Maggio 2013

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Mensile di informazione, politica e cultura dell’Associazione Luciana Fittaioli - Anno V, n. 5 - maggio 2013 - distribuzione gratuita

“Prima di giudicare (e per la storia in atto o politica il giudizio è l’azione) occorre conoscere e per conoscere occorre sapere tutto ciò che è possibile sapere” (Antonio Gramsci) “Faremo il possibile per esporre in forma semplice e popolare, senza presupporre la conoscenza nemmeno dei concetti più elementari. Vogliamo farci comprendere dagli operai.” (Karl Marx)

S ov r anità l imitata


2 Sommario del mese di maggio Giù le mani dalla scuola! Italia “maglia nera” d’Europa di Andrea Tofi Il duro lavoro dei numeri primi Le otto ore di @yhaoo.it

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Sudditi o (e) complici Cives Yankee sum a cura di Sandro Ridolfi

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Il nemico del mio nemico Antisionismo e antisemitismo a cura di Sandro Ridolfi

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Voglio essere un tamburo Mozambico (parte seconda) di Sofia Gonoury e Sara Mirti

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Uscire dentro, entrare fuori Siamo fuori dalla psichiatria da manuale? di Giampiero Di Leo

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Grazie Signora Thatcher La distruzione dell’economia reale a cura della Redazione

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Nel nome di S. Bernardino Divagazioni intorno alla tolleranza di Sara Mirti

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Viva Verdi Nel bicentenario della nascita di Verdi di Jacopo Feliciani

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La coppia perfetta Di che coppia sei? di Catia Marani

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Il ritratto un racconto di Chiara Mancuso

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Redazione: Corso Cavour n. 39 06034 Foligno redazionepiazzadelgrano@yahoo.it

Autorizzazione: tribunale di Perugia n. 29/2009 Editore: Sandro Ridolfi Direttore Responsabile: Maria Carolina Terzi Sito Internet:

Andrea Tofi Stampa: GPT Srl Città di Castello Chiuso: 24 aprile 2013 Tiratura: 3.000 copie Periodico dell’Associazione “Luciana Fittaioli”

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Editoriale

Da Crimi a Renzi (e ritorno) Il mistero del “valore aggiunto” DI SANDRO RIDOLFI

Ho avuto modo di ascoltare più volte e da più persone la seguente considerazione: se invece di ostinarsi a candidare Bersani il PD avesse fatto spazio a Renzi, sicuramente il Movimento 5 Stelle avrebbe raccolto meno voti. Per quale ragione? Immagino due letture alla base dell’animoso suggerimento per la sostituzione del leader del così detto centrosinistra: la prima negativa (o meglio “negatoria”), la seconda positiva. La prima sostanzialmente consisterebbe in un rifiuto del “vetero” candidato, la seconda al contrario nell’apprezzamento per un ipotizzato “valore aggiunto” portato dal giovane emergente. La prima lettura debbo dire, e con particolare riferimento all’esperienza del nostro territorio, è un po’ come la “scoperta dell’acqua calda”. Le primarie per la candidatura del leader della coalizione di centrosinistra che, appunto nel nostro territorio avevano visto uno straordinario successo del giovane toscano del tutto estraneo alla struttura storica dei vecchi partiti ex comunista e democristiano confluiti nell’improbabile partito unico democratico, aveva lanciato un segnale talmente forte del rifiuto verso la inossidabile nomenclatura di quei partiti, che solo chi si è coperto gli occhi è riuscito a non vedere. Se quel segnale non fosse bastato, le successive primarie per la composizione delle liste elettorali circoscrizionali hanno chiaramente bissato quel rifiuto, pesantemente penalizzando la scelta dei gregari (anche se poi qualcuno doveva pure andare a comporre le liste e, a “numero chiuso”, le stesse sono state infine completate con quel che c’era). In verità, da osservatore esterno alle “contorsioni” interne a quel partito bicefalo, quei segnali di rifiuto erano apparsi, sì molto

chiari e forti, ma pur sempre interni a quel club elettorale e, quindi, destinati a rientrare, almeno temporaneamente per una tregua elettorale, di fronte al superiore interesse comune al ritorno al governo dopo tanti anni di astinenza forzata e sofferta. L’esito elettorale è andato molto oltre, in direzione negativa, e ha chiarito, “documentandolo” con le croci (non) tracciate sulle schede elettorali, il “disamore” degli elettori italiani per la classe dirigente del PD. Non dimentichiamo che l’intera coalizione di così detto centrosinistra ha raccolto il consenso di un elettore (avente diritto) su cinque, mentre a suo tempo il PCI rappresentava da solo un elettore su tre e un’ipotetica analoga coalizione quasi quattro su cinque; come dire che il PD in meno di venti anni si è “bruciato” tre quarti del proprio elettorato. Ma torniamo a Bersani e Renzi. Assai più problematica l’interpretazione della seconda lettura, per così dire “positiva”. Perché mai un candidato leader Renzi avrebbe dovuto attrarre al PD almeno una parte di quell’onda anomala di dissenso “globale” catturata dalla lista del comico a 5 stelle? Se non si tratta più in questo caso di rifiuto (ovvio il rifiuto verso Berlusconi e Monti), allora deve trattarsi di consenso in termini di apprezzamento, almeno nelle speranze. Cosa c’è da apprezzare nel giovane Renzi? La risposta è già nella domanda: il “giovane”. Premesso, per doverosa chiarezza, che Renzi ha una discreta anzianità politica, dato che a soli 35 anni è già da sedici che si occupa di politica amministrativa come unico impiego lavorativo (a parte una breve esperienza “manageriale” nell’azienda del babbo), essendo passato quasi direttamente dalla carica di lupetto scout a quella di Presidente della Provincia di Firenze e poi di Sindaco della stessa città, ne consegue che il termine “giovane” ha un solo riferimento: quello anagrafico. Dunque, il “valore aggiunto” dell’ipote-

tico candidato Renzi alla guida del governo della sesta/settima potenza economica mondiale sarebbe (uso il condizionale, ma non vedo altre ipotesi) quello di essere fondamentalmente un “inesperto” (senza nulla voler concedere a Marchionne, lo abbiamo censurato in un precedente fondo, ma l’essere stato Presidente di una “piccola” Provincia e ora Sindaco di una “piccola” città, non sembra integrare un brillante curriculum per governare l’intera Italia). Inesperto, non “più o meno”, ma esattamente “come” i candidati della lista 5 stelle. E veniamo ora a questi ultimi il cui successo, andato ben oltre le più rosee, o al contrario le più funeste, previsioni degli analisti politici, deve pure avere una spiegazione. Anche in questo caso intravedo due letture, sostanzialmente analoghe a quelle del confronto Bersani/Renzi: la prima di catalizzatore di rifiuto, in questo caso davvero contro tutto e tutti; la seconda di apprezzamento e fiducia per il “nuovo”. Se potessi provare (almeno modestamente: provare) a interpretare gli eventi politici seguendo i desideri, per quanto più oltre dirò, mi augurerei che la percentuale dei fautori della prima ipotesi, quella del rifiuto, raggiunga il 99,99 e rotti per cento. Così però, onestamente, non è e dunque temo che alla seconda ipotesi, quella dell’apprezzamento e della fiducia nel “nuovo”, debba essere accreditata una percentuale di adesione assai più alta. Allora, in cosa consiste questo “nuovo”? Voglio escludere la elaborazione filosofico-politica dell’ideologia del “vaffanculo” che, semmai, riferirei alla prima ipotesi, quella del rifiuto, ma come espressione verbale e non certo, mi auguro, ideologica. Cosa resta? Crimi! E sì, se togliamo il cappuccio della giacca a vento dell’ideologo del “vaffanculo” ci resta l’incredibile trasparenza della faccia di Crimi (di tutti gli identici cloni che compongono la squadra degli eletti delle 5 stelle).


4 Nasce una facile ironia: con Crimi in Parlamento abbiamo finalmente qualcuno che sa scrivere le leggi. Crimi infatti è dattilografo applicato in una struttura giudiziaria, quindi sa sicuramente scrivere testi pieni di riferimenti e termini normativi con correttezza e competenza, il problema è: chi detta? Esco dall’ironia a vengo al dunque: qual’è il “valore aggiunto” portato dal Movimento e quindi dai candidati/eletti delle 5 stelle? Sotto altro o più articolato profilo lo stesso del giovane Renzi: l’impreparazione. Non intendo con ciò assolutamente dire che per ricoprire incarichi politici occorre necessariamente essere del “mestiere”, anzitutto perché non esiste e non deve esistere un mestiere di politico (come di amministratore, sindacalista, ecc.). Chiunque deve poter concorrere e assumere compiti anche di elevatissima responsabilità politica e amministrativa. Tuttavia, diceva Lenin: “noi insegneremo anche a una cuoca a governare lo Stato”; diceva “insegneremo” anche a una cuoca, non certo “affideremo” l’amministrazione della Stato a una cuoca. Lo stesso vale per un lupetto scout. Ed ecco il comune denominatore che, a mio giudizio, sembra giustificare l’affermazione che ho citato in apertura di coloro che avrebbero auspicato una candidatu-

Editoriale ra Renzi per sottrarre voti alle 5 stelle: impreparati per impreparati, vuoto per vuoto, niente per niente. Siamo la sesta o la settima potenza economica del Mondo, il secondo paese manifatturiero d’Europa, siamo sprofondati in una crisi finanziaria gigantesca che sta uccidendo l’economia reale. Le fabbriche chiudono, i disoccupati aumentano, la cassa integrazione è agli sgoccioli; abbiamo un problema drammatico di rifondare uno stato sia pure (purtroppo, ma al momento non c’è ragionevole alternativa) capitalista e qui si parla solo di facce nuove (davanti a teste vuote) che propongono il nulla, ma non perché sono “cattivi”, ma perché non sono in grado di produrre/pensare altro o oltre. Che vadano pure in rottamazione i Bersani, Rosi Bindi, Finocchiaro e compagnia cantante, ma, siamo onesti (e seri) Renzi non vale un centesimo più di un Crimi (e non so neppure se sa scrivere al computer). Parliamo del governo di una delle più grandi potenze economiche mondiali; qualcuno degli onesti grillini e dei giovani renziani lo sa che siamo il secondo produttore ed esportatore di armi del mondo (e non sempre verso nazioni “democratiche”)? Lo sa che abbiamo la quinta o quarta compagnia petrolifera del mondo che possiede e coltiva giacimenti in

innumerevoli paesi del mondo e alla quale la Francia e l’Inghilterra, nonostante la tragedia della guerra di Libia, non sono riuscite a sfilare le concessioni petrolifere di quel paese? Lo sa che abbiamo eserciti ufficiali e non ufficiali sparsi in molte parti del mondo che proteggono le nostre fonti di risorse minerarie ed energetiche indispensabili per sostenere un sistema industriale tra i più grandi del mondo? Lo sa che abbiamo forse le riserve di risparmio più grandi del mondo che le grandi finanziarie internazionali stanno violentemente cercando di saccheggiare? Lo sa che siamo la piattaforma fisica, ma anche politica e culturale, dell’intero bacino mediterraneo in grado di determinare gli equilibri nord-sud sotto attacco dell’ennesimo tentativo di egemonia tedesca? Lo sa che siamo anche sotto attacco dell’agonizzante economia USA che sta cercando di smantellare le nostre industrie storiche per trasformare il nostro paese da produttore in un loro mercato? La gestione dell’economia di una nazione è cosa assai più complessa di quella di una singola famiglia; la crisi economica di una nazione non si combatte (solo) con la riduzione o razionalizzazione delle spese, ma inderogabilmente con la creazione del lavoro. Ma loro lo sanno cos’è il LAVORO?


Scuola

Giù le mani dalla Scuola! una sola “stella”, la “nostra” stella

La collettività ha interesse a che la scuola serva a formare degli uomini capaci, veramente preparati a esplicare un compito utile per tutti, e non che sia un distributorio di titoli a prezzi d’occasione. […] È necessario che la collettività, la quale spreme il sangue delle sue vene per pagare una burocrazia pletorica e fannullona, conservi tutte le possibilità di controllo sull’assegnamento dei titoli di studio, che, generosamente concessi agli inetti, servono solo a far aumentare lo stato di disagio della vita pubblica, a creare degli strati burocratici pleonastici, che vivono parassitariamente sulla produttività dei lavoratori». (A. Gramsci)

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Scuola: l’Italia è la “maglia nera” d’Europa L’Italia è al penultimo posto in Europa per la spesa nella scuola. Se non s'inverte la rotta, se non si capisce che la spesa per cultura, istruzione e ricerca non è una spesa improduttiva, il nostro Paese rimarrà indietro anche a livello economico, perché l'innovazione deriva dalle competenze e dalla conoscenza. DI ANDREA TOFI

L’articolo 34 della nostra Costituzione ispirandosi al pensiero Gramsciano sancisce il diritto allo studio per tutti ed obbliga lo Stato ha provvedere e rendere effettivo questo impegno “La scuola è aperta a tutti. L'istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita (è ovvio il riferimento al periodo storico in cui è stata concepita la carta Costituzionale). I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.” Dunque la scuola è pubblica e l’istruzione è “gratuita e obbligatoria” proprio perché è compito dello Stato provvedere all’istruzione e formazione dei cittadini “rimuovendo ogni ostacolo di ordine economico e sociale” che possa pregiudicare lo sviluppo delle attitudini e dei talenti dei singoli cittadini e quindi garantire anche concretamente l’eguaglianza dei cittadini e evitare ogni forma di discriminazione. Si coniugano perciò il diritto all’eguaglianza, intesa come parità di opportunità e non come uniformità omologata, e quello alla libera espressione del pensiero e alla diversità del singolo, garantita appunto dal divieto di ogni forma di discriminazione. Negli ultimi anni nel nostro bel paese, ma non solo, in seguito all’avanzata della crisi economica si è pensato di poter contenere i costi del sistema pubblico effettuando “tagli” profondi anche nel sistema scolastico. Nel 2011 la spesa

pubblica per l’istruzione in Italia è calata del 3,8%, nel 2012 la crontrazione è stata del 6,8%, nei prossimi quattro anni le recenti riforme comporteranno una riduzione di spesa di ulteriori 3,5 miliardi di Euro. Il paradosso è che mentre si “taglia” su tutto (persino sulla carta igienica e saponi per le mani), il numero degli insegnanti di “religione” è in continua ascesa, secondo fonti della CEI (il ministero della pubblica istruzione non rende più noti i dati) il numero dei docenti specialisti ha raggiunto le 23.779 unità nel 2012 su un campione pari al 91% delle diocesi censite. Nel quadriennio precedente, facendo riferimento allo stesso campione di diocesi, il numero dei docenti era 19.912, con un incremento dunque pari al 19,4%. Ad oggi, secondo sempre stime della CEI si parla di circa 28.000 fra maestri ed insegnanti delle scuole superiori. Di pari passo è aumentata notevolmente anche la spesa per sostenere l’insegnamento della “religione” all’interno della scuola pubblica, il fabbisogno

oggi si aggira intorno ai 720 milioni di Euro. Un’anomalia che non è giustificabile dato che si interseca con il calo continuo e inarrestabile degli alunni che non si avvalgono dell’insegnamento della “religione” e che durante quell'ora preferiscono uscire dall'aula. L'ultimo dato sempre fornito dalla Cei è prossimo all'11 per cento degli alunni, in appena 4 anni il loro numero è cresciuto di ben 147mila unità. L’Europa ha tanti difetti ma in alcune cose emana direttive incisive ed ispirate dal buon senso, il commissario all’educazione Ue Androulla Vassiliou è stata chiarissima: aumentare gli investimenti nell’istruzione e nella cultura. ''Sono tempi difficili per le finanze nazionali ma - ha sottolineato la commissaria ma abbiamo bisogno di un approccio coerente per gli investimenti pubblici nell'istruzione, poichè questa è la chiave per il futuro''. Se gli stati non investono ''adeguatamente'', il rischio, ha avvertito ancora la Vassiliou, è che ''ci troveremo sempre più arretrati rispetto ai nostri concorrenti globali'', con difficoltà ad affrontare la disoccupazione giovanile ed ha risollevare la nostra economia.


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Il pensiero pedagogico nella filosofia gramsciana Rileggendo alcuni passi dell’interpretazione del pensiero gramsciano sull’importanza dell’istruzione nell’emancipazione dell’uomo da tutte le schiavitù si capisce il tentativo subdolo dei poteri “forti” di smantellare il nostro sistema scolastico: “Un popolo di ignoranti è più facile da governare” L’attività politica assume per Gramsci valenza pedagogica. Il problema educativo è importante in quanto è espressione, bisogno storico di crescita politica, sociale e culturale delle classi lavoratrici. Abbiamo visto come il gruppo rivoluzionario abbia bisogno del consenso di tutti, per divenire classe dirigente. Il consenso deve costruirsi intorno a una cultura, a una visione del mondo e attorno ad alcuni ideali. E’ necessario diffondere, pertanto, il più possibile, questa cultura nelle masse, per farla diventare patrimonio di tutti. Questo compito, secondo Gramsci, spetta agli intellettuali e al partito. Sono essi, infatti, che devono elaborare e diffondere la dottrina del socialismo. Gli intellettuali, per Gramsci, non sono soltanto gli uomini di cultura, in quanto tali, ma anche coloro che lavorano nel settore produttivo e in quello politicoamministrativo. Essi, in modo particolare, non sono staccati dal popolo. L’intellettuale gramsciano, proprio per questa sua capacità ad aderire ai problemi concreti, è chiamato “intellettuale organico” che agisce come un funzionario del partito, cioè da specialista si fa politico. Di più, egli cura gli interessi comuni operando perché il popolo non abbia bisogno di altro se non del Partito. Quindi l’intellettuale organico non è staccato dalla masse popolari, ma ne condivide i problemi, a differenza dell’intellettuale dell’alta cultura che si opponeva alle masse popolari. Gramsci chiama il nuovo partito - cioè il Partito Comunista - il “moderno Principe”. Il riferimento a Machiavelli è evidente. Così come in Machiavelli, infatti, il principe è un individuo concreto (nel quale lo stato si rende visibile), anche nel comunismo, il partito è il soggetto nel quale si rende visibile la volontà collettiva del gruppo rivoluzionario. Il partito rappresenta tutti gli interessi della classe lavoratrice, proponendosi come guida morale, ideale e politica. Il principe inoltre prende il

posto, nella coscienza umana, della divinità, dell’imperativo categorico, avvero diventa la base per la laicizzazione di tutta la vita. Il Partito ha valore etico, è la “Verità”. Nel pensiero di Gramsci, dunque, il lavoro politico è presentato come pedagogizzazione. Che cosa intende Gramsci per “lavoro politico come pedagogizzazione”? Egli intende una generale rivoluzione della mentalità. Questa rivoluzione deve condurre all’emancipazione sociale e politica (si ricordi che anche Marx parlava di “emancipazione”, contro ogni forma di “alienazione”). Il compito di educare, dunque, spetta al partito, il quale si presenta come “educatore collettivo”, che nel suo sforzo pedagogico segue il criterio del conformismo, cioè dell’organizzazione della cultura, in modo tale da investire ogni cittadino, modellandolo sul progetto politicoculturale del partito stesso. La cultura è centro di questa rivoluzione, che libera dal folklore, integra le classi. L’egemonia culturale si costruisce attraverso la scuola ed altre istituzioni. A. Gramsci ci consente di comprendere i limiti sia del “neoidealismo”, imposto dal fascismo, sia dell’attivismo. All'epoca in cui Gramsci scrive, la situazione scolastica è regolamentata dalla vecchia riforma Casati che prevedeva un'eccessiva frattura fra indirizzi: classico-umanistico, scientifico-tecnico e praticoprofessionale. Fu poi introdotta, nel 1923, la Riforma voluta da G. Gentile (1875 – 1944), che prevedeva un’ulteriore e più pericolosa frattura fra i diversi gradi di scuola: elementari, medie e superiori, Università. Egli è avversario della filosofia idealista e contro la riforma scolastica di cui sopra. Riteneva, infatti, quel tipo di scuola classista, discriminante, culturalmente arretrata che seleziona la sua classe dirigente allontanandola dalla massa, che a sua volta deve produrre, lavorare, deve essere, insomma, “schiavizzata”. La scuola del regi-

me presupponeva la figura dell’allievo come “ascoltatore” passivo di nozioni astratte, meccanicistiche, di fronte ad una scissione assurda fra educazione e istruzione. Una scuola che si era posta in “conflitto” con la stessa società dell’epoca, non rispondendo alle esigenze di allora. Inoltre Gramsci è contro ogni forma di ideale metafisico e contro una scuola professionale che impedisce al ragazzo di crescere, di maturare una sua creatività, in quanto lo indirizza precocemente a un lavoro manuale e meccanico, segnandone il suo futuro, quello della classe operaia che aliena se stessa e il proprio lavoro a terzi. Egli teorizza, invece, una scuola di base uguale per tutti fondata su un nuovo modello educativo in cui si uniscono sia l’attività intellettuale, con la riscoperta delle fonti classiche, che quella manuale attraverso il lavoro, così da stimolare l’allievo alla crescita verso un’etica di lavoro. Una scuola, quindi, di cultura, non di tipo politecnico, ma che sia sempre lavoro, impegnata in una trasformazione della realtà. Egli era sensibile e attento ad una pedagogia, che da Célestin Freinet (1889 1966) in poi si chiama “popolare”, volta all’emancipazione delle classi povere. Proponeva una scuola media unica, obbligatoria fino a 14 anni, ma che si richiamava, appunto, ad uno esplicito conformismo, basato su un inevitabile nozionismo, necessario per superare il dogmatismo, il senso comune. L'unità che Gramsci va cercando nella scuola italiana è quella tra: - Scuola e vita. - Istruzione ed educazione - Istruzione e lavoro (inteso come capacità di collegare attività teorica con vita pratica). - Acquisizione di capacità di produrre/dirigere. Per Gramsci ora occorre riformare sistematicamente il sistema scolastico italiano, trovando il nuovo fulcro della scuola formativa partendo dalle


8 incontestabili considerazioni che lo studio sia e debba essere: - disinteressato (almeno all'inizio) e che quindi non abbia scopi pratici immediati; - formativo ma al tempo stesso istruttivo (cioè ricco di nozioni concrete); - attivo, creativo, libero, disciplinato e soprattutto “non spontaneistico”. E' parlando di spontaneismo che Gramsci critica J. J. Rousseau (1712 1778) e il principio della natura libera e buona dell’uomo, in quanto sostiene che l’educazione naturale porta gli adulti a non assumersi le proprie responsabilità. Lasciare fare alla natura significa anarchia, invece l’uomo va educato, formato, istruito, abituato al sacrificio, al lavoro, in maniera graduale, con la disciplina, non solo esteriore, ma anche interiore. Questa educazione interiore porta all’autodisciplina anche intellettuale. Non c’è spazio, dunque, per lo spontaneismo, che Gramsci definisce come “teoria dello sgomitolamento”. “Il bambino non è un gomitolo di lana da sgomitolare, ma la parte del complesso mondo storico su cui l’ambiente e la società esercitano la loro coercizione”. Il rapporto educativo, in altre parole, secondo Gramsci, non consiste nel tirar fuori, socraticamente, ciò che già sarebbe insito nel bambino. Il soggetto, invece, va formato dall’esterno. Gramsci vede perciò nel fanciullo, valori storici e non solo valori naturali. Così ciò che apparentemente, nel tipo di educazione spontaneistica, può sembrare una grande democrazia e libertà nei confronti dello scolaro, in realtà si dimostra un torto grave ai danni della sua formazione culturale che sarà così lasciata in balia dell'ambiente di crescita, spesso provinciale e particolare, sotto la guida di un maestro per nulla dogmatico e coercitivo E' per tali motivi che considera il maestro come guida, mediatore tra scuola e vita. A questo problema si lega implicitamente quello della preparazione culturale del corpo docente, infatti: “In realtà un mediocre insegnante può riuscire ad ottenere che gli allievi diventino più istruiti, ma non riuscirà ad ottenere che siano più colti”. Gramsci è contro ogni facilitazione, è per una scuola che richiede impegno e sforzo, sacrifici, solo così si assicura alla classe lavoratrice “un nuovo strato di intellettuali”. Lo studio è un mestiere faticoso, basa-

Scuola to su un tirocinio non solo intellettuale ma anche muscolare e nervoso. La scuola deve essere formativa, esigente e innovativa, deve riconoscere chi è meritevole, indipendentemente dalla classe di appartenenza, quindi una scuola per tutti. Tutti devono avere la possibilità di studiare, fin dall’infanzia per permettere la formazione, la crescita, lo sviluppo del carattere; una scuola, dice Gramsci che “non ipotechi l’avvenire del fanciullo e costringa la sua volontà, la sua intelligenza a muoversi entro un binario a stazione prefissata”. Insomma una scuola umanistica, come lo era quella classica o rinascimentale. La scuola deve tendere al pensiero creativo che perA.Gramsci: Quaderni dal Carcere 2 Febbraio 1929 mette di raggiungere l’emancipazione, l’autonomia morale. Gentile ed è la contrarietà al “metodo” Questa è propria del soggetto, il quale attivistico applicato in ambito pedasceglie e non si fa imporre il proprio gogico in maniera astratta. Il metodo, pensiero. Il cammino pedagogico por- per entrambi, non deve essere fine a se terà a liberarsi da tutte le “schiavitù” stesso, ma deve essere reso funzionale materiali, morali, culturali, fino a una all’apprendimento, attraverso i conteformazione “omnilaterale”, che inve- nuti. Ecco quindi che con Gramsci, in ste, cioè, l’uomo (inteso sempre come particolare, la pedagogia italiana “filgruppo) in tutti i suoi lati, i suoi aspet- tra” il metodo deweiano, al fine di otti, integralmente fino a giungere alla timizzare un apprendimento basato liberazione e all’eguaglianza sociale. anche sui contenuti. La lezione pedaIn questo senso Gramsci richiama il gogica di Antonio Gramsci quindi principio dell’educazione integrale di esercita nella cultura italiana ed euroQuintiliano (35 – 95), il quale sostene- pea un grande influsso, in quanto ha va una educazione “completa” dell’al- visto nella ideologia un elemento utile lievo, senza alcuna settorializzazione, per educare attraverso metodi pedaattraverso lo studio classico e con la gogici che producono mutamenti nelmediazione del formatore che deve la vita individuale e collettiva. Il limite istruire e formare l’allievo. Il modello di Gramsci è quello di non avere ricopedagogico gramsciano, pur aperto al nosciuto il valore della persona, come contrasto tra emancipazione e confor- singolo, nel processo educativo. Egli si mismo, si è posto come il modello più riferisce sempre e comunque all’uomo avanzato e più democratico elaborato inteso come gruppo sociale, ridimendal marxismo, tanto che influì profon- siona quindi la figura dell’uomo, perdamente sulla pedagogia italiana, gui- ché ciò che conta non è tanto la persodando sia la strategia educativa del na, ma il gruppo sociale, collettivo a P.C.I. (basata su scuola media unica, svantaggio dei singoli, che Gramsci antispontaneismo e scuola di cultura), considerava come “cani sciolti”, capaci sia gli orientamenti pedagogici (Berto- di fare prevalere le proprie posizioni ni Jovine, Lombardo Radice, Mana- personali, l’individualismo, a fronte di corda). Da sottolineare che, pur ideo- una struttura monolitica, granitica del logicamente in contrapposizione, vi è Partito, dove il militante ne sposa la un filo conduttore che lega Gramsci a causa.


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Opinioni

Il duro lavoro dei numeri primi DI

@YAHOO.IT

“Tre persone erano al lavoro in un cantiere edile. Avevano il medesimo compito, ma quando fu loro chiesto quale fosse il loro lavoro, le risposte furono diverse. 'Spacco pietre' rispose il primo. 'Mi guadagno da vivere' rispose il secondo. 'Partecipo alla costruzione di una cattedrale' disse il terzo" (Peter Schultz). Quale, fra le tre, vi sembra la risposta "giusta"? D'accordo, forse giuste lo sono tutte e tre, ma qual è la risposta che dà più informazioni su chi la pronuncia e quindi qual è la più esaustiva? Potrebbe non essere una questione così semplice. Come senz'altro saprete, la celebrazione del primo maggio nasce dall'esigenza urgente e capillarmente diffusa di perorare la causa, insieme sovversiva e necessaria, ideale e concreta, delle "sole" 8 ore lavorative; una causa attuale negli anni novanta dell'800 così come lo è ora. A tale proposito un famoso manifesto inneggia alla divisione della giornata in "8 ore di lavoro", "8 ore di tempo libero" e "8 ore di riposo". Ecco, prendendo ad esempio una simile tripartizione potremmo dire che la frase "Spacco pietre" rappresenti il tempo del lavoro fine a se stesso; "mi guadagno da vivere" lascia invece intravedere il tempo che seguirà dopo quello lavorativo, quello della vita insomma, quello che più ci rappresenta. Infine, l'affermazione "partecipo alla costruzione di una cattedrale" se da una parte potenzialmente racchiude in sé ogni cosa - il tempo del lavoro, quello della vita che il lavoro contribuisce in qualche modo a "produrre", e persino il tempo del sogno, dei progetti, delle ampie vedute in grado d'inglobare in sé anche il tempo che

non ci appartiene più e quello del futuro a cui ognuno di noi, volente o nolente, contribuisce con le proprie basi -, dall'altra rappresenta anche il tempo del "sonno", delle illusioni, dell'annegare dei sensi in una grande e nobile causa tutta da verificare. La morale è che i tempi della vita sopra schematizzati segnano ancora, e in modo drammaticamente poco esaustivo, tutto ciò di cui avremmo bisogno. E' ancora indispensabile spaccare pietre? Bastano otto ore pagate per sopravvivere? Cosa rappresentano oggi 8 ore di lavoro? Nel nostro tempo avanzano ancora delle libertà? E se si, come le distingueremo dalle nostre molteplici schiavitù? Una cosa è certa, se parlassero oggi, nessuno dei personaggi di Schultz sarebbe considerato "giovane": il lavoro distribuisce ruoli e potenzialità, iniziando parallelamente fin da subito a logorare ogni forma d'indistinta, amorfa giovinezza; mentre i giovani ormai - potremmo dire per loro stessa natura o per ruolo sociale - non hanno più nessuna delle 24 ore celebrate su quel manifesto. Hanno macchine che lavorano al posto loro, ma 8 ore di lavoro non bastano più per riempire una giornata lavorativa; se del tempo libero rimane è un brutto segno, e comunque sarebbe riempito dal giovane in questione dando la caccia ai fantasmi di una stanchezza subdola, ma più profonda. I giovani, ve lo assicuro, dormirebbero volentieri 16 ore se solo i pensieri dei pagamenti a cui non possono far fronte, o altre insonnie di simile angoscia, non li tenessero svegli tutta la notte costringendoli a dormire in piedi, in treno, in autobus o in tram. Privi di riposo, privi di un tempo che ne rappresenti la libera coscienza, privi tanto di una qualsiasi motivazione che dia un senso al proprio lavoro quanto del lavoro

stesso, i giovani si aggirano nei discorsi di esperti e politici come fossero dei fantasmi dannati, privi di una soggettività; quello che rimane loro in dote è una misera identità collettiva simile a un amalgama viscido e indistinto. Sono soltanto giovani. Ma cosa vuol dire giovane? Vi assicuro di aver incontrato ottantenni infinitamente più giovani della loro età anagrafica: più audaci, più curiosi, più ricchi di prospettive e di volontà. Viceversa, spesso i cosiddetti giovani possono essere ottusi e freddi, e soprattutto, proprio come qualsiasi adolescente più o meno cresciuto, incapaci di mediare tra i propri interessi e quelli del loro prossimo: a volte persino cinici, pratici, riduttivi, facili a prendere una decisione e altrettanto facili a cambiare idea. E' difficile avere fiducia di chi si fa strada passando sopra non al cadavere dei nemici, ma a quello degli amici, o peggio ancora dei maestri, o comunque dei predecessori. Trovo poco nobile prendersela con qualcuno che sarà già giudicato dalla storia, urlargli contro la propria rabbia sfruttando i tempi supplementari della vecchiaia ideologica, morale o semplicemente cronologica. E' troppo semplice prendersela con l'imperatore soltanto quando è già decaduto, con il capo nel momento in cui viene preso in fallo, con coloro che ci hanno preceduto e grazie ai quali abbiamo imparato, se non cosa fare, almeno cosa non fare. E' grazie tanto al coraggio quanto alla vigliaccheria di chi è venuto prima di noi, di chi si è cimentato già in ciò che facciamo, se noi ora siamo dove siamo, se abbiamo una coscienza oppure un'altra. Un conto è negare ogni giustificazione agli errori, un altro è negargli ogni comprensione; un conto è dire che alcune figure sono negative o dannose, un altro è dire che potremmo anche far finta che non siano mai esistite.


10 Si potrebbero citare molti esempi di giovinezza mal interpretata, di "novità" simili a terremoti rovinosi. E sì, la giovinezza si accorda a tal punto male con ogni ruolo e con ogni lavoro da essersi trasformata, suo malgrado, in una qualità sempre in eccesso, in una sostanza gelatinosa in grado di attaccarsi a chiunque e a qualunque cosa. Appaiono più giovani di quanto non siano gli occhiali di Maroni mentre in qualche modo si gode lo spettacolo di un Bossi fiaccato dagli eventi e dalla malattia, costretto a rinnegare pubblicamente la sua famiglia allargata e il suo stesso potere, costretto a consegnare le redini a un "delfino" già perdente, nonostante tutti intorno a lui pensino il contrario. Sembrano più giovani di quanto non siano i deputati e i senatori "grillini" mentre si avvicinano felici a un Parlamento alla deriva che, nel bene o nel male, li vedrà comunque protagonisti. Il celeberrimo quarto d'ora di gloria, si sa, spetterà tanto al cosiddetto buono che al cosiddetto cattivo, ma, in entrambi i casi, è necessario puntare bene i piedi sulle proprie, variabili, decisioni. A proposito di un altro "giovane talentuoso" (una ridondanza in un periodo in cui i talenti sono giovani oppure non sono), Renzi, come non citare il più che esaustivo Maurizio Crozza: "E' tornato in pista Renzi ragazzi, più forte che mai… Perché, dopo un momento di riflessione, ha ripreso i contatti politici, eh. Renzi è un vero leader, eh! Da un lato rinnova, ma dall'altro si rifà, beh, alla grande tradizione della sinistra italiana, eh: nei momenti difficili Togliatti andava da Kruscev, Berlinguer andava da Breznev, Occhetto andava da Gorbaciov… e anche Renzi è andato da qualcuno. E' andato da Maria Filippovna Costanzova! […] E' andato da 'Amici' di Maria De Filippi perché da 'Nemici di Pier Luigi Bersani' è già stato ospite fisso, per cui…[…]" (Maurizio Crozza, "Crozza nel Paese delle Meraviglie" del 05/04/2013). Ma come non pensare anche a Bersani e alla sua precedente campagna elet-

Opinioni torale in maniche di camicia? Che differenza avrebbe fatto una giacca? E allora perché non un maglioncino? Certo, parafrasando il solito, profetico, Crozza, il futuro avanza con stile, "il futuro è a sei stelle", se va bene, perché di stelle ne girano un'infinità sulla nostra testa, soprattutto ora che questa crisi ci sta prosciugando tanto i contanti quanto le speranze, e senza distinguere tra molto vecchi, giovani o non più giovani. La verità che è i privilegiati, o i tutt'altro che privilegiati, lo sono a prescindere dall'età che hanno: vecchi e giovani si tengono a distanza, animati dalla paura di un reciproco contagio, del tutto inutilmente. Inoltre, senza uscire dalle parafrasi "crozziane", il futuro non è certo "la rete" - roba vecchia -, no, il futuro della comunicazione potrebbe benissi-

mo essere "il teatro kabuki": vale a dire una raccolta di scene celebri - quindi in qualche modo anche una raccolta di luoghi comuni -, un'opera a più mani basata su l'emotività personale che, come d'incanto, sulla scena prende il sopravvento su qual si voglia "politica" generale la quale a propria volta è destinata a trasformarsi, per uno strano paradosso e alla velocità della luce (il teatro kabuki, infatti, volendo può essere immediato tanto quanto lo è internet), da sensazione soggettiva in morale condivisa, insomma in qualcosa in grado di spacciarsi per giovane e prorompente, che piace a tutti. Il futuro rischia di essere fin troppo "giovane" purtroppo: nient'altro che un eterno presente senza lavoro, senza tempo libero e senza sonno. Vi è familiare?


Vergogna

Sudditi o (e) complici?

All’inizio del proprio primo mandato presidenziale, gennaio 2009, Barack Obama aveva promesso, tra l’altro, di porre termine alle pratiche intraprese dalla precedente amministrazione Bush all’indomani dell’abbattimento delle Torri Gemelle di legittimazione del sequestro e della tortura di cittadini di qualsiasi paese del mondo sospettati di appartenere a organizzazioni terroristiche in danno degli USA. Obama aveva espressamente promesso di porre termine alle “extraordinary rendition” e di chiudere il campo di concentramento e tortura di Guantanamo. Per questa sola promessa Obama era stato insignito del premio Nobel per la pace. Ancora oggi,

anno 2013 e secondo mandato del presidente Obama, a Guantanamo risultano incarcerate oltre 130 persone, alcune da oltre 10 anni in attesa di processo. La foto mostra una delle pratiche di tortura applicate ai detenuti di Guantanamo: si tratta della “deprivazione sensoriale”. Con cuffie alle orecchie, occhiali oscurati, maschera alla bocca, guanti e scarpe, i detenuti vengono esclusi da ogni contatto sensoriale con il mondo esterno, oltre ad essere incatenati mani e piedi piegati a terra. Studi scientifici provano che questa tortura può condurre il prigioniero in poco tempo a stati di allucinazione e completo disorientamento spazio-temporale

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“Cives yankee sum” Appartiene alla saggezza popolare il detto che non c’è peggior padrone di un servo arricchito. Possiamo oggi aggiungere che non c’è anticomunista peggiore di un comunista rinnegato (che ha rinnegato). Il 6 aprile scorso il “galantuomo” (?) Napolitano ha concesso la grazia al comandante USA della base di Aviano, colonnello Romano, condannato definitivamente a 7 anni di carcere per avere partecipato al sequestro e “trasporto” in un centro di tortura estero del cittadino egiziano Abu Omar rifugiato politico in Italia. La gravità del provvedimento emesso dal “galantuomo” fa la pari solo con la gravità del reato commesso dagli agenti e militari USA in Italia con la complicità dei servizi segreti italiani e rende difficile trovare parole adeguate a descriverla ed esprimere il disgusto per questo vero (!) degrado della politica italiana. Lasciamo ai nostri lettori di trarre ed esprimere le proprie conclusioni, limitandoci a offrire gli elementi di conoscenza. Trascriviamo (necessariamente per estratti – si tratta di centinaia di pagine - ma i testi interi sono facilmente reperibili in internet) gli atti fondamentali che hanno condotto

alla condanna sia degli agenti e militari USA che degli agenti “deviati” dei nostri servizi segreti. “Prepotenza alla sovranità dello Stato italiano” “Grave violazione alla sovranità nazionale”, queste sono le parole usate dalla magistratura italiana per applicare ai responsabili il massimo della pena prevista dal codice penale italiano con tutte le aggravanti possibili. “Senza precedenti per l'aspetto della condanna di un militare statunitense della NATO per fatti commessi sul territorio italiano” questa la paradossale giustificazione della concessione della grazia di Napolitano verso un “Paese Amico” col quale si condivide “la promozione della democrazia e di tutela della sicurezza” (?!). Fino ad oggi solo un ex/anti-comunista era stato peggiore: Massimo D’Alema quando, meteora primo ministro, fece tuttavia in tempo a mandare i nostri bombardieri a distruggere ponti, ospedali e fabbri-

che serbe senza autorizzazione del Parlamento. Almeno (si fa per dire) lui lo fece di nascosto e negandolo, il “galantuomo” si è invece vantato dei ringraziamenti ricevuti dai padroni USA. “Il mio comunista preferito” diceva di lui Henry Kissinger, mente criminale del Presidente Nixon nella guerra di Indocina, nel colpo di Stato in Cile e in tanti altri crimini di guerra e in pace. (Sandro Ridolfi)

Parlamento dell’Unione Europea

Relazione finale approvata dall’assemblea plenaria del 16 febbraio 2007 la stessa sarà richiamata più volte dalle Corti d’Appello, dalla Corte di Cassazione e dalla Corte Costituzionale italiane, ignorata dal Presidente della Repubblica italiana Lottare contro la minaccia terrorista nel rispetto dei diritti umani La lotta contro il terrorismo va condotta sulla base dei nostri valori comuni di democrazia, Stato di diritto, diritti umani e libertà fondamentali e a tutela degli stessi. In proposito, il Parlamento ritiene che dopo gli eventi dell’11 settembre 2001, la cosiddetta “guerra al terrore”, con i suoi eccessi, abbia prodotto una grave e pericolosa erosione dei diritti umani e delle libertà fondamentali. E' pertanto necessario che, nel contemperare l'esigenza di sicurezza con i diritti dei singoli individui, siano sempre pie-

namente rispettati i diritti umani, garantendo quindi che i sospetti terroristi siano sottoposti a processo e condannati nel rispetto delle regole di diritto. Poca collaborazione da Stati membri e Consiglio Il Parlamento denuncia la mancanza di cooperazione da parte di molti Stati membri, nonché del Consiglio UE, nei confronti della commissione temporanea, sottolineando che tale atteggiamento si è dimostrato di gran lunga inferiore alle legittime aspettative del Parlamento. D'altra parte, sottolinea la serietà e il rigore del lavoro svolto dalle

autorità giudiziarie di Italia, Germania, Spagna e Portogallo e incoraggia i parlamenti nazionali dei paesi europei a proseguire o ad avviare approfondite indagini, «anche attraverso l'istituzione di commissioni parlamentari d'inchiesta». Più in particolare, i deputati deplorano che il Consiglio e la sua Presidenza siano venuti meno al loro obbligo di tenere il Parlamento pienamente informato sui principali aspetti e sulle scelte fondamentali della politica estera e di sicurezza comune (PESC) e sui lavori svolti nel settore della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale.


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Vergogna In tale contesto, inoltre, ritengono totalmente inaccettabile che il Consiglio abbia inizialmente nascosto e in seguito fornito soltanto informazioni frammentarie sulle discussioni svolte con alti funzionari del governo americano. Si dicono poi indignati per la proposta che sarebbe stata avanzata dall’allora Presidenza del Consiglio di istituire un “quadro” comune con gli USA sulle norme relative alla consegna di sospetti terroristi. Consegne straordinarie: i governi sapevano Il programma di consegne straordinarie, ricorda il Parlamento, è una prassi extragiudiziale che contrasta con le norme internazionali vigenti in materia di diritti umani, e secondo la quale un individuo sospetto di coinvolgimento in attività terroristiche viene illegalmente rapito, arrestato e/o posto sotto la custodia di funzionari statunitensi e/o trasportato in un altro paese per essere sottoposto a interrogatori, il che, nella maggior parte dei casi, comporta torture e detenzione in "incommunicado". Tra la fine del 2001 e la fine del 2005, i

voli effettuati dalla CIA nello spazio aereo europeo o che hanno fatto scalo in aeroporti europei sono stati almeno 1.245. Ad essi va aggiunto un imprecisato numero di voli militari utilizzati per lo stesso scopo. I deputati condannano le consegne straordinarie quale «strumento illegale» utilizzato dagli Stati Uniti nella lotta al terrorismo, così come il fatto che, in diverse occasioni, «questa prassi sia stata accettata e tenuta nascosta dai servizi segreti e dalle autorità governative di taluni paesi europei. Nel condannare anche chiunque abbia partecipato all'interrogatorio di individui che sono vittime di consegne straordinarie, il Parlamento ritiene che tale prassi abbia inoltre dimostrato di esser controproducente nella lotta al terrorismo, visto che danneggia e indebolisce le normali procedure giudiziarie e di polizia contro i sospetti terroristi. Il caso Abu Omar e il ruolo del SISMI In proposito, i deputati condannano la consegna straordinaria da parte della CIA del funzionario egiziano Abu Omar, rapito a Milano nel febbraio 2003

e trasportato in aereo verso l'Egitto, dove da allora viene tenuto in "incommunicado" e torturato. Al riguardo, la relazione condanna il ruolo attivo svolto da un maresciallo dei carabinieri e da taluni funzionari dei servizi segreti e di sicurezza militari italiani (SISMI) nel rapimento. Peraltro, i deputati ritengono molto probabile, visto il coinvolgimento dei suoi servizi segreti, che il governo italiano allora in carica fosse al corrente della consegna straordinaria di Abu Omar avvenuta sul suo territorio. D'altra parte, ringraziano il Pubblico Ministero Spataro per la testimonianza resa davanti alla commissione temporanea e plaudono alle indagini «efficienti e indipendenti» svolte, sostenendo «pienamente» le sue conclusioni e «la decisione del GUP di rinviare a giudizio 26 cittadini statunitensi, agenti della CIA, 7 alti funzionari del SISMI, un carabiniere del ROS e il vicedirettore del quotidiano Libero». Invitano quindi il Ministro della giustizia italiano a procedere «quanto prima» alle richieste di estradizione dei 26 cittadini USA, affinché possano essere processati in Italia.

Sentenza della Corte d’Appello 5 dicembre 2010 La sentenza sarà confermata dalla Corte di Cassazione e diverrà definitiva per gli agenti USA. La Cassazione rinvierà invece ad altra Corte d’Appello per la prosecuzione del processo nei confronti degli agenti del SISMI avendo negato il vincolo del segreto di Stato Le caratteristiche del fatto sono tali da doversi distaccare notevolmente dai minimi edittali per avvicinarsi ai massimi, anche senza alcuna finalità di scoraggiare dal compimento di analoghe attività. Il reato è stato materialmente commesso da una grande pluralità di persone e certamente, prima di essere eseguito, è stato deciso e programmato da altre numerose persone. Ciò determina la sussistenza dell’ aggravante contestata i cui all’ art. 112 comma 1 n. 1 cp. L’organizzazione è stata straordinaria in termini di tempo, di uomini, di studio, di risorse. Ciò è avvenuto non solo nella fase della preparazione ed esecuzione, ma anche nella fase successiva del trasporto all’aeroporto di Aviano, di introduzione all’ interno della base, di predisposizione dei mezzi per i voli successivi e per la consegna alle autorità egiziane. Tutto è avvenuto superando di prepotenza la sovranità dello Stato italiano nel proprio territorio, scavalcando le

competenze delle autorità di Polizia e della Magistratura che indagava e cercando di depistare le investigazioni con la diffusione di false notizie. Ma ancor più significativa ai fini della valutazione della gravità del fatto è la considerazione relativa alle finalità del sequestro. Esso è stato determinato dallo scopo di consegnare il sequestrato alle autorità egiziane, dove sarebbe stato sottoposto alle torture che poi lo stesso ha riferito. E naturalmente non rileva in questa sede quale fosse lo scopo che le autorità intendevano raggiungere in tal modo. Rileva solo la consapevolezza di questa finalità da parte dei responsabili. Né era possibile che gli interessati pensassero ad una spiegazione alternativa dei motivi del sequestro, spiegazione mai fornita dagli interessati e difficilmente immaginabile, visto il dispiegamento di forze, le caratteristiche del sequestrato e le modalità di attuazione del suo prelevamento forzato. Certamente nessuno

poteva pensare che il sequestro venisse posto in essere con quelle modalità per proteggere la persona o per portarla in luogo sicuro o per rivolgerle semplici domande o per assicurare soltanto la sua presenza in carcere. La pena base ex art. 605 comma 2 cp viene fissata in anni 8 di reclusione per Lady, che risulta avere svolto attività particolarmente intensa di organizzazione, coordinamento, reclutamento e realizzazione, ed in anni 6 di reclusione per gli altri imputati americani, accusati del sequestro. Tali pene vengono aumentate di un anno di reclusione per ciascun imputato, per l’aggravante di cui all’ art. 112 comma 1 n. 1 cp, aggravante di notevole importanza nel caso concreto perché il numero di partecipanti era non solo superiore a 5, ma elevatissimo ed ha inciso notevolmente sulla pericolosità oggettiva del fatto. Le pene vengono, dunque, fissate in anni 9 di reclusione per Lady ed in anni 7 di reclusione per tutti gli altri.


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Sentenza della Corte d’Appello 12 febbraio 2013 La sentenza, che non ha precedenti per la misura massima delle pene applicate ai funzionari infedeli dello Stato, è stata depositata sostanzialmente lo stesso giorno della grazia di Napolitano, non è ancora definitiva ma difficilmente sarà modificata Il reato di sequestro di persona è già di per sé, in generale, un fatto di notevole gravità, implicando la limitazione arbitraria di un bene fondamentale della parte lesa, quale la libertà personale (bene tutelato dalla Costituzione, e la cui restrizione è disciplinata rigorosamente, anche quando avviene da parte delle autorità cui la legge riconosce tale potere). Il sequestro di persona qui giudicato presenta poi connotazioni ulteriori e specifici, che lo rendono particolarmente grave, per le caratteristiche peculiari del caso di spec1e. A ciò si aggiunge, rendendo (se possibile) ancor più grave il fatto giudicato, la circostanza che la vittima del sequestro era un soggetto che aveva ottenuto in Italia lo status di rifugiato politi-

co, e dunque aveva ottenuto dal nostro Paese garanzie di tutela proprio di quei diritti fondamentali della persona, che erano minacciati nel Paese d'origine. Chi ha eseguito, o comunque in qualsiasi modo partecipato al reato, ha così consentito che tali diritti venissero violati; e particolarmente grave è da ritenersi la partecipazione al reato di soggetti che, per la loro posizione soggettiva di appartenenti ad un'istituzione dello Stato, avrebbero dovuto garantire che simili violazioni non venissero commesse. Per di più, la collaborazione al compimento di tale attività illecita da parte di soggetti stranieri nel territorio del nostro Stato ha di fatto permesso che venisse concretizzata una grave violazione della sovranità

nazionale; anche in questo caso è perciò particolarmente riprovevole la compartecipazione al reato proprio di persone che avrebbero dovuto, per il molo rivestito, tutelare la sovranità del nostro paese. Tutti gli elementi sopra menzionati, relativi sia alle caratteristiche oggettive del fatto giudicato che a quelle soggettive degli imputati, connotano dunque il reato oggetto d'imputazione di una gravità singolarmente elevata, di cui si deve tener conto nella determinazione della pena da infliggersi agli imputati. Condanna Di Gregori, Di Troia e Ciorra alla pena di anni 6 di reclusione ciascuno, Mancini alla pena di anni 9 di reclusione e Pollari alla pena di anni 10 di reclusione.

Il provvedimento di grazia del “galantuomo” Il pezzo che segue è montato con estratti del provvedimento pubblicati dalla stampa quotidiana non essendo stato possibile reperire il testo integrale, ma il significato è chiaro: se l’ “Amico” ha il più grande esercito del Mondo... meglio essere alleati obbedienti "Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ai sensi dell'articolo 87, comma 11, della Costituzione, ha oggi concesso la grazia al colonnello Joseph L. Romano III, in relazione alla condanna alla pena della reclusione e alle pene accessorie inflitta con sentenza della Corte d'Appello di Milano del 15 dicembre 2010, divenuta irrevocabile il 19 settembre 2012... La decisione è stata assunta dopo aver acquisito la documentazione relativa alla domanda avanzata dal difensore avvocato Cesare Graziano Bulgheroni, le osservazioni contrarie del Procuratore generale di Milano e il parere non ostativo del Ministro della Giustizia. A fondamento della concessione della grazia, il Capo dello Stato ha, in primo luogo, tenuto conto del fatto che il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama, subito dopo la sua elezione, ha posto fine a un approccio alle sfide della sicurezza nazionale, legato ad un preciso e tragico momento storico e

concretatosi in pratiche ritenute dall'Italia e dalla Unione Europea non compatibili con i principi fondamentali di uno Stato di diritto... In definitiva, con il provvedimento di grazia, il Presidente della Repubblica nel rispetto delle pronunce della Autorità giudiziaria ha inteso dare soluzione a una vicenda considerata dagli Stati Uniti senza precedenti per l'aspetto della condanna di un militare statunitense della NATO per fatti commessi sul territorio italiano, ritenuti legittimi in base ai provvedimenti adottati dopo gli attentati alle Torri Gemelle di New York dall'allora Presidente e dal Congresso americani. L'esercizio del potere di clemenza ha

così ovviato a una situazione di evidente delicatezza sotto il profilo delle relazioni bilaterali con un Paese amico, con il quale intercorrono rapporti di alleanza e dunque di stretta cooperazione in funzione dei comuni obiettivi di promozione della democrazia e di tutela della sicurezza".


Amico

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Il nemico del mio nemico è mio amico "Se tu ascolti la sua voce e fai quanto ti dirò, io sarò il nemico dei tuoi nemici e l'avversario dei tuoi avversari"(Bibbia, Esodo, capitolo 23, versetto 22)

“Una delle peggiori trappole tese dalla macchina della propaganda fondamentalista cristiano-giudaica è quella di etichettare gli anti-sionisti come "anti-semitici". Questa è l'espressione della peggior specie di propaganda in atto sui media americani. L'anti-sionismo è il rifiuto della disumanità, ingiustizie e illegittimità connesse con la creazione e il supporto all'attuale stato ebraico di Israele. Al contrario, con il termine anti-semitismo ci si riferisce al sentimento di paura o avversione che si nutre verso qualcuno solo in virtù della sua appartenenza alla etnia giudaica. Non lasciatevi confondere dalla macchina propagandistica giornalistica dell'egemonia occidentale che vi vuole far credere che anti-sionismo e anti-semitismo siano la stessa cosa!”


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Quale “olocausto”, quale “Israele”? Ahmadinejad NON HA MAI negato l’ “olocausto” subito dai cittadini di etnia ebraica da parte dei cittadini di pretesa etnia ariana europei. Ahmadinejad NON HA MAI negato il diritto dei cittadini di etnia ebraica insediati in Palestina di avere un proprio stato autonomo o federato con un pari stato per i cittadini autoctoni palestinesi Nello scorso numero abbiamo scritto che saremo tornati sul controverso personaggio Ahmadinejad, il “cattivissimo” che nega che i tedeschi, gli italiani, gli ungheresi, i francesi e via dicendo un po’ tutti gli europei così detti ariani nella prima metà del secolo scorso hanno bestialmente massacrato circa 5 milioni di loro connazionali di etnia ebraica; che vuole distruggere lo stato di Israele ributtando a mare i sopravvissuti (i figli dei sopravvissuti) della shoa ariana europea; che vuole costruire una bomba atomica per minacciare gli stati (popoli) liberi del mondo (occidentale). Lo facciamo con questo inserto cominciando dalla denuncia delle clamorose falsificazioni delle informazioni diffuse dai media occidentali sulle parole stesse pronunciate dal “cattivissimo”. A fianco pubblichiamo l’immagine del sito della “Repubblica” con la notizia (sintesi e commento) del discorso pronunciato all’Assemblea dell’ONU del settembre 2012 da Ahmadinejad; di seguito trascriviamo il testo originale di quell’intervento. Non occorrono commenti: non una parola di negazione dell’olocausto europeo, non una minaccia di distruzione di Israele. Nota: abbiamo scelto un episodio, ma lo stesso lavoro di ricostruzione della verità può essere eseguito con identici risultati su molti altri interventi di Ahmadinejad “demonizzati” dai commentatori della stampa occidentale e reperibili, invece, nel testo originale in numerosi siti di controinformazione in internet. Perché falsificare così clamorosamente la verità, a quale fine costruire il “mostro”? Se pensiamo alla ricerca

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n nome di Dio, il Clemente, il Misericordioso
[...] Spettabili Signore, Egregi Signori
 quel che oggi l’umanità sopporta non è degno della dignità umana; Dio non ha creato l’uomo affinché alcuni gruppi di uomini impongano ingiustizia ad altri gruppi. Affinché un gruppo creando guerra e violenza riesca a derubare la risorse, arricchirsi ed espandere il proprio dominio mentre l’altro gruppo sia costretto a sopportare la povertà e le disgrazie che ne provengono. Affinché un gruppo forte delle sue armi e delle sue minacce comandi il mondo mentre altri siano costretti a rimanere sempre sotto l’ombra della minaccia e dell’insicurezza. Certuni si spingono a migliaia di chilometri di distanza dal proprio paese ed occupano la terra altrui per controllarne il petrolio o le altre risorse; altri

delle mai esistite armi di distruzione di massa che hanno costituito il pretesto del massacro della nazione e del popolo irakeno, la risposta potremmo già trovarla. Ci insegna Gramsci: conoscere per giudicare; ebbene cominciamo dal “conoscere”, torneremo sull’argomento per “giudicare” nei prossimi numeri. (SR)

ogni giorno devono assistere alla distruzione delle loro case ed alla morte dei loro bambini nella loro stessa terra.
Questi comportamenti non sono all’altezza della dignità umana e si rivelano contrari alla verità ed alla giustizia. L 
 a domanda ora è questa: in simili circostanze gli oppressi del mondo dove devono rivolgersi? Quale persona o quale organizzazione difende i diritti degli oppressi e punisce gli oppressori? Dove si trova la corte della giustizia mondiale?
 Ricordando qualche esempio ed effettuando un ripasso delle questioni mondiali di maggiore rilievo intendo chiarire i pensieri espressi. rimo: la proliferazione inarrestabile delle armi nucleari, microbiche e chimiche
 Alcune potenze vantano la produzione di armi nucleari della se-

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conda e della terza generazione. A cosa servono queste armi? La produzione di queste armi micidiali e riempire i depositi di queste servirà forse alla diffusione della pace e della democrazia? Oppure queste armi serviranno a minacciare i governi ed i popoli?
 Fino a quando i popoli del mondo dovranno vivere minacciati dalle bombe nucleari, batteriche e chimiche? Le potenze produttrici di queste armi quali responsabilità hanno e come vengono chiamate a rispondere delle proprie azioni dinanzi alla comunità internazionale? Mi chiedo se i popoli di questi paesi siano d’accordo sul fatto che la loro ricchezza venga impiegata per la costruzione di queste armi distruttrici. Invece di appoggiarsi alle armi micidiali ed alle bombe, non si potrebbe contare sulla giustizia, l’etica e la ragione?


Amico Quale dei due sono più vicini alla pace, le bombe o la ragione? Se ci fosse ragione, etica e giustizia, le radici dell’oppressione andrebbero bruciate e le minacce distrutte. Non rimarrebbe nulla in grado di causare conflitti dato che la maggior parte dei conflitti nel mondo sono causati dalla mancanza di giustizia e dall’ambizione. Tutti i popoli amano la giustizia, la accolgono a braccia aperte e sono disposti a fare sacrifici per difenderne l’esistenza. Se le potenze mondiali innalzassero la bandiera della reale giustizia, della pace e dell’affetto non sarebbero più amate del loro oggi, dedicato invece alla produzione ed alla diffusione di armi chimiche e nucleari? L’esperienza purtroppo esiste già e le conseguenze delle minacce e dell’uso delle armi le abbiamo già viste in passato. L’uso delle armi quale altro esito ha avuto se non quello di diffondere l’odio e la vendetta tra i popoli? econdo: l’occupazione dei paesi e l’aumento dei conflitti Come era successo ad altri paesi, anche l’Iraq è stato occupato e sono 3 anni che l’occupazione continua. Non passa giorno senza che in Iraq gente innocente venga uccisa a sangue freddo. Le forze che occupano il paese non sono in grado di garantire la sicurezza. Nonostante la formazione del governo e del parlamento regolare, mani nascoste lavorano per istigare le divergenze esistenti nella società irakena e creare una guerra civile. Non esistono elementi che possano testimoniare un serio interesse delle forze di occupazione alla lotta contro l’insicurezza. Infatti, un numero elevato di terroristi sono stati arrestati dalle forze irachene ma per ragioni sconosciute le forze di occupazione hanno disposto la liberazione di questi individui. Appare che la fomentazione delle violenze ed il terrorismo costituiscano una giustificazione per la presenza delle forze straniere in Iraq. In simili circostanze, a chi si deve rivolgere il popolo irakeno? Dove deve sporgere denuncia il governo iraqeno? Chi è garante della sicurezza dell’Iraq? L’insicurezza in Iraq influenza negativamente l’intera regione. Il consiglio di sicurezza è in grado di fare qualcosa per l’instaurazione della pace e della sicurezza in Iraq mentre le potenze che lo occupano sono a loro volta membri permanenti del consiglio di sicurezza? Il consiglio di sicurezza è in grado di prendere decisioni imparziali su questo tema? Osservate la Palestina. La radice dei problemi di questa terra va trovata nella storia della seconda guerra mondiale. Con la

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scusa di sostenere parte dei reduci del conflitto, la terra palestinese è stata occupata e milioni di autoctoni della zona sono stati costretti alla fuga. Le terre occupate sono state regalate ad un numero ridotto di reduci del secondo conflitto mondiale e poi gente proveniente da tutto il mondo che non aveva avuto nulla in comune con la guerra è stata radunata in Palestina dove è stato fondato un governo. Un governo creato in una terra che non era sua e con una popolazione che non apparteneva a quella terra e che proveniva dalle diverse parti del mondo; e questa fondazione (è avvenuta/ndr) a costo di sottrarre la terra a milioni di persone. Questa è una grande tragedia che non ha precedenti nella storia umana. Ancora oggi i profughi vivono nei campi ed alcuni di loro hanno detto addio alla vita senza vedere avverato il sogno di ritornare nella loro terra d’origine. Esiste una qualsiasi forma di ragione o legge in grado di definire legale una simile azione? Esiste tra i membri delle Nazioni Unite, un paese che accetterebbe che al suo paese venisse riservato un trattamento simile? Il pretesto per la fondazione del regime che occupa la Palestina è talmente mediocre che alle persone non viene nemmeno dato il permesso di parlarne; altrimenti, con il chiarimento della questione, inizierebbe a mancare una filosofia per l’esistenza del regime sionista; ed infatti oggi questa filosofia non esiste più. Ma la tragedia non si conclude con la fondazione di un regime nella terra di un’altro popolo. Purtroppo dal primo giorno della fondazione, questo regime è stato usato dalle potenze come uno strumento per la creazione di instabilità, guerre, violenze e co-

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me un freno allo sviluppo dei paesi della regione. È probabile che alcuni dei sostenitori di questo regime si offendano ma queste sono le verità, non si tratta di leggende. La storia è dinanzi ai nostri occhi. Ma ancor più importante di quanto detto, vi è il sostegno illegale a questo regime. Osservate la terra palestinese. La gente viene bombardata nelle proprie case. I loro bambini vengono uccisi nelle vie e nelle strade e nessuno è in grado di difenderli, nemmeno il consiglio di sicurezza. Perchè? Dall’altra parte un governo viene eletto direttamente dal popolo in una piccola parte della Palestina ma invece di essere sostenuto da coloro che si dichiarano i difensori della democrazia, viene decimato; i suoi membri, i suoi ministri, i suoi deputati vengono arrestati sotto gli occhi del mondo. Quale consiglio o organizzazione ha sostenuto questo governo oppresso? Perché il consiglio di sicurezza non può alzare nemmeno un dito? Proprio ora voglio parlare del Libano. Per 33 giorni il popolo libanese viene bombardato ed un 1 milione e mezzo di persone rimangono senza tetto. Alcuni membri del consiglio di sicurezza di fatto si muovono in maniera tale da permettere all’aggressore del Libano di realizzare i suoi obbiettivi militari e per questo nei primi giorni il consiglio di sicurezza non può far nulla per stabilire un cessate il fuoco. Il consiglio di sicurezza rimane ad osservare la scena tragica delle aggressioni ed i crimini di Qana si ripetono. Perchè? In tutti questi casi la risposta della domanda è ovvia. Fino a quando la causa del conflitto è all’interno del consiglio di sicurezza, questo consiglio non può assolvere ai propri doveri.


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Amico

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erzo: il mancato rispetto dei diritti dei membri delle organizzazioni internazionali Eccellenze, ora voglio ricordare alcuni dei soprusi che sono stati fatti al popolo iraniano: La Repubblica Islamica dell’Iran è membro dell’agenzia internazionale per l’energia atomica e firmatario del trattato NPT. Il nostro programma nucleare è trasparente, pacifico e si sviluppa sotto l’occhio attento degli ispettori dell’Aiea. Perché a noi vengono negati i diritti riconosciutici esplicitamente dalle leggi internazionali? Quali sono i governi che ostacolano la nostra attività? Sono i governi che possiedono il ciclo di produzione di combustibile. Alcuni di questi paesi hanno usato la scienza nucleare a scopi non-pacifici come la fabbricazione di bombe nucleari ed hanno persino nel loro passato il demerito di averle usate contro gli esseri umani. [...] I paesi non sono giudicati in base alle leggi esistenti ed internazionalmente accettate; il fatto che un paese possa usufruire dei suoi diritti legittimi dipende dal volere delle grandi potenze. Apparentemente, il consiglio di sicurezza è solamente utile come garante degli interessi di alcune grandi potenze, ma se gli innocenti muoiono a migliaia sotto le bombe, il consiglio di sicurezza deve fare silenzio e non approvare il cessate il fuoco. Ma per il consiglio di sicurezza, che dovrebbe garantire la sicurezza nel mondo, questa non è forse una tragedia storica? Il sistema dominante oggi è tale da elevare al di sopra della volontà di 180 nazioni, quella di un’unica nazione che si autodichiara pari al volere della comunità internazionale. Questo paese si sente padrone del globo e ritiene di seconda classe le altre popolazioni. [...] Ma la popolazione mondiale oggi merita di essere governata con le leggi di 60 anni fa? Le nuove generazioni non hanno il diritto di decidere per il mondo in cui hanno intenzione di vivere? Oggi la riforma all’interno delle Nazioni Unite è necessaria più che mai. La giustizia e la democrazia ordina di rispettare il ruolo dell’assemblea generale dell’Onu come il principale organo di decisione di questa organizzazione ed è proprio il compito di questa assemblea salvare il consiglio di sicurezza dalla sua condizione attuale. Altrimenti almeno il movimento dei non-allineati, l’organizzazione dei paesi islamici e il con-

tinente africano devono avere ognuno un seggio permanente al consiglio di sicurezza con il diritto di veto in modo da bilanciare le forze all’interno del consiglio ed impedire l’oppressione dei paesi meno potenti. Spettabile Direzione, Eccellenze d’altro canto, reputo necessario che l’etica ritorni a svolgere il ruolo che deve avere. Senza etica e senza tenere in considerazione gli insegnamenti dei profeti del Signore, non si possono garantire la giustizia, la libertà ed i diritti umani. La chiave dei problemi dell’uomo di oggi è la religione e l’etica. Se il rispetto dei diritti umani sarà veramente un valore, non ci sarà spazio per l’ingiustizia, la violenza e la guerra. Gli uomini sono stati creati tutti da Dio e tutti hanno dignità e tutti sono degni di rispetto. Nessuno è superiore. Una persona o un governo non può riservarsi un trattamento speciale e nessun governo deve ignorare i diritti degli altri governi. Non è giusto che un governo cerchi di dominare le organizzazioni internazionali e si contrapponga dinanzi alla volontà della comunità internazionale. I cittadini europei, africani, asiatici ed americani sono tutti uguali. Siamo più di 6 miliardi e siamo tutti uguali. La giustizia e la difesa della dignità sono le colonne sulla quale si può costruire l’edificio della pace e della sicurezza mondiale.

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er tale motivo il nostro messaggio al mondo è questo: La pace e la sicurezza duratura nel mondo è possibile solo se prima si crea la giustizia, si da spazio all’etica, si rispetta la dignità umana e si impara ad amare. La pace, il progresso e la sicurezza è un diritto di tutti i popoli e tutti i governi. Tutti noi siamo membri della comunità internazionale e abbiamo il diritto di creare un mondo pieno di amore, affetto e giustizia. [...] Tutti i profeti del Signore, Adamo (la pace sia con lui), Mosé (la pace sia con lui), Gesù (la pace sia con lui) ed infine Mohammad (la pace sia con lui) hanno invitato l’uomo ad adorare l’Unico Dio, alla giustizia, alla fratellanza, all’amore ed all’affetto. In base al monoteismo e a valori come la giustizia, l’amore e il rispetto dell’uomo non si può costruire un mondo migliore e trasformare l’odio in amicizia? Io dichiaro ad alta voce che oggi il mondo ha bisogno più che mai di uomini giusti che amino la libertà e l’uomo e soprattutto dichiaro che il mondo aspetta veramente il Salvatore che tutte le religioni attendono. O Dio, gli uomini sono Tuoi servi e a Te è affidata la loro guida e la loro felicità. Dona all’umanità il Salvatore atteso, e collocaci tra coloro che spianano la strada per il Suo arrivo.


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Moçambique

Voglio essere un tamburo

Il tamburo è stanco di gridare oh vecchio Dio degli uomini lascia che io sia un tamburo anima e corpo, solo un tamburo solo un tamburo per gridare nella notte calda dei tropici. Non un fiore nato nella foresta della disperazione né un fiume che scorre verso il mare della disperazione né una zagaglia temperata nella fiamma viva della disperazione nemmeno una poesia forgiata nel dolore acceso della disperazione. Né niente!

Solo un tamburo stanco di gridare alla luna piena della mia terra. Solo un tamburo di pelle essiccata al sole della mia terra. Solo un tamburo scavato nei tronchi duri della mia terra! Io! Solo un tamburo che rompe il silenzio amaro della Mafalala. Solo un tamburo stanco di sanguinare nel batuque del mio popolo. Solo un tamburo perso nell'oscurità della notte smarrita. Oh vecchio Dio degli uomini

io voglio essere un tamburo non un fiume né un fiore né una zagaglia per ora e nemmeno una poesia. Solo un tamburo che echeggia la canzone della forza e della vita solo un tamburo notte e giorno notte e giorno solo un tamburo fino alla fine della grande festa del batuque! Oh, vecchio Dio degli uomini lascia che io sia un tamburo solo un tamburo! (Noémia de Sousa)


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Moçambique DI SOFIA GONOURY E SARA MIRTI

"Cittadino del mondo" oppure semplice "straniero"? Note su come intendere il concetto di "differenza". Se vivessimo in un mondo identico a noi, vale a dire al nostro "io" cosciente, certo tutto ci sembrerebbe più semplice, ma dopo pochi giorni sarebbe anche tutto terribilmente noioso: nulla attirerebbe più la nostra attenzione, nulla susciterebbe più curiosità, ammirazione, oppure paura, stupore, pianto, riso e via dicendo…no, non ne varrebbe proprio la pena. A ben guardare, tutti i nostri tentativi di contenere "l'altro", di tenere a distanza di sicurezza ciò che ci appare sconosciuto, potenzialmente pericoloso e ostile, servono soltanto a rimandare l'incontro inevitabile con quegli aspetti di noi stessi rimasti "dormienti", mai stuzzicati da nessuna cultura, oscuri tali e quali appaiono i simboli dell'alfabeto a un bambino di pochi anni. Impieghiamo buona parte della vita ad apprendere tutte quelle categorie utili a leggere la realtà in cui viviamo e a farcela vivere al meglio, eppure queste stesse categorie, appena ci muoviamo di un passo al di là dei nostri confini individuali, si mostrano subito inutili se non addirittura dannose. Forse ci chiediamo troppo spesso cosa pensa di noi il prossimo, e altrettanto spesso ci facciamo opinioni su chi abbiamo difronte sbadatamente, senza prenderci la briga di verificarle, senza fermarci a chiederci il perché dei nostri pensieri, o il perché di quella differenza, di quello "strano" apparire ai nostri occhi. Soprattutto non ci chiediamo mai quanto "strani" risultiamo noi agli occhi di chi ancora non ci conosce (e a volte anche agli occhi di chi ci ha già conosciuto). Molte "diversità" sono state spinte fino a noi dalle correnti migratorie, isolate o periodiche, singole o di massa. Forse dovremmo imparare a chiederci come appare il nostro paese (oltre che il nostro agire) agli occhi di chi vi mette piede per la prima volta. Sembrerà tutto troppo grande, o troppo piccolo? Troppo dispersivo, oppure accogliente? Bello, brutto, buffo? Spesso a stupirci più di ogni altra cosa è la no-

Murale a tema politico a Maputo: discorso di Samora

stra improvvisa incapacità di leggere semplicemente sui volti un'intera storia, proprio come di solito faremmo col nostro nuovo vicino di casa.

Il colore che libera (quello politico), il colore che discrimina (quello della pelle), il colore che caratterizza (risultato della mescolanza di più colori). Vi è mai capitato d'incontrare in treno un ragazzo africano? Non so: un marocchino, un nigeriano, un francese de La Réunion, un ragazzo di Capo Verde con i capelli crespi e dei bellissimi occhi verdi ("color Capo Verde", direbbero i brasiliani), un cinese del Mozambico (si, in Mozambico ci sono anche i cinesi, per l'esattezza sono circa un milione), un musulmano del Togo, un cristiano dell'Egitto, un laico di fede mazziniana della Tunisia… Tempo fa, in un treno per pendolari più strabordante del solito, mi sono imbattuta in un sorriso come credevo che soltanto un bambino alla vista dei regali di Natale potesse fare: il sorriso più bello, ampio e sincero che mi sia mai apparso davanti. Il ragazzo in questione sembrava molto giovane, quasi un ragazzino, ma nel complesso aveva un'età indefinibile, e mi sorrideva per invitarmi a sedere vicino a lui , quasi fosse felice per il fatto che anch'io avessi trovato un posto. Era vestito proprio come facevano i "dandy" congolesi negli anni '50, ma con tonalità

più allegre e colorate; il suo umore in compenso sembrava in procinto di rabbuiarsi suo malgrado, proprio come accade a chi vede chiaramente troppe "nuvole" all'orizzonte. Infatti guardava con ostinazione fuori dal finestrino e, man mano che il treno rallentava, rendendo più nitide le immagini all'esterno, il mio compagno di viaggio iniziava a respirare più profondamente, sollevando ritmicamente le spalle. Sono le donne che di solito respirano sollevando la parte alta del torace, mentre gli uomini, espandono il diaframma: ho pensato che si trattasse di un gesto inconscio, o forse di un tipo di respirazione usata per qualche esercizio fisico. Chissà a quale guerra si stava preparando quel giovanissimo e sorridente guerriero e chissà se, ovunque fosse diretto e qualsiasi fosse il motivo del suo viaggio, gli avrebbero permesso di combattere ad armi pari? Quando impareremo che davvero non esiste tra gli esseri umani nessuna differenza sufficiente a innescare graduatorie di valore, nessun colore discriminante, nessuna divisione tanto profonda da giustificare contrasti irreparabili all'interno di uno stesso popolo così come tra popoli diversi? Il messaggio del primo presidente del Mozambico indipendente, sotto forma di graffito, lungo la "marginale" di Maputo, è appunto una presa di posizione in tal senso: "La qualità del mozambicano non si definisce per il colore della pelle o religione, non esistono minoranze, esiste solo un popolo mozambicano".


Moçambique

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Progressi individuali all'interno di una libertà collettiva Ma quand'è che si diventa liberi di esprimere le proprie potenzialità al meglio? Quando si ha una libertà potenzialmente infinita, senza regole? Quando si hanno abbastanza soldi? Quando si è svincolati da un sistema sociale? Quando si è soli? O quando si ha un'istituzione, politica o familiare, alle spalle? «Al concetto di libertà si dovrebbe accompagnare quello di responsabilità che genera disciplina [...]. Responsabilità contro arbitrio individuale: è sola libertà quella "responsabile" cioè "universale" in quanto si pone come aspetto individuale di una "libertà" collettiva o di gruppo» (A. Gramsci, "L'alternativa pedagogica", antologia a cura di M. Alighiero Manacorda, La Nuova Italia, Firenze 1972, p. 165). Salvaguardare l'aspetto individuale di una libertà collettiva vuol dire avere solide basi su cui costruire un proprio futuro; non vuol dire essere tutti uguali a un'idea che ci siamo fatti, oppure mantenere un basso profilo per potersi esprimere ed essere compresi da tutti: per essere liberi di esprimere e realizzare noi stessi, piuttosto, abbiamo bisogno di altri diversi da noi che mettano in comune le proprie peculiari caratteristiche nell'interesse di un progetto, di un paese, di un'esistenza utile e da tutti ugualmente sostenibile. Perché prima di ogni altra cosa è l'economia, o per dirla in altri termini, la mancanza di povertà, l'assenza di fame, a gettare le basi della libertà, dei diritti e dell'autorealizzazione. In una

delle sue tante lettere dal carcere, Nelson Mandela si è trovato a scrivere: «Nel giudicare i nostri progressi individuali ci concentriamo su fattori esterni, come la posizione sociale, la popolarità, l’autorità, la ricchezza, il livello culturale. Ma i fattori interni possono essere più decisivi: onestà, sincerità, semplicità, purezza, generosità, disponibilità ad aiutare gli altri. Qualità interne alla ricchezza di un’anima», e, potremmo dire noi, interne anche ad un popolo che abbia unito le proprie anime. Quando si è nati in un paese per poi andare a vivere in un altro già in giovanissima età, si gode, volenti o nolenti, di un punto di vista più oggettivo. Nascere nella Provincia della Zambézia, anzi, sembra la conditio sine qua non è possibile oggi sentirsi italiani senza sentirsi arrabbiati, senza provare rancore o sentirsi delusi, ma trovando persino le energie necessarie al volontariato, all'impegno sociale e a quello politico.

La bellezza della "mescolanza": la storia di Sofia Gonoury L'unica storia di cui ho potuto raccogliere una testimonianza diretta narra di due bambine sedute sulle scale, fuori la scuola, che si chiedono quale sia la capitale del Portogallo. "Lisbona", risponde la bambina bianca; "Lourenço Marques", risponde invece quella nera. La discussione va avanti finché non interviene la maestra a decretare una specie di pareggio: ha ragione la bimba bianca: la capitale del Portogallo è Lisbona, ma per il Portogallo Lourenço Marques è comunque la capitale d'oltremare. Sofia Anabela Berthile Gonoury, padre mozambicano ma di origine prevalentemente sudafricana (la nonna paterna lavorava alle piantagioni di canna da zucchero, il nonno era un lavorante giunto dalle Mauritius; ma in casa si parlava inglese), madre mulatta (figlia di una mozambicana


22 e di un portoghese), presidente della Casa dei Popoli e collabo-ratrice dello sportello immigrati della CGIL, è fiera tanto del suo attuale paese (l'Italia in generale, Spello in particolare), quanto del suo paese d'origine (il Mozambico appunto; poco conosciuto qui da noi, per via dei limitati flussi migratori), soprattutto è orgogliosa della città, Quelimane (in Zambesia, provincia prospera, "granaio del Mozambico"), dov'è cresciuta: un luogo "multicolor", vistosamente ricco, ricco di culture, di etnie, di persone (molti i cognomi come "Rothenberger"; a differenza dei portoghesi, gli stranieri hanno riconosciuto i figli nella mescolanza), di commerci, di gruppi, di religioni e di risorse (la Zambesia era la "provincia degli assimilati"). Un posto in fermento, fucina potenziale per il futuro che, forse non per caso, col passare degli anni è stata trascurata, lasciata al proprio destino. Un luogo in cui ha imparato a conoscere ogni tipo possibile di differenza umana e quanto nessuna di loro fosse rilevante ai fine del buon vivere. Ricorda quando, giocando con la sabbia, aspettava che le sue amiche musulmane finissero la preghiera, per poi tornare a giocare insieme; o quando cercava inutilmente di rispettare il digiuno e poi andasse al tramonto a mangiare a casa delle sue amiche. Ma si trattava della sola libertà di giocare. "Si diventa persone grazie ad altre persone", questo vuol dire che, al di là del fatto che le maschere rimangono sempre necessarie al vivere, al crescere delle civiltà e dei gruppi sociali, affinché un individuo rie-

Moçambique

sca a indossarle con fierezza bisogna che ce ne siano molte, che siano talmente numerose da far divenire normale ogni differenza. Mi viene in mente un'altra immagine evocata da Sofia: il continuo via vai di bambini che, a Maputo, si avvicendavano nei tre turni scolastici, da mattina a sera inoltrata. Chissà dove li avrà portati quel viaggio, a volte lungo chilometri, fino alla scuola, chissà a che punto della loro vita avranno smesso di camminare, quali province o paesi avranno attraversato, quali navi avranno visto salpare, quanti aerei avranno preso, insomma, quale sarà stata alla fine la loro meta? Quale la loro storia?

Dice la storia che discendo da celti, mori e visigoti. Discendo, e da loro ho ereditato tutti i caratteri fondamentali e forse ne ho ereditati ancora altri dalla mescolanza di altre razze che fecero guerre, combattendo conquistarono e persero terre. Lo dice la storia e non ho del contrario una prova certa nel testamento che la rivela. E ammetto dunque che la statura, il volto, il sangue, il colore della pelle la fredda ragione e l'istinto ho acquisito nel secoli dall'Iberia per essere ciò che penso e sento ciò che mostro, ciò che nascondo, eccitabile carne e una voce memoria di paese adulto che se non tace è per non tradirmi nella lingua dei miei nonni, per essere la ferma mano destra che riempie di parole il foglio, perpetuo apprendista che sono io di un vecchio mestiere senza licenza. [...] Eppure, non ho ereditato nulla che domi la grandezza nuova che trasmetto, non solo sete, fame e sogno di vino, di pane o di infinito, desiderio, possesso e fecondità coraggio forgiato nel segreto timore che si pianga o si gridi guerra di amico o nemico, non propriamente l'essenza ma questa linfa elementare dell'Africa nei versi che dico e che gli uomini la sappiano cantare.“ (José Craveirinha, “Storia”)


Uscire

“Uscire dentro, entrare fuori”

“Per la cultura pragmatista inglese può risultare relativamente facile accettare un nuovo orientamento psichiatrico che implichi l’abbattimento delle frontiere della malattia e delle sue istituzioni con la conseguente compromissione dell’Esterno nella sua gestione. Ma in Italia una simile proposta incontra sul terreno pratico notevoli ostacoli, anche se le resistenze e i rifiuti vengono mascherati sot-

to affermazioni di principio: Ciò che implica l’accettazione di questo nuovo orientamento è, infatti la messa in discussione del medico e del suo ruolo onnipotente di unico depositario e garante della salute del malato, per arrivare a considerare la salute come un bene collettivo nella cui gestione ciascun membro della società deve essere accolto” Franco Basaglia

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Uscire

Con la chiusura dei manicomi voluta da Basaglia siamo realmente usciti fuori dalle pratiche istituzionali della “psichiatria da manuale”? DI GIAMPIERO DI LEO

Presidente FENASCOP Federazione Centro Italia Scriveva qualche tempo fa Tommaso Lo Savio, noto esponente di “psichiatria democratica”- un movimento anti-istituzionale di ispirazione basagliana che da lontani tempi lotta per la chiusura dei manicomi,- che per applicare la riforma psichiatrica occorre entrare nel fuori non psichiatrico ospedaliero uscendo dal “dentro” dei luoghi psichiatrici di cura spesso coatta. Quella di Lo Savio è una sintesi lucida e acuta di quello che il “movimento anti-istituzionale di “Psichiatria democratica” ha portato avanti a lungo. Buoni propositi e buone intenzioni, anche se alla verifica dei comportamenti concreti non sempre e non tutti i cosiddetti psichiatri basagliani sono stati e sono disponibili ad uscire dal loro “dentro” sanitariopubblico -ospedaliero per permettere ai loro pazienti di entrare nel “fuori” civile senza sottostare a norme e regolamenti sanitari che invece continuano ad inseguirli anche là e quando

pensano di avere finalmente recuperato la dimensione del “civile” non sanitario. In questi nostri tempi si sta procedendo con fatica alle verifiche sui requisiti strutturali e organizzativi per l’accreditamento delle strutture e dei presidi sanitari. Fra questi ci sono anche quelli relativi alle strutture comunitarie, definite dalle norme e dalle prassi terapeutiche, ai sensi proprio della riforma voluta da Basaglia, presidi e servizi psichiatrici extraospedalieri. Recita l’art 6 primo comma della Legge 180: “gli interventi di prevenzione, cura e riabilitazione relativi alle malattie mentali sono attuati di norma da Servizi e presidi psichiatrici extraospedalieri”. Quali conseguenze ha portato e porta il rispetto di questo chiaro dettato della Legge 180? Gli psichiatri che si ispirano al pensiero di Basaglia dovrebbero plaudire alle iniziative che portano fuori, nel tessuto civile, quello che per decenni è stato il dentro oscuro: lo psichiatrico ospedaliero cioè i manicomi. Dovrebbero plaudire e sostenere chi, attuando in concreto il pensiero di Basaglia ha fatto nascere le strutture comunitarie rigorosamente extraospedaliere. Dovrebbero combattere al loro fianco

affinché nel fuori civile non venga reintrodotto il “dentro” psichiatrocentrico burocratico ospedaliero; perché nel “fuori” civile non ritornino ad imperare quei comportamenti e quelle norme che tanto male hanno fatto e per tanto tempo, negli ospedali psichiatrici. Ci si chiede allora quali dovrebbero essere le norme che regolamentano la tipologia delle strutture comunitarie. Queste norme dovrebbero ispirarsi alle strutture di accoglienza esistenti nel civile: alberghi, case per ferie, pensionati o a quelle di nota inefficienza degli ospedali psichiatrici e delle strutture di ricovero psichiatrico? I curanti che vi operano debbono avere una formazione strettamente medico psichiatrica oppure dovrebbe prevalere la formazione psicosocio terapeutica, psicologica psicoterapica o dei tecnici della riabilitazione psichiatrica. La risposta, a una domanda così orientata dovrebbe essere semplice anche per il profano: “la seconda che hai detto”. Invece no, le strutture alternative al ricovero ospedaliero debbono tassativamente possedere anche nel “fuori” i requisiti strutturali e del personale propri degli ospedali e dei ricoveri ospedalieri. Anzi peggio.


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Uscire La legge nazionale che norma le strutture sanitarie extraospedaliere impone che queste facciano riferimento ai requisiti stabiliti da un Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 1989 che titola: Atto di indirizzo e coordinamento dell'attività amministrativa delle regioni e province autonome concernente la realizzazione di strutture sanitarie residenziali per anziani non autosufficienti non assistibili a domicilio o nei servizi semiresidenziali. (D.P.C.M. 22-12-1989). E cioè: per creare strutture alternative ai ricoveri ospedalieri bisognerebbe, ai sensi del decreto citato, possedere i requisiti delle strutture residenziali per anziani non autosufficienti non assistibili a domicilio o nei servizi semiresidenziali, Cioè le RSA per cronici indimissibili e in fase terminale della

loro vita. Cioè di nuovo il “dentro” più oscuro e sofferente della sanità in strutture del “fuori civile” alternative ai ricoveri ospedalieri. Noi delle Comunità terapeutiche ci aspettavamo un moto di ribellione (in nostro aiuto) da parte dei colleghi di ispirazione basagliana. Invece no. Stiamo combattendo da soli questa battaglia in difesa del “fuori civile”e qualche volta dobbiamo difenderci anche da qualche esponente del movimento “della psichiatria anti-istituzionale” di ispirazione basagliana . E’ il caso di Beppe dell’Acqua, definito dalla redazione “allievo di Basaglia”, che in un suo articolo sul Sole 24 Ore-Sanità, “Alt alla psichiatria da manuale” dedicato al Piano di azione Nazionale approvato dalla Conferenza Unificata Stato Regioni, attacca senza motivo le strutture residenziali al-

ternative al ricovero ospedaliero, definendole tout court: - strutture di un privato mercantile e sociale orrendamente residenziali. Luoghi che continuiamo a chiamare “comunità terapeutiche”; - luoghi che oramai, al di la di qualsiasi finzione sono diventati luoghi definitivi, senza uscita; milioni e milioni di euro, risorse che vengono dedicate a queste strutture. Dell’Acqua muove quindi “una critica, senza più indugio, alla perversione delle strutture residenziali sempre più inutili, dannose e costose”. Abbiamo protestato vivamente con la Redazione del Sole Sanità che ha accolto le nostre critiche invitandoci a rispondere direttamente a dell’Acqua con un nostro articolo. L’articolo è stato pubblicato sul n° 6 del 19/25 febbraio 2012. L’articolo lo troverete di seguito.

Le residenze non sono tutte uguali L'articolo di Peppe Dell'Acqua pubblicato sul n. 5/2013 del Sole-24 Ore Sanità necessita di qualche precisazione. Lo psichiatra, noto esponente dell’ “altra psichiatria", attacca infatti qualunquisticamente le strutture residenziali in psichiatria definendole «sempre più inutili, dannose e costose», quasi imputando alle stesse le colpe del malfunzionamento della psichiatria "pubblica". E lo fa

facendo di tutta l'erba un fascio, senza distinguere lo specifico terapeutico delle strutture residenziali che spaziano dalle cliniche, case di cura psichiatriche ospedaliere alle comunità terapeutiche in psichiatria, queste ultime, proprio come fortemente voluto da Basaglia, strutture rigorosamente extraospedaliere come d'altronde lo sono anche le strutture socio-riabilitative a 12 e 24h, le Rsa psi-

(Le immagini utilizate in questo inserto sono particolari di pitture di Renato Guttuso)

chiatriche, i gruppi appartamento, le case autogestite (le cosiddette residenzialità leggere) quetse ultime spesso mal gestite, per mancanza di mezzi e di competenze specifiche malgrado la buona volontà delle famiglie e la collaborazione dei Servizi di salute mentale. Le strutture residenziali non possono essere confuse fra di loro proprio perché non appartengono allo stesso settore di intervento e perché la legge attribuisce loro missioni differenti. La legge 180 crea una netta separazione fra le strutture di ricovero e quelle di cura in ambienti extraospedalieri. E una vera rivoluzione culturale che toglie agli ospedali psichiatrici il primato del trattamento della malattia mentale in regime di ricovero. Ma mentre alcuni continuano ad aspettare che su tutto il territorio nazionale si realizzino i cambiamenti culturali auspicati da Basaglia altri, come noi della Fenascop, il pensiero di Basaglia hanno cercato di interpretarlo applicando da anni (alcune strutture comunitarie nascono nel 1979) il dettato dell'articolo 6 della legge 180, primo comma: «Gli interventi di prevenzione, cura e poriabilitazione relativi alle malattie mentali sono attuati di norma dai servizi e presidi psichiatrici extra ospedalieri».


26 Lo stiamo facendo quasi sempre sottopagati, con rette spesso da fame (altro che i milioni e milioni di euro di cui si parla nell'articolo), con modelli spesso diversi fra di loro ma nei quali «le parole integrazione, presa in carico, progetto terapeutico individuale, abitare assistito, inserimento lavorativo...» non sono vuoto strumentario clinico, ma buone pratiche di cura dalle nostre stesse strutture volute, sperimentate e imposte al mondo della psichiatria antibasagliana; anche se, con la responsabilità però di alcuni media e istituzioni sanitarie, «le ricche pratiche di salute mentale comunitaria territoriale, che pur esistono e in taluni luoghi sono eccellenti nel nostro Paese finiscono per essere quei» parenti poveri che arrivano al pranzo di gala col cappello in mano... citando Dell'Acqua Sacrificare, ghettizzare e sottovalutare il fenomeno della psichiatria residenziale extraospedaliera, cresciuta in Italia sotto la luce della legge 180, non favorirà certo la crescita di una cultura psichiatrica basagliana. Questa crescita, al di fuori della residenzialità di tipo comunitario, come recrimina anche Dell'Acqua, sembra non essersi imposta in questi quasi quaranta anni. In cosa consisterebbero, allora, gli interventi e quali sarebbero gli strumenti di una <<perversione sempre più inutile, dannosa e costosa?» Che colpe possono essere addebitate alle strutture definite nell'articolo «orrendamente residenziali del privato mercantile e sociale» (di cui, si badi bene, solo una parte può essere correttamente inserita fra le "comunità terapeutiche") se le strutture e i presidi extraospedalieri pubblici voluti da Basaglia nella legge 180 non funzionano? Se non funzionano, come dice Dell'Acqua, e poriabilitazione potremmo anche essere d'accordo, non è però per mancanza di fondi e di personale. Le strutture residenziali pubbliche, a partire dagli Spdc che sono luoghi chiusi e fortemente controllati, costano molte volte di più di quelle private e sono luoghi da cui i pazienti (sempre più impazienti) se possono scappano, mentre spesso gli stessi pazienti vogliono proprio rimanere in quelle comunità terapeutiche «orrendamente residenziali» ben consapevoli che spesso nel "fuori" non li attende

Uscire nulla se non quegli appartamenti assistiti (residenzialità leggera) che spesso assistiti non sono o almeno non lo sono abbastanza per curar e rassicurare utenti e familiari. A cosa serve spendere soldi per Dsm aperti sulle 24 ore, quando gli stessi non hanno posti per l'accoglienza notturna e i casi di interventi notturni, molto più rari di quelli diurni, possono essere soddisfatti da S.P.D.C. veramente efficienti e dotati di operatori motivati e di équipe di accoglienza sulle 24 ore? I primi a fuggire dagli S.P.D.C. e da luoghi di cura coatti che sono gestiti, per legge, solo dal "pubblico" sembrano proprio essere gli stessi curanti che non si sentono adeguatamente riconosciuti sia economicamente che professionalmente. Si chiede mai Dell'Acqua quante responsabilità nel trasformare amene residenzialità per la salute mentale in orrende strutture paraospedaliere abbiano le normative sui requisiti strutturali delle stesse quando fanno riferimento al Dpcm del 1989 (l) che regola i requisiti delle strutture residenziali <<per gli anziani non auto-

sufficienti non assistibili a domicilio o nei servizi semiresidenziali» quando nelle comunità terapeutiche questa tipologia di pazienti non può essere inserita e quando nelle comunità terapeutiche debbono essere garantiti gli standard di vita per le civili abitazioni, "per non ricreare", come dicono le norme istitutive delle comunità terapeutiche, anacronistici <<parallelismi con le strutture ospedaliere»? Invitiamo Dell'Acqua ad accettare un confronto su standard e buone pratiche di cura alternative ai ricoveri ospedalieri, nonché sui reali costi, economici e sociali delle varie opzioni prese in considerazione, anche perché alcune dichiarazioni contenute nell'articolo rischiano di essere dannose per il movimento della psichiatria anti-istituzionale avviato da Basaglia del quale noi delle comunità terapeutiche ci sentiamo orgogliosamente discepoli e quasi unici esecutori della sua riforma, dato il pressappochismo di tanti pubblici amministratori della cura della salute mentale, che si definiscono "basagliani".


Thatcher

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Grazie, signora Thatcher!

“Margaret Thatcher è stata il primo ministro più controverso e distruttivo dei tempi moderni. La disoccupazione di massa, la chiusura di fabbriche, le comunità distrutte: questa è la sua eredità. Era una combattente e il suo nemico era la classe operaia inglese. Le sue vittorie sono state aiutate dai capi politici corrotti del Partito laburista e di molti sindacati. Se la Thatcher era la suonatrice di organetto, Blair era la scimmia. Voglio inoltre ricordare l’amicizia tra il dittatore cileno Augusto Pinochet e la Thatcher, la quale ha chiamato Nelson Mandela «terrorista». Come dovremmo onorarla, dunque? Privatizziamo il suo funerale. Lo mettiamo sul mercato e accettiamo l’offerta più economica. È quello che avrebbe voluto.” (Ken Loach)


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Thatcher

“Grazie, signora Thatcher” un film di Mark Herman Una delle principali attività economiche inglesi è stata per secoli l'estrazione del carbone, che ha dato lavoro a intere generazioni di lavoratori ed è stata, tra la fine del 700 e l'inizio dell'800, insieme alla macchina a vapore, uno dei principali fattori che hanno contribuito allo sviluppo industriale del paese, provocando cambiamenti in tutti gli aspetti della vita umana e la nascita dell'industria moderna. Una rivoluzione tecnologica che ha comportato trasformazioni sociali ed economiche profonde, sempre più rapide e in continua evoluzione, facendo dell'Inghilterra una potenza mercantile, marittima, coloniale e militare solida e temuta in tutto il mondo. Tutto questo fino a quando, nel 1985, la politica economica, liberista e antisindacale, attuata dal governo conservatore del primo ministro, signora Thatcher, non ha avviato un processo di smantellamento dell'industria carbonifera, provocando la chiusura selvaggia di oltre 140 miniere e, conseguentemente, la perdita del posto di lavoro per oltre 250.000 minatori. Il piccolo capolavoro di Mark Herman narra, appunto, la storia (o un campionario di storie) di un gruppo di questi "umiliati e offesi" che persero il posto e la dignità, con conseguenze devastanti per le persone e le loro famiglie. Siamo nel 1989 nel villaggio di Grimley, nello Yorkshire, (una cittadina inesistente, immaginata da Herman come emblema e simbolo di tutte le cittadine del Nord dell'Inghilterra e del Galles che subirono le

"cure" della Lady di ferro), in cui, dopo decenni di modesto benessere, dovuto allo sfruttamento della locale miniera di carbone, improvvisamente, sconsideratamente e cinicamente, intere famiglie si ritrovano gettate sul lastrico dalla dissennata politica governativa (da qui l'ironico titolo italiano "Grazie, signora Thatcher"; mentre il titolo originale inglese, "Brassed Off", significa letteralmente "cacciati via", ma allude anche agli ottoni, lo strumento principe della banda musicale di Grimley). Lo sciopero dei minatori del 1984 è solo un brutto ricordo, ma non per gli abitanti di Grimley, che vivono sulla loro pelle le conseguenze della politica della signora Thatcher e si aggrappano a quella miniera che, per quanto ancora produttiva, è considerata obsoleta ed antieconomica e, quindi, destinata a scomparire. Per gli uomini le giornate a Grimley trascorrono tra il lavoro in miniera e le serate al pub con gli amici a bere una birra, ma sono le prove della banda musicale che determinano le maggiori soddisfazioni per quegli uomini; perché per loro, alle soglie del licenziamento, la musica rimane lo spirito che sostiene il gruppo e l'unico antidoto alla depressione e allo sconforto. Accanto alle lotte delle donne per evitare la chiusura della miniera, la Grimley Colliery Band rappresenta l'ultimo baluardo di una smarrita autostima, ma anche la forza dell'intero gruppo e l'espressione più autentica tra la dimensione lavorativa e la dimensione lu-

dica dell'intera comunità che, nonostante tutto, ha ancora la forza di un sogno di riscatto che li porterà a farsi "sentire" a Londra, non solo con la forza degli ottoni ma anche con la forza della parola che dà corpo e voce ai drammi della disoccupazione, simili ai molti drammi che, ancora oggi, si consumano ogni giorno. Danny, il vechio leader e anima della banda, ha i polmoni irrimediabilmente consumati dalla silicosi, ma non per questo, alle soglie del licenziamento, ha perso l'entusiasmo e la voglia di far musica. Gli altri componenti, invece, non riescono a condividere lo stesso entusiasmo e pensano di abbandonare, un po' perché la mancanza di fondi rischia di compromettere la loro partecipazione a un'importante gara, e molto perché lo spettro della disoccupazione smorza gli entusiasmi e mina la loro vita quotidiana e gli stessi affetti familiari. Ad esempio Phil, il figlio di Danny: una famiglia da mantenere e la vita rovinata dagli strozzini; poi c'è Andy, il più giovane e il più irruento del gruppo, che non sa accettare la dura realtà e che non ha mai dimenticato la ragazza di cui è innamorata da quando aveva 14 anni. Poi ancora ci sono Harry, Ernie, Jim, uomini che hanno dedicato la vita e le loro energie a quella miniera e che ora, alla vigilia dell'imminente chiusura non riescono a vincere quel senso di inadeguatezza e di impotenza che prende quando ci si trova davanti ad eventi che non si possono o non si è in grado di gestire.


Thatcher Ma un giorno il ritorno di Gloria, nipote del vecchio leader e amore mai dimenticato di Andy, riaccende l'entusiasmo tra tutti i componenti la banda musicale. La ragazza, che ha ereditato dal nonno il flicorno e l'amore per la musica, si unisce alla banda e contribuisce a infiammare gli animi degli uomini di quella forza che trasforma la rabbia in nuova energia necessaria per superare qualsiasi ostacolo. Ma li attende una grossa delusione: la ragazza, infatti, lavora per la British Coal, l'organismo che presiede allo smantellamento definitivo delle miniere. La banda, intanto partecipa alla gara nazionale, vince la fase eliminatoria e torna trionfante in paese. Ma i problemi si aggravano: i fondi scarseggiano, il vecchio Danny finisce all'ospedale, consunto dalla silicosi e il figlio, Phil, oberato dai debiti, non riesce a tenere unita la famiglia e tenta il suicidio. Quando stanno per rinunciare alla gara, un aiuto insperato consente loro di recarsi a Londra per sostenere la finale all'Albert Hall. Sarà un trionfo e quando stanno per ritirare la coppa vengono raggiunti da Danny che, scappato dall'ospedale, riuscirà a salire sul palcoscenico da dove urlerà tutta la sua rabbia e tutto il suo risentimento, facendo partecipe il pubblico delle enormi difficoltà di vita della sua piccola comunità. Diverso e coraggioso, con una profonda descrizione del contesto sociale ed umano della vicenda, il film di Herman vuole essere non solo un documento rappresentativo di un preciso momento storico e politico inglese, ma di una più ampia universalità, dove si rincorrono ingiustizie sociali e discriminazioni ai danni dei più poveri e dei più deboli, in nome e nella logica dell'interesse, del profitto e del capitale. Lo attraversa una disperazione oscura, il rammarico, più che un senso di rivolta, verso quella precaria sopravvivenza degli esseri umani che pagano, e continuano a pagare, costi sociali altissimi sia in termini psicologici che più propriamente personali. La scelta di una località immaginaria come sfondo della vicenda, conferisce una universalità e una veridicità documentaristica alla storia, legata alla realtà e da cui emerge, in tutta la sua disumanità, la pragmatica iniquità del capitalismo liberale nelle società industriali. Una riflessione amara sul tema del mondo del lavoro e dell'orgoglio operaio ferito nell'Inghilterra del thatcherismo.

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Discorso di “Danny” alla consegna della coppa (a lato il “qr code” per vedere il brano del film)

“Ognuno di quelle persone alle mie spalle mi direbbe che quella coppa significa per me più di qualunque altra cosa al mondo. Ma sbaglierebbe. La verità è che io credevo che contasse. Credevo che la musica contasse. Ma non contano niente. Niente in confronto a quanto contano le persone. Che abbiamo vinto questa coppa è insignificante per l’opinione pubblica. Ma il fatto che ora noi la rifiutiamo, perché è questo che facciamo, diventa immediatamente una notizia. Come potete ben vedere. Così almeno non dovrò parlare solo con me stesso. Perché nel corso degli ultimi dieci anni questo maledetto governo (quello di Margaret Thatcher, ndr) ha sistematicamente distrutto un’intera industria: la nostra industria. E non solo la nostra industria: le nostre comunità, le nostre famiglie, le nostre vite. Tutto nel nome del progresso. E per pochi soldi pidocchiosi. E voglio dirvi un’altra cosa che forse non sapete: ma, 15 giorni fa, la miniera di questa banda è stata chiusa. Altre mille persone hanno perso il lavoro, e non solo questo. Molti hanno perduto la volontà di vincere già da un po’. Qualcuno ha persino perso la volontà di lottare. Ma, quando si arriva a perdere la volontà di vivere, di respirare… Il punto è: che se loro fossero foche o balene sareste tutti indignati. Ma loro non lo sono, no. Purtroppo no. Loro sono normalissimi, comunissimi esseri umani, gente perbene a cui non è rimasta neanche una dannatissima oncia di speranza. Oh sì: sono capaci di suonare qualche bel motivetto. Ma a chi interessa dopotutto… Ora porterò i miei ragazzi per la città a festeggiare. Grazie”.


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Thatcher

“The Witch is Dead” (la strega è morta) La figlia del droghiere che odiava la classe operaia Con le parole della canzone “Ding Dong! The Wich is Dead” tratta dal Mago di Oz (tornata al vertice della hit parade radiofonica inglese) una grande quantità di lavoratori inglesi ha festeggiato la morte della “Lady di Ferro” con manifestazioni di piazza. Pochi e molto imbarazzati sono stati i commenti ufficiali di riconoscimento di un leader indubbiamente importantissimo nella storia politica inglese e non solo. Al di là degli schieramenti politici e della appartenenze ideologiche le ragioni, tanto dell’odio quanto dell’imbarazzo, sono proprio nella realtà economica e sociale che l’intero occidente sta oggi vivendo. Se, infatti, le cause dell’odierna gravissima crisi non sono interamente nell’ideologia politico economica inaugurata dalla Thatcher nel 1979, certamente le loro origini affondano proprio in quel pensiero e periodo, con l’aggravante, per la classa lavoratrice inglese, di avere vissuto gli effetti devastanti di questa nostra attuale crisi già all’epoca, quando invece, per altri aspetti o più esattamente per altre classi, l’economia della nazione Gran Bretagna aveva vissuto una crescita notevole. Più che liberista e mercantile la politica inaugurata dalla Thatcher fu propriamente monetaria, influenzata dal pensiero degli economisti Friedrich von Hayek, della scuola austriaca, e Milton Friedman, della scuola di Chicago. Operando esclusivamente sulla così detta “leva monetaria” del saggio degli interessi e della tassazione indiretta, la politica della Thatcher provocò un vero e proprio crollo dell’industria estrattiva e manifatturiera inglese, causando in due anni un aumento di quattro volte della disoccupazione, con uno spaventoso impoverimento delle classi lavoratrici inglesi, viepiù aggravato da una parallela politica di indiscriminata privatizzazione dei servizi pubblici anche primari, con aumento notevole dei co-

sti e forte abbassamento della qualità e sicurezza. E’ vero che il sistema produttivo inglese all’epoca era in grande affanno di obsolescenza e di scarsa competitività sotto attacco delle crescente aggressività delle nuove capacità produttive dell’Europa continentale; sembrerà paradossale ma l’aver vinto la guerra mondiale senza avere subìto la distruzione delle proprie industrie aveva fortemente ritardato i necessari investimenti innovativi in quel paese, diversamente da quanto era invece accaduto nel continente dove la gran parte

degli Stati avevano dovuto ricostruirle ex novo dal nulla. All’evidente declino del primo sistema industriale della storia la Thatcher ritenne di rispondere non sostenendone il rinnovo tecnologico per una nuova crescita, ma il totale abbandono in favore della allora appena nascente economia virtuale finanziaria. In pochi anni l’Inghilterra divenne il più importante centro finanziario dell’occidente, fondando sostanzialmente la propria ricchezza sulla intermediazione della ricchezza reale degli altri. La conquista di questa posizione di dominio finanziario parassitario aveva però la necessità di un secondo pilastro di appoggio, quello militare. Certamente non più in grado di rifondare l’antico Impero vittoriano, la Thatcher ha improntato la politica estera inglese al ruolo del più fidato e fedele alleato minore del gigante USA, rinvigorendo

antiche ma mai rimosse pulsioni di dominio anche se, oramai, a livello di mercenari del cugino maggiore. Esemplare fu la follia della guerra delle isole Malvinas/Falkland (che mise peraltro in evidenza la fragilità della gloriosa marina inglese quasi affondata da pochi aerosiluranti argentini, ma anche lo storico cinismo britannico con l’affondamento inutile e puramente vendicativo dell’incrociatore argentino Belgrano, fuori del teatro di guerra, da parte di un sommergibile guidato dai radar USA). Nello stesso segno vanne letti i rapporti di amicizia con molte dittature sud-americane, giunti al punto di offrire personalmente la sua casa di Londra al dittatore Pinochet rifugiato in Inghilterra inseguito da un ordine di cattura internazionale per crimini di genocidio. Sul “thatcherismo” padre (o madre) del “reaganismo” ci sarebbe ancora molto da scrivere, chiudiamo per ora questo articolo con la trascrizione dell’intervento di Romano Prodi che, certamente non “comunista” né “operaista”, ha comunque così commentato la morte della “Strega”. “La Tatcher è stata la madre della crisi globale… Quel che resta della sua politica è che ha affidato il mondo solo al mercato che ha di fatto causato questa crisi. La Thatcher non è un problema solo britannico. Lei ha cambiato il mondo e l’eredità che lascia è anche quella di essere stata la maestra di Regan e di aver cambiato tutti gli equilibri... Con tutto mercato, nessun controllo, ruolo dello Stato sempre minore, meno regole di tutti i tipi, il risultato di questo è stato un aumento delle differenze fra ricchi e poveri in tutti i Paesi del mondo... La stessa crisi economica è stata certamente aiutata e forse provocata da questa enorme disparità...L’idea che il mondo debba svilupparsi senza alcuna regola e senza alcun controllo è stata sua”


Tolleranza

Nel nome di San Bernardino

La tolleranza delle idee nasce dalla illusione che la verità sia qualcosa di razionale, mentre appena si accetta il principio che qualunque idea si basa su una scelta iniziale, che la volontà è il primo organo della conoscenza, si diventa intransigenti. Cesare Pavese, “Il mestiere di vivere”, 1935/50 (postumo 1952)

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Tolleranza

Esempi e brevi divagazioni intorno alla "tolleranza" DI SARA MIRTI

Basi teoriche e pratiche della tolleranza. Parafrasando Hannah Harendt, la tolleranza dovrebbe spingerci a pensare che l'interlocutore, anche nelle situazioni più crudeli, possa avere almeno una parte di ragione; non a caso la tolleranza si può imparare dai fumatori, diceva Pertini, che sono in grado di tollerare anche i non fumatori (mai che avvenga il contrario). Insomma, "la "tolleranza" è un termine che si applica a culture differenti o a nemici più antipatici che minacciosi, ed è facilmente associabile a questioni di fede religiosa; purtroppo però viene sempre più spesso usato anche in contesti sociali o politici, nell'illusione che sia la chiave per eliminare tutte le distanze. Le differenze, come bene c'insegna la storia, non vanno eliminate, represse, controllate, piuttosto esaltate, rese autonome dal piano organizzativo e sociale, in qualche modo vanno rese libere di "volare via". Tollerare vuol dire "levare", togliersi un peso, scenderci a compromessi nell'attesa di una futura rivalsa. Il suo significato oscilla tra "rendere sopportabile l'intollerabile", vale a dire "permettere benevolmente qualcosa di altresì negativo", e "sopportare - anche senza troppa benevolenza - qualcosa di pesante", qualcosa che comunque vada ci rimarrà sullo stomaco. Termine solo momentaneamente legato alla non violenza ne è tuttavia l'anticamera; è il luogo concettuale in cui si preparano gli eserciti in lotta, la base linguistica per sottoscrivere un rapporto di superiorità-inferiorità già sancito o in fase di definizione.

Tollerare la libertà degli amici, ma soprattutto quella dei nemici. Ha scritto Massimo Cacciari (e in questo caso sono d'accordo con lui): "Tollerabilis è soltanto ciò che, pur opponendosi alla nostra virtus, si manifesta ai nostri occhi così interiore a essa, da consentirci di sperare di convincerlo,

di prevedere razionalmente la sua 'educazione' ai nostri principi. La virtù della nostra pazienza saprà reggerne l'urto fino a tale felice conclusione. E allora sarà tra noi pace durevole (pace da pegnymi, battere a fondo il chiodo, e non da patto, momentaneo accordo tra distinti)" - ("La maschera della tolleranza", introduzione di I. Dionigi, traduzione di A. Faina, con un saggio di M. Cacciari, Bur, Milano 2006, p. 138). Questo significa che se ci si scontrasse tra pari, se si riconoscesse all'avversario il diritto e la capacità di lottare, non sarebbe possibile sperare di "convertirlo", sia pure sul lungo periodo, quindi non sarebbe possibile "tollerarne" la presenza, in virtù del suo potenziale pericolosamente destabilizzante, minaccioso. Si è pronti a tollerare di buon grado soltanto chi si considera già vinto, e, in questo senso, la mancanza di tolleranza a volte può essere una buona notizia: la conferma della salute di un'ideologia o di una religione. Fin da piccola mi hanno sempre ripetuto che le persone sono, in senso religioso, dei "contenitori" riempiti solo in parte, in cui la sensazione d'angoscia, di horror vacui - quella perenne sensazione tipica degli esseri "incompiuti" - è stata lasciata lì dal

Creatore per fare spazio al libero arbitrio, a ogni forma di libertà personale: lì, nel vuoto che condivide le nostre stanze col nostro "essere", c'è stato lasciato lo spazio per ciò che avremmo voluto poter essere, cioè per qualcosa che spesso esula anche di molto da ciò che "siamo" in potenza. Col tempo, poi, volendo essere davvero altro da ciò che siamo, nel bene o nel male, la nostra parte "nuova" inizierà a invadere gli spazi della parte "vecchia", finendo per inglobare anche il nostro essere. Insomma, col tempo, credendoci e impegnandoci fino in fondo, finiremo davvero per diventare ciò che vogliamo essere - almeno da un punto di vista strettamente esistenziale -, ripeto, nel bene o nel male. Altre volte, invece, quasi preferissimo accomodarci su questo dualismo intrinsecamente contraddittorio, ci accontentiamo di riempire lo spazio vuoto del nostro vasoanima con ciò che capita, con ciò che sembra giusto al momento, avendo cura di lasciare sempre la maggior parte di noi "disponibile" per qualsiasi altra cosa che, magari in altri momenti della vita, ci appaia ugualmente giusta; finiamo così per confondere l'aggettivo "vuoto" con l'aggettivo "libero"; questo naturalmente è possibile perché il no-


Tolleranza stro "vaso" già pieno per metà ci fornisce materiale in abbondanza e quindi ci permette di non metterci del nostro, almeno finché la "riserva si consuma e finisce" e noi rimaniamo senza più nulla di "umano" con cui riempire di nuovo la nostra vita. Così la sostanza con cui in origine era stato "animato" il nostro vaso, una volta rimasti vittime della nostra stessa "bulimia esistenziale", finisce per svelare la sua presenza o la sua consunzione. Purtroppo non c'è niente con cui potremmo sigillare i nostri vasi, nulla che ci impedisca di consumarne il contenuto: siamo creature che la morte se la portano dentro, come un processo parallelo, più o meno visibile, alla vita stessa. A differenza degli uomini (e delle donne) santi, tutto ciò che facciamo, ciò di cui discutiamo, tutti i compiti a cui assolviamo nell'arco della vita sembrano destinati a scomparire, a non trovare alcun credito presso i grandi libri della memoria: tutto rimane in superficie senza ottenere alcuna credibilità, proprio come se si trattassero di gesti di fantasmi: i fantasmi, si sa, non esistono, quindi non esistono nemmeno le loro peculiari singolarità.

Tolleranza invocata e ripudiata: S. Bernardino ed altre figure religiose Mi sono sempre chiesta fino a che punto fosse "consono" per un cristiano venerare le statue dei santi o i santi stessi: sarà perché le statue che da bambini apparivano imponenti rispetto alla candela che c'era accesa davanti ora, agli occhi di un adulto, appaiono soltanto come statue, promemoria lasciati all'immaginario collettivo, esempi di comportamento virtuoso, ma nel preferire un santo rispetto a un altro si ha sempre la sensazione di compiere un favoritismo ingiustificato, di alimentare una faida tanto invisibile quanto improbabile, e comunque di rifarsi a un solo modello comportamentale, ignorando volutamente gli altri. Tutti gli studi, le fatiche ascetiche, tutte le prediche e le buone intenzioni spese da parte di uomini più o meno santi per comprendere appieno la realtà, e migliorarla dal di dentro, hanno fin qui lasciato aperto l'interrogativo: come fare a sbarazzassi una volta per

tutte di quella metà di vaso che ci è stato predestinato? Ugualmente, come si potrebbe fare per far sì che tutte le croci piantate lungo la strada percorsa fin qui dal nostro cristianesimo non siano state vane, che gli sforzi profusi non siano stati inutili e che altrettanto inutilmente non siano passati i nostri errori, i nostri eccessi, i nostri difetti o i nostri tentativi di santità? In un libretto dedicato a S. Francesco e ai suoi luoghi, madre Basilea Schink afferma che: "La preghiera cambia gli uomini, migliora condizioni, rapporti, risolve situazioni difficili, anche necessità sociali, porta riconciliazione tra gli uomini e pone freno alle discordie". Quest'aspetto della preghiera, molto più visibile in Francesco che non in S. Bernardino (che faticava non poco a far riconciliare fazioni rivali e le cui parole infiammavano gli animi al punto da seminare una parte, forse inevitabile visti i tempi da lui vissuti, di discordia: in ambito politico - volendo decidere delle alleanze di Siena, in ambito religioso - ispirando persecuzioni a fin di bene verso innocenti peccatori, portatori tuttavia di una diversità inconciliabile, si pensi inoltre alle accuse incrociate di eresia con i frati), pare anche ai miei occhi l'unico mezzo per la realizzazione di altre parole ancora, stavolta ebraiche: "Cerca sempre il bene nell'altro. // Concentrati su quel bene, / mettilo in evidenza, / e trasforma anche un peccatore / in un santo" (Rabbi Nachmann di Brazlav, LM I,282). Chissà cosa avrebbero detto o scritto i nostri

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santi predicatori se si fossero sentiti liberi dal "peso" dell'universalità della propria predicazione, dall'obbligo di essere un esempio universale, di fornire metodi universali di salvezza, metodi infallibili se possibile. Forse, in altre condizioni, persino in S. Bernardino l'uomo che giace sotto la pelle del santo avrebbe potuto essere meno "spigoloso", meno intransigente, meno spaventato di concedere qualcosa all'errore, e quindi, forse, più efficace (parliamo comunque di un movimento come quello francescano che, dopo l'avvento di san Bernardino alla carica di vicario generale degli Osservanti, vede moltiplicare il numero di conventi ed espandere a macchia d'olio la propria influenza), più "consolatorio". Tornando a S. Bernardino, è certo importante per chiunque di noi, ancora oggi, non diventare simile a degli "sparavicchi", quegli inutili spaventapasseri con la testa da zucca a cui le cornacchie finiscono sempre per abituarsi: "Sai colà in sul capo del grano, egli pigliano uno saco e empienlo de paglia, perché non si vedano le cornacchie. E su questo saco si pone una zucca, che paia la testa di un uomo, e’ fasseli le braccia e pongoli uno balestro in mano, teso che par che vogli balestrare a le cornacchie”. Infatti non bisognerebbe essere né troppo "arroganti", né troppo "tiepidi" per poter essere amministratori efficaci almeno della propria vita. In ambito pubblico poi, facendo leva sulla propria vita privata, bisognerebbe ben guardarsi dal divenire un "rattore",


34 cioè un amministratore tiranno degno di avere come alter ego, nei bestiari, uccelli rapaci dalle"unghie aroncinate". Scrive Stelvio Sbardella nel suo "Il Predicatore scalzo. San Bernardino da Siena. Il Santo che scuoteva le coscienze": "Non si può negare che la visione economica di san Bernardino tende a riorganizzare su aspetti etico-religiosi la vita delle città italiane, ed è implicitamente in polemica con la mentalità culturale ebraica, ponendosi in alternativa netta al suo modo di operare finanziario, basato sul prestito ad usura, contro cui il predicatore si impegnò attivamente e preparò la via per istituire società di prestito con bassissimo tasso di interesse, i cosiddetti Monti di Pietà. Non a caso la nascita del movimento osservante è contemporaneo al diffondersi del prestito ad usura praticato dagli Ebrei che sarà combattuto in nome del benessere della comunità contrapposto all’utile individuale. San Bernardino parla di aspetti economici nelle prediche fiorentine I e IV del 1424 […]". Ma proprio in virtù di questa certezza incrollabile da parte del santo, questo suo sapere senza esitazioni quale sia la parte "giusta" e quale quella "sbagliata", questo suo, necessario - dati i tempi e i ruoli, non indagare le storie, le cause prime e ultime dell'agire umano, questo suo spiegarsi in mondo in due impegnative, affannose dimensioni, vorrei concludere citando di

Tolleranza

nuovo un insegnamento della saggezza chassidica: "Scendi in campo e sconfiggi Dio. // Si, Dio vuole proprio / che risultiamo vincitori, / vuole che continuiamo / a pregare incessantemente, / fino a 'costringerlo' a perdonarci / per ciò che abbiamo fatto" (Rabbi Nachmann di Brazlav, RNW n. 69); dovremo convincerlo a perdonarci, aggiungo io, anche per quello che spesso, abbiamo fatto in Suo nome, togliendo di-

gnità a quello degli uomini, facendo vibrare delle preghiere che non siamo mai riusciti a comprendere e a vivere fino in fondo. L'unica consolazione che ci rimane è che, e su questo le "saggezze" convergono, la preghiera, così come ogni esercizio di comprensione, non è mai vana: ogni morte ha diritto a una resurrezione, diceva Levinas, e ogni supplica ha uguale diritto a non andare perduta.

Per tolleranza, concetto chiave nello studio delle differenti religioni, si intende il rispetto per una visione del mondo diversa dalla propria. Ciò non significa necessariamente che differenze e contraddizioni debbano scomparire, oppure che non abbia importanza ciò in cui si crede o se si crede in qualcosa. Un atteggiamento tollerante è compatibile con un fermo convincimento e con il tentativo di convertire altri, ma non può associarsi allo scherno delle idee altrui o a costrinzioni e minacce. La tolleranza non limita il diritto di fare propaganda, ma esige che questa si svolga nel rispetto delle opinioni altrui. La storia ci offre numerosi esempi di intolleranza e fanatismo (dal latino "fanaticus", che significa "posseduto da uno spirito maligno"). Fedeli di religioni diverse hanno lottato l'uno contro l'altro, e in nome della religione vere e proprie guerre sono state combattute. Gli uomini sono stati perseguitati a causa delle proprie convinzioni: ai tempi dell'Impero romano i cristiani erano imprigionati e giustiziati, nel Medioevo e in epoche successive la Chiesa faceva bruciare sul rogo gli eretici, e oggi in alcuni paesi musulmani è ancora proibito praticare religioni diverse dall'Islam. Spesso la mancanza di tolleranza è la diretta conseguenza di una conoscenza insufficiente. Chi considera una religione dal di fuori vede solo le sue manifestazioni esterne e non ciò che queste significano per l'individuo. Il rispetto per le convinzioni, la visione del mondo e la vita religiosa degli altri è un presupposto necessario per la convivenza umana. Ciò non vuol dire che tutto sia da considerare indifferentemente giusto, ma che ciascuno ha il diritto di essere rispettato per le proprie idee quando queste non sono in contrasto con i diritti umani fondamentali. (Da “Il libro delle religioni”, di Jostein Gaarder)


Viva Verdi

Giuseppe Fortunino Francesco Verdi

La melodia e l'armonia non devono essere che mezzi nella mano dell'artista per fare della Musica, e se verrà un giorno in cui non si parlerà più né di melodia né di armonia né di scuole tedesche, italiane, né di passato né di avvenire ecc. ecc. ecc. allora forse comincierà il regno dell'arte. (Lettera a Opprandino Arrivabene, 14 luglio 1875; cit. in Julian Budden Le opere di Verdi - Torino: E.D.T., 1986 - vol. 2, p. 60)

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Viva Verdi

Il Bicentenario dalla nascita di Giuseppe Verdi DI JACOPO FELICIANI

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l primo gennaio 2013, con il concerto "Viva Verdi" al Teatro la Fenice di Venezia, sono iniziate le Celebrazioni Verdiane, in occasione del Bicentenario della nascita del Compositore Giuseppe Verdi – anche se in realtà l'avvio ufficiale è stato fissato al Teatro Regio di Parma il 12 gennaio 2013 con "un Ballo in Maschera". Le celebrazioni si protrarranno per tutto l'anno, con culmine il 7 dicembre 2013 in coincidenza dell'apertura della stagione del Teatro alla Scala di Milano con "La Traviata" diretta da D.Gatti. Il Comitato per le Celebrazioni si è costituito secondo i Decreti approvati dal Parlamento nell'agosto 2012, che vede coinvolti le Province di Parma, Piacenza, Milano e Reggio e le più prestigiose Istituzioni verdiane. Lo stanziamento complessivo di 6,5 milioni di euro (3 milioni e 250mila euro per il 2012 + 3 milioni e 250mila euro per il 2013) servirà per l'organizzazione e la realizzazione delle celebrazioni su tutto il terriotorio nazionale e per il 20% sarà destinato per la conservazione di Villa Verdi di Sant'Agata di Villanova e della casa natale a Roncole Verdi. Sarà la Provincia di Piacenza incaricata ufficialmente nel ruolo di coordinamento della fase iniziale delle Celebrazioni. ltre che per il genio musicale, Verdi è noto per il suo contributo alla Causa nazionale, l'Unificazione dell'Italia del 1861 festeggiata con grandi celebrazioni nel 2011 su tutto il territorio nazionale. Molto meno noto invece per il suo contributo alla pace con l' Inno Delle Nazioni -cantata profana su testo di Arrigo Boito- composta da Verdi per l' Esposizione Universale del 1862. Vorremmo che l'Inno risuonasse nelle orecchie del potere, nell'attacco che compie quotidianamente ai danni dei cittadini più indifesi e dei diritti fondamentali dell'uomo. Vedendo le condizioni di oggi penso che il compositore non avrebbe mai accettato di sprecare il suo tempo per tale cause... Ancora meno noto risulta l'amore del compositore per l'agricoltura, la campagna, l'impegno imprenditoriale e l'assistenza ai cittadini più indifesi della sua terra; diciamo tutti argomenti trascurati dall'attuale classe poli-

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tica. Giuseppe Verdi è ritenuto tra i più grandi talenti della Musica. Se dovessimo attendere alla Statistica dovremmo considerare Giuseppe Verdi come il compositore più rappresentato: infatti Verdi ha un numero complessivo di 3.020 recite per tutto il pianeta; nelle trascorse 5 stagioni è suo il primo posto assoluto, a seguire c'è Mozart con 2.410. L'opera più rappresentata è "La Traviata", segue "La Boheme" di Puccini. Giuseppe Verdi non è un tecnico assoluto della Musica, ma ci trasporta con la melodia all'estremo romanticismo e sentimento dell'uomo. Verdi è un passionale, un uomo che si lascia trasportare dal sentimento, dalle emozioni. e dovessimo richiamare compositori che hanno lasciato una traccia per l'evoluzione nella 'Tecnica' della Musica dovremmo scomodare nomi come quello di Palestrina (1525 – 1594), Bach (1685 – 1750), Wagner (1813 – 1883), Schönberg (1874 – 1951), Bela Bartok (1881-1945). C'è anche una musica fatta dai soli esecutori di cui conosciamo poco per il passato. In questo profilo come non possiamo non ricordare la Romanina (1684 – 1734), Farinelli (1705 – 1782), Angelica Catalani (1780 – 1849), Isabella Colbran (1785 – 1845), Nicola Porpora (1686 – 1766), Giovanni Battista Rubini (1794 – 1854), Giuditta Pasta (1797 – 1865), Henriette Sontag (1806 – 1854), Maria Malibran (1808 – 1836), Franz Liszt (1811 – 1886), Giulia Grisi (1811 – 1869), Adelina Patti (1843 – 1919),

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Caruso (1873 – 1921), Kirsten Flagstad (1895 – 1962), Birgit Nilsson (1918 – 2005), Maria Callas (1910-1977). Lo scenario è davvero vasto. Nel confronto compositore ed esecutore emerge una sorta di ruolo intermediario diretto della creazione per il primo e un ruolo di comunicatore indiretto per il secondo. In più con il passare del tempo i confronti tra gli esecutori diventano sempre più incerti e difficili; rimane invece una memoria indelebile del compositore, nero su bianco sulla partitura. Per capire il genio del compositore, tuttavia, non è sufficiente attendere ai suoi lavori, ma occorre inserirlo nel contesto in cui operava, indagandone ogni elemento e sfumatura fino in fondo. Il punto di partenza dello studio di qualsiasi personaggio è la località natale, e i luoghi della prima formazione. Il caso di Verdi è ancora più decisivo in questa ricerca, in quando la sua educazione e sensibilità riflettono senza discussione la sua Arte. Ecco quindi che non è sufficiente uno studio a tavolino per conoscere un individuo, ma occorre ripercorrere i passi dell'artista. iuseppe Verdi nasce a Roncole Verdi, il 10 ottobre 1813 da Carlo Verdi e Luigia Uttini. Il mese successivo fu battezzato nella Chiesa di San Michele e pochi mesi più tardi la madre lo nascose in grembo, recandosi alla torre campanaria, per scampare il pericolo delle truppe russe e austriache che transitavano in seguito alla disfatta napoleonica.

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Viva Verdi L’atto di nascita era redatto in lingua francese, perché il Comune di Busseto era annesso all’Impero Francese appartenendo all'epoca al Dipartimento del Taro. L'Atto di nascita di Giuseppe Fortunino Francesco Verdi riporta la data delle otto di sera del 10 ottobre 1813 a Le Roncole. Nacque nella stanza dei genitori, e secondo la tradizione, durante il parto, la musica dei girovaghi per i festeggiamenti del Patrono S. Donnino fu di buon auspicio per la sua futura carriera. In questi ultimi anni la località di nascita è stata messa in dubbio come pure la sua origine per l'ipotesi dell'alternativa Piacentina, portata avanti dalla Studiosa statunitense Phillips Matz. La ricercatrice spulciando tra biblioteche, archivi e uffici catastali, puntualizza alcune osservazioni: Carlo Verdi non è analfabeta in quanto appone la propria firma sul certificato di nascita del figlio, nel 1825 viene nominato Tesoriere della Fabbrica della Chiesa di San Michele de Le Roncole, inoltre, insieme alla moglie, ha una discreta posizione economica e molti contatti commerciali, in dipendenza anche del fatto che la famiglia Verdi risale al '500 e possiede alcune proprietà nella zona. Sia il padre che la madre avevano antiche origini Piacentine, da generazioni -Sant'Agata e Villanova. Già il nonno di Giuseppe si era trasferito a Roncole dal Piacentino. Anche il carattere di Giuseppe Verdi riflette le caratteristiche del Piacentino tipico: operoso, fiero e riflessivo, severo, prudente negli affari, parsimonioso e allo stesso tempo generoso. La madre Luigia proveniva da Saliceto di Cadeo, nel Piacentino. L'osteria potrebbe non risultare il luogo di nascita di Verdi stando a quanto afferma un'audace tesi avvalorata dall'Archivista della Curia vescovile di Fidenza, Don Amos Aimi. La località alternativa di nascita sarebbe dunque la casa padronale di Roncole alla Madonna dei Prati (Pr), proprietà della Curia Vescovile di Borgo San Donnino -Fidenza- che il padre avrebbe lasciato per morosità nel 1830, trasferendosi nella locanda di Roncole tenuta già dal nonno. Il piccolissimo Verdi cominciò ad apprendere la musica da autodidatta e poi a 4 anni fu istruito dall'Organista e Maestro di scuola delle Roncole, Pietro Baistrocchi, insieme al Parroco Don Giacomo Marzini, abbinando a tali lezioni anche quelle di Italiano e Latino. Oltre all'organo del Bergamasco Ferdinando Bossi (1797) che suonava a San

Michele e l'organo di Santa Maria dei Prati, Verdi era sempre attento alle occasioni musicali della sua Città seguendo le brigate di musici che accompagnano cerimonie, feste popolari e campestri; cantando nei cori, provando con curiosità gli strumenti. Una notevole fonte di ispirazione fu l'incontro col musicista ambulante “Bagasset” che, come Verdi dichiarò, lo mandò in estasi. Il padre, vista la spiccata propensione alla musica volle acquistargli una spinetta; Giuseppe aveva sette anni. na volta, sempre all'età di sette anni, Giuseppe stava servendo messa nella Chiesa di San Michele e distratto dall'organo, dimenticò di passare a Don Giacomo Marzini le ampolle del vino e dell'acqua. Il sacerdote lo redarguì violentemente concludendo con una scenografica pedata. Giuseppe in dialetto arioso esclamò: "Dio 't manda 'na sajetta!". Il 14 settembre 1828, ad otto anni di distanza, un fulmine cadde sul Santuario della Madonna dei Prati proprio durante la celebrazione, nel canto dei solenni vespri, e uccise don Giacomo Marzini insieme a quattro sacerdoti -Don Pietro Orzi Arciprete di Frescarolo, Don Luigi Menegalli Arciprete dì Semoriva, Don Bartolomeo Orioli Arciprete di Spigarolo- e due cantori, Francesco Alussi di S. Croce e Gaetano Bianchi di Roncole, cugino di Verdi. Il Santuario era gremito di fedeli quando dal catino dell'abside si scagliò un fulmine. La terribile saetta fece il giro dell'interno spogliando la doratura della Comice della Beata Vergine, bruciamdo gli exvoto appesi alle pareti e lasciando incolumi i fe-

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deli. Giuseppe Verdi era assente in quanto, nel percorrere a piedi i due chilometri che separano la località da Roncole, fu costretto a fermarsi nel podere chiamato "La Cascina" dei signori Michiara per via del temporale. Giunto al Santuario dovette assistere al drammatico accadimento. Giuseppe andava spesso a Madonna Prati nel terreno oggi chiamato "La bonifica", per far visita alla casa della nonna Francesca Bianchi. l piccolo Giuseppe doveva essere molto riservato nella casa-osteria. L'osteria con due ingressi ospitavano normali avventori con ingresso sulla porta principale e gli ospiti dei Marchesi con ingresso sul lato opposto. La finestra della camera di Giuseppe e della sorella dava in basso sulla stazione di posta per i cavalli e in alto verso il lucernaio con i colori azzurro o grigio del giorno e il cielo stellato della notte; al fianco la camera per gli ospiti. Possiamo immaginare immagini e suoni percepiti dal piccolo Giuseppe. La famiglia allevava cavalli, capre e maiali. I due magazzini al piano superiore dovevano essere utilizzati come ripostiglio e per allevare bachi da seta. Nel piano inferiore la cantina per il vino, la cucina e la sala da pranzo che ospitava gli avventori per i pasti. Di fronte alla casa un pergolato con una piccola vigna, di fronte la Piazza di Roncole e sullo sfondo la Chiesa di San Michele. Nel novembre 1823 entrerà al ginnasio di Busseto per studiare “grammatica inferiore e superiore” con don Pietro Seletti. Nel 1825 comincia a prende lezioni musicali dal Maestro di cappella Ferdinando Provesi.

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el 1828 inizia le sue prime composizioni strumentali per la Società Filarmonica di Busseto su raccomandazione del Presidente Antonio Barezzi, futuro suocero. Il 14 marzo 1831 si trasferisce in casa di Barezzi per impartire lezioni di canto e piano alla figlia Margherita che poi, più tardi, sposerà, esattamente il 4 maggio 1836, nell'Oratorio della Santissima Trinità; da questa unione nasceranno due figli, Virginia e Icilio, che purtroppo moriranno all'età di un anno. Anche Margherita morirà, a causa di un'encefalite, l'anno successivo al trasferimento dei coniugi Verdi a Milano (febbraio del 1839). Il 13 febbraio 1832 il Monte di Pietà di Busseto attribuisce una borsa di studio a Giuseppe Verdi di 300 lire annue, per quattro anni, per effettuare gli studi musicali a Milano. Giuseppe si trasferisce in casa del Bussetano Giuseppe Seletti. Non essendo ammesso in Conservatorio a Milano, inizia a prendere lezioni private da Vincenzo Lavigna, Cembalista del Teatro alla Scala. Nel 1833 muore la sorella. Giuseppa Francesca Verdi nacque nel 1816. Di salute molto cagionevole, affetta da poliomelite, scomparve all'età di diciassette anni. Giuseppe era molto riservato sulla vita privata e specialmente sulla sorella -le infermità erano tabù e le notizie al tempo molto riservate- tanto che le indicazioni che si hanno su di lei sono molto frammentarie. Fino al 1835 alterna la formazione e perfezionamento musicale all'attività di esecuzione fino al termine degli studi con l'attestato di Lavigna rilasciato il 15 luglio 1835. Il 27 febbraio 1836 supera l’esame per l’incarico di Maestro di musica della Società Filarmonica di Busseto, e il 4 maggio sposerà Margherita Barezzi. Inizia a comporre Rocester, l’ode di Manzoni, il Tantum ergo. Il 26 maggio 1837 nasce la figlia Virginia; l'anno seguente il maschio Icilio. Il 12 agosto muore la figlia Virginia. Nel febbraio 1838 lascia Busseto con tutta la famiglia per trasferirsi a Milano. Nell'aprile incontrerà Giuseppina Strepponi per l'Oberto, Conte di San Bonifacio, che sarà in scena al Teatro alla Scala in novembre. Con l'impresario Bartolomeo Merelli firma un contratto per scrivere tre opere in due anni. L'editore Giovanni Ricordi stamperà l’Oberto. Il 22 ottobre morirà anche il figlio Icilio. Nel 1840,

Viva Verdi in precarie condizioni di salute inizia a comporre Un giorno di regno. Il 18 giugno si aggiunge l'ulteriore dramma della morte della moglie Margherita per encefalite. Verdi ritorna a Busseto, ma è di nuovo a Milano in luglio. Dopo una breve parentesi per riprendersi dei lutti a Busseto, torna a Milano per far eseguire Un giorno di regno con scarso successo. Nel gennaio 1842 comincia a musicare Nabucodonosor, che sarà ,essa in scena il 9 marzo al Teatro alla Scala di Milano. L’11 febbraio 1842 è la data della rappresentazione alla Scala de I Lombardi alla prima Crociata. In marzo è a Vienna per dirigere Nabucco. Il Teatro La Fenice di Venezia gli commissiona di scrivere un’opera per il Carnevale 1843-44, Ernani. Nell'aprile prende con sé come unico allievo Emanuele Muzio. o stile musicale riflette la sua vita privata. Il suo carattere è segnato dal naturalismo delle vallate padane, con tutte le sue misteriose nebbie, i colori freddi, blu, grigio, verde e marrone, i vapori che sia alzano dalle umide zolle, cosa che inspira le scenografie di Melodrammi sia del primo Verdi come Oberto, Battaglia di Legnano, o i Foscari, come pure dell'ultimo con il declamato cantabile e interpretativo di Otello e Falstaff. Si distingue il Verdi dei drammi della trilogia ispirati invece maggiormente dalla componente drammatica (periodo caratterizzato dalla morte della moglie e dei figli). Più che il lato musicale, è interessante considerare l'analisi strettamente letteraria dei melodrammi, considerando la se-

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quenza degli impresari e dei librettisti della sua grande produzione compositiva. Verdi si concentra in prevalenza sull'opera lirica per la quale investe tutte le sue energie; anche se ci sono episodi non operistici in cui è altrettanto conosciuto e grande, come la Messa di il Requiem (1874) composta per il primo anniversario dalla morte di Alessandro Manzoni (1785-1873), che alcuni auspicavano come rinnovamento della Musica sacra dopo anni di latitanza. n seguito a colpo apoplettico che lo colpì nella mattina del 24 gennaio 1901, alle ore 10 e 30, mentre si stava vestendo, Verdi morì nella suite 105 dell’Albergo di Milano il 27 gennaio 1901 alle ore 2 e 50. Fu Mons. Adalberto Catena, parroco di S. Fedele, a somministrare l'Estrema Unzione al Maestro. La cerimonia funebre ebbe luogo, il 30 gennaio, alle ore sei, nella Chiesa di San Francesco di Paola (il suo corpo venne trasferito nella mattina alle ore 4 e 30 con un modestissimo carro funebre di terza classe tirato con un cavallo di poco pregio), in Via Manzoni, di fronte all’Albergo Milan. Venne sepolto provvisoriamente al Cimitero Monumentale. Qualche giorno dopo venne sistemata la cripta della Casa di riposo, e il 27 febbraio si celebrò il trasporto della salma al Piazzale Michelangelo Buonarroti, con un corteo solenne che attraversò la città.

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Comitato nazionale per la celebrazione del bicentenario della nascita di Giuseppe Verdi home page al link: http://www.giuseppeverdi.it/


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La Coppia Perfetta!

Lui abbraccia la donna e lei scivola dentro al suo abbraccio, protetta come nessuno l’ha mai protetta. (Lei è la bambina e lui il suo papà). Allora lui prende a farle il solletico, lei ride forte e finge di divincolarsi, lui la riagguanta e le morde il lobo di un orecchio, lei finge di chiedere aiuto. (Lui e lei sono due bambini che giocano felici). Si baciano e sentono crescere entrambi il desiderio carnale di stare insieme. (Lui e lei sono due adulti). Dopo l’amore lui si abbandona alla malinconia, racconta dei suoi problemi e della paura di perderla; quindi lei a sua volta lo stringe a sé con intensità, lui si fa piccolo fra le braccia accoglienti della donna, dove sa di trovare comprensione e gioia. (Lei è la sua mamma e lui il bambino). Questa è la coppia sana, formata da due persone che sanno essere una per l’altra, ora bambini, ora adulti, ora genitori. Una coppia così assortita potrà durare un’eternità. Ogni mese Piazza del Grano offre questo spazio a tutte le donne. Manda la tue mail a “parliamone” : pp.zzadelgranodonne@libero.it

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Parliamone... “Di che coppia sei” DI

CATIA MARANI

Sul piano affettivo il rapporto di coppia dovrebbe darci la maggior soddisfazione fra tutte le relazioni umane. Questo quando si sceglie la persona giusta, altrimenti rischiamo di venire coinvolti in uno degli esempi nevrotici qui di seguito elencati. La coppia bambino-bambino è in assoluto la più disgraziata. E’ la coppia in cui nessuno dei due ha niente da dare. Possono solo prendere e basta. Mi spiego: quando si accorgono che anche l’altro aveva l’intenzione di trarre vantaggio, nella coppia iniziano ad accusasi reciprocamente di non essere “come io ti credevo”. Nonostante tutto, sono talmente incoscienti da non volere neppure la separazione, convinti che l’altro cambierà, che lui o lei diventerà quel genitore sollecito e premuroso che speravano di aver trovato. La coppia bambino-genitore a differenza di quanto si possa pensare non è la coppia più riuscita. Infatti, in questo rapporto il soggetto che fa da genitore vorrebbe essere continuamente osannato ed adulato (possibilmente in pubblico) dalla sua metà per la dedizione che gli rivolge, ma al contrario, il “bambino” stesso, non soltanto non lo ammira e non lo esalta, ma non fa altro che ripetere fino alla nausea “io, io, io, io…e ancora io!”. Esattamente ciò che comincerà a ripetersi il compagno/a-genitore seguito da un punto interrogativo, cioè “e io?”. Di solito comincino a rinfacciarsi i sacrifici, le rinunce e tutto quello che non hanno potuto avere per colpa dell’altro. Ma, attenzione, il bambino non vuole essere mai lasciato ed è a questo punto che il “genitore” è costretto a scappare. E’ abbastanza frequente che se a essere abbandonato è un uomo, lui decida di uccidere la donna che l’ha lasciato. La coppia bambino-adulto può durare anche solo qualche ora, perché proprio non si sopportano. L’insostenibile disparità dei ruoli (bambino che vuole sempre attenzioni – adulto che preferisce fare i cavoli suoi, magari anche tradire), è alla base della loro infelicità. La coppia adulto-adulto seppure in maniera diversa anch’essa è una coppia

a rischio, in quanto per poter saldare il loro rapporto hanno sempre bisogno di un motivo serio, un obiettivo comune per cui lottare. Non sanno vivere in leggerezza neppure un attimo della loro vita e ciò, lo ripercuotono sulla vita di coppia. Se ciò viene a mancare anche il legame si scioglie a causa della noia (nelle migliori delle ipotesi). Altrimenti sono capaci di iniziare una guerra legale e passionale dove andrebbero a sopperire entrambi (vedi La guerra dei Roses). La coppia adulto-genitore è una finta coppia equilibrata e vivrà quasi d’amore e d’accordo fin quando “l’adulto” si può fare gli affari suoi e il “genitore” avrà la pazienza di permetterglielo. Di solito non vogliono figli, stanno bene così. Sono molto civili, anche nel momento della separazione saranno persino capaci di restare in buoni rapporti. La coppia genitore-genitore nella teoria potrebbe essere anche solida e duratura, ma prima o poi anche questa è destinata a scoppiare: entrambi hanno bisogno di essere pubblicamente riconosciuti per le loro doti. In poche parole per riuscire a primeggiare ognuno è portato a farsi gli affari propri, anche se in pubblico ci tengono a sembrare una coppia unita. Generalmente, al di fuori delle pubbliche effusioni, poi non fanno sesso. Se uno dei due non ha più l’ammirazione di famigliari e amici, o dei colleghi di lavoro, la coppia può sciogliersi in un attimo,

ma non c’è da stupirsi se il loro sodalizio sia il più duraturo fra quelli precedentemente descritti. Fra le “coppie malate” è di gran lunga la più longeva. Il linguaggio della felicità di coppia non è fatto di “sempre” e di “mai”, espressioni usate troppo spesso negli esempi di coppie nevrotiche qui sopra elencate. La psicoterapeuta Fischer, ha diffuso un minibreviario utile nella comunicazione di coppia. 1) parlare con il cuore in mano; 2) non dire “tu hai fatto”, ma “io sento”; 3) concentrarsi sui propri bisogni; 4) essere chiari; 5) praticare l’ascolto attivo; 5) trasformare una critica in richiesta; 6) trovare dieci o venti minuti al giorno per condividere progetti comuni; 7) festeggiare i reciproci successi; 8) non andare mai a dormire arrabbiati, meglio litigare tutta la notte. Può finire in molti modi, e non sono solo il tradimento o la crisi del desiderio a spegnere il rapporto di coppia, ma l’allontanamento che li precede se viene sottovalutato. Le vite prendono direzioni diverse, si concentrano sul lavoro o sui figli, non si è mai d’accordo e si litiga per i motivi più futili, affiorano le gelosie, e si perde la stima per chi ci vive accanto. Non dimentichiamo la cosa più importante: i nostri figli. Ci osservano ed un domani ameranno come hanno visto amare. Riferimenti bibliografici: “Alla ricera delle coccole perdute” di Giulio Cesare Giacobbe – Mensile OK salute e benessere.


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Le grandi donne della storia Maria Eva Duarte de Peron “Evita” Nasce il 17 maggio 1919 a Los Toldos, ultima di 5 figli illegittimi. In casa la chiamano affettuosamente Evita. All’età di quindici anni intraprende la carriera di attrice di palcoscenico. Beneficenza Il 22 gennaio del 1944 conosce il colonnello Juan Peron durante un evento di beneficenza a favore dei terremotati di San Juan. Si sposarono l’anno successivo. Treno Il 26 dicembre del 1945 Evita e Peron partirono in tournèe elettorale in treno per raggiungere il nord dell’Argentina. La presenza della donna sul treno che sosteneva nella campagna elettorale il marito è una novità assoluta per quel paese. Il 24 febbraio del 1946 Peron venne eletto Presidente della Repubblica Argentina. PPF Evita si occupò di far riconoscere l’uguaglianza dei diritti fra uomo e donna con una legge presentata nel 1947 e il suo co-

stante impegno verso questa direzione la condusse nel 1949 alla presidenza del Partito Peronista Femminile. Appendicite Il 9 gennaio 1950 Eva Peron svenne in pubblico, venne operata di appendicite ma al tempo stesso le fu diagnosticato un tumore all’utero, che le impedì di accettare la vicepresidenza come chiedeva il popolo argentino. Con un messaggio radiofonico annunciò “Il giorno in cui si scriverà la storia di Peron, di me si dica che al suo fianco c’era una donna che si è dedicata a trasmettergli le speranze del popolo, di questa donna si sa soltanto che il popolo la chiamava con amore: Evita.” Milano Il 18 luglio 1951 morì. Il corpo mummificato venne esposto e la fila dei visitatori raggiunse circa 2 km. Dopo che Peron fu deposto, il suo corpo venne occultato al popolo e fu seppellita sotto il nome di Maria Maggi de Magistris al cimitero Maggiore di Milano. Solo nell’ottobre del 1976 fu riportata in Argentina nel cimitero di Recoleta.

41 In Libreria Consigliati e Sconsigliati dalle donne Impara a dire ti amo, prima che sia troppo tardi di Giacomo Dacquino – Mondadori Un saggio, col quale si impara a passare dai fatti alle parole; parla di sentimenti nel 21esimo secolo, dove l’autore ci spiega che ogni autentica relazione d’amore è fondata sul dialogo. Per tutte le deluse dall’amore. Si<<<< I passi dell’amore di Nicholas Sparks – Feltrinelli La storia commovente di un amore adolescenziale che segnerà, anche a distanza di quarant’anni, la vita di Landon Carter. Un romanzo commovente ed indimenticabile scritto da uno degli autori americani di nuova generazione di cui tutti conosceranno il precedente romanzo Le parole che non ti ho detto. Per esplorare con grande romanticismo la complessa geografia dei sentimenti. Se sei veramente ma veramente romantica. Si<<< Ti prendo e ti porto via di Niccolò Ammaniti – Mondatori Ammaniti è una garanzia, il libro impregnato di irrealtà reale, racconta due tormentate storie d’amore: quella di Pietro timido e sognatore e quella di Graziano Logoro play-boy. Manipolatore di destini, l’autore crea e dissolve coincidenze inchiodando il lettore alle 400 pagine del libro. Va bene per le donne e per gli uomini, per le madri e per le figlie. Si<<<<< Quattro etti d’amore, grazie di Chiara Gamberane – Mondatori La trama mi intriga, lo leggerò quanto prima. Erica e Tea si incontrano spesso al supermercato. Ogniuna sogna di vivere la vita dell’altra, immaginandola migliore della propria, data che nessuna delle due pare essere riuscita a realizzare le proprie aspirazioni. Si<<<<< Segnalateci le letture che vi hanno coinvolto di più, oppure quelle che vi hanno deluso scrivendo al nostro indirizzo mail e noi le citeremo su “Consigliati e sconsigliati dalle donne”.


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Eva C’è Post@ per Noi (prevenzione e cura del tumore al seno)

Grazie a Piazza del Grano per aver trattato un argomento tanto delicato quanto doloroso per noi donne come quello della malattia che forse più di tutte ci spaventa. Vi sarei ancora più grata se deste indicazioni su come far riconoscere il grado di invalidità che la malattia causa. Purtroppo mi sono operata da poco e il mio medico è stato molto evasivo in merito. A.1955 Cara A.1955, innanzi tutto il più grande in bocca al lupo! Per quanto riguarda le informazioni che hai chiesto spero di esserti di aiuto. De-

vi sapere che dal 1° gennaio del 2010 la domanda corredata da certificazione attestante la natura della malattia (in questo caso il tumore al seno), dovranno essere inviate esclusivamente all’INPS ed in via telematica. A tale proposito ti consiglio di rivolgerti ad un Patronato (es. CGIL) che si occuperà di avviare la tua pratica in modo competente e completamente gratuito. L’attestazione del grado di invalidità verrà stabilito da una commissione medica della tua ASL di appartenenza con la supervisione di un medico INPS. E’ tuo diritto, fallo valere!

Benessere al Naturale x 2

Mode & Modi L’abito da sposa

La Donna Acquario 21 aprile - 20 maggio

Rilassare la zona lombare Condividete questo piccolo esercizio con il partner: in ginocchio, gluteo sx sul tallone, allungare in dietro la gamba dx. Flettere il busto in avanti, abbandonando le braccia a terra e rilassando la testa. Tenere per 30 sec., invertire le posizioni

Maggio è per eccellenza il mese preferito per convolare a nozze. L’abito da sposa è una tradizione che intorno agli anni trenta del XX sec. si affermò come lo intendiamo oggi: bianco, lungo, con il velo ed il bouquet di fiori. Durante la seconda guerra mondiale l’uso subisce una battuta d’arresto per le tristi e note cause. Con la ricostruzione ed il boom economico l’abito bianco riacquista importanza. Per lei il colore più attuale per questa primavera- estate 2013 è sicuramente il classico bianco. Il velo si è accorciato molto e le linee dell’abito sono fortemente influenzate da richiami anni 50. Le acconciature hanno come tema ispiratore principale il romanticismo. Il raccolto è morbido, con ciocche che ricadono in modo assolutamente casuale e che può essere impreziosito da grandi fiori in seta o in chiffon. Nel trucco non esagerare con il fondotinta, non utilizzare ombretti perlati o brillantini. Le labbra vanno valorizzate da un rossetto color nude perché in questa stagione la parola d’ordine è naturalezza ma un bell'abito da sposa è fondamentale per realizzare il sogno di un matrimonio da favola! Auguri a tutte le spose!

Il toro è forza, quella psicologica, che si traduce in grandi capacità di pazienza, tenacia e costanza nell’inseguire gli obiettivi fissati. La donna toro è una donna carnale, di grande disponibilità nell’aiutare il prossimo. L’amore per le cose e le persone si traducono in una spiccata ossessività e gelosia. E’ abilissima nel gestire la sua vita, sul lavoro si fa apprezzare per la sua abilità pratica. Ama vestire in abiti eleganti e capaci di esaltare la fisicità che ella incarna. Il colore che predilige è il verde in tutte le sue sfumature. Il colore della calma, della tranquillità doti che il segno apprezza molto.

Lei a lui, lui a lei. 1 Cominciare con un leggero gommage per eliminare le ruvidità, composto da miele (quello granuloso con molto glucosio), succo di mezzo limone, e due cucchiai di farina gialla (quella per polenta). Poi rilassatevi con una bella doccia calda. Non dimenticate di tonificare i muscoli con un ultimo getto di acqua fredda. Lei a lui, lui a lei. 2 Se l’inverno ha lasciato le labbra screpolate umettatele con questo balsamo per labbra al …bacio. Unite 1 cucchiaino di miele più 2 cucchiaini di zucchero di canna (o una bustina sottratta al caffè mattutino del bar), e mescolate fin quando saranno completamente amalgamate. Applicate un po’ di questa crema sulle labbra e strofinate molto ma molto dolcemente…

Donne Acquario: Florence Nightingale – Pioniera inglese della moderna assistenza infermieristica (12 maggio 1820) Susanna Agnelli – Senatrice e donna politica italiana (24 aprile 1922) Elisabetta II – Regina d’Inghilterra (21 aprile 1926) Anna Oxa – Cantante Italiana (28 aprile 1961) Senza pretesa scientifica abbiamo riassunto le caratteristiche della donna acquario, abbiamo giocato con gli astri, perché è sempre divertente contrapporre il teorico all’empirico, il sogno alla realtà.


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Inediti

Il ritratto DI

TESTO E DISEGNI CHIARA MANCUSO

Le parole che non ti ho detto Taci. Senti. L’aria è dolce, la sera è lieve… Nella notte che mi vede arrivare giunge ancora inchiostro alla mia penna. Nella notte un canto leggero, si alza, barcolla, trema… Nella notte, le parole che non ti ho detto inciampano sulle mie labbra mute… Nella notte… Splendida, nuda mi si scalda l’anima al pensiero di trovarti alla finestra. Notte … infinita… mille volte buonanotte, mille volte addio, mille volte t’amo, e rido e piango appesa ad una stella. C.M. 7/09/2002.


44 Narra la leggenda che la Luna una notte, lontana nel tempo, avesse posato lo sguardo su un uomo che passeggiava in riva al mare rimirando il cielo e per un istante, incrociando quello sguardo azzurro, avesse sentito il desiderio di guardarlo un po' più da vicino. Così la notte seguente, si fece un po' più chiara; pregò le stelle di brillare più forte, per aiutarla a distinguere il profilo confuso di quel piccolo uomo che anche quella notte stava lì, in quella spiaggia deserta. E così nelle notti che seguirono riusciva a vederlo sempre un po' più vicino, al punto che ne poteva tracciarne i lineamenti; secondo la leggenda, le parve bello, così bello che a quel punto desiderò sfiorarlo, ma sporgendosi sul bordo del cielo, fosse caduta sulla terra. Smarrita e confusa, alzò lo sguardo verso il cielo buio ed ebbe paura per il costo di quell'audace salto: stese la mano verso le stelle, ma nessuno le ricambiò il gesto. Una lacrima. Una lacrima perfetta, furtivamente, lasciava le ciglia appena socchiuse, quasi per non lasciarla cadere…ma infine ce l’aveva fatta, aveva superato quella fragile barriera ed era scivolata incolume sulla guancia bianca, simile ad una collina innevata,

Inediti sulla quale ora, quell’ audace, tiepida goccia stava segnando un percorso, quasi volesse segnare un solco, un confine, un limite al dolore. Accelerò appena giunse sotto l’ombra del naso, per poi rallentare di colpo, come per fermarsi ad ammirare quel promontorio perfetto che spiccava al centro del viso, dritto e immobile come un faro…si cullò un poco sull’insenatura appena sopra le labbra,per poi cadere dolcemente sull’angolino destro della bocca socchiusa dove sparì, inghiottita da un singhiozzo silenzioso e timido. Era una deliziosa alchimia di sale e acqua, simile agli spruzzi in faccia delle onde, ma solo più dolce e più… calda… A quella prima lacrima, ne seguì una più svelta, facilitata dal percorso già tracciato della prima; questa lo fece in un lampo, ma più pesante e maldestra della prima, superò in fretta le labbra ed inciampò rovinosamente sul mento, per finire un po’ stropicciata sul palmo della mano. Lei si soffermò a lungo a guardare quella tiepida goccia d'argento trasudata da quei suoi occhi così freddi, e specchiandosi in essa, si chiese se fosse davvero sua quella fragile forma di vita e di dolore, quel dolore che le stringeva la gola e il petto, così vivo e vero…era tutto suo

quel battito folle che sembrava scuotere le pareti di quel delizioso corpo che aveva avuto in prestito per quella notte…era suo adesso e non voleva toglierselo di dosso, come fanno i bambini con il vestito della festa… “Benedetta notte!”sospirò convincendosi che fra un milione di notti quella non l’avrebbe mai dimenticata… Già lo aveva intuito quando al tramonto, accompagnando le barche dei pescatori al largo, si era sporta troppo dalla sua finestra per ascoltare i cori lamentosi delle donne che guardavano i loro uomini prendere il largo, pregando che tornassero al mattino… Le era costato caro quel desiderio di sentire, quasi toccare quei sentimenti così vivi e veri: la paura, la fame, la nostalgia, l’amore, l’odio, la rabbia, il tradimento..tutti raccolti e legati insieme da quei canti pieni di passione, da quei rosari sdrucciolati in fretta, da quelle gonne alzate sopra la caviglia da un vento malandrino; sembravano un bouquet di emozioni fatto apposta per lei, come un invito ad assaporare almeno una volta quella vita e quella morte che si consumavano in mezzo a quegli uomini in balia della sorte su delle barche sconnesse e delle donne indecise se aspettare ancora.


Inediti Uno scivolone, voluto o accidentale, la fece precipitare in mezzo a quella puzza di mare morto, fra i bambini addormentati sotto le gonne delle madri stanche e il vino scadente che inzuppava le barbe di uomini che avevano troppo da dimenticare e da far dimenticare, una vita intera o forse più…ma a lei bastava quella notte per dimenticare chi fosse, le bastava qualche ora per assaggiare l’amarezza o la dolcezza della vita fatta di sangue e carne. Un sorso di mare le sarebbe bastato a dimenticare millenni passati a guardare quella vita che si consumava sotto i suoi occhi e che adesso, solo per quella notte, avrebbe vissuto come una di quelle donne che si attardavano ancora sulla banchina. Così, lasciò quel mare che con tanto fragore aveva attutito la sua caduta, si avvolse nel suo infinito mantello scuro e si tuffò nel buio di quella notte nera, senza stelle. Una nebbiolina leggera avvolgeva ogni cosa, e un silenzio quasi spettrale sembrava tenere quella borgata col fiato sospeso, quasi in attesa di un qualcosa che tardava a venire… Le strade deserte sembravano i letti dei torrenti morti, soffocati dalla calura estiva e lei si sentiva una goccia d’acqua in quell’arido groviglio di vicoli. Solo un pianto lontano rompeva quell’attesa muta, finché un canto leggero non accorse a calmarlo; si sedette su un gradino ad ascoltare quella ninna-nanna che parlava di rose e biancospino, sollevandosi sottile come un filo di fumo, che lentamente riempì l’aria coprendo il silenzio e quell’odore aspro di mare e pesce morto. Dall’ombra tremante delle fiaccole sembravano prendere forma dei petali di rosa e di biancospino sparsi con grazia da quella nenia fresca sui ciottoli sconnessi della strada e se solo avesse allungato la mano li avrebbe potuto prendere. Tese l’orecchio come un segugio e rintracciò la finestra accesa da dove proveniva quel canto; di nascosto appoggiò lo sguardo su quella scena. Più dolce di quei petali, era il viso di quella donna china sulla culla e che, con un gesto morbido, dondolava il piccolo sperando che si addormentasse… “Ah!” sospirò…che cosa non avrebbe fatto per avere quelle braccia stanche, che cosa non avrebbe fatto per sentire sul

suo petto quella testina affamata che cercava la vita…era dunque quella la vita? Quella vita così fragile e pura, tenuta in braccio da una mano stanca e assonnata, bella più del suo soffrire… Qualcosa la scosse dentro, più di quei fulmini che improvvisamente iniziarono a illuminare il cielo, mentre stormi di nuvole si rincorrevano come impazziti, fra gli ululati di un mare furioso. Avrebbe dovuto tornare indietro in quel momento, ma non poteva, non voleva, non ancora. Corse verso una porta socchiusa da dove usciva un filo di luce. Entrò e la richiuse in fretta, come se fosse inseguita da qualcuno. Si ritrovò in una chiesa non ancora consacrata. Si guardò attorno e si accorse di essere circondata dagli abitanti di quel piccolo borgo di pescatori, appesi lì alle pareti, e senza saperlo il povero parroco si era trasformato in

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un grassoccio Ponzio Pilato, le prostitute erano diventate caste pie donne o sante martiri, e appeso al crocefisso il corpo bruciato dal sole di un pescatore che aveva sopportato i flagelli delle onde. Altri del paese comparivano nelle vesti di centurioni o apostoli, senza lasciare nessuna delle proprie caratteristiche. “Vi stavo aspettando!” disse un uomo sull’altare. Impaurita, si strinse nel suo mantello e fece un passo in dietro come per andarsene. “Venite!” proseguì l’uomo pulendo i pennelli, senza nemmeno alzare lo sguardo. “La luce non è molta: stasera non c’è luna, ma ci si può accontentare…” Si avvicinò e per la prima volta poté vedere da vicino l'uomo che aveva sedotto le sue fredde notti: le sembrava così piccolo da lassù, che in quel momento, stentava a riconoscerlo, meno fragile di quel che pareva.


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Inediti

Il giovane pittore la guardò e si accorse che non era la donna che stava aspettando; tuttavia, era talmente bella quella strana figura che era entrata nella sua notte, che decise ugualmente di farle un ritratto. Gli pareva che la candida pelle di quella donna emanasse luce, tanto era bianca e pura, che solo il pensiero di sfiorarla, l'avrebbe sporcata come quando si tocca la neve. Il silenzio era rotto solo dal fruscio dei carboncini sul foglio, che non tracciavano mute linee che chiunque avrebbe potuto fare, ma parole che un uomo non sa dire, traducevano desideri sommessi, segreti che per sempre sarebbero rimasti celati agli occhi del mondo. Lei lo guardava scolpendo, a sua volta, l'immagine dell'uomo dentro di sé, maledicen-

Lacrime della Luna. Vieni, prendimi per mano e chiudi tutte le porte e le finestre che sbattono di notte e svegliano i bambini. Vieni, e non curarti dei fantasmi che corrono nelle mie stanze. Vieni, e non ti spaventino i lamenti che si sentono di notte. E’ solo il canto strozzato della mia Luna rinchiusa nel pozzo, nostalgico pianto al suo cielo perduto.

C.M.16/06/’03.

do il tempo che scorreva troppo in fretta, e che presto avrebbe spinto l'alba a bussare alle porte del cielo: avrebbe portato via con sé le mani nervose e sporche che scorrevano sul foglio bianco, gli occhi lucidi e chiari che fuggivano dal suo viso al foglio, rapidi e furtivi, come ladri che le rubavano i tratti, le labbra che si mordevano fra un sospiro e l'altro. L'uomo la guardava e si malediceva per non essere capace di intrappolare quella bellezza troppo perfetta, quella luce troppo chiara, quella creatura fredda eppure viva che sorgeva davanti ai suoi occhi come un sogno vespertino. Ma, ahimè, la notte stava fuggendo via, come la sabbia in una mano e il suo tempo in questa terra doveva finire; si alzò e si diresse verso la porta, ma l'uo-

mo la bloccò pregandola di restare. Si dice che la Luna avesse regalato un bacio al giovane pittore ed in quel bacio avesse sussurrato il suo segreto, per poi sparire per sempre nel cielo. Il ragazzo, disperato, cercò di seguirla invano. Alcuni dicono che il pittore avesse vagato per tutta la vita alla ricerca della donna del suo ritratto, altri dicono che durante l'eclissi la Luna lasciasse il suo castello celeste per riunirsi al suo amato. Altri ancora raccontano che nel tentativo di raggiungere la Luna, il ragazzo fosse salito in cima ad un alto monte e con un balzo avesse cercato di toccarla ancora una volta: le lacrime della Luna allora intrappolarono il mantello della morte in mille stalattiti di ghiaccio, il tempo necessario per portarlo via con sé.


Cinque per Mille

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Il 4 marzo 2005 un’autovettura con a bordo due funzionari del Sismi italiano e la giornalista Giuliana Sgrena, appena liberata da un sequestro terroristico, viene investita da un fuoco incrociato di un commando USA sulla strada dell’aeroporto di Bagdad. Resta ucciso il maggiore Nicola Calipari, feriti gli altri passeggeri. La procura della Repubblica di Roma chiederà al rinvio a giudizio del marine USA Lozano e di altri ignoti con l’imputazione di omicidio volontario, qualificato "delitto politico che lede le istituzioni dello Stato italiano", sulla base delle risultanze balistiche che hanno provato il fuoco di numerose armi su di una autovettura sostanzialmente ferma. La Corte d’Assise prima e la Cassazione poi, seppure con diversa motivazione, archivieranno l’accusa per difetto di competenza della magistratura italiana su reati commessi da militari USA. Il presidente Ciampi (nella foto accoglie la bara con il corpo del maggiore Calipari), dopo avere chiesto, ma senza esito, al presidente USA Bush la collaborazione per l’accertamento della verità dei fatti, insignirà il maggiore Calipari della medaglia d’oro al valore militare per avere difeso la sovranità e la dignità dello Stato italiano. Un altro Presidente, alcuni anni dopo, si comporterà del tutto diversamente; ne parliamo all’interno.


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