe importante ricevere informazioni che possano smentire tali perplessità. Soprattutto quando in gioco ci sono i posti di lavoro di quattordici operatori sociali, con esperienza pluriennale e molto apprezzati dai ragazzi disabili con i quali lavorano e le loro famiglie nonché dai quanti hanno potuto constatare la professionalità e la qualità del lavoro dell’intera cooperativa ELLELLE. La città di Foligno è già stata piegata dalle conseguenze della crisi economica e dai tagli del governo, non mettiamoci anche manovre politiche a peggiorare la situazione! In attesa di risposte. Una giovane Folignate.
SERVIZI PUBBLICI PETIZIONE CONTRO GLIAUMENTI TARUFFARI E ILTAGLIO DEI SERVIZI
Lucio Lombardo Radice nacque a Catania il 10 luglio 1916. Nel 1934 si iscrisse al corso di laurea in matematica dove studiò con Guido Castelnuovo e Federico Enriques laureandosi nel 1938 con una tesi, assegnatagli da Gaetano Scorza, Sulle algebre legate ai gruppi di ordine finito (poi pubblicata). È in questi anni che iniziò a maturare la sua formazione politica e iniziò la frequentazione di quel gruppo di giovani che sarebbe diventato il nucleo del Partito comunista romano durante la Resistenza: nel luglio del 1938, in occasione di un viaggio a Parigi chiese l’iscrizione al Partito. Nel 1939, dopo essere risultato idoneo a un concorso di matematiche complementari, iniziò a lavorare come
assistente di Enrico Bompiani alla cattedra di geometria analitica ma venne arrestato e condannato a quattro anni che scontò solo in parte. Venne infatti liberato nel dicembre 1941 in seguito ad un condono e riprese l'attività antifascista impegnandosi ad allargare il fronte cospirativo in direzione di altri gruppi di area liberal-socialista e cattolico-comunista. Nell’aprile 1943 venne arrestato nuovamente e rimase in carcere fino a dopo il 25 luglio. Redattore de «l'Unita» nel 1944, divenne poi funzionario della sezione agitazione e propaganda. Dopo la Liberazione assunse alcuni incarichi di partito, dedicandosi successivamente alla carriera universitaria. Nel 1951 ottenne la libera docenza in analisi al-
gebrica ed infinitesimale lavorando contemporaneamente a metà tempo nella scuola centrale dei quadri di partito; tra il 1947 e il 1948 diresse la commissione scuola. Dal 1976 al 1981 fu consigliere comunale a Roma. Membro attivo del Tribunale Russell per i diritti dell'uomo dal 1976, fu, nel 1982, tra i fondatori del comitato di coordinamento dei movimenti per la pace. Morì il 21 novembre 1982 a Bruxelles mentre partecipava ai lavori di preparazione della II conferenza per il disarmo.
LINGUA CHI PARLAMALE, PENSAMALE E VIVE MALE “Lei la deve cambiare questa espressione! Trend negativo... Io non l'ho mai detto! Io non l'ho mai pensato! Io non parlo così! Chi parla male, pensa male e vive male. Bisogna trovare le parole giuste: le parole sono importanti!” (Nanni Moretti, Palombella Rossa). La lingua serve per comunicare, per farci comprendere quello che diciamo. Esistono lingue molto ricche e complesse e altre molto semplici se non addirittura elementari (la lingua aborigena per dire "tanti" passa la mano sui capelli e non esiste il “forse”, figuriamoci il condizionale).Poi esiste la forza di una lingua, quella capace di descrivere un’emozione, un sentimento uno stato d'animo... Poi esistono frasi, suoni, parole che esprimono da subito un concetto più complesso, come se avessimo bisogno per fretta e urgenza di farci immediatamente capire. Tralasciamo le frasi dialettali, anche se patrimonio insostituibile di tante comunità. Le lingue camminano fra i popoli, viaggiano e, se gradite, si fermano, vengono acquisite come proprie e le
Petizione contro gli aumenti tariffari del trasporto pubblico, la riduzione delle risorse e i tagli ai servizi Gli effetti della manovra economica, consistente nella riduzione dei trasferimenti dallo Stato alle Regioni e agli Enti Locali, arriveranno presto a farsi sentire nelle tasche dei pendolari italiani. Le Regioni, per far fronte ai tagli alle risorse, prevedono, quasi unicamente, pesantissimi aumenti tariffari dal 25% al 30% e tagli ai servizi, anche di una corsa ogni quattro, già da gennaio 2011 e riduzione di personale. Aumenti e tagli non risparmieranno alcuna categoria e alcuna tipologia: mezzi urbani ed extraurbani, treni, tram, metro, navi e battelli. A fronte degli aumenti tariffari non è previsto alcun miglioramento della qualità, anzi le Imprese esercenti si vedranno costrette a risparmiare su pulizia, manutenzione, rinnovo del parco (sono stati tagliati anche 168 milioni per il rinnovo parco mezzi). Vi è fondato motivo per ritenere che, dietro alla riduzione dei finanziamenti, si na-
sconda una strategia precisa che ritiene il trasporto pubblico, anziché una risorsa ed un bene comune, un inutile fardello per le casse dello Stato, penalizzando così milioni di cittadini che si comportano in modo virtuoso. Nulla viene fatto per migliorare l’efficienza aumentando, ad esempio, la velocità commerciale che è la più bassa d’Europa a causa dell’assenza di una vera politica per lo sviluppo della mobilità sostenibile. Una politica che vuole assegnare la priorità al trasporto pubblico si dovrebbe preoccupare, anziché penalizzare gli utenti, di recuperare nuove entrate per sostenerlo, mirando a riequilibrare il rapporto tra trasporto pubblico e trasporto privato. Con questa petizione chiediamo il rilancio e potenziamento del trasporto pubblico, una vera lotta agli sprechi e alle inefficienze, treni e bus puntuali e decorosi, una vera integrazione dei sistemi gomma e ferro, una di-
versa politica degli investimenti e il reperimento di nuove risorse per far funzionare il trasporto pubblico. Diversamente, gli aumenti tariffari e il taglio dei servizi finiranno di fatto per alimentare ulteriormente sprechi ed inefficienze e aumentare traffico, congestione ed inquinamento. Prima che sia troppo tardi! I sottoscritti cittadini/utenti contro gli aumenti tariffari, la riduzione delle risorse per il Trasporto Pubblico Locale per il suo rilancio e sviluppo come bene comune. USB Lavoro Privato COBAS del Lavoro Privato SLAI Cobas
ACQUA ACQUA PUBBLICACI METTO LAFIRMA
usiamo correntemente (magari poi non le sappiamo scrivere e/o pronunciare correttamente): passa un camion (chi dirà mai un autocarro, al massimo un tir), dove è il bidet (per la verità il corrispettivo italiano è praticamente inesistente), se gioco a tennis tiro uno smash e vinco il set (nulla da aggiungere). Ma altre parole che si fermano proprio non si sopportano: facciamo un business (affare), compriamo in borsa equity (azioni), bye bye (ciao) e un'infinità di altre che ometto. Nel nostro linguaggio “colta” (acculturato) un tempo abbondavano i francesismi, ora subiamo un'invasione di termini inglesi (anglicismi). “Rem tene, verba
sequentur” (possiedi i concetti, le parole seguiranno Catone); il latino, la nostra lingua madre, che non dovremmo mai e poi mai abbandonare. Il suo studio, o anche la semplice curiosità di comprendere e anche poter usare (senza sfoggio culturale), semplici frasi, può veramente illuminare un discorso. “Veritas filia temporis” (la verità è figlia del tempo - Gellio). La forza del latino, la consapevolezza di sapere dove stiamo andando, ma anche da dove veniamo potrebbe essere di grande aiuto. Forza! Ce la possiamo fare. Attualità: “Corruptissima Republica plurimae leges” (le leggi sono moltissime quando lo stato è corrotto - Tacito) 4M
La Corte Costituzionale ha ammesso due quesiti referendari proposti dai movimenti per l'acqua. A primavera gli uomini e le donne di questo paese decideranno su un bene essenziale. La vittoria dei “sì” porterà ad invertire la rotta sulla gestione dei servizi idrici e più in generale su tutti i beni comuni. Attendiamo le motivazione della Consulta sulla mancata ammissione del restante quesito (quesito n. 2), ma è già chiaro che questa decisione nulla toglie alla battaglia per la ripubblicizzazione dell'acqua e che rimane intatta la forte valenza politica dei referendum. Il Comitato Promotore oggi più che mai esige un immediato provvedimento di moratoria sulle scadenze del Decreto Ronchi e sull'abro-
gazione degli AATO, un necessario atto di democrazia perché a decidere sull'acqua siano davvero gli italiani. Il Comitato Promotore attiverà tutti i contatti istituzionali necessari per chiedere che la data del voto re-
ferendario coincida con quella delle elezioni amministrative della prossima primavera. Da oggi inizia l'ultima tappa, siamo sicuri che le migliori energie di questo paese non si tireranno indietro.
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Salute
L’eco-color doppler nella patologia carotidea GIACOMO BATTISTI
Le carotidi sono i principali, ma non esclusivi, vasi arteriosi che trasportano sangue ossigenato dalle camere cardiache al parenchima cerebrale; ciò significa che se per qualche ragione venisse meno la loro funzione, la vita cesserebbe o nella migliore delle ipotesi il cervello ne risentirebbe in maniera permanente. La patologia carotidea interessa la 6° 7° decade di vita, in soggetti che presentano fattori di rischio come l’obesità e l’ipertensione presentandosi sotto due forme; con una dilatazione delle pareti del vaso detta “aneurisma” o il suo contrario ovvero una riduzione del lume tale da impedire il regolare flusso sanguigno. La riduzione del lume vasale può determinare lo stroke, causato da una netta ed improvvisa interruzione dell’apporto sanguigno al territorio cerebrale, che rappresenta la terza causa di morte in Italia e nella maggior parte dei casi occorre senza precedenti attacchi. La patologia carotidea è stata negli ultimi venti anni al centro di numerosi studi, in particolare l’attenzione è rivolta alla diagnosi precoce, alla prevenzione ed alla terapia della patologia stenoostruttiva delle carotidi,
per via della sua correlazione con l’ischemia cerebrale. Gli esami che attualmente trovano maggiore applicazione clinica nella Diagnostica per Immagini della patologia dei vasi epiaortici sono: l’eco-color doppler, l’angio-RM, l’angio-TC e l’angiografia. L’eco-color doppler attualmente rappresenta l’indagine di screening di prima istanza grazie all’elevata sensibilità e specificità, alla non invasività e ai bassi costi; lo svantaggio è rappresentato dall’operatore dipendenza che la rende difficilmente ripetibile. Lo studio viene condotto a paziente supino, con la testa iperestesia e ruotata dal lato opposto della carotide in esame; questo tipo di esame consente sia di valutare la morfologia delle pareti stesse e del lume del vaso e quindi della sua eventuale riduzione, sia, grazie alla tecnologia Doppler, le accelerazioni di flusso che le placche della parete vasale determinano sul circolo arterioso sanguigno. L’esame deve essere eseguito da quei pazienti che presentano i fattori di rischi ricordati, nei quali il controllo pressorio non è
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Il Farmaco veterinario: qualità, sicurezza, efficacia Il medicinale veterinario non è una derivazione del medicinale per uso umano ma possiede una sua identità ed è studiato e sviluppato in funzione delle specie animali cui sarà destinato Si intende per Medicinale veterinario ogni sostanza o associazione di sostanze presentata come avente proprietà curative e profilattiche delle malattie animali, che può essere usata sull'animale o somministrata all'animale allo scopo di ripristinare, correggere o modificare funzioni fisiologiche mediante un'azione farmacologica, immunologica o metabolica, oppure di stabilire una diagnosi medica Nessun medicinale veterinario può essere commercializzato senza aver ottenuto (autorizzazione all’immissione in commercio) AIC dal Ministero della salute a norma del Dlgs 193/2006 oppure dalla Unione Europea, ai sensi del regolamento (CE) n. 726/2004. E' vietato somministrare agli animali sostanze far-
nali più appropriati e controlla il loro impiego. Il proprietario, infine, utilizza il farmaco solo come prescritto dal veterinario di fiducia. Qualsiasi farmaco a uso veterinario deve essere utilizzato, sulla base di una visita dell’animale da parte del medico veterinario che stabilisce la diagnosi e prescrive con propria ricetta il tipo di far-
maco autorizzato per quella specie animale, necessario a curare la patologia accertata. Solo eccezionalmente, per far fronte alla mancata disponibilità di un medicinale a uso veterinario che curi una determinata patologia, il medico veterinario può prescrivere sotto la propria responsabilità un farmaco autorizzato per altra specie animale, o, in assenza di questo, un farmaco destinato ad uso umano. Il legislatore, sulla base dei rischi connessi a tale utilizzo del farmaco ha precisato l’eccezionalità di questo comportamento. Effettivam e n t e l’impegno profuso nel tempo per approfondire le conoscenze in merito al farmaco veterinario, è stato riguardevole. Tutto ciò ha portato allo sviluppo di prodotti a uso specifico con formulazioni adeguate all’impiego nelle diverse specie animali. Pertanto, l’utilizzo di prodotti specifici a uso veterinario è sempre consigliabile garantendo qualità, sicurezza ed efficacia.
rivante dalla esagerata sintesi di VLDL ricche di trigliceridi che poi vengono trasferiti nelle LDL e nelle HDL, questo rischio residuo è comunque minore del 50% del rischio che hanno quei soggetti che non attuano un buon controllo del colesterolo. Un altro fattore importante nelle riduzioni di complicanze cardiovascolari, sono le Dislipidemie, anche se per questa problematica non abbiamo molti preparati in aiuto. Da tutti questi studi si è evidenziato che nei pazienti con diabete di tipo 2, un trattamento della iperglicemia molto stret-
to e rapido (HbA 6,5) non è efficace nel ridurre le complicanze cardiovascolari nei soggetti anziani e fragili, anzi alcuni studi hanno evidenziato un aspetto negativo. Il controllo della iperglicemia cosi stretto e rapido è invece efficace all’inizio della storia clinica del diabete, visto che i suoi effetti saranno di beneficio nel lungo periodo, e che il paziente sicuramente non sarà ancora un età avanzata e con fragilità. Inoltre l’uso delle statine è da consigliare visto che oltre che alla riduzione del colesterolo, attuano una riduzione di tutti i mediato-
ri dell’infiammazione, che è il terreno in cui nasce il diabete insieme all’obesità viscerale. A questo punto si capisce come il diabete di tipo2 non sia solo una malattia del metabolismo, come il diabete di tipo1 dove vi è una visione prettamente glucocentrica, ma esso è una malattia dove agiscono più fattori e quello della iperglicemia è solo un attore e non il principale. La teoria lipocentrica è quella che si adatta più fedelmente a questo tipo di patologia e con questo si evidenziano ancora di più il ruolo dell’attività fisica e della dietoterapia.
SALVATORE MACRÌ
ottimale e laddove si manifestino le prime avvisaglie con degli attacchi ischemici transitori, cioè delle mancanze, a volte accompagnate da perdita della coscienza e da cadute a terra; in questi casi è d’obbligo l’esecuzione dell’esame, che può essere eseguito in ospedale come prestazione ambulatoriale erogata dal SSN, fornendoci informazioni sia sulla gravità della situazione, sia sulla pianificazione del trattamento stesso. Il trattamento della patologia stenotica della carotide prevede due possibilità terapeutiche: il trattamento chirurgico a cielo aperto con asportazione della placca occludente, oppure il trattamento endovascolare con il posizionamento di una protesi interna al lume che ne garantisce la pervietà anche a lungo termine; in entrambi i casi il ruolo è quello di far si che il vaso venga riabitato a tutto canale dal flusso sanguigno.
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macologicamente attive se non in forma di medicinali veterinari autorizzati. Le aziende farmaceutiche produttrici dei farmaci veterinari hanno il compito di garantire la qualità, la sicurezza e l’efficacia clinica del farmaco. Il Ministero della salute verifica accuratamente gli studi e autorizza l’immissione in commercio del medicinale veterinario. Il medico veterinario prescrive i medici-
Il Diabete e il Cuore “Strumenti per una efficace prevenzione cardiovascolare nel Diabete tipo2” LEONARDO MERCURI
La storia clinica della malattia diabetica è molto lunga, si divide in circa 15-20 anni di pre-Diabete che sfociano nel Diabete conclamato con una durata di altri 20-25 anni. Nella fase di pre-Diabete l’aumento della glicemia non viene rilevato clinicamente perché viene compensato da una iperproduzione di insulina da parte delle cellule -pancreatiche, ma questa iperproduzione porta nel corso degli anni ad un loro lento ma inesorabile deterioramento che si conclama con l’ingresso nella fase Diabetica e con la comparsa delle complicanze tipiche del diabete di tipo 2, cioè: cardiovascolari, ipertensive, dislipidemie, per poi sfociare nella sindrome metabolica. Anche se può apparire strano, l’ultimo fattore a comparire è l’iperglicemia, questo si realizza infatti quando le cellule
pancreatiche non riescono più a produrre insulina che possa contrastare l’aumento della glicemia, e l’iperglicemia è uno dei maggiori fattori di rischio cardiovascolari. Arrivati a queste conclusioni viene facile domandarsi quali dovranno essere allora i primi obbiettivi a cui ci dovremmo rivolgere per diminuire il rischio di complicanze cardiovascolari in questi pazienti? Ci viene in aiuto uno studio scientifico denominato UKPDS, rilevando che un controllo attento e rigoroso di solo il 10% della Pressione Arteriosa, ha permesso una riduzione immediata del 32% delle complicanze cardiovascolari, tutto questo diventa ancora più evidente se si osserva l’aspetto lipidico del siero, bisogna tener presente che il diabete nell’infarto cardiaco, ha lo stesso fattore di rischio di una malattia coronarica. Un altro studio (HPS) ha posto in evidenza un altro aiuto concreto per la prevenzione delle complicanze cardiovascolari nei pa-
zienti diabetici di tipo2, il trattamento con le Statine infatti ha permesso una riduzione del 22-26% dei suddetti rischi. Le Statine agiscono attuando una riduzione del colesterolo, indipendentemente dalla quantità di colesterolo basale del paziente. Ma la cosa più importante è che il controllo del colesterolo con le statine, e il controllo rigoroso della pressione arteriosa, agiscono molto rapidamente, nel ridurre le complicanze cardiovascolari, mentre il controllo metabolico agisce dopo decine di anni. Lo studio SANDS ha spinto ancora più in basso la soglia del controllo del colesterolo e della pressione arteriosa, andando ad evidenziare una riduzione dello spessore intimale sia della carotide che della parete ventricolare, e tutto questo in soli 36 mesi. Arrivati a questo punto bisogna dire che anche in pazienti in cui si è raggiunto il goal del colesterolo nella media permane ancora un rischio cardiovascolare de-
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ANTONIA POZZI PER TROPPA VITA CHE AVEVA NEL CORPO, NON TROVÒ LUOGO SILVIA PALLARACCI
Antonia Pozzi è una delle voci femminili più intense della Poesia italiana del Novecento. La sua opera, che fu interamente pubblicata postuma, ha conosciuto una diffusione lenta e frammentaria e va esaminata alla luce del rapporto con il padre e con il maschile in genere. Il genitore repressivo, gli amici poeti, il primo infelicissimo amore Antonio Maria Cervi (suo professore al liceo). Antonia nasce a Milano nel 1912 da una famiglia borghese lombarda. Frequenta il Liceo Classico Manzoni dove rivela di possedere capacità intellettuali fuori dal comune. Ma è inquieta. Sui banchi di scuola nasce l’intensa e ricambiata passione -una storia d’amore impossibile,per lei assolutoper il suo professore di Latino e Greco Antonio Maria Cervi. La relazione viene duramente osteggiata dalla famiglia; lei lotta e si oppone disperatamente a questo rifiuto, ma il padre fa addirittura trasferire a Roma il docente. Nella prima edizione delle sue poesie tutte le dediche all’uomo amato saranno cancellate, una ad una, come per annullare quella storia scandalosa. L’intero epistolario che scambiò con l’uomo è stato corretto, presumibilmente dal padre, altre lettere destinate a familiari ed amici sono scomparse del tutto. Il suo amore doloroso per Cervi emerge nella lettera alla nonna dell’agosto 1928. Scrive: “Ho imparato che cosa sia il dolore. Tu non immagini che cosa fosse lui per me. Io avevo avuto la fortuna di incontrarlo nell’età inquieta in cui tutto il nostro essere sboccia e anela alla vita, in cui ogni influenza esterna lascia nell’anima un’influenza indelebile, in cui ci torturiamo ricercando l’inizio della nostra via e l’indirizzo del nostro cammino nel mondo….” Antonia subisce la dolorosa rinuncia cercando conforto nello studio e nella creazione poetica. Nel 1930 si iscrive alla facoltà di Lettere dell’università
statale di Milano; tra gli amici e compagni universitari Mario Monicelli, Enzo Paci, Vittorio Sereni, Dino Formaggio. Con loro condivide lo stesso ambiente esistenziale e culturale, quello di una singolare generazione che si formò sotto la guida autorevole di Antonio Banfi. Nomi che hanno avuto un forte rilievo nel proporre nuove esperienze intellettuali, tra anteguerra e dopoguerra,e che discutevano di fenomenologia ed esistenzialismo sotto i portici universitari. La disponibilità economica di questi, permetteva loro di avere dall’estero i migliori frutti della cultura europea e americana, i libri proibiti dal fascismo. Intanto Antonia matura la consapevolezza di essere poeta. La sua poesia tende alla purificazione essenziale della parola, ma in questa purificazione trascina con sé l’angoscia di un conflitto sempre più profondo tra arte e vita, che diventerà alla fine insostenibile. I temi del suo poema ruotano intorno all’inafferrabilità di un punto entro il quale ancorarsi con la totalità di se stessa, non divisa, non lacerata, fosse questa la compiuta oggettivazione artistica o la maternità, altra aspirazione possente e negata di tutto il suo essere. La sua salute è malferma (la ferita per l’amore allontanato resterà indelebile), intanto sopraggiungono notizie della guerra imminente, delle leggi razziali e della censura. Ancora una volta è preclusa ad Antonia la possibilità di vivere serenamente, senza dover lottare contro tutti e contro tutto. Questa donna troppo intelligente e sensibile, riccamentre non avrebbe voluto possedere altro che il necessario per vivere, dotata di uno spirito acuto e di una inesauribile febbre vitale, non potendo realizzare il proprio progetto di libertà e semplice felicità, rifiuta alla fine ogni compromesso, ogni falsa pacificazione, ogni obbedienza ipocrita ad un regime di rigidi codici familiari e sociali. Da qui l’irrevocabilità
FOLIGNO
Pensieri e Parole
della scelta finale. Il 2 dicembre del ’38 il suo corpo viene trovato a Milano, verso Chiaravalle. Si era tolta la vita. Il suicidio (tragica fine comune a molte poetesse a lei contemporanee,ma anche ad altri poeti di ogni epoca), più che ad un atteggiamento romantico-crepuscolare, è legato al naufragio della personalità, alla difficoltà creatale dalla coincidenza della sua natura appassionata, femminile, con la sua anima aristocratica, di intellettuale e poeta, chiusa e rifiutata da un mondo che non trova spazio per una donna che rinuncia al suo ruolo tradizionale. Le sue sconfitte personali si inseriscono in quelle più ampie della crisi del buio periodo storico che sta conducendo l’Italia alla seconda guerra mondiale. Vive una disfatta in cui perde ogni illusione d’amore e diviene consapevole di non essere stata mai amata per sé, ma solo e sempre per una sorta di maschera che ha dovuto indossare per essere accettata.
FEBBRAIO 2011
“QUALUNQUEMENTE” IL “PARTITO DU PILU” E UNA NUOVA MORALE PUBBLICA ARIANNA BOASSO
“Il 2010 ci ha regalato molte soddisfazioni e alcune ottime notizie, tra cui un decesso eccellente: dopo lunga e penosa malattia, è morta la morale!” Queste parole edificanti escono dalla bocca di Cetto La Qualunque, uno dei personaggi interpretati dall’attore e comico Antonio Albanese, che porterà Cetto nelle sale cinematografiche con il film “Qualunquemente”; l’uscita è prevista per il 21 gennaio 2011, prodotto da Fandango in collaborazione con Rai Cinema. La Qualunque è un politico e imprenditore calabrese, grande amatore delle donne che con accento stilnovistico apostrofa “pilu” , ed è talmente sensibile al loro fascino, tanto da fondare il “ Partito du Pilu” ; Cetto in quasi tutte le sue apparizioni pubbliche è scortato da bellissime ragazze dall’aspetto poco sobrio, ed in qualche sketch lechiama con il loro nome, ovvero Etica e Morale … addirittura sono maggiorenni! Il personaggio di Albanese odia l’ecologia e la natura, per interessi economici vorrebbe vedere solo il cemento sostituendo il verde
con il grigio, “che s’abbina a tutto”, mettendola, per usare un eufemismo, in quel posto alla natura. Nel suo programma elettorale spicca per impegno politico la promessa “Cchiù pilu pi tutti”, ovvero più donne per tutti, intende eliminare la sanità pubblica con cliniche private, non vuol sentire parlare di accoglienza e di immigrazione e trova la soluzione per l’emergenza rifiuti, ovvero di evitare i cumuli di spazzatura. La Qualunque insulta quei giudici fantasiosi che hanno osato vedere presenze mafiose nel suo partito, sicuramente comunisti, verrebbe da pensare. Cetto è rozzo e ignorante, non sopporta i discorsi complicati, parla un italiano alquanto strano visto che ha l’abitudine di trasformare alcune parole in avverbi aggiungendo il suffisso –mente, ad esempio “ qualunquemente”, “ poimente”, “infattamente”, “senza dubbiamente” . I suoi slogan politici sono “I have no dreams”, pensando al discorso di Martin Luther King e “ Liberté, Egalité e Illegalité”, riferendosi alla Rivoluzione Francese. Ma a volte La Qualunque sorprende tutti occupandosi di problemi reali, ad
esempio Cetto parla della crisi che domina l‘Italia, e trova una soluzione davvero eccezionale: dice che alla crisi si deve rispondere con le armi della democrazia, riportando il Parlamento a un ruolo dignitoso e centrale, ma le modalità con cui attua il suo programma sono discutibili, ovvero trasformare il Parlamento in un outlet! Cetto La Qualunque ricorda Trimalcione, di petroniana memoria, e non è un personaggio del tutto surreale, ma è la rappresentazione della politica attuale e del disvalore che la accompagna, molto più reale di ciò che si potrebbe pensare. “Ntu culu agli elettori”, come dice Cetto La Qualunque.
LACRIME E SANGUE CERALASPERANZADI UN MONDO MIGLIORE
SAMANTHA PASSERI
“Vita” Alle soglie d'autunno in un tramonto muto scopri l'onda del tempo e la tua resa segreta come di ramo in ramo leggero un cadere d'uccelli cui le ali non reggono più
SE STESSO Mi sta venendo un complesso di superiorità tanto che dico: "Meno male che ci sono io". Non so un altro che cosa avrebbe fatto. Nessuno avrebbe potuto fare meglio di quello che abbiamo fatto noi. Su Napoleone ovviamente scherzavo: io sono il Gesù Cristo della politica, una vittima, paziente, sopporto tutto, mi sacrifico per tutti. Hanno fatto una prova anche su di me, sulla mia funzionalità cerebrale e fisica e hanno deciso che sono un miracolo che cammina.
C'era un tempo la speranza di un mondo migliore, di una società più giusta. Per tutti. C'era un tempo il lavoro, lo stipendio, i diritti. C'erano un tempo i sogni di una famiglia da costruire, una casa in cui invecchiare, un'auto per correre verso il mare. Dice il famoso passo della Bibbia che c'è un tempo per ogni cosa. Da oggi infatti le cose cambiano. Ora è il tempo dei pianti, delle urla, della disperazione perché è troppa la nebbia che nasconde l'orizzonte di un domani. Il lavoro. Quale lavoro? Colpa della crisi? Troppo comodo. Troppo facile. Il lavoro, l'occupazione non esistono più. Da questo momento si chiamano elemosina. E lo stipendio? E' solo parte di quest'obolo, una gentile concessione fatta da filantropi che già si prodigano nel dare un senso alla vita delle persone normali come noi. Di quelle insignificanti come noi. Di quelle che se muoiono sono un numero, come noi. I diritti sono solo pretese. I diritti sono solo retaggi del
passato, frutto di un modo di parlare e di concepire la realtà viziato dagli anni di piombo. Guai a usare questi termini. Guai a usare questo linguaggio. Guai solo a pensarlo. Signori miei, lo spettacolo è finito. Chi avrà il coraggio di cambiare questa realtà?
Io ormai scrivo queste poche righe, non avendo più fiducia in niente e nessuno. Eppure ho solo 23 anni. E non ho visto niente. Ma ho conosciuto bene l'umiliazione di essere una studentessa universitaria che cerca casa fuori sede, che cerca un lavoro onesto retribuito in maniera onesta. Questo è l'ultimo articolo che parlerà dell'attuale situazione del nostro Paese. Non intendo proseguire oltre. A cosa serve se nessuno vuol capire?
Mirafiori. Questa è la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Che mi ha fatto capire che ormai c'è poco da fare. Che questa società non cambia, non cambia. E loro, i politici, non la cambiano. Mi sembra di fare un'orribile citazione al discorso della vedova di Vito Schifani. Mirafiori. Ogni parola di un politico, mi sembrava una violenza alla mia vita. Io figlia di un operaio. Li avete sentiti parlare i nostri “onorevoli”? Ma come possiamo ancora essere così ciechi di fronte a tutto questo? Dobbiamo pretendere di più! Moriamo per soli 1200 euro al mese, quando va bene. Oppure moriamo di fame lavorando in nero per cercare di mettere insieme il pranzo con la cena. E lasciamo che ci prendano in giro, che ci umilino. Eppure non si può alzare la voce. Perché se si alza siamo violenti. Terroristi. Figli degli antichi ideali. Comunisti. Come finiremo? Che ne sarà di noi? Se qualcuno avrà il coraggio di rispondere a quest'articolo, io lo aspetto. E lo aspetto con sincera devozione. Saluti da Twin Peaks.
FOLIGNO FEBBRAIO 2011
Scuola a cura di Maura Donati
La riforma dell’università è legge Il 23 dicembre 2010 il Senato ha dato il via libera definitivo al ddl Gelmini, approvato con 161 voti favorevoli, 98 contrari e 6 astenuti. Hanno votato a favore Pdl, Lega e Fli, mentre Pd e Idv hanno votato contro. Si sono astenuti (anche se al Senato vale come voto contrario) Udc, Api, Svp e Union Valdotaine. Si chiude così l’ultimo atto di una storia che molti avevano immaginato diversamente e per cui è continuata e continuerà una forte contrapposizione tra favorevoli e contrari, maggioranza e opposizione, fautori di una scuola più snella e meritocratica e sostenitori di una scuola pubblica dove il diritto all’istruzione viene prima di tutto. Forte, ancorché annunciata, è stata la risposta dei giovani che sono scesi in piazza per continuare a manifestare su quello stesso fronte che li contraddistingueva ormai da mesi. Ma in questo contesto non consideriamo gli estremisti che “spaccano tutto” e fanno solo chiasso e creano confusione, parliamo invece dei giovani che hanno continuato ad “esserci” nonostante tutto, pacificamente e con la voglia di affrontare con maturità e
rispetto quello che per loro e per tanti è un problema. Per questo, i rappresentanti delle varie facoltà universitarie hanno ottenuto il permesso di poter dialogare con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che li ha “ascoltati per un’ora e mezza con interesse vero, quando ancora nessuno lo aveva fatto – ha dichiarato uno dei giovani ai microfoni di un giornalista del quotidiano La Repubblica - ha visto chi siamo, noi, il movimento, perché contestiamo questa riforma dell'università, perché siamo convinti che ci stiano depredando del futuro, perché non solo tra i giovani ma in tutto il Paese ci sia una rabbia che cresce e può esplodere. Eravamo nel suo studio, al primo piano del Quirinale, ancora vestiti come alla manifestazione, noi e il presidente della Repubblica, alla fine di una giornata incredibile, è stato emozionante, ma la vera emozione è stata finalmente l'essere ascoltati”. Quello che più colpisce dalle parole di questi giovani che a vario modo e attraverso media diversi hanno espresso le proprie opinioni, è la piacevolezza nel constatare che finalmente
qualcuno si dimostra pronto ad ascoltare. Non perché deve ma perché vuole e sente che è la cosa giusta da fare. “Non sappiamo se Napolitano firmerà o no – ha detto uno dei giovani intervistati - noi però abbi-
pubblica, Giorgio Napolitano, ha firmato e promulgato la legge di riforma dell'università approvata dal Parlamento il 23 dicembre, rilevando però la presenza di “criticità” nel testo. In una lettera al Presidente del
amo avuto il tempo di mostrare al Presidente tutte le mostruosità di questa legge, i chiari elementi di incostituzionalità. Ma la conversazione al Quirinale è stata importante perché ha dato riconoscimento al movimento degli studenti, che altri avevano criminalizzato”. Poi la storia la conosciamo: il 30 dicembre 2010 il Presidente della Re-
Consiglio dei Ministri il capo dello Stato auspica infatti che “con successiva legislazione ministeriale” si risolvano le “talune criticità” riscontrate nel testo. D’altronde, già in occasione dell'approvazione della legge in Senato, il Quirinale aveva espresso dubbi su alcune incongruenze tecniche del testo, poi specificate nella lettera, dove si sol-
Discriminazione agli studenti disabili: condannato il Ministero della Gelmini Nel novembre del 2010, quando il ddl Gelmini stava ormai per essere approvato definitivamente, diciassette genitori di bambini disabili si sono uniti per far valere un loro diritto: le giuste ore di sostegno scolastico per i propri figli. Questo piccolo gruppo di genitori (supportato dalla competenza degli avvocati del servizio legale Ledha - Lega per i diritti delle persone con disabilità - e dell'associazione Avvocati per Niente) ha capito l’importanza di muoversi in maniera unita e compatta e ha depositato in procura un ricorso contro il Ministero dell’Istruzione, l’Ufficio scolastico regionale e quello provinciale. Motivo: la diminuzione delle ore di sostegno, ridotte fino al 50% dall’ultima Finanziaria. All’inizio del 2011, i timori di questi genitori si sono trasformati in realtà. Il ministro Mariastella Gelmini aveva infatti promesso l’aumento degli insegnanti da affiancare agli studenti con disabilità ma, in realtà, le famiglie hanno assistito al drastico taglio delle ore di sostegno. Da qui la decisione del ricorso supportata dalla convinzione che la scarsità delle risorse non potesse giustificare la lesione di un diritto fondamentale come quello all’istruzione. Ebbene, la loro convinzione di genitori coscienziosi e responsabili è stata supportata dalla legge: i giudici hanno dichiarato “accertata la natura discriminatoria della decisione delle amministrazioni scolastiche di ridurre le ore di sostegno
scolastico per l’anno in corso rispetto a quelle fornite nell’anno scolastico precedente (2009-2010)”. Una vittoria di rilevanza nazionale e capace di far riflettere con amarezza sulla condizione di precarietà in cui versa il mondo scolastico e i diritti che lo sorreggono “almeno in teoria”. Al contem-
ne della condotta discriminatoria e condanna i convenuti, ciascuno per le rispettive competenze, a ripristinare, entro trenta giorni dalla comunicazione della presente ordinanza, per i figli dei ricorrenti il medesimo numero di ore di sostegno fornito loro nell'anno scolastico 2009/2010". "Al di là
po, però, una vittoria che mette in luce l’importanza del “fare rete” usando gli strumenti legali a disposizione. Come si può leggere nel provvedimento, il giudice dopo aver accertato "la natura discriminatoria della decisione delle amministrazioni scolastiche di ridurre le ore di sostegno scolastico”, ordina alle amministrazioni convenute "la cessazio-
del risultato (che già più volte i Tar di tutta Italia avevano garantito) - commenta l'avvocato Gaetano De Luca, del servizio legale Ledha, che in prima persona ha seguito il ricorso - si tratta di un provvedimento storico. Per la prima volta in Italia un Tribunale ha ritenuto che l'inadeguata ed insufficiente assegnazione delle ore di sostegno costituisce una vera e
propria discriminazione a danno degli alunni con disabilità e non solo una lesione del diritto allo studio e all'inclusione scolastica. Si tratta di una vittoria totale che rappresenta una svolta nella tutela dei diritti degli alunni con disabilità". Per ottenere questo traguardo si è fatto riferimento ad una legge dello Stato, la legge 67 del 2006, che stabilisce che "le persone con disabilità non possono essere discriminate rispetto ai diritti fondamentali". Tra questi, ovviamente, il diritto all'istruzione. Inoltre, Un ruolo non indifferente nella decisione del Tribunale è stato giocato dal riferimento ai principi e ai valori sanciti dalla Convenzione ONU per i diritti delle persone con disabilità, ratificata dal Parlamento italiano il 24 febbraio 2009, che comincia perciò ad essere un riferimento normativo imprescindibile. "L'importanza di questo risultato va oltre il contenuto del ricorso - afferma Fulvio Santagostini, Presidente Ledha - un primo segnale forte della ratifica della Convenzione ONU e il riconoscimento del principio di non discriminazione contenuto in essa. Per la prima volta in Italia, in materia di inclusione scolastica, viene utilizzata la legge 67, che sancisce la possibilità per le persone con disabilità e familiari di presentare direttamente ricorso congiunto con le associazioni. Ciò costituisce un fattore di straordinaria importanza senza precedenti".
lecita il governo a un confronto con tutte le parti per superare le criticità che permangono nel testo. Napolitano, poi, ricordando il faticoso percorso della riforma, auspica che “il governo ricerchi un costruttivo confronto con tutte le parti interessate" consegnando il confronto/scontro alla successiva fase dei decreti attuativi. Intanto, nel dettaglio delle criticità, il presidente della Repubblica fa riferimento all’articolo che riguarda la concessione di borse di studio anche su base della "appartenenza territoriale". Punto voluto dalla Lega nord nella riforma e considerato dal Quirinale a rischio incostituzionalità. Un altro riferimento è poi quello al “sottofinanziamento del sistema universitario italiano” rispetto alla media europea. Questo e molto altro rappresentano per l’opposizione al Governo delle considerazione di grande rilievo, per la Gelmini “non costituiscono una critica di sostanza” alla sua riforma: “osservazioni non su punti importanti”. Intanto, gli studenti non sono rimasti sorpresi della firma del presidente Napolitano che, anzi, dicono: “ha fatto il suo dovere” di ascoltare, considerare le diverse voci in campo e dare il proprio importante contributo. “A bloccare la riforma Gelmini dovranno essere gli studen-
131 ti, i dottorandi, i precari, i ricercatori, i tecnici-amministrativi, tutti coloro che vivono sulla propria pelle i problemi della precarietà e il furto di futuro operato da questa riforma''. Più volte gli studenti si sono espressi secondo un concetto ben preciso: spostare la mobilitazione dal Parlamento verso il Governo che accoglierà i decreti attuativi, e verso gli atenei che adegueranno gli statuti universitari alla nuova legge. Il compito degli studenti sarà quello di produrre un cambiamento dal basso chiedendo fin da subito ai rettori di disobbedire e proponendo statuti universitari in grado di bloccare la riforma. Il primo passo in questa direzione è stata la decisione di partecipare allo sciopero generale di tutti i lavoratori pubblici e privati indetto dai Cobas per il 28 gennaio. “Con questo sciopero – si legge in un comunicato stampa dei Cobas - va messo in campo il più ampio fronte sociale per battere l’arroganza padronale e governativa, smascherare la finta ‘opposizione’ parlamentare e i sindacati collaborazionisti, per riconquistare i posti di lavoro, il reddito, le pensioni, l’istruzione e le altre strutture sociali pubbliche, i beni comuni, i diritti politici, sociali e sindacali. La crisi sia pagata da chi l’ha provocata”.
Testo della nota del Presidente Napolitano “Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha oggi promulgato la legge recante "Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonchè delega al Governo per incentivare la qualità e l'efficienza del sistema universitario". Il Capo dello Stato - si legge in una nota diffusa dal Quirinale- ha contestualmente indirizzato la seguente lettera al Presidente del Consiglio dei Ministri: “Promulgo la legge, ai sensi dell'art. 87 della Costituzione, non avendo ravvisato nel testo motivi evidenti e gravi per chiedere una nuova deliberazione alle Camere, correttiva della legge approvata a conclusione di un lungo e faticoso iter parlamentare. L'attuazione della legge è del resto demandata a un elevato numero di provvedimenti, a mezzo di delega legislativa, di regolamenti governativi e di decreti ministeriali; quel che sta per avviarsi è dunque un processo di riforma, nel corso del quale saranno concretamente definiti gli indirizzi indicati nel testo legislativo e potranno essere anche affrontate talune criticità, riscontrabili in particolare negli articoli 4, 23 e 26. Per quel che riguarda l'articolo 6, concernente il titolo di professore aggregato - pur non lasciando la norma, da un punto di vista sostanziale, spazio a dubbi interpretativi della reale volontà del legislatore - si attende che ai fini di un auspicabile migliore coordinamento formale, il governo adempia senza indugio all'impegno assunto dal Ministro Gelmini nella seduta del 21 dicembre in Senato, even-
tualmente attraverso la soppressione del comma 5 dell'articolo. Per quanto concerne l'art. 4 relativo alla concessione di borse di studio agli studenti, appare non pienamente coerente con il criterio del merito nella parte in cui prevede una riserva basata anche sul criterio dell'appartenenza territoriale. Inoltre l'art. 23, nel disciplinare i contratti per attività di insegnamento, appare di dubbia ragionevolezza nella parte in cui aggiunge una limitazione oggettiva riferita al reddito ai requisiti soggettivi di carattere scientifico e professionale. Infine è opportuno che l'art. 26, nel prevedere l'interpretazione autentica dell'art. 1, comma 1, del decreto legge n. 2 del 2004 sia formulato in termini non equivoci e corrispondenti al consolidato indirizzo giurisprudenziale della Corte Costituzionale. Al di là del possibile superamento - nel corso del processo di attuazione della legge - delle criticità relative agli articoli menzionati, resta importante l'iniziativa che spetta al governo in esecuzione degli ordini del giorno Valditara e altri G 28.100, Rusconi ed altri G24.301, accolti nella seduta del 21 dicembre in Senato, contenenti precise indicazioni anche integrative sul piano dei contenuti e delle risorse - delle scelte compiute con la legge successivamente approvata dall'Assemblea. Auspico infine che su tutti gli impegni assunti con l'accoglimento degli ordini del giorno e sugli sviluppi della complessa fase attuativa del provvedimento, il governo ricerchi un costruttivo confronto con tutte le parti interessate".
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Corrispondenze, Sport e Cucina
CALCIOA 7 UISP AL GIRO DI BOA
FEBBRAIO 2011
S. ERACLIO LA CITTÀ DEL CARNEVALE Al via dal 20 Febbraio la cinquantesima edizione del Carnevale più antico e famoso dell’Umbria.
PAOLO AZZARELLI Dopo la lunga sosta per le festività natalizie e di fine anno, torna in scena il torneo di calcio a 7 UISP. Con la disputa delle partite della dodicesima giornata, il campionato giunge ad esaurire metà percorso e tra conferme e smentite,qualche sorpresa e qualche delusione, la graduatoria sembra assumere une fisionomia ben definita, con alcune compagini che sembrano ormai destinate a recitare un ruolo di primo piano da qui al termine della stagione, altre che sembrano ormai relegate a ruolo di comprimarie e altre ancora che sembrano essere attardate rispetto a quelle che erano le aspettative e le previsioni della vigilia, prima fra tutte l'ex-campione uscente Pizzeria Pietrarossa. Va detto, però, che, come nella migliore tradizione di questo torneo, la classifica molto corta e l'assenza vera e propria di compagini dominanti con una continua alternanza al comando, potrebbero consentire alle squadre meglio attrezzate di risalire la classifica e presentarsi alla volata finale nelle posizioni di vertice.Intanto,passando ad analizzare la situazione nel dettaglio, il nuovo anno ci ha consegnato una nuova classifica, con l'ennesimo ribaltone in vetta dove ora troviamo il tandem composto da Beautyglobal - che ora diventa complicato considerare "solo" una sorpresa - e Bacaro Parrucchieri - anch'essa autentica rivelazione della stagione. Già il turno pre-natalizio, l'ultimo prima della sosta aveva già assestato uno scossone alla testa della classifica con il successo nel big-match della giornata proprio di Beautyglobal ai danni della capolista Asso Computer, vittoria alla quale faceva eco la puntuale affer-
FOLIGNO
mazione di Bacaro Parrucchieri su S.Magno Caffè e,con altrettante vittorie nei successivi due turni del nuovo anno, le due compagini viaggiano appaiate al comando della classifica. L' Asso Computer non sembra aver risentito più di tanto della battuta d'arresto con Beautyglobal nel confronto diretto e ottiene due franchi successi rispettivamente con Borroni e Quintanella Scafali e, con una partita da recuperare e con solo due punti di distanza dalla coppia di testa, può ancora agganciare la vetta. Subito alle spalle di Asso Computer, troviamo Old Stars che si conferma complesso solido ed affidabile,a dispetto della perdita, rispetto alla scorsa stagione,di elementi di assoluto valore. Peccato per l'inatteso scivolone nell'ulitma giornata contro un avversario - Bar Polly - che sembrava ampiamente alla portata della compagine montefalchese. Continua l'ottimo torneo di Cecconi Impianti,sette punti nelle ultime tre gare. La squadra si insedia alla quinta piazza a due distanze da Old Stars ma con un turno in più da disputare. Sembra aver smarrito la brillantezza di inizio annata M.B. System il cui ruolino di marcia, nelle ultime due uscite,
recita un roboante successo su Gus Team ma anche un'inopinata battuta d'arresto con Arci Bahia, match dal quale era lecito attendersi qualcosa di più. Continua a deludere parzialmente Silvy's United che dopo aver beneficiato di una vittoria per forfeit, travolge Forno Nocera Umbra (9-4) ma si fa sorprendere contro ogni pronostico dal modesto Spartak Foligno. Da segnalare per i nerocelesti gli ormai endemici problemi di organico che sembrano da sempre attanagliare la compagine di via Nobile. Esce dalla zona play-offs il Porco Alegre per via di due sconfitte nelle ultime tre uscite, parzialmente corroborate dalla nettissima affermazione sul derelitto A.D. Service, capace peraltro di una piccola impresa avendo imposto il pari ad Ecosuntek Gualdo, altro team quest'ultimo che sembrava destinato ad un altro ruolo, soprattutto dopo le ottime premesse dello scorso torneo. Ma la compagine gualdese sembra far fatica a ritrovarsi e galleggia ai margini della zona play-offs rimanendo,almeno per il momento, fuori. CLASSIFICA BEAUTYGLOBAL BACARO PARRUCCHIERI ASSO COMP.–MASSAGGIO OLD STARS CECCONI IMPIANTI M.B. SYSTEM SILVY'S UNITED NUOVA STELLA ROSSA FORNO NOCERA UMBRA MOJITO F.C. BAR POLLY ARCI BAHIA SPARTAK FOLIGNO ECOSUNTEK GUALDO T. SAN MAGNO CAFFE' PORCO ALEGRE BORRONI GUS TEAM QUINTANELLA SCAFALI PIZZERIA PIETRAROSSA EQUILIBRI ESTETICA PLANET CAFFE' A.D SERVICE
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ELISA BEDORI Fervono i preparativi nel nuovo laboratorio carri a Sant’Eraclio. Costumi, carri allegorici e maschere di carta pesta si apprestano a sfilare, come ogni anno, lungo le vie del paese. E non potrebbe essere altrimenti: festeggiare il Carnevale a S.Eraclio è una tradizione che si ripete dalla metà del ‘500. Una cronaca del 1542 narra che “nell'ultimo giorno di Carnevale alcuni abitanti del castello di S.Eraclio si recarono per le strade con pifferi e trombette”. All’epoca l'autorità ecclesiastica cercò di contrastare la manifestazione, ma la spontaneità ed il temperamento della gente fecero sì che nel giorno di martedì grasso del 1762 una trentina di abitanti di S.Eraclio violarono in forma aperta il divieto, riunendosi con violini per le strade del castello e ballando fino alla mezzanotte. Il Carnevale riprese così alla grande. I partecipanti si mascheravano, giocavano, ballavano, assistevano a varie rappresentazioni musicali e teatrali. Gli ultimi giorni accorrevano a S.Eraclio persone da Foligno e da paesi limitrofi, ma anche da città distanti come Assisi e Spoleto. Il Carnevale venne sospeso nel 1765 e 1766, ma poi ricominciò vivacemente arrivando fino al secolo scorso, quando fu interrotto nuovamente durante i conflitti mondiali. Il primo Comitato del Carnevale di S.Eraclio, costituitosi nel 1953, diede vita a quattro edizioni dal 1954 al 1957. Solo nel 1961 il Comitato si costituì sotto la sigla
del “Carnevale dei Ragazzi” (che nel 2001 diventa associazione di volontariato), si diede uno statuto, conferì alla manifestazione una solida struttura organizzativa e riuscì a coinvolgere un gruppo di persone che la sera, dopo l'orario di lavoro, si ritrovava per creare insieme un impasto di divertimento, musica, folclore e spettacolo. Ed è ancora oggi, grazie ai “carnevalari”, che si rinnova ogni anno la tradizione di questo territorio con la creazione di carri allegorici ispirati ai cartoni animati più conosciuti, a personaggi storici o fantastici, ai vizi ed alle virtù degli italiani, accompagnati da gruppi mascherati a terra che nell’arco di tre domeniche colorano il paese con scherzi e coriandoli. Per l’edizione 2011 sfileranno sei carri allegorici: il primo rievoca un famoso film campione di incassi ai botteghini nell’anno appena conclusosi; il secondo anticipa un nuovo cartoon in uscita nelle sale cinematografiche nella prossima primavera; il terzo prende spunto dai popolari film comici in bianco e nero; il quarto realizza una specie di circo itinerante e di palco teatrale che modifica continuamente la sua struttura ed il suo aspetto; il quinto rende omaggio ai cinquant’anni del Carnevale ed il sesto celebra l’anniversario dei 150 anni dell’unità d’Italia enfatizzando i due simboli davanti ai quali tutti si riconoscono italiani: Garibaldi ed il Calcio. Certo è che per partecipare all’allestimento del Carnevale non c’è bisogno di professionalità particolari, è sufficiente dare libero sfogo
alla fantasia ed esprimere la volontà di realizzare qualcosa per il proprio territorio. C’è posto per le più variegate capacità: si inizia con la progettazione delle strutture in ferro, si passa dalla lavorazione della creta per dar vita agli stampi in gesso alla tecnica della carta pesta e si giunge infine alla colorazione e rifinitura dei carri. Da diversi anni però la realizzazione dei carri e dei costumi non è l’unica attività svolta dal Carnevale. Infatti, alcuni volontari dell’associazione, coinvolgendo i ragazzi delle scuole elementari, vestono il ruolo di “maestri della cartapesta” ed insegnano ai piccoli partecipanti a creare con le proprie mani maschere di ogni dimensione. Non solo, il Carnevale in collaborazione con altre associazioni, organizza all’interno del castello dei Trinci uno spettacolo teatrale itinerante, dove i bambini diventano protagonisti, senza dimenticare l’AcademyCircus, il laboratorio di giocoleria che forma i futuri trampolieri e mangiafuoco del Carnevale, oltre a tutte le altre manifestazioni collaterali che vengono organizzate ogni anno. Il Carnevale è pronto per festeggiare i suoi cinquant’anni nelle domeniche del 20, 27 Febbraio e 6 Marzo facendo sfilare i carri allegorici di carta pesta, contornati da maschere, musica e bande, per concludere con uno magico spettacolo pirotecnico immerso nella cornice del paese, il tutto accompagnato dai tipici piatti dell’Osteria del Carnevale che resterà aperta per tutto il periodo della manifestazione.
LA RICETTA DEL MESE: TARTELLETTE DI FRAGOLE E STRUDEL DI PERE Redazione: Via della Piazza del Grano 11 06034 Foligno (PG) tel. 0742510520 Mail: redazionepiazzadelgrano@alice.it Autorizzazione tribunale di Perugia n° 29/2009 Editore: Sandro Ridolfi Direttore Editoriale: Sandro Ridolfi Direttore Responsabile: Giorgio Aurizi Direttore Sito Internet: Andrea Tofi Stampa: Dimensione Grafica, via delle Industrie 21, Spello Chiuso in redazione il 25/1/2011 Tiratura: 3.000 copie Periodico dell’Associazione “Luciana Fittaioli”
ANTONIETTA STADERINI Tartellette alle fragole per 10 persone Difficoltà ++ Tempo di preparazione 60 minuti Ingredienti: gr 500 pasta frolla, lt. 1/2 crema pasticcera, gr 500 fragole, una bustina di gelatina per dolci, gr 50 zucchero a velo. Procedimento: stendere la pasta frolla e disporla in piccoli stampini da forno di forma circolare, cuocere a 180° per circa 10 minuti. Sformare le tartellette, al
centro di ognuna mettere un fiocchetto di crema, una fragola e spennellare con la gelatina, precedentemente sciolta, cospargere i bordi con zucchero a velo. Pasta frolla Ingredienti: gr 500 farina, gr 300 burro, gr 200 zucchero, 3 uova (2 tuorli e un uovo intero), grattugiata di limone, una bustina di vanillina, un pizzico di sale. Procedimento: disporre la farina a fontana, intorno ad essa mettere il burro a piccoli fiocchi, leggermente ammorbidito, aggiungere le uova, lo zucchero, la grattu-
giata di limone, il pizzico di sale e la vanillina, impastare sino ad ottenere un composto liscio ed omogeneo. Lasciare riposare la pasta in frigorifero per circa 2 ore.
Strudel di pere per 10 persone Difficoltà + Tempo di preparazione 40 minuti Ingredienti: gr 500 pasta da strudel, kg 1 pere, gr 100 burro, gr 150 zucchero, gr 50 pane grattato, scorza di limone. Procedimento: sbucciare le pere, tagliarle a tocchetti e passarle in padella con il burro, lo zucchero, il pane grattato. Stendere la pasta molto sottile su di un canovaccio, incorporare il composto di pere, aggiungere il limone grattato e arrotolare
la pasta su se stessa aiutandosi con il canovaccio. Spennellare la parte superiore con poco burro fuso. Cuocere in forno a 180° per circa 30 minuti. Pasta da strudel Ingredienti: gr 500 farina, gr 100 zucchero a velo, un pizzico di sale, un bicchiere di olio di semi, acqua q.b. Procedimento: disporre la farina a fontana, intorno ad essa mettere lo zucchero e la centro il pizzico di sale, l'olio e infine impastare con l'acqua sino ad ottenere un composto morbido, liscio ed elastico.
FOLIGNO FEBBRAIO 2011
Spettacoli ed eventi a cura di Piter Foglietta
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Stagione Concertistica Amici della Musica Foligno 2011 Trenta anni di attività 1981-2011 con omaggio ai 150 anni dell’Unità d’Italia È davvero un bellissimo traguardo quello raggiunto dagli Amici della Musica di Foligno che si apprestano a festeggiare i trent’anni di attività, da quando la prima Stagione fu messa in piedi con entusiasmo e determinazione dal presidente fondatore Antonino Scarcella nel 1981. D’obbligo quindi una Stagione Concertistica che si annuncia davvero straordinaria, con concerti e musicisti di grande spessore e levatura artistica che porteranno la città a vivere momenti musicali degni dei più grandi teatri del mondo. Solo per fare due nomi, saranno a Foligno musicisti della caratura di Shlomo Mintz e del pianista Ramin Bahrami. Ben 18 gli eventi in programma, tra concerti, conferenze, proiezioni, senza dimenticare l’ormai attesa “uscita” per ascoltare l’opera in un teatro lirico nazionale. Quindi, come ormai di consueto, anche la Stagione 2011, seppur incentrata sul genere classico, si propone ad un pubblico di varia provenienza musicale, inserendo eventi per così dire “di confine”. Quest’anno poi l’Associazione non poteva non dare anche il proprio piccolo contributo ad un altro importantissimo anniversario, quello
del 150ennale dell’Unità d’Italia da cui è nato il “Progetto Risorgimento 1861-2011” interamente rivolto alla cultura musicale italiana della prima metà dell’Ottocento”. Otto eventi tra musica e interventi critici organizzato in collaborazione con la Cassa di Risparmio di Foligno e la Fondazione Cassa di Risparmio di Foligno, aperto a tutti gli amanti della musica, ma rivolto in particolare
poco eccezionale il cartellone, con l’arrivo all’Auditorium San Domenico sabato 15 gennaio, alle 21, uno dei più acclamati violinisti e direttori del nostro tempo, lo straordinario Shlomo Minz. Il giorno prima, il 14, a Palazzo Trinci, alle 17, sarà il critico musicale Sandro Cappelletto il protagonista della conferenza Beethoven: la rivoluzione della musica. Paganini: un carbonaro virtuoso. E non ci
agli studenti degli Istituti di Istruzione Secondaria Superiore della città. Critici musicali, musicologi, registi, saranno i protagonisti di quattro conferenze (Palazzo Trinci) che anticiperanno i concerti (Auditorium San Domenico). E sarà proprio uno di questi appuntamenti ad inaugurare in modo a dir
sarà soluzione di continuità tra prima e dopo perché proprio Paganini e Beethoven verranno eseguiti dal grande violinista. Non saranno certo di minor tenore gli altri appuntamenti del Progetto che vedranno susseguirsi il 19 febbraio la conferenza Filosofia della musica di Giuseppe Mazzini di Stefano
Kristin Jarmud Architects. Select works / Opere scelte Kristin Jarmund (nata il 26 settembre 1954) è un architetto norvegese, che ha studiato alla Norwegian Institute of Technology e l' Architectural Association School of Architecture. La Jarmund ha alle spalle una produzione vasta e poliedrica di alta qualità che spazia dall'architettura di interni, come nel caso del piccolo e sofisticato chiosco in vetro di un caffè, a strutture di grandi dimensioni da adibire ad uffici. Gli edifici scolastici da lei progettati mostrano uno spiccato senso innovativo mentre le sue opere urbane sono tra le più interessanti realizzate in Norvegia negli ultimi anni. Lo studio di architettura "Kristin Jarmund Arkitekter AS", fondato nel 1985, comprende sia architetti che interior designer. La mostra – dopo un lungo tour internazionale - fa tappa a Foligno nel prestigioso spazio di Palazzo Trinci. Dieci opere scelte dalla recente produzione dello studio, che spazia dalla piccola dimensione del Caffè nella Galleria nazionale di Oslo alla molto celebrata sede dell’Ambasciata norvegese in Nepal. Il successo internazionale di Kristin Jarmund, esponente della giovane generazione della scuola norvegese, è sancito
dall’interesse del Museo nazionale di arte architettura e design che ha prodotto la mostra e dal recente volume che contiene un bel saggio del critico Kenneth Frampton. L’incontro con l’architettura di Kristin Jarmund è occasione preziosa e ricca di stimoli per la sua forte personalità di progettista che ha saputo dare alla sua opera un’impronta riconoscibile, definita da Kenneth Frampton una “fresca interpretazione del movimento moderno”. La lezione dell’architettura norvegese attraverso Kristin Jarmund ci spinge a riflettere sul ruolo dell’architettura e sullo spazio dell’architetto nella cultura contemporanea, in una fase di profonda crisi di identità
della cultura architettonica del nostro Paese che investe l’intero settore, dalla formazione alla professione Promotori: Comune di Foligno; Ministero degli Esteri della Norvegia; Ambasciata di Norvegia in Italia; Facoltà di Ingegneria di Ancona; Ordine degli Architetti di Perugia; Ordine degli Ingegneri di Perugia Programma italiano a cura di Antonello Alici e Francesca Argentero Catalogo in vendita presso il bookshop del Museo a cura della Cooperativa Fulginart Informazioni e prenotazioni: Museo della Città, Palazzo Trinci, tel 0742 330584330600 La Mostra di Architettura sarà aperta fino 13 febbraio 2011 a Palazzo Trinci, Sala Sisto IV
Ragni e il concerto il Mazzini in esilio. Musica da camera del Risorgimento con musiche da camera del Risorgimento (Rossini/Carulli, Giuliani, Mazzini/d’Ettorre, Paganini). Si arriva quindi al 27 e 28 marzo con un doppio appuntamento per la conferenza Risorgimento al cinema e la proiezione del film Senso di Luchino Visconti a cura del giornalista rai, autore televisivo e regista Nino Crescenti. La serie dedicata al 150° dell’Unità d’Italia si conclude con un altro appuntamento d’eccezione, che si aprirà il 27 maggio con la conferenza di Quirino Principe celebre musicologo, giornalista, poeta italiano, critico del Sole24ore, che parlerà di Manzoni e Verdi: due grandi protagonisti della storia italiana in tempi risorgimentali, a cui farà da grandiosa controparte musicale il giorno successivo, 28 maggio, un altro evento assolutamente da non perdere che vedrà protagonisti l’Orchestra Sinfonica e il Coro Sinfonico di Milano “Giuseppe Verdi” con un capolavoro della nostra musica che è la Messa da Requiem di Verdi. E sono solo 4, dei 18 eventi che si susseguiranno da gennaio a dicembre e che non mancheranno talvolta di
sorprendere portando in qualche caso una nota, è proprio il caso di dirlo, “sui generis” Ecco allora l’appuntamento del 4 marzo che vedrà sul palco dell’Auditorium un idolo delle giovani generazioni, ma amatissimo un po’ da tutti, ELIO (senza le storie tese), ma con un gruppo dedicato a Gian Burrasca, musiche di Nino Rota, regia di Lina Wertmuller che sarà presente allo spettacolo. Si parte invece per il Teatro delle Muse di Ancona, il 6 marzo per l’opera il Don Pasquale di Donizetti. Torna poi il Concerto di Pasqua, il 18 aprile con l’Orchestra Camerata del Titano e i Melodi Cantores che eseguirà il Messiah di Händel. Domenica 8 maggio sarà la volta dell’Integrale dei Trii di Schumann e Brahms III concerto nell’esecuzione del Trio Modigliani, La parte estiva del cartellone prende avvio il 21 giugno con la partecipazione alla Giornata Europea della Musica e l’Integrale delle Sonate di Beethoven - I concerto (Franco Mezzena violino, Stefano Giavazzi pianoforte). Ancora un concerto di grande godibilità nato per la prima volta in collaborazione con CantieDiscanti “Foligno
World Festival” che porterà il 20 luglio la Stagione concertistica alla Corte di Palazzo Trinci dove giungerà uno dei grandi maestri della tradizione partenopea Peppe Barra in concerto. La canzone napoletana dal Settecento ad oggi. Sempre Corte di Palazzo Trinci il 4 agosto per una proposta interamente vocale: The Man I Love. Songs, arie e duetti d’America (Maria Gabriella Landers soprano, Brian Dore baritono). Data da fissare bene in mente quella di domenica 16 ottobre che vedrà niente di meno che l’arrivo del celebrato pianista iraniano, tra i migliori al mondo, Ramin Bahrami, protagonista con Sandro Cappelletto del racconto-concerto, in prima esecuzione assoluta, Una cura contro l’insonnia: le Variazioni Goldberg di Johann Sebastian Bach. Omaggio a Lizst, in occasione del 200° della nascita, con la conferenza-concerto del 13 novembre L’anima che vola, con la pianista Maria Gloria Ferrari. La Stagione 2011 si chiude l’11 dicembre con Allegrini incontra Tetraktis (Alessio Allegrini corno e Tetraktis Percussioni) con musiche di Rota, Cage, Panfili, Piazzola, G.Sollima, Bernstein/Gershwin.
La programmazione del mese di Giovedì al Cinema 5 febbraio MACHAN di Uberto Pasolini (Sri Lanka 2008, 122’) […] all’esordio, il cineasta italiano Pasolini (Uberto) sceglie come set lo Sri Lanka, una bidonville a Colombo, per una commedia istruttiva. Senza soldi e senza prospettive, due giovani disperati, Manoj e Stanley, trovano in un torneo di palla a mano in Baviera l’occasione di un biglietto verso l’Occidente. Senza la più pallida idea del gioco della palla a mano, allestiscono un’improbabile nazionale dello Sri Lanka con amici, creditori, poliziotti e immigrati anche di altre nazionalità. Riescono a partire, ma non è facile giocare e vincere […]
12 febbraio ODGROBADOGROBA di Jan Cvitkovic (Slovenia/ Croazia 2005, 103’) […] miglior film ai Festival di San Sebastián e Torino nel 2005, distribuito nelle sale soltanto ora, questo film dell’archeologo Jan Cvitkovic, che ama i libri e si annoia al cinema, oscilla tra il dramma e la commedia, tra Kusturica e Kaurismäki. Al suo terzo lungometraggio il regista sloveno racconta la storia di Pero, trentenne che si guadagna da vivere scrivendo discorsi funebri nel cimitero del paese, con la guerra dei Balcani ormai lontana ma presente nei corpi e nell’aria […] 19 febbraio SOTTO LE BOMBE di Philippe Aractingi (Francia-Libia 2007, 99’) […] nel 2006, il regista franco-libanese Philippe Aractingi realizza, in Libano, un film in mezzo alla guerra, appena dopo il cessate il fuoco tra l'esercito israeliano e i militanti Hezbollah. Una donna, Zeina, parte da Dubai alla ricerca disperata della sorella e del figlio. Incontra un tassista, Tony, disposto a condurl a per trecento dollari nel sud del paese. Un viaggio di due persone in una terra devastata dal-
le guerre in cui imparano a conoscersi e a guardare all’incerto futuro, nonostante lo scacco. […] 26 febbraio PA-RA-DA di Marco Pontecorvo (Italia 2008, 100’) […] Il direttore di fotografia Marco Pontecorvo (figlio di Gillo), all’esordio cinematografico, racconta la vera storia del clown di strada Miloud Oukili, del suo arrivo in Romania nel ’92, dopo la fin di Ceausescu, e del suo incontro con i boskettari, i bambini dei tombini, che vivono randagi, dormono nel sottosuolo di Bucarest, nelle condotte dove passano i tubi per il riscaldamento e sopravvivono con furti, accattonaggio e prostituzione. Parada è la storia commovente della loro amicizia […]
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FOLIGNO FEBBRAIO 2011
«Veniamo da molto lontano e andiamo molto lontano! Senza dubbio! Il nostro obiettivo è la creazione nel nostro Paese di una società di liberi e di eguali, nella quale non ci sia sfruttamento da parte di uomini su altri uomini» Palmiro Togliatti Palmiro Togliatti il “Migliore” Nacque nel 1893 a Genova, da dove, seguendo il lavoro del padre, si trasferì in Sardegna e poi all’Università di Torino con una borsa di studio vinta nello stesso concorso con un altro sardo: Antonio Gramsci. Con Gramsci, Terracini e Tasca nel 1919 fondò il periodico "L'Ordine Nuovo" che guidò il movimento dei consigli di fabbrica, nati sull’onda dei soviet russi, che nel “biennio rosso” occuparono e gestirono molte fabbriche del nord Italia. Al congresso di Livorno del 1921 partecipò alla fondazione del P.C.d'I. sezione italiana della Terza Internazionale Comunista (leninista). Nel 1926 per sfuggire alle persecuzioni del regime fascista fuggì all'estero, a Mosca. Rimase in esilio per diciotto anni, trascorsi soprattutto a Mosca, in qualità di rappresentante del PCd’I nella Terza internazionale della quale divenne segretario nel 1937. Dopo l'arresto di Gramsci, prese le redini del partito ormai messo fuorilegge dal regime dei fascisti. Il suo lavoro antifascista trovò il suo culmine a partire dal 1935 con l'avvio della politica di "unità antifascista" espressa nei fronti popolari. Fu in missione politica in Spagna, come segretario della Terza Internazionale, a sostegno della difesa del governo democratico assalito dalla violenza di Francisco Franco e alleati nazisti tedeschi e fascisti italiani. Allo scoppio della seconda guerra mondiale fu arrestato in Francia, riparò di nuovo in Unione Sovietica e infine nel 1944 poté tornare in Italia. Sbarcato a Salerno, nel sud Italia già liberato, a sorpresa appoggiò il governo di larghe intese di Badoglio, accantonando momentaneamente la questione istituzionale, con la cosiddetta “svol-
ta di Salerno”. Partecipò alla stesura della Costituzione e fu vice presidente del Consiglio e Ministro della Giustizia. Perseguendo il disegno della pacificazione e della ricomposizione dell’unità popolare nazionale promosse l’amnistia per i fascisti che non erano macchiati di crimini particolarmente efferati e, a sorpresa con il forte dissenso dei socialisti e radicali, approvò l’art. 7 della Costituzione con il nuovo concordato con il Vaticano. Alleato con Nenni nel Fronte popolare, venne sconfitto alle elezioni del 1948 ed estromesso dal governo. Sempre nel 1948 venne gravemente ferito in un attentato che scatenò una reazione popolare spontanea al limite della insurrezione che lo stesso PCI riuscì a fermare prima che si risolvesse in una drammatica guerra civile. Fedele all'Italia e all'Urss, nel 1956 (VIII congresso) fu sostenitore della "destalinizzazione" e lanciò la linea della "via italiana al socialismo": "un regime di democrazia progressiva che attuasse un complesso di riforme della struttura economica e sociale, facendo accedere alla direzione del paese tutte le forze delle masse lavoratrici". Togliatti morì nel 1964 a Yalta (Urss) mentre si stava prodigando per mediare il conflitto ideologico scoppiato tra l’URSS e la Cina di Mao che proprio in quegli anni aveva lanciato la “rivoluzione culturale” demolendo il modello di comunismo burocratico dell’URSS di Kruscev. Ai suoi funerali a Roma parteciparono oltre un milione di persone.
PARTITO COMUNISTA supplemento al numero 2 - Anno III - febbraio 2011 di Piazza del Grano - www.piazzadelgrano.org
“Sono stato comunista non solo perché avevo in tasca una tessera di partito. E oggi non sono un ex comunista solo perché non ho in tasca una tessera di partito” (Diego Novelli)
Il 21 gennaio del 1921 si consuma la scissione della Frazione Comunista dal Partito socialista italiano. Nello stesso giorno nasce il Partito Comunista dItalia, sezione dellInternazionale Comunista. Livorno è la città che ospita il congresso del Partito socialista. Il teatro Goldoni è lo scenario nel quale avviene la clamorosa rottura che era da tempo nellaria. Sarà la minoranza comunista a lasciare la sede del congresso per trasferirsi in un altro teatro, il San Marco. La minoranza del Partito socialista rappresentava 58.783 iscritti su 216.337, faceva capo ad Amedeo Bordiga che guidò per primo il nuovo partito, al gruppo dellOrdine Nuovo di Antonio Gramsci, Palmiro Togliatti, Umberto Terracini e Angelo Tasca, e alla corrente massimalista di Andrea Marabini e Antonio Graziadei, con la stragrande maggioranza della Federazione giovanile socialista con il suo segretario, Luigi Polano, che qualche giorno dopo darà vita alla Federazione giovanile comunista.
Partigiano, Partito, Comunista: Partito Comunista Premessa Con questo inserto vogliamo iniziare a ricordare, anzitutto (via via la criticheremo anche), la grande storia del Partito Comunista in Italia. Inizieremo con brevi articoli su alcuni personaggi ed eventi che hanno segnato con maggiore forza la storia del comunismo italiano. Lo scopo è quello di stimolare l’interesse e l’attenzione su questo tema imprescindibile nella storia del nostro paese e quindi anche nel nostro presente e per il nostro futuro. In successivi inserti procederemo a più accurati approfondimenti. A questo fine vogliamo sollecitare il contributo e la partecipazione di quanti siano in grado di apportare i propri ricordi, documenti e conoscenze. Gli inserti, com’è stato sempre doverosamente chiarito, rispecchiano la posizione ideologica dell’editore e quindi fanno esclusivamente capo alla sua responsabilità morale e, all’occorrenza, giuridica. Ciò non di meno anche gli inserti, come ogni altra rubrica del giornale, sono aperti alla partecipazione e collaborazione di chiunque lo voglia e si faccia parte diligente nel farlo. La pagina si apre con la foto dei fondatori del Partito Comunista d’Italia sezione dell’In-
ternazionale Comunista, avvenuta a Livorno il 21 gennaio del 1921. La storia del comunismo in Italia non nasce con quell’evento, né finisce con le leggi fasciste del 1926 che hanno sciolto (messo fuori legge) il PCd’I, né con il Congresso del 1991 che ha (di)sciolto il Partito Comunista Italiano, né tanto meno con l’esperienza suicida dell’Arcobaleno bertinottiano. Del pari la storia del comunismo in Italia non corre solo dentro quella del partito che ne ha portato il nome e a volte (almeno per taluni e non pochi) non ne ha invece più interpretato le idee. L’universo del pensiero e del movimento comunista è assai più ampio, vasto e variegato. Nel procedere degli inserti cercheremo di dare conto anche di questo “altro” enorme patrimonio storico,
“Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.” (Gramsci) Essere comunisti significa essere partigiani, significa avere deciso di stare con una parte e contro un’altra parte. Stare con la parte dei “più”, con la “maggioranza”, con le grandi masse di esseri umani che vivono, o comunque vogliono vivere una vita sostenibile e dignitosa con il lavoro, con il proprio lavoro. Significa stare contro quei “meno”, quei “pochi”, quella “minoranza” che vive sulle spalle e sulla pelle della maggioranza. La Storia, con la “S” maiuscola è storia di scelte di parte; chi non “parteggia”, chi non sceglie e partecipando non si espone non solo non fa la Storia, quella con la “S” maiuscola, ma non fa neppure la propria di storia, per quanto piccola sia comunque parte dell’unica grande Storia dell’umanità, ma si limita a sopravvivere trascinato dalla corrente delle scelte degli altri. Per essere parte occorre partecipare e quindi divenire partigiani di una idea, di un progetto, di una speranza, di un diritto. E questo fa paura a coloro che vogliono governare le scelte (non scelte) degli altri. La storia ci ha insegnato due scenari (perfettamente intercambiabili in relazione alle condi-
zioni di contesto): il primo è quello di un divieto formale alla partecipazione che si esprime con la dittatura; il secondo è quello di una espropriazione surrettizia del diritto di partecipazione che si realizza con la così detta democrazia delegata. E’ in questo secondo scenario che emerge la figura, irragionevole e antistorica, del “super partes”, di colui (coloro, persone fisiche o giuridiche, individui o collettività) che non si schiera con alcuna delle parti in campo e ciò non per affermare e difendere una propria specifica parte, ma per neutralizzare tutte le altre. Ma se è possibile che vi siano realmente figure, istituzioni, funzioni o ruoli “super partes”, allora vuol dire che le parti in campo in realtà tali non sono, non sono cioè antagoniste portatrici di differenti posizioni, ma semplici “frazioni”, “sette”, “club” di una stessa parte sostanziale. Giacomo Brodolini, il ministro al quale si deve lo Statuto dei Lavoratori, non era il “Ministro del Lavoro”, ma lui stesso si definiva il “Ministro dei Lavoratori”; Cordero di Montezemolo, semmai dovesse ricoprire quella stessa carica, parimenti non sarebbe il “Ministro del Lavoro”, ma il “Ministro dei datori di lavoro”, cioè dei padroni. Perché
un Ministro del lavoro possa qualificarsi tal quale senza ulteriori distinzioni, e dunque sentirsi o almeno affermarsi “super partes” rispetto al mondo del lavoro, occorre che lo stesso (o gli stessi sia che si chiamino Damiano o Sacconi) abbia già scelto di stare da una sola parte e certamente non da quella dei lavoratori. Un partito raccoglie i partigiani sostenitori delle istanze di una parte e se ne fa portatore collettivo. Ma se non ci sono più partigiani, perché è una sola parte ad esprimere le proprie istanze, allora i partiti non hanno più senso d’esistere nella loro funzione e identità storica. Nel 1991 la sinistra parlamentare italiana ha iniziato un percorso di “restyling” formale (che in verità svelava una sostanziale mutazione genetica già completata) che la ha portata dapprima a sostituire il termine “comunista” con la più “moderna” definizione di “democratico”, poi a cancellare totalmente il termine “partito” (PCI-PDS-DS), con ciò allineandosi all’altra grande componente della politica parlamentare italiana che sin dall’immediato dopo guerra aveva “abiurato” il termine “partito” (popolare) per assumere una definizione “ecumenica”, aperta a tutti i credenti, Democrazia Cri-
stiana. Gradualmente sono poi scomparse anche le indicazioni per così di orientamento (destra, sinistra, centro), sostituite da immagini di vegetali o animali (querce, margherite, trifogli, asinelli, ecc.) o descrizioni più diverse (alleanze, unioni, popoli, ecc.). Il tempo è passato e ha cancellato la memoria della definizione lessicale del termine “partito” che oggi può riapparire (PD, PdL) ma non più per identificare una “parte”, un insieme di istanze e progetti di cambiamento o almeno di sviluppo della società, bensì per essere lui stesso la “parte”, non più antagonista ma semplicemente alternativa ad un’altra “parte”. Partito Comunista identifica un insieme di uomini e donne che hanno una loro storia, un loro presente e un loro progetto ben definito. Partito Comunista identifica una comunità di partigiani che propone una scelta antagonista e progetta il cambiamento rivoluzionario del futuro. Se quella comunità di uomini e di donne sottomessi, sfruttati, esclusi ed emarginati non si è “dissolta”, ed è evidente che non lo è, allora il ruolo e la funzione storica del Partito Comunista non è cessata e il suo spirito vive immutato nei bisogni delle masse. Riaffiorerà!
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Il tempo “sbagliato”
Il Partito “intellettuale organico” delle classi subalterne La conquista del potere attraverso la conquista dell’ “egemonia” “Le idee – scrive Gramsci non nascono da altre idee, le filosofie non sono partorite da altre filosofie, esse sono l'espressione rinnovata dello sviluppo storico.” “Le forze materiali non sarebbero concepibili storicamente senza forma, e le ideologie sarebbero ghiribizzi individuali senza le forze materiali.” Le idee nascono dallo sviluppo storico del reale, ne sono l'espressione, ma nello stesso tempo hanno il potere di cambiare la storia. Ecco perché le idee non sono figlie di idee, ma nascono da rapporti storici reali. Nel momento in cui il capitalismo è entrato nella fase monopolistica e le grandi masse sulla scena della storia, il problema della sovrastruttura diviene determinante. Prendere il potere significa, innanzitutto, occupare le "casematte dello Stato", cioè quegli apparati della società civile, come la scuola, i partiti, i sindacati, la stampa, che hanno il compito di inculcare nelle menti delle grandi masse i valori della classe dominante. La supremazia di un gruppo sociale non può attuarsi solo col dominio e con la forza, deve avvalersi degli apparati egemonici della società civile, deve evocare il consenso più am-
pio. Il potere non è dominio, è egemonia, intesa essenzialmente come capacità di direzione intellettuale e morale. Ogni classe sociale tende a produrre i propri intellettuali organici connessi ai propri bisogni e alla propria mentalità. Le masse dei lavoratori e degli sfruttati debbono dotarsi di una loro guida intellettuale e l’ “intellettuale organico” alle classi subalterne è il partito comunista che, rap-
presentando la totalità degli interessi e delle aspirazioni della classe lavoratrice, si configura come la sua guida politica, morale ed ideale. Per questa sua capacità unificatrice delle istanze popolari e per il suo fermo tendere ver-
so un supremo fine politico, Gramsci denomina il partito comunista "moderno Principe", con l'avvertenza che, mentre per Machiavelli esso si identifica in un individuo concreto, per i comunisti si tratta di un organismo in cui si concreta la volontà collettiva della classe rivoluzionaria. In un sistema capitalistico organico e globalizzato la strategia rivoluzionaria non può essere frontale, cioè alla "fac-
ciata dello Stato", deve invece dirigersi in profondità, mediante una "snervante guerra di posizione", contro le "fortezze" e le "casematte" del nemico, ossia contro l'insieme delle istituzioni della società civile. Si tratta di logorare pro-
gressivamente la supremazia di classe della borghesia, conquistando i punti strategici della società civile, e ponendo così le premesse per la conquista del potere e la realizzazione della propria egemonia. La conquista dello Stato borghese deve avvenire dunque dall'interno della società, attraverso una "battaglia delle idee" e sulla base di una prospettiva sociale, economica, politica, intellettuale e morale, che sia in grado di ottenere il consenso delle masse. Il Partito “intellettuale organico” deve ricucire la frattura tra cultura e vita, tra cultura e masse, operata dall'intellettuale tradizionale membro di una casta separata dal popolo-nazione e, dunque, deve essere portatore di una "cultura nazional-popolare" che rappresenta il cemento del rapporto tra dirigenti e diretti, tra governanti e governati. Solo se riesce ad ottenere il consenso di tutte masse subalterne e sfruttate, il partito comunista può creare un sistema di alleanze di classe che gli permetta di mobilitare contro lo Stato borghese la maggioranza della popolazione lavoratrice e diventare classe dirigente e dominante.
Le Internazionali Dalla Prima Internazionale fondata da Marx nel 1864 alla Terza Internazionale fondata da Lenin nel 1919
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Nell'anno 1864 fu fondata a Londra la prima Associazione internazionale degli operai, la Prima Internazionale. Negli Statuti generali di quest'Associazione internazionale degli operai è detto che: a) l'emancipazione della classe operaia deve essere l'opera della classe operaia stessa; b) la lotta per l'emancipazione della classe operaia non è una lotta per privilegi di classe e monopoli, ma per stabilire eguali diritti e doveri e per abolire ogni dominio di classe; c) la soggezione economica del lavoratore a colui che gode del monopolio dei mezzi di lavoro, cioè delle fonti della vita, forma la base della servitù in tutte le sue forme, la base di ogni miseria sociale, di ogni degradazione spirituale e dipendenza politica; d) di conseguenza, l'emancipazione economica della classe operaia è il grande fine cui deve essere subordinato, come mezzo, ogni movimento politico; e) tutti gli sforzi per raggiungere questo grande fine sono finora falliti per la mancanza di solidarietà tra le molteplici categorie di operai di ogni paese e per l'assenza di un'unione fraterna fra le classi operaie dei diversi paesi; e) l'emancipazione
degli operai non è un problema locale né nazionale, ma un problema sociale che abbraccia tutti i paesi in cui esiste la società moderna, e la cui soluzione dipende dalla collaborazione pratica e teorica dei paesi più progrediti; f) il presente risveglio della classe operaia nei paesi industrialmente più progrediti d'Europa, mentre ridesta nuove speranze ed è in pari tempo un serio ammonimento a non ricadere nei vecchi errori, esige l'unione immediata dei movimenti ancora disuniti. La Seconda Internazionale, che fu fondata nel 1889 a Parigi, s'impegnò a proseguire l'opera della Prima Internazionale. Ma nel 1914, all'inizio del massacro mondiale, subì un crollo completo. Soffocata dall'opportunismo, disgregata dal tradimento dei dirigenti che erano passati dalla parte della borghesia, la Seconda Internazionale si
spezzò. La Terza Internazionale comunista, fondata nel marzo 1919 a Mosca, capitale della Repubblica socialista federativa sovietica russa, proclama solennemente a tutto il mondo di assumere su di sé la grand'opera iniziata dalla prima Associazione internazionale degli operai, di volerla continuare e portare a termine e per compiere, secondo le parole di Lenin, il primo passo verso la Repubblica internazionale dei soviet e la vittoria mondiale del comunismo. Dopo questo primo atto formale di costituzione, l'Internazionale comunista tenne nel luglio-agosto del 1920 il suo secondo congresso, cui parteciparono delegazioni di trentasette paesi e che tracciò le basi ideali e programmatiche accogliendo i ventuno punti proposti da Lenin: i partiti che intendevano aderire si impegnavano a
darsi una struttura analoga a quella del Partito comunista sovietico, a sostenere l'Urss, a rispettare le direttive del Comintern, a lottare contro la socialdemocrazia per favorire la nascita di autonomi partiti rivoluzionari. A dirigere l'Internazionale venne designato un comitato esecutivo permanente, con sede a Mosca, il cui primo presidente fu G.E. Zinov'ev. Negli anni successivi il Comintern risentì pesantemente dei conflitti interni al gruppo dirigente del Partito comunista dell'Urss, che condizionò le scelte politiche subordinando in più di un'occasione agli interessi nazionali sovietici le esigenze dei partiti comunisti dei vari stati, soprattutto negli anni di Stalin e della sua teoria del socialismo in un solo paese. Anche lo scioglimento dell'organizzazione, nel maggio 1943, maturò come conseguenza della politica estera sovietica che, durante la guerra contro il nazismo, volle lanciare agli alleati occidentali un segnale di riconciliazione accantonando, con l'Internazionale, il progetto della rivoluzione mondiale di cui questa doveva essere lo strumento operativo.
I partititi comunisti e la difesa dell’URSS
1919-1920 il “Biennio Rosso”, nascono i “Consigli di Fabbrica”, i “soviet” italiani La FIOM, alla guida di 500mila operai metal- Ai Commissari di reparto delle meccanici, occupa le fabbriche del nord e da Officine Fiat Centro e Brevetti vita ad esperimenti di autogestione più saldo disciplinarsi, nell'ofCompagni! La nuova forma La storia del Biennio Rosso iniziò a Torino il 13 settembre 1919 con la pubblicazione sulla rivista Ordine Nuovo del manifesto “Ai commissari di reparto delle officine Fiat Centro e Brevetti”, nel quale si ufficializzava l’esistenza e il ruolo dei Consigli di fabbrica quali nuclei di gestione autonoma delle industrie da parte degli operai. Già tre mesi prima Gramsci e Togliatti avevano affrontato il problema, sempre sulla stessa rivista, in un articolo chiamato “Democrazia operaia”. Torino, culla dell’industrializzazione italiana, si prefigurava così come il centro propulsore del bolscevismo, in quanto la struttura dei Consigli proposta dagli ordinovisti ricalcava, seppur con peculiarità proprie, quella dei Soviet russi. Le proteste iniziarono nelle fabbriche di meccanica, per poi continuare nelle ferrovie, trasporti e in altre industrie, mentre i contadini occupavano le terre. Le agitazioni si diffusero anche nelle campagne della pianura padana, innescando duri scontri fra proprietari e braccianti. Nelle fabbriche di Torino e Milano gli operai, però, fecero molto più che un’occupazione, sperimentando per la prima volta forme di autogestione operaia: 500.000 metalmeccanici lavoravano e producevano da se stessi e per se stessi. Il fenomeno si estese rapidamente ad altre fabbriche del Nord, coinvolse il movimento anarchico ma venne solo in parte appoggiato dal P.S.I., che in quel momento era diviso tra riformisti e massimalisti. Gramsci avvertì l’incapacità dei
politici socialisti di fronte a queste manifestazioni di autogoverno proletario, e cercò di dare sistemazione, teorica prima, e pratica poi, al movimento operaio. Nulla potè, però, contro la reazione degli industriali, appoggiati dal governo e da questo aiutati con migliaia di militari in assetto di guerra. Dal 28 marzo 1920 si delinearono i due blocchi, da una parte gli operai con lo sciopero ad oltranza, dall’altra i proprietari, che adottarono la serrata come reazione alle richieste operaie. Dopo alcuni mesi di trattative sugli aumenti salariali, sempre respinti dalla Confederazione Generale dell’Industria, si alzò il livello del conflitto con l’occupazione armata delle fabbriche da parte degli operai, il 30 agosto del 1920. Giolitti rifiutò di far intervenire la polizia e l'esercito nelle fabbriche e aspettò che il movimento si esaurisse da sé, che terminassero le scorte di materie prime nei magazzini delle aziende occupate, che gli stessi operai si rendessero conto che l'occupazione non poteva durare più a lungo. Nello stesso tempo favorì le trattative fra gli industriali e sindacati e, praticamente, obbligò gli industriali a concedere ai lavoratori i miglioramenti di salario richiesti. Così all’inizio di ottobre del 1920 Giolitti riuscì a far accettare un compromesso tra le parti sociali, avendo anche predisposto un progetto di legge per controllo operaio su fabbriche, mai attuato. Le agitazioni operaie ebbero risultati economici positivi: i lavoratori ottennero miglioramenti nel salario e nelle con-
Medaglia commemorativa della FIOM delle occupazioni del 1920 dizioni di lavoro; la durata massima della giornata lavorativa passò da 11 ore a 8 ore. Assai diverse furono invece le conseguenze sul piano politico. La mancanza di un forte partito in grado di guidare gli operai e i contadini verso la conquista del potere politico non solo fece retrocedere il movimento, ma di fatto aprì la porta alla reazione padronale, industriale e agraria, che a tal fine utilizzò, sostenendolo e finanziandolo, l’emergente fascismo. Grandissima fu allora la responsabilità non solo dei liberali (fu lo stesso Giolitti a favorire l'ascesa del fascismo quando, in occasione delle elezioni del maggio 1921, cercando di assorbire i fascisti nella normale prassi parlamentare, li inserì nei Blocchi nazionali), ma dello stesso partito popolare di don Sturzo che più preoccupato dall’avanzata dei socialisti e comunisti sottovalutò il pericolo del fascismo che poi, dopo il Concordato con il Vaticano, metterà fuori legge anche il partito dei cattolici.
che la commissione interna ha assunto nella vostra officina con la nomina dei commissari di reparto e le discussioni che hanno preceduto e accompagnato questa trasformazione non sono passate inavvertite nel campo operaio e padronale torinese. Da una parte si accingono a imitarvi le maestranze di altri stabilimenti della città e della provincia, dall'altra i proprietari e i loro agenti diretti, gli organizzatori delle grandi imprese industriali, guardano a questo movimento con interesse crescente e si chiedono e chiedono a voi quale può essere lo scopo cui esso tende, quale il programma che la classe operaia torinese si propone di realizzare. ... Il bisogno, l'aspirazione da cui trae la sua origine il movimento rinnovatore dell'organizzazione operaia da voi iniziato, sono, crediamo noi, nelle cose stesse, sono una conseguenza diretta del punto cui è giunto, nel suo sviluppo, l'organismo sociale ed economico basato sull'appropriazione privata dei mezzi di scambio e di produzione. ... E se è vero che la società nuova sarà basata sul lavoro e sul coordinamento delle energie dei produttori, i luoghi dove si lavora, dove i produttori vivono e operano in comune, saranno domani i centri dell'organismo sociale e dovranno prendere il posto degli enti direttivi della società odierna. ... La massa operaia deve prepararsi effettivamente all'acquisto della completa padronanza di se stessa, e il primo passo su questa via sta nel suo
ficina, in modo autonomo, spontaneo e libero. Né si può negare che la disciplina che col nuovo sistema verrà instaurata condurrà a un miglioramento della produzione, ma questo non è altro che il verificarsi di una tesi del socialismo: quanto più le forze produttive umane, emancipandosi dalla schiavitù cui il capitalismo le vorrebbe per sempre condannate, prendono coscienza di sé, si liberano e liberamente si organizzano, tanto migliore tende a diventare il modo della loro utilizzazione: l'uomo lavorerà sempre meglio dello schiavo. A coloro poi che obiettano che in questo modo si viene a collaborare con i nostri avversari, con i proprietari delle aziende, noi rispondiamo che invece questo è l'unico mezzo di dominio, perché la classe operaia concepisce la possibilità di fare da sé e di fare bene: anzi, essa acquista di giorno in giorno più chiara la certezza di essere sola capace di salvare il mondo intiero dalla rovina e dalla desolazione. ... Eletti da una maestranza nella quale sono ancora numerosi gli elementi disorganizzati, vostra prima cura sarà certamente quella di farli entrare nelle file dell'organizzazione, opera che del resto vi sarà facilitata dal fatto che essi troveranno in voi chi sarà sempre pronto a difenderli, a guidarli, ad avviarli alla vita della fabbrica. Voi mostrerete loro con l'esempio che la forza dell'operaio è tutta nell'unione e nella solidarietà coi suoi compagni. Antonio Gramsci Ordine Nuovo - 1919
Il Partito Comunista d’Italia, come peraltro molti dei nuovi partiti comunisti occidentali, nasce nel momento sbagliato. Paradossalmente l’ala rivoluzionaria del partito socialista si stacca e si costituisce in partito autonomo nel momento in cui la spinta rivoluzionaria che ha aveva sconvolto grande parte dell’Europa occidentale all’indomani della fine del massacro della prima guerra mondiale, anche sull’emozione del successo della rivoluzione russa, si stava esaurendo e veniva repressa sempre più violentemente, mentre si stavano aprendo le porte alle nuove dittature fascista e nazista, ma anche a forti irrigidimenti antidemocratici negli altri grandi paesi europei. La fine dell’ottocento, grazie anche alla prima esperienza di governo popolare della Comune di Parigi del 1870, ma soprattutto in seguito alla forte industrializzazione che aveva interessato quasi tutti gli Stati europei, Russia inclusa, creando la nuova classe operaia, aveva visto una crescita esponenziale dei partiti e dei movimenti socialisti. Era quest’ultimo un magna assai eterogeneo che includeva componenti fortemente rivoluzionarie, ma anche buona parte della nuova borghesia industriale e cittadina che ambiva a conquistare, dopo quello economico, anche il potere politico, liquidando i residui della vecchia aristocrazia terriera e parassitaria. La guerra mondiale aveva fortemente incrementato la industrializzazione, inevitabilmente anche in funzione bellica, aumentando nello stesso tempo il peso della nuova classe capitalista e la dimensione di massa di quella operaia. In molti Stati, Russia inclusa, erano i nuovi partiti socialisti o socialdemocratici ad avere messo in discussione il potere delle vecchie oligarchie facendo base anche sulla nuova classe dei lavoratori dell’industria e delle città. In Russia era però avvenuto un “salto”. Con la rivoluzione d’ottobre, che segue di pochi mesi quella di febbraio che aveva portato al potere la borghesia socialdemocratica costringendo lo zar alla abdicazione ai propri poteri assoluti, la “massa di manovra”, la classe operaia prende lei stessa l’iniziativa e scalza la borghesia assumendo tutto il potere politico. L’evento è culturalmente devastante per le nuove classi capitaliste dell’occidente industrializzato, persino più grave della stessa guerra mondiale che aveva bensì violentemente opposto una borghesia nazionale a un’altra, ma mai messo in discussione il sistema di potere economico, cioè di dominio sulle classi lavoratrici. Non farà in tempo a finire la prima guerra mondiale con la disfatta degli imperi centroeuropei, che le nazioni vincitrici, consapevoli del pericolo del “contagio” bolscevico, passeranno ad aggredire la neonata Unione Sovietica sostenendo, finanziando e in taluni casi anche con interventi diretti, le diverse “armate bianche” che per tre anni semineranno per l’immenso territorio russo le
devastazioni di una violentissima guerra civile. L’esistenza e la sopravvivenza dell’Unione Sovietica, il primo grande Stato governato dai lavoratori, svolge quindi un ruolo di grandissima importanza nel provocare la nascita dei partiti comunisti nell’Europa occidentale, ma anche nel condizionarne le loro strategie politiche. La principale chiave di lettura va ricercata proprio nella costituzione della Terza Internazionale, voluta da Lenin e poi sempre diretta dall’Unione Sovietica. L’internazionale Comunista nasce con una chiara intenzione, sancita dai 21 punti del secondo Congresso di Mosca del 1920, di creare una rete di partiti gerarchicamente legati a un organismo unitario centralizzato, il Comintern, sostanzialmente costruito a baluardo dello Stato proletario. Per alcuni anni, si usa dire dopo alla morte Lenin ma è forse assai più corretto dire ancora vivente Lenin, ci sarà un aspro dibattito, sia all’interno dell’Unione Sovietica che negli Stati e nei partiti occidentali, sul modo di interpretare il termine “difesa”. Per le correnti più estreme, che poi lo stesso Lenin chiamerà “estremiste” definendo con tale termine una “malattia infantile” del comunismo, la difesa veniva intesa in forma “aggressiva”, attraverso l’espansione mondiale dell’esperienza rivoluzionaria russa. Per altre correnti, che poi si definiranno almeno nella storia del PCdI “il centro”, la difesa ben presto verrà interpretata esattamente al contrario, nel senso della protezione dell’Unione Sovietica. Nella “vulgata” comune la prima tesi viene riferita a Trotskj, la seconda a Stalin, ma, come sopra accennato, è da credere che già Lenin, dopo il fallimento di talune rivolte pre-rivoluzionarie, quali ad esempio il movimento Spartachista in Germania e i Consigli di Fabbrica in Italia, avesse compreso la impossibilità della “ripetizione” pura e semplice dell’esperienza rivoluzionaria russa negli altri Stati capitalisti europei e, quindi, avesse lui stesso condiviso la necessità di una scelta strategica prioritariamente difensiva dell’Unione Sovietica. D'altronde è lo stesso Lenin che vara la NEP, Nuova Politica Economica, restituendo temporaneamente parte del potere economico alla classe borghese e contrattando con gli industriali occiden-
tali (emblematico il caso della Ford che costruisce un proprio stabilimento di trattori nell’Unione Sovietica), assumendo la priorità della ricostruzione dell’economia, soprattutto industriale, russa distrutta dalla guerra mondiale prima e da quella civile poi. Non stupisce quindi che sarà proprio Gramsci, ben prima o comunque in piena condivisione con Togliatti (poi segretario del Cominter), a fare proprie, con le tesi del Congresso di Lione del 1926 (ove verrà liquidata la componete più estremista di Bordiga), le strategie dei “fronti uniti” con i partiti socialisti, del parlamentarismo democratico, ecc., richieste dall’Unione Sovietica a tutti i partiti comunisti dell’occidente. L’Unione Sovietica riconoscerà il primo governo Mussolini e il PCdI parteciperà alle ultime elezioni politiche libere, anche se totalmente truccate da un sistema di “superpremio” maggioritario (assai simile a quello oggi in vigore), dissociandosi poi dalla sterile opposizione dell’ “Aventino” piegata sulla speranza dell’intervento di un re oramai votato alla subordinazione fascista, cercando di resistere in Parlamento alla deriva dittatoriale che poi metterà fuori legge tutti i partiti, non solo i comunisti di Gramsci, ma anche popolari di Don Sturzo e liberali di Giolitti. Alcuni anni più tardi, nel 1939, l’Unione Sovietica negozierà il trattato MolotovRibbentrop di non aggressione con la Germania nazista, cercando di allontanare il tempo di una aggressione comunque certa per meglio preparare le proprie difese. Certamente, dunque, i partiti comunisti dell’occidente furono fortemente condizionati dalla priorità della difesa della “cittadella assediata”, ma in quella “cittadella” trovarono tutti, italiani, francesi, tedeschi, spagnoli, ecc., rifugio dalle persecuzioni del loro Paesi e spazi e strumenti per riorganizzare i loro partiti clandestini e prepararsi a rientrare nelle rispettive nazioni una volta finita la guerra e cadute le dittature. Yalta non cambierà queste logiche, ma assai più grande sarà lo spazio di difesa dei popoli sfruttati del Mondo. E’ dentro questo complesso scenario geo-politico che occorre valutare quella che viene “incoltamente” definita la dittatura stalinista, ma su questo “difficile” tema torneremo prossimamente.
III
Il tempo “sbagliato”
Il Partito “intellettuale organico” delle classi subalterne La conquista del potere attraverso la conquista dell’ “egemonia” “Le idee – scrive Gramsci non nascono da altre idee, le filosofie non sono partorite da altre filosofie, esse sono l'espressione rinnovata dello sviluppo storico.” “Le forze materiali non sarebbero concepibili storicamente senza forma, e le ideologie sarebbero ghiribizzi individuali senza le forze materiali.” Le idee nascono dallo sviluppo storico del reale, ne sono l'espressione, ma nello stesso tempo hanno il potere di cambiare la storia. Ecco perché le idee non sono figlie di idee, ma nascono da rapporti storici reali. Nel momento in cui il capitalismo è entrato nella fase monopolistica e le grandi masse sulla scena della storia, il problema della sovrastruttura diviene determinante. Prendere il potere significa, innanzitutto, occupare le "casematte dello Stato", cioè quegli apparati della società civile, come la scuola, i partiti, i sindacati, la stampa, che hanno il compito di inculcare nelle menti delle grandi masse i valori della classe dominante. La supremazia di un gruppo sociale non può attuarsi solo col dominio e con la forza, deve avvalersi degli apparati egemonici della società civile, deve evocare il consenso più am-
pio. Il potere non è dominio, è egemonia, intesa essenzialmente come capacità di direzione intellettuale e morale. Ogni classe sociale tende a produrre i propri intellettuali organici connessi ai propri bisogni e alla propria mentalità. Le masse dei lavoratori e degli sfruttati debbono dotarsi di una loro guida intellettuale e l’ “intellettuale organico” alle classi subalterne è il partito comunista che, rap-
presentando la totalità degli interessi e delle aspirazioni della classe lavoratrice, si configura come la sua guida politica, morale ed ideale. Per questa sua capacità unificatrice delle istanze popolari e per il suo fermo tendere ver-
so un supremo fine politico, Gramsci denomina il partito comunista "moderno Principe", con l'avvertenza che, mentre per Machiavelli esso si identifica in un individuo concreto, per i comunisti si tratta di un organismo in cui si concreta la volontà collettiva della classe rivoluzionaria. In un sistema capitalistico organico e globalizzato la strategia rivoluzionaria non può essere frontale, cioè alla "fac-
ciata dello Stato", deve invece dirigersi in profondità, mediante una "snervante guerra di posizione", contro le "fortezze" e le "casematte" del nemico, ossia contro l'insieme delle istituzioni della società civile. Si tratta di logorare pro-
gressivamente la supremazia di classe della borghesia, conquistando i punti strategici della società civile, e ponendo così le premesse per la conquista del potere e la realizzazione della propria egemonia. La conquista dello Stato borghese deve avvenire dunque dall'interno della società, attraverso una "battaglia delle idee" e sulla base di una prospettiva sociale, economica, politica, intellettuale e morale, che sia in grado di ottenere il consenso delle masse. Il Partito “intellettuale organico” deve ricucire la frattura tra cultura e vita, tra cultura e masse, operata dall'intellettuale tradizionale membro di una casta separata dal popolo-nazione e, dunque, deve essere portatore di una "cultura nazional-popolare" che rappresenta il cemento del rapporto tra dirigenti e diretti, tra governanti e governati. Solo se riesce ad ottenere il consenso di tutte masse subalterne e sfruttate, il partito comunista può creare un sistema di alleanze di classe che gli permetta di mobilitare contro lo Stato borghese la maggioranza della popolazione lavoratrice e diventare classe dirigente e dominante.
Le Internazionali Dalla Prima Internazionale fondata da Marx nel 1864 alla Terza Internazionale fondata da Lenin nel 1919
II
Nell'anno 1864 fu fondata a Londra la prima Associazione internazionale degli operai, la Prima Internazionale. Negli Statuti generali di quest'Associazione internazionale degli operai è detto che: a) l'emancipazione della classe operaia deve essere l'opera della classe operaia stessa; b) la lotta per l'emancipazione della classe operaia non è una lotta per privilegi di classe e monopoli, ma per stabilire eguali diritti e doveri e per abolire ogni dominio di classe; c) la soggezione economica del lavoratore a colui che gode del monopolio dei mezzi di lavoro, cioè delle fonti della vita, forma la base della servitù in tutte le sue forme, la base di ogni miseria sociale, di ogni degradazione spirituale e dipendenza politica; d) di conseguenza, l'emancipazione economica della classe operaia è il grande fine cui deve essere subordinato, come mezzo, ogni movimento politico; e) tutti gli sforzi per raggiungere questo grande fine sono finora falliti per la mancanza di solidarietà tra le molteplici categorie di operai di ogni paese e per l'assenza di un'unione fraterna fra le classi operaie dei diversi paesi; e) l'emancipazione
degli operai non è un problema locale né nazionale, ma un problema sociale che abbraccia tutti i paesi in cui esiste la società moderna, e la cui soluzione dipende dalla collaborazione pratica e teorica dei paesi più progrediti; f) il presente risveglio della classe operaia nei paesi industrialmente più progrediti d'Europa, mentre ridesta nuove speranze ed è in pari tempo un serio ammonimento a non ricadere nei vecchi errori, esige l'unione immediata dei movimenti ancora disuniti. La Seconda Internazionale, che fu fondata nel 1889 a Parigi, s'impegnò a proseguire l'opera della Prima Internazionale. Ma nel 1914, all'inizio del massacro mondiale, subì un crollo completo. Soffocata dall'opportunismo, disgregata dal tradimento dei dirigenti che erano passati dalla parte della borghesia, la Seconda Internazionale si
spezzò. La Terza Internazionale comunista, fondata nel marzo 1919 a Mosca, capitale della Repubblica socialista federativa sovietica russa, proclama solennemente a tutto il mondo di assumere su di sé la grand'opera iniziata dalla prima Associazione internazionale degli operai, di volerla continuare e portare a termine e per compiere, secondo le parole di Lenin, il primo passo verso la Repubblica internazionale dei soviet e la vittoria mondiale del comunismo. Dopo questo primo atto formale di costituzione, l'Internazionale comunista tenne nel luglio-agosto del 1920 il suo secondo congresso, cui parteciparono delegazioni di trentasette paesi e che tracciò le basi ideali e programmatiche accogliendo i ventuno punti proposti da Lenin: i partiti che intendevano aderire si impegnavano a
darsi una struttura analoga a quella del Partito comunista sovietico, a sostenere l'Urss, a rispettare le direttive del Comintern, a lottare contro la socialdemocrazia per favorire la nascita di autonomi partiti rivoluzionari. A dirigere l'Internazionale venne designato un comitato esecutivo permanente, con sede a Mosca, il cui primo presidente fu G.E. Zinov'ev. Negli anni successivi il Comintern risentì pesantemente dei conflitti interni al gruppo dirigente del Partito comunista dell'Urss, che condizionò le scelte politiche subordinando in più di un'occasione agli interessi nazionali sovietici le esigenze dei partiti comunisti dei vari stati, soprattutto negli anni di Stalin e della sua teoria del socialismo in un solo paese. Anche lo scioglimento dell'organizzazione, nel maggio 1943, maturò come conseguenza della politica estera sovietica che, durante la guerra contro il nazismo, volle lanciare agli alleati occidentali un segnale di riconciliazione accantonando, con l'Internazionale, il progetto della rivoluzione mondiale di cui questa doveva essere lo strumento operativo.
I partititi comunisti e la difesa dell’URSS
1919-1920 il “Biennio Rosso”, nascono i “Consigli di Fabbrica”, i “soviet” italiani La FIOM, alla guida di 500mila operai metal- Ai Commissari di reparto delle meccanici, occupa le fabbriche del nord e da Officine Fiat Centro e Brevetti vita ad esperimenti di autogestione più saldo disciplinarsi, nell'ofCompagni! La nuova forma La storia del Biennio Rosso iniziò a Torino il 13 settembre 1919 con la pubblicazione sulla rivista Ordine Nuovo del manifesto “Ai commissari di reparto delle officine Fiat Centro e Brevetti”, nel quale si ufficializzava l’esistenza e il ruolo dei Consigli di fabbrica quali nuclei di gestione autonoma delle industrie da parte degli operai. Già tre mesi prima Gramsci e Togliatti avevano affrontato il problema, sempre sulla stessa rivista, in un articolo chiamato “Democrazia operaia”. Torino, culla dell’industrializzazione italiana, si prefigurava così come il centro propulsore del bolscevismo, in quanto la struttura dei Consigli proposta dagli ordinovisti ricalcava, seppur con peculiarità proprie, quella dei Soviet russi. Le proteste iniziarono nelle fabbriche di meccanica, per poi continuare nelle ferrovie, trasporti e in altre industrie, mentre i contadini occupavano le terre. Le agitazioni si diffusero anche nelle campagne della pianura padana, innescando duri scontri fra proprietari e braccianti. Nelle fabbriche di Torino e Milano gli operai, però, fecero molto più che un’occupazione, sperimentando per la prima volta forme di autogestione operaia: 500.000 metalmeccanici lavoravano e producevano da se stessi e per se stessi. Il fenomeno si estese rapidamente ad altre fabbriche del Nord, coinvolse il movimento anarchico ma venne solo in parte appoggiato dal P.S.I., che in quel momento era diviso tra riformisti e massimalisti. Gramsci avvertì l’incapacità dei
politici socialisti di fronte a queste manifestazioni di autogoverno proletario, e cercò di dare sistemazione, teorica prima, e pratica poi, al movimento operaio. Nulla potè, però, contro la reazione degli industriali, appoggiati dal governo e da questo aiutati con migliaia di militari in assetto di guerra. Dal 28 marzo 1920 si delinearono i due blocchi, da una parte gli operai con lo sciopero ad oltranza, dall’altra i proprietari, che adottarono la serrata come reazione alle richieste operaie. Dopo alcuni mesi di trattative sugli aumenti salariali, sempre respinti dalla Confederazione Generale dell’Industria, si alzò il livello del conflitto con l’occupazione armata delle fabbriche da parte degli operai, il 30 agosto del 1920. Giolitti rifiutò di far intervenire la polizia e l'esercito nelle fabbriche e aspettò che il movimento si esaurisse da sé, che terminassero le scorte di materie prime nei magazzini delle aziende occupate, che gli stessi operai si rendessero conto che l'occupazione non poteva durare più a lungo. Nello stesso tempo favorì le trattative fra gli industriali e sindacati e, praticamente, obbligò gli industriali a concedere ai lavoratori i miglioramenti di salario richiesti. Così all’inizio di ottobre del 1920 Giolitti riuscì a far accettare un compromesso tra le parti sociali, avendo anche predisposto un progetto di legge per controllo operaio su fabbriche, mai attuato. Le agitazioni operaie ebbero risultati economici positivi: i lavoratori ottennero miglioramenti nel salario e nelle con-
Medaglia commemorativa della FIOM delle occupazioni del 1920 dizioni di lavoro; la durata massima della giornata lavorativa passò da 11 ore a 8 ore. Assai diverse furono invece le conseguenze sul piano politico. La mancanza di un forte partito in grado di guidare gli operai e i contadini verso la conquista del potere politico non solo fece retrocedere il movimento, ma di fatto aprì la porta alla reazione padronale, industriale e agraria, che a tal fine utilizzò, sostenendolo e finanziandolo, l’emergente fascismo. Grandissima fu allora la responsabilità non solo dei liberali (fu lo stesso Giolitti a favorire l'ascesa del fascismo quando, in occasione delle elezioni del maggio 1921, cercando di assorbire i fascisti nella normale prassi parlamentare, li inserì nei Blocchi nazionali), ma dello stesso partito popolare di don Sturzo che più preoccupato dall’avanzata dei socialisti e comunisti sottovalutò il pericolo del fascismo che poi, dopo il Concordato con il Vaticano, metterà fuori legge anche il partito dei cattolici.
che la commissione interna ha assunto nella vostra officina con la nomina dei commissari di reparto e le discussioni che hanno preceduto e accompagnato questa trasformazione non sono passate inavvertite nel campo operaio e padronale torinese. Da una parte si accingono a imitarvi le maestranze di altri stabilimenti della città e della provincia, dall'altra i proprietari e i loro agenti diretti, gli organizzatori delle grandi imprese industriali, guardano a questo movimento con interesse crescente e si chiedono e chiedono a voi quale può essere lo scopo cui esso tende, quale il programma che la classe operaia torinese si propone di realizzare. ... Il bisogno, l'aspirazione da cui trae la sua origine il movimento rinnovatore dell'organizzazione operaia da voi iniziato, sono, crediamo noi, nelle cose stesse, sono una conseguenza diretta del punto cui è giunto, nel suo sviluppo, l'organismo sociale ed economico basato sull'appropriazione privata dei mezzi di scambio e di produzione. ... E se è vero che la società nuova sarà basata sul lavoro e sul coordinamento delle energie dei produttori, i luoghi dove si lavora, dove i produttori vivono e operano in comune, saranno domani i centri dell'organismo sociale e dovranno prendere il posto degli enti direttivi della società odierna. ... La massa operaia deve prepararsi effettivamente all'acquisto della completa padronanza di se stessa, e il primo passo su questa via sta nel suo
ficina, in modo autonomo, spontaneo e libero. Né si può negare che la disciplina che col nuovo sistema verrà instaurata condurrà a un miglioramento della produzione, ma questo non è altro che il verificarsi di una tesi del socialismo: quanto più le forze produttive umane, emancipandosi dalla schiavitù cui il capitalismo le vorrebbe per sempre condannate, prendono coscienza di sé, si liberano e liberamente si organizzano, tanto migliore tende a diventare il modo della loro utilizzazione: l'uomo lavorerà sempre meglio dello schiavo. A coloro poi che obiettano che in questo modo si viene a collaborare con i nostri avversari, con i proprietari delle aziende, noi rispondiamo che invece questo è l'unico mezzo di dominio, perché la classe operaia concepisce la possibilità di fare da sé e di fare bene: anzi, essa acquista di giorno in giorno più chiara la certezza di essere sola capace di salvare il mondo intiero dalla rovina e dalla desolazione. ... Eletti da una maestranza nella quale sono ancora numerosi gli elementi disorganizzati, vostra prima cura sarà certamente quella di farli entrare nelle file dell'organizzazione, opera che del resto vi sarà facilitata dal fatto che essi troveranno in voi chi sarà sempre pronto a difenderli, a guidarli, ad avviarli alla vita della fabbrica. Voi mostrerete loro con l'esempio che la forza dell'operaio è tutta nell'unione e nella solidarietà coi suoi compagni. Antonio Gramsci Ordine Nuovo - 1919
Il Partito Comunista d’Italia, come peraltro molti dei nuovi partiti comunisti occidentali, nasce nel momento sbagliato. Paradossalmente l’ala rivoluzionaria del partito socialista si stacca e si costituisce in partito autonomo nel momento in cui la spinta rivoluzionaria che ha aveva sconvolto grande parte dell’Europa occidentale all’indomani della fine del massacro della prima guerra mondiale, anche sull’emozione del successo della rivoluzione russa, si stava esaurendo e veniva repressa sempre più violentemente, mentre si stavano aprendo le porte alle nuove dittature fascista e nazista, ma anche a forti irrigidimenti antidemocratici negli altri grandi paesi europei. La fine dell’ottocento, grazie anche alla prima esperienza di governo popolare della Comune di Parigi del 1870, ma soprattutto in seguito alla forte industrializzazione che aveva interessato quasi tutti gli Stati europei, Russia inclusa, creando la nuova classe operaia, aveva visto una crescita esponenziale dei partiti e dei movimenti socialisti. Era quest’ultimo un magna assai eterogeneo che includeva componenti fortemente rivoluzionarie, ma anche buona parte della nuova borghesia industriale e cittadina che ambiva a conquistare, dopo quello economico, anche il potere politico, liquidando i residui della vecchia aristocrazia terriera e parassitaria. La guerra mondiale aveva fortemente incrementato la industrializzazione, inevitabilmente anche in funzione bellica, aumentando nello stesso tempo il peso della nuova classe capitalista e la dimensione di massa di quella operaia. In molti Stati, Russia inclusa, erano i nuovi partiti socialisti o socialdemocratici ad avere messo in discussione il potere delle vecchie oligarchie facendo base anche sulla nuova classe dei lavoratori dell’industria e delle città. In Russia era però avvenuto un “salto”. Con la rivoluzione d’ottobre, che segue di pochi mesi quella di febbraio che aveva portato al potere la borghesia socialdemocratica costringendo lo zar alla abdicazione ai propri poteri assoluti, la “massa di manovra”, la classe operaia prende lei stessa l’iniziativa e scalza la borghesia assumendo tutto il potere politico. L’evento è culturalmente devastante per le nuove classi capitaliste dell’occidente industrializzato, persino più grave della stessa guerra mondiale che aveva bensì violentemente opposto una borghesia nazionale a un’altra, ma mai messo in discussione il sistema di potere economico, cioè di dominio sulle classi lavoratrici. Non farà in tempo a finire la prima guerra mondiale con la disfatta degli imperi centroeuropei, che le nazioni vincitrici, consapevoli del pericolo del “contagio” bolscevico, passeranno ad aggredire la neonata Unione Sovietica sostenendo, finanziando e in taluni casi anche con interventi diretti, le diverse “armate bianche” che per tre anni semineranno per l’immenso territorio russo le
devastazioni di una violentissima guerra civile. L’esistenza e la sopravvivenza dell’Unione Sovietica, il primo grande Stato governato dai lavoratori, svolge quindi un ruolo di grandissima importanza nel provocare la nascita dei partiti comunisti nell’Europa occidentale, ma anche nel condizionarne le loro strategie politiche. La principale chiave di lettura va ricercata proprio nella costituzione della Terza Internazionale, voluta da Lenin e poi sempre diretta dall’Unione Sovietica. L’internazionale Comunista nasce con una chiara intenzione, sancita dai 21 punti del secondo Congresso di Mosca del 1920, di creare una rete di partiti gerarchicamente legati a un organismo unitario centralizzato, il Comintern, sostanzialmente costruito a baluardo dello Stato proletario. Per alcuni anni, si usa dire dopo alla morte Lenin ma è forse assai più corretto dire ancora vivente Lenin, ci sarà un aspro dibattito, sia all’interno dell’Unione Sovietica che negli Stati e nei partiti occidentali, sul modo di interpretare il termine “difesa”. Per le correnti più estreme, che poi lo stesso Lenin chiamerà “estremiste” definendo con tale termine una “malattia infantile” del comunismo, la difesa veniva intesa in forma “aggressiva”, attraverso l’espansione mondiale dell’esperienza rivoluzionaria russa. Per altre correnti, che poi si definiranno almeno nella storia del PCdI “il centro”, la difesa ben presto verrà interpretata esattamente al contrario, nel senso della protezione dell’Unione Sovietica. Nella “vulgata” comune la prima tesi viene riferita a Trotskj, la seconda a Stalin, ma, come sopra accennato, è da credere che già Lenin, dopo il fallimento di talune rivolte pre-rivoluzionarie, quali ad esempio il movimento Spartachista in Germania e i Consigli di Fabbrica in Italia, avesse compreso la impossibilità della “ripetizione” pura e semplice dell’esperienza rivoluzionaria russa negli altri Stati capitalisti europei e, quindi, avesse lui stesso condiviso la necessità di una scelta strategica prioritariamente difensiva dell’Unione Sovietica. D'altronde è lo stesso Lenin che vara la NEP, Nuova Politica Economica, restituendo temporaneamente parte del potere economico alla classe borghese e contrattando con gli industriali occiden-
tali (emblematico il caso della Ford che costruisce un proprio stabilimento di trattori nell’Unione Sovietica), assumendo la priorità della ricostruzione dell’economia, soprattutto industriale, russa distrutta dalla guerra mondiale prima e da quella civile poi. Non stupisce quindi che sarà proprio Gramsci, ben prima o comunque in piena condivisione con Togliatti (poi segretario del Cominter), a fare proprie, con le tesi del Congresso di Lione del 1926 (ove verrà liquidata la componete più estremista di Bordiga), le strategie dei “fronti uniti” con i partiti socialisti, del parlamentarismo democratico, ecc., richieste dall’Unione Sovietica a tutti i partiti comunisti dell’occidente. L’Unione Sovietica riconoscerà il primo governo Mussolini e il PCdI parteciperà alle ultime elezioni politiche libere, anche se totalmente truccate da un sistema di “superpremio” maggioritario (assai simile a quello oggi in vigore), dissociandosi poi dalla sterile opposizione dell’ “Aventino” piegata sulla speranza dell’intervento di un re oramai votato alla subordinazione fascista, cercando di resistere in Parlamento alla deriva dittatoriale che poi metterà fuori legge tutti i partiti, non solo i comunisti di Gramsci, ma anche popolari di Don Sturzo e liberali di Giolitti. Alcuni anni più tardi, nel 1939, l’Unione Sovietica negozierà il trattato MolotovRibbentrop di non aggressione con la Germania nazista, cercando di allontanare il tempo di una aggressione comunque certa per meglio preparare le proprie difese. Certamente, dunque, i partiti comunisti dell’occidente furono fortemente condizionati dalla priorità della difesa della “cittadella assediata”, ma in quella “cittadella” trovarono tutti, italiani, francesi, tedeschi, spagnoli, ecc., rifugio dalle persecuzioni del loro Paesi e spazi e strumenti per riorganizzare i loro partiti clandestini e prepararsi a rientrare nelle rispettive nazioni una volta finita la guerra e cadute le dittature. Yalta non cambierà queste logiche, ma assai più grande sarà lo spazio di difesa dei popoli sfruttati del Mondo. E’ dentro questo complesso scenario geo-politico che occorre valutare quella che viene “incoltamente” definita la dittatura stalinista, ma su questo “difficile” tema torneremo prossimamente.
III
Enrico Berlinguer un marxista-leninista rivoluzionario
rale erano allora patrimonio indiscusso del partito comunista italiano. Come scriveva Pasolini il partito comunista era un paese eccellente in un paese squalificato. Indipendentemente dalla percentuale del consenso elettorale il partito comunista italiano era allora in grado, non solo di influire sulla politica nazionale, ma anche di condizionarne significativamente le scelte. Erano gli anni dell’affermazione
to nella senilità politica, culturale e morale brezneviana, anch’essa affondata nel pantano della guerra afghana. La “guerra fredda” era finita perché erano entrati in crisi ambedue i contendenti; si aprivano allora, o almeno sembravano aprirsi nuovi scenari di liberazione del mondo, tanto in occidente quanto in oriente. I comunisti, marxisti-leninistigramsciani (la Cina era ancora molto lontana dal far sentire il
dei diritti civili, dei diritti dei lavoratori, del diritto alla salute, dello stato sociale in genere, della istruzione e della espansione della cultura nel senso più ampio e vasto. Ma erano anche gli anni del collasso economico degli US A che con Nixon annullarono la parità del dollaro con l’oro e di lì a poco perderanno la guerra del Vietnam; ma anche della quasi speculare implosione del sistema sovietico ingessa-
suo peso politico e ideologico) erano pronti ad assumere il governo anche in sistemi economici capitalisti, in occidente come in oriente. Ad oriente nel 1968 i comunisti cecoslovacchi avevano intrapreso con Dubcek un tentativo di rivoluzione del così detto socialismo reale. In occidente nel 1970 il fronte di Unità Popolare di Salvador Allende aveva vinto le elezioni in Cile è posto mano al progetto di liberazio-
ne del sud America dall’imperialismo USA. Il primo esperimento venne represso dai carri armati della Russia di Brezniev, il secondo dal colpo di stato organizzato, finanziato e diretto dagli USA. Era l’11 settembre 1973, il giorno in cui, con il bombardamento del palazzo della Moneda di Santiago del Cile e l’assassinio del presidente democraticamente eletto Salvador Allende, apparve chiaro che non era possibile cambiare le regole della divisione del mondo sancite negli accordi di Yalta e che non sarebbe mai stato consentito a un partito comunista di assumere il governo di un paese capitalista, anche con la maggioranza dei voti democraticamente espressi. Il percorso della conquista del potere per via parlamentare andava dunque interrotto e questo ha fatto Berlinguer con la “svolta” del compromesso storico. Non si trattava più di inseguire la conquista delle masse dei lavoratori cattolici alla fiducia e alla guida del partito comunista, ma di negoziare con l’altra parte, con l’avversario, cioè di “compromettere”. Individuare gli interlocutori del compromesso nel magma della cupola democristiana non fu difficile per Berlinguer: da un lato la così detta sinistra cristiana sociale e popolare, dall’altro la componente storicamente antiamericana e anti israeliana, quella legata alla chiesa romana; Moro e Andreotti i due interlocutori disponibili. Il progetto sembrava avere avuto successo e il PCI giunse sino a dare l’appoggio esterno a un governo monocolore presieduto da Andreotti. Sembrava ma non era così. Il 16 marzo 1978 gli americani e i loro esecutori italiani fecero sequestrare Aldo Moro da sedi-
denza delle nazioni, e per sviluppare in masse sempre più estese l’impegno democratico e rivoluzionario per modificare ulteriormente, nel mondo e in ogni paese, i rapporti di forza a vantaggio delle classi lavoratrici, dei movimenti di liberazione nazionale e di tutto lo schieramento democratico e antimperialistico. Gli avvenimenti del Cile possono e devono suscitare, insieme a un possente e duraturo movimento di solidarietà con quel popolo, un più generale risveglio delle coscienze democratiche, e soprattutto una azione per l’entrata in campo di nuove forze disposte a lottare concretamente contro l’imperialismo e contro la reazione. A questo fine è indispensabile assolvere anche al compito di una attenta riflessione per trarre dalla tragedia politica del Cile utili insegnamenti relativi a un più ampio e approfondito giudizio sia sul quadro internazionale, sia sulla strategia e tattica del movimento operaio e democratico in vari paesi, tra i quali il nostro [...] Il nostro partito ha sempre tenuto conto del rapporto imprescindibile tra questi due piani. Da una parte, come ci ha abituato a fare Togliatti, abbiamo cercato di valutare freddamente le condizioni complessive dei rapporti mondiali e il
contesto internazionale in cui è collocata l’Italia. Dall’altra parte ci siamo sforzati di individuare esattamente lo stato dei rapporti di forza all’interno del nostro paese. In particolare abbiamo sempre dato il dovuto peso in tutta la nostra condotta al dato fondamentale costituito dall’appartenenza dell’Italia al blocco politico-militare dominato dagli Usa e agli inevitabili condizionamenti che ne conseguono. Ma la consapevolezza di questo dato oggettivo non ci ha certo portato all’inerzia e alla paralisi. Abbiamo reagito e reagiamo con la nostra iniziativa e con la nostra lotta. Tutti i tentativi di schiacciarci o di isolarci li abbiamo respinti. La nostra forza e la nostra influenza fra le masse popolari e nella vita nazionale sono anzi cresciuti. Su questa strada si può e si deve andare avanti. Dunque, anzitutto, si tratta di modificare gli interni rapporti di forza in misura tale da scoraggiare e rendere vano ogni tentativo dei gruppi reazionari interni e internazionali di sovvertire il quadro democratico e costituzionale, di colpire le conquiste raggiunte dal nostro popolo, di spezzarne l’unità e di arrestare la sua avanzata verso la trasformazione della società. [...] Gli avvenimenti cileni ci solleci-
Il “Compromesso Storico” Le ragioni della “svolta” e le conseguenze del suo fallimento La “svolta” del compromesso storico voluta da Enrico Berlinguer non ha rappresentato uno dei passaggi di maggiore rilevanza nella storia del comunismo italiano ed europeo, tuttavia la sua vicinanza nel tempo, il perdurare delle conseguenze del suo fallimento e, soprattutto, il persistere delle condizioni del contesto geopolitico che ebbero allora a produrla, rendono ancora quanto mai attuale la sua analisi. Occorreranno però due premesse molto importanti: una di lessico, la seconda di identificazione politica che, come si vedrà, sono unite da uno stretto legame dialettico. Il lessico riguarda l’interpretazione della parola “svolta” che, nelle vicende del partito comunista, viene usata in modo del tutto improprio. Svolta in lingua italiana significa “mutamento di direzione”, ebbene non ci sono e non si sono mai stati mutamenti di direzione nella oramai secolare vicenda dal partito comunista, anche inteso come un unico movimento mondiale. La storia del partito comunista si è sempre mossa lungo un percorso lineare che muovendo dalla prima definizione scientifica di Marx ed Engels del 1848 si è naturalmente arricchita nel suo procedere con innumerevoli contributi teorici e pratici in coerenza con la sua natura di scienza, né dogmatica, né fideistica. Dalla prima teorizzazione scientifica di Marx all’arricchimento anche empirico di Lenin, un’unica linea costante e coerente ha legato Gramsci a Togliatti a Longo sino a Berlinguer. Questo introduce al secondo punto di
identificazione politica: Berlinguer non è stato soltanto il paladino dell’etica nella politica, caratteristica “ordinaria” per un comunista, Berlinguer è stato l’ultimo segretario di un partito comunista, formatosi alla scuola di Togliatti e di Longo, che si erano a loro volta formati con Gramsci alla scuola di Lenin. Berlinguer era un marxista-leninista, cioè un comunista rivoluzionario che perseguiva il progetto di rivoluzionamento del sistema di dominio capitalista; altre definizioni non ce ne sono. Il comprostorico, messo dunque, non è stata una “svolta”, ma un passaggio di attualizzazione storica del percorso lineare del comunismo che “abolisce lo stato di cose presente” (Marx) intrapreso da Gramsci e proseguito dal suo ultimo allievo (come segretario del partito che ne portava ancora il nome). Erano gli inizi degli anni ’70 e un grande partito comunista, il più grande mai esistito nell’occidente, forte del controllo di un grande sindacato e dialetticamente contestato ma anche arricchito da un fiorire di movimenti e organizzazioni minori comuniste, aveva forse conquistato quell’egemonia politica, etica e culturale prefigurata da Gramsci. La cultura, la scienza, l’arte, l’amministrazione, le competenze in ogni disciplina, l’onestà e la dirittura mo-
Imperialismo e coesistenza alla luce dei fatti cileni Enrico Berlinguer Rinascita, 28 settembre 1973
IV
Gli avvenimenti cileni sono stati e sono vissuti come un dramma da milioni di uomini sparsi in tutti i continenti. Si è avvertito e si avverte che si tratta di un fatto di portata mondiale, che non solo suscita sentimenti di esecrazione verso i responsabili del golpe reazionario e dei massacri di massa, e di solidarietà per chi ne è vittima e vi resiste, ma che propone interrogativi i quali appassionano i combattenti della democrazia in ogni paese e muovono alla riflessione. Non giova nascondersi che il colpo gravissimo inferto alla democrazia cilena, alle conquiste sociali e alle prospettive di avanzata dei lavoratori di quel paese è anche un colpo che si ripercuote sul movimento di liberazione e di emancipazione dei popoli latino-americani e sull’intero movimento operaio e democratico mondiale; e come tale è sentito anche in Italia dai comunisti, dai socialisti, dalle masse lavoratrici, da tutti i democratici e antifascisti. Ma come sempre è avvenuto
di fronte ad altri eventi di tale drammaticità e gravità, i combattenti per la causa della libertà e del socialismo non reagiscono con lo scoramento o solo con la deprecazione e la collera, ma cercano di trarre un ammaestramento. In questo caso l’ammaestramento tocca direttamente masse sterminate della popolazione mondiale, chiamando vasti strati sociali, non ancora conquistati alla nostra visione dello scontro sociale e politico che è in atto nel mondo di oggi, a scorgere e intendere alcuni dati fondamentali della realtà. Ciò costituisce una delle premesse indispensabili per un’ampia e vigorosa partecipazione alla lotta volta a cambiare tali dati. Anzitutto, gli eventi cileni estendono la consapevolezza, contro ogni illusione, che i caratteri dell’imperialismo, e di quello nord-americano in particolare, restano la sopraffazione e la jugulazione economica e politica, lo spirito di aggressione e di conquista, la tendenza a opprimere i popoli e a privarli della loro indipendenza, libertà e unità ogni qualvol-
ta le circostanze concrete e i rapporti di forza lo consentano. In secondo luogo, gli avvenimenti in Cile mettono in piena evidenza chi sono e dove stanno nei paesi del cosiddetto «mondo libero», i nemici della democrazia. L’opinione pubblica di questi paesi, bombardata da anni e da decenni da una propaganda che addita nel movimento operaio, nei socialisti e nei comunisti i nemici della democrazia, ha oggi davanti a sé una nuova lampante prova che le classi dominanti borghesi e i partiti che le rappresentano o se ne lasciano asservire, sono pronti a distruggere ogni libertà e a calpestare ogni diritto civile e ogni principio umano quando sono colpiti o minacciati i propri privilegi e il proprio potere. Compito dei comunisti e di tutti i combattenti per la causa del progresso democratico e della liberazione dei popoli è di far leva sulla più diffusa consapevolezza di queste verità per richiamare la vigile attenzione di tutti sui percoli che l'imperialismo e le classi dominanti borghesi fanno correre alla libertà dei popoli e all’indipen-
centi Brigate Rosse e poi, nonostante l’opposizione del Papa romano, lo condannarono a morte. Il messaggio era inequivoco: neppure il compromesso storico era praticabile in un paese sotto il dominio degli USA. Berlinguer, che pure aveva compreso la lezione del Cile, non volle arrendersi, oppure non fu più capace di “arretrare” il partito, di ricondurlo nell’unico ruolo e spazio politico possibile di grande e forte partito di opposizione, in grado di condizionare dall’esterno le scelte di un governo al quale non aveva diritto di accesso. Il partito comunista si era oramai “votato” al potere, anche perché infiltrato da uno stuolo di non comunisti, comunisti pentiti, “mai” comunisti, opportunisti in genere che avevano intravisto la possibilità di utilizzarlo come veicolo per la conquista del loro potere personale. La morte di Berlinguer, l’ascesa alla guida del partito comunista di una nuova generazione politicamente incolta e moralmente compromessa, fortunosamente aiutata dal crollo di quel che restava dello sclerotizzato regime sovietico, aprì allora la strada alla mutazione genetica di un partito non più comunista, cioè non più antagonista, ma solo alternativo in un condiviso sistema di potere capitalista. Ci sarà infine anche l’ “alleanza” ma non tra le masse popolari, bensì tra le caste (il PD). Riservandoci di tornare con maggiore profondità su questo importante passaggio della vicenda del comunismo italiano, riportiamo di seguito un estratto del primo articolo pubblicato da Berlinguer sulla rivista Rinascita all’indomani del colpo di stato in Cile che così recita: “trarre dalla tragedia politica del Cile utili insegnamenti relativi a un più ampio e approfondito giudizio sia sul quadro internazionale, sia sulla strategia e tattica del movimento operaio e democratico in vari paesi, tra i quali il nostro.”
tano a una riflessione attenta che non riguarda solo il quadro internazionale e i problemi della politica estera, ma anche quelli relativi alla lotta e alla prospettiva della trasformazione democratica e socialista del nostro paese. Non devono sfuggire ai comunisti e ai democratici le profonde differenze tra la situazione del Cile e quella italiana. Il Cile e l’Italia sono situati in due regioni del mondo assai diverse, quali l’America latina e l’Europa occidentale. Differenti sono anche il rispettivo assetto sociale, la struttura economica e il grado di sviluppo delle forze produttive, così come sono diversi il sistema istituzionale (Repubblica presidenziale in Cile, Repubblica parlamentare in Italia) e gli ordinamenti statali. Altre differenze esistono nelle tradizioni e negli orientamenti delle forze politiche, nel loro peso rispettivo e nei loro rapporti. Ma insieme alle differenze vi sono anche delle analogie, e in particolare quella che i comunisti e i socialisti cileni si erano proposti anch’essi di perseguire una via democratica al socialismo. Dal complesso delle differenze e delle analogie occorre dunque trarre motivo per approfondire e precisare meglio in che cosa consiste e come può avanzare la via italiana al socialismo.