Mensile di informazione, politica e cultura dell’Associazione Luciana Fittaioli - Anno II, n. 7 - Foligno, luglio 2010
4 pagine di inserto
Una “stufa a petrolio” C’è qualcun altro lassù?
C
on l’appellativo ironico di “stufa a petrolio” alcuni soliti critici della sinistra descrissero l’ultima nata di casa Fiat, la nuova 500, un modesto assemblaggio di vecchie tecnologie dentro un’attraente scatola nuova (un tipico caso del “mitico” made in Italy fatto di tanta immagine e scarsissima sostanza). La nuova Panda, in trasferimento dalla Polonia alla Campania, non presenta neppure questa novità estetica: è un vecchio “rottame” tecnologico che si tenta di tenere ancora in vita (cioè sul mercato) con un’alimentazione forzata fatta di sovvenzioni pubbliche e abbattimento di costi di produzione (leggi: del costo della manodopera). Questo in sintesi l’innovativo progetto del manager Marchionne: riattivare uno stabilimento regalato dallo Stato alla pluridecotta Fiat; sfruttare al massimo senza costi le risorse infrastrutturali realizzate dallo Stato; utilizzare, non risorse finanziarie proprie (la Fiat ha distribuito tutti gli utili 2009, 250 milioni circa, realizzati durante il recente crollo della sua produzione, –24% circa) ma crediti bancari rastrellati dai risparmi privati da (eventualmente) restituire con gli utili delle nuove produzioni o altrimenti trasferire (come sempre) in capo allo Stato (cioè a tutti, tranne che agli azionisti Fiat); utilizzare, infine, manodopera sostanzialmente “disperata” suscettiva di subire tagli economici, aumenti di ritmi e peggioramento delle condizioni del lavoro, cancellazione di diritti civili e sindacali. In sintesi: produrre in Italia a condizioni ambientali, economiche e giuridiche più vantaggiose (leggi: peggiori) della Polonia. Nessuno, e tanto meno chi non lo vive direttamente sulla propria pelle, può permettersi di condannare la legittima ansia di lavoro delle migliaia di disoccupati dell’area di Pomigliano e quindi di criticare la loro vulnerabilità rispetto a proposte non solo illegittime (che è già gravissimo), ma persino “indegne”. Tutti, e tanto più chi ha avuto la possibilità di accedere a strumenti di conoscenza più complessi, hanno invece il dovere di denunciare l’imbroglio e, soprattutto, il pericolo del “pro-
getto Panda”. Circa 40 anni fà l’economista Pasquale Saraceno, ideatore insieme all’ex socialista Ezio Vanoni della Cassa per il Mezzogiorno e forte sostenitore dell’industria pubblica nei settori strategici (energetico, siderurgico, cantieristico, aeronautico, chimico, ecc.), denunziò l’inadeguatezza dell’industria automobilistica nel progetto di una crescita qualitativa delle produzioni italiane in linea con il “primo” Mondo al quale il nostro Paese, da poco ex agricolo, aspirava ad entrare. Se da un lato letteralmente esplosero le eccellenze mondiali dell’industria di Stato, dall’altro si delocalizzarono in un “secondo” mondo la Zastava yugoslava, la Lada polacca, la Moscovich russa, sino più recentemente alla Duna brasiliana L’avvento del liberismo sta sgretolando e disperdendo l’eccellenza industriale pubblica e l’imprenditoria privata ritorna alla sua matrice originaria contoterzista e assistita. Torna in Italia l’industria dell’automobile, ma torna con la sua versione più arretrata, mentre nell’estremo oriente dopo le innovazioni giapponesi e sud coreane, appaiono all’orizzonte le supereconomiche indiane. Quanto durerà Pomigliano? Uno, due, tre anni? Forse. E poi cosa resterà? Un’industria arretrata, un sistema economico in regressione, una classe lavoratrice impoverita e dequalificata, questo è lo spettro reale del nostro futuro industriale. C’era uno scalatore che giunto quasi alla vetta perde tutti gli agganci e resta appeso a un esile filo al di sopra di uno strapiombo infinito. Lo scalatore, disperato, si rivolge al cielo e chiede aiuto. Una voce lo conforta e gli dice di stare tranquillo, che tutto va bene, che basta affidarsi e lasciarsi andare. Lo scalatore ci pensa un poco, guarda lo strapiombo e di nuovo verso il cielo domanda: c’è qualcun altro lassù? Un governo demente e reazionario non fa che invitare alla fiducia promettendo la ripresa dietro l’angolo e propone la Panda a Pomigliano, invitando i lavoratori a lasciarsi andare. C’è qualcun altro, magari a “sinistra”, che sappia dire qualche cosa? (Una qualsiasi!)
all’interno La Consulta sulle “ronde”
a pagina 2
Pillola RU486 scelta di coscienza
a pagina 3
Una favolosa rottura di...
a pagina 5
Fondata sul Lavoro
a pagine 6-7
Zone a burocrazia “zero”
a pagina 8
Gambe sempre leggere
a pagina 9
Continua “Canti e Discanti”
a pagina 11
Il giornale è “on line” al sito www.piazzadelgrano.org
Cannara
Dalle antiche paludi un prodotto umile ma irrinunciabile: la cipolla FEDERICA TROMBETTONI
La Festa della Cipolla di Cannara compie trent’anni!!! Traguardo importante che dimostra l’importanza e la solidità di questa manifestazione che è una vera e propria festa per tutto il paese e che mette al centro, il prodotto tipico per eccellenza del territorio cannarese. Settembre 1981- settembre 2010, trenta candeline per un compleanno importante per una manifestazione che nel corso del tempo ha acquisito una valenza di eccellenza configurandosi non come semplice sagra ma come festa ovvero momento in cui la cipolla diventa regina e protagonista assoluta e indiscussa. Nasce nel 1981 all’interno della manifestazione del Settembre Cannarese con lo scopo di valorizzare e diffondere un prodotto umile, ma essenziale in cucina, che nella nostra terra, argillosa ed irrigua, da secoli e secoli viene coltivato e raccolto. E’ una vera e propria festa del gusto e dei sapori. Un appuntamento irrinunciabile, per gourmet ed intenditori della buona cucina, con un prodotto semplice e speciale al tempo stesso, che la fantasia e la capacità dei cuochi cannaresi riesce ogni anno ad esaltare e trasformare in un’infinita varietà di piatti e ricette dal gusto unico. La Festa della Cipolla si svolge all’interno del centro storico che, per l’occasione,
si trasforma in un unico, immenso, pregiatissimo, ristorante all’aperto. Sei gli stand gastronomici, tutti gestiti da associazioni locali, che occupano altrettante piazze del paese: Giardino Fiorito – Proloco Cannara, El Cipollaro – A.S.D. Cannara, Cortile Antico – Pro Avis Cannara Sez. Lucio Pasqualoni, Il Pescatore – Ass. Pesca Sportiva Cannara, Taverna del Castello – Ass. Culturale Amici di Collemancio, Rifugio del Cacciatore – Federazione Italiana della Caccia Sez. di Cannara. Inoltre, per l’occasione, le vie e le altre piazze del centro storico pullulano di opportunità di svago ed intrattenimento, con spettacoli musicali, teatrali e di danza ed esposizioni di arte varia. Per chi vuole fare acquisti, poi, mercatini di ogni tipo fanno da corollario alle tipiche bancarelle dei cipollari dove si possono acquistare le cipolle di Cannara confezionate nelle caratteristiche trecce. Ogni anno il successo di questa manifestazione è andato aumentando e il motivo di questa crescita costante sta nella varietà dei menù offerti, nell’alto livello qualitativo dei piatti proposti e nella straordinaria versatilità della cipolla. Nella passata edizione sono stati serviti 60000 coperti e si calcola che le persone che hanno circolato nel paese nel corso della Festa siano state 80000. La Festa della Cipolla è anche un grande momento di aggregazione sociale e di at-
taccamento alle proprie radici: tutti i cittadini di Cannara sono impegnati a vario titolo e con diversi compiti a far sì che la manifestazione riesca al meglio. La Festa quest’anno si terrà dal 1 Settembre al 5 Settembre e dal 7 Settembre al 12 Settembre, in questi giorni Cannara sarà visitata da migliaia di persone provenienti anche da altre regioni e sarà questa l’occasione per far conoscere al meglio i propri prodotti tipici e le proprie bellezze storico-artistiche e naturalistiche. La regina della festa resta ovviamente la Cipolla e negli stand gastronomici è possibile gustarla in pietanze che vanno dall’antipasto al dolce. Cibo povero per eccellenza, le cipolle non a caso si sono indissolubilmente legate al nome della nostra cittadina. Le terre di Cannara, infatti, sono quello che rimane di antiche paludi (Cannara deriva appunto da “canne”) e, insieme al clima di questa zona, offrono il binomio ideale per la coltivazione della cipolla: terreno sabbioso e umidità. La cipolla di Cannara possiede proprietà e qualità assolutamente uniche e speciali, tali da renderla un vero e proprio gioiello dell’agricoltura umbra e da meritare l’attenzione di Slow Food oltre che la ribalta di importanti manifestazioni nazionali come il Salone del Gusto di Torino. Riconoscimenti ben meritati, dovuti all’incredibile dolcezza ed alla tenerezza della sua pol-
pa, che hanno ammaliato anche grandi chef di fama nazionale e che la rendono assai prelibata e ben digeribile. Tre sono i tipi di cipolla coltivati a Cannara: la rossa, la dorata e la piatta. Tutte accomunate dalla medesima morbidezza e delicatezza, ma ognuna con qualità e caratteristiche diverse che ne consentono un uso assai variegato. Il segreto di tanta ricchezza va ricercato, come viene menzionato sopra, nella particolare conformazione del territorio cannarese, che offre condizioni ambientali ideali per questa coltivazione: terreni sabbiosi ed argillosi e, soprattutto, tanta acqua. A questo si aggiunge la perizia e la cura con cui i coltivatori cannaresi ne seguono l’intero processo produttivo, dalla semina fino alla raccolta. Si seminano a febbraio, si zappetta regolarmente il terreno e si innaffiano ogni sette, otto giorni. Alla fine di luglio si raccolgono e si stendono in un campo ad asciugare. Con sette, otto cipolle si fa una treccia, con 25 o 30 teste si fa un mazzocco. E poi, trecce e mazzocchi (mazzi) si portano alle fiere: la Festa della Cipolla ma anche le fiere di Spoleto, Foligno, Assisi e Perugia. Ogni singola fase viene, ancora oggi, svolta prevalentemente a mano, garantendo al bulbo un trattamento ed un rispetto veramente ottimali. Il risultato è che la cipolla di Cannara è un prodotto assolutamente eccellente
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FOLIGNO
Leggi e diritti
LUGLIO 2010
Non è una questione di “pubblica sicurezza” La Corte Costituzionale boccia nuovamente i tentativi del Governo di criminalizzare il disagio sociale annullando la norma che autorizza i sindaci sceriffi di avvalersi delle ronde private oltre i limiti della mera segnalazione di situazioni di concreto pericolo di commissione di reati MARCO MARIANI Il confronto (o conflitto) politico che si era manifestato alcuni mesi orsono in materia di sicurezza pubblica ed in particolare intorno alla questione delle cosiddette “ronde” è stato trasferito anche in sede di verifica costituzionale. Sono state le Regioni Toscana, Emilia Romagna e Umbria a sollevare la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 41, 42 e 43 della legge 15 luglio 2009, n. 94. La Corte Costituzionale con sentenza n. 24 giugno 2010 n. 266 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 comma 40 della legge 15 luglio 2009 limitatamente alle parole “ovvero situazioni di disagio sociale” mentre ha dichiarato non fondate le altre questioni di legittimità costituzionale dell’art 3, commi 41, 42 e 43 della medesima legge, in riferimento agli articoli117, secondo, quarto e sesto comma e 118 della Costituzione. La facoltà di avvalersi di gruppi di osservatori privati volontari (cosiddette «ronde») per il controllo del territorio si affianca al potere dei sindaci di adottare, nella veste di ufficiali del Governo, provvedimenti, anche contingibili e urgenti nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano la sicurezza urbana. Lo strumento in esame si aggiunge, per altro verso, alla possibilità, per i comuni, di utilizzare sistemi di videosorveglianza per la tutela della sicurezza urbana. Tanto premesso, il problema nodale posto dalle questioni di costituzionalità attiene alla valenza delle formule “sicurezza urbana” e “situazioni di disagio sociale”, che compaiono nel comma 40
dell’art. 3 della legge n. 94/2009 a fini di identificazione dell’oggetto delle attività cui le associazioni di volontari sono chiamate. Infatti i sindaci, previa intesa con il prefetto, possono avvalersi della collaborazione di associazioni tra cittadini non armati al fine di segnalare alle Forze di polizia dello Stato o locali eventi che possano arrecare danno alla “sicurezza urbana” ovvero “situazioni di disagio sociale”. In particolare, si tratta di stabilire se dette formule individuino o meno ambiti d’intervento inquadrabili nella materia “ordine pubblico e sicurezza”, demandata alla legislazione esclusiva statale dall’art. 117, secondo comma, lettera h). L’interrogativo, secondo la Corte Costituzionale, richiede una risposta differenziata in rapporto alle due locuzioni che vengono in rilievo. Quanto, infatti, al concetto di “sicurezza urbana”, il dettato della norma impugnata non è in contrasto con la previsione costituzionale. Infatti, per la Corte, la nozione di “sicurezza urbana” identifica un bene pubblico da tutelare attraverso attività poste a difesa, nell’ambito delle comunità locali, del rispetto delle norme che regolano la vita civile, per migliorare le condizioni di vivibilità nei centri urbani, la convivenza civile e la coesione sociale. La Corte ha ribadito che nonostante l’apparente ampiezza della definizione ora riprodotta la stessa abbia comunque ad oggetto esclusivamente la tutela della sicurezza pubblica, intesa come attività di prevenzione e repressione dei reati. Significative, in tale direzione, appaiono segnatamente le circostanze che la decisione del sindaco di avvalersi delle associazioni di volontari richieda una intesa con il pre-
fetto; che le associazioni debbano essere iscritte in un registro tenuto a cura dello stesso prefetto, previo parere, in sede di verifica dei requisiti, del comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica; che il sindaco debba preferire le associazioni costituite da personale in congedo delle Forze dell’ordine, delle Forze armate o di altri Corpi dello Stato, ossia da
granza nei casi previsti dall’art. 380 cod. proc. pen., sempre quando si tratti di reati perseguibili d’ufficio (art. 383 cod. proc. pen.). La conclusione è diversa, secondo la Corte, per quanto attiene al riferimento alternativo alle “situazioni di disagio sociale”: una espressione in rapporto alla quale non risulta, di contro, praticabile una lettura conforme al dettato
ridurne l’inquadramento nell’ambito dell’attività di prevenzione dei reati: ossia di ritenerla riferita a quelle sole situazioni di disagio sociale che, traducendosi in fattori criminogeni, determinino un concreto pericolo di commissione di fatti penalmente rilevanti. Nella sua genericità, la formula “disagio sociale” si presta, dunque, ad abbracciare una vasta platea di ipotesi di emar-
soggetti già impegnati istituzionalmente, o talvolta utilizzati in funzione integrativa nell’esercizio di attività di prevenzione e repressione dei reati; che, infine, le segnalazioni degli osservatori siano indirizzate in via esclusiva alle Forze di polizia, statali o locali. Inoltre, le associazioni di volontari svolgono una attività di mera osservazione e segnalazione e che qualsiasi privato cittadino può denunciare i reati, perseguibili di ufficio, di cui venga a conoscenza (art. 333 del codice di procedura penale) e addirittura procedere all’arresto in fla-
costituzionale. La valenza semantica propria della locuzione “disagio sociale” si coniuga, difatti, all’impiego della disgiuntiva ovvero (eventi che possano recare danno alla sicurezza urbana ovvero situazioni di disagio sociale), che rende palese l’intento del legislatore di evocare situazioni diverse ed ulteriori rispetto a quelle sottese dalla locuzione precedente. Il rilievo letterale, anche alla luce del generale canone ermeneutico del “legislatore non ridondante”, impedisce di interpretare la formula in questione in senso fortemente limitativo, tale da
ginazione o di difficoltà di inserimento dell’individuo nel tessuto sociale, derivanti dalle più varie cause (condizioni economiche, di salute, età, rapporti familiari e altre): situazioni, che reclamano interventi ispirati a finalità di politica sociale, riconducibili segnatamente alla materia dei “servizi sociali”. Per la Corte, tale materia individua, infatti, il complesso delle attività relative alla predisposizione ed erogazione di servizi, gratuiti e a pagamento, o di prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare le situazioni di bisogno e di difficoltà
Pedaggi autostradali più cari Al via dal 1° Luglio la trasformazione in strade a pagamento di 1.270 km di rete stradale che fino a ieri era gratuita ELISA BEDORI A causa della manovra per la correzione dei conti pubblici, dal 1° luglio è scattato l’aumento dei pedaggi autostradali. Dal sud al nord non c’è un incremento di una percentuale “fissa”, come si è avuto sino ad ora, ma in base all’utente (ad esempio per i mezzi pesanti è previsto un aumento più alto rispetto ai normali automobilisti) ed alla tratta, gli aumenti saranno di diversa entità. Infatti gli incrementi sono due. Innanzi tutto l’Anas applica alle concessionarie un aumento di un millesimo di euro al chilometro
per le auto (tre millesimi per i mezzi pesanti) e le concessionarie si rifanno sugli utenti con incrementi compresi fra l’1,5% ed il 5%. In secondo luogo c’è la maggiorazione forfettaria di 1 o 2 euro che serve per far pagare i tratti gestiti dall’Anas, finora gratuiti, come per esempio, il Grande Raccordo Anulare di Roma, la Tangenziale di Torino, la Firenze - Siena ed il Raccordo Bettolle – Perugia. Poiché non c’è stato il tempo materiale per adeguare la rete con i caselli necessari, il costo del mancato pedaggio viene caricato su chi transiterà dai caselli autostradali prossimi ai raccordi. Stando così le cose, l’automobilista
cha arriverà al casello autostradale di Valdichiana dovrà pagare anche per il Raccordo Bettolle – Perugia. "Lo Stato, in un momento di scarsità di risorse, doveva finanziare Anas per la manutenzione delle strade e non era in condizioni di farlo, allora il ricorso all'aumento dei pedaggi". Così il ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli, prima di partecipare all'assemblea generale dell'Ance di Bologna, spiega quali sono le ragioni del rincaro per il pedaggio autostradale scattato dal 1 luglio. Ma questo è solo l’ultimo dei numerosi aumenti che hanno caratterizzato la vita delle autostrade da quando
sono state privatizzate. Ad esempio nel ’98 si pagavano 800 lire di pedaggio sulla Roma-Civitavecchia sino all’uscita di Fiumicino. Oggi stessa uscita, stessa autostrada, stessi servizi costano 2,30 Euro. In 12 anni si è
assistito ad un aumento del pedaggio del 561%. In sintesi è aumentato più il casello dell’inflazione. Ma non basta. Infatti, bisogna calcolare che tale incremento delle tariffe inciderà pesantemente sulle tasche dei cit-
che la persona umana incontra nel corso della sua vita, escluse soltanto quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario. Neppure può essere utilmente invocato, al fine di ricondurre l’intera disciplina in esame nell’alveo della competenza statale, il criterio della prevalenza. L’applicazione di questo strumento per comporre le interferenze tra competenze concorrenti implica, infatti, da un lato, una disciplina che, collocandosi alla confluenza di un insieme di materie, sia espressione di un’esigenza di regolamentazione unitaria, e, dall’altro, che una tra le materie interessate possa dirsi dominante, in quanto nel complesso normativo sia rintracciabile un nucleo essenziale appartenente ad un solo ambito materiale, ovvero le diverse disposizioni perseguano una medesima finalità. Nell’ipotesi in esame, per contro, il riferimento alle “situazioni di disagio sociale” si presenta come un elemento spurio ed eccentrico rispetto alla ratio ispiratrice delle norme impugnate, quale dianzi delineata, finendo per rendere incongrua la stessa disciplina da esse dettata. Gli interventi del prefetto e del comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, la preferenza accordata alle associazioni fra appartenenti in congedo alle Forze dell’ordine, la circostanza che le segnalazioni dei volontari siano dirette alle sole Forze di polizia (e non, invece, agli organi preposti ai servizi sociali) – previsioni tutte pienamente coerenti in una prospettiva di tutela della “sicurezza urbana”, intesa come attività di prevenzione e repressione dei reati in ambito cittadino – perdono tale carattere quando venga in rilievo il diverso obiettivo di porre rimedio a condizioni di disagio ed emarginazione sociale.
tadini, non solo in maniera diretta, ma anche in maniera indiretta, a causa del conseguente aumento dei costi di trasporto, che si rifletterà direttamente sui beni di consumo che vengono trasportati in larghissima parte su gomma: per fortuna che non ci hanno messo le mani in tasca! Ma dove sta “l’italianata”? Sta nel fatto che sul sito delle autostrade nella sezione FAQ viene detto che è previsto un controllo sulla corretta applicazione degli adeguamenti tariffari e la Convenzione con lo Stato prevede che l'Ente preposto a questo tipo di controllo è l'ANAS. L’Anas? Ma non è la destinataria dei proventi dell’aumento dei pedaggi, come ammesso dallo stesso ministro Matteoli? Cioè Anas deve assicurarsi che le tariffe non siano gonfiate altrimenti potrebbe finire che la stessa Anas prenderebbe più soldi. Siamo così sicuri che i controlli saranno ferrei?
FOLIGNO LUGLIO 2010
Politica ed Etica
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Caligola e il suo cavallo sussidiarietà e il decentramento”. Soddisfatti dalla modifica, il rilievo che i politici di appartenenza leghista hanno mosso alla nomina è stato quello di dichiarare che “l’u-
seguito, nel mondo politico, particolari commenti negativi fino a che il titolare del nuovo ministero, dopo soli cinque giorni, ha eccepito, in base alla legge, il legittimo impedimento a parteci-
sente che il nuovo ministero, essendo tra quelli senza portafoglio, ossia privi di autonomia di spesa, non hanno una loro struttura. A seguito dell’intervento della più alta carica dello Stato e di numerosi esponenti politici non solo dell’opposizione ma anche della sua parte politica, il neoministro ha rinunciato al legittimo impedimento. Nonostante la vicenda si sia chiusa con la rinuncia al le-
nico errore fatto è stato quello di aver dato una delega sbagliata al neoministro in quanto toccava il federalismo che è, invece, una cosa della Lega”. A questa nomina, alle modalità di individuazione delle funzioni ed alla repentina modifica non hanno fatto
pare all’udienza del processo sul tentativo di scalata ad Antonveneta in cui è imputato ed ha motivato la richiesta di sospensione del processo con la necessità di organizzare il nuovo ministero, circostanza questa smentita addirittura dal Quirinale che ha fatto pre-
gittimo impedimento e con le dimissioni del ministro, non stupisce che, dopo la locuzione “leggi ad personam”, sia stata coniata quella di “ministero ad personam”. A margine di ciò, voglio ricordare che i ministri (dal latino minister che significa servo, inteso come
Il disprezzo per le istituzioni non soffre l'usura del tempo LUIGI NAPOLITANO
Uno degli aneddoti della storia dell’impero di Roma che, più di altri, ha colpito la mia immaginazione di scolaro, è stata la nomina a senatore da parte dell’imperatore Caligola del suo cavallo il cui nome, pare, fosse Incitatus. Non riuscivo ad immaginare la presenza di un cavallo nel Senato, luogo, pensavo, costruito per ospitare persone ma, soprattutto, non riuscivo a capire cosa avrebbe potuto “dire” e fare Incitatus in un contesto che mi avevano insegnato esser deputato a ospitare dibattiti e decisioni circa gli interessi e il futuro della Città. La curiosità per questa vicenda, che poi ho scoperto essere una leggenda, nata forse da una semplice dichiarazione di Caligola, mi ha indotto negli anni dell’adolescenza ad andarla ad approfondire. Ho così appurato che il breve impero di Gaio Giulio Cesare Germanico, detto Caligola, fu caratterizzato oltre che da comportamenti stravaganti, eccentrici e talvolta addirittura depravati da
una serie di atti che tendevano a una continua umiliazione della classe senatoria, il cui culmine sarebbe stato raggiunto col decreto di nomina del cavallo che esprimeva il disprezzo dell’imperatore per il Senato. Questo ricordo temporalmente risalente alla mia vita scolastica e riposto negli archivi della memoria, mi è tornato in mente leggendo le cronache legate alla nomina di un nuovo ministro, alle vicende conseguenti ed alle reazioni che ha scatenato all’interno della stessa parte politica di appartenenza. La nomina a ministro di un deputato della maggioranza, già sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, effettuata inizialmente “per l’attuazione del federalismo”, deve essere apparsa agli occhi dell’inconsapevole titolare del dicastero per le Riforme per il Federalismo, una grave deminutio, in quanto si è affrettato a dichiarare, corroborato da analoga dichiarazione del titolare del ministero dell’Economia e delle Finanze, che unico responsabile del federalismo è lui. La funzione del nuovo ministero è divenuta così “per la
Una scelta di coscienza
L’aborto è un diritto e come tale deve essere garantito GIACOMO BATTISTI
Da qualche mese anche in Italia, dopo molti anni d’inutili barricate ideologiche, è stato dato il via libera all’utilizzo del farmaco Ru486 dopo l’ultimo necessario parere favorevole dell’agenzia italiana per il farmaco. Ci si è arrivati con ritardo, con un penoso ritardo rispetto agli altri paesi europei e non solo, come per esempio la Francia dov’è liberamente somministrabile dal lontano 1988. Da noi, questo ritardo è stato “giustificato” come un tempo necessario e imprescindibile alla sperimentazione del farmaco; sarebbe da dire alla sua ri-sperimentazione, considerato che questo anti-progestinico vide la luce nei primi anni ’80 e che secondo i risultati dei più autorevoli studi scientifici a livello mondiale è efficace nel 97% dei casi, in assenza di qualsiasi evidenza di effetti collaterali secondari gravi per le donne che ne fanno utilizzo. Certo, è un farmaco e come tale deve essere prescritto, dopo visita ginecologica da un medico. Dallo stesso medico tra l’altro che può eseguire l’aborto chirurgico. Quindi, un esperto in materia. Dunque ora la questione politica, su cui si dibatte o meglio su cui alcuni stanno costruendo ulteriori barricate, sarebbe il tanto paventato rischio di “aborto casalingo”; questi, mentendo e senza nessuna
cognizione ginecologica, ci vengono a minacciare l’idea che d’ora in poi una qualsiasi donna, dopo aver acquistato senza nessuna prescrizione medica le tre pillole, possa liberamente assumerle. Non è così! Il percorso è lo stesso sia per l’aborto chirurgico, sia per quello medico; c’è la stessa visita ginecologica, c’è la stessa ecografia, si soppesano gli stessi fattori di rischio. Cambiano solo i tempi, le complicanze secondarie ed i costi (tutti ben più alti nell’aborto chirurgico). Attualmente però solo la regione Emilia-Romagna si è dotata di un suo protocollo di somministrazione che è quello della somministrazione in regime di day-hospital, senza nessun tipo di ricovero ordinario. In Piemonte, in particolare all’ospedale ginecologico S. Anna (dove è partita la ri-sperimentazione del farmaco, grazie al Prof.Viale), il protocollo interno prevede la somministrazione in regime di ricovero con la possibilità da parte della donna, se non vi siano condizioni di rischio clinico, di lasciare l’ospedale e di ripresentarsi per la seconda somministrazione dopo 3 giorni. E dai dati dell’ospedale si apprende che 3 donne su 4 scelgono questa soluzione. E quello dell’ospedalizzazione è un punto delicato, su cui si sta cercando di far resistenza, proprio appunto per far in modo che i vantaggi dell’aborto farmacologico si riducano di molto. Ma attenzione, perché questa
resistenza che si sta alzando da più parti, ma più fortemente dalla comunità cattolica, non è come si vuol far credere una battaglia contro la pillola, ma un ben più duro, inaccettabile e incivile attacco contro la legge 194 e, aggiungerei, contro la donna. Mettere in discussione questa legge, significa tornare indietro nel tempo di molto, significa tornare alle barbarie degli aborti clandestini, ma
umano”, “pillola assassina”, “veleno per bambini” non fanno altro che caratterizzare con cattiveria e con astio chi ancora non accetta che la donna possa decidere liberamente se proseguire la gravidanza oppure se terminarla. E molto spesso sono gli stessi che ancora non tollerano l’idea della contraccezione. Abortire, non è una scelta di disimpegno, non è un alienarsi le responsabilità; abor-
soprattutto tornare a un’idea di donna non più padrona del proprio corpo e delle proprie scelte. Ed anche le discussioni che si leggono nei blog e nei quotidiani, al riguardo sono altrettanto barbare: parole come “pesticida
tire, è una scelta personale, sofferta, intima e individuale; è una presa di coscienza del sé e come tale va rispettata, va accompagnata e va difesa. Perché abortire è soprattutto un diritto. E come tale deve essere garantito.
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servitore dello Stato per quel determinato ambito), normati dall’art.92 della Costituzione, sono i capi dei ministeri (intesi come importanti organi amministrativi dello Stato Italiano, distinti da una specifica competenza con struttura molto complessa), nonché membri del consiglio dei ministri, che dirigono l’azione amministrativa e adottano le decisioni di maggiore importanza. E’ evidente pertanto il prestigio di una tale posizione, così come il rispetto che coloro i quali la esercitano dovrebbe manifestare. Essendo l’impero di Caligola durato solo quattro anni e, assistendo nel nostro paese da molti più anni, oltre che all’episodio descritto, anche a tanti altri di cui sono piene le cronache, quali l’acquisto di case di cui non si conoscono gli autori dei pagamenti, vendite di palazzi nel centro di Roma a cifre di gran lunga inferiori al loro valore reale, esecuzioni di lavori pubblici appaltati a sodali e amici in totale disprezzo delle regole, condanne anche a diversi anni di carcere di per-sonaggi che rivestono cariche pubbliche di primo piano, concludo con l’augurio per noi tutti di uscire, quanto prima, da un letargo verso la continua violazione di valori etici fondamentali nel quale sembriamo caduti da troppo tempo.
Ru486 legittima in 19 paesi dell’Europa La pillola Ru486 è il primo farmaco per l'aborto farmacologico. Il suo nome scientifico è Mifepristone è uno steroide sintetico utilizzato come farmaco per l'aborto chimico nei primi due mesi della gravidanza. Il nome deriva dalle iniziali della casa farmaceutica che ne iniziò la sperimentazione in Francia negli Anni 90: la Roussel Uclaf. Nel 1980 Etienne-Emile Baulieu, lavorando per i laboratori Roussel Uclaf su derivati del progesterone scoprì un potente anti-progestinico. Il Mifepristone venne posto sul mercato in Francia nel 1988 per l'uso in combinazione con prostaglandine. Attualmente è utilizzato nel 30% per cento delle interruzioni di gravidanza. Il mifepristone fu approvato in altri Paesi europei negli anni Novanta, e negli Stati Uniti nel settembre 2000. In Italia, nel 1999 ne venne autorizzato l'uso limitatamente alla sindrome di Cushing. Nel 2003 l'Oms conferma la sicurezza del farmaco e definisce le linee guida.
Oggi è in uso in 18 Paesi dell’Unione europea (più la Svizzera), tranne l'Irlanda, la Polonia, la Lituania e Malta. Il mifepristone è uno steroide sintetico utilizzato come farmaco per l’aborto chimico fino alla settima settimana completa di gravidanza. Questa molecola agisce staccando l’embrione dall’utero, dilatando il collo e rendendolo più sensibile agli effetti della seconda pillola: il misopristolo, una molecola assunta a distanza di 48 ore dalla prima che aumenta la contrazione dell’utero e permette l’espulsione del feto. Prese entrambe le pillole portano all’aborto farmacologico. La Ru486 rappresenta un’alternativa che riduce i rischi correlati alla lesione dell’utero, che non prevede anestesia e può essere praticata molto precocemente, il che è sovente percepito come un sollievo psichico. Gli effetti collaterali relativi all'aborto farmacologico sono essenzialmente riconducibili all'utilizzo delle prostaglandine; gli studi effettuati hanno riportato dolori di tipo crampiforme, nausea, vomito, diarrea e perdite ematiche. In linea generale gli effetti collaterali della metodica farmacologica sono inferiori rispetto a quelli riscontrabili con l'intervento chirurgico.
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Corrispondenze dal Mondo
Todo para todos Nada para nosotros Donne ai vertici dell’EZLN che reclamano diritti ARIANNA BOASSO “La situazione è molto dura. Da moltissimi anni soffriamo il dolore, l'oblio, il disprezzo, l'emarginazione e l'oppressione. Soffriamo l'oblio perché nessuno si ricorda di noi.” Così si apre il discorso pronunciato davanti al Parlamento Federale il 28 marzo 2001 della Comandanta Esther, la prima rappresentante dell’ EZLN che ha parlato pubblicamente. L’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale è un movimento armato, clandestino, che si forma nel 1983 nel sud del Messico, ha come principale obiettivo il riconoscimento dei diritti indigeni delle comunità del Chiapas e l’affermazione della “ Democracia, Justicia y Libertad”. Caratteristica peculiare di questo movimento è che un terzo è rappresentato da donne e alcune ricoprono importanti ruoli, anche di comando (il maggiore Ana Maria ha guidato la conquista di San Cristobal de Las Casas nel 1994 e la già menzionata Esther). Le donne nella lotta per i diritti combattono una doppia battaglia, come troppo spesso accade, partendo svantaggia-
te devono faticare il doppio per ottenere ciò che spetta loro in quanto esseri umani; le donne lottano per affermare i diritti indigeni e culturali delle comunità di cui appartengono e i diritti di genere, di donne. Continua la Comandanta Esther: “Soffriamo anche il disprezzo e l'emarginazione fin dalla nascita perché non ci curano bene. Siccome siamo bambine, pensano che non valiamo niente, che non sappiamo pensare, né lavorare, né come vivere la nostra vita. Per questo molte di noi donne sono analfabete perché non abbiamo avuto l'opportunità di frequentare la scuola. (…)Perché donne ci picchiano, i nostri mariti o famigliari ci maltrattano e non possiamo dire nulla perché ci dicono che non abbiamo nessun diritto di difenderci…”. Le donne dell’EZLN reclamano dignità, uguaglianza, istruzione e spazi pubblici dove urlare la propria rabbia. A queste richieste sono seguite delle critiche, di chi sostiene che la maggior parte delle minoran-
ze sono patriarcali e il loro eventuale riconoscimento non farebbe che aggravare la posizione della donna, che sarebbe, per contro, più tutelata se inserita nella cultura dominante. Ma i diritti delle comunità indios e quelli delle loro donne dovrebbero andare di pari passo.
Così inizia “Il Ballo di Aureliano” dei Modena City Ramblers. “Puoi chiamarmi partigiano, bandito oppure illuso Soldato di una guerra persa prima del suo inizio Sono la tua coscienza sporca, sono un vecchio contadino Sono l'indio, il mendicante, sono l'ortica nel tuo giardino”
FOLIGNO LUGLIO 2010
Il movimento zapatista Dalla guerriglia rivoluzionaria dell’EZLN alla creazione dei Caracoles del Buon Governo La lotta degli indigeni del Chiapas per la conquista dei propri diritti dura da un secolo e solo alla fine del secondo millennio è venuto alla ribalta, provocando la mobilitazione di associazioni, movimenti, partiti e sindacati di tutto il mondo. Lo Zapatismo, benché sia presente sulla scena politica messicana ed internazionale da soli 11 anni, possiede dunque radici ben più profonde. Agli inizi del 1900 Emiliano Zapata divenne il leader dei contadini del sud del Messico nel corso di una rivolta contro la dittatura che si diffuse in tutto il paese. Dopo la sua morte le condizioni degli indigeni peggiorarono continuamente con l’ampliamento dei latifondi e lo sfruttamento dei lavoratori. Nel 1983 un piccolo gruppo costituito da meticci ed indigeni diede luogo all’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) che 11 anni dopo, il 1° gennaio 1994, contemporaneamente all’entrata in vigore del trattato di libero commercio del Nord America, occupò per dodici giorni San Cristóbal de las Casas ed altre città chiapaneche chiedendo diritti civili, democrazia, terra, diritti sociali e rispetto per la
cultura indigena. Nei dieci anni successivi il Movimento Zapatista, che ha acquistato visibilità sulla scena politica messicana e internazionale grazie all’EZLN, è stato protagonista di trattative con le istituzioni, ma anche di numerosi atti di repressione da parte di militari e paramilitari alle dipendenze del governo centrale. Nel frattempo gli indigeni del Chiapas hanno elaborato una forma di governo alternativa a quella ufficiale mediante la creazione di comunità autonome, gestite da rappresentanti eletti tramite assemblee pubbliche cui partecipa tutta la popolazione. In queste comunità vige il principio del lavoro collettivo, per cui i guadagni vengono suddivisi all’interno della comunità stessa, senza che nessuno tragga profitti personali. Intanto l’EZLN, oltre ad imbracciare le armi per difendere i diritti degli indigeni, assume anche un ruolo politico e rappresenta il punto di riferimento per la comunicazione con la società civile messicana ed internazionale. Dopo la sperimentazione dell’alternativa zapatista, il 9 agosto 2003 nascono i Caracoles, gestiti dalle Giunte del Buon Governo, in sostituzione dei
Emiliano Zapata, creatore e comandante dellEsercito di Liberazione del Sud vecchi Aguascalientes, creando una nuova forma di amministrazione delle regioni autonome zapatiste. Oggi,attraverso i Caracoles gli indigeni, poveri contadini ed abitanti senza nome del Chiapas che hanno scelto di credere nell’alternativa zapatista, amministrano con le proprie forze il territorio in cui vivono. La loro è una lotta non violenta che si concretizza nel lavoro della terra, nella costruzione di scuole e ospedali. La loro richiesta è che siano soddisfatti i diritti umani fondamentali, il diritto alla terra, il diritto alla famiglia, il diritto al cibo, il diritto alla vita.
America Latina
Uno sguardo a un immenso e variegato subcontinente tanto reclamizzato ma così poco conosciuto e studiato OSVALDO GUALTIERI Seconda parte In Perù è tornato al governo un amico di Craxi che, come lui, era finito male. La differenza è che Alan Garcìa, dopo un po’ di anni, è riuscito a riciclarsi. In Cile, dopo quasi 20 anni di governi di centrosinistra con l’ultimo Presidente Michelle Bachelet che ha finito il suo mandato con una popolarità di oltre il 65 % della popolazione, mesi fa ha vinto la destra con un Presidente miliardario. Il motivo di questo inatteso cambiamento dovrebbe essere ricercato nella scelta del candidato che ha presentato il raggruppamento del centro sinistra: un vecchio rappresentante della vecchia classe politica, senza consensi popolari. Nella Bolivia il Presidente è un indigeno sindacalista dei contadini che coltivano la Coca, oltre che un ambizioso scapolo. Da quando lui è Presidente la coltivazione di Coca è aumentata del 30 %. Lui dice che è per consumo interno e la usano per fini di medicina verde. Nel frattempo è diminuita la produzione di gas per l’esportazione che è la risorsa fondamentale per l’economia. Questo è un paese che campa principalmente
dei soldi che mandano gli emigranti ai loro famigliari. A dir il vero queste risorse sono tra i principali contributi all’economia di quasi tutti i paesi dell’ America Latina. Evo Morales, tanto per arrotondare, si fa anche finanziare dal suo amico e generoso Chavez. Finché la barca va… Uruguay una volta era considerata “la svizzera del Sudamerica” perché c’era una democrazia che funzionava. Nei famigerati anni 70 s’è messo in sintonia con il resto del Sudamerica e anche lì c’è stato un brutale colpo di stato e la dittatura militare. Adesso è salito al governo un
ex Tupamaros che si era beccato un sacco di anni di galera. E gli è andata bene che non l’hanno ammazzato. Pepe Mujica è diventato Presidente alcuni mesi fa con lo stesso Partito di sinistra del precedente Presidente, il medico Tabarè Vazquez. Questo paese e questo popolo mi piacciono molto per la loro cultura e senso di civiltà, togliendo un po’ di anni nei quali si erano messi alla pari dei altri paesi. In Argentina la bella signora Cristina Fernàndez, meglio conosciuta come Kirchen, ha preso il governo lasciatole in consegna dal precedente Pre-
sidente, suo marito Nestor Kirchen. Si rifanno ovviamente al peronismo, tanto per cambiare, e nei primi anni hanno portato avanti delle politiche con un certo contenuto popolare. Poi sono caduti nella solita demagogia dei peronisti e la anche nella solita corruzione, anche qui, tanto per cambiare. In pochi anni hanno ammassato una grossa fortuna, in parte come mazzette di accordi commerciali fatti con il loro amico Chavez e sono caduti in picchiata nel consenso popolare. No si sa fino a quanto reggerà però la loro posizione che è diventata molto precaria. Dico “loro” perché chi comanda veramente è il marito mentre lei pensa a cambiare vestiti ogni due ore, cercando così di imitare la mitica fascistoide Evita Peròn. In Paraguay, dopo l’egemonia del Partito Colorado durata 61 anni, è salita al governo una coalizione di centro sinistra presieduta da Fernando Lugo, un ex Vescovo cattolico sospeso “a divinis”. Rompere il potere dei latifondisti e cercare di fare una politica minimamente progressista in quel paese è una sfida titanica. Per il momento Lugo sta cercando di resistere al tentativo di cacciarlo dal governo, anche con l’accusa di essere padre di un sacco di bimbi. Ogni mese esce fuori una donna che dichiara essere
stata la sua amante e madre di figli avuti con lui. Un insaziabile lupo! Ho lasciato per ultimo il Brasile che, come tutti sanno, è di moda e rappresenta il paese rampante del terzo mondo. Rampante nella macro economia, perche la situazione sociale lì è veramente tra le peggiori. La fame, l’analfabetismo, la violazione dei diritti umani e civili, la mancanza di attenzione sanitaria in grossi settori della popolazione, la distruzione dell’Amazzonia per far posto alla coltivazione di Soja per produrre biocarburante, la politica devastante più bieca del capitalismo, tutto ciò è molto aumentato durante il governo presieduto da Luiz Inàcio Lula da Silva, “uomo per tutte le stagioni”. Da quando è al governo la deforestazione dell’Amazzonia è aumentata del 22 % e non ha risolto assolutamente niente della
devastante situazione sociale. La sua risposta alle denunce, comprese quelle proveniente da settori progressisti dello stesso paese, è “l’Amazzonia è brasiliana e ne facciamo quello che vogliamo”. Alla faccia! Ovviamente parlare delle realtà di America Latina non è possibile farlo solo in questo modo. Meriterebbe di organizzare incontri, seminari, dibattiti, ecc. Però in questo momento politico che si vive in Italia è impossibile perché sembrerebbe che non interessa a nessuno. L’attenzione è quasi tutta concentrata su altre realtà che ci toccano più da vicino. Peccato perche stiamo parlando di un grosso continente pieno di storia, culture e ricchezze. Quello dove decine di milioni di italiani sono andati a sfamarsi. La prima parte è stata pubblicata nel numero di giugno.
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Cultura/e
20/07/06
MARTINA MENGHINI
casi hanno dato un apporto fondamentale alla spinta innovatrice. Ad esempio Officina 34 che offre la possibilità di partecipare ad incontri eterogenei, a volte minori rispetto a quelli citati, ma non per questo meno interessanti. Nel corso di questi mesi di accurata osservazione mi sono resa conto di un’altra cosa, e cioè di come la vita culturale abbia da sempre interagito con il tessuto urbano in modo originale, permettendo spesso la rivalutazione e il rinnovamento di alcuni luoghi caduti nel dimenticatoio. A mio avviso, la cosa sbalorditiva sta nel fatto che la città sia riuscita a far rinascere spazi che per molti non avevano più alcun valore. L’Auditorium San Domenico ne è un esempio lampante, ma anche l’ex latteria divenuto recentemente Centro Italiano di Arte Contemporanea o l’ex Cinema Astra. Tra l’altro, l’idea che un vecchio cinema “a luci rosse” ospiti og-
gi una libreria mi pare tanto irriverente quanto divertente ed originale. Di fronte al grande fermento però il gruppo degli scettici è rimasto negli anni incomprensibilmente fermo e compatto. Tra queste persone, lo devo ammettere, fino a qualche tempo fa c’ero anche io, ma dopo molte riflessioni mi sono resa conto di quanto l’insofferenza e la diffidenza derivino, nella maggior parte dei casi solo e soltanto da incrollabili pregiudizi, purtroppo ancora condivisi da molti. Ad oggi, in definitiva, penso che la nostra, pur non essendo una grande città, offra degli spunti interessanti per chi sa e vuole coglierli. A ben guardare, sono convinta che un po’ di curiosità in più, qualche minuto sfruttato a cercare su internet, una passeggiata per raggiungere i nuovi luoghi del sociale e un po’ di tempo speso per la città, rappresentino un arricchimento per tutti.
La vita è una favolosa rottura di coglioni IOLANDA TARZIA Tony Pagoda, il protagonista del libro di Paolo Sorrentino “Hanno tutti ragione” (Ed. Feltrinelli), sostiene che “La vita è una favolosa rottura di coglioni. Ma su cosa dobbiamo concentrarci? Sulla rottura di coglioni? O sul favoloso?” D’istinto risponderemmo tutti “sul favoloso”, ma nella realtà le scelte che giorno dopo giorno ognuno di noi effettua mirano effettivamente a raggiungere “il favoloso”? O “il favoloso” lo releghiamo a mero ricordo di un momento passato della nostra vita che non ci appartiene più o, ancora, lo collochiamo in una sorta di limbo da cui confidiamo che prima o poi verrà fuori per sconvolgere il nostro futuro? Chi di noi non ha, almeno una volta, chiuso gli occhi sognando di vivere una favola? Nell’infanzia la favola che ci veniva racconta ci trasportava in mondi lontani e meravigliosi dove i principi e le principesse vivevano per sempre felici, dove i desideri diventavano realtà e dove il cattivo veniva sempre sopraffatto dal buono; da adolescenti, nella favola che ci raccontavamo da soli, diventavamo noi i princi-
pi e le principesse che avrebbero voluto vivere per sempre felici, sognavamo che i nostri desideri si sarebbero realizzati e che avremmo vissuto in un mondo in cui il bene non sarebbe sempre stato sopraffatto dal male. E poi? Persa la capacità di vivere le favole siamo diventati anche incapaci di desiderare “il favoloso”? Certamente gli anni vissuti ci portano sempre più spesso a pensare che “tranquillo” e “favoloso” siano sinonimi. Il che, in alcune situazioni, può essere anche vero. Ma ciò accade solo quando un momento di tranquillità è vissuto con quella leggerezza razionale e profondità emozionale che è propria degli animi sognatori. Ma non confondiamo il vivere
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La ragazza
Foligno - Prato: andata e ritorno Sembra incredibile ma sono trascorsi quasi sei anni da quando, fagotto in spalla, partii alla volta della Toscana per cominciare la mia avventura universitaria. Nel corso di questi anni Foligno è stata un pensiero lontano. Tuttavia, al mio ritorno, avvenuto qualche mese fa, guardandomi intorno per vedere cosa fosse successo nel frattempo, ho notato delle grandi trasformazioni culturali grazie alle quali mi sono avvicinata nuovamente alla vita folignate. Negli ultimi mesi mi sono lasciata trasportare dalla curiosità che mi ha portata un po’ ovunque a vivere eventi e luoghi della città. Gli appuntamenti tradizionali, beh quelli c’erano sempre stati: il teatro, il cinema e i concerti, ma accanto a questi ho vissuto tutto d’un fiato il fermento nato dalle idee di chi ha voluto portare un vento nuovo. Proposte a cui, per un motivo o per un altro, è valsa la pena partecipare. Per cominciare, mi sono informata sulle iniziative più conosciute, quelle che arrivavano facilmente soprattutto alle orecchie dei giovani: i concerti di Young jazz e il Dancity Festival, solo per citarne un paio. Tuttavia, cercando cercando, mi sono accorta che accanto a queste proposte c’era una vera e propria costellazione di altri eventi, grandi e piccoli, realizzati spesso grazie alla sinergia tra le nuove associazioni e i privati che in alcuni
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tranquillo della quotidianità con il “vissero felici” delle favole. La felicità, intesa come quel momento di straordinaria intensità e, nel contempo, di fugace durata, può certamente trovare ingresso in una vita tranquilla ma è proprio in quel momento di felicità che sparisce la tranquillità. C’è chi preferisce, senza se e senza ma, la tranquillità come leitmotiv della propria esistenza anche se ciò comporta la rinuncia, anche definitiva, della ricerca della felicità, e l’incapacità di provare sincere passioni (sono, come li definisce Pagoda, “… quelli che si mettono comodi. E appassiscono ... I comodi si adagiano sulla rottura di coglioni. Li rassicura. Come il telegiornale alle ot-
ra dal mondo estero. Guardandola, inizialmente ho Il gommone procedeva lento provato un senso di disagio, nello stretto passaggio tra due come se stessi rubando qualisole. che cosa. Adesso, pensavo, Era un pomeriggio di luglio. quella ragazza, mi rivolge lo Dopo una mattina di caldo sosguardo come per dire “che le, verso le due erano comparcosa vuoi? Perché mi guardi se alcune nuvole, che poi procosì? Non hai mai visto una donna nuda? gressivamente erano andate Invece niente, lei seguitava la aumentando. Alle cinque si sua opera, procedendo lentaera alzato un po’ di vento, il mente sulla costa, cocielo era ormai coperme se stesse in un luoto. Per questo decigo deserto; lei, i fiori, demmo di fare rientro la costa e il mare. alla base. I miei amici parlavano Gli altri avevano preso tra di loro, io seguivo il piccolo traghetto, in silenzio quell’imper risparmiare al magine. gommone due viaggi. Non riuscivo, data la Eravamo in tre sulla lontananza a distinimbarcazione, io, Anguerne i lineamenti, drea e sua moglie ma solo la figura nel Maria. suo insieme. Andrea era l’esperto Forse era la personifimarinaio. cazione dell’’immagiLasciammo la spiaggia ne femminile, astrate ci dirigemmo lentata, sublime, gracile ma mente verso la città di nello stesso tempo Hvar. forte, vicina ma irragIn uno stretto braccio giungibile. di mare, il motore alMi sono ritornati in l’improvviso cominciò mente i lontani e cona tossire, poi si fermò. fusi ricordi scolastici “Sicuramente manca di poeti dell’antichità, l’olio” – disse Andrea e da Omero, quando nell’OdisNon riuscivo a distinguerne i cominciò ad armeggiare sul sea Ulisse si ritrovò semi incolineamenti, ma solo le sinuofondo dello scafo e sul motose curve del corpo, la grazia re. Pablo Picasso, Les demoiselles d'Avignonsciente su una spiaggia, circondato da fanciulle nude; o i dei movimenti, lenti, spontaIo ero seduto sul grosso tubopoeti del trecento che idealiznei, la naturalezza dell’essere lare, incuriosito dalla situaziozavano la donna, fino a farla nuda, senza imbarazzo e senne e dal posto. Si stava bene, diventare irreale. za malizia. non era caldo e quel paesaggio Fortunatamente il motore si Si muoveva lentamente con leggermente cupo, senza sole avviò, prima che io mi sentissi grazia, si chinava, si rialzava, mi piaceva. troppo colto, la barca partì, alsi protendeva in avanti, raccoLa costa scogliosa, ma bassa, lontanandosi lentamente dal glieva quei fiori secchi e li riuera a poche decine di metri su luogo, mentre la ragazza nuda niva in un mazzo, tenendoli entrambi i lati. diventava sempre più piccola, con il braccio sinistro, accoMentre mi guardavo intorno, il confusa, fino a dileguarsi, costati al piccolo seno. mio sguardo si posò su una me si dileguano i sogni al riSicuramente intorno a sé si macchia chiara, in movimento sveglio. p.t. spandeva un profumo di spisulla scogliera, anche essa go, un alone che come una sfechiara. ra magica isolava quella figuGuardai meglio e la vidi, era
to”). C’è chi, come Tony Pagoda decide di rinunciare, tout court, ad una vita tranquilla, per andare alla ricerca spasmodica di tanti momenti intensi quanto fugaci di felicità, ai quali, però, diventa assuefatto come alla cocaina. C’è anche chi, come quei Paolo e Francesca che Dante colloca nel girone dei lussuriosi, decide di sacrificare in nome di un solo momento di felicità, la propria esistenza. Allora su cosa dobbiamo concentrarci? Sulla rottura di coglioni? O sul favoloso? Forse dovremmo, semplicemente, far si che la nostra vita, sia pur tranquilla [o come la definisce Tony Pagoda “… semplice (che non significa banale, tutt’altro)”] non diventi una rottura di coglioni e, soprattutto, non rinunciare mai a cercare dei momenti favolosi da cui lasciare stravolgere quella tranquillità che abbiamo conquistato. E non importa se il momento favoloso sconvolgerà solo il nostro mondo interiore senza necessariamente coinvolgere la quotidianità. L’importante è mantenere viva sempre e comunque la capacità di farsi emozionare dalla favola. Perchè, se come dice il Maestro Mimmo Repetto, idolo di Pagoda, l’unica cosa importante è la “sfumatura”, allora bisogna chiedersi se una vita serena e tranquilla ma senza sfumature emozionali sia o meno una vita realmente vissuta.
una figura femminile, che si slanciava contro la roccia. Una donna giovane, alta, magra, ma ben fatta, con lunghi capelli castano chiaro che le ondeggiavano sulle spalle ad ogni passo. Era completamente nuda, sola. Camminava con attenzione tra le rocce aguzze, ogni tanto si chinava,a raccogliere probabilmente spigo.
My Generation The Who – 1965 La gente cerca di metterci sotto (parlando della mia generazione) solo perché noi gli stiamo intorno (parlando della mia generazione) le cose che loro fanno sembrano terribilmente fredde, (parlando della mia generazione) spero di morire prima di diventare vecchio (parlando della mia generazione) questa è la mia generazione questa è la mia generazione, baby perché non sparite tutti lontano (parlando della mia generazione) non provate a capire meglio quello che noi tutti diciamo (parlando della mia generazione) io non sto cercando di suscitare una grande sensazione (parlando della mia generazione) io sto solo parlando della mia generazione (parlando della mia generazione) questa è la mia generazione, questa è la mia generazione, baby
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Enti locali e servizi
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L’agente immobiliare
Zone a burocrazia “zero”
La provvigione spetta anche in caso di mandato scaduto quando l’acquirente era già stato reperito dal mediatore
Possono essere istituite nel Meridione d’Italia zone a burocrazia zero
LORENZO BATTISTI
SALVATORE ZAITI
Sempre più spesso si ricorre all’ausilio di una agenzia immobiliare per vendere e acquistare, locare e affittare gli immobili. Il contratto che si stipula con l’agente immobiliare rientra nella mediazione di cui all’art.1754 del codice civile, a mente del quale “è mediatore colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare”. Si firma pertanto l’incarico, senza leggere attentamente le clausole apposte, lasciando poi che il mediatore si occupi della gestione di tutte le operazioni, in particolare la segnalazione dell’immobile a potenziali clienti interessati. Se poi l’affare si conclude per effetto dell’intervento dell’agente immobiliare, gli viene corrisposta la provvigione nella percentuale pattuita con la scrittura di incarico. Come è noto, ai fini del diritto alla provvigione, non occorre un perdurante intervento del mediatore il quale, cioè, non deve sorreggere tutte le fasi della trattativa fino alla conclusione dell’affare, essendo sufficiente anche la semplice attività di segnalazione dell’affare medesimo, qualora costituisca il risultato di una ricerca fatta dal mediatore e poi valorizzata dalle parti con l’effettiva conclusione del contratto. In altri termini, il diritto alla provvigione deve essere riconosciuto anche quando l’attività del mediatore non sia stata il fattore determi-
E’ quanto dispone l’art. 43 del Decreto legge 31.5.2010, n. 78 in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica, attualmente all’esame del Parlamento per la conversione in legge. In tali zone, istituite con Decreto del Presidente del Consiglio in aree non sottoposte a vincolo, le nuove iniziative produttive godono dei seguenti vantaggi: a) i procedimenti amministrativi di qualunque natura ed oggetto, ad esclusione di quelli tributari, sono adottati in via esclusiva da un commissario di governo e si intendono adottati positivamente entro 30 giorni se entro tale termine non è adottato un altro provvedimento espresso; b) le risorse previste per le zone franche urbane (create dalla finanziaria Prodi, Legge n. 296/2006) sono utilizzate dal Sindaco territorialmente competente per la concessione di contributi alle iniziative in argomento, qualora vi sia coincidenza territoriale tra la zona a burocrazia zero e una delle zone franche urbane istituite con delibera CIPE; c) priorità da parte delle Prefetture nella realizzazione ed attuazione dei piani di presidio e sicurezza del territorio. In pratica, quindi, nelle zone a burocrazia zero per aprire un’attività ci si potrà rivolgere ad un solo soggetto. L’obiettivo del Governo, ad una prima lettura, appare
nante ed esclusivo della conclusione dell’affare, essendo sufficiente, rispetto a questo, che la menzionata attività presenti il carattere della completezza. E se l’affare si conclude dopo la scadenza del mandato conferito al mediatore? Nei formulari con cui si conferisce l’incarico all’agente/agenzia immobiliare è di norma presente una clausola, relativa al compenso del mediatore, in base alla quale l’intera provvigione è dovuta anche nel caso in cui il venditore effettui la vendita dopo la scadenza dell’incarico a persone segnalate dall’agente immobiliare. Tale previsione, non sempre evidenziata con carattere grassetto, se accettata specificatamente per iscritto, è valida ed effica-
ce, conforme peraltro alla disciplina di settore. La giurisprudenza, peraltro, ha confermato che il diritto del mediatore alla provvigione sorge, in presenza delle condizioni già elencate, anche se la conclusione è avvenuta dopo la scadenza dell’incarico, senza che le determinazioni interne di una delle parti possano essere ritenute idonee ad incidere sul nesso causale. In un recente caso giurisprudenziale, sulla base di tali principi, un giudice ha riconosciuto il diritto alla provvigione all’agenzia immobiliare, il cui incaricato aveva fatto visitare l’immobile, tra gli altri, a persona che, successivamente, dopo la scadenza del mandato all’agenzia, si era determinata ad acquistare contattando direttamente il venditore.
encomiabile e facilmente condivisibile. Tuttavia non poche sono le perplessità che, per comodità di lettura, possono distinguersi in formali e sostanziali. Le prime. La locuzione “Meridione d’Italia” è usata raramente dal legislatore, motivo, questo, che ne consiglierebbe una più precisa nozione. Le ZBZ possono essere istituite in aree non soggette a “vincolo”. Anche questa locuzione, sebbene di uso comune, non ha carattere tecnico; il termine può, infatti, riferirsi a diversi livelli e strumenti di tutela, volti a finalità differenti. Infine, la sovrapposizione tra ZBZ e ZFU (zone franche urbane) può essere fonte di problemi interpretativi, anche per il finanziamento dei programmi di intervento da realizzarsi in tali zone. Quanto, poi, alle perplessità di ordine sostanziale è sufficiente elencarle, la-
sciando all’immaginazione del lettore la possibilità di configurare lo scenario più confacente. Burocrazia è sinonimo di organizzazione; se questa non funziona occorre ricercarne le ragioni e trovare le soluzioni più appropriate. Abolirla non è saggio. Liberalizzare qualsiasi procedimento (fatta eccezione per quelli tributari) non è saggio, soprattutto in aree dove le organizzazioni mafiose e criminali hanno radici profonde. La Commissione Bilancio del Senato ha, però, approvato un emendamento che dispone la non applicabilità della norma in esame agli “atti riguardanti la pubblica sicurezza e l’incolumità pubblica”. Anche in tale occasione il legislatore non brilla certo per precisione e tecnicismo! Infine, la questione meridionale sembra riproporsi ancora una volta. Sarà saggio nel terzo millennio?
Famiglie disagiate: possibilità di sospensione delle rate del mutuo per un anno Il “piano famiglia” interessa soprattutto chi ha perso l’impiego e i lavoratori finiti in cassa integrazione CRISTIANO DELLA VEDOVA E’ scattata il I° febbraio la possibilità di presentare la domanda per ottenere la sospensione del pagamento delle rate del mutuo per 12 mesi, per una sola volta, opportunità offerta da tutti gli istituti di credito, purché si rispettino tutte le condizioni imposte dalla banca stessa. Dopo la moratoria in favore delle aziende, lanciata lo scorso agosto il comitato esecutivo dell’ABI (Associazione bancaria italiana) ha approvato il c.d. “piano famiglie”, che prevede la sospensione del rimborso delle operazioni di mutuo per alcune categorie in difficoltà come disoccupati e “cassaintegrati”. La dilazione si riferisce alle rate del mutuo per
l’acquisto della casa. Tale approvazione ha portato ad un accordo tra ABI e le Associazioni dei Consumatori, con il quale si è voluto andare incontro alle famiglie disagiate tramite un progetto a sostegno del mercato del credito, andando ad accrescere la sostenibilità finanziaria delle operazioni di credito ipotecario. La misura della sospensione delle rate costituisce uno strumento utile a ridurre le difficoltà nelle famiglie nel regolare pagamento degli impegni finanziari derivanti dal mutuo per l’abitazione principale. La richiesta potrà essere inoltrata, tramite dei moduli scaricabili on line, in concorrenza delle seguenti condizioni: 1)mutui di importo fino a 150.000 euro accesi per l'acquisto, costruzione o
ristrutturazione dell'abitazione principale; 2)clienti con un reddito imponibile fino a 40.000 euro annui che hanno subito o subiscono nel biennio 2009 e 2010 eventi particolarmente negativi (morte, perdita dell'occupazione, insorgenza di condizioni di non autosufficienza, ingresso in cassa integrazione). La misura si applica anche nei confronti dei clienti che presentano ritardi nei pagamenti fino a 180 giorni consecutivi. Ci saranno due tipi di sospensione, sarà la banca a scegliere quale tipologia di sospensione applicare; uno è il rinvio totale della rata comprensiva di capitale ed interessi, l’altro è rinviare solamente il capitale e si proseguirà a pagare gli interessi.
Se il mutuatario è un libero professionista certamente potrà aderire in quanto l’accordo parla di morte o insorgenza di condizioni di non autosufficienza che riguardano tutti a prescindere dalla professione che si svolge.
E’ giusto sottolineare che non tutte le associazioni dei consumatori hanno sottoscritto l’accordo in quanto ritengono che la moratoria è più a vantaggio del sistema bancario che delle singole famiglie. Senza voler entrare nel merito di tale scelta e vi-
sto che, comunque, un numero sempre più elevato di famiglie fa difficoltà a pagare le rate del mutuo, appare certamente utile cogliere questa “occasione” e cercare di salvare il “salvabile”, prima di vedersi pignorare la casa dalla banca erogatrice.
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Salute
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Noi siamo ciò che mangiamo Cambiare dieta e altre abitudini può ridurre il rischio di insorgenza del cancro LEONARDO MERCURI Studi epidemiologici, sperimentali e di composizione corporea, hanno dimostrato che una dieta ricca in frutta e verdura e cibi contenenti amidi non raffinati, come quella mediterranea, ha un effetto preventivo sull’incidenza del cancro. Nel volume “Food Nutrition and Cancer: a global prospective” sono state stabilite delle linee guida per la prevenzione dei tumori e per ciascuna di queste si possono trovare degli articoli scientifici di particolare interesse. Effettuando una ricerca bibliografica delle pubblicazioni scientifiche su questi argomenti si ha subito la percezione dell’immensa quantità di dati che sono stati sviluppati sull’argomento. Cercando di rendere comprensibile e fruibile a tutti alcuni concetti fondamentali per la promozione della nostra salute, ci soffermiamo ad analizzare due articoli scientifici in particolare che posso-
no darci un idea di quanto le nostre scelte alimentari possano condizionare ciò che saremo. Il primo articolo, intitolato “Rapporto tra cibo e cancro”, è stato pubblicato nel 2002 da Elsevier Science Ireland e proveniene dal National Cancer Center di Tokio, ci da una significativa immagine di come il cibo sia un importante fattore per determinare l’incidenza del cancro nei vari paesi. Il cibo può avere sia un’influenza positiva sull’insorgenza del cancro, ad esempio con gli agenti genotossici che vi possono essere contenuti, o un’influenza negativa apportata da tutti gli effetti preventivi che i suoi nutrienti possono espletare. Ad esempio, è stata stabilita una correlazione nei paesi industrializzati tra cancro al seno e al colon e l’assunzione di cibi ricchi di grasso, che oramai sono parte integrante dell’alimentazione di tali paesi; mentre l’assunzione di frutta e verdura, cibi particolarmente ricchi di antiossidanti èstrettamente correlata con la diminuzione dell’incidenza del
cancro alla prostata. Se vogliamo invece capire come si possono formare degli agenti genotossici nei nostri alimenti, questo articolo mette in risalto come gli alcaloidi e i contaminanti alimentari possano entrare nel nostro organismo. Le ammine eterocicliche (HCA) sono le maggiori imputate della immissione di agenti genotossici nel nostro organismo, e studi sui ratti hanno dimostrato come queste provochino un forte aumento di incidenza del tumore della mammella e del colon. Inoltre la presenza di ammine eterocicliche può produrre altri effetti tossici alle ghiandole salivari e provocare atrofia del muscolo cardiaco. In conclusione, una migliore alimentazione ed un migliore stile di vita abbinato a una continua ricerca e sviluppo sulla sicurezza alimentare sono delle ottime armi contro il cancro. Il secondo articolo ha come titolo "Alimenti grassi e rischio di cancro” ed è stato pubblicato Walter C. Willett su Cancer Biology. Contrariamente al preedente articolo, il testo cerca di mettere in evidenza la
non certa correlazione tra i vari tipi di cancro e l’assunzione da parte dei paesi industrializzati di cibi molto grassi. Infatti in grandi studi prospettici l’assunzione di grassi non si è associata all’incidenza del cancro al seno ed al colon, che è invece risultato molto collegato alla menopausa ed all’attività fisica. Studi fatti sul cancro alla prostata, anche se più limitati, hanno messo in evidenza che i cibi grassi non costituiscono un fattore di rischio. Un elevato consumo di carne rossa invece è stato correlato al rischio di tumore del colon, e questo indipendente di grassi totali che venivano assunti. Un rilievo molto interessante che ha evidenziato lo studio di questo articolo è che alcuni grassi sono stati associati all’insorgenza del carcinoma della prostata, ma questi grassi erano tutti grassi animali e mai grassi vegetali. Se vogliamo cercare delle similitudini tra queste due pubblicazioni scientifiche possiamo dire che entrambe dimostrano una relazione tra grassi e cancro, ma essa è li-
mitata ai grassi animali e, comunque, prendendo a esempio il cancro al seno, il rapporto tra la disponibilità economica pro-capite di un paese sembra avere maggiore rilevanza rispetto alla assunzione di grassi da parte di quella stessa popolazione. Questo ci porta alla conclusione che molti fattori si associano al cancro al seno, ma i più evidenti non sono i grassi ma la disponibilità di cibo, l’attività fisica, e l’obesità. Dopo l’analisi di questi articoli, possiamo dedurre quanto sia necessaria un’efficace opera di sensibilizzazione da parte degli operatori sanitari al cambiamento delle abitudini alimentari e degli stili di vita. Il mantenimento della nostra dieta mediterranea (e non la crescente spinta verso i fast food), unita all’abbatti-
mento dell’uso di tabacco ed alcool, potrebbe portare a dei risultati sorprendenti, quali la diminuzione del rischi di insorgenza del cancro anche fino al 60-70%. La dieta mediterranea tradizionale, infatti, soddisfa molti dei requisiti necessari al mantenimento di uno stato di salute generale. I suoi elementi caratteristici, quali cereali, legumi, ortaggi, frutta, olio di oliva, pesce, permettono un adeguato apporto di tutti quei principi nutritivi che ci assicurano una maggiore protezione verso il rischio d’insorgenza del tumore, ed è per questo che i professionisti specializzati del settore non devono solo elaborarla, ma devono svolgere un’importante opera di educazione per farla riscoprire.
Come sempre la prima cosa che i medici raccomandano di fare in caso di puntura di medusa, è quella di non perdere la calma: urlare a squarciagola non solo è inutile, ma immette maggiori quantità di adrenalina in circolo e anche la respirazione si fa più difficile, cosa pericolosa se il tutto accade al largo. Dovrete invece, se possibile, richiamare l’attenzione di altri, meglio ancora sarebbe poter essere raggiunti da un natante dove salire; se invece siete in prossimità della riva dovrete rag-
giungerla immediatamente. Una volta giunti sulla terraferma o su una superficie stabile è importante verificare che la medusa non abbia lasciato sulla parte interessata residui del suo corpo, in questo caso vanno rimossi al più presto; ottima la soluzione di diluire il punto di contatto con acqua di mare, non mettete sabbia da strofinare e non strofinate nulla nella parte interessata dal contatto, si rischia di far penetrare meglio all’interno la sostanza urticante, sconsigliato anche l’uso di alcol, aceto, ammoniaca o intrugli della nonna vari. Il metodo migliore di fronte ad una puntura di medusa, vale lo stesso per le zanzare, è il gel astringente al cloruro di alluminio che, oltre a togliere il prurito che si presenta subito dopo, mitiga anche il bruciore. Antistaminici e cortisone per uso topico, pur potendo avere una loro funzione, hanno tempi di azione troppo lunghi e non risolvono la situazione nell’immediato.
In soggetti sensibili, anche la puntura di una medusa, ma la stessa cosa può avvenire in caso di puntura di ape, vespa o qualsiasi altro insetto potenzialmente velenoso, si possono verificarsi fenomeni di sensibilizzazione a causa di una reazione allergica all’azione del veleno. In questi casi la tempestività è la prima arma da adottare con il ricorso nel più breve tempo possibile al personale del 118 seguito, quasi sempre, da ricovero ospedaliero. Dopo una puntura di medusa se il soggetto colpito comincia a farfugliare frasi sconnesse, appare confuso e disorientato, ha difficoltà respiratorie, impallidisce, suda in maniera eccessiva e comincia a gonfiarsi non solo nella sede della puntura ma in breve tempo in tutto il corpo, il rischio di uno shock anafilattico è quasi certo, una di quelle situazioni gravissime che se non trattate adeguatamente, portano in breve tempo alla morte del paziente.
neamente per ottimizzarne l’efficacia. Tra i principali principi attivi si ritrovano l’ippocastano contenente l’escina antiedemigena,l’amamelide, la calendula antinfiammatoria, la centella asiatica vasoprotettrice e modulatrice dello sviluppo del tessuto connettivo; la vite rossa e il mirtillo ricchi in antocianosidi, il ginkgo, il rusco, il meliloto, etc. I preparati per uso topico con-
tengono anche principi come il mentolo per dare immediata sensazione di freschezza, inoltre tali preparati sviluppano meglio la loro efficacia se preceduti da lavaggi con acqua fredda e applicati freddi, stando stesi e con movimenti ascendenti regolari dal piede alla coscia con dei veri e propri massaggi, sfruttando così l’azione vasocostrittiva del freddo e riattivante la circolazione del massaggio.
Meduse Cosa fare in caso di puntura PARIDE TRAMPETTI Chi ha un po’ di dimestichezza con il mare sa che l’incontro con questi esseri apparentemente innocui, e anche belli da vedersi, può essere foriero di dolore e fastidi anche importanti. Il numero delle meduse sta aumentando in maniera esponenziale per colpa dell’uomo. Prima di tutto la pesca sconsiderata ha eliminato i nemici naturali delle meduse, che costituiscono il cibo di molti pesci; inoltre il riversare in mare attraverso i fiumi i fertilizzanti che usiamo in campagna determina la crescita di una quantità smisurata di alghe e altri vegetali marini che sono l’habitat preferito dalle meduse. Il rischio di incappare in un in-
contro è sempre più frequente. Si chiamano cnidocisti le particolari cellule della medusa che, una volta a contatto con una qualsiasi parte del nostro corpo, rilasciano all’interno della pelle una sostanza urticante e neurotossica. La sensazione è spiacevolissima, un dolore e bruciore intenso subito e, poco dopo, un prurito irresistibile. Nei nostri mari, per fortuna, non esistono meduse in grado di dare problemi più gravi. Il tipo di medusa che siamo soliti conoscere ha dimensioni abbastanza ridotte, una decina di centimetri, la possiamo scorgere isolata o mentre si muove in branco, è semi-trasparente, di colore che tende al viola e flessuosa nei movimenti. Tale specie di medusa non è quasi mai pericolosa, anche se
molto dipende non tanto dalla sostanza che ci viene iniettata quanto dalla reazione individuale di ognuno al momento del contatto. Ben altra cosa è chiaramente finire nel bel mezzo di un branco e riportare punture su larga parte del corpo, in questo caso la situazione potrebbe divenire pericolosa, ma del resto è ciò che capita quando si viene punti da un’ape, generalmente la puntura è innocua tranne in certe situazioni, ma essere punti da uno sciame di api impazzite è ben altra cosa e può portare la morte.
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Gambe sempre leggere Prevenire e alleviare la sensazione di pesantezza e gonfiore SIBILLA MEARELLI Con l’arrivo dell’estate e delle sue calde giornate, sono soprattutto le gambe a soffrire di più, in genere a causa di un’alterata funzionalità del microcircolo che si manifesta in particolare all’innalzamento termico e per lunghe permanenze in piedi o seduti. In realtà la pesantezza agli arti inferiori è solo una parte del più ampio corteo sintomatologico che caratterizza la cosiddetta “insufficienza venosa degli arti inferiori”. Questa consiste in una riduzione più o meno marcata della capacità della circolazio-
ne venosa di un arto di drenare il sangue di ritorno al cuore in modo completo, determinando stasi venosa e quindi un insufficiente scambio di ossigeno con i tessuti circostanti. Uno dei primi sintomi dell’insufficienza venosa superficiale è la sensazione di avere le gambe pesanti, seguono il gonfiore e prurito a piedi, caviglie e gambe, si manifestano quindi in superficie dei piccoli capillari dilatati non dolenti, fino ad arrivare a segni e sintomi di maggiore gravità. Qualunque sia la gravità del sintomo è sempre indispensabile il consulto medico. Tra le cause più comuni, oltre alla predisposizio-
ne genetica, anche uno scorretto stile di vita (sedentarietà, fumo, cattiva alimentazione, obesità, stipsi), stress, calzature e abiti eccessivamente stretti , tacchi troppo alti, pillola anticoncezionale, fino ad arrivare a vere e proprie patologie vascolari, cardiache e renali. Fondamentale è la prevenzione, le cui regole prevedono: praticare attività fisica moderata e regolare, evitare fumo, alcol, sale, grassi, bere molta acqua naturale, aumentare il consumo di frutta e verdura, perdere eventuali chili di troppo, indossare calzature e abiti comodi, evitare di permanere fermi per lunghi pe-
riodi di tempo, evitare fonti di calore dirette alle gambe (radiatori, bagni eccessivamente caldi, o bagni di sole)perché inducono la dannosa vasodilatazione, bagnarsi frequentemente le gambe con acqua fredda, che coadiuva il ritorno venoso , correggere la postura e la deambulazione, non accavallare le gambe quando si è seduti ed utilizzare calze elastiche. Oltre a questi accorgimenti, il farmacista può suggerire anche l’utilizzo di validi rimedi, la maggior parte dei quali a base di principi attivi naturali, che vanno dal classico approccio topico a quello sistemico, utilizzabili contempora-
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FOLIGNO
Pensieri e Parole
GIUSTIZIA AMERICANA! E SILVIA BARALDINI?
LUGLIO 2010
NON SPEGNETE QUESTA VOCE - IL CORAGGIO DI ESSERE COINVOLTI SAMANTHA PASSERI Alla rabbia segue sempre una sorta di innaturale calma. Ci si siede, ci si passa una mano tra i capelli e forse si riflette. Magari si piange. Nella vicenda Merloni, la nascita di un Comitato ha attraversato questi mesi e settimane come un urlo gigantesco che si è propagato fino a rompere qualche timpano di troppo.Si sono vinte battaglie, ci si è scontrati contro una nuda realtà, crudele come solo i soldi sanno essere. Crudele come quest'Italia fatta di partiti, sindacati, tessere, voti, corruzione, scambismo.
Schifo. Troppo schifo. Viene la voglia dopo un timido risultato, dopo l'urlo che si è avuto il coraggio di gridare, di abbandonare. Di far finta che tutto sia stato solo una parentesi, un'esperienza, come la prima volta che si fuma o come una ribellione insolita. Abbandonare. Tanto non si può vincere, tanto la gente non cambia, perché "loro", queste persone che restano innominate perché sono solo merda in bocca a chi ne parla, loro non cambiano. Ma loro chi sono?I politici, i sindacalisti, i soliti noti? Non si sa. Non si sa più nulla. E proprio per questo che si ab-
bandona tutto VE LO POTETE SCORDARE. Perché è l'alba di un tempo nuovo e anche se il giorno forse sarà difficile da vedere, tutto sta cambiando.Tutto. E' tempo che non ci si fermi più davanti a nulla, nomi affari soldi furbate. Tutto deve venire fuori. Bisogna cominciare a lavare i panni sporchi, perché così un Paese, un territorio come il nostro può finalmente rinascere e offrire alle generazioni di domani un luogo di cui non vergognarsi. Fare un passo indietro, ma solo per prendere la rincorsa. Se uno ha paura di parlare parleremo insieme. Parleremo tutti.
Non è facile essere se stessi sempre e comunque...Lo so bene io che ho una famiglia e dei figli.Ti alzi la mattina, in questa città dove tutto conosce tutti e tutti conoscono tutto, e pensi a far finta di niente, a evitare gli specchi perchè a guardarsi negli occhi ci si fa comunque un pò schifo.Pensare che non sta succedendo niente.Non pensare che mi hanno strappato via un lavoro che io mi sono sudato e nessuna tessera partitica o sindacale rappresenta il sudore che ho versato Non pensare a quando stringevo i denti e mi mordevo le labbra e subivo le umiliazioni in silenzio per non essere licenziato e andavo a lavorare nei peggio posti della catena di montaggio, a
spaccarmi le braccia pur di mantenere quello che era il mio presente e il futuro della mia famiglia.Adesso che vedo qualcun altro lottare anche per me, abbasso lo sguardo e cammino veloce pensando a quanto, a quanto vorrei essere lì pure io...Perchè non ci sono? Perchè ho paura di essere coinvolto? Perchè non sta succedendo niente, le fabbriche riapriranno, le umiliazioni torneranno e io...non posso niente contro tutto questo. Chiedo scusa a tutti i ragazzi che hanno l'età dei miei figli, vent'anni o poco più. La mia generazione è una generazione vigliacca, che pur di avere soldi e potere la dignità l'ha buttata via, l'ha dimenticata, l'ha rimossa. Ma
non solo quella, anche l'identità...Si l'identità, perchè io non so più chi sono, mi sento solo uno dei tanti. Come una goccia del mare, per capirci. Eppure qualcuno lotta anche per me. Scusatemi tutti, pure voi che gridate con la mia voce anche per conto mio, se stasera non sono lì a ridere o piangere insieme, a scrivere messaggi, volantini, a fare il punto della situazione.Ma non sta succedendo niente, e chi sono io per compromettermi così?Per sfidare questo sistema? Le fabbriche riapriranno e io tornerò a essere umiliato. Voi forse no. Io tornerò a essere umiliato, voi no. Come sempre. Andate avanti. Non mollate.
ROBERTO MATERAZZI Nazione di bigotti! Ora vi chiedo di lasciarla ritornare perché non è possibile rinchiudere le idee in una galera Francesco Guccini, nella sua “Canzone per Silvia”, parla così dell’America; ma chi è la Silvia tirata in questione da Guccini? Cosa ha fatto? Il suo nome è Silvia Balardini; nasce in Italia, ma ben presto si trasferisce in America con il padre, dove trascorrere circa 30 anni, più della metà di questi però in carcere. Il motivo? Aver cercato di lottare per idee giuste, usando si anche mezzi avvolte estremi, ma senza uccidere nessuno e senza rubare nulla. Giunta con il padre a New York Silvia, in età matura comincia ad interessarsi di politica e si iscrivere all'università del Wisconsin, l’università più attiva politicamente negli Usa. Sull’onda del movimento del ‘68 comincia a manifestare contro il Vietnam e per i diritti delle donne, in seguito contro il colonialismo in Africa e l’apartheid. Poi diventa attivista di movimenti radicali statunitensi, iscrivendosi al gruppo comunista “19 maggio” che sosteneva la BLA (Black Liberation Army). Nel 1979 la Berardini si introdusse con un gruppo di persone in un carcere per liberare il Leader delle BLA, Assata Shakur, prendendo 2 poliziotti come ostaggi che vennero subito dopo liberati. Nel 1982 venne arrestata per la prima volta per azioni sovversive legate al mondo comunista e per appoggio ai movimenti afro-americani, venne rilasciata sotto pagamento di cauzione, ma soli 5 mesi dopo venne nuovamente arrestata. Il motivo di questo secondo arresto, fu una rapina fatta dal gruppo dove lei militava, ma alla quale lei non aveva preso parte.
Dopo il secondo arresto per Silvia iniziò l’inferno e il processo. Venne accusata della liberazione del leader delle BLA del 1979, di essere la mente del movimento “19 Maggio”, di aver programmato diverse rapine, in verità mai realizzate, di ingiuria al tribunale per aver rifiutato di testimoniare sui nomi degli altri militanti. Tutte queste accuse, poco veritiere, le costarono ben 43 anni di carcere; se non bastasse, l’FBI le offrì una grande somma di denaro in caso di testimonianza, lei puntualmente rifiutò di collaborare ed in cambio ricevette il trasferimento in uno dei piu duri carceri degli Usa, a Lexington, dove fu sottoposta a isolamento, visite limitate ed sorveglianza anche nei momenti più intimi. L’America è una statua che ti accoglie e simboleggia, bianca e pura, la libertà, e dall’alto fiera abbraccia tutta quanta la nazione, per Silvia questa statua simboleggia solamente la prigione perchè di questa piccola italiana ora l' America ha paura. Nel 1988 le fu diagnosticato un tumore maligno, il carcere tentò in tutti i modi di ostacolare le cure per la detenuta, e non bastasse questo nel 1990 fu trasferita in un carcere di massima sicurezza ancora più isolato rispetto al precedente penitenziario in modo da isolare il movimen-
to d’opinione che si stava formando a suo favore in quegli anni. In Italia, nei primi anni ‘90 nacquero movimenti per riportare Silvia in Patria, a questi movimenti aderirono anche intellettuali come Dario Fo, Umberto Eco e Francesco Guccini, e quando nel 1992 si ebbe la quasi certezza del rientro in Italia della Baraldini, la magistratura americana emise un verdetto dove giudicava la donna con status di “pericolosità altissima” e quindi tutto sfumo. Solo nel 1999, fu possibile il rientro in Italia grazie al ministro Dilibero, che la accolse all’arrivo all’aeroporto con rose rosse; questo gestò provoco liti per diversi giorni tra i nostri onorevoli parlamentari. Nel 2001 le vennero concessi gli arresti domiciliari, e nel 2006 fu rilasciata per effetto dell’indulto. Silvia Baraldini oggi vive a Roma, nel 2007 ha compiuto 60 anni, 23 dei quali passati in carcere per colpe abbastanza fittizie ed in alcuni casi irreali, ma questa come già dimostrato in altri casi (vedi Sacco e Vanzetti) è la politica americana dell’ultimo secolo, dove non si possono né cambiare le cose nè immaginare le cose in un modo migliore; il famoso “I Have a Dream” di Martin Lhuter King, è morto con lui. La vedo con la sua maglietta addosso con su scritte le parole "che sempre l’ignoranza fa paura ed il silenzio è uguale a morte"
SENZA PAROLE (MACON “PENSIERI”)
GREST 2010 - A SCUOLADI AMICIZIA JASMIN TOFI
Terminata la scuola tutti si domandano “e adesso cosa faccio?”.Fortunatamente la parrocchie di Foligno organizzano degli oratori dove i bambini e i ragazzi fanno delle bellissime esperienze. Io oggi partecipo da animatrice, anni fa da animata. La mia unità pastorale (Giovanni Paolo II), che comprende le parrocchie di Budino,Maceratola, Fiammenga, Cave e San Giacomo, ha proposto tre settimane di oratorio, alle quali hanno partecipato 200 bambini e una trentina di animatori che si occupano di loro, sempre sotto lo sguardo supervisore dei nostri parroci don Giovanni e don Antonio. Fare da animatore non è una cosa che si improvvisa all’ultimo minuto, ma ci sono dietro mesi di preparazioni e di incontri con le varie parrocchie del luogo, dove persone adul-
te, avendo alle spalle anni e anni di oratorio, ci hanno spiegato come interagire con i bambini. Il nostro oratorio ogni anno ha un tema, quello di questo anno è stato quello dei pirati, che voleva infondere nei bambini il valore di unità, di amicizia e di aiuto reciproco. Durante queste tre settimane sono state proposte ai bambini diverse attività come la piscina, laboratori di ceramica, teatro, giardinaggio e cucina, sport e varie gite. Gli impianti sportivi che ci hanno accolto sono stati quelli di Maceratola dove si svolgevano le attività sportive, mentre a Fiammenga ci accoglievano per il pranzo e per svolgere i laboratori pomeridiani. Il tormentone di questo oratorio 2010 è stata “WAKA WAKA”, la canzone della contante colombiana Shakira, che ha entusiasmato sia i grandi che i piccoli; questa canzone ci è piaciuta talmente tanto che abbiamo deciso di far vedere la nostra coreografia al-
lo spettacolo di fine oratorio. La fatica è stata tanta ma alla fine siamo riusciti a divertirci con i bambini che hanno imparato i valori che volevamo trasmettere loro e hanno creato delle bellissime amicizie tra di loro. Un ringraziamento speciale a Jacopo che ci ha sempre seguiti, alle donne della cucina e a don Giovanni e don Antonio che ci hanno permesso di vivere questa esperienza.
LA RICETTA DEL MESE - INSALATE DI GRANO E DI RISO Redazione: Via della Piazza del Grano 11 06034 Foligno (PG) tel. 0742510520 Mail: redazionepiazzadelgrano@alice.it Autorizzazione tribunale di Perugia n° 29/2009 Editore: Sandro Ridolfi Direttore Editoriale: Sandro Ridolfi Direttore Responsabile: Giorgio Aurizi Direttore Sito Internet: Andrea Tofi Stampa:Grupo Poligrafico Tiberino srl, Città di Castello Chiuso in redazione il 15/07/2010 Tiratura: 2.000 copie Periodico dell’Associazione ”Luciana Fittaioli”
In una zuppiera mettere i pomodorini tagliati in pezzetti, il formaggio tagliato a cubetti e le foglioline di rucola, condire con olio e sale, infine aggiungere il grano raffreddato e mescolare bene. Servire decorando con foglie di rucola e pomodorini tagliati in quattro parti.
ANTONIETTA STADERINI
Insalata di grano per 4 persone Tempo di preparazione 30 minuti Difficoltà * Ingredienti: grano precotto gr 300, pomodorini datterini gr 200, caciotta o mozzarella gr 200, sale q.b., olio extra vergine di oliva q.b., rucola 2 mazzetti. Procedimento:
cuocere il grano in abbondante acqua salata e bollente per circa 10 minuti, scolarlo e condirlo con un filo di olio, lasciarlo raffreddare.
Insalata di riso integrale con verdure alla griglia e menta per 4 persone Tempo di preparazione 1 ora Difficoltà *
Ingredienti: riso integrale gr. 400, un peperone rosso grande, una melanzana tonda grande, 4 zucchine, uno spicchio di aglio, un mazzetto di menta, olio extra vergine di oliva q.b., sale q.b. Procedimento: cuocere il riso in abbondante acqua salata per circa 20 minuti, scolarlo, condirlo con un filo di olio e lasciarlo raffreddare. Lavare e tagliare le verdure (la melanzana a rondelle sottili, il peperone e le zuc-
chine a striscioline) e cuocerle su una griglia o in una padella antiaderente preriscaldata, tagliarle grossolanamente e condirle con olio e sale. Tritare finemente le foglie di menta, lasciandone alcune per la decorazione. In una zuppiera mettere il riso. le verdure, la menta, lo spicchio d'aglio, se necessario, aggiungere ancora olio. Lasciare insaporire in frigorifero per circa 1 ora, togliere poi l'aglio e servire decorando con le foglie di menta rimaste.
FOLIGNO LUGLIO 2010
Spettacoli ed eventi a cura di Piter Foglietta
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Canti e Discanti Foligno World Festival CantieDiscanti primi appuntamenti con il tutto esaurito, tra fotografia, cinema e musica, le piazze del Centro (e non solo) gremite per gli appuntamenti del Festival. Continua dopo lo scorsa edizione l'attenzione della stampa e dei media nazionali. Si è ufficialmente inaugurata giovedì 8 Luglio, alle ore 21.00, la nona edizione di "Canti e Discanti", il World Festival della città di Foligno nato da una idea dello scrivente e di Massimo Liberatori , per presentare un panorama delle espressioni musicali e culturali legate al patrimonio delle sonorità tradizionali ed etniche. La Turchia ed il Salento sono le assolute protagoniste degli eventi della manifestazione, che avranno luogo in diverse location della città di Foligno fino a concludersi nella Basilica di Plestia di Colfiorito mercoledì 28 Luglio. Anche l'edizione 2010 di "Canti e Discanti", infatti, si è arricchita di due esposizioni curate, ancora una volta, dal fotografo folignate Mattioli, su allestimento e progetto grafico a cura dell'associazione culturale non-profit Viaindustriae, grazie alle quali è possibile seguire un percorso fotografico dal titolo "Turchia, identità attraverso un Est ed
Ovest in crisi". George Georgiou ha presentato "Fault Lines: Turkey East West", che esplora il tema dell'ambiguità dell'identità della Turchia, spesso ricchezza culturale ma anche e soprattutto dualismo ideologico. Le foto riflettono graficamente queste linee di demarcazione che esistono tra le due culture che risiedono nello stesso Paese, e ritraggono passaggi visivi ove si possono scorgere le tracce del dualismo attraverso segni grafici. La mostra avrebbe dovuto inaugurarsi sabato 10 Luglio al Museo di Palazzo Trinci, ma il curatore, Daniele Mattioli , ha chiesto ed ottenuto dalla coppia di fotografi la possibilità di esporre il lavoro di Georgiou assieme a quello di Vanessa Winship, "Sweet Nothing: Rural Schoolgirls from the borderlands of Eastern Anatolia", assente all'inaugurazione perché impegnata in un workshop in Russia. Una serie di ritratti di giovani scolarette fatte nei loro banchi
di scuola e nelle prossimità dei loro villaggi: questa è la personale di Vanessa Winship, la cui Mostra ha già ottenuto il Godfrey Argent Prize, Sweet Nothings, National Portrait Gallery 2008, il World Press Photo, First Prize, Portrait Stories 2008 e il Sony World Photography Awards, Iris D'or, Overall Winner, Sweet Nothings 2008. Ritratti spesso in coppia che ci danno una visione romantica ed antica di un paese in cui coabitano mentalità moderne e tradizionali. Il progetto in cui Vanessa ha lavorato per diverso tempo riscopre quella solennità e fragilità dell'adolescenza in Turchia. Nelle zone rurali, infatti, è ancora bassa l'affluenza scolastica per bambine e ragazze. I motivi sono legati a diversi fattori, tra cui quello di essere attaccati a valori tradizionali che impediscono alla donna di avere responsabilità oltre alle classiche mansioni domestiche. Sarà possibile visitare le mostre il venerdì, il sabato e la domenica dalle 9 alle 13 e dalle 15 alle 18 fino al 9 Settembre. Dopo la sezione dedicata alla fotografia è stata la volta dei più piccoli con il progetto "Kids - Nati per la musica" che ha visto infatti presso Palazzo Trinci un concerto-laboratorio per bambini, "Il Cantalibro", ideato da Paolo Capodacqua, chitarrista di Claudio Lolli) è stata la prima esperienza di musica e didattica, nata dalla collaborazione con La Locomotiva e l'Assessorato all'Infanzia del Comune di Foligno. La numerosa, ma soprattutto intensa partecipazione di bambini, ma anche dei genitori, porterà ad una seria riflessione sull'ampliamento di questa sezione.
Una delle sorprese più interessanti di questo inizio di Festival è stata sicuramente la proiezione del film Soul Kitchen a PIAZZA del GRANO, (che permettetemi l'inizio di questa nostra attività editoriale ha sicuramente contribuito a gettare una luce nuova su questo angolo della città) per una serie di ragioni: prima fra tutti nessuno pensava, prima di questa esperienza, che questa piazza potesse avere anche questo tipo di utilizzo, la seconda è che la cultura per una sera ha superato steccati e differenze che la vita normale costruisce: si sono uniti "tutti" i cittadini di Foligno in una Piazza. Mercoledì 14 è giunto poi il momento della musica che ha visto il doppio spettacolo dei Malicanti. A Largo Carducci di piazza della Repubblica più di mille le persone “tarantolate”
Prossimi appuntamenti Crossing the bridge. The Sound of Istanbul (Germania-Turchia 2005., col. 90’) Fatih Akin, regista rivelazione con il suo folgorante La sposa turca, Orso d'oro a Berlino, torna sui suoi passi accompagnando la ricerca del musicista Alexander Hacke in un viscerale, vibrante, libero viaggio che conduce al cuore di una città pulsante come Istanbul. Si tratta di una co-produzione tra Germania e Turchia, una sorta di “ponte” che attraversa e abbraccia i diversi generi musicali, i suoni di questa città, dalle tradizioni al più attuale ritmo hip hop. Lo scenario che ne viene fuori - dagli psichedelici Baba Zula all'hip-hop di Ceza, dai giovani breakdancer di Kadikoy al ballo dei moderni dervisci sui ritmi sufi dei Mercan Dede - è quello di un crocevia tra oriente e occidente, un ponte tra mondi diversi proprio come quello, il Golden Horn, che collega le due parti della città.
Margherita Hack e Ginevra di Marco L'anima della Terra (vista dalle stelle) In collaborazione con il Laboratorio di Scienze Sperimentali 22 Luglio Palazzo Trinci Ore 21.30 L'incontro di due 'stelle' nate in Toscana diventa l'occasione per indagare su alcune tematiche sociali scottanti quali immigrazione/emigrazione, nuove energie, globalizzazione, lavoro, corruzione Ginevra interpreterà alcune tra le melodie tradizionali più belle su queste tematiche: brani densi di significati, valori e storia; Margherita alternerà alle canzoni i suoi testi di approfondimento, puntualizzando ed espandendo i concetti con la forza della sua immensa esperienza ed il suo carisma.
Nuovi Eventi Musicali in collaborazione con Stazioni Lunari - No Music presentano lo spettacolo “L’anima della terra (vista dalle stelle)”, un progetto originale di parole e musica con la grande scienziata Margherita Hack, la cantante Ginevra di Marco (appena insignita della Targa Tenco 2009) e lo scrittore Marco Vichi. Sul palco, alcuni orologi scandiranno un tempo musicale ed un tempo umano, sentimentale, figurativo: un orologio simboleggerà il tempo che avanza mettendo in luce i problemi che l'uomo ha creato; un altro rappresenterà il suono della terra, la sua pancia la sua anima; un altro la tradizione, le parole dei nostri avi, il susseguirsi della vita umana, e sarà quest’ultimo a scandire i passaggi tra le tematiche (la scenografia è dello scultore Alessandro Marzetti).
Alessandro Mannarino Bar della Rabbia 26 Luglio Largo Carducci Ore 21.30 Ingresso Libero Da stornellatore moderno e cantautore metropolitano Mannarino compone musiche di confine, eclettiche e contaminate, ispirate ai suoni ed ai volti di una via Casilina globalizzata dove Gabriella Ferri passeggia con Manu Chao e Domenico Modugno va a braccetto con Cesaria Evora. Nei suoi testi, macchiati dai forti toni del surrealismo, si vivono storie oniriche e tragicomiche di pagliacci, ubriachi e zingari innamorati. Partendo dalle sonorità e dai ritmi della musica popolare italiana Mannarino condisce il proprio mondo con elementi di musica balcanica e gitana, citazioni felliniane ed evoluzioni circensi.
che hanno ascoltato e ballato le tarantelle e i canti tradizionali della Puglia conquistati dal trascinante ensemble pugliese. I Malicanti hanno poi replicato, con successo, anche durante la serata nata sotto il segno della contaminazione tra note e sapori presso il sagrato della Chiesa di San Giovanni Evangelista di Fiamenga, con l’incontro tra i vini dell’Umbria e i sapori della Puglia. Una prima parte di Festival entusiasmante, che segna una ulteriore crescita della manifestazione, a partire dalla sempre più crescente presenza di pubblico e dallo spazio che media e testate nazionali concedono, frutto di ricerca e di sperimantazione nei linguaggi, nei lughi e nella comunicazione. Ma saranno ancora tante le sorprese previste per i prossi-
mi giorni di Festival, che si avvale, della consulenza di Massimo Liberatori, Stefano Romagnoli, Roberto Lazzerini, Francesca Cesarini, Michela Matarazzi, Carlo Rossi, David Difino e tanti altri... Molto atteso è il duetto inconsueto e suggestivo con protagoniste la cantante Ginevra Di Marco e la scienziata Margherita Hack, per lo spettacolo “L’anima della Terra (vista dalle stelle)”, tra note, scienza e parole (22 luglio), per concludere poi con il cantastorie e “stornellatore” romano Alessandro Mannarino (26 luglio) e con “Alti Piani Sonori”, un progetto “Canti e Discanti” che metterà insieme Massimo Liberatori, i Cantori del Miserere di Colfiorito e la Banda di Annifo (28 luglio). Tutti appuntamenti sono gratuiti a parte quello con la Hack e la Di Marco (10 euro).
Altipiani Sonori
28 Luglio Basilica di Plestia Ore 18.30 Ingresso libero Massimo Liberatori/ Cantori del Miserere di Colfiorito/ Banda di Annifo Massimo Liberatori porterà in scena, in anteprima, un progetto ideato da CantieDiscanti, che attraverso il coinvolgimento delle realtà locali (Cantori del Miserere e Banda di Annifo) intende amplificare e diffondere le specificità dell'Altipiano Plestino, dalle radici più remote. Programma della Serata ore 18.30: Il Benvenuto della “Banda di Annifo” “Sotto il porticato” dei pittori Raffaele Ariante e Rinaldo Morosi ore 19.00: “l’altopiano nei tempi” incontro con il prof. Ivo Picchiarelli ore 20 rinfresco ore 20.50: in basilica con “I Cantori del Miserere di Colfiorito” ore 21.00: Massimo Liberatori in un concerto narrato con Maurizio Catarinelli e Maurizio Marrani – corde e tastiere – Stefano e Vincenzo Falasca voci narranti “L’uomoplestino navigando il lago, guadando la palude, a piedi sull’altopiano” narrazione tratta da un componimento di Santoni Francesco da Colfiorito
Vorrei raccontar di Colfiorito… …presso il paese un lago ben pulito c'era tanti anni fa, poi con le annate di siccità è venuta una palude per caccia e pesca ancora poco illude Si pescava con reti e retacchioli, di notte si mettevano le nasse, qual trappole, fissate con pioli, aspettando che il pesce vi ci entrasse, poi piedi all'orto, la oltre i fagioli tenevano la scorta in acqua in casse; perchè l'acqua arrivava sotto l'orto, li si faceva per le barche il porto Spesso l'insidia sta dietro le porte, così il nemico che venne da Tuoro, dove i Romani vi sconfisse a morte l'esercito di Annibale quel moro… su questo piano fummo sempre in tanti dopo dei tempi dei conquistatori dei santi con i lupi e dei briganti arrivarono pecore e pastori ed i sentieri qui sempre aspri e duri divennero ad un tratto dei tratturi… …or seguiamo questi cori che ci porteranno fuori trascinando le catene un pò prego e un pò mi scuso per tutte le umane pene e per qualunque umano abuso qui tra l’urlo di Maarbale e il brontolio del tarabuso.
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FOLIGNO
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LUGLIO 2010
“La costituzione italiana è di ispirazione sovietica!” (Berlusconi) Il Codice di Camaldoli
ostacoli taluni individui o gruppi sociali nello sforzo di migliorare le loro condizioni. La giustizia sociale si pone, perciò, quale concreta espressione del bene comune, come fine primario dello stato e di ogni altra autorità. Le esigenze della giustizia sociale legittimano dunque, in via primaria, l'intervento positivo dell'autorità nella vita economica. 74. La funzione sociale della proprietà dei beni strumentali Riguardo alla proprietà dei beni occorre distinguere tra beni di consumo e di godimento de-
date categorie di beni strumentali possano essere oggetto di proprietà privata; 2) ponendo delle limitazioni all'esercizio del diritto di proprietà di determinati beni strumentali quale era in precedenza concepito o quale è in atto per altri beni strumentali. L'intervento della comunità nella attività produttiva può altresì aversi quando l'iniziativa privata si mostri manchevole o insufficiente a soddisfare determinati interessi collettivi. 80. Inconvenienti degli eccessivi accentramenti di ricchezza Rilevanti accumulazioni di beni nelle mani di singoli in quanto determinino lo strapotere di pochi, ovvero la loro coalizione per la difesa politica del privilegio così acquistato, ostacolano un libero ed ordinato svolgersi della vita sociale, alterano una razionale destinazione delle risorse naturali, degli strumenti tecnici e del risparmio della collettività alla produzione dei più necessari beni di consumo e impediscono infine una equa distribuzione dei beni di consumo disponibili. Se questo stato di cose non si ritiene possa essere rapidamente corretto attraverso una naturale evoluzione della struttura economica, un razionale intervento dell'autorità atto ad eliminare gli eccessivi accentramenti di ricchezza e le maggiori disparità economiche è imposto dalla tutela del bene comune ed
effetti appartiene a terzi ed è stato affidato a persone o ad enti che ne dispongono come proprietari per l'investimento; in secondo luogo perché tali proprietari, valendosi di opportuni meccanismi finanziari, influiscono, spesso con limitato rischio personale, sullo sviluppo dei mezzi di produzione a disposizione della comunità e quindi sul modo di soddisfare i bisogni della comunità stessa, nonché sull'impiego delle forze di lavoro e dei beni strumentali disponibili. E’ ammesso quindi l'intervento della comunità, volto sia a porre riparo alle conseguenze di una cattiva gestione di tale proprietà, sia a vigilare perché la funzione sociale di tale proprietà sia tenuta sempre ben presente e soddisfatta da coloro che hanno la grave responsabilità di esercitarla. 84. La giustizia sociale e la comunità internazionale dei beni: commercio internazionale ed emigrazione Tale principio implica da un lato la libertà per gli uomini di trasferirsi là dove la disponibilità di materie prime permette loro di applicare più profittevolmente la loro operosità, dall'altro la possibilità di scambiare materie prime e prodotti ottenuti dalla elaborazione delle materie stesse. Tali accordi dovranno fondarsi sul principio che al paese di origine deve essere riconosciuto il
stinati a soddisfare bisogni personali, familiari e collettivi, e beni strumentali destinati invece alla produzione di nuova ricchezza. La proprietà privata dei beni strumentali ha una funzione sociale tanto più accentuata quanto più è rilevante la quantità e la qualità dei beni che l'impiego di detti strumenti permette di ottenere. Tale funzione sociale si manifesta, da un punto di vista tecnico, nella ricerca della più appropriata utilizzazione dei mezzi di produzione, nel loro sviluppo in relazione a bisogni comuni, e nella cessione a un giusto prezzo dei prodotti ottenuti. 76. Funzione sociale della proprietà dei beni strumentali in situazione di non concorrenza Ove tale conciliazione non si effettui, l'intervento della autorità è legittimo e spesso anche necessario. 1) escludendo che
è quindi pienamente legittimo. 81. Funzione sociale della proprietà costituita con capitali presi a prestito Gli odierni ordinamenti economici e finanziari e lo sviluppo assunto dal risparmio monetario di cui il risparmiatore non è in grado di curare direttamente l'investimento, permettono a singoli mèmbri della collettività di attribuirsi la proprietà e il controllo di grandi concentrazioni di beni con un apporto relativamente modesto di capitale proprio: le banche, gli istituti di assicurazione, le grandi aziende e i gruppi industriali e finanziari rappresentano le manifestazioni più importanti di questo fenomeno. La funzione sociale della proprietà assume in questi casi preminente rilievo, anzitutto perché tale proprietà è formata in gran parte con risparmio che in
diritto di assistere e tutelare i suoi emigranti nel periodo della loro prima sistemazione e del loro avviamento, mentre il paese di destinazione deve tendere ad abolire per gli immigrati ogni trattamento giuridico ed economico deteriore rispetto a quello dei suoi propri cittadini. Limitazioni e condizioni poste tanto alla emigrazione quanto alla immigrazione, che si fondassero sulla difesa di interessi particolari o sull'egoismo nazionale o di classe sono contrarie anche al bene comune rettamente inteso, che non può prescindere dal bene comune internazionale e dalle esigenze della pacifica convivenza dei popoli. 85. Attività economica privata ed attività economica pubblica I principi della giustizia sociale esigono che le singole attività economiche private, mediante le quali individui e gruppi ten-
Con il nome Codice di Camaldoli si indica un documento il cui titolo originale è Per la comunità cristiana. Dal 18 al 24 luglio 1943 un gruppo di intellettuali cattolici, laici e religiosi, si riunì presso il monastero benedettino di Camaldoli con l’intento di confrontarsi e riflettere sul magistero sociale della Chiesa sui problemi della società, sui rapporti tra individuo e stato, tra bene comune e libertà individuale. Il progetto era quello di elaborare un testo di cultura sociale che aggiornasse il Codice di Malines, primo tentativo di dottrina sociale cattolica fatto dall’Unione internazionale di studi sociali di Malines, in Belgio, a partire appunto dai contributi emersi nella settimana del seminario, al quale partecipò attivamente anche Giorgio La Pira. La stesura fu affidata a Sergio Paronetto, Pasquale Saraceno, Ezio Vanoni, Giuseppe Capograssi che la completarono nel 1944; l’opera fu pubblicata nel 1944. L’elaborazione e la redazione del Codice di Camaldoli rappresenta uno dei momenti centrali nella storia della dottrina sociale cattolica del novecento. Non a torto, si è parlato infatti per il Codice di Camaldoli di una “svolta” della dottrina economico-politica del movimento cattolico italiano dovuta all’abbandono delle soluzioni tradizionali (corporativismo, cooperativismo ecc.), all’attenuazione del “partecipazionismo” e a favore dell’elaborazione di un avveniristico modello di economia “mista”. Fu proprio a questa radicale svolta del pensiero sociale ed economico del cattolicesimo, fondamentalmente laico, che fu possibile quello che ancora oggi viene definito il “miracolo” della nostra Costituzione Repubblicana, approvata di fatto all’unanimità in ampia condivisione tra le pur assai diverse forze politiche cattoliche, socialiste e comuniste. Di lì a poco la violenta e ricattatoria ingerenza degli USA nella politica anche economica e sociale dell’Italia frenò, ma non cancellò, quei principi eitici, sociali e solidali che avaveno caratterizzato la nascita del nuovo ordinamento repubblicano. Ci prova ora Berlusconi.
Pubblichiamo di seguito alcuni stralci del lungo documento di Camaldoli che hanno con maggiore evidenza (positivamente) influenzato la scrittura della Costituzione Repubblicana a partire del massimo enunciato dell’art. 1, “fondata sul lavoro”, alla disciplina della destinazione sociale dell’economia e del ruolo di guida, intervento e controllo attribuito allo Stato 55. Diritto al lavoro; sua dignità Risponde a un principio di giustizia naturale che ogni uomo possa attingere ai beni materiali disponibili sulla terra quanto necessario per un pieno sviluppo delle sue energie individuali e di quelle dei familiari ai quali egli deve provvedere. Una società bene ordinata deve dare perciò a ciascun uomo la possibilità di esplicare nel lavoro la sua energia e di conseguire un reddito sufficiente alle necessità proprie e della propria famiglia. 57. Elementi del giusto salario La natura dei bisogni umani non consente di indicare in via assoluta la quantità di sussistenze indispensabile all'uomo, e quindi la retribuzione minima del lavoratore. Quando vicende economiche o particolari andamenti aziendali non permettono di mantenere tale livello nei riguardi di gruppi di lavoratori, è doveroso un intervento dell'autorità inteso a modificare la ripartizione del reddito complessivo tra i mèmbri della comunità, così da riportare le retribuzioni insufficienti a un livello non inferiore. 58. Risparmio individuale e provvidenze della comunità per la disoccupazione, invalidità e vecchiaia del lavoratore E’ doveroso l'intervento dell'autorità volto a regolare il processo di ripartizione del reddito della comunità in vista di assicurare al lavoratore, anche con suo contributo, un complesso di prestazioni integrative della retribuzione che siano adeguate al grado di sviluppo civile ed economico della comunità e che consentano al lavoratore di superare in caso di disoccupazione involontaria, malattia, infortunio e durante la vecchiaia situazioni avverse per sé e per la propria famiglia. 59. Tutela della salute fisica del lavoratore
È dovere e in genere è anche interesse della comunità tutelare e rafforzare la salute fisica dei suoi membri. La comunità deve quindi adoperarsi affinché tutti i propri mèmbri siano posti in condizioni di tutelare la propria salute e di ricevere, quando questa sia compromessa, la necessaria assistenza medica e chirurgica. 61. La casa, elemento di difesa e di sviluppo della personalità del lavoratore La disponibilità da parte del lavoratore di una casa nella quale egli possa vedere degnamente allogata la propria famiglia e adempiere adeguatamente al suo compito di capo e di educatore della società familiare e alla quale si senta attratto oltre che dal legame familiare e dalla prospettiva di un sano riposo. 66. Azionariato del lavoro, cooperazione e partecipazione dei lavoratori L’attribuzione ai lavoratori della proprietà dell'azienda nella quale sono occupati - manifestazione integrale dell'azionariato del lavoro - o la loro associazione in cooperative di produzione e lavoro sono istituzioni auspicabili in quanto portano al più alto grado la solidarietà fra lavoratori e azienda e al tempo stesso, elevando il lavoratore al grado e alla funzione di proprietario, ne affinano il senso di responsabilità. Tra le forme atte a far partecipare effettivamente il lavoratore alla gestione aziendale si ricordano: 1) l'istituzione di organi quali i consigli di azienda; 2) la partecipazione alla nomina degli organi di controllo dell'amministrazione. 71. La giustizia sociale principio direttivo della vita economica Appartiene quindi alla giustizia sociale di promuovere un’equa ripartizione dei beni per cui non possa un individuo o una classe escludere altri dalla partecipazione ai beni comuni. A fondamento di tale equa distribuzione deve porsi una effettiva e non solo giuridica uguaglianza dei diritti e delle opportunità nel campo economico, per cui, tenuto conto delle ineliminabili differenze nelle doti personali, nell'intelligenza, nella volontà, sia attribuito a ciascuno il suo secondo giustizia e non secondo privilegi precostituiti o conferiti da un ordinamento che
dono a realizzare i propri particolari fini, vengano armonizzate in relazione al comune interesse di impedire che le energie individuali rimangano puramente potenziali o siano ostacolate nel loro sviluppo. L'armonizzazione nel senso sopra indicato dei contrastanti interessi economici deve attuarsi mercé l'azione delle stesse forze sociali, adeguatamente organizzate, nonché mediante l'attività economica pubblica ed in particolare dello stato; spetta a questo provvedere agli interessi comuni, sia curando gli interessi che soltanto con la collaborazione di tutti possono essere soddisfatti, sia intervenendo in relazione a determinate circostanze storiche per coordinare e per integrare l'azione degli individui e delle forze sociali al fine di realizzare particolari obbiettivi, non conseguibili per la mancanza di uno spontaneo od automatico adattamento dei singoli interessi privati all'interesse generale. 86. Fini specifici della attività economica pubblica Gli obbiettivi di interesse comune cui nella vita sociale del nostro tempo deve tendere l'attività economica pubblica, ed ai quali conviene che anche l'attività economica privata sia ordinata, possono così riassumersi: - indurre la generalità dei mèmbri della società ad assumere la responsabilità di un lavoro; creare condizioni perché le forze di lavoro disponibili trovino un'adeguata occupazione, promuovendo eventualmente attività economiche trascurate dalla iniziativa privata, giudicate profittevoli al bene comune; assicurare un complesso di prestazioni integrative con carattere di generalità per tutti i lavoratori, che consenta in caso di disoccupazione involontaria, di malattia, di infortunio e durante la vecchiaia, di mantenere un sufficiente livello di vita al lavoratore ed alla sua famiglia; - impedire, quali che siano gli effetti sulla produzione, che al lavoratore siano richieste prestazioni nocive alla sua salute fisica e morale ed assicurare a tutti la possibilità di tutelare adeguatamente la propria salute fisica e di ricevere la conveniente assistenza medica e chirurgica; - disciplinare il processo di distribuzione territoriale delle attività produttive allo scopo di eliminare e prevenire gli inconvenienti dell'urbanesimo e in particolare di consentire al lavoratore una piena vita familiare e la partecipazione alla vita delle comunità intermedie, professionali e locali; - correggere le eccessive disparità economiche, influire sull'ordinamento economico in vista di evitare eccessive accumulazioni di ricchezza ed ingiusti impoverimenti di alcuni a vantaggio di altri e riassorbire le situazioni di indebito 90. Patrimonio pubblico La proprietà di beni patrimoniali da parte dell'ente pubblico si presenta sia come mezzo immediato per la prestazione di pubblici servizi, sia come strumento per attuare determinati interventi della collettività nella economia, sia infine come fonte di entrate finanziarie per l'ente stesso.
supplemento al numero 7 - Anno II - luglio 2010 di Piazza del Grano - www.piazzadelgrano.org
Veniamo da Lontano Il comunismo non nasce con il manifesto di Marx, che costituisce la sua elaborazione scientifica contestualizzata alla attuale fase storica dell’economia capitalista. Il comunismo, come pulsione verso una società di benessere e di pace nel rispetto della dignità della persona umana, nasce con la comparsa dell’ “uomo politico”, dell’uomo che fonda e si riunisce nelle comunità stabili e organizzate denominate “polis” (le città). In quello stesso momento, con il passaggio dal branco alla comunità, ha inizio la ricerca delle regole della (o per la) vita sociale. Ma ha anche inizio il conflitto tra le leggi ancestrali della natura fondate sul predominio del più forte e sulla prosecuzione della specie (vedi la fondazione di Roma nata da un fratricidio, Romolo che uccide Remo, e da uno stupro etnico, il Ratto delle Sabine) e le leggi razionali dell’uomo sociale.
In quel conflitto nasce il comunismo inteso come scienza per la ricerca di una disciplina etica per una società giusta di uomini liberi ed eguali. Vogliamo andare lontano, ma per fare ciò dobbiamo sapere chi siamo e perciò dobbiamo indagare sul nostro passato per conoscere e capire, appunto, da dove veniamo. La Grecia classica, nel suo periodo di massimo splendore tra il quinto e quarto secolo avanti Cristo, costituisce una delle diverse e tante matrici dell’odierna ideologia comunista. Abbiamo quindi pensato di dedicare questo inserto a quel luminoso periodo della storia dell’umanità pubblicando alcuni brani scelti nella enorme produzione politica, scientifica e letteraria di quel periodo. L’impostazione dell’inserto, le titolazioni e le introduzioni critiche e informative ai singoli brani fanno interamente capo alla responsabilità dell’editore.
Per la realizzazione di questo inserto è stata tuttavia fondamentale (risolutiva per la decisione di pubblicarlo) la collaborazione del prof. Attilio Turrioni che ha, con grande cortesia e disponibilità, offerto la sua professionalità per la ricerca e la selezione dei brani più coerenti e pertinenti al tema dell’etica nella politica al quale si è inteso dedicare l’inserto (fa eccezione il brano di Epicuro sulla felicità inserito dall’editore). Nel ringraziare il prof. Turrioni, augurandoci che vorrà continuare a collaborare con questo periodico apportando un contributo sicuramente importante e di qualità, corre l’obbligo di precisare che taluni passaggi dei singoli testi sono stati parzialmente “manipolati” dall’editore per renderne più “attuale” la lettura (“popolarizzati” direbbe Togliatti), sicché l’eventuale allontanamento dalla fedeltà all’originario testo greco va riferita all’editore.
Socrate (469-399 a.c.) Il filosofo “amico dell’uomo” Il saggio che “sapeva di non sapere” Della filosofia di Socrate è stato detto che se si costruisse una torre con tanti mattoni quanti sono stati i grandi filosofi della storia e via via se ne togliessero alcuni, anche dei più importanti, la torre vacillerebbe, ma resterebbe in piedi. Se invece si togliesse Socrate la torre crollerebbe all’istante perché tutta la filosofia nasce e poggia su quella di Socrate. Di Socrate in verità non c’è stato tramandato alcuno scritto perché ancora la ricerca e l’insegnamento filosofico erano nella fase della tradizione orale e in particolare Socrate seguiva (aveva inventato) il metodo della ricerca mediante il dialogo e non l’insegnamento dottorale.
Sarà Platone, il suo più importante discepolo, a tramandare in una ampia serie di testi quanto aveva appresso seguendo l’insegnamento orale del maestro. Non è certo quanto i racconti di Platone siano la fedele riproduzione del pensiero di Socrate dal quale il grande allievo si discostò anche significativamente intraprendo la via della dottrina filosofica scritta e insegnata, con forti accentuazioni di rigore morale sempre più dottorale e sempre meno dialettico. Aristotele, allievo di Platone e quindi conoscitore di Socrate solo per relazione, accentuerà questo percorso soprattutto trasferendo gli enunciati assoluti della sua ricerca filo-
sofica nella disciplina della politica amministrativa. Nel nostro “venire da lontano” l’influenza del pensiero di Socrate resta fortemente nel metodo della dialettica, della indagine che oggi traduciamo (o almeno dovremmo tradurre) nella “inchiesta” come metodo politico di conoscenza e analisi della realtà sulla quale e dentro la quale l’etica politica comunista deve operare per essere tale e non imposizione presuntuosa e astratta. “Di ogni cosa un comunista deve sempre domandarsi il perché; deve riflettere con ponderazione e maturità intellettuale, vedere se tutto è conforme alla realtà e fondato sulla verità” (Mao)
nella misura delle mie possibilità di pagamento, e non ne sarei stato per nulla danneggiato. Ma ora non ho soldi, a meno che non vogliate multarvi di quel poco che potrei pagare. Forse potrei pagarvi una mina d'argento all'incirca: e questa multa propongo come pena. (...) Cittadini ateniesi, riceverete, da parte chi vuole insultare la città, la fama e la colpa di aver ucciso Socrate, uomo sapiente - perché chi vi vuole offendere dice che sono sapiente, anche se non lo sono - per guadagnare non molto tempo davvero: se aveste aspettato un poco, la cosa sarebbe avvenuta da sé. Vedete la mia età, già avanti nella vita, e anzi vicina alla morte. Questo non lo dico a tutti voi, ma a quelli che hanno votato per la mia condanna a morte. E a loro dico anche questo: voi forse credete, cittadini ateniesi, di avermi
Il rispetto delle leggi giuste anche al costo della vita SOCRATE – Io ti domando: se hai conosciuto la cosa giusta da fare, la faresti o eviteresti di farla? CRITONE – La devo fare. SOCRATE - Ciò ammesso, sta attento. Noi fuggiamo via di qui; noi non cerchiamo di persuadere la nostra patria; ebbene, facciamo noi male a qualcuno? E precisamente, male a chi per minima ragione si dovrebbe? o no? E restiamo noi fedeli al concetto di giustizia prima posto o no? CRITONE - Non avrei modo di rispondere alla tua domanda, Socrate. Non capisco, vedi. SOCRATE - Osserva allora: ti dico una cosa. Facciamo un'ipotesi. Noi siamo sul punto di scappar via da questo luogo (puoi anche chiamarla con quel nome che meglio ti piace, questa nostra operazione); le Leggi intanto e la Patria nostra vengono
qui; si fermano a noi d'accanto; ci rivolgono una domanda: «Dimmi un po', Socrate, cosa vorresti fare secondo te? Facendo così, tu soltanto pensi a questo: tu tenti distruggere noi, le Leggi, e la Patria tua tutta quanta, per quello che sta in te. Ma senti un po'. Pare a te possibile che ancor si mantenga nel suo vigore e che non sia interamente distrutta quella città in cui le sentenze pronunciate non hanno alcuna forza? Ove privati cittadini ne vanificano l’efficacia, non solo, ma distruggono interamente quella sentenza?». Che diremo, Critone, di fronte a questi argomenti e ad altri del genere? Quante ragioni si potrebbero dire, soprattutto da qualche oratore, a difesa di questa Legge da noi distrutta; questa Legge che impone l'esecuzione di sentenze pronunciate.
O diremo forse a quelle argomentazioni: “Eh sì, ma era la Patria che faceva a noi ingiustizia; è lei che non ha pronunciato secondo giustizia la nostra sentenza”; diremo noi questa o qualche altra cosa? CRITONE – Per Giove, questo direi, Socrate. SOCRATE - Supponi ora che le Leggi dicessero a noi: “Socrate, erano questi i patti stabiliti fra noi e te? O non forse che ti saresti sottoposto alle sentenze eventualmente sancite dalla città, tua patria?”. Supponi sempre che noi allora facessimo atto di meraviglia per queste parole; in tal caso le Leggi continuerebbero a dire: “Socrate, non ti meravigliare troppo per quanto ti stiamo dicendo, bensì dacci una risposta. È tua abitudine far uso d'un metodo di domande e di risposte. Suvvia, dunque: quale rimprovero tu puoi rivolgere a noi e alla città, tua patria, in seguito al quale tu tenti di sottrarti?
Contrapporre alla politica che corrompe la fedeltà ai principi di giustizia
Una vita senza indagine non è degna di essere vissuta Allora qualcuno potrebbe dire: “Socrate, ma non riuscirai a vivere stando zitto e tranquillo, una volta allontanatoti da noi?” Convincere qualcuno di voi su questo è la cosa più difficile di tutte. Perché se vi dico che un simile comportamento è disubbidienza agli dei e perciò è impossibile, voi non mi credete e pensate che faccia finta di niente; e se vi dico ancora che il più gran bene che può capitare a una persona è discorrere ogni giorno della virtù e del resto di cui mi sentite discutere e indagare me stesso e gli altri, che una vita senza indagine non è degna di essere vissuta, voi mi credete ancor meno. Ma è così come dico, cittadini, per quanto non sia facile convincervene. E inoltre non sono abituato a pensare me stesso come meritevole di qualcosa di male. Se avessi avuto soldi, avrei proposto una pena pecuniaria
David Jacques-Louis "La morte di Socrate" 1787
colto in difetto di discorsi con cui convincervi, se avessi ritenuto indispensabile fare e dire di tutto pur di sfuggire alla condanna. Ma non è così. Sono stato colto in difetto, ma non certo di discorsi, bensì di sfrontatezza e spudoratezza, e di voglia di dirvi quello che avreste ascoltato con più piacere: lamenti, pianti e molte altre azioni e parole indegne di me - dico ma che voi siete abituati a sentire dagli altri. Tuttavia, io non ritenni allora doveroso comportarmi in modo indegno di un uomo libero per paura del pericolo, e non mi pento ora di essermi difeso così, ma preferisco di gran lunga morire con questa autodifesa che vivere in quel modo. (...) Ma è già l'ora di andarsene, io a morire, voi a vivere; chi dei due però vada verso il meglio, è cosa oscura a tutti, meno che agli dei.
Io, cittadini ateniesi, non ho voluto mai esercitare un pubblico ufficio nello stato. La sola mia partecipazione è stata al Consiglio dei Cinquecento. Anzi la mia gente Antiochis si trovò ad avere la pritania quel giorno in cui voi decretaste di metter sotto processo tutti in massa i dieci generali, perché non avevano raccolto le salme della battaglia navale. E questo decreto era ingiusto. E in un tempo successivo ne aveste chiara la consapevolezza. In quell'occasione fui l'unico tra i pritani che si oppose; l'unico che non volle far nulla di contrario alla legge. Insomma, ho dato voto contrario. I capi partito erano già pronti con una denuncia per trarmi in arresto; e voi li incitavate con grida e con applausi. Ma io credetti di dover restar fedele alla legge e alla giustizia e di dover affrontare fino in fondo ogni pericolo, piuttosto che se-
guirvi nei vostri decreti ingiusti, per timore del carcere o della morte. Tutto questo avvenne quando la nostra patria era ancora governata democraticamente. Venne poi l'oligarchia. E i Trenta, in modo simile, mi vollero coinvolgere nella loro politica. Mi si ordinò, come quinto funzionario, di arrestare Leonte Salaminio da Salamina al luogo ove era la sede del loro governo, per condannarlo poi a morte. Assai spesso essi amavano affidare questi compiti a molti cittadini, cercando di comprometterne quanti più potevano. E in quell'occasione, non a parole ma coi fatti, misi in luce che della morte (e l'espressione potrà sembrare un po' brusca), non m'importa un bel niente; invece, in modo assoluto, il non commetter nulla che possa dirsi empio o ingiusto, questo è stato il pensiero. Quel regime insomma non mi poteva in-
cutere tanto terrore da farmi commettere un delitto. Eppur potenza ne avevano i Trenta! Insomma uscimmo fuori dalla loro sede; e i quattro miei compagni si recarono a Salamina e tradussero in tribunale Leonte. Io me ne andai via, a casa. E forse avrei potuto pagare con la vita questa mia disobbedienza, se quel regime non fosse stato abbattuto.E di questi fatti eccovi molti testimoni. E Voi credete che avrei potuto sopravvivere durante tutti questi anni se mi fossi dedicato alla politica? Se la mia azione si fosse rivolta alla difesa di giustizia, com'è dovere d'una persona onesta? Se a quest'idea le avessi posposto ogni altro interesse e ogni altro pensiero? Certamente no, in nessun modo, né io, né altro alcuno. E tutta la mia vita di cittadino dimostra che mi sono uniformato a questi principi ogni volta che dovevo agire.
I
Solone (638-558 a.c.) La nascita dell’ordinamento dello Stato La “buona” legislazione come strumento di difesa dagli abusi del potere e dalla prepotenza della ricchezza Solone fu uno dei primi grandi legislatori greci che concepì un ordinamento dello Stato che superava i tradizionali principi del predominio aristocratico aprendo la strada alle prime forme di democrazia partecipata anche dalle classi meno abbienti. Abolì la schiavitù per debiti ma la sua riforma istituzionale non fu accompagnata da riforme economiche che dunque conservarono il previgente sistema estremamente squilibrato tra un ridotto ceto ricchissimo e la massa povera dei contadini e dei cittadini urbanizzati. La sua riforma scon-
tentò tutti, sia i ricchi che si videro costretti condividere la gestione dell’amministrazione con i “meno ricchi”, che questi ultimi che non trassero alcun beneficio concreto dal nuovo ordine statuale. Di questo malcontento equamente con-diviso Solone amava vantarsi affermando che esso era la prova della sua imparzialità. Fatto sta che già vivente Solone la neonata democrazia venne sopraffatta dalla tirannia di Pisistrato e il nome di Solone ha assunto nel tempo un significato ironico riferito a persone saccenti e presuntuose.
La nostra città mai perirà per decreto di Zeus e per volere dei degli dei immortali; tale è infatti la magnanimità della protettrice Pallade Atena e del potente padre Zeus che tiene al di sopra di essa le proprie mani; ma con la loro stoltezza vogliono rovinare questa grande città i cittadini stessi, desiderosi di lucro e ingiusto è l'animo dei reggitori del popolo, i quali ben presto subiranno molti dolori per la loro
grande protervia. Non sanno infatti contenere l'arroganza, né usare con ordine nella tranquillità del convivere le presenti gioie. Diventano ricchi grazie alle loro opere inique. Senza rispettare i beni Sacri né quelli pubblici, rubano e sottraggono chi di qua chi di là e non osservano le auguste norme di Dike che silenziosa guarda il passato e il futuro e a suo tempo arriverà a far pagare interamente le loro colpe. Questa piaga insanabile già avanza per tutta la città; rapidamente procede verso una triste schiavitù che ridesta la rivolta intestina e la guerra sopita che distruggerà una florida gioventù. Rapidamente infatti l'amata città è mandata in rovina dai malvagi, tra le congiure care agli ingiusti. Questi mali serpeggiano fra il popolo; e dei poveri molti se ne vanno in terra
straniera, venduti schiavi, costretti indegnamente in catene. Così il pubblico male entra nella casa di ognuno, e non valgono a trattenerlo le porte dell'atrio; esso balza al di sopra dell'alto muro e ci scopre dappertutto, anche se ci rifugiamo nella camera più riposta. Questo mi dice l'animo di rivelare agli Ateniesi, quanto grandi mali reca alla città la cattiva legislazione, mentre la buona legislazione rende tutto bene ordinato e adatto e nello stesso tempo lega le mani degli ingiusti; mitiga le asperità, fa cessare la tracotanza, elimina la protervia, dissecca i fiori nascenti della sventura, corregge i giudizi ingiusti, rende miti le azioni superbe, fa cessare quelle della discordia, fa cessare il furore della molesta contesa; e sotto la buona legislazione tutto è fra gli uomini conveniente e saggio.
Euripide Euripide è uno dei grandi autori di teatro dell’antica Grecia. La novità assoluta del suo teatro è rappresentata dal realismo con il quale tratteggia le dinamiche psicologiche dei suoi personaggi. L'eroe descritto nelle sue tragedie è sovente una persona problematica e insicura, non priva di conflitti interiori, le cui motivazioni inconsce vengono portate alla luce ed analizzate. Proprio lo sgretolamento del tradizionale modello eroico porta alla ribalta del teatro euripideo le figure femminili. Euripide espresse le contraddizioni di una società che stava cambiando: nelle sue tragedie spesso le motivazioni personali entrano in profondo contrasto con le esigenze del potere, e con i vecchi valori fondanti della polis. Il teatro di Euripide va considerato come un vero e proprio laboratorio politico attento ai mutamenti della storia.
Teseo - Con un errore hai cominciato il tuo dire, o straniero, cercando qui un re: perché non è governata questa città da un uomo solo, ma è libera. Regna il popolo, perché tutti si succedono nelle cariche ogni anno, e ai ricchi non è data maggior potenza, e il povero invece a uguali diritti. Araldo - Un punto, come ai dadi, mi hai dato di vantaggio: perché la città dalla quale io vengo è governata da un solo uomo, non dalla moltitudine; e non v'è chi, esaltandola con chiacchiere, la volga di qua e di
là per proprio utile : questi ora è gradito e procura gran gioia, più tardi danno, e con nuove calunnie dissimulando i precedenti misfatti si sottrae alla giustizia. Del resto, il popolo, che non sa nemmeno ragionar rettamente, come potrebbe governare bene una città? È il tempo infatti, e non la fretta, che insegna questa scienza. Un povero contadino, anche se non fosse ignorante, a causa del suo lavoro non potrebbe dedicarsi agli affari pubblici. Calamità davvero è per i migliori quando un miserabile sale in onore, dominando con la parola il popolo, egli che prima era nulla. Teseo - Scaltro è l'araldo, e a sproposito parla. Ma poiché ti sei impegnato in questa contesa, ascolta: sei tu infatti che hai proposto la disputa. Nulla v'è per una città più nemico che un tiranno, quando non vi sono anzitutto leggi generali e un uomo solo ha il potere, facendo la legge egli stesso a se stesso; e non v'è affatto uguaglianza. Quando invece ci sono
Ma qual è la costituzione migliore e quale il miglior genere di vita per la maggior parte degli stati e per la maggior parte degli uomini, volendo giudicare non in rapporto a una virtù superiore a quella delle persone comuni né a un'educazione che esige disposizioni naturali e risorse eccezionali e neppure in rapporto alla costituzione ideale, bensì a una forma di vita che può essere partecipata da moltissimi e a una costituzione che la maggior parte degli Stati può avere? In realtà le costituzioni che chiamano aristocrazie, di cui abbiamo parlato adesso, talune cadono al di fuori delle possibilità della maggior parte degli Stati, talune s'accostano a quella forma chiamata “politia” (sicché si deve parlare di entrambe come se fossero una sola). Il giudizio intorno a tutti questi problemi va ripetuto dagli stessi princìpi fondamentali. Infatti se nell'Etica si è stabilito a ragione che la vita felice è quella vissuta senza impedimento in accordo con la
virtù, e che la virtù è medietà, è necessario che la vita media sia la migliore, di quella medietà che ciascuno può ottenere. Questi stessi criteri servono necessariamente per giudicare la bontà o la malvagità di uno Stato e di una costituzione, perché la costituzione è una forma di vita dello Stato. In tutti gli Stati esistono tre classi di cittadini, i molto ricchi, i molto poveri, e, in terzo luogo, quanti stanno in mezzo a questi. Ora, siccome si è d'accordo che la misura e la medietà è l'ottimo, è evidente che anche dei beni il possesso moderato è il migliore di tutti, perché rende facilissimo l'obbedire alla ragione, mentre chi è eccessivamente bello o forte o nobile o ricco, o, al contrario, chi è eccessivamente misero o debole o troppo ignobile, è difficile che dia retta alla ragione. In realtà gli uni diventano piuttosto violenti e grandi criminali, gli altri invece cattivi e piccoli criminali - e delle offese alcune sono prodotte
dalla violenza, altre dalla cattiveria; in più costoro non rifiutano affatto le cariche o non le bramano - tendenza, l'una e l'altra, dannosa agli Stati. Oltre ciò, quelli che hanno in eccesso i beni, forza, ricchezza, amici e altre cose del genere, non vogliono farsi governare né lo sanno (e quest'atteggiamento traggono direttamente da casa, ancora fanciulli, perché, data la loro mollezza, non si abituano a lasciarsi governare neppure a scuola), mentre quelli che si trovano in estrema penuria di tutto ciò, sono troppo remissivi. Sicché gli uni non sanno governare, bensì sottomettersi da servi al governo, gli altri non sanno sottomettersi a nessun governo ma governare in maniera dispotica. Si forma quindi uno Stato di schiavi e di despoti, ma non di liberi, di gente che invidia e di gente che disprezza, e tutto questo è quanto mai lontano dall'amicizia e dalla comunità statale, perché la comunità è in rapporto con l'amici-
(480-406 a.c.)
leggi scritte, il povero e il ricco hanno uguali diritti, è possibile ai più deboli replicare al potente, quando questi li insulta, e il piccolo, se ha ragione, può vincere il grande. Questa è la libertà: “Chi vuole alla città dare un con¬siglio utile, e renderlo pubblico?”. Ed ecco che chi lo desidera si segnala, e chi non vuole tace. Quale maggiore uguaglianza può esservi in uno Stato dove il popolo è sovrano della terra, si rallegra di cittadini giovani e pronti? Un re invece ha ciò in odio, e i migliori, ch'egli ritiene che abbiano intelligenza, li uccide, perché teme per il suo potere assoluto. Come dunque può divenire forte uno Stato, quando qualcuno, come le spighe di un campo a primavera, strappa la baldanza e tronca il fiore della gioventù? A che giova procacciare ricchezza e beni ai figli, se si fatica per arricchire il tiranno o allevare bene nelle case caste fanciulle, piacevole diletto al tiranno quando egli voglia, e causa di lacrime?
zia, mentre coi nemici non vogliono avere in comune nemmeno la strada. Lo Stato vuole essere costituito, per quanto è possibile, di elementi uguali e simili, il che succede soprattutto con le persone del ceto medio. Di conseguenza ha necessariamente l'ordinamento migliore lo Stato che risulti di quegli elementi dei quali diciamo che è formata per natura la compagine dello Stato. E sono questi cittadini che nello Stato hanno l'esistenza garantita più di tutti: infatti essi non bramano le altrui cose, come i poveri, né gli altri le loro, come fanno appunto i poveri dei beni dei ricchi, e quindi per non essere essi stessi presi di mira e per non prendere di mira gli altri, vivono al di fuori di ogni pericolo. (...) Ci sono, in ogni costituzione, tre parti in rapporto alle quali il bravo legislatore deve vedere quel che è a ciascuna di giovamento: quando queste sono bene ordinate, di conseguenza anche la costituzione è bene ordinata e dalla loro
Isocrate
Ammiratore di Socrate, ma molto più vicino alle teorie antidemocratiche di Platone fondò una sua autonoma scuola filosofica in Atene. Fu promotore di un progetto panellenico che avrebbe duvuto unire tutte le polis greche sotto la guida di Atene ed esportare la cultura greca nel resto del mondo con politiche anche coloniali.
La ragione per cui ciò piaceva alla maggioranza e le cariche pubbliche non erano oggetto di lotta era che quegli uomini erano educati a lavorare e a risparmiare, a non trascurare i propri beni per insidiare invece quelli altrui, a non provvedere ai propri interessi privati servendosi dei beni dello Stato, bensì, se mai se ne presentava la necessità, a contribuire alle spese pubbliche con ciò che era di proprietà di ciascuno, e a non conoscere con maggiore esattezza i proventi delle loro pubbliche funzioni che quelli dei loro beni privati. Si tenevano così lontani dalla vita pubblica, che era più difficile in quei tempi trovare chi volesse ricoprire magistrature di quanto ora lo sia trovare chi non vi aspiri; essi ritenevano infatti che l'amministrazione della cosa pubblica fosse, non un'attività redditizia, ma un onere, né fin dal primo giorno correvano a vedere se i magi-
strati precedenti avevano lasciato qualcosa da prendere, bensì piuttosto se avevano trascurato qualche affare da dover condurre a termine con urgenza. Per dirla in breve, quegli uomini avevano deciso che bisognava che il popolo, a guisa di re, nominasse i magistrati, punisse i colpevoli e giudicasse delle contese, e che coloro che potevano non lavorare e che possedevano sufficienti mezzi di sussistenza si prendessero cura della cosa pubblica come servitori; e che, se erano stati giusti, ricevessero un elogio e di questo onore si accontentassero, e che se invece avessero amministrato male non ottenessero alcuna indulgenza ma incorressero nelle più gravi sanzioni. Chi potrebbe insomma trovare una democrazia più salda e più giusta di questa, che da un lato preponeva agli affari pubblici i più capaci, e dall'altro rendeva signore di essi il popolo?
differenza dipende la differenza delle costituzioni stesse, l'una dall'altra. Di queste tre parti una è quella che delibera sugli affari comuni, la seconda concerne le magistrature (e cioè quali devono essere e in quali campi sovrane e in che modo si deve procedere alla loro elezione), la terza è quella giudiziaria. La parte deliberante è sovrana riguardo alla pace e alla guerra, all'alleanza e alla denuncia di trattati, riguardo alle leggi, riguardo alle sentenze di morte, d'esilio, di confisca, riguardo all'elezione dei magistrati e al loro rendiconto. È necessario rimettere tutte queste decisioni o a tutti i cittadini o tutte ad alcuni di essi (per esempio a una sola magistratura o a più magistrature o alcune a questa magistratura, altre ad altra) ovvero talune a tutti, talune ad alcuni. (...) Orbene, bisogna esaminare quanti sono questi elementi indispensabili per uno Stato: tra questi ci dovranno essere necessariamente quelle che
noi diciamo parti dello Stato. Bisogna quindi stabilire il numero delle esigenze a cui lo Stato deve provvedere. Innanzi tutto devono esserci i mezzi di nutrimento, poi le arti meccaniche (giacché la vita ha bisogno di molti strumenti) in terzo luogo le armi (i membri della comunità civile devono di necessità possedere essi stessi armi a sostegno dell'autorità contro quanti rifiutano l'obbedienza e contro quelli che dall'esterno tentano di fare soprusi), inoltre una certa disponibilità di ricchezze, onde possano fronteggiare i bisogni interni e le esigenze della guerra, quinto, ma insieme primo per importanza, la cura della divinità che chiamano culto, sesto in ordine di successione, ma di tutti il più necessario, la possibilità di decidere questioni di interesse e cause tra cittadini. Sono queste le esigenze richieste da ogni Stato, per così dire (perché lo Stato non è una massa qualsiasi di persone, ma autosufficiente alla vita, come diciamo noi, e se
uno di questi elementi viene a mancare è impossibile che codesta associazione sia del tutto autosufficiente). È necessario dunque che lo Stato sia organizzato in base a queste attività; deve esserci, cioè, un certo numero di contadini che provvedano al nutrimento, poi gli artigiani, poi la classe militare, poi i benestanti, i sacerdoti e infine i giudici delle cause indispensabili e delle questioni di interesse. (...) È necessario, dunque, da quanto s'è detto, che alcuni beni ci siano, che altri li procuri il legislatore. Noi quindi ci auguriamo e facciamo voti che la compagine dello Stato abbia quei beni di cui signora è la fortuna (che ne sia signora lo riconosciamo), ma quanto all'essere virtuoso uno Stato non è opera della fortuna, bensì di scienza e di scelta deliberata. Ora uno Stato è virtuoso in quanto sono virtuosi i cittadini che partecipano della costituzione, e i nostri cittadini partecipano tutti della costituzione.
(436-338 a.c.)
(Parla il cancelliere) “È vietato fare una legge riguardante un individuo, che non sia la stessa per tutti gli Ateniesi: tranne che nel caso che essa sia stata votata da non meno di seimila cittadini che l’abbiano approvata con voto segreto” (Risponde l'oratore). “Non è consentito fare leggi se non siano le stesse per tutti i cittadini! Perché, come ciascuno ha pari diritti negli altri campi della vita pubblica, così è giusto che ciascuno si trovi in pari condizioni anche nei riguardi delle leggi” Demostene (384-322 a.c.)
Aristotele (384-322 a.c.) L’accettazione della realtà così come esistente e non modificabile e la ricerca del “giusto mezzo”. Medietà o mediocrità?
II
Aristotele è stato sicuramente il filosofo, ma anche lo scienziato, più “fecondo” della storia avendo prodotto una vastissima messe di trattati sostanzialmente su ogni aspetto della vita umana: emotiva (Sull’anima; la Poetica), politica (l’Etica; la Politica) e scientifica (la Fisica; la Logica)(tra le altre). L’omnicomprensività della sua produzione ha fatto sì che per numerosi secoli, anche successivamente alla riscoperta della cultura ellenistica andata persa nel medioevo cristiano e recuperata grazie alla nascita ed espansione della cultura araba, sostanzialmente tutte le teorie e gli insegnamenti del maestro greco siano stati assunti come precetti as-
soluti e verità indiscutibili. Occorrerà attendere la riscoperta di molte altre voci diverse e critiche dello stesso mondo ellenistico, di quello romano e medio orientale, per ridimensionare il ruolo del pensiero aristotelico e aprire a nuove ricerche sia politiche che scientifiche. Aristotele è uno dei pensatori più controversi nella cultura della politica generalmente, o genericamente detta “di sinistra”, sotto certi aspetti persino più intensi della critica al pensiero etico-politico del suo maestro Platone. Mentre infatti Platone è stato accusato di avere sopraffatto la dialettica della ricerca socratica con la imposizione di principi morali “superiori”
non discutibili e, quindi, di avere aperto le porte a forme di governo della società sostanzialmente assolutistiche e dittatoriali, ad Aristotele si imputa l’opposta dottrina della accettazione della realtà così come essa appare e si pone, insuscettiva di essere radicalmente rivoluzionata e perciò l’imposizione del limite della ricerca del giusto “mezzo”, della medietà, altrimenti qualificata dai critici come “mediocrità”. Storicamente Aristotele fu il precettore di Alessandro Secondo di Macedonia, divenuto poi Alessandro Magno. Invero se al grande condottiero greco si può accreditare, attraverso la sua infinita campagna di conquista mili-
tare, l’effetto della contaminazione delle più diverse culture del mondo medio orientale, sino forse al più lontano oriente indiano, è indubbio che le armate di Alessandro non esportarono in quei vastissimi territori nuovi insegnamenti culturali o di governo della società, limitandosi Alessandro, e poi i suoi eredi che si divisero l’intero medio oriente (Antioco, Seleuco e Tolomeo), a sostituire se stessi ai precedenti gover-
nanti perpetuandone usi, costumi e cultura economica, sociale e anche religiosa. Anche da questa analisi della vicenda militare e politica del suo maggiore allievo appare una lettura sostanzialmente “conservativa” e “conservatrice” del pensiero aristotelico (in “altri tempi”, non eccessivamente remoti ma indubbiamente superati, si diceva che Aristotele era, in fondo, un “democristiano” ante litteram).
III
Solone (638-558 a.c.) La nascita dell’ordinamento dello Stato La “buona” legislazione come strumento di difesa dagli abusi del potere e dalla prepotenza della ricchezza Solone fu uno dei primi grandi legislatori greci che concepì un ordinamento dello Stato che superava i tradizionali principi del predominio aristocratico aprendo la strada alle prime forme di democrazia partecipata anche dalle classi meno abbienti. Abolì la schiavitù per debiti ma la sua riforma istituzionale non fu accompagnata da riforme economiche che dunque conservarono il previgente sistema estremamente squilibrato tra un ridotto ceto ricchissimo e la massa povera dei contadini e dei cittadini urbanizzati. La sua riforma scon-
tentò tutti, sia i ricchi che si videro costretti condividere la gestione dell’amministrazione con i “meno ricchi”, che questi ultimi che non trassero alcun beneficio concreto dal nuovo ordine statuale. Di questo malcontento equamente con-diviso Solone amava vantarsi affermando che esso era la prova della sua imparzialità. Fatto sta che già vivente Solone la neonata democrazia venne sopraffatta dalla tirannia di Pisistrato e il nome di Solone ha assunto nel tempo un significato ironico riferito a persone saccenti e presuntuose.
La nostra città mai perirà per decreto di Zeus e per volere dei degli dei immortali; tale è infatti la magnanimità della protettrice Pallade Atena e del potente padre Zeus che tiene al di sopra di essa le proprie mani; ma con la loro stoltezza vogliono rovinare questa grande città i cittadini stessi, desiderosi di lucro e ingiusto è l'animo dei reggitori del popolo, i quali ben presto subiranno molti dolori per la loro
grande protervia. Non sanno infatti contenere l'arroganza, né usare con ordine nella tranquillità del convivere le presenti gioie. Diventano ricchi grazie alle loro opere inique. Senza rispettare i beni Sacri né quelli pubblici, rubano e sottraggono chi di qua chi di là e non osservano le auguste norme di Dike che silenziosa guarda il passato e il futuro e a suo tempo arriverà a far pagare interamente le loro colpe. Questa piaga insanabile già avanza per tutta la città; rapidamente procede verso una triste schiavitù che ridesta la rivolta intestina e la guerra sopita che distruggerà una florida gioventù. Rapidamente infatti l'amata città è mandata in rovina dai malvagi, tra le congiure care agli ingiusti. Questi mali serpeggiano fra il popolo; e dei poveri molti se ne vanno in terra
straniera, venduti schiavi, costretti indegnamente in catene. Così il pubblico male entra nella casa di ognuno, e non valgono a trattenerlo le porte dell'atrio; esso balza al di sopra dell'alto muro e ci scopre dappertutto, anche se ci rifugiamo nella camera più riposta. Questo mi dice l'animo di rivelare agli Ateniesi, quanto grandi mali reca alla città la cattiva legislazione, mentre la buona legislazione rende tutto bene ordinato e adatto e nello stesso tempo lega le mani degli ingiusti; mitiga le asperità, fa cessare la tracotanza, elimina la protervia, dissecca i fiori nascenti della sventura, corregge i giudizi ingiusti, rende miti le azioni superbe, fa cessare quelle della discordia, fa cessare il furore della molesta contesa; e sotto la buona legislazione tutto è fra gli uomini conveniente e saggio.
Euripide Euripide è uno dei grandi autori di teatro dell’antica Grecia. La novità assoluta del suo teatro è rappresentata dal realismo con il quale tratteggia le dinamiche psicologiche dei suoi personaggi. L'eroe descritto nelle sue tragedie è sovente una persona problematica e insicura, non priva di conflitti interiori, le cui motivazioni inconsce vengono portate alla luce ed analizzate. Proprio lo sgretolamento del tradizionale modello eroico porta alla ribalta del teatro euripideo le figure femminili. Euripide espresse le contraddizioni di una società che stava cambiando: nelle sue tragedie spesso le motivazioni personali entrano in profondo contrasto con le esigenze del potere, e con i vecchi valori fondanti della polis. Il teatro di Euripide va considerato come un vero e proprio laboratorio politico attento ai mutamenti della storia.
Teseo - Con un errore hai cominciato il tuo dire, o straniero, cercando qui un re: perché non è governata questa città da un uomo solo, ma è libera. Regna il popolo, perché tutti si succedono nelle cariche ogni anno, e ai ricchi non è data maggior potenza, e il povero invece a uguali diritti. Araldo - Un punto, come ai dadi, mi hai dato di vantaggio: perché la città dalla quale io vengo è governata da un solo uomo, non dalla moltitudine; e non v'è chi, esaltandola con chiacchiere, la volga di qua e di
là per proprio utile : questi ora è gradito e procura gran gioia, più tardi danno, e con nuove calunnie dissimulando i precedenti misfatti si sottrae alla giustizia. Del resto, il popolo, che non sa nemmeno ragionar rettamente, come potrebbe governare bene una città? È il tempo infatti, e non la fretta, che insegna questa scienza. Un povero contadino, anche se non fosse ignorante, a causa del suo lavoro non potrebbe dedicarsi agli affari pubblici. Calamità davvero è per i migliori quando un miserabile sale in onore, dominando con la parola il popolo, egli che prima era nulla. Teseo - Scaltro è l'araldo, e a sproposito parla. Ma poiché ti sei impegnato in questa contesa, ascolta: sei tu infatti che hai proposto la disputa. Nulla v'è per una città più nemico che un tiranno, quando non vi sono anzitutto leggi generali e un uomo solo ha il potere, facendo la legge egli stesso a se stesso; e non v'è affatto uguaglianza. Quando invece ci sono
Ma qual è la costituzione migliore e quale il miglior genere di vita per la maggior parte degli stati e per la maggior parte degli uomini, volendo giudicare non in rapporto a una virtù superiore a quella delle persone comuni né a un'educazione che esige disposizioni naturali e risorse eccezionali e neppure in rapporto alla costituzione ideale, bensì a una forma di vita che può essere partecipata da moltissimi e a una costituzione che la maggior parte degli Stati può avere? In realtà le costituzioni che chiamano aristocrazie, di cui abbiamo parlato adesso, talune cadono al di fuori delle possibilità della maggior parte degli Stati, talune s'accostano a quella forma chiamata “politia” (sicché si deve parlare di entrambe come se fossero una sola). Il giudizio intorno a tutti questi problemi va ripetuto dagli stessi princìpi fondamentali. Infatti se nell'Etica si è stabilito a ragione che la vita felice è quella vissuta senza impedimento in accordo con la
virtù, e che la virtù è medietà, è necessario che la vita media sia la migliore, di quella medietà che ciascuno può ottenere. Questi stessi criteri servono necessariamente per giudicare la bontà o la malvagità di uno Stato e di una costituzione, perché la costituzione è una forma di vita dello Stato. In tutti gli Stati esistono tre classi di cittadini, i molto ricchi, i molto poveri, e, in terzo luogo, quanti stanno in mezzo a questi. Ora, siccome si è d'accordo che la misura e la medietà è l'ottimo, è evidente che anche dei beni il possesso moderato è il migliore di tutti, perché rende facilissimo l'obbedire alla ragione, mentre chi è eccessivamente bello o forte o nobile o ricco, o, al contrario, chi è eccessivamente misero o debole o troppo ignobile, è difficile che dia retta alla ragione. In realtà gli uni diventano piuttosto violenti e grandi criminali, gli altri invece cattivi e piccoli criminali - e delle offese alcune sono prodotte
dalla violenza, altre dalla cattiveria; in più costoro non rifiutano affatto le cariche o non le bramano - tendenza, l'una e l'altra, dannosa agli Stati. Oltre ciò, quelli che hanno in eccesso i beni, forza, ricchezza, amici e altre cose del genere, non vogliono farsi governare né lo sanno (e quest'atteggiamento traggono direttamente da casa, ancora fanciulli, perché, data la loro mollezza, non si abituano a lasciarsi governare neppure a scuola), mentre quelli che si trovano in estrema penuria di tutto ciò, sono troppo remissivi. Sicché gli uni non sanno governare, bensì sottomettersi da servi al governo, gli altri non sanno sottomettersi a nessun governo ma governare in maniera dispotica. Si forma quindi uno Stato di schiavi e di despoti, ma non di liberi, di gente che invidia e di gente che disprezza, e tutto questo è quanto mai lontano dall'amicizia e dalla comunità statale, perché la comunità è in rapporto con l'amici-
(480-406 a.c.)
leggi scritte, il povero e il ricco hanno uguali diritti, è possibile ai più deboli replicare al potente, quando questi li insulta, e il piccolo, se ha ragione, può vincere il grande. Questa è la libertà: “Chi vuole alla città dare un con¬siglio utile, e renderlo pubblico?”. Ed ecco che chi lo desidera si segnala, e chi non vuole tace. Quale maggiore uguaglianza può esservi in uno Stato dove il popolo è sovrano della terra, si rallegra di cittadini giovani e pronti? Un re invece ha ciò in odio, e i migliori, ch'egli ritiene che abbiano intelligenza, li uccide, perché teme per il suo potere assoluto. Come dunque può divenire forte uno Stato, quando qualcuno, come le spighe di un campo a primavera, strappa la baldanza e tronca il fiore della gioventù? A che giova procacciare ricchezza e beni ai figli, se si fatica per arricchire il tiranno o allevare bene nelle case caste fanciulle, piacevole diletto al tiranno quando egli voglia, e causa di lacrime?
zia, mentre coi nemici non vogliono avere in comune nemmeno la strada. Lo Stato vuole essere costituito, per quanto è possibile, di elementi uguali e simili, il che succede soprattutto con le persone del ceto medio. Di conseguenza ha necessariamente l'ordinamento migliore lo Stato che risulti di quegli elementi dei quali diciamo che è formata per natura la compagine dello Stato. E sono questi cittadini che nello Stato hanno l'esistenza garantita più di tutti: infatti essi non bramano le altrui cose, come i poveri, né gli altri le loro, come fanno appunto i poveri dei beni dei ricchi, e quindi per non essere essi stessi presi di mira e per non prendere di mira gli altri, vivono al di fuori di ogni pericolo. (...) Ci sono, in ogni costituzione, tre parti in rapporto alle quali il bravo legislatore deve vedere quel che è a ciascuna di giovamento: quando queste sono bene ordinate, di conseguenza anche la costituzione è bene ordinata e dalla loro
Isocrate
Ammiratore di Socrate, ma molto più vicino alle teorie antidemocratiche di Platone fondò una sua autonoma scuola filosofica in Atene. Fu promotore di un progetto panellenico che avrebbe duvuto unire tutte le polis greche sotto la guida di Atene ed esportare la cultura greca nel resto del mondo con politiche anche coloniali.
La ragione per cui ciò piaceva alla maggioranza e le cariche pubbliche non erano oggetto di lotta era che quegli uomini erano educati a lavorare e a risparmiare, a non trascurare i propri beni per insidiare invece quelli altrui, a non provvedere ai propri interessi privati servendosi dei beni dello Stato, bensì, se mai se ne presentava la necessità, a contribuire alle spese pubbliche con ciò che era di proprietà di ciascuno, e a non conoscere con maggiore esattezza i proventi delle loro pubbliche funzioni che quelli dei loro beni privati. Si tenevano così lontani dalla vita pubblica, che era più difficile in quei tempi trovare chi volesse ricoprire magistrature di quanto ora lo sia trovare chi non vi aspiri; essi ritenevano infatti che l'amministrazione della cosa pubblica fosse, non un'attività redditizia, ma un onere, né fin dal primo giorno correvano a vedere se i magi-
strati precedenti avevano lasciato qualcosa da prendere, bensì piuttosto se avevano trascurato qualche affare da dover condurre a termine con urgenza. Per dirla in breve, quegli uomini avevano deciso che bisognava che il popolo, a guisa di re, nominasse i magistrati, punisse i colpevoli e giudicasse delle contese, e che coloro che potevano non lavorare e che possedevano sufficienti mezzi di sussistenza si prendessero cura della cosa pubblica come servitori; e che, se erano stati giusti, ricevessero un elogio e di questo onore si accontentassero, e che se invece avessero amministrato male non ottenessero alcuna indulgenza ma incorressero nelle più gravi sanzioni. Chi potrebbe insomma trovare una democrazia più salda e più giusta di questa, che da un lato preponeva agli affari pubblici i più capaci, e dall'altro rendeva signore di essi il popolo?
differenza dipende la differenza delle costituzioni stesse, l'una dall'altra. Di queste tre parti una è quella che delibera sugli affari comuni, la seconda concerne le magistrature (e cioè quali devono essere e in quali campi sovrane e in che modo si deve procedere alla loro elezione), la terza è quella giudiziaria. La parte deliberante è sovrana riguardo alla pace e alla guerra, all'alleanza e alla denuncia di trattati, riguardo alle leggi, riguardo alle sentenze di morte, d'esilio, di confisca, riguardo all'elezione dei magistrati e al loro rendiconto. È necessario rimettere tutte queste decisioni o a tutti i cittadini o tutte ad alcuni di essi (per esempio a una sola magistratura o a più magistrature o alcune a questa magistratura, altre ad altra) ovvero talune a tutti, talune ad alcuni. (...) Orbene, bisogna esaminare quanti sono questi elementi indispensabili per uno Stato: tra questi ci dovranno essere necessariamente quelle che
noi diciamo parti dello Stato. Bisogna quindi stabilire il numero delle esigenze a cui lo Stato deve provvedere. Innanzi tutto devono esserci i mezzi di nutrimento, poi le arti meccaniche (giacché la vita ha bisogno di molti strumenti) in terzo luogo le armi (i membri della comunità civile devono di necessità possedere essi stessi armi a sostegno dell'autorità contro quanti rifiutano l'obbedienza e contro quelli che dall'esterno tentano di fare soprusi), inoltre una certa disponibilità di ricchezze, onde possano fronteggiare i bisogni interni e le esigenze della guerra, quinto, ma insieme primo per importanza, la cura della divinità che chiamano culto, sesto in ordine di successione, ma di tutti il più necessario, la possibilità di decidere questioni di interesse e cause tra cittadini. Sono queste le esigenze richieste da ogni Stato, per così dire (perché lo Stato non è una massa qualsiasi di persone, ma autosufficiente alla vita, come diciamo noi, e se
uno di questi elementi viene a mancare è impossibile che codesta associazione sia del tutto autosufficiente). È necessario dunque che lo Stato sia organizzato in base a queste attività; deve esserci, cioè, un certo numero di contadini che provvedano al nutrimento, poi gli artigiani, poi la classe militare, poi i benestanti, i sacerdoti e infine i giudici delle cause indispensabili e delle questioni di interesse. (...) È necessario, dunque, da quanto s'è detto, che alcuni beni ci siano, che altri li procuri il legislatore. Noi quindi ci auguriamo e facciamo voti che la compagine dello Stato abbia quei beni di cui signora è la fortuna (che ne sia signora lo riconosciamo), ma quanto all'essere virtuoso uno Stato non è opera della fortuna, bensì di scienza e di scelta deliberata. Ora uno Stato è virtuoso in quanto sono virtuosi i cittadini che partecipano della costituzione, e i nostri cittadini partecipano tutti della costituzione.
(436-338 a.c.)
(Parla il cancelliere) “È vietato fare una legge riguardante un individuo, che non sia la stessa per tutti gli Ateniesi: tranne che nel caso che essa sia stata votata da non meno di seimila cittadini che l’abbiano approvata con voto segreto” (Risponde l'oratore). “Non è consentito fare leggi se non siano le stesse per tutti i cittadini! Perché, come ciascuno ha pari diritti negli altri campi della vita pubblica, così è giusto che ciascuno si trovi in pari condizioni anche nei riguardi delle leggi” Demostene (384-322 a.c.)
Aristotele (384-322 a.c.) L’accettazione della realtà così come esistente e non modificabile e la ricerca del “giusto mezzo”. Medietà o mediocrità?
II
Aristotele è stato sicuramente il filosofo, ma anche lo scienziato, più “fecondo” della storia avendo prodotto una vastissima messe di trattati sostanzialmente su ogni aspetto della vita umana: emotiva (Sull’anima; la Poetica), politica (l’Etica; la Politica) e scientifica (la Fisica; la Logica)(tra le altre). L’omnicomprensività della sua produzione ha fatto sì che per numerosi secoli, anche successivamente alla riscoperta della cultura ellenistica andata persa nel medioevo cristiano e recuperata grazie alla nascita ed espansione della cultura araba, sostanzialmente tutte le teorie e gli insegnamenti del maestro greco siano stati assunti come precetti as-
soluti e verità indiscutibili. Occorrerà attendere la riscoperta di molte altre voci diverse e critiche dello stesso mondo ellenistico, di quello romano e medio orientale, per ridimensionare il ruolo del pensiero aristotelico e aprire a nuove ricerche sia politiche che scientifiche. Aristotele è uno dei pensatori più controversi nella cultura della politica generalmente, o genericamente detta “di sinistra”, sotto certi aspetti persino più intensi della critica al pensiero etico-politico del suo maestro Platone. Mentre infatti Platone è stato accusato di avere sopraffatto la dialettica della ricerca socratica con la imposizione di principi morali “superiori”
non discutibili e, quindi, di avere aperto le porte a forme di governo della società sostanzialmente assolutistiche e dittatoriali, ad Aristotele si imputa l’opposta dottrina della accettazione della realtà così come essa appare e si pone, insuscettiva di essere radicalmente rivoluzionata e perciò l’imposizione del limite della ricerca del giusto “mezzo”, della medietà, altrimenti qualificata dai critici come “mediocrità”. Storicamente Aristotele fu il precettore di Alessandro Secondo di Macedonia, divenuto poi Alessandro Magno. Invero se al grande condottiero greco si può accreditare, attraverso la sua infinita campagna di conquista mili-
tare, l’effetto della contaminazione delle più diverse culture del mondo medio orientale, sino forse al più lontano oriente indiano, è indubbio che le armate di Alessandro non esportarono in quei vastissimi territori nuovi insegnamenti culturali o di governo della società, limitandosi Alessandro, e poi i suoi eredi che si divisero l’intero medio oriente (Antioco, Seleuco e Tolomeo), a sostituire se stessi ai precedenti gover-
nanti perpetuandone usi, costumi e cultura economica, sociale e anche religiosa. Anche da questa analisi della vicenda militare e politica del suo maggiore allievo appare una lettura sostanzialmente “conservativa” e “conservatrice” del pensiero aristotelico (in “altri tempi”, non eccessivamente remoti ma indubbiamente superati, si diceva che Aristotele era, in fondo, un “democristiano” ante litteram).
III
Tucidide
educati all’eroismo; noi, invece, pur vivendo con abbandono la vita, con pari forza affrontiamo pericoli uguali. E la prova è questa: gli Spartani fanno irruzione nel nostro paese, ma non da soli, bensí con tutti gli alleati; noi invece, invadendo il territorio dei vicini, il piú delle volte non facciamo fatica a superare in campo aperto e in paese altrui uomini che
vantano di averci sbaragliati tutti e se sono battuti, vanno dicendo, a loro scusa, di aver ceduto a tutto intero il nostro esercito. E per vero se noi amiamo affrontare i pericoli con signorile baldanza, piuttosto che con faticoso esercizio, e con un coraggio che non è frutto di leggi, ma di un determinato modo di vivere, abbiamo il vantaggio di non sfibrarci prima del tempo per dei cimenti che hanno a venire e, di fronte ad essi, ci dimostriamo non meno audaci di coloro che di fatiche vivono. Se per questi motivi è degna la nostra città di essere ammirata, lo è anche per altre ragioni ancora. Noi amiamo il bello, ma con misura; amiamo la cultura dello spirito, ma senza mollezza. Usiamo la ricchezza
difendono i propri focolari. E sí che mai nessuno dei nemici si è trovato di fronte tutta intera la nostra potenza, dato che noi rivolgiamo le nostre cure alla flotta di mare, ma anche, nello stesso tempo, mandiamo milizie cittadine in molti luoghi del continente. Quando gli avversari vengono a scontrarsi in qualche luogo con una piccola parte delle nostre forze, se riescono ad ottenere un successo parziale si
piú per l’opportunità che offre all’azione che per sciocco vanto di parola, e non il riconoscere la povertà è vergognoso tra noi, ma piú vergognoso non adoperarsi per fuggirla. Le medesime persone da noi si curano nello stesso tempo e dei loro interessi privati e delle questioni pubbliche: gli altri poi che si dedicano ad attività particolari sono perfetti conoscitori dei problemi politici;
Il discorso di Pericle agli ateniesi (461 a.c.) Il rispetto delle leggi, l’onestà e il disinteresse nello svolgimento degli incarichi pubblici fanno di Atene la scuola della Grecia Noi abbiamo una forma di governo che non guarda con invidia le costituzioni dei vicini, e non solo non imitiamo altri, ma anzi siamo noi stessi di esempio a qualcuno. Quanto al nome, essa è chiamata democrazia, poiché è amministrata non già per il bene di poche persone, bensí di una cerchia piú vasta: di fronte alle leggi, però, tutti, nelle private controversie, godono di uguale trattamento; e secondo la considerazione di cui uno gode, poiché in qualche campo si distingue, non tanto per il suo partito, quanto per il suo merito, viene preferito nelle cariche pubbliche; né, d’altra parte, la povertà, se uno è in grado di fare qualche cosa di utile alla città, gli è di impedimento per l’oscura sua posizione sociale. Come in piena libertà viviamo nella vita pubblica cosí in quel vicendevole sorvegliarsi che si verifica nelle azioni di ogni giorno, noi non ci sentiamo urtati se uno si comporta a suo gradimento, né gli infliggiamo con il nostro corruccio una molestia che, se non è un castigo vero e proprio, è pur sempre qualche cosa di poco gradito. Noi che serenamente trattiamo i nostri affari privati, quando si tratta degli interessi pubblici abbiamo un’incredibile paura di scendere nell’illegalità: siamo obbedienti a quanti si succedono al governo, ossequienti alle leggi e tra esse in modo speciale a quelle che sono a tutela di chi subisce ingiustizia e a quelle che, pur non trovandosi scritte in alcuna tavola,
portano per universale consenso il disonore a chi non le rispetta. Inoltre, a sollievo delle fatiche, abbiamo procurato allo spirito nostro moltissimi svaghi, celebrando secondo il patrio costume giochi e feste che si susseguono per tutto l’anno e abitando case fornite di ogni conforto, il cui godimento scaccia da noi la tristezza. Affluiscono poi nella nostra città, per la sua importanza, beni d’ogni specie da tutta la Terra e cosí capita a noi di poter godere non solo tutti i frutti e prodotti di questo paese, ma anche quelli degli altri, con uguale diletto e abbondanza come se fossero nostri. Anche nei preparativi di guerra ci segnaliamo sugli avversari. La nostra città, ad esempio, è sempre aperta a tutti e non c’è pericolo che, allontanando i forestieri, noi impediamo ad alcuno di conoscere o di vedere cose da cui, se non fossero tenute nascoste e un nemico le vedesse, potrebbe trar vantaggio; perché fidiamo non tanto nei preparativi e negli stratagemmi, quanto nel nostro innato valore che si rivela nell’azione. Diverso è pure il sistema di educazione: mentre gli avversari, subito fin da giovani, con faticoso esercizio vengono
poiché il cittadino che di essi assolutamente non si curi siamo i soli a considerarlo non già uomo pacifico, ma addirittura un inutile. Noi stessi o prendiamo decisioni o esaminiamo con cura gli eventi: convinti che non sono le discussioni che danneggiano le azioni, ma il non attingere le necessarie cognizioni per mezzo della discussione prima di venire all’esecuzione di ciò che si deve fare. Abbiamo infatti anche questa nostra dote particolare, di saper, cioè, osare quant’altri mai e nello stesso tempo fare i dovuti calcoli su ciò che intendiamo intraprendere: agli altri, invece, l’ignoranza provoca baldanza, la riflessione apporta esitazione. Ma fortissimi d’animo, a buon diritto, vanno considerati coloro che, conoscendo chiaramente le difficoltà della situazione e apprezzando le delizie della vita, tuttavia, proprio per questo, non si ritirano di fronte ai pericoli. Anche nelle manifestazioni di nobiltà d’animo noi ci comportiamo in modo diverso dalla maggior parte: le amicizie ce le procuriamo non già ricevendo benefici, ma facendone agli altri. È amico piú sicuro colui che ha fatto un favore, in quanto vuol mettere in serbo la gratitudine dovutagli con la benevolenza dimostrata al beneficato. Chi invece tale beneficio ricambia è piú tiepido, poiché sa bene che ricambierà non per avere gratitudine, ma per adempiere un dovere. Noi siamo i soli che francamente portiamo soccorso ad altri non per calcolo d’utilità, ma per fiduciosa liberalità. In una parola, io dico che non solo la città nostra, nel suo complesso, è la scuola dell’Ellade, ma mi pare che in particolare ciascun Ateniese, cresciuto a questa scuola, possa rendere la sua persona adatta alle piú svariate attività, con la maggior destrezza e con decoro, a se stesso bastante.
Epicuro (341-271a.c.) Letterasullafelicità Finché viviamo la morte non esiste ed è inutile preoccuparsene Gli dei non portano né beni né mali; il saggio è dio tra i mortali
IV
Non si è mai troppo giovani o troppo vecchi per la conoscenza della felicità. A qualsiasi età è bello occuparsi del benessere dell'anima. Chi sostiene che non è ancora giunto il momento di dedicarsi alla conoscenza di essa, o che ormai è troppo tardi, è come se andasse dicendo che non è ancora il momento di essere felice, o che ormai è passata l'età. Da giovani come da vecchi è giusto che noi ci dedichiamo a conoscere la felicità. Per sentirci sempre giovani quando saremo avanti con gli anni in virtù del grato ricordo della felicità avuta in passato, e da giovani, irrobustiti in essa, per prepararci a non temere l'avvenire. Cerchiamo di conoscere allora le cose che fanno la felicità, perché quando essa c'è tutto abbiamo, altrimenti tutto facciamo per averla. Pratica e medita le cose che ti ho sempre raccomandato: sono fondamentali per una vita felice. Prima di tutto considera l'essenza del divino materia eterna e felice, come rettamente suggerisce la nozione di divinità che ci è innata. Non attribuire alla divinità niente che sia diverso dal sempre vivente o contrario a tutto ciò che è fe-
lice, vedi sempre in essa lo stato eterno congiunto alla felicità. Gli dei esistono, è evidente a tutti, ma non sono come crede la gente comune, la quale è portata a tradire sempre la nozione innata che ne ha. Perciò non è irreligioso chi rifiuta la religione popolare, ma colui che i giudizi del popolo attribuisce alla divinità. Tali giudizi, che non ascoltano le nozioni ancestrali, innate, sono opinioni false. A seconda di come si pensa che gli dei siano, possono venire da loro le più grandi sofferenze come i beni più splendidi. Ma noi sappiamo che essi sono perfettamente felici, riconoscono i loro simili, e chi non è tale lo considerano estraneo. Poi abituati a pensare che la morte non costituisce nulla per noi, dal momento che il godere e il soffrire sono entrambi nel sentire, e la morte altro non è che la sua assenza. L'esatta coscienza che la morte non significa nulla per noi rende godibile la mortalità della vita, togliendo l'ingannevole desiderio dell'immortalità. Non esiste nulla di terribile nella vita per chi davvero sappia che nulla c'è da temere nel non vivere più. Perciò è sciocco chi sostiene di aver paura della
morte, non tanto perché il suo arrivo lo farà soffrire, ma in quanto l'affligge la sua continua attesa. Ciò che una volta presente non ci turba, stoltamente atteso ci fa impazzire. La morte, il più atroce dunque di tutti i mali, non esiste per noi. Quando noi viviamo la morte non c'è, quando c'è lei non ci siamo noi. Non è nulla né per i vivi né per i morti. Per i vivi non c'è, i morti non sono più. Invece la gente ora fugge la morte come il peggior male, ora la invoca come requie ai mali che vive. (...) Per questo noi riteniamo il piacere principio e fine della vita felice, perché lo abbiamo riconosciuto bene primo e a noi congenito. Ad esso ci ispiriamo per ogni atto di scelta o di rifiuto, e scegliamo ogni bene in base al sentimento del piacere e del dolore. E' bene primario e naturale per noi, per questo non scegliamo ogni piacere. Talvolta conviene tralasciarne alcuni da cui può venirci più male che bene, e giudicare alcune sofferenze preferibili ai piaceri stessi se un piacere più grande possiamo provare dopo averle sopportate a lungo. Ogni piacere dunque è bene per sua intima natura, ma noi
Botticelli, Nascita di Venere, particolare non li scegliamo tutti. Allo stesso modo ogni dolore è male, ma non tutti sono sempre da fuggire. Bisogna giudicare gli uni e gli altri in base alla considerazione degli utili e dei danni. Certe volte sperimentiamo che il bene si rivela per noi un male, invece il male un bene. Conside-
riamo inoltre una gran cosa l'indipendenza dai bisogni non perché sempre ci si debba accontentare del poco, ma per godere anche di questo poco se ci capita di non avere molto, convinti come siamo che l'abbondanza si gode con più dolcezza se meno da essa dipendiamo. In fondo ciò che vera-
Aristotele L’importanza della educazione civica La cosa più importante fra quante siamo venuti dicendo circa la stabilità delle forme di governo, e che tutti attualmente trascurano, è l'educazione civile. A nulla servono infatti anche le leggi più utili e approvate da tutti i cittadini, se questi non sono abituati ed educati alla costituzione: democraticamente se la legislazione è democratica, oligarchicamente se oligarchica. Quando infatti manca di disciplina l'individuo, ne manca anche lo Stato. L'essere educato a una costituzione non consiste nel fare ciò che piace agli oligarchici o ai fautori della democrazia, ma ciò che è condizione dell'esistenza dell'oligarchia o della democrazia. Oggi invece nelle oligarchie i figli dei capi vivono nel lusso, mentre i figli dei poveri si esercitano e sopportano le fatiche, di modo che aspirano alle rivoluzioni e sono in grado di compierle. In quelle democrazie d'altra parte che appaiono spingere all'estremo il democratismo, avviene il contrario di ciò che sarebbe conveniente: causa di ciò è l'errata concezione della libertà. Due infatti sono gli elementi che costituiscono la democrazia, la sovranità della maggioranza e la libertà; si pensa infatti che la giustizia consista nell'uguaglianza e l'uguaglianza nella sovranità “della volontà popolare”.
mente serve non è difficile a trovarsi, l'inutile è difficile. (...) Quando dunque diciamo che il bene è il piacere, non intendiamo il semplice piacere dei goderecci, come credono coloro che ignorano il nostro pensiero, o lo avversano, o lo interpretano male, ma quanto aiuta il corpo a non soffrire e l'animo a essere sereno. (...) Di tutto questo, principio e bene supremo è la saggezza, perciò questa è anche più apprezzabile della stessa filosofia, è madre di tutte le altre virtù. Essa ci aiuta a comprendere che non si dà vita felice senza che sia saggia, bella e giusta, né vita saggia, bella e giusta priva di felicità, perché le virtù sono connaturate alla felicità e da questa inseparabili. (...) La fortuna per il saggio non è una divinità come per la massa - la divinità non fa nulla a caso - e neppure qualcosa priva di consistenza. Non crede che essa dia agli uomini alcun bene o male determinante per la vita felice, ma sa che può offrire l'avvio a grandi beni o mali. Però è meglio essere senza fortuna ma saggi che fortunati e stolti, e nella pratica è preferibile che un bel progetto non vada in porto piuttosto che abbia successo un progetto dissennato. Medita giorno e notte tutte queste cose e altre congeneri, con te stesso e con chi ti è simile, e mai sarai preda dell'ansia. Vivrai invece come un dio fra gli uomini. Non sembra più nemmeno mortale l'uomo che vive fra beni immortali.