Mensile di informazione, politica e cultura dell’Associazione Luciana Fittaioli - Anno III, n. 3 - Foligno, marzo 2011
Né con le BR...
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a Fiat, la storica industria torinese, una volta della famiglia Agnelli e poi, sempre restando in proprietà della stessa famiglia, di fatto interamente finanziata dallo Stato italiano, lascia Torino e sposta la sua testa, ma piano piano anche il suo “corpo”, negli Stati Uniti, a Detroit. Non è stata la Fiat a comprare la Chrysler, ma quest’ultima non a comprare, ma direttamente a scippare a costo zero la Fiat. Sarebbe presuntuoso dire che lo avevamo detto. Era infatti il così detto “segreto di Pulcinella”, tutti lo sapevano, anche i sassi, però i sassi non parlano, mentre a parlare sono sempre i tanti servitori e i tanti, davvero tanti, stupidi. Cosa diranno ora i vari Fassino, Veltroni, Chiamparino e soci che si sono schierati contro i lavoratori acclamando il salvatore “amerikano”? Eppure non era difficile comprenderlo. Gli Stati Uniti, come d'altronde tutti i paesi occidentali, stanno vivendo una crisi storica dalla quale cercano in ogni modo di uscire. Solo che gli Stati Uniti hanno la forza, l’arroganza e la prepotenza per farlo a spese di chiunque: colonie del terzo mondo e sudditi occidentali. Obama ha sostanzialmente fallito tutti gli obiettivi del proprio programma (sempre se poi erano veri e veramente voluti): nessuna riforma sanitaria, nessuno stato sociale, neppure le guerre, che svenano le risorse finanziarie americane, sono cessate o anche solo diminuite. In Iraq e in Afganistan gli esportatori di democrazia hanno disfatto regimi autoritari e ora tutti possono liberamente candidarsi e votare; non ci sono più candidati e schede uniche, tanto le schede vengono truccate dopo e a governare sono sempre gli stessi. Sono stati soppressi i regimi totalitari (che sia ben chiaro nessuno rimpiange), però
in cambio è stato esportato il caos, con il suo devastante carico di violenza e miseria. E intanto invece gli USA stanno risalendo la crisi, così almeno dicono loro stessi e i soliti esperti “a libro paga”, fortemente agevolati anche dalla notevole crescita del prezzo del petrolio che, com’è noto (si veda in proposito un nostro precedente articolo sui “petrodollari” pubblicato nell’inserto “Iraq” del numero di novembre 2010), essendo pagabile solo in dollari USA ne aumenta la richiesta, così finanziando il debito estero del paese emittente a spese di tutti gli altri paesi industrializzati che hanno bisogno di quella risorsa energetica. Né Serbia dunque, né Polonia, né qualsiasi altra landa povera e disperata del terzo mondo; si va tutti e tutto a Detroit. Il referendum? Una farsa, o più precisamente una sfacciata prova di forza dei nuovi (o soliti) padroni, contro tutto e tutti: lavoratori, sindacati, politici e lo stesso Stato Italiano. Ma tanto il Parlamento ha ben altri problemi da affrontare: quando Berlusconi ha telefonato alla Questura di Milano era convinto o no che le minorenne era la nipote del presidente dell’Egitto? (n.b. la minorenne in questione è di nazionalità marocchina, tra Marocco ed Egitto ci sono ben tre Stati; qualcuno un poco di geografia la conosce?). 315 Onorevoli (onorevoli?!) hanno affermato di sì; solo l’interessata aveva detto di no… ma è una marocchina extracomunitaria assolutamente inaffidabile! E bravo Marchionne, “ti piace vincere facile”! ltimora Marchionne è andato al Parlamento a raccontare una favola; per l’occasione ha dismesso il maglioncino e indossato giacca e cravatta. Disse Capuccetto Rosso alla vecchia nonna: “Che den-
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La FIAT se ne va!
Un uomo d’ “ONORE” SANDRO RIDOLFI
Un uomo d’ “onore” è andato in carcere spontaneamente, dichiarando di volersi sottomettere alla decisione dei giudici. Certo, aveva alcune alternative da potersi spendere, ad esempio avrebbe potuto andare in carcere non con la sua auto blu con autista, ma su un’auto di colore più chiaro, diciamo celeste, con due lampeggianti accesi sul tettino e le sirene spiegate. Quanto a sottomettersi al giudizio, in alternativa avrebbe potuto darsi alla latitanza assieme a quelli che aveva aiutato quando era a “piede libero”, o magari andarsene in Brasile a far compagnia a Battisti (però forse al reato di mafia non viene riconosciuta da quel paese la natura politica). Insomma un uomo per bene, disciplinato e rispettoso della legge come hanno tentato di far credere i suoi (oggi) ex soci in politica. Ciò che stupisce, alla fine, non sono queste imbecillità, quanto il fatto clamoroso che in tutti gli anni che sono passati dalla prima sentenza di condanna emessa da un tribunale della Repubblica, poi confermata da una Corte d’Appello della Repubblica e così sino all’ultima pronuncia della Cassazione Penale, que-
st’uomo d’onore abbia tranquillamente continuato a svolgere attività politica, anche ad altissimo livello, magari andando a deporre corone di fuori sui luoghi del massacri dei tanti Falcone, Borsellino, Dalla Chiesa e così via, uccisi da quegli altri “uomini d’onore” che lui aveva aiutato proprio con la sua attività di amministratore pubblico. Ora non v’è dubbio che sia un principio assoluto e indiscutibile, scolpito nella nostra Costituzione, che afferma che un imputato non può essere considerato colpevole sino a sentenza di condanna definitiva e che, quindi, allo stesso debbano essere riconosciuti e assicurati tutti i mezzi per far valere i propri diritti fino all’accertamento della verità, o quanto meno di quella verità “accertabile” che si chiama verità giuridica. Ciò che stupisce, lascia perplessi e soprattutto preoccupa è la costatazione di una, come dire, inversione dell’ordine dei fattori che, in questo caso, modifica eccome il risultato: il diritto di difesa è divenuto un diritto di impunità, almeno sino a che “non se ne può più”. Un pluricondannato in due gradi di giudizio non solo non è ancora definitivamente colpevole sino all’ultima pronuncia della Cassazione, ma finisce per essere con-
siderato una vittima di una ingiustizia giudiziaria (le sentenze di primo e di secondo grado). Certamente, va ripetuto, un imputato o condannato sino a sentenza definitiva è e deve rimanere considerato innocente, ma qualche cosa dovrà pure significare avere avuto, non una, ma ben due sentenze di condanna, anche se non definitive; qualche conseguenza dovrà pure esserci quanto meno cautelativa, ovviamente riferita all’ambito della materia interessata dal reato commesso. Se un insegnante viene rinviato a giudizio e poi condannato, magari anche solo in primo grado, per avere spacciato stupefacenti ai propri scolari, può restare a insegnare sino alla pronuncia della Cassazione? O forse è il caso che, anche in attesa della sentenza definitiva, venga allontanato dall’ambiente scolastico? Se un politico viene condannato per collusione con la criminalità organizzata, è corretto che resti al suo posto, anzi progredisca a più alti livelli magari proprio grazie ai favori dei “compari” in attesa delle sentenza della Cassazione? Si dirà, ed è giusto dirlo, meglio un colpevole libero che un innocente in prigione. La realtà della nostra giustizia, in verità, non ci ha mostrato molti casi di errore giudiziario (anche se ne
basterebbe uno solo per difendere con il massimo vigore il principio della presunzione di innocenza); la casistica ci mostra una enormità di casi in cui l’assoluzione dell’imputato non segue all’accertamento della sua innocenza o quanto meno al dubbio sulla sua colpevolezza, bensì all’intervento di una “sanatoria” per eccellenza, la prescrizione del reato. L’imputato, il non condannato definitivamente, l’innocente sino a sentenza definitiva, in verità molto, tanto, troppo spesso è un colpevole “non condannato” per decorso dei termini. La giustizia è lenta perché la macchina giudiziaria del nostro paese è veramente e sempre più a pezzi. Certamente i magistrati non sono esenti da responsabilità, sono uomini con tutti i pregi e i difetti di ciascuno di noi che scrive o legge queste righe, ma quando manca tutto: dai giudici alla carta per le fotocopiatrici, cosa ci si può aspettare? Se non si può migliorare la macchina ci sono due alternative: dare più valore almeno politico e morale alle sentenze ancorché non definitive, oppure abbreviare i termini di prescrizione o inventare i processi brevi. Il nostro uomo d’onore certamente ha tifato per la seconda soluzione e non era e non è il solo.
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Leggi e diritti
Alberi troppo vicini alla carreggiata In Italia migliaia le strade fuorilegge secondo la Cassazione ELISA BEDORI
Tutti gli alberi, anche quelli secolari, che si trovano entro sei metri dalle strade extraurbane, non sono a norma. Ecco quanto stabilito dalla quarta sezione penale della Cassazione che, con la sentenza n. 17601/2010, ha condannato per omicidio colposo il capo cantoniere dell’Anas di Foligno, per non aver provveduto alla messa in sicurezza della strada statale Centrale Umbra, dove una donna è morta a seguito dello schianto della sua vettura contro un platano secolare. Secondo la Suprema Corte, l’uomo “nella sua qualità di sorvegliante, era titolare di una posizione di garanzia e doveva accertarsi se gli alberi posti vicino al confine stradale di sua competenza rispettassero le distanze previste dal Codice della Strada, provvedendo, quindi, alle necessarie segnalazioni in ordine alla regolarità dell'albero di
cui è processo, essendo egli tenuto a conoscere tutte le normative applicabili in materia di distanze. Non avendo egli provveduto a ciò, in violazione del D.P.R. n. 1126 del 1981, art. 8, che impone al cantoniere sorvegliante l'obbligo di fare una periodica ispezione del trat-
to di strada di sua pertinenza proprio al fine della segnalazione a chi di dovere di una eventuale anomalia e del successivo intervento, egli ha reso possibile il verificarsi dell'evento”.La decisione della Cassazione poggia sull’art. 26 del regolamento che dà attuazione al codice della strada entrato in vigore il primo gennaio
del 1993, che impone una distanza minima di sei metri per l’impianto di alberi lungo le strade fuori dai centri abitati. Prima di questa sentenza però non era stato chiarito se la norma fosse retroattiva e quindi si estendesse a tutto il patrimonio arboreo piantato anche prima del 1993. Dopo 17 anni la Suprema Corte ha tolto ogni dubbio: tutti gli alberi, secolari e non, che costeggiano le strade italiane sono fuori legge. L’alternativa all’abbattimento si guardrail. chiama Pertanto, gli enti proprietari delle strade extraurbane, in particolare l’Anas e le Province, dovranno ora provvedere alla messa in sicurezza delle strade di loro competenza. A questo punto, costituendo tale pronuncia un importante precedente per tutti i Tribunali e le procure d’Italia, i parenti degli automobilisti morti a causa di uno schianto contro un albero – killer potrebbero tentare una causa civile per ottenere un indennizzo.
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Semplificazione e trasparenza nel linguaggio amministrativo SALVATORE ZAITII Il cittadino bene informato è anche un cittadino consapevole dei propri diritti e che partecipa alle attività pubbliche in modo responsabile. Questa affermazione evidenzia una semplicità ed un buon senso che si contrappongono specularmente al disinteresse e alla incomprensibilità del linguaggio che la Pubblica Amministrazione utilizza quotidianamente nella sua attività. Sono ormai trascorsi più di venti anni da quando sono stati introdotti nel nostro ordinamento i principi di pubblicità e trasparenza dell’ azione amministrativa, ma poco è stato fatto per far conciliare concretamente la conoscibilità del provvedimento con la sua comprensibilità. Il diritto di accesso, ovverosia il diritto di chiedere ad un ufficio pubblico ed ottenere copia di un provvedimento di nostro interesse, soddisfa solo in parte il rispetto del principio di trasparenza; se a ciò non si coniuga pure la chiarezza e semplicità del testo, ogni tentativo di garantire la fruibilità del documento sarà conseguito parzialmente. Il Ministero della Funzione pubblica ha emanato nel corso degli anni almeno due importanti Direttive sulla semplificazione del linguaggio dei testi amministrativi, ma i risultati attesi hanno trovato un riscontro pressoché uguale al-
lo zero con quelli ottenuti. In un tale contesto, bene si inserisce l’ iniziativa promossa dall’ Istituto di teoria e tecniche dell’ informazione giuridica del Consiglio nazionale delle ricerche, dall’ Accademia della Crusca, dalle Università di Firenze, Catania, Modena e Reggio Emilia, nonché dalla Regione Toscana e da altri enti locali di elaborare una Guida alla redazione degli atti amministrativi. Nella sua presentazione, infatti, si legge testualmente: “Gli atti amministrativi costituiscono un universo molto eterogeneo sia a causa della pluralità dei soggetti emittenti e dei destinatari, sia a causa della molteplicità delle funzioni dell’ atto; pertanto non è facile definire le regole per la loro scrittura. Perché allora proporre regole e suggerimenti per scrivere gli atti amministrativi? Le esigenze sono essenzialmente tre. 1.L’ atto amministrativo è non solo un atto tecnico-giuridico, ma anche un atto comunicativo con il quale la pubblica amministrazione deve farsi capire e farsi conoscere dai cittadini. Se gli atti sono redatti secondo regole che ne aumentino l’ omogeneità e ne diminuiscano le imprecisioni saranno certamente più comprensibili. 2.Le regole mirano a rendere omogenee le modalità di scrittura degli atti per renderne più facile l’ interpretazione e per favorire, di conseguenza, la comunicazione con i loro desti-
natari. Le regole proposte responsabilizzano quindi l’ autore dell’ atto non solo sotto il profilo della legittimità, ma anche sotto quello della sua funzione comunicativa. 3 La recente pubblicazione del Codice dell’ amministrazione digitale è l’ ultimo atto di un più che decennale percorso normativo che intende sostituire una pubblica amministrazione composta da monadi non comunicanti con un unico sistema informativo pubblico fortemente interconnesso. In tale quadro l’ interoperabilità dei dati è elemento centrale. E’ ovvio che gli standard linguisticodocumentari prima ancora che quelli tecnico-informatici faciliteranno tale interoperabilità. La diffusione delle tecnologie digitali in ambito pubblico senza l’ abbandono di un linguaggio farraginoso e oscuro rischia di trasferire la gestione e il controllo dell’ informazione dall’ ambito politico-amministrativo a quello tecnico, e di mettere in discussione i ruoli d’ imparzialità e di garanzia propri della pubblica amministrazione”. Auguriamoci che questo ulteriore strumento per rinnovare il linguaggio amministrativo contribuisca a rendere effettivo il principio di trasparenza inteso, questa volta sì, come accessibilità totale e livello essenziale delle prestazioni erogate dalle amministrazioni pubbliche.
spese, escluse imposte e tasse. Le tabelle dei tassi sono pubblicate in Gazzetta Ufficiale e sono disponibili sul sito della Banca d’Italia, mentre le banche e gli intermediari finanziari hanno l’obbligo di affissione dell’apposito avviso nei locali aperti al pubblico. E’ comunque considerato usurario il tasso inferiore al tasso soglia che risulti sproporzionato rispetto alla prestazione e accettato dal debitore che versa in stato di difficoltà economiche e finanziarie. Il reato viene infatti allargato a prestazioni diverse dal solo tasso di interesse, tenendo conto di qualunque vantaggio o compenso che risulti sproporzionato rispetto alla prestazione erogata a un soggetto in stato di bisogno (circostanza aggravante). In caso di reato, vi è l’esenzione dal pagamento degli interessi, mentre prima della riforma gli interessi erano comunque dovuti seppure nella misura legale (art. 1815 comma 2 codice civile). La prescrizione del reato decorre non più dalla prima prestazione, bensì dal giorno del-
l’ultima “riscossione”. Nuova fattispecie incriminante è rappresentata dalla mediazione usuraria che si configura quando chi, nell’esercizio dell’attività bancaria o di intermediazione finanziaria (aggravante), indirizzi una persona verso soggetti non abilitati all’esercizio dell’attività, ossia verso il mercato illegale.Altro elemento aggravante si delinea quando il reato è commesso ai danni di chi svolge attività imprenditoriale, professionale o artigiana. Per i rapporti antecedenti l’entrata in vigore della legge non è previsto l’obbligo dell’adeguamento. Il reato penale di usura è punibile con reclusione da tre a dieci anni e multa da 5 a 30 mila Euro. La pena è aumentata da un terzo alla metà per aggravanti specifiche, alcune delle quali sopra menzionate (articolo 644 codice penale). Nel prossimo numero daremo qualche esempio di tasso soglia in vigore per le principali forme di finanziamento e indicheremo inoltre quali sono le principali iniziative antiusura nel nostro paese.
Interventi di riqualificazione Usura, un reato moralmente energetica riprovevole Detrazione del 55% ai fini delle imposte dirette GIANLUCA MATILLI Con il varo della “Legge di Stabilità” 2011 risulta confermata fino al 31.12.2011 l’attesa la proroga della detrazione del 55% ai fini delle imposte dirette sugli interventi di riqualificazione energetica. La proroga dell’agevolazione confermando l’impianto normativo già in vigore inserisce quale unica modifica la ripartizione della detrazione in dieci anni e, non più in cinque. Resta confermato la semplificazione burocratica che prevede che non sia necessario l’attestato di certificazione/qualificazione energetica per gli interventi finalizzati alla sostituzione di finestre comprensive di infissi in singole unità immobiliari e in caso di installazione di pannelli solari per la produzione di acqua calda. Sono ammessi all’agevolazione: le persone fisiche, compresi gli esercenti arti e professioni; i contribuenti che conseguono reddito d’impresa (persone fisiche, società di persone, società di capitali); le associazioni tra professionisti; gli enti pubblici e privati che non svolgono attività commerciale. Per quanto riguarda gli interventi agevolabili si veda la tabella esposta di seguito. Per ottenere l’agevolazione sono necessari tre certificati ed esattamente l’asseverazione; l’attestato
di certificazione o qualificazione energetica; la scheda informativa relativa agli interventi realizzati. L’asseverazione è quel documento rilasciato da un tecnico abilitato che permette di dimostrare che l’intervento rispecchia quelli che sono i requisiti tecnici imposti dalla norma. L’attestato di certificazione o qualificazione energetica, consiste in un documento redatto da un tecnico abilitato comprendente tutti i dati relativi all’efficienza energetica propria dell’edificio. La scheda informativa contiene i dati identificativi del soggetto che ha sostenuto le spese; i dati dell’edificio oggetto dell’agevolazione; la tipologia di intervento che è stata eseguita; il risparmio energetico
che ne è conseguito; l’importo totale sostenuto con evidenziazione delle relative spese professionali e la somma finale su cui si è calcolata la detrazione. Entro 90 giorni dalla fine dei lavori, bisogna infine trasmettere all’Enea la comunicazione fine lavori, con la copia dell’attestato di certificazione o di qualificazione energetica; la scheda informativa relativa agli interventi realizzati. La comunicazione deve avvenire attraverso il sito internet: http://efficienzaenergetica.acs.enea.it Si precisa che per gli interventi i cui lavori proseguono in più periodi d’imposta, deve essere presentato un modello per ciascun periodo d’imposta.
NADIA FRANCESCHI
Per usura si intende in genere l’applicazione di un tasso eccessivo rispetto alle condizioni di mercato sui prestiti di denaro. Le disposizioni in materia di usura sono dettate in Italia dalla legge 108/96. Tale normativa introduce delle novità rispetto alle norme previgenti che rendevano difficile il perseguimento del reato: era infatti necessario provare non solo lo stato di bisogno del soggetto finanziato ma anche la conoscenza di questo fatto da parte dell’usuraio e questo criterio soggettivo era molto difficile da dimostrare. Altra questione era rappresentata dal termine di prescrizione, decennale, che, cominciando a decorrere dalla prima prestazione usuraia, faceva sì che molti reati di usura, nel momento in cui venivano scoperti, risultassero già prescritti. La legge 108/96 poggia le proprie basi su nuovi elementi che esamineremo di seguito. Innanzitutto introduce un criterio oggettivo per la determinazione della sproporzione usuraria: è sufficiente il superamento di un tasso soglia determinato aumentando della metà il tasso effettivo globale medio (TEGM) rilevato trimestralmente dalla Banca d’Italia per conto del Ministro dell’economia e delle finanze per operazioni suddivise in classi omogenee. Il TEGM tiene conto di commissioni, remunerazioni varie e
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Politica ed Etica
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I poteri dello stato, l’eversione e gli scenari futuri possibili e impossibili LUIGI NAPOLITANO
La nostra costituzione attribuisce al Parlamento il potere legislativo, ossia il potere di legiferare per le materie espressamente indicate nel secondo comma dell’articolo 117, al Potere Giudiziario, inteso come il complesso degli organi dell’autorità giudiziaria, ossia i magistrati, quello di risolvere le controversie di natura civile, penale e amministrativa nel rispetto del contraddittorio delle parti, della trasparenza del procedimento e motivando la decisione. Va da sé che tale ultima funzione si realizza mediante l’applicazione delle norme che il primo potere ha emanato. La stessa costituzione sancisce che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali e l’obbligatorietà dell’azione penale da parte del pubblico ministero. Aggiungo che la colpevolezza di una persona
è accertata solo con la concizio delle sue funzioni inclusione del terzo grado di daga, in un più ampio congiudizio. Un precedente testo, anche il Presidente del mancato rispetto di del Consiglio dei Ministri e queste basilari regole, si viene accusata di voler sovvertire il voto popolare può ritrovare, nella nostra che, dunque, più che l’estoria e prima dell’approsercizio di un diritto devazione della Costituzione mocratico costituirebbe un vigente, nel tentativo di alcuni coraggiosissimi giudici del Tribunale di Torino di non applicare, interpretandole in bonam partem, ossia a favore di coloro che furono costretti a subirle, le norme relative ai limiti di proprietà immobiliare e di attività industriale e commerciale destinate ai soli cittadini italiani di razza e-braica. La storia è nota e finì con la fuoriuscita di quei magistrati dai ranghi di appartenenza e con la loro collocazione nelle fila dei partigiani che, con le forze alleate, sconfissero il nazifasci-smo. Crea un notevole sconcerto La Corte Costituzionale sentir oggi affermalimite all’applicazione delzioni, rilasciate anche da la Costituzione. Siffatte afesponenti del go-verno, rifermazioni fanno intendespetto ad un presunto atre, infatti, quale sia il conteggiamento eversivo della cetto di Stato e quanto ne magistratura che nell’eser-
rispettino le istituzioni alcune delle persone deputate a rappresentarlo. Ancor più sconcertanti appaiono le opinioni di coloro che, dichiarandosi terzi rispetto alle opposte fazioni politiche circa gli eventi giudiziari citati, accusano i
paladini della rivoluzione sessuale di ergersi a sacerdoti della virtù e i custodi dei valori tradizionali di trasformarsi in cantori di
costumi rilassati evidenziando un rovesciamento dei ruoli. Un’interpretazione siffatta degli eventi sposta il piano del discorso ponendolo in una real-tà diversa da quella che il paese sta vivendo. Realtà di cui i telespettatori che seguissero solo la rete principale della televisione pubblica avrebbero un’idea ancor più remota. In un paese dove la spettacolarizzazione e la personalizzazione non avessero preso il sopravvento sulle idee, distorcendo il significato stesso del termine politica che indica l’arte di governare, dove non si viene eletti per volontà dei capi dei partiti ma per volontà del popolo, sicuramente il Presidente del Consiglio, trovandosi nella situazione del nostro, avrebbe fatto un passo indietro al fi-
ne di con-sentire la formazione di un nuovo governo rispettoso delle regole, capace di condurre un civile confronto con le opposizioni e di porre in essere provvedimenti utili agli interessi sociali, bonificando il clima dagli asfissianti integralismi che realizzano solo sterili e violenti scontri. Poiché anni di questo sistema politico ci hanno dimostrato che un’eventualità del genere non sembra realizzabile, pur di uscire da una situazione di stallo che può solo ulteriormente danneggiare il sistema Italia penso che saremo costretti ad accettare un’innaturale alleanza che veda schierate insieme le forze che non si riconoscono in questa compagine governativa, il cui scopo dovrebbe essere quello di promulgare una legge che elimini il conflitto di interessi e di realizzare alcune chiare riforme in materia elettorale, fiscale, di informazione al fine di realizzare finalmente un sistema compiutamente bipolare ma che dia voce anche a parti rilevanti di elettorato non in linea con gli schieramenti maggiori.
Giorgio Cremaschi è attualmente il Presidente del Comitato centrale della FIOM. Vive a Brescia da ormai più di trent’anni, sindacalista dei metalmeccanici della Cgil fin dal 1974, ha legato il suo nome ad un’intensa stagione di conflittualità nelle aziende della provincia bresciana, gestendo, da segretario della Fiom provinciale dal 1981 al 1988, un periodo non certo facile per il sistema industriale bresciano, segnato in particolare dalla profonda crisi della siderurgia, nonché dalle difficoltà e dalla chiusura di alcune storiche aziende. Laureato in Scienze politiche a Bologna, dopo le prime esperienze nel sindacato della scuola del capoluogo emiliano, arrivò a Brescia nel 1974 per un incarico all’interno del progetto delle «150 ore», realizzato dall’allora unitaria sigla dei metalmeccanici, la Flm, per la formazione ed il conseguimento d’un titolo di studio da parte degli operai bresciani. Gli anni Ottanta l’hanno visto indiscusso protagonista degli scontri sindacali in numerose aziende, a co-
minciare da quelle del cav. Luigi Lucchini; polemiche furiose, confronti accesi, scontri durissimi, legati non solo all’organizzazione del lavoro ed al salario, ma pure al ruolo del sindacato in azienda. E su quest’ultimo versante non mancarono, in quegli stessi anni, discussioni serrate e non meno crude polemiche, anche con le altre componenti del sindacato, in particolare con la Fim di Marino Gamba e la Uilm di Piero Imberti, nonché con la Cisl di Aldo Gregorelli e Diego Peli.Il profilo sindacale non è però l’unico interessante nella biografia di Giorgio Cremaschi; è stato infatti nel PCI fino allo scioglimento e, come sottolinea, «dopo un lungo periodo senza tessera», da alcuni anni è iscritto («semplice iscritto» tiene ancora a precisare) a Rifondazione comunista. Un semplice iscritto che, però, anche nel Congresso del 2005, è stato a più riprese indicato, e non solo dai giornali, come uno dei pochi possibili successori di Fausto Bertinotti alla guida del Prc; ipotesi in seguito definitivamente tramontata. Dal 2005 è leader dell'area programmatica interna alla Cgil denominata Rete 28 aprile. Nel 2007 è stato (assieme a Marco Revelli, Gino Strada, Noam Chomsky, Ken Loach ed altri), tra i firmatari di un appello di solidarietà nei confronti del senatore di Rifondazione Franco Turigliatto, espulso dal suo partito per non aver votato il rifinanziamento alle missioni militari voluto dal Governo Prodi II.
“Il regime dei padroni” da Berlusconi a Marchionne vora e finanziato con i soldi pubblici, un terremoto che coinvolgerà tutto e tutti. Il libro snocciola fatti e cifre su cui Cremaschi basa una denuncia aperta e spietata: l'Italia, da Berlusconi a Marchionne, si sta tramutando in un vero e proprio regime dei padroni. Nella speranza di avere a Foligno presso la sede della redazione del nostro giornale l’autore già nel prossimo mese di marzo, pubblichiamo di seguito alcuni stralci del libro. La Fiat di Sergio Marchionne è la cartina tornasole dell'Italia del futuro. Giorgio Cremaschi, presidente del Comitato Centrale della Fiom, il più combattivo sindacato italiano, descrive lo snodarsi di una vicenda che sta segnando il paese col piglio ironico del grande narratore e con la passione di chi non è disposto a rinunciare a dire la verità in cambio di facili compromessi. Il caso Melfi, Pomigliano, lo spostamento delle linee produttive di Mirafiori in Serbia, le fabbriche in Polonia, Brasile e Usa. Un impero fatto sulla pelle di chi la-
“Tina: There Is No Alternative. Non c'è alcuna alternativa. L'acronimo della globalizzazione è questo. Il primo che l'ha adoperato nella polemica politica quotidiana è stato il primo ministro britannico, signora Margareth Thatcher, nelle sue guerre degli anni Ottanta contro i minatori e contro tutte le conquiste sociali del suo paese. Non c'è alternativa: le scelte del mercato hanno la stessa oggettività della natura, sono eventi naturali. Che poi l'ideologia della naturalità del mercato sia professata da parte di chi sta distruggendo gli equilibri del-
l'ambiente e della vita sul pianeta, è solo il segno che, chi pensa così, in realtà pone il mercato al di sopra di tutto. Per i fanatici del Tina il mercato è la prima natura. La natura vera, quella che ci circonda, viene dopo e può essere manipolata a piacere. L'aria, l'acqua, la terra e la vita possono essere sfruttate e devastate, perché gli unici limiti realmente intoccabili sono quelli del profitto. Il delirio d'onnipotenza che si manifesta dietro la sindrome del Tina è mal simulato dalla oggettività di cui si circonda. Evidentemente un potere che si legittima dando forza di natura alle proprie scelte, si sente insindacabile. Può essere solo rovesciato, come i sovrani assoluti francesi, che erano figure sacre, addirittura dotate di capacità taumaturgiche. Ai sovrani francesi l'autorità veniva direttamente da Dio; ai potenti della globalizzazione viene direttamente dal mercato. La svolta politica liberista dei governi ha così prodotto, come effetto collaterale, la distruzione del prodotto più tipico della cultura politica europea: il riformismo […] Con la crisi le caste dominanti e il sistema di potere della globalizzazione hanno irrigidito tutte le proprie posizioni e ridotto ai minimi termini la disponibilità alla media-
zione. Come i sovrani assoluti e la nobiltà precedenti alla rivoluzione francese, chi comanda oggi vuole conservare tutto il suo potere e non è disponibile ad alcun reale cambiamento. Oppure, in Italia, quel potere è capace di comportarsi come il nipote del principe di Lampedusa nel romanzo Il Gattopardo. Quel nobile allo sbarco dei garibaldini in Sicilia nel 1860, decise di arruolarsi con loro. E a suo zio, che rivendicava la fedeltà di famiglia ai Borboni, spiegava: «Deve cambiare tutto perché non cambi niente». Per questo solo grandi movimenti sociali e solo grandi conflitti possono cambiare le cose. I riformisti di una volta sapevano che la lotta di classe era necessaria per avere le riforme. Essi usavano perfino strumentalmente la minaccia dell'impossibile, per ottenere i risultati immediati. In una società dove la mediazione sociale è stata cancellata e tutte le rigidità del potere si scaricano sul lavoro e sui poveri, la ripresa del progresso sociale e civile può essere guidata solo da una cultura conflittuale diversa dal riformismo attuale. Anche per ottenere piccoli cambiamenti bisogna costruire conflitti che rompono le compatibilità del potere, bisogna mettere in discussione alla radice i principi del Tina.”
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dalla Città e dal Mondo
PM10: un rischio reale La riduzione del traffico è opportunità LUISITO SDEI Sono diversi i tipi d'inquinanti monitorati costantemente per la qualità dell'aria: in questo periodo anticiclonico invernale i maggiori problemi derivano dal cosiddetto PM10 (il particolato sospeso, definito anche come polveri sottili). Di cosa si tratta? Il PM10 è caratterizzato da varie specie di particelle aerodisperse: polveri, pollini, materiali inorganici e, nelle aree urbane, il materiale particolato è più variegato perché comprende i residui delle lavorazioni industriali, dell'usura dell'asfalto e dei materiali delle automobili, con particolare rilievo soprattutto alle emissioni di scarico, in particolare quelli dotati di motore diesel. Gli ultimi riferimenti normativi stabiliscono dei valori limite per la protezione della salute umana, in quanto si rischiano danni soprattutto alle prime vie aeree respiratorie. La media giornaliera delle concentrazioni di PM10 non deve superare il valore di 50 g/m3 per più di 35 volte per anno civile. La media annuale delle concentrazioni di PM10 non deve superare il valore di 40 g/m3. In coincidenza con l’arrivo di una consistente e duratura area di alte pressioni, nel corso di tutto il primo bimestre del 2011 i valori registrati dalla centralina ARPA di Porta Romana hanno molte volte superato i valori ammessi dalla normativa, costringendo l’Amministrazione Comunale ad adottare misure limitative del traffico au-
tomobilistico. Da molti anni a questa parte, le precipitazioni stanno diventando, oltre che più scarse, anche maggiormente concentrate in pochi giorni all’anno. Aumentano i periodi di alta pressione,e quindi anche i rischi di inquinamento. Secondo il CNR, la prevalenza di venti secchi e l’aumento delle temperature stanno provocando un forte aumento dell’evapotraspirazione dei suoli, con diffusione delle polveri nell’aria. Ma non è solo il clima, non sono solo le automobili a rappresentare un problema. Secondo una recente ricerca tedesca, diffusa dalla rivista Altroconsumo, il 59% dell’inquinamento atmosferico da polveri sottili nei mesi invernali, nelle aree residenziali in cui è frequente la presenza di questi sistemi di riscaldamento (come la nostra), è causato dall’uso di caminetti e stufe. Se pensiamo, inoltre, che, al di là della forte e meritoria attenzione mediatica concentratasi su questo tema, in realtà negli ultimi 25 anni, secondo l’ARPA Lombardia, i PM10 non hanno fatto altro che calare, occorre forse sviluppare un altro approccio al problema della limitazione del traffico; fermo restando che le misure di emergenza adottate sono doverose ed inevitabili. Come sta avvenendo nel settore energetico, le limitazioni al traffico dovrebbero in-
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“Se non ora, Quando?” Milioni di donne e uomini il 13 febbraio si sono riuniti in Italia e nel mondo per dire “Ora basta!” Le iniziative a Perugia e Foligno GIOIETTA VOLPI
nanzitutto uscire dall’ambito ristretto, spesso inutile, dei centri storici, e ispirare una filosofia di organizzazione della mobilità, di diffusione dei servizi, completamente diversa. Ridurre l’inquinamento dovrebbe rappresentare un’opportunità, non un limite. Avere un ufficio o un negozio in un’area in cui si respira meglio deve rappresentare un vantaggio per chi ci lavora ed un motivo di scelta per il cliente. Respirare meglio è un bene, non un male. Riqualificazione energetica degli edifici con una forte campagna di informazione sul solare fotovoltaico, creazione di zone artigianali e commerciali qualificate ed omogenee in strade senza traffico veicolare, accordi di programma con tutti i soggetti interessati per favorire l’informazione e l’accesso a mezzi di trasporto meno inquinanti (acquistare un’auto nuova euro4 è spesso più conveniente che effettuare 5 anni di manutenzione ad un’auto Euro 0, basta saperlo) sono solo alcuni dei tanti titoli possibili dei capitoli di una storia, da cominciare a scrivere fin da domattina.
FOLIGNO
Per rilanciare la richiesta di pari opportunità, di giustizia sociale e di maggiore rappresentanza tante donne e tanti uomini domenica 13 Febbraio sono scesi nelle piazze italiane per dire “ora basta”! “Le poche radical-chic” della Gelmini, in realtà circa un milione di persone a Roma, due milioni in tutta Italia hanno aderito alla manifestazione per la dignità delle donne, per la disobbedienza alla dittatura del machismo. Le manifestazioni sono promosse da un Comitato nato con l’appello “Se non ora quando?”: è giunta l’ora per tutti di rifiutare un modello di relazioni tra i generi che degrada le donne a oggetto di consumo. La Federazione della Sinistra ha aderito alla manifestazione del 13 febbraio, ed anche a Perugia, come in molte altri parti d’Italia, si è formato un comitato di donne composto da attiviste di partito, rappresentanti di associazioni, singole cittadine, studentesse che, per pro-
muovere la manifestazione del 13, hanno deciso di dare luogo ad un presidio che si è svolto nel pomeriggio di sabato 12 febbraio, a partire dalle 17, in Piazza della Repubblica a Foligno.“Sentiamo necessaria una mobilitazione contro Berlusconi e la sua politica” spiegano le organizzatrici “ e come comuniste poniamo al centro della no-
stra denuncia il pericolo di un ritorno al patriarcato, che considera le donne solo come corpi da godere, e il peggioramento delle condizioni materiali delle donne stesse. Basti citare da un lato la violenza sulle donne e dall’altro le conseguenze della recente crisi economica.” A Foligno i manifestanti si sono ritrovati in Piazza, hanno indossato delle maschere, distribuito vo-
lantini, hanno poi formato un corteo che si è diretto verso Corso Cavour. Il gruppo si è poi fermato a metà Corso, tutti si sono tolti le maschere, a significare “non vogliamo essere invisibili, riprendiamoci la dignità” poi sono seguite delle letture, tra cui una poesia di Hilkmet e l'art. 3 della Costituzione. Il giorno dopo la protesta si è spostata a Perugia, ed ha assunto dimensioni non prevedibili: sono arrivate centinaia e centinaia di donne di ogni età, e di ogni condizione, ma anche tanti uomini ed intere famiglie, con cartelli e striscioni. Poco dopo l'inizio della manifestazione, che doveva essere un semplice presidio in Piazza della Repubblica, la piazza non bastava più a contenere la grande quantità di gente. E' partito allora un lungo serpentone verso Piazza IV Novembre. Si parla di circa 1500 persone in piazza. Tante, per una città di solito "pigra" come Perugia. Speriamo che questo, come dicono le organizzatrici, sia solo l’inizio.
Peròn: il ritorno e la fine oscura di un dittatore (parte quarta) OSVALDO GUALTIERI Le parti precedenti sono state pubblicate nei numeri di dicembre 2010, gennaio e febbraio 2011, nonchè sul sito internet )Il rientro di Peròn in Argentina viene preparato con una fitta serie di contatti in parte segreti e altri non segreti da parte di diversi settori e personaggi per “farsi avanti”, come la peregrinazione a Puerta del Sol di sindacalisti peronisti, alcuni artisti e personaggi di moda, alcuni pochi intellettuali, personaggi sconosciuti che si candidavano a ricoprire qualche posto nel suo prossimo governo e anche dei Montoneros, credendo questi che sarebbero stati gli interlocutori preferiti di Peròn al suo rientro in Argentina. Poveri ingenui: hanno sbagliato di grosso e successivamente hanno pagato questo sbaglio con l’eliminazione fisica di quasi tutti i loro militanti. Però anche su questo ormai c’è una ampissima documentazione e non è il tema di questo articolo. A questo punto, fatti gli accordi
con i militari al potere per andare alle elezioni, Peròn nomina come suo rappresentante e candidato del peronismo a Hector Càmpora, un onesto dentista fino a quel momento sconosciuto. Càmpora, come previsto, vince facilmente le elezioni organizzate appositamente dai militari per preparate il rientro di Peròn. Governa solo 49 giorni e si dimette per convocare a nuove elezioni. Questa volta il peronismo si presenta con la formula Peròn-Peròn, ossia con Peròn come candidato alla presidenza e sua moglie Isabel Martinez di Peròn, candidata a vicepresidente, cosa che non era riuscita con Evita. Vince facilmente e da lì in poi non rimane altro che organizzare il suo trionfale rientro in Argentina. Per il suo viaggio di rientro da Buenos Aires sono partiti due aerei. Uno occupato da lui, sua moglie e i più stretti personaggi “che contano” (nessun Montonero né niente del genere). Nell’altro sono partiti per “riaccompagnarlo” due centinaia di artisti e persone dello spettacolo, sindacalisti, sportivi famosi, ecc. Un show! Il loro arrivo era previsto nell’ae-
roporto di Ezeiza e da lì, appena sceso dall’aereo, avrebbe fatto un discorso davanti a due milioni di suoi fanatici sostenitori. “Avrebbe” perché le cose non sono andate come previsto. Prima che lui arrivasse era rientrato Lopez Rega il quale era incaricato di organizzare il ricevimento. A modo suo l’ha organizzato molto bene, insieme a una banda di personaggi fascisti, squadristi e della peggiore specie. Hanno montato un vero e proprio operativo militare impossessandosi del palco e della prima linea davanti a questo, distribuendo gente fortemente armata in tutti i settori strategici. All’arrivo delle colonne dei Montoneros e altri organismi di base peronista, per impedire che questi avanzassero e prendessero posto davanti il palco per mostrare la loro forza e cercare di condizionare Peròn, questi assassini hanno iniziato a sparare in modo indiscriminato sulla folla ammazzando oltre 300 persone. Del numero esatto di morti ammazzati e dei dettagli di questo vero e proprio agguato criminale non si è mai saputo più niente. E’ rimasto
nella storia come “la masacre de Ezeiza”. A quel punto l’aereo di Peròn, data la situazione che si era creata a Ezeiza, scende nell’aeroporto di Aeroparque. Niente discorsi, niente bagni di folla e nessun riferimento al massacro: tutti a casa. Bentornato Peròn! Vinte le elezioni, Peròn e sua moglie iniziano a governare prendendo subito delle misure impopolari e lontane dalle aspettative della base peronista che aveva creduto che il suo rientro sarebbe stato l’inizio di un periodo di taglio progressista. Ma che! Chi era la vera mente del regime era Lopez Rega, nominato Ministro di Benessere Sociale. Dietro le quinte, oltre a rubare, questo esecrabile personaggio ha anche immediatamente provveduto a organizzare le famigerate tre AAA (Alianza Anticomunista Argentina) un gruppo di assassini para militari organizzati con il compito di reprimere e fare scomparire gli oppositori al regime. Ossia, è stato il primo a organizzare la metodologia di sequestro, tortura e sparizione degli oppositori che successivamente è costata agli argentini oltre
Peròn e Isabelita 30.000 scomparsi e 16.000 ufficialmente morti ammazzati. Il rientro di Peròn all’inizio è stato accompagnato da una buona dose di speranze, però subito s’è dimostrato un fallimento. Il suo ultimo discorso pubblico è stato davanti a circa 60.000 persone mentre nei anni di popolarità era abituato a parlare davanti una folla di milioni di fanatici. Di queste 60.000 persone, circa 40.000 erano Montoneros (che nel frattempo avevano commesso quello che successivamente s’è dimostrato il tragico errore di passare alla legalità e aprire il loro apparato clandestino). Appena iniziato il discorso Peròn, incalzato dalle richieste di questi, ha iniziato
a insultarli chiamandoli mascalzoni, imbecilli e cose del genere. A quel punto questi 40.000 militanti si sono allontanati gridando lo slogan “fuimos unos boludos: votamos una muerta, una puta y un guampudo” (siamo stati dei stupidi: abbiamo votato una morta, una puttana e un cornuto). Più chiaro di quello... Peròn muore il 1 luglio del 1974 nella quasi totale indifferenza e senza che il popolo lo piangesse, lasciando la sua quasi analfabeta moglie come Presidentessa sottomessa al commando del “brujo” e un paese allo sbando in mano a una banda di criminali e ladri piduisti. Il seguito è un’altra storia.
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Ex ospedale: Il primo Piano Regolatore Generale al via i lavori di della Città di Foligno ristrutturazione della Croce Storica ALFIERO MORETTI
LORENZO BATTISTI Con il rilascio del permesso di costruire da parte del Comune di Foligno, sono iniziati anche i lavori di ristrutturazione della Croce Storica dell’ex Ospedale San Giovanni Battista. Già le demolizioni avevano restituito l’originaria planimetria, separandola dalla parte costruita successivamente e eliminandone il terzo piano, aggiunto nel dopoguerra per fare spazio al reparto di ortopedia. La sede storica, pertanto, tornerà al suo volto originario in tutto e per tutto. Le operazioni di restauro dovrebbero terminare entro il mese di ottobre 2012, con la consegna dei locali del piano primo e secondo ad un istituto di riabilitazione, le cui camere attrezzate andranno ad ospitare tutte quelle persone che necessitano di una costate e assidua assistenza. Nel centro medico specialistico privato troveranno lavoro oltre ottanta persone che, unite ai familiari in visita ai degenti, permetteranno certamente di ridare vita all’area e alle sue attività commerciali. Sono estranei a tali interventi di ristrutturazione i lavori che riguarderanno anche l’altra parte del vecchio ospedale, quella che si apre a ventaglio tra Via Corso Nuovo e Via Gentile da Foligno. Si tratta di un intervento molto importante, basato su
progetti che prevedono la realizzazione di manufatti di pregio dal punto di vista architettonico che dovranno poi essere i nuovi propulsori dello sviluppo economico dell’area. A questo punto sono necessarie due considerazioni: sarebbe di grande interesse per lo sviluppo dell’area che anche importanti enti pubblici tornassero nel centro storico per occupare tali spazi, in modo da garantire un’intensa circolazione, sia di lavoratori che di utenti, per restituire, da subito, energia al luogo. A tal proposito, la parte del piano terra della Croce storica, anche con destinazione socio – sanitaria, potrebbe essere a loro destinata. Nella parte che invece sarà ricostruita, con la realizzazione di uffici, locali commerciali e abitazioni private, si spera che lo spazio sia finalmente continuamente “vissuto”, con la realizzazione di quel ponte ideale tra il centro storico e l’area dell’ex zuccherificio, così da rivitalizzare anche tutte quelle vie minori circostanti. Non resta che confidare, quindi, nella celerità dei tempi di smaltimento delle pratiche urbanistiche, tenendo sempre a mente la situazione disastrosa che invece sta vivendo l’ex ospedale di Perugia, dove, dopo tanti proclami, tutto si è fermato, lasciando l’intero quartiere di Monteluce in agonia.
Il 3 febbraio 2011 l’Amministrazione Comunale ha intitolato una sala del Palazzo Comunale a Italo Fittaioli, Sindaco della città di Foligno dal 1946 al 1962. Durante il suo mandato amministrativo la città si è dotata del primo Piano Regolatore. Un tentativo era stato effettuato anche nei decenni precedenti: infatti il 21 dicembre 1927 l’amministrazione podestarile affidò a Cesare Bazzani, figura eminente nell’ambito dell’architettura razionalista del tempo, nell’Italia Centrale, la redazione del Piano Regolatore della città e del suburbio. Il Piano del Bazzani, con sventramenti e innovazioni all’interno della città, creazione di grandi arterie urbane e suburbane, sistemazione dei principali edifici pubblici esistenti e di quelli che potevano in seguito essere costruiti, con la salvaguardia di tutto ciò che era caratteristico ed artisticamente interessante costituisce il primo tentativo di pensare una città moderna e razionale. Il Piano Regolatore del Bazzani finisce in mostra alla prima Esposizione italiana dell’abitazione e dei piani regolatori che si tiene a Roma nel settembre del 1929. Rimane però una esercitazione accademica in quanto fu inoltrato nel 1929 al Genio Civile sen-
za ottenere alcuna approvazione formale. Durante la seconda guerra mondiale Foligno subì innumerevoli bombardamenti che danneggiarono circa il 40% della struttura edilizia della città. Dopo la guerra l’unico strumento urbanistico per regolare le nuove costruzioni fu il regolamento varato dal podestà Sorbi il 1 gennaio 1938, assolutamente
ne del centro antico, fortemente danneggiato dai bombardamenti, fu eseguita ricorrendo al Piano di Ricostruzione, redatto ai sensi della Legge 1402 del 1951, approvato nel 1952. Anche in questo caso il ricorso al Piano di Ricostruzione ebbe ripercussioni fortemente negative in quanto prevedeva la riedificazione dei volumi distrut-
inadeguato per far fronte alla forte domanda di nuove abitazioni che si sviluppò in quegli anni. Gli effetti negativi non tardarono a manifestarsi in quanto, in assenza di un piano regolatore, l’espansione in pochissimi anni investì radialmente tutte le zone periferiche della città, seguendo i tracciati stradali esistenti, sviluppo tipico, in quel periodo, di molte città italiane, in assenza di servizi e delle necessarie opere di urbanizzazione. La ricostruzio-
ti dalla guerra senza tener conto del contesto architettonico circostante. Nel marzo 1955, secondo quanto disposto dalla Legge 1150 del 1942, con Decreto n° 3731, la città di Foligno fu inclusa nell’elenco dei comuni obbligati a redigere il Piano Regolatore Generale. Il Sindaco Fittaioli, consapevole della inadeguatezza degli strumenti a disposizione del Comune per regolare lo sviluppo edilizio, si impegnò immediatamente per dar corso al nuovo pia-
Centro di chirurgia del piede e della caviglia dell’ospedale di Foligno Intervista al dott. Stefano Ferranti
Il Centro Specialistico di Chirurgia del Piede e della Caviglia, che opera da oltre tredici anni presso l’Unità Organica di Ortopedia e Traumatologia dell‘Ospedale di Foligno, è diretto con professionalità e passione dal Dr. Stefano Ferranti, che oggi abbiamo incontrato per trarre un bilancio delle attività svolte, conoscere le funzioni del Centro e soprattutto avere indicazioni sulle prospettive future e sulle aspettative del cittadino affetto da determinate patologie di sua competen-
za. Il Dr. Ferranti innanzitutto tiene a sottolineare che il Centro copre un bacino di utenza molto elevato e sopporta un ritmo di lavoro veramente soddisfacente, sia per il flusso costante ed ininterrotto di visite ambulatoriali che per l’attività in sala operatoria, ma che ogni merito di tale attività va riconosciuto ad una équipe di personale medico e paramedico altamente qualificata , alla quale va la sua personale riconoscenza e ringraziamento. Dr. Ferranti ci può fornire qualche dato sull’attività del Centro? Presso il Centro affluiscono ogni anno circa 800/900 pazienti per visite ambulatoriali specialistiche e ad oggi sono stati eseguiti circa 7000 interventi chirurgici, molti dei quali con tecniche mininvasive, oggi all’avanguardia per numerose patologie del piede. In futuro è nostra intenzione studiare ulteriori metodi sempre più semplici per risolvere i numerosi problemi che affliggono la popolazione nella sfera delle patologie del piede e della
caviglia, limitando al massimo i tempi di degenza e le sofferenze del paziente. Tutti i Sanitari dell’Unità Ortopedica, cui il Centro afferisce, partecipano sempre attivamente a Corsi di aggiornamento, ed ogni due anni vengono organizzati meeting di alto livello scientifico, cui partecipano sempre numerosi colleghi Italiani e Stranieri . Quali sono le principali patologie del piede che colpiscono la nostra popolazione? L’alluce valgo ed il dito a martello, per citare alcune tra le più conosciute patologie del piede, particolarmente diffuse tra la popolazione, specie femminile, costituiscono da sempre un vero problema sia estetico che funzionale poiché spesso notevolmente invalidanti e, fino ad oggi, trattabili solamente con il classico intervento chirurgico, fastidioso e spesso proprio per questo evitato dai più. Le forme patologiche che possono colpire il piede sono comunque varie e le cause le più svariate: oltre alle già citate patologie
ricordiamo anche il piede diabetico, le varie affezioni artrosi che, sindrome di Civinini-Morton, sindrome del seno del tarso, tallodinia, ecc. Alcune di queste patologie sono presenti fin dalla nascita, altre insorgono per una serie di circostanze spesso sconosciute e di abitudini di vita forse sbagliate; fatto sta che le patologie del piede sono ancora oggi notevolmente frequenti tra la popolazione, soprattutto tra i giovani ed in particolare tra le donne. Per quel che riguarda la terapia di queste affezioni, spesso si può ricorrere a sistemi fisici, come l’apposizione di plantari o strumenti correttivi vari, ma tali rimedi sono per lo più efficaci quando si è in fase molto iniziale, per bloccare successivi processi degenerativi, ma difficilmente si può avere una “restitutio ad integrum” sia funzionale che anatomica se non si ricorre alla mano del chirurgo . In cosa consiste un intervento al piede e quali risultati ci si può attendere? In passato gli interventi al piede presupponevano tutti i
vari passaggi della chirurgia classica, e cioè ricovero, anestesia, intervento, apposizione di vari apparecchi, riabilitazione ecc., oggi si può anche ricorrere a metodiche mininvasive che permettono di risolvere il problema nel giro di pochi minuti, praticando soltanto delle piccole incisioni ed operando con mini frese al alta velocità, e che soprattutto consentono al paziente di tornare subito a casa con le proprie gambe. Comunque occorre sempre estrema cautela nell’impiego di nuove tecniche e tecnologie in quanto è ben vero che tutta la chirurgia, e non solo quella del piede, ha fatto notevoli progressi in termini di semplificazione di certe metodiche, sempre a vantaggio del benessere del paziente, che deve soffrire sempre meno e ottenere risultati sempre più soddisfacenti, ma i progressi si fanno nel tempo, con la pratica e l’esperienza, per cui spetta sempre al Chirurgo, dopo aver studiato attentamente ogni singolo caso, decidere e consigliare il tipo di intervento. Ricordiamo comunque che tutti gli interventi, sia quelli classici che quelli mininvasivi vengono eseguiti in regime di assistenza del Servizio Sanitario Nazionale, e quindi il paziente non spende niente, ma è interessante notare che an-
no regolatore. Con deliberazione del Consiglio Comunale del 9.08.1957 fu affidato l’incarico per la redazione del nuovo P.R.G. agli architetti Valenti e Castelli di Roma. Il Piano fu redatto negli anni ’58 e ’59 e consegnato al Comune nel gennaio del 1960. Il Consiglio Comunale, dopo quattro sedute, adottò il P.R.G. il 25.06.1960, ottenuto il visto della GTA, il piano venne esposto al pubblico il 3.09.1960 e nei sessanta giorni successivi pervennero 119 osservazioni ed opposizioni da parte dei privati. L’esame degli atti di osservazioni, da parte dei progettisti prima e delle varie commissioni consiliari poi, si protrasse per tutto il 1961. Il Consiglio Comunale approvò le controdeduzioni alle osservazioni il 10.02. 1962.Terminato questo gravoso compito il Sindaco Italo Fittaioli, a causa delle sue condizioni salute, si dimise dopo sedici anni di guida dell’Amministrazione comunale, avendo dato un significativo contributo per assicurare un ordinato sviluppo urbanistico della città. Il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici esaminò il PRG di Foligno il 18.10.1963 ed il Piano fu definitivamente approvato con D.P.R. del 6.08.1964 e venne pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 25.11.1964.
che la stessa struttura gode in questi casi di notevoli risparmi economici, di tempo e di mancata degenza postoperatoria: in pratica utilizzando queste nuove metodiche il paziente può risolvere il proprio problema in breve tempo e senza dolore e la stessa Sanità Pubblica usufruisce dei benefici sopra ricordati. Con l’adozione di questa nuova metodica il Centro diretto dal Dr. Ferranti e che si avvale di personale sanitario altamente specializzato si pone pertanto all’avanguardia nel settore Ortopedico dando lustro all’Ospedale di Foligno, che assurge a livelli sempre più importanti e qualificanti per la nostra Regione. Il Dr. Ferranti conclude dichiarando la sua completa disponibilità a ricevere chiunque voglia ulteriori chiarimenti o delucidazioni sul metodo ed amichevolmente consigliare qualsiasi paziente sull’affidabilità dello stesso. Ringraziamo il Dr. Ferranti per la sua disponibilità e soprattutto per il suo attaccamento alla professione che esercita nell’esclusivo interesse dei pazienti, che per un medico devono costituire non solo un patrimonio economico, ma degli amici da poter consigliare ed aiutare nei vari bisogni della vita.
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Cultura/e
MARIA SARA MIRTI
I comunisti non sono uomini straordinari. Chiunque combatta con devozione per emancipare gli uomini da tutte le forme di sfruttamento e di oppressione e per garantire una vita felice al popolo intero, può divenire comunista. A maggior ragione, in una società in cui il popolo è padrone del paese e della società, non è così difficile diventare comunisti. Molti considerano l’educazione comunista come qualche cosa di misterioso e, nel passato, la si credeva praticamente impossibile. Ma essendoci cimentati nei fatti con tali problemi e intrapreso praticamente e attivamente questo lavoro, ci siamo resi conto che l’educazione comunista non ha nulla di misterioso. Noi abbiamo già ottenuto dei grandi successi in questo campo e accumulato ricche esperienze. Secondo la nostra esperienza, la cosa più importante nell’educazione comunista dei giovani e dei ragazzi è coltivare in loro l’amore per il popolo, i compagni, l’organizzazione e la collettività. Nella società capitalistica gli individui sono in lotta continua tra di loro, si combattano per ostacolare l’avversario allo scopo di condurre da soli una vita di abbondanza, ma nella società comunista, tutti possono avere una vita agiata. Se noi costruiamo il comunismo non è perché qualche individuo possa condurre una vita nella opulenza, ma perché tutti lavorino e possano gioire di una vita felice. Nella società comunista, la gente ha interessi e scopi comuni e allacciano tra loro rapporti di cameratismo. Nella società comunista tutti costituiscono una grande famiglia armoniosa e coerente, unita e che divide gioie e pene sotto lo slogan “Uno per tutti, tutti per uno”. In questa società non c’è posto per l’egoismo che persegue soltanto il soddisfacimento e la gloria individuali. Con questo spirito egoista non si può costruire una società comunista né vivere nel suo seno. Per diventare comunisti occorre sbarazzarsi dell’egoismo e sapere amare l’uomo. Occorre amare i propri fratelli e i propri genitori a casa, amare i maestri e i compagni a scuola e, entrando nella società, occorre sapere amare tutti i lavoratori. Noi dobbiamo educare la nostra giovane generazione in modo che essa prenda questa abitudine sin dall’infanzia. Solo colui che sa amare gli altri può gioire dell’amore altrui e condurre una vita armoniosa nella collettività. Kim il Sung, 25 aprile 1961
<<Roma è bellissima, somiglia a te: Roma somiglia a te>>; le parole di una signora al telefono rompono l’aria rarefatta della sera, e la sera, da parte sua, sobbalza insieme al treno, come presa da un eccesso di singhiozzo. A dire il vero non riesco a immaginare le fattezze o il carattere di una persona capace d’incarnare da sola l’intera Capitale dalla quale sto tornando, tuttavia non posso fare a meno di credere sulla parola alla signora in questione…sono sicura del fatto che una persona bella tanto quanto Roma da qualche parte debba pur esistere, o altrettanto saggia, e il pensare che magari ne esistano più d’una rende un po’ felice anche me. Tutta la bellezza del mondo non può entrare per intero dentro la spaziosa Roma, ma dentro una persona per fortuna si. Gli esseri umani sono assimilabili a delle scatole magiche d’incredibile fattura: visti da fuori hanno degli spazi ben definiti, eppure non esiste nulla di abbastanza grande da non poter essere “messo in salvo” al loro interno. Tutto ciò che è stato e che non è stato può essere racchiuso in un pugno della stessa grandezza di un cuore. È come se le persone di va-
lore, passando in modo solo apparentemente casuale, lasciassero dietro di loro un’infinità di gesti, di volontà, di nostalgie, di respiri, che si separano dal corpo come fiori recisi e che restano lungo la strada percorsa, trasformandosi poi in sospiri di sollievo quando un dettaglio ci sorprende, quando una notizia di bellezza ci sfiora. Tutto quello che custodiamo dentro si riversa su una superficie più ampia, diradandosi senza mai disperdersi. La persona a cui mi capita di pensare più spesso invece somiglia a un bouquet di rose rosse. Le rose sono fatte di una gentilezza acuta e autoironica e il rosso incarna al meglio il colore vivo di tutto ciò che lei amava. Con quelle rose si potrebbero ancora costruire sogni imponenti come dei monumenti romani, anche se molto più leggeri. “Costruire, edificare implica necessariamente un sacrificio: ‘I bambini giocano spontaneamente coi mattoncini o le scatole di fiammiferi, con le tessere del domino o i cartoni, costruiscono gli edifici più alti che possono. E se li osservassimo di nascosto li sorprenderemmo a sistemare sulla pietra più alta un fiore che hanno raccolto, un ramoscello o quello che ritengono più significativo: un oggetto, insomma, a cui tengono o che ha per loro un significato specia-
A steak house ordinary story Non so se conosce la storia di quel tale, Rudolph Bachmann. Era un macellaio. Un discreto macellaio per essere stato prigioniero in un campo di concentramento nazista. In verità aveva vinto anche diversi premi; infatti incorniciata alla parete antistante il bancone della sua macelleria, era affissa una targa dorata che recitava “Filetto d’oro o Premio Nobel del filetto” non ricordo bene. Era un tizio piuttosto felice nonostante quella terribile esperienza nei campi di concentramento di cui raccontava in maniera disinvolta e distaccata, probabilmente perché all’epoca dei fatti aveva solamente sei anni. Cinquanta anni dopo ne aveva un ricordo sfocato, lontano. Dopo la chiusura della macelleria, come tutte le sere, si trattenne nel retrobottega a scotennare un maiale. Poi alle nove e mezza spaccate, come di consueto, se ne tornava a casa controllando, prima d’entrarvi, il contenuto della cassetta posta. Aveva ricevuto un telegramma in cui sua cugina di quinto grado gli scriveva che suo padre era morto improvvisamente. Il funerale si sarebbe svolto il giorno tal dei tali e lei avrebbe avuto piacere che Rudolph Bachmann fosse stato presente. Rudolph Bachmann aveva visto questo zio solamente una volta, nel 1956. Al contrario, sua cugina un paio di volte in una foto in cui lei appariva fuori fuoco. La florida attività macellatoria di Rudolph Bachmann non poteva
permettersi delle pause, perciò declinò l’invito a partecipare. Questo lutto non lo toccò affatto, se ne dispiacque in uno stile istituzionale, solennemente passeggero. La sera appresso dopo aver chiuso la serranda della macelleria e aver scotennato un maiale, incontrò l’allegra signorina Lovecraft, una vispa donnina sulla settantina, vedova di sei mariti, che aveva saputo della morte improvvisa del vecchio zio di Rudolph Bachmann. Quest’ultimo rimase molto sorpreso quando la signorina Lovecraft disse di essere stata la prima moglie del suo defunto zio. La signorina Lovecraft confidò a Rudolph le dinamiche della morte dello sventurato “è morto poco dopo essersi addormentato… così nel sonno, come se lei adesso si coricasse e non si risvegliasse più!”. Rudolph Bachmann si sentì mancare il fiato e d’improvviso vomitò una porzione di gulasch addosso alla signorina Lovecraft, che con spirito da simpatica vecchina lo soccorse senza lamentarsi del vestito macchiato. Addirittura lo invitò poi a prendere una tazza di tè da lei, assicurandogli che si sarebbe sentito meglio. Rudolph Bachmann, in uno stato di shock, accettò con un filo di voce. Una volta giunti nel salotto della signorina Lovecraft, bevvero del buon tè inglese. La signorina Lovecraft per tranquillizzare il nostro uomo mise sul piatto del suo
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Sollievo
L’educazione comunista
CARLO TRAMPETTI
FOLIGNO
giradischi un Carmina Burana, sottofondo alla lettura che eseguì delle sue ricevute fiscali degli ultimi cinque anni. Rudolph Bachmann, relativamente tranquillizzato, se ne tornò a casa, scusandosi dell’accaduto. Non aveva alcuna intenzione di mettersi a dormire, soltanto l’idea di chiudere gli occhi lo faceva sprofondare in un terrore
incontrollabile, gli provocava una strana nausea che sfociava in una serie di conati di vomito. Si trovava faccia a faccia con l’incubo della morte. Quella stessa notte si vestì di tutto punto e se ne andò nella sua macelleria a scotennare maiali, portandosi così avanti con il lavoro. Ingannò incubi e sonnolenza scotennando per tre notti carne, carne e ancora car-
ne, finché non ci fu più nulla da scotennare. Cominciò ad assumere degli eccitanti. La sua clientela, che fino ad allora lo aveva considerato un tipo affabile e bonaccione, dichiarò che in una settimana Rudolph Bachmann era molto cambiato. Agitato, stanco e dimagrito. Qui mi sovviene la testimonianza della signorina Lovecraft, sua abituale cliente; affermò che Rudolph Bachmann gli servì dei genitali di maiale crudi invece che cento grammi di prosciutto cotto. Ormai la paura della morte lo stava uccidendo. La notte se ne stava chiuso nella sua macelleria a fissare con occhio vitreo la sua ragione di vita: la carne. Capitava che si addormentasse per qualche ora, ma poi si risvegliava di colpo in preda al panico e se ne andava al bagno a vomitare. Un giorno prese il telefono e chiamò quella sua cugina, introducendo la discussione con delle scuse patetiche a ragione della sua assenza alle esequie, per poi chiedere in maniera impacciata se lo zio avesse avuto dei sintomi che avessero potuto far pensare a una morte nel sonno. La risposta negativa lo fece sprofondare ancora di più nella disperazione. Non poteva dormire. Era da incoscienti dormire. Tanto più quando scoprì che il suo vecchio zio era più anziano di lui di soli nove anni. La sua unica salvezza era la carne, la sua unica cer-
le. Ossia stanno facendo un sacrificio alla nuova costruzione.’ (Democrazia e persona, p. 96)” [L. Boella, Maria Zambrano. Dalla storia tragica alla storia etica. Autobiografia, confessione, sapere dell’anima, pp. 80 - 81, CUEM, Milano, 2001] Gli ideali, i sentimenti, come “sepolti viventi” ci guardano e sorridono dei nostri sacrifici alla storia: a chi custodisce il soffio della poesia, dell’impegno o dell’intuizione, non servono né contorni né difese architettoniche. Infatti da quando la persona a cui penso non c’è più, mi pare di veder crescere rose rosse in ogni stagione, e di vedere mutare in rosa ogni sprazzo di umanità. Si dice che non si possa cavare il sangue da una rapa, certo, così come, fuor di metafora, non si possono veder sanguinare i cuori, che invece, all’apparenza, si limita-
no a fiorire o a sfiorire proprio come le rose. Eppure poco tempo fa mi sono imbattuta in una rapa sanguinante, una rapa rossa, incisa a forma di rosa. In realtà c’erano insieme tante cose: piccoli draghi magici, pesci d’oro, rose bianche e rosse; oggetti usciti, minuti e perfetti, dalle mani “sanguinanti” di un mendicante-artigiano di origine asiatica che sembrava strapparle via direttamente dal petto di una terra cementificata. Per un momento ho pensato di averne riconosciuto il sorriso, o forse, quel giorno Roma somigliava solamente a lei. Scendendo, la signora, ancora al telefono, si è appoggiata a me per resistere al contraccolpo della frenata. Che non abbia ascoltato i miei pensieri come io ho ascoltato i suoi? Intanto il treno tirava, così mi è sembrato, un lungo sospiro di sollievo.
tezza, era la carne. Quando all’inizio del mese, arrivò un nuovo carico di carne Rudolph Bachmann sembrò leggermente rinsavire. Riuscì perfino a dormire qualche ora. A quanto afferma la signorina Lovecraft, sua cliente abituale, Rudolph Bachmann si era rimesso e non solo non le aveva vomitato addosso, ma le aveva venduto ciò che lei aveva chiesto, dandole anche in omaggio cinque paia di genitali suini, che la signorina Lovecraft tanto aveva gradito la settimana precedente. La situazione precipitò inaspettatamente la settimana successiva. La macelleria rimase chiusa per quattro giorni consecutivi, un fatto impensabile se si considera la professionalità e la dedizione al lavoro di Rudolph Bachmann. Una mattina presto un ragazzotto che ogni sabato lo aiutava a disossare enormi quarti di bue, lo ritrovò nella cella frigorifera della macelleria. Morto assiderato. Abbracciato a un quarto di maiale. Una tanica di benzina e una scatola di fiammiferi accanto al suo cadavere. Questo è uno dei casi più interessanti di rimozione che siano giunti alle mie orecchie di psicoterapeuta. I ricordi infantili del soggetto circa il suo tragico vissuto nei campi nazisti erano stati segregati nell’inconscio, erano stati rifiutati dall’Io di Rudolph Bachmann, fino a un evento che, in modo sconvolgente, ha favorito la discesa, o forse meglio dire la valanga, di quell’atroce vissuto nella valle incantata della sua coscienza, sotto forma di una spasmodica paura della morte. La meccanica del decesso di quel lontano parente ha creato nel soggetto uno squarcio all’interno delle pareti del suo inconscio. Un collasso del suo universo psichico.
Un blackout di quella pantomima psichica che tanto ingegnosamente, quanto inconsapevolmente era andata in onda fino ad allora, nella sua mente. Da queste considerazioni si spiega il rapporto del soggetto con la carne, la scelta di quel mestiere piuttosto che un altro, la morbosità che nutriva nei confronti della carne stessa. La carne animale come rimasuglio conscio, disordinato, di un’esperienza tragica imprigionata nello stato inconscio, vale a dire, in questo caso, il ricordo delle immagini di corpi martirizzati che, presumo, Rudolph Bachmann abbia veduto nei campi di sterminio nazisti. Da qui la trasposizione dalla carne umana, alla carne animale come alibi posticcio, come un rattoppamento delle ferite d’infanzia e infine come ragione di vita ultima e mito finale del vissuto. Le ragioni del ritrovamento di una tanica di benzina e dei fiammiferi spenti all’interno della cella frigorifera sinceramente mi sono oscure. Non so se lei si rende conto. Le parole adottate dalla signorina Lovecraft hanno provocato tutto ciò. La sua deliberata scelta di metterlo al corrente di quella dinamica di morte, senza considerarne le imprevedibili conseguenze, ha determinato il fatto terribile che le ho appena narrato. Quel concetto è esploso nelle caverne della mente di Rudolph Bachmann come un’eruzione notturna illumina la notte. Il peso di ogni singola parola pronunciata dalla signorina Lovecraft lo ha completamente schiacciato, conducendolo alla follia. Si rende conto?!. Dunque cameriera, c’è una ragione se io le ho chiesto una bistecca al sangue e non una bistecca ben cotta con dell’insalata di rinforzo.
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Cultura/e
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L’insostenibile leggerezza dell’essere Tapestry “zitella” Carole King - 1971 IOLANDA TARZIA
“Amare, sacrificarsi e soccombere! questo è il destino suo e forse di tutte le donne? … Ero pervenuta al sofisma di tante donne che conciliavano l’amore dei figli colla menzogna maritale? Il mio spirito si raffigurava un avvenire di viltà felice fra le gioie materne e gli amplessi dell’amante?” (Sibilla Aleramo, Una Donna; Ed. Universale Economica Feltrinelli). “Quanti anni hai?” “42” “E sei sposata? “No” “Hai figli?” “No”. Abracadabra!!! I due “no” trasformano in un attimo la donna che ha osato rispondere negativamente in un essere minus habens. Già, perché se sei “una quarantenne”, non sei sposata e, soprattutto, non hai figli, appartieni ad un’altra realtà, ad una dimensione popolata da esseri la cui vita è destinata all’infelicità perenne perché “mancante” di quel valore aggiunto che è il matrimonio e/o la procreazione. E non importa se nella tua vita hai avuto relazioni di durata più lunga di quella che mediamente ha un matrimonio. Né hanno rilevanza alcuna le ragioni per cui un figlio non è stato da te concepito. Sei “mancante”! Ma non c’era stato il femminismo? L’emancipazione femminile? L’autodeteminazione e l’imposizione della donna in quanto tale e non solo come moglie e madre? Allora per-
ché ancora oggi una donna è considerata come un essere destinato all’infelicità se ha superato i quarant’anni senza marito o figli? Sarà, forse, perché quella donna che incarna ancora, nell’immaginario soprattutto femminile, uno status sociale che ha condizionato negativamente, nei decenni passati, la vita di intere generazioni femminili. L’emancipazione femminile ha trasformato la nubile in “single”. L’essere “single” ha reso fantastica e meravigliosa quella fascia di età, dai 30 ai 40 anni, che per le generazioni femminili precedenti rappresentava, invece, il trapasso, in assenza di coniugio, dalla condizione di nubile a quella di “zitella”. Ma parliamoci chiaro e chiamiamo le cose con il loro nome, oggi puoi chiamarti o essere chiamata “single” sino al compimento dei cento anni. Di fatto, però, se hai passato i quarant’anni, non sei sposata o, comunque, convivente e non hai neppure figli, il termine “single” assume lo stesso significato che una volta aveva il termine “zitella” (parola, peraltro, meravigliosa!!!). Ed è forse per questo che gli occhi di chi considera “mancante” una donna solo perché a quarant’anni è solo ancora “donna” sono quasi sempre quelli di altre quarantenni che hanno scongiurato la possibilità di diventare zitelle abbandonando la vita da “donna single” in
prossimità dei quarant’anni. Sono loro che si sentono donne “migliori” solo perché mogli (o anche solo ex mogli) e madri e a prescindere dai loro successi come donne, mogli o madri. Che avendo deciso di “completarsi” diventando mogli ma, soprattutto, madri non riescono più a concepire che ci si può sentire completi anche facendo scelte e vivendo vite diverse dalle loro; che non comprendono che non essere moglie e/o madre non priva assolutamente la donna della possibilità di essere felice; che una donna può essere felice avendo accanto un “uomo” anche se non è marito; che ci sono donne che vivono bene anche se un figlio lo volevano ma non sono riuscite a pro-
crearlo o, addirittura, che vivono meglio pensando di non aver procreato un figlio che avrebbe sofferto per gli errori propri o di un padre sbagliato; che ci sono donne che non potrebbero mai sopportare i sacrifici che l’essere moglie e madre richiede; che ci sono donne che non potrebbero mai accettare l’ipocrisia e la monotonia che alcune volte caratterizza la vita coniugale; che per alcune donne è proprio la libertà da qualsivoglia vincolo coniugale o filiale che può costituire fonte di felicità. Che non sanno che esiste una insostenibile leggerezza dell’essere zitella che ti fa godere del privilegio di essere donna anche se accanto non hai né un marito né un figlio.
La mia vita é stata una tappezzeria di ricchezza e regale colore Una visione eterna di continue mutazioni Un meraviglioso magico tessuto fatto di pezzettini di blu e oro Una tappezzeria da toccare e vedere, impossibile da possedere Una volta sola il cielo si è coperto di una coltre argentea di tristezza Là è venuto un uomo di fortuna, un vagabondo di passaggio Indossava stracci che avvolgevano il suo corpo malconcio E un soprabito di vari colori, giallo-verde su l'uno o sull'altro fianco Si muoveva con molta incertezza, come se non sapesse proprio cosa fosse lì a fare, o dove stesse andando Una volta sola arrivò per qualcosa d'oro che pendeva da un albero E le sue mani tornarono indietro vuote Presto dentro la mia tappezzeria lungo la strada piena di solchi Lui è stato seduto sullo scoglio ed è stato trasformato in rospo Sembra che sia caduto e qualcuno l'abbia colpito con una maledizione E ho pianto vedendolo soffrire, è dura non sapevo se stava bene Appena guardavo con dispiacere, là appariva improvvisamente Una figura grigia e spettrale sotto la barba fluente In questo tempo di profonda oscurità l'ho visto vestito di nero Ora la mia tappezzeria si sta sciogliendo; lui è venuto per riportarmi indietro lui è venuto per riportarmi indietro
Una fiaba per guarire Una medicina naturale e potente, fonte di ricchezza e stimolo per la parte dormiente di noi CRISTIANO DELLA VEDOVA
“C’era una volta, in un tempo lontano …”. Era così che iniziavano i nostri sogni. Una luce soffusa e la voce calda del nostro stanco “narratore” che si impegnava a leggere qualcosa di cui già conosceva il finale, tralasciando, furbescamente, le parti interlocutorie. Poco importava. Qualche immagine offuscata, indeterminata … e il sogno aveva inizio. Una magia che accendeva le luci dell’immaginazione, un “contenente” a cui davamo un coloratissimo contenuto di innocente speranza. Magia raccontata, magia ascoltata. Questo è lo spunto per un pensiero semplice e assolutamente lontano dal fornire una soluzione alle frustrazioni quotidiane e all’astuta debolezza delle “menti” importanti. Vuole essere solo un inizio, come il sogno di questa premessa. Ho immaginato qualco-
sa di fantastico per evadere dalla mia realtà. Un qualcosa di fantastico, ma comunque tangibile, esistente. Una fiaba appunto, scritta e letta, narrata e utilizzata. Ritengo che le fiabe siano in grado di sviluppare in ognuno di noi la creatività; di svegliare il talento spesso addormentato da una vita in cui troppa gente riesce a svolgere esclusivamente il proprio “compitino”. Esiste in psicoterapia un metodo, il c.d. “metodo Debailleul” che si incentra sostanzialmente sullo sviluppo della creatività e del potenziale attraverso l’ascolto e l’analisi delle fiabe; in tal modo si riconduce la persona alla radice infinita della sua qualità umana:riscoprire il Re, l’Eroe o la
Fata che vivono in noi ci porta a riscoprire il nostro valore- La meraviglia! Una storia fantastica riesce a renderci segretamente felici per qualcosa o qualcuno che solo apparentemente
non esiste.Oggi, nel mondo degli adulti il significato e l'importanza delle fiabe è spesso frainteso o sottovalutato; l'adulto pensa che le fiabe siano utili solo ai bambini; pertanto, si limita a leggerle ai suoi figli, senza riservare troppo in-
teresse ai messaggi che queste contengono; e poi, non appena questi crescono, le fiabe, ritenute oramai inutili, vengono relegate in soffitta. Questo atteggiamento comune verso la fiaba è fortemente riduttivo nei confronti del suo "significato"; le fiabe ci offrono la possibilità di ripercorrere le tracce di quello che è stato il cammino dell'umanità, dei problemi, delle difficoltà e delle ingiustizie in cui si è imbattuta. La favola insegna quanto sia seducente ed attraente il "male" poiché questo è sempre rappresentato da qualcuno o qualcosa di molto potente,
abituato ad usare i suoi poteri in modo subdolo. Streghe, draghi, orchi e serpenti usurpatori che "rubano" il posto che spetterebbe di diritto all'eroe; e quando troviamo queste situazioni, la conclusione risulta sempre chiara: il "crimine", di fatto, non paga, perché alla lunga chi rappresenta il male è un perdente. La fiaba ci raggiunge attraverso il tempo per trasformare il nostro atteggiamento nei confronti della vita e favorire il cambiamento. Un cambiamento che in qualche modo deve trovare spazio nelle troppe scontate esistenze. I nuovi mali si stanno ormai diffondendo ed impossessando delle menti dei popoli, delle "civiltà" industrializzate; adulti e bambini sono sempre più spesso vittime di stress e depressione, si sentono demotivati ed hanno perso di vista il vero significato della vita. Il piacere di una passeggiata, il vento che ti accarezza. Mali sottili, spesso trascurati
che, inevitabilmente, portano a vivere grosse crisi esistenziali. Un rimedio naturale per queste "menti stanche" potrebbe essere quello di riprendere contatto con la fiaba. Le fiabe creano e risolvono situazioni di paura, inadeguatezza e solitudine, sconfiggono angosce e fanno svanire i fantasmi. Che piacere sottrarsi dalla realtà e tuffarsi nell’illusione che esiste la possibilità di un’inversione radicale degli eventi. Si, perché nella fiaba è l’eroe che “sguaina” il proprio coraggio e sovverte i pronostici. Quando esco da casa ogni giorno, sono io l’eroe di me stesso … con fantasia e coraggio, con fiducia di queste mie uniche risorse. Purtroppo e per fortuna! Siamo circondati di streghe e serpenti, meschini e potenti ... potremmo essere eroi, per il momento, avendo la sola consapevolezza che resistere e lottare non è solo una “fiaba”.
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FOLIGNO
Lavoro
MARZO 2011
VIDEORIPRESE SUI LUOGHI DI LAVORO
MALATTIA
VALORE PROBATORIO NEL PROCESSO PENALE A CARICO DEL LAVORATORE
IL COMPORTAMENTO DEL LAVORATORE
NICOLA CELANO
LORENZO BATTISTI
Con la sentenza n.° 20722 del 18 marzo 2010, la Sezione V della Corte di Cassazione Penale, ha sancito l’utilizzabilità, nel processo penale che vede come imputato il lavoratore subordinato, delle risultanze delle videoriprese effettuate con le telecamere installate all’interno dei luoghi di lavoro ad opera dello stesso datore di lavoro per esercitare un controllo sul patrimonio aziendale, messo a rischio da possibili comportamenti infedeli dei lavoratori. Ciò è possibile perchè le norme dello Statuto dei lavoratori poste a presidio della loro riservatezza non vietano i “controlli difensivi del patrimonio aziendale”. La sentenza affronta, in particolare, la questione della possibilità o meno di utilizzare come prova, nel processo penale, le videoriprese. La Suprema Corte si è pronunciata in senso negativo sul divieto probatorio, appunto, dell’assunzione delle riprese, facendo un breve excursus sull’art. 4 dello Statuto dei lavoratori, il quale nega espressamente l’utilizzo, sui luoghi di lavoro, di mezzi di controllo a distanza dei lavoratori, consentendolo, tuttavia, per ragioni di organizzazione aziendale, ma soltanto previo assenso delle rappresen-
Come è noto, ai sensi dell’art. 2110 codice civile, il lavoratore in stato di malattia ha diritto alla conservazione del posto per il periodo stabilito dalla legge ed ha diritto, in mancanza di forma previdenziali equivalenti, alla retribuzione per il periodo e nella misura stabiliti dalla legge e dai contratti collettivi. Nel caso di malattia si verifica dunque un’alterazione del rapporto lavoratore/datore che, di norma, legittima la corresponsione di un trattamento economico solo in caso di attività lavorativa. Nella prassi, tuttavia, accade che il lavoratore in malattia sia scoperto alle prese con altre attività, amatoriali, hobbistiche e spesso sportive, così scatenando un conflitto
tanze sindacali o, in mancanza, previa autorizzazione dell’Ispettorato del lavoro; come nel caso che ha portato la Corte di Cassazione ad affrontare questo problema. Sempre sullo stesso tema si è pronunciata anche la Corte di Cassazione Civile, sezione lavoro, senza esprimere, però, un orientamento unitario in merito ai controlli a distanza utilizzati dal datore di lavoro. Tanto è vero che con sentenza n.° 4746 del 3/04/2002 la Corte Suprema ha ritenuto vietato l’utilizzo di apparecchiature per il controllo a distanza aventi a oggetto direttamente o indirettamente l’attività lavorativa, lasciando fuori i cosiddetti controlli difensivi. In altro senso si è espressa, invece, con la sentenza n.° 15892 del 17/07/2007, affermando che l’insopprimibile esigenza di evitare condotte illecite da parte dei dipendenti
non può risolversi nell’annullamento di ogni forma di garanzia della dignità e della sicurezza dei lavoratori e, quindi, anche i controlli difensivi soggiacciono alle procedure ex art. 4 dello Statuto dei lavoratori. Con la commentata sentenza, sembra che la Suprema Corte di Cassazione abbia, invece, superato questo impasse attribuendo rilevanza probatoria alle videoriprese, avendo considerato che l’illecito penale, costiutio dall’appopriazione indebita del denaro da parte della dipendente, ha sottratto da ogni procedura prevista dello Statuto dei lavoratori l’installazione delle apparecchiature di videoripresa. In altre parole, i diritti di riservatezza e autonomia dei lavoratori non meritano tutela nel momento in cui gli stessi si rendano protagonisti di condotte penalmente illecite.
REDDITI DALAVORO DIPENDENTE E CONSUMI PRESENTATO IL PROGETTO DI LEGGE DINIZIATIVAPOPOARE Depositato in Cassazione il disegno di legge di iniziativa popolare Fra le principali misure, franchigia di 10.000 Euro per redditi sotto i 35.000, detraibilità delle spese per trasporti e servizi, 14° mensilità per chi ne è privo; fondi di sostegno al reddito; aliquota del 30% su redditi da capitale. Alleggerimento della pressione fiscale sul lavoro dipendente ed elevazione della tassazione dei redditi da capitale; sostegno al reddito da lavoro dipendente attraverso specifici fondi; sostegno agli incapienti; attivazione di meccanismi di partecipazione diretta dei cittadini nella lotta all’evasione fiscale; potenziamento delle misure antiriciclaggio. Queste, in estrema sintesi, le linee guida della proposta di legge di iniziativa popolare dal titolo “Disegno di legge a sostegno dei redditi da lavoro dipendente e dei consumi”, elaborata e depositata questa mattina in Cassazione dall’Unione Sindacale di Base alla vigilia della proclamazione dello sciopero generale incentrato sui temi della crisi, del reddito e dei diritti. L’iniziativa intendere fornire uno strumento legislativo efficace in risposta alla allarmante sperequazione economica e fiscale ormai consolidata nel nostro Paese. Dalle dichiarazioni dei redditi 2008, emerge infatti che oltre 15 milioni di la-
voratori dipendenti, privati e pubblici, guadagnano meno di 1.300 Euro netti mensili, e circa 7 milioni ne guadagnano meno di 1.000. Bankitalia attesta che fra il 2002 e il 2010 le famiglie di lavoratori dipendenti hanno perso mediamente oltre 3.000 Euro, mentre quelle con a capo un imprenditore o un libero professionista hanno guadagnato poco meno di 6.000 Euro. Al contempo, è proprio dai lavoratori dipendenti che proviene il grosso del gettito fiscale, mentre l’evasione produce un buco sul saldo di bilancio stimato in circa 120 miliardi di Euro annui. Secondo USB, in un quadro di crisi economica, dove l’intervento dei governi è stato esclusivamente finalizzato al sostegno delle banche e del sistema finanziario, un reale sostegno al reddito dei lavoratori dipendenti,
dei precari, dei disoccupati, risulterebbe non solo una prima doverosa misura per una maggiore giustizia sociale, ma potrebbe attivare un “circolo virtuoso” per la ripresa dei consumi e dunque per rilanciare l’economia e contrastare la crisi. La proposta di legge è strutturata in sei articoli, in cui alle misure più strettamente fiscali si aggiungono quelle retributive: dunque una franchigia di 10.000 Euro per i redditi fino a 35.000; detraibilità delle spese sostenute per l’acquisto di automezzi, trasporti pubblici, servizi di telefonia e internet, per la cultura (libri, cinema, mostre) l’educazione dei figli, la cura della salute; ma anche stabilizzazione della struttura salariale, con introduzione della 14° mensilità per quei contratti che ne sono privi, l’abrogazione della “tassa sulla malattia” e l’istituzione di un Fondo nazionale a sostegno del reddito e dei consumi e di Fondi regionali per i servizi sociali. Le risorse finanziare per l’attuazione della legge dovranno essere reperite non dalla fiscalità generale, ma dalla tassazione dei capitali, con aliquota al 30%, e dall’inasprimento della lotta all’evasione fiscale, incrementata anche dalla detraibilità delle spese. Dal 1 marzo USB avvierà la raccolta delle firme in tutto il territorio nazionale.
con il proprio datore che può arrivare sino al licenziamento. In realtà, anche se a rigor di logica la malattia non sembra compatibile con altre attività, la giurisprudenza ha affermato che il dipendente in malattia può svolgere una diversa attività salvo che ciò evidenzi una simulazione di infermità ovvero lo esponga al rischio di un aggravamento della denunziata malattia con conseguente ritardo della definitiva guarigione. Il caso è di una dipendente, cantante amatoriale, sorpresa in un programma televisivo. I giudici, chiamati a decidere sul seguente licenziamento, hanno stabilito che non sussiste in divieto di svolgere altra attività durante il periodo di sospensione per malattia. Le critiche mosse a tale decisione sono invece determinate dal fatto che solitamente il lavorato-
re ottiene dal medico la prescrizione di un periodo di riposo sulla base di una sua precisa richiesta e dell’indicazione di determinati sintomi, riposo che nell’intenzione del medico ha la funzione di permettere all’ammalato di guarire e di recuperare le proprie energie. L’autoresponsabilità del dipendente assume un ruolo fondamentale e, nel momento in cui si converte il tempo (retribuito) che l’ordinamento concede per il riposo terapeutico in altre attività viene tradito quel patto fiduciario implicito stipulato con il medico e con il datore. Ma tant’è. Il lavoratore sembra possa comunque conservare il posto di lavoro. E allora, ai tempi di faceboock, almeno sarebbe opportuno fare attenzione a non essere immortalati in qualche foto poi pubblicata in internet!
PUBBLICO IMPIEGO EFFETTO “TRASCINAMENTO” DEL CONTRATTO MARCHIONNE L’intesa del 4 febbraio tra il governo, Brunetta e i vassalli sindacali conniventi, Cisl, Uil, Ugl, Confsal ed altri autonomi non è altro che l’effetto “trascinamento” dell’accordo “innovativo” di Mirafiori e dei dettami di Marchionne nel pubblico impiego. Viene sancito ancora una volta il blocco dei contratti e dei salari dei dipendenti pubblici sino alla fine del 2013 e suona come provocatoria la fandonia che le retribuzioni complessive rimarranno intatte sino a quella data, in quanto l’inflazione ha ripreso allegramente a galoppare e sono in vorticoso aumento tasse, balzelli, tributi locali, addizionali regionali e comunali (nel Lazio addirittura sono arrivate al 2,6%), che andranno a falcidiare giorno dopo giorno il potere d’acquisto dei salari, riducendoli sempre di più. Senza considerare che con la devastante legge Brunetta il salario accessorio in media è stato tranciato e ridotto del 30% negli ultimi anni. Rimangono le 3 fasce di merito previste dall'applicazione dell'art. 19 della legge stessa 150/09, con le quali suddivi-
dere il personale (25% fascia alta, il 50% fascia media, il 25% della fascia bassa, senza corresponsione di alcun compenso accessorio) da utilizzare solo sulle risorse aggiuntive, che in realtà provengono da tagli e per la cui gestione saranno costituite commissioni paritetiche con i sindacati firmatari per monitorare i risultati prodotti, tutti insieme allineati in questi organismi “unitari”. Non si parla di assumere i precari della pubblica amministrazione che verranno espulsi invece per il 50%, non verrà coperto il turn over con nuove assunzioni e si allontana sempre di più, alla faccia della democrazia nei posti di lavoro, la calendarizzazione delle elezioni RSU, che dovevano svolgersi a novembre 2010. E manco un accenno al passaggio dal TFS al TFR e al tentativo di introduzione nei comparti pubblici dei famigerati Fondi Pensione. Questa intesa di fatto è
l'avallo politico alla riforma Brunetta da parte dei sindacati firmatari e il definitivo “signorsì” al modello normativo e contrattuale esistente, che vuole un drastico ridimensionamento del contratto nazionale e della contrattazione decentrata, per la quale le materie ad essa riservata saranno ridotte ai minimi termini e con funzione di informazione o mera consultazione, e con l’agguato di processi di privatizzazione dei servizi pubblici sempre più aggressivi… tutto in linea col modello Marchionne… Non facciamoci travolgere dalla nuova schiavitù salariale e contrattuale! Cobas Pubblico Impiego
COLLEGATO LAVORO PROROGATA LA SCADENZA CAPESTRO PER IMPUGNARE I LICENZIAMENTI L’approvazione di questo emendamento è un primo parziale risultato, importante per la tutela di migliaia di disoccupati e precari che avevano perso ogni diritto ad impugnare licenziamenti e contratti irregolari. Con l'approvazione del decreto mileproroghe potranno riaprirsi i termini per impugnare i contratti precari. Approvati alle commissioni riunite al senato gli emendamenti che rinviano di un anno l'entrata in vigore della scadenza capestro introdotte dal collegato lavoro. Il collegato lavoro conteneva una norma particolarmente odiosa
(Legge 183/2010, art. 32) relativa all’impugnazione dei licenziamenti e dei contratti precari. Si trattava di una vera e propria sanatoria retroattiva a favore dei datori di lavoro: tutti i contrat-
ti già scaduti prima dell’entrata in vigore della legge dovevano essere impugnati entro il 23 Gennaio 2011, pena la perdita dei diritti per il lavoratore. Ora le Commissioni Affari costituzionali e Bilancio del Senato hanno approvato un emendamento al cosiddetto Milleproroghe, con il quale si sposta al 31 dicembre 2011 entrata in vigore dei nuovi termini per l'impugnazione dei licenziamenti e dei contratti precari che il collegato lavoro fissava al 23 gennaio. La modifica entrerà in vigore quando il testo emendato sarà approvato definitivamente dal Parla-
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Riaprono i cancelli in attesa di nuovi sviluppi Fra dubbi ed incertezze sul futuro dell’Antonio Merloni, il premier Berlusconi accusa ed ironizza: nelle Marche per lavorare serve la tessera di partito! Breve ripresa produttiva all’Antonio Merloni, per una piccola commessa di elettrodomestici, che interesserà sia gli stabilimenti fabrianesi che quello umbro di Colle di Nocera. La fase produttiva interesserà una parte marginale della forza lavoro attualmente in cassa integrazione (circa 2500 dipendenti). Intanto si susseguono le indiscrezioni sul futuro dell’azienda, nei giorni scorsi la società iraniana Mmd (che ha già acquistato la Tecnogas, il ramo cottura del Gruppo, con sede a Gualtieri di Reggio Emilia), ha manifestato un forte interesse per l’acquisizione dell’azienda fabrianese, garantendo la vocazione originaria del gruppo. E’ quanto emerso in un incontro a Fabriano fra le Regioni Marche e Umbria e Younes Zareipour, rappresentante della Mmd. “Abbiamo registrato una forte determinazione nel gruppo Mmd a chiudere l’operazione in tempi rapidi – ha detto il governatore Gian Mario Spacca - ci sono state formulate richieste precise di natura finanziaria e organizzativa. Abbiamo dato puntuali risposte per quello che ci compete ma su
alcune questioni procedurali e sostanziali le informazioni richieste potranno essere fornite solo dai commissari, anche perché le Regioni ancora non sono a conoscenza del piano industriale di dettaglio degli iraniani e i vincoli di riservatezza non consentono all’azienda di esplicitarlo. Da parte delle Regioni è stata formulata come priorità assoluta la richiesta del massimo livello di salvaguardia dei livelli occupazionali da cui deri-
Roberto Sorci - sindaco di Fabriano
verà un loro corrispondente impegno”. Ma la vera novità l’ha portata il sindaco di Fabriano Roberto Sorci che durante un con-
siglio comunale aperto ha letto il testo di una lettera della G8 (società cinese interessata all’acquisto degli asset della Merloni ancora invenduti) ai commissari incaricati di gestire la transizione, in cui viene annunciata una prima tranche di investimento di 188 milioni di euro per il 1° triennio e, riguardo alla cauzione per l’offerta vincolante, la G8 si dice pronta ad esibirla con il sostegno delle banche cinesi e italiane. La medesima lettera giunta a Fabriano sarebbe stata inviata anche alle Regioni Umbria e Marche, alle Province e ai Commissari e risalirebbe al mese di dicembre. Venuti a conoscenza della notizia e dell’amaro sfogo del primo cittadino fabrianese, i lavoratori della Antonio Merloni sono rimasti disorientati. Il Comitato fa sapere in una nota che "prendendo atto del coraggio e del senso di responsabilità che il sindaco di Fabriano Sorci ha avuto nel rendere pubblica quella lettera, non si può dire altrettanto delle istituzioni della Regione Umbria e dei sindacati confederali, visto che proprio lunedì 7 febbraio hanno avuto un
Younes Zareipour - rappresentante della compagine iraniana interessata alla Antonio Merloni
incontro al Ministero delle Attività Produttive senza dire nulla della proposta formalizzata dalla società cinese. E' quindi chiaro ed evidente che non c’è la volontà da parte di tutti questi soggetti istituzionali e sindacali di far sì che le proposte di interesse formulate dal gruppo Iraniano della Mmd e dalla società cinese G8 si trasformino in proposte vincolanti, avendo già avviato il diverso percorso del passaggio alla fase B dell’Accordo di Programma che, con la vendita frazionata degli asset del gruppo Merloni,
significherà la chiusura definitiva degli stabilimenti produttivi". Nella drammaticità della situazione c’è anche chi pensa che decidere il futuro di migliaia di persone sia come scegliere i partecipanti al “Grande fratello”; il 5 febbraio in occasione di una convention del Pdl svoltasi a Fabriano come di sua consuetudine il nostro Premier (e sottolineo “nostro”, perché comunque dovrebbe rappresentare tutti gli italiani e non solo chi lo ha votato) è intervenuto telefonicamente affermando con la solita
arroganza che contraddistingue i suoi interventi, “che per lavorare nelle Marche serve la tessera di partito”. “Parliamoci chiaro – ha affermato ancora Berlusconi- le Marche sono ancora al centrosinistra per il patto con i Merloni. Del resto la vostra regione fa parte di quello che definisco il quadrilatero rosso del centro Italia. E non mi riferisco alla Quadrilatero, una realtà così importante che siamo riusciti a creare e che è al lavoro per migliorare le infrastrutture marchigiane della quale ingiustamente le forze di centrosinistra ora vogliono rivendicare la paternità mistificando la realtà”. Basta con questi inutili slogan elettorali, in una fase cosi drammatica per la vita istituzionale ed economica del Paese, dove la disoccupazione giovanile sfiora il 30%, e la crisi minaccia la coesione sociale è giunto il momento di affrontare i temi veri della Crisi e il lavoro deve essere al centro dell’agenda politica del Governo perché rappresenta un vero dramma non solo per la nostra generazione, ma soprattutto per i nostri figli che vedono un futuro tutt’altro che roseo
Sciopero Generale dei Sindacati di Base
Bloccati i cantieri, a casa i lavoratori della Btp
11 marzo 2011 Manifestazione a Roma
Scioperano gli operai del cantiere Quadrilatero
Indetta da USB, Slai Cobas, Unicobas e Snater, la giornata di mobilitazione è stata proclamata “a difesa dell’occupazione e dei contratti nazionali e lo sblocco dei contratti nel pubblico impiego, contro la precarietà e la delocalizzazione produttiva e il tentativo di imporre il piano-Marchionne per estenderlo dalla Fiat a tutto il mondo del lavoro”. Un “piano”, quello della ChryslerFiat, che proprio in questi giorni si è rivelato per quello che è: una bolla speculativa finanziaria applicata all’industria su scala globale che sta distruggendo e chiudendo in Italia le fabbriche Fiat e dell’indotto. Dalla chiusura di Termini Imerese al definitivo tentativo di smantellamento in atto dell’Alfa di Arese (dove, dall’11 aprile 170 lavoratori di Fiat Auto e Powertrain saranno deportati da Arese a Torino sotto minaccia di licenziamento e stanno avviando l’espulsione dei lavoratori delle aziende collegate - mensa, pulizie, guardianie, servizi ecc. mentre altri 350 lavoratori del
call center rischiano il licenziamento per la speculazione immobiliare in atto per l’<EXPO 201> sull’area ex Alfa Romeo - 2 milioni e 350mila m.q. - svenduta all’epoca del presidente dell’IRI Prodi alla Fiat). Sarà un caso che dopo l’accordo di Pomigliano e poi quello di Mirafiori, l’unico fatto certo è consistito nella cassa integrazione a zero ore e il prospettato ridimensionamento (altro che rilancio-fantasma) per entrambi gli stabilimenti? Ripartiamo dal NO degli operai delle catene di montaggio che, grazie all’insostituibile ruolo dei sindacati di base, da Pomigliano a Mirafiori hanno rispedito al mittente il pianoindustriale-spazzatura della Fiat nonché le sue pretese (millantate a destra e “sinistra” come “modernità”) di sprofondare i lavoratori nel medioevo di una moderna schiavitù. Un NO che va rilanciato con forza in tutto il mondo del lavoro sia pubblico che privato, della cultura, nonché tra le fasce più deboli dei cittadini, dei precari, dei giovani,
degli studenti, dei migranti, dei pensionati e di quant’altri si rifanno ai valori dei lavoratori per dare un forte segnale di opposizione e di rappresentazione del crescente e generale dissenso che altri vorrebbero “abbandonato a se stesso” o, al massimo, “impastoiato” nelle nefaste politiche di concertazione e collaborazione politica e sindacale che in questi anni hanno portato allo sfascio il movimento dei lavoratori e dei collegati settori sociali. Un No “positivo” - necessario inoltre a contrastare il grave “golpe” in atto alla democrazia sindacale e concertato dai sindacati confederali con la Fiat (basta ricordare il sequestro da un anno e otto mesi del voto RSU a Pomigliano) ed in estensione all’industria ed al pubblico impiego - affinché siano i lavoratori stessi e non le aziende a scegliere le proprie rappresentanze sindacali. Dare forza, voce e reale rappresentanza-diretta ai lavoratori significa potenziarne le “difese democratiche” necessarie a contrastare il “nuovo patto sociale autoritario in atto” tra governo, padronato e CISL-UIL-CGIL che punta all’intensificazione dei profitti a discapito della prestazione, dei diritti e dei salari dell’intero mondo del lavoro.
Bloccati i cantieri della terza corsia sul tratto fiorentino della A1. I lavori sono fermi da ieri ed è questa l'ultima grana, in ordine di tempo, per la Btp che ha comunicato ai dipendenti lo slittamento dello stipendio di gennaio. Nessuna certezza su quando avverrà il pagamento, e il momento diventa ora particolarmente difficile. Sarebbero circa trecento i dipendenti a casa con diritto al salario, cioè sospesi dal lavoro ma che riscuoteranno ugualmente. A protestare, ieri, sono stati i trasferiti che hanno minacciato di bloccare il traffico sull'autostrada se l'azienda non avesse provveduto a pagare i biglietti per il loro rientro a casa. Una trattativa lampo dei sindacati ha evitato che la situazione precipitasse: alla fine i biglietti sono arrivati e gli operai pendolari sono partiti. Anche loro aspetteranno la ripresa del cantiere e nel frattempo avranno assicurato lo stipendio che prima o poi arriverà. E' forte la preoccupazione del sindacato che domani incontrerà il presidente della Regione Toscana Enrico Rossi per chiedere un intervento deciso. Sono circa 170 i lavora-
tori in cassa integrazione in deroga, qualcosa più di 300 quelli sospesi con diritto al salario, e ci sono anche 140 operai impegnati al cantiere Certosa e una trentina a quello di Barberino del Mugello. Senza contare gli impiegati, gli operai del Quadrilatero - l'infrastruttura che collegherà Perugia ad Ancona e per la quale la scadenza del Durc si avvicina e l'indotto che è vastissimo. Intanto c'è già stato un incontro tra Bruno Inzitari, nominato dal tribunale di Prato amministratore del colosso edile, e i sindacati. I problemi sono legati adesso anche a una scarsa liquidità che non si riflette solo sui lavoratori, ma anche sui for-
nitori. Inzitari sta cercando accordi con i creditori per scongiurare il fallimento, ma il tempo che passa è una variabile non da poco. La speranza era ed è la cessione di un ramo d'azienda a un player del settore, ma ancora nulla è certo mentre cominciano a farsi sentire le pressioni istituzionali come la richiesta della Regione Umbria alla Quadrilatero spa di aggiustare tutto entro un mese o rescindere il contratto con la Btp; la richiesta arriva dopo lo sciopero di oggi dei lavoratori che chiedono lo stipendio di gennaio. Un'altra batosta, l'ennesima.
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Beni Comuni
FOLIGNO MARZO 2011
SCIENZA
CITTÀ
PROGRESSO SCIETIFICO E PROGRESSO CIVILE
BENE COMUNE ESSENZIALE
LUDOVICO GEYMONAT
Il marxismo non condivide le posizioni luddiste; le ha combattute. Ma non accetta neppure questa ideologia della scienza e della tecnica secondo cui esse possono risolvere tutti i problemi. I problemi sono in primo luogo problemi di ordine sociale, riguardano l'organizzazione della società, la lotta tra le classi. Non va attribuita alla scienza e alla tecnologia alcuna potenza magica; vanno trattate come tutti gli altri fattori della società, cioè con un esame delle forze che le determinano e che se ne servono, degli interessi economici che vi sono intrecciati. Né alla scienza né alla tecnologia, in quanto tali, in quanto attività sociali umane, noi possiamo attribuire le respon-
Nato a Barge nel 1908 e morto a Rho nel 1991 Ludovico Geymonat è stato il più importante filosofo italiano del Novecento. Antifascista e partigiano, coniugò lungo tutto il corso della sua esistenza alla passione politica e l'impegno intellettuale, puntando all'elaborazione di un razionalismo critico che fosse in grado di aiutare gli uomini di fronte ai problemi filosofici, scientifici e civili del mondo contemporaneo. Filosofo della scienza,
sabilità delle catastrofi, ma ai rapporti sociali concreti entro i quali, in un determinato momento, vengono a svilupparsi e ad esplicare i loro effetti. Possiamo certamente partire dal marxismo per esaminare queste questioni, ma tenendo conto che la situazione di oggi non è quella di allora, non si può accusare Marx di non essere stato un profeta. I profeti lasciamoli alle religioni. Marx ha esaminato scientificamente, con molto rigore, la situazione dell'industria e dell'economia della sua epoca. Lo stesso Lenin aveva compreso la portata del problema e aveva cercato – malgrado l'arretratezza russa – di impostare anche dal lato teorico il problema dei rapporti tra progresso scientifico e progresso civile, con opere esemplari. Ma in Italia opere come Materialismo ed empiriocriticismo sono del tutto ignorate, quando non si giunge a dire che si tratta di opere minori, di scarso valore. Ci sono due ragioni, a mio modo di vedere. La prima è che nella nostra società resta dominante la borghesia, il capitale, e
quindi ciò condiziona il formarsi dell'ideologia degli scienziati e 1'uso della scienza; di riflesso anche il movimento operaio assorbe questi punti di vista su queste questioni. La seconda è l'ignoranza. Anche nelle file della sinistra italiana troppo spesso per cultura si intende solo quella letteraria-umanistica, con una attenzione marginale a quella scientifica. Lo stesso Gramsci non aveva capito l'importanza della cultura scientifica e anche il PCI ha continuato a privilegiare, anche nel secondo dopoguerra, un tipo di cultura del tutto indifferente a quella scientificotecnica. Ormai il PCI si guarda bene dal voler “superare” il capitalismo. Si accontenta di migliorarlo un po'. Si adatta a viverci dentro. In una situazione del genere è chiaro che il capitalismo ha ragione di dire “sono io il progresso”. Credo invece che sia necessario un ritorno a Marx, ai testi di Marx, questa resta una tappa fondamentale senza la quale non si può capire lo sviluppo successivo e non si può fare la rivoluzione oggi.
studioso di logica matematica, storico del pensiero scientifico e filosofico, si batté per il riconoscimento accademico di queste discipline e per la diffusione di una vasta cultura scientifica: a lui fu assegnata nel 1956 presso l'Università di Milano la prima cattedra italiana di filosofia della scienza. Durante il ventennio, avendo rifiutato di iscriversi al PNF, gli fu preclusa la carriera accademica; si mantenne insegnando in scuole private. Nel 1942 aderì al Partito comunista clandestino e, dopo l'armistizio, con il nome di copertura di "Luca Ghersi", divenne commissario politico della 55ma Brigata "Carlo Pisacane", operante nella valle del Po. Dopo la Liberazione fu ca-
po redattore dell'edizione piemontese de l'Unità, assessore al Comune di Torino e intraprese l'insegnamento universitario. Storica fu la vivace polemica con Concetto Marchesi fermo sostenitore degli studi umanistici nel PCI nel quale ambedue militavano. Sostenitore dell’URSS fu tuttavia tra i primi a recepire la grande novità della rivoluzione culturale cinese approfondendo in un saggio l’importanza del pensiero filosofico dei Mao. Negli ultimi anni della sua vita lasciò il PCI, si avvicinò a DP e aderì, infine, a Rifondazione Comunista. Fu un grande divulgatore della storia della filosofia, molto diffuso fu nei licei il suo testo “Storia del pensiero filosofico e scientifico”.
LINGUA
ANDREA TOFI La città non è semplicemente un aggregato di case, è un sistema nel quale le abitazioni, i luoghi destinati alla vita e alle attività comuni (le scuole, le piazze e i parchi, gli ospedali, i mercati , gli impianti sportivi ecc.) e le altre sedi delle attività lavorative (le fabbriche, gli uffici, i negozi ecc.) sono strettamente integrate tra loro e servite nel loro insieme da una rete di infrastrutture che le mettono in comunicazione e le alimentano di acqua, energia, gas. «La città è la casa di una comunità, un insieme di persone legate tra loro da vincoli di comune identità, reciproca solidarietà e regole condivise». La città dunque è un bene, non è una merce, è qualcosa che ha valore di per sé, per l’uso che ne fanno, o ne possono fare, le persone che lo utilizzano. Un bene è qualcosa che mi aiuta a soddisfare i bisogni elementari, che io adopero senza cancellarlo o alienarlo, senza logorarlo né distruggerlo. Una merce è qualcosa che ha valore solo in quanto posso scambiarla con la moneta. Una merce è qualcosa che io posso distruggere crearne un’altra che ha un valore economico maggiore. Ogni merce è uguale a ogni altra merce perché tutte le merci sono misurate dalla moneta con cui possono essere scambiate. Gli spazi comuni della città sono il luogo della socializzazione di tutti i cittadini indipendentemente dal reddito, dall’età, dall’occupazione e della nazionalità di origine. Nella città moderna anche l’abitazione diventa un problema che non può essere abbandonato alle soluzioni individuali, la regolamentazione urbanistica ed edilizia at-
traverso il PRG dovrebbe servire ad assicurare a tutti la perfetta fruibilità degli spazi comuni, ma soprattutto garantire il diritto ad una casa. Ma questo non basta perché la speculazione edilizia fa si che il prezzo dei terreni edificabili cresca senza tregua man mano che la città si estende, che aumentano le sue dotazioni di infrastrutture e servizi. L’aumento del valore dei suoli va nelle tasche dei proprietari incidendo pesantemente sui prezzi delle costruzioni ed in particolare delle abitazioni. Nasce dunque la necessità di governare il mercato delle abitazioni
con interventi dello stato: case popolari ed affitti moderati per i ceti meno ricchi, calmierando così anche del mercato privato. “La casa come servizio sociale”, con questa parola d’ordine non si chiede che l’abitazione venga offerta gratuitamente a tutti i cittadini, ma che la questione delle abitazioni sia regolata da attori diversi dal libero mercato, incidendo sulla rendita e garantendo un equilibrio tra prezzo dell’alloggio e redditi delle famiglie. Il tema della “città come bene comune” deve essere proposto come il centro di una concezione giusta e positiva di una nuova urbanistica e di una nuova coesione sociale, una città nuova che si faccia carico delle esigenze e dei bisogni di tutti i cittadini, a partire dai più deboli assicurando a tutti un alloggio a un prezzo commisurato alla capacità di spesa di ciascuno,
garantendo inoltre l’accessibilità e fruibilità dei servizi collettivi (asili, scuole, biblioteche,impianti sportivi, verde pubblico ecc.) e delle infrastrutture (trasporti, luce, acqua, gas, ecc.). Le piazze devono tornare al centro della vita cittadina, un luogo d’incontro aperto a tutti, libere dal traffico e vivibili in tutte le ore del giorno e sicure per i bambini. Una città diversa è possibile, ma solo garantendo a tutti la possibilità di esprimersi e ad avere risposte alle loro proposte, facendo partecipare i cittadini nelle scelte di governo, in ogni decisione significativa che possa modificare l’identità della città. E’ ora di dire basta alla consuetudine per la quale ci si rivolge ai concittadini solo nei passaggi elettorali, relegandoli poi ad un ruolo puramente passivo, la città è di tutti e come tale deve essere governata da tutti. A tal proposito mi sento di fare un appello al sindaco Mismetti ed alla giunta, affinché si concretizzino le promesse fatte ai folignati in campagna elettorale, di discutere e partecipare al progetto per il recupero dell’area dismessa dell’ex zuccherificio che modificherà profondamente l’assetto urbanistico della città. E’ ora di fare chiarezza, di dimostrare trasparenza nell’azione di governo della città, i comitati sorti in questi anni per la difesa del territorio (abbattimento dei ponti, costruzione degli invasi a Budino, realizzazione della SS77 e della bretella variante sud, ecc…) sono un spia rossa che evidenzia il disagio dei cittadini che raramente vengono ascoltati e che si sentono sempre più usurpati del loro “bene comune”.
SCRITTAE PARLATA Una lingua è solitamente sia scritta che parlata. La sua distinzione, ai fini della comunicazione, potrebbe apparire non molto significativa, ma in effetti è immensa. Precisiamo subito che una frase orale è unica e irripetibile e può rivestire più significati a seconda di molteplici variabili. La lingua orale usa l'intonazione della voce, le pause, i cambi di volume ed è accompagnata dai gesti, dall'espressione del viso e dal contesto. La lingua scritta (pur nella sua infinita ricchezza) può utilizzare solo la punteggiatura o altri sistemi grafici (sottolineatura, grassetto, ecc.). Le parole, anche se volano, una volta pronunciate non possono essere più ritirate (pensa prima di parlare); se scrivo, le parole, anche se rimangono, possono essere modificate fino al momento effettivo dell'invio della comunicazione. Sono solo alcune e forse neppure le principali differenze quelle da me citate, ma è sufficiente riflettere per trovare ulteriori spunti: distanza o vicinanza degli interlocutori, contesto comune della comunicazione che consente di sottin-
tendere un'infinità di cose che viceversa vanno precisate se la comunicazione è scritta. Nella lingua parlata un modesto 30% delle parole che formuliamo vengono utilizzate per la comunicazione e la comprensione, mentre il 70% viene tra-
smesso da come lo diciamo, dal contesto, da posture fisiche e da quello che abbiamo già elaborato mentalmente o ci aspettiamo di sentire. Se il marito torna a casa alle quattro di notte e la moglie gli domanda, sai che ore sono? Tutto vorrà rappresentare la domanda tranne che sapere l'ora, ma: dove sei stato? Che hai combinato? Sentiti in colpa! E quante volte è accaduto che davanti ad un'aspettativa di un no alla nostra domanda l'interlocutore abbia dovuto ripetere più
volte: guarda che sono d'accordo con te! Che hai capito? Ti ho detto si! Ogni parlante trascina una modalità che ne denuncia la provenienza anche parlando un italiano formale, che identifica e invia messaggi che, anche se inconsapevolmente, riceviamo ed elaboriamo. Quando si ascolta un'inflessione della lingua non propria, scattano meccanismi automatici: non è delle mie parti, non ha le mie abitudini, consuetudini, gusti alimentari... è necessario che mi metta sulla difensiva oppure? In Umbria, sicuramente una delle regioni più piccole per popolazione ed estensione, è bastato un fiume (neppure tanto grande), il Tevere, per creare due aree linguistiche molto diverse. Noi folignati riconosciamo un perugino dopo poche parole, come i perugini riconoscono subito l'appartenenza ad un'area geografica che va da Foligno a Terni. Sono considerazioni, senza la presunzione di uno studio o taglio scientifico (è inimmaginabile la mole di testi sull'argomento). Sono semplici riflessioni che ognuno di noi avverte e non si è mai soffermato a valutare. f.o.
RISPETTO “USUAL ITALIAN” ROBERTO MATERAZZI “A tv Weather girl was paid more than 100.000 by italian prime ministre S. Berlusconi after attending his sex parties ” Proprio così, capita sempre più spesso, quasi giornalmente che il nostro premier e compagnia bella vengano nominati per qualche azione del genere. Ma andiamo con ordine, London city, precisamente Chelsea, aspetto in stazione la metro e nel frattempo leggo un giornale, l'edizione serale di quelli 'free' che danno nelle grandi città. Entro nel treno, sfoglio il giornale e noto un anziano londinese che legge una facciata del mio giornale, quando improvvisamente esclama: “usual italian”. Proprio così, soliti italiani. Capita quasi ogni giorno che la nazione Italia e le doti dell'italiano che ci/vi dovrebbe rappresentare vengano prese in considerazioni dagli enti di informazione (stampa e televisione). Posso tranquillamente affermare che non si sente spesso parlare in positivo del nostro
paese (a parte la cucina, che oramai è diventata noiosa), ma si sente spesso parlare e discutere, forse più che in Italia, delle avventure molto sex e poco politik dei nostri Italioti che governano. Qui a Londra, in pochi conoscono la serie A italiana, ma quasi tutti sanno delle vicende amorose del rappresentante eletto dal popolo, che oggi anche qua viene chiamato da qualcuno “Bunga Bunga”. Questi fatti possono risultare un poco banali, forse simpatici (?!), ma vi garantisco che ogni tanto essere appellati sempre e solo come i “soliti italiani”, può un pochino dispiacere e sicuramente rattrista un pò. Ma purtroppo è così, e quello che garantisco è che fa molta rabbia vedere giovani 20/30enni andarsene dalla propria casa, con un portafoglio leggerissimo ed una valigia carica di sogni che vengono liquidati e classificati con poche e semplici parole che sono però cariche di significato, e piene di disgusto. La mia vuole essere una semplice riflessione, non un’accusa con cadenze politiche, non credo più né nella destra e purtroppo tanto meno nella sinistra,
non capisco chi sta facendo peggio… ma è veramente una bella gara. Credo sia diventato solo un grande e bellissimo gioco dove però il gregario che non vince MAI è sempre il cittadino o se preferite l'operaio della Merloni. Quello che vorrei (consapevole che non accadrà) è un minimo di rispetto per i ragazzi che vivono in Italia, derisi dal mondo per caratteristiche che magari non sono obbligatoriamente simili a quelle dei nostri parlamentari e rispetto per i giovani che se ne vanno dal proprio Paese, che però sempre più spesso sono liquidati da un sorriso e da tre semplici paroline… paroline magiche... acquisite di diritto.
FOLIGNO MARZO 2011
Salute
Meteorismo: gonfiore e tensioni addominali
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Farmacovigilanza veterinaria
MARIO ZOCCO
SALVATORE MACRÌ
Il termine corretto per definire l'eccesso di gas intestinale che causa spasmo e distensione dell'addome si chiama meteorismo. Il gonfiore può variare durante la giornata ed è molto sensibile al tipo e alla quantità di alimenti assunti. Diversi processi intervengono nel regolare la quantità di aria presente nell'apparato digerente (da 30 a 200 ml con variazione individuale). Le pareti intestinali hanno, la capacità di riassorbire l'aria prodotta che viene poi immessa nel sangue ed eliminata con la respirazione. Eruttazione e flatulenza intervengono invece in presenza di meteorismo per eliminare l'eccesso di gas.CAUSE Quando avvertiamo quella sensazione di pancia gonfia, associata a fastidio e talvolta a dolore, potrebbe trattarsi semplicemente di cattiva digestione. Altre volte all'origine del disturbo possono esserci problemi specifici dello stomaco o dell'intestino un alterata sensibilità ad un quantitativo di gas del tutto normale. Le condizioni che possono portare al meteorismo sono, infatti numerose: 1) aumento dell'aria ingerita a cause di cattive abitudini igienico alimentari (pasti frettolosi, parlare durante il pasto, masticazione di gomme, eccesso di bevande gassate, etc.); 2) Fermentazione intestinale degli zuccheri e della cellulosa contenuti negli alimenti; 3) Alterato assorbimento dei gas intestinali in corso di patologie epatiche ed intestinali; 4) Sindrome del colon irritabile, sindrome da contaminazione batterica dell'intesti-
I medicinali veterinari prima di essere immessi sul mercato vengono autorizzati e registrati dal Ministero della salute. Esperti chimici, farmacisti, veterinari verificano gli studi e le ricerche predisposte dalle Aziende farmaceutiche. Sono necessari periodi più o meno lunghi di studio e sperimentazioni prima di attestare che un farmaco è efficace per una determinata patologia e sicuro per l’animale e per l’uomo. La valutazione della sicurezza e dell’efficacia del farmaco veterinario dopo l’immissione in commercio spetta al sistema di farmacovigilanza. Che cos’è la farmacovigilanza? La farmacovigilanza consente di monitorare la sicurezza dei medicinali veterinari, inclusi i vaccini usati per la profilassi, la diagnosi o il trattamento delle malattie negli animali dopo l’autorizzazione all’immissione in commercio. Il compito della farmacovigilanza è quello di garantire: l’uso sicuro dei medicinali veterinari negli animali; la sicurezza degli alimenti di origine animale; la sicurezza per l’uomo che viene a contatto con i medicinali veterinari , la sicurezza per l’ambiente e l’ efficacia del farmaco veterinario. Perché è importante riportare le sospette reazioni avverse? In seguito alla valutazione delle informazioni relative alla farmacovigilanza, che provengono dall’invio di appositi moduli di segnalazione redatti da chiunque è a conoscenza di
no tenue o altre condizioni patologiche del tratto gastrointestinale; 5) Intolleranza alimentare come quella diffusissima al lattosio o a glutine. Prevenzione Per attenuare e prevenire meteorismo e gonfiore è importante adottare piccoli accorgimenti, quali: 1. mangiare la frutta zuccherina lontano dai pasti; 2. mangiare e bere lentamente (evitare di introdurre liquidi in grande quantità (ai pasti) e ridurre il consumo di dolcificanti artificiali che contengono polialcoli (mannitolo, sorbitolo, xilitolo); 3. Evitare combinazioni alimentari sfavorevoli:carne e formaggi, uova e legumi, pasta, pane e molta carne; 4. E' preferibile utilizzare legumi dopo un prolungato ammollo e mangiare i farinacei caldi (se l'amido si raffredda tende infatti a subire dei processi che lo rendono più dif-
ficilmente digeribili e arriva nel colon in maggior quantità dove fermenta). Trattamento Il medico può suggerire antibiotici non assorbibili che esercitano la loro azione riequilibrante sulla flora batterica. Esistono, farmaci che impediscono la formazione di schiume nell'intestino, favorendo l'assorbimento dei gas e riducendo il meteorismo(carbone vegetale e dimeticone). Anche la natura ci viene in aiuto: Finocchio, Cumino, Coriandolo, Zenzero e menta favoriscono l'eliminazione dei gas ed il processo digestivo; la Camomilla si presta a lenire una sensibilità eccessiva; Mirtillo e Mirto possiedono una notevole azione antifermentativa e antiputrefattiva; la Mela ricca di fibre interviene nella regolazione delle reazioni fermentative intestinali.
L’obesità dell’Infanzia Non lasciate che i vostri figli lottino tutta la vita contro il sovrappeso, insegnategli ed essere sani! LEONARDO MERCURI
L'Obesità infantile è responsabile di circa il 30% dell'obesità dell'età adulta, come rilevato in due studi con osservazione a 40 e 50 anni e persiste nell'età adulta in oltre 80% degli adolescenti. La portata del problema è più rilevante di quanto non si possa immaginare. L’obesità in età pediatrica precede spesso l’obesità dell’età matura. Il bambino con obesità può presentare molte delle complicanze tipiche dell'adulto, comprese alcune condizioni di disagio psico-sociale, anche importanti. Il trattamento dell’Obesità durante l’età evolutiva è in genere più efficace che nelle età successive.
Ma soprattutto è indifferibile per i nostri figli, una maggior attenzione sotto l’aspetto della prevenzione. In Italia circa il 14% dei bambini tra i 4 ed i 12 anni risulta in eccesso ponderale e tale percentuale è in costante incremento. Anche in Italia l’obesità esordita nell’età evolutiva tende a persistere nell’età adulta (nel 30-60% dei casi). L'associazione tra obesità e morbosità non è esclusiva del soggetto adulto. Gradi elevati di obesità, soprattutto nell'adolescente, si associano infatti ad intolleranza al glucosio, fino al Diabete di tipo 2, ipertensione arteriosa, dislipemia, patologia osteoarticolare, disturbi relazionali e psicologici, ecc. In particolare, i fattori di rischio cardio-vascolare
sono spesso presenti nel giovane con obesità. Una adiposità in eccesso del 25% nei maschi e del 30% nelle femmine è stata associata ad un elevato rischio di ipertensione nei bambini e nei giovani tra 5 e 18 anni. I livelli di colesteroloLDL e trigliceridi sono elevati, mentre quelli di colesterolo-HDL sono tendenzialmente ridotti: l’obesità viscerale risulta la principale responsabile di questo sfavorevole quadro lipidico. Infine, studi retrospettivi hanno evidenziato una associazione, in particolare nei maschi, tra obesità nell'adolescenza e mortalità in età adulta. Tale associazione è risultata valida indipendentemente dalla concomitante obesità nell’età adulta. Questo dato suggerisce che gli effet-
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ti dell’obesità del bambino non sono presenti solo a breve termine ma possono persistere nelle età successive. L’obesità dei genitori, in particolare della madre, è infatti il primo fattore di rischio per l’obesità nel bambino. È indubbio che anche l'ambiente, attraverso molteplici meccanismi, è determinante per la comparsa dell’obesità nel bambino e la sua persistenza o meno nell’età adulta. Gli effetti esercitati dall'ambiente sono differenziabili in effetti condivisi, cioè effetti comuni a soggetti cresciuti nel medesimo ambiente familiare, e non condivisi o unici, cioè effetti che interessano indipendentemente un singolo componente della famiglia e non gli altri. Studi su gemelli e su bambini adottati hanno evidenziato che gli effetti ambientali condivisi sembrano essere relativamente trascurabili ai fini della comparsa dell’obesità. Tra i fat-
una reazione avversa o una diminuzione di efficacia accaduta in seguito alla somministrazione di un farmaco veterinario, il Ministero può sospendere, revocare o modificare le condizioni dell’AIC (Autorizzazione all’Immissione in Commercio) per limitarne le indicazioni o la disponibilità, cambiare posologia, aggiungere una controindicazione o una nuova avver-
tenza. Ai fini della tutela della salute umana e animale, il Ministero a seguito di segnalazioni di farmacovigilanza può adottare provvedimenti d’urgenza sospendendo anche l’Autorizzazione di un medicinale veterinario. Che cosa deve essere segnalato? E’ importante che tutte le reazioni avverse siano riportate, anche se si tratta di un solo sospetto, specialmente per i seguenti tipi di reazione: reazione avversa che provoca la morte; reazione avversa che provoca eventi significativi, prolungati o permanenti; reazione avversa inattesa non riportata nell’etichetta o nel foglietto illustrativo; reazione avversa ai medicinali ve-
terinari che si verifica nell’uomo; reazione avversa che si è osservata dopo un uso diverso da quello indicato nel foglietto illustrativo dei medicinali; mancanza dell’ efficacia attesa (possibilmente indicare lo sviluppo di resistenza); problema legato ai tempi d’attesa (che può determinare la presenza di residui tali da rendere insicuri gli alimenti per il consumatore); possibili problemi ambientali; reazione avversa conosciuta (menzionata nel foglietto illustrativo) che è grave o che sembri aumentare in termini di frequenza e/o gravità. Se la sospetta reazione avversa è grave, in particolare nel caso in cui un animale muoia, l’evento deve essere riportato immediatamente. Le sospette reazioni avverse devono essere riportate nell’apposita scheda di segnalazione reperibile presso:gazzetta ufficiale n. 121 del 26 maggio 2006 serie generale; sito web www.ema. europa.eu e sito web www.salute.gov.it A chi inviare la scheda di segnalazione? La scheda di segnalazione va inviata all’ ufficio IV della Direzione Generale della Sanità Animale e del Farmaco Veterinario Dipartimento per la Sanità Pubblica Veterinaria, la Nutrizione e la Sicurezza degli Alimenti Ministero della Salute Via Giorgio Ribotta n. 5, 00144 ROMA Tel. 06 59946255 Tel. 06 59946932 Fax 06 59946949 E mail farmacovigilanza@sanita.it o ai Centri regionali di Farmacovigilanza competenti per territorio.
tori ambientali, potenzialmente modificabili con il trattamento, è da sottolineare il ruolo della sedentarietà. Una delle principali cause di sedentarietà nel bambino è indubbiamente la TV che è anche un importante promotore di consumi alimentari del bambino. Accanto alla sedentarietà, il livello socio economico della famiglia (inversamente associato all’Obesità) ed il grado di trascuratezza nei confronti del bambino da parte dei genitori (positivamente associato all’Obesità) possono contribuire
alla comparsa dell'eccesso ponderale durante l’età evolutiva. Le caratteristiche quantitative e qualitative dell’apporto alimentare cosi come la distribuzione del cibo nel corso della giornata sono stati variamente associati all’obesità. Dieta, attività fisica, terapia comportamentale e familiare sono i presidi consigliati a tutti quegli adolescenti che hanno bisogno di una evidente perdita di peso, ma soprattutto per scongiurare in futuro tutte quelle patologie croniche associate all’obesità.
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DODICI DONNE UN SOLO ASSASSINO SIAMANTHA PASSERI
Qualche giorno fa, curiosando fra gli scaffali di una delle mie librerie preferite, mi è capitato per le mani un testo di assoluto interesse, e del quale, miei cari lettori, vorrei rendervi partecipe. Forse è vero che le letture migliori sono quelle fatte per caso.In questo periodo, dobbiamo ammetterlo, c'è stato un grande exploit della cronaca nera, vuoi per le delittuose e orribili vicende accadute negli ultimi mesi, vuoi per un generale malessere della società che porta sempre più a spostare l'interesse su quanto di marcio e oscuro è contenuto in ognuno di noi, a osservarlo quasi con morboso voyeurismo. In realtà per districarci nel mondo della “nera” fatto molto di psiche umana e umani sentimenti (per quanto animaleschi possano sembrare), è importante circondarsi di buone letture e fonti piuttosto che di salotti televisivi pomeridiani con l'opinionista di turno. Ebbene questo libro, se volete cimentarvi nel campo delle ombre che hanno attraversato e attraversano la storia italiana degli anni '70 e '80, non può mancare tra le vostre letture. “Dodici donne un solo assassino – da Emanuela Orlandi a Simonetta Cesaroni” è stato scritto dal magistrato Otello Lupacchini e dal giornalista RAI Max Parisi, che in una delle tante inchieste di cui è stato autore ha scoperto la sepoltura di uno dei capi storici della banda della Magliana, Enrico De Pedis, nella basilica di Sant'Apollinare a Roma (luogo questo che fa ripensare, soprattutto ai telespettatori di Chi l'ha Visto, alla nostra Umbria, dato che uno dei rettori della basilica è stato Monsignor Piero Vergari nato a Sigillo, paesino dell'Alto Chiascio non lontano da Gubbio e Gualdo Tadino, il quale conobbe De Pedis come cappellano del carcere e di cui poi officerà i funerali nel febbraio 1990 e avallerà la sepoltura nella cripta di Sant'Apollinare). In questo romanzoinchiesta scritto in modo avvincente, si direbbe quasi con suspense, i due autori sosten-
gono, fornendo argomentazioni tratte dalle indagini svolte nei vari casi e facendo collimare prove ed eventi grazie anche all'intuizione tipica di chi conosce la materia, che alcuni fatti di sangue insoluti in particolare 10 delitti e 2 scomparse, avvenuti a Roma tra il 1982 e il 1990 siano tutti frutto di un unico omicida seriale. Le vittime di questa lunga scia di sangue sono (vale la pena elencare i nomi non per puro fanatismo dell'informazione, ma per rispetto alla memoria di persone che non vanno dimenticate nonostante il tempo possa cancellare la memoria) Rosa Martucci, trovata il 7 aprile 1982, aveva 20 anni ed era incinta di 3 mesi già madre di un figlio di 3 anni. Ritenuta semplicemente una drogata; Augusta Confaloni, trovata il 15 agosto 1982, aveva 46 anni, era una prostituta già schedata dalla Buoncostume e per questo suo status sociale al delitto non fu dato poi così tanto peso; Bruna Vettese, trovata il 19 febbraio 1983, aveva 31 anni era sposata e madre di 4 bambini, con una vita economica e sentimentale difficile si riteneva avesse iniziato a prostituirsi: una colpa in più oltre quella di essere vittima; Tea Stroppa, trovata il 6 luglio 1983, prostituta dei quartieri alti, nota alla Buoncostume e si dice di una bellezza allucinante; Lucia Rosa, trovata il 15 luglio 1983, di anni 33, tossicodipendente altro status che poco interessava alla pubblica opinione; Giuliana Meschi, trovata il 5 agosto 1983, aveva 32 anni, era una venditrice ambulante; Fer-
nanda Durante, trovata il 31 ottobre 1983, aveva 53 anni portati benissimo tanto che la polizia la scambiò inizialmente per una 30enne, era moglie di Emilio Renzetti, altissimo funzionario della Banca d'Italia dirigente dell'Ispettorato di Vigilanza; Caterine Skerl detta Katy, trovata il 22 gennaio 1984, aveva 17 anni ed era una studentessa del Liceo Artistico Giulio Romano,iscritta alla sezione Ponte Flaminio della FGCI, la federazione giovanile del Partito Comunista Italiano era vicina anche alle posizioni femministe; Cinzia Travaglia, trovata il 28 giugno 1984, di anni 24, era bellissima ed era un'ex studentessa universitaria diventata (chiacchiere di quartiere) cocainomane e spacciatrice; Marcella Giannitti, trovata il 21 ottobre 1984, aveva 26 anni era laureata e offesa alla gamba sinistra dalla poliomelite che l'aveva colpita da bambina; Giuditta Pennino, trovata il 14 settembre 1986, aveva 26 anni ed era una prostituta; Simonetta Cesaroni, trovata il 7 agosto 1990, aveva 21 anni, era impiegata in una ditta di revisioni contabili e si accingeva a partire per le vacanze. Da ultime, ma non per importanza, le scomparse di Mirella Gregori avvenuta il 7 maggio 1983 ed Emanuela Orlandi avvenuta il 22 giugno 1983. Tutte donne. Protagoniste involontarie di questi anni in cui a Roma il crimine si chiama Magliana, ma anche Mafia, anni in cui lo scandalo P2 e Tangentopoli si affacciano alla pubblica opinione, e la politica si scopre sempre più sporca e sudicia, come la conosciamo oggi. Da cosa sono legati questi delitti e queste sparizioni?I casi sono tutt'ora irrisolti, nonostante per Simonetta Cesaroni sembra sia stato trovato un colpevole (secondo me da verificare in appello). Non vi resta che andare in libreria o in biblioteca prendere in mano quest'ottimo libro edito da Koinè e leggerlo. Vi aiuterà a formare un'opinione e a stuzzicare la sete di conoscenza reale che questi fatti meritano, non prendetelo come esauriente ed esaustivo. Insomma è solo l'inizio. Buona lettura.
“OSTACOLI AL PIENO SVILUPPO DELLA PERSONA UMANA” I TAGLI ALLA SCUOLA RISANANO IL BILANCIO MA LASCIANO FERITE ARIANNA BOASSO L’insegnante di sostegno è un insegnante specializzato, istituito con il DPR n. 970/1975 in cui viene definito “docente specialista” e poi la figura è stata ulteriormente definita dalla legge 517/77 in cui veniva ribadito il diritto all’ integrazione dello studente portatore di handicap. Precedentemente la legge 118 del 1971 ha dettato le prime norme che affermano il diritto dei disabili a frequentare le scuole pubbliche, nelle classi normali, sancendo il diritto all’integrazione scolastica, nonostante il tutto fosse già contemplato dalla Costituzione. L’insegnante di sostegno viene affidato alla classe in cui
c’è il soggetto portatore di handicap oppure in gravi condizioni di disagio sociale o familiare; questa figura specializzata deve provvedere a che il bambino o il ragazzo realizzino forme di integrazione con il resto della classe, assecondare e sviluppare al meglio le potenzialità di ciascuno, in relazione alle specifiche esigenze del soggetto. Inoltre esso collabora alla realizzazione del “Piano Educativo Individualizzato” in cui viene predisposto un programma da attuare su misura del soggetto portatore di handicap con interventi didattici, terapeutici e educativi. Ma, ahimè, i continui tagli della scuola hanno coinvolto anche questo settore, e ciò getta un’ulteriore ombra nella scuola italiana. Le ore di sostegno di ra-
FOLIGNO
Pensieri e Parole
gazzi in condizioni di disabilità sono drasticamente diminuite e il più delle volte il precariato degli insegnanti non garantisce loro continuità didattica, che per un soggetto disabile è fondamentale, in quanto spesso i progressi sono determinati da un rapporto di fiducia e affetto con l’in-
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IL POETA È SEMPRE UN “RESISTENTE” LA RIVOLUZIONE LIBERATRICE DELLA POESIA SILVIA PALLARACCI
Sfoglio le pagine di un libro di Paul Eluard che solo oggi, dopo tanto cercare, sono riuscita a procurarmi,in quanto fuori pubblicazione, e che posso finalmente annoverare tra le perle della mia libreria privata (benché lo fosse da sempre, anche se non materialmente…). Tra le splendide composizioni dell’autore mi soffermo su quella di cui ho più vivido il ricordo e che probabilmente mi sento di riproporre in un contesto temporale come il nostro, dove sembra ancora urgente e necessario ridestare negli uomini proprio quel sentimento in essa inneggiato. Prima di riportare questi versi, voglio parlarvi in breve della vita di Paul Eluard. Nacque nel 1895 a Saint-Denis, vicino a Parigi. Durante la prima guerra mondiale fu infermiere militare e questa esperienza gli fece maturare una coscienza politica che lo avvicinò ai gruppi anarchici e pacifisti, gli stessi da cui nacque l'avanguardia dadaista di cui Eluard fece parte nell’immediato dopoguerra. Al canto del cigno del dadaismo Eluard, insieme ad altri intellettuali, diede vita al surrealismo, altro movimento d’avanguardia, in cui andavano di pari passo lo sperimentalismo artistico e la lotta politica. Collaborò così con André Breton, Max Ernst, Giorgio De Chirico, Lev Trotsky, Louis Aragon. Fin dal 1925 il gruppo aderì al Partito comunista. La guerra di Spagna creò nel poeta una profonda avversione nei confronti del franchismo. In seguito abbandonò quindi il surrealismo - anche se continuò a credere nell'ideale che ne era il substrato - poiché era consapevole del profondo divario fra libertà individuale e libertà collettiva, il cui connubio era stato il sogno del surrealismo. Partecipò alla Resistenza e nei suoi scritti ribadì con forza la libertà d'espressione contro gli occupanti nazisti, cosa che continuò a fare anche dopo la liberazione. (“La rivolta sta alla Rivoluzione come il sentimento iniziale sta a quella “raison ardente” di cui parlò Apollinaire, che è la sola ragion ragionante e insieme la sola poesia. Il sentimento,come la rivolta, è un primo momento, assurdo e sublime. Bisogna ripeterlo a quanti, oggi, parlano di rivolta. Il sentimento da solo non si fa carne: e la poesia è rivoluzione, non rivolta; è logica. Essa ha per scopo la verità pratica.”) La poesia di cui vi ho accennato in apertura fa parte della raccolta “Poesia e verità”, scritta nel 1942, quando i tedeschi avevano occupato Parigi e il poeta aveva abbandonato la città entrando a far parte, come detto, del movimento clandestino della Resistenza. Si intitola “Libertà” ed è un esempio di quel tipo di poesia che Eluard stesso chiama “di circostanza”, che nasce cioè in un particolare momento ed interpreta un sentimento del poeta; un sentimento però che non è soltanto del poeta e del suo tempo, ma di tutta l'umanità e di tutti i tempi. Il suo valore è pertanto universale e non viene meno neppure quando le circostanze che l’hanno originata muteranno. Poesia come autocoscienza che discopre il vero sotto il velo dei soprusi a cui ogni uomo, in ogni società, in ogni epoca, è purtroppo sottoposto. Poesia come energia vitale contro ogni tipo di alienazione. Le memorie dell'infanzia, il paesaggio della sua terra, gli oggetti familiari, gli uomini che nonostante la sopraffazione credono nella giustizia, i sogni dispersi, tutto ricomincia a vivere nella certezza che l'idea della libertà è illimitata. E questa parola, secondo Eluard, dovrebbe essere scritta su ogni oggetto e su ogni sentimento, perché solo essa dà senso alla vita umana e deve pertanto rappresentare la vocazione suprema di ogni individuo. segnante che li accompagna nel loro percorso di apprendimento. Ma un’ulteriore considerazione si rende necessaria, ovvero il precariato generale della scuola mette i docenti nella condizione di “scegliere “ l’insegnamento di sostegno, in quanto rappresenta l’unica continuità lavorativa nel mondo della scuola, anche senza la completa convinzione professionale e personale che quest’attività rende necessaria. La mancanza di insegnamento di sostegno fa si che i ragazzi versanti in condizioni più gravi siano lasciati fuori dalla classe perché disturbano lo
Libertà Sui miei quaderni di scolaro Sui miei banchi e sugli alberi Sulla sabbia e sulla neve Io scrivo il tuo nome Su tutte le pagine lette Su tutte le pagine bianche Pietra sangue carta cenere Io scrivo il tuo nome Sui prodigi della notte Sul pane bianco dei giorni Sulle stagioni promesse Io scrivo il tuo nome Sulla schiuma delle nuvole Sui sudori dell'uragano Sulla pioggia fitta e smorta Io scrivo il tuo nome Sulle forme scintillanti Sulle campane dei colori Sulla verità fisica Io scrivo il tuo nome Sui sentieri ridestati Sulle strade aperte Sulle piazze dilaganti Io scrivo il tuo nome Sul lume che s'accende Sul lume che si spegne Sulle mie case raccolte Io scrivo il tuo nome. Sul mio cane goloso e tenero Sulle sue orecchie ritte Sulla sua zampa maldestra Io scrivo il tuo nome Sul trampolino della mia porta Sugli oggetti di famiglia Sull'onda del fuoco benedetto Io scrivo il tuo nome Su ogni carne consentita Sulla fronte dei miei amici Su ogni mano che si tende Io scrivo il tuo nome Sui vetri degli stupori Sulle labbra intente Al di sopra del silenzio Io scrivo il tuo nome Su ogni mio infranto rifugio Su ogni mio crollato faro Sui muri della mia noia Io scrivo il tuo nome Sull'assenza che non desidera Sulla nuda solitudine Sui sentieri della morte Io scrivo il tuo nome Sul rinnovato vigore Sullo scomparso pericolo Sulla speranza senza ricordo Io scrivo il tuo nome E per la forza di una parola Io ricomincio la mia vita Sono nato per conoscerti Per nominarti Libertà.
svolgimento delle lezioni,a volte stanno nello stanzino dei bidelli, oppure trascorrono l’ora di educazione fisica in classe, per non parlare dei laboratori. A volte sono i genitori che devono coprire i vuoti lasciati dalla scuola, dallo Stato, spesso e volentieri accompagnano i loro figli nei viaggi di istruzione, perché spesso il bus non è attrezzato in modo idoneo, oppure nei congressi o nei progetti perché gli altri insegnanti non si prendono la loro responsabilità. I genitori lottano, si infuriano e fanno ricorsi al Tar e spesso ottengono sentenze per loro favorevoli e che ad-
dirittura condannano le condotte discriminatorie. In queste storie di disabilità, dove è il diritto allo studio e all’integrazione ?! Articolo 3 comma 2 della Costituzione “ E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. “ Ciò che emerge dalla lettura di questo articolo e dall’osservazione della realtà è una triste contraddizione.
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Scuola a cura di Maura Donati
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Il lento e silenzioso declino della scuola comunale di musica “Biagini” Ma nell’indifferenza generale si levano delle voci… forse non tutto è perduto Per la scuola comunale di musica “Alessandro Biagini” di Foligno, l’anno scolastico 2010/2011 si è aperto come una grande ferita su una storia di oltre un secolo e mezzo vissuto tra successi e traguardi di altissimo livello. Per anni, infatti, ha rappresentato uno dei fiori all’occhiello dell’offerta pubblica cittadina in termini di formazione musicale, crescita della persona, promozione culturale e aggregazione sociale, ma da quest’anno la situazione appare completamente ribaltata: un calo vertiginoso degli allievi e una conseguente diminuzione del numero di insegnanti. “Senza cadere in inutili catastrofismi, non è esagerato affermare che per la scuola comunale di musica di Foligno Biagini (definita fiore all’occhiello dagli Amministratori folignati) il 2010 sarà ricordato come uno degli anni più difficili – hanno affermato in una lettera gli insegnanti ‘Superstiti’ della stessa scuola - gli iscritti sono diminuiti infatti di circa il 50% con un calo record che riporta la scuola trenta anni indietro. Gli allievi sono una delle principali ricchezze della “Biagini” (e di ogni istituto di formazione), si capisce perciò la gravità del danno subito da questa importante istituzione pubblica, che da sempre rappresenta per Foligno un centro educativo qualificato, di promozione culturale e di aggregazione sociale. A causa di ciò, 14 insegnanti (alcuni in servizio alla Biagini da 13 anni) hanno perso un’opportunità lavorativa.
A questi colleghi vogliamo esprimere pubblicamente la nostra solidarietà, visto che nessun altro ha sentito il bisogno di farlo – e hanno aggiunto - sorvoliamo sulla nostra condizione, da 17 anni un precariato estremo, non assisto e non riconosciuto da chi lo ha generato”. Tutti loro sono insegnanti liberi professionisti precari con contratti co.co.pro. che ogni anno vengono scelti (o meno) attraverso una sorta di concorso (attività comparativa) che tiene conto del loro curriculum e delle richieste degli alunni. E se la scuola (istituita nell’800 con un regio decreto) dalla fine degli anni ’70 in poi ha potuto contare su tre insegnanti e un direttore di ruolo, dopo, si è vista lentamente spogliare della stabilità professionale e lavorativa degli insegnanti che, una volta in pensione, non sono stati reintegrati. Ormai da anni, rimane un unico dipendente comunale che ricopre il ruolo sia di insegnante di musica che di direttore, il maestro Paolo Giri. In ogni caso, per oltre dieci anni fino all’anno scolastico 2009/2010, la scuola ha potuto contare su 25 insegnati circa e più di 200 allievi promuovendo sempre una educazione musicale qualificata a prezzi sociali. Da quest’anno scolastico si è vista dimezzare il numero degli iscritti (passando da oltre 200 a 100 in un batter d’occhio) con conseguente drastica ridu zione del numero di insegnati (da 25 a 13). “Di fronte ad un calo così allarmante crediamo che chi ha il compito istituzionale di tute-
lare e valorizzare un tale patrimonio cittadino, ma anche tutti coloro che a vario titolo ne hanno a cuore le sorti , si chiedano come ciò sia potuto avvenire e quali rimedi adottare – hanno precisato gli insegnanti ‘Superstiti’ della scuola – noi, come insegnanti siamo i primi a metterci in discussione. Ricordiamo però che buona parte dell’organico attuale è lo stesso che per molti anni ha garantito qualità e numeri alla scuola, con una media di 200 allievi annui e punte di 250. Siamo diventati improvvisamente dei brocchi? Ci sembra strano. Ma cercheremo d’impegnarci ancora di più”. Con la sola “finalità di contribuire al consolidamento e al rilancio della scuola e non certo per alimentare sterili polemiche – hanno aggiunto – crediamo sia importante segnalare con spirito costruttivo dei fatti che potrebbero aver contribuito in modo determinante alla flessione degli iscritti”. Il primo fatto su cui gli insegnanti invitano a riflettere riguarda l’apertura delle iscrizioni per il nuovo anno scolastico avvenuta “senza un’adeguata pubblicità il primo ottobre, con circa un mese di ritardo: tutti sanno che di solito le famiglie iscrivono i figli ai corsi formativo-ricreativi pomeridiani (musica, nuoto,ecc.) nel periodo di settembre. Chi dorme non piglia pesci”. Un altro motivo alla base della crisi che sta vivendo la scuola di musica e che ha colpito in modo particolare le famiglie degli allievi è l’incremento delle rette: quota iscrizione
raddoppiata (da 15 a 30 euro per tutti), aumento della retta per corsi singoli (da 62 a 80 euro) e per corsi di gruppo (da 25 a 34 euro). In un momento di crisi economica come quella che stiamo vivendo, questo tipo di scelta “ha penalizzato soprattutto le famiglie meno abbienti – hanno precisato gli insegnanti – ci permettiamo di osservare che tutto questo va a cozzare con la finalità della scuola stessa, cioè promuovere un’educazione musicale qualificata a prezzi sociali”. Tra l’altro, neanche lo sconto a redditi inferiori a 10 mila euro (sulla base della presentazione del reddito Isee) proposto dall’assessore alla cultura Elisabetta Piccolotti ha sortito effetti: probabilmente, famiglie con redditi così bassi non si pongono neanche il problema di mandare o meno il figlio a scuola di musica. Hanno ben altro a cui pensare. Sta di fatto che se questo voleva essere un aiuto, lo è stato soltanto in minima parte. Altro problema della scuola di musica è l’evidente mancanza di un segretario o addetto al controllo della struttura. Fino all’anno scorso c’era ma da quest’anno non più e quel bel palazzo in via Aurelio Saffi dove si sviluppa la scuola Biagini rimane pressoché abbandonato a sé stesso, vuoto e incustodito dal momento che i professori sono impegnati a fare lezione all’interno delle aule e non possono contemporaneamente controllare chi entra e chi esce. In questo modo c’è il rischio che i piccoli alunni rimangano soli (prima e
dopo la lezione) e che gli strumenti musicali possano essere rubati (nonostante la cura degli insegnanti nel chiudere sempre a chiave le porte). Addirittura, qualche passante ha approfittato della mancanza di un controllo per usare i servizi igienici al pian terreno della scuola. E tutto questo mentre la scuola “soffre già dall’anno scorso di una carenza di iniziative (eccezion fatte per i saggi finali) volte alla valorizzazione, alla promozione e a anche a stimolare gli stessi studenti” che vi studiano e dedicano il proprio tempo con impegno e passione. A questo proposito, gli insegnanti “Superstiti” ritengono che dietro a questa situazione non ci siano solo problemi economici e tagli alla cultura per gli Enti locali: “riguardo al ritardo delle iscrizioni ricordiamo che il decreto governativo ‘taglia risorse’ è stato approvato il 31 luglio 2010, c’era quindi tutto il tempo per far partire puntualmente una macchina rodata che per quanto concerne bandi,contratti,ecc. da anni è la fotocopia di se stessa – hanno dichiarato circa l’aumento delle rette, invece, facciamo notare che quest’anno la scuola costerà ben poco al Comune: dopo il pensionamento della segretaria (la ‘cancellazione’ della pre-
La via crucis dei precari della scuola Per i docenti precari l'odissea continua: viene raggirata la decisione della Corte Costituzionale, in Umbria bloccati 4700 docenti. GIOIETTA VOLPI La Corte Costituzionale boccia il Ministro Gelmini, e con la sentenza del 9 Febbraio scorso ha dichiarato illegittima la “soluzione” degli inserimenti in “coda” in ulteriori tre province dei docenti inseriti nelle graduatorie a esaurimento: la norma non è rispettosa della nostra Costituzione, in quanto viola, tra gli altri, l'articolo 3 della stessa. L'Italia è una sola e i titoli di studio hanno lo stesso valore in tutto il territorio nazionale, spiega la Consulta. Una verità che sembrava ovvia ai più, ma non alla Gelmini che, spinta dalla Lega, nel 2009 operò una sorta di
protezionismo sulle graduatorie dei supplenti della scuola a favore dei prof. settentrionali. La legge stabiliva che in occasione dell'aggiornamento delle graduatorie per gli anni scolastici 2009/2010 e 2010/2011 chi si trovava inserito in una graduatoria provinciale non poteva trasferirsi con proprio punteggio in un'altra provincia, se non "in coda". E non "a pettine" (secondo il punteggio maturato) come auspicavano gli interessati. Già i giudici del Tar Lazio avevano considerato la legge in contrasto con uno dei principi fondamentali del nostro ordinamento: l'uguaglianza fra tutti i cittadini. Il provvedimento "violerebbe l'art. 3 Cost. perché in violazione
del principio di uguaglianza, prevede una diversa disciplina a seconda del momento in cui il docente chiede il trasferimento da una graduatoria provinciale ad un'altra". La sentenza avrebbe prodotto ricadute
politiche ed economiche, il ministero sarebbe stato certamente travolto da migliaia di richieste di risarcimento danni da parte di coloro che si sono visti soffiare per due anni incarichi e immissioni in ruolo. Il Mini-
stro Gelmini era stata, a suo tempo e in numerose occasioni, messa di fronte alla palese irragionevolezza della norma, purtroppo se ne è sonoramente infischiata con fare tutt'altro che istituzionale e privo di buon senso, esponendo l'amministrazione ad un danno erariale enorme; a questo punto avrebbe dovuto prendere atto di non essere stata capace di gestire le graduatorie del personale docente ed assumersi la responsabilità dei danni prodotti. Invece la risposta data stravolge totalmente il senso della sentenza della Corte Costituzionale: la Lega, con un emendamento inserito nel decreto Milleproroghe ha imposto (minacciando l'uscita dal Governo) il conge-
ziosa collaboratrice esterna), l’ormai consueto accorciamento dell’anno scolastico da 9 a 7 mesi e mezzo e i soliti contratti co.co.pro. degli insegnanti, perché aumentare anche le rette?”. “Ora più che mai – hanno concluso nella lettera - il nostro auspicio ed augurio nell’interesse non solo dalla scuola di musica, ma anche di chi crede che vada rafforzato il ruolo del pubblico nell’educazione e nella cultura, è che il 2011 porti novità positive in tal senso”. E se l’auspicio e il sostegno da parte di tanti in questa direzione sono grandi e sentiti, va detto che la scuola di musica non rientra fra i servizi che il comune è obbligato a sostenere per il bene della città e dei cittadini. Tanto meno in questo momento di crisi economica e di tagli alla cultura. Tuttavia, l’assessore Piccolotti ha dichiarato che l’amministrazione si vuole impegnare al fine di rilanciarla e si è dimostrata essa stessa disponibile a risolvere il problema. Proprio nei giorni scorsi, infatti, si è svolto un primo incontro su queste tematiche. Di conseguenza, la speranza è che questa grande ricchezza del territorio non vada perduta ma anzi, continui a rappresentare un punto di riferimento per le future generazioni.
lamento delle graduatorie ad esaurimento per due anni fino al 31 dicembre 2012. Per i docenti precari non c'è quindi nessuna possibilità di adeguare il punteggio, né di chiedere il trasferimento in altra provincia in attesa della " nuova legge sul reclutamento". Al Governo non interessa il futuro della scuola del nostro Paese e, ormai allo sbando, utilizza i precari come un'arma di ricatto politico per "regolare" i rapporti di forza tra i partiti di governo in vista di una possibile sfida elettorale. Solo nella nostra Regione i docenti interessati saranno circa 4700, di cui 4mila iscritti nelle liste di Perugia e 700 in quelle di Terni. L’ennesima, debole speranza si è tramutata in una nuova beffa, in un’altra cocente delusione per migliaia di lavoratori che chiedono solo di essere tutelati, di vedere difesi i loro legittimi interessi, di poter lavorare serenamente. Ma forse questo, nell’Italia di oggi, è chiedere veramente l’impossibile.
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Corrispondenze, Sport e Cucina
CLCIOA7 UISPALLINSEGNADELLEQUILIBRIO PAOLO AZZARELLI
Quasi sempre nello sport numeri e statistiche non sempre possono dare un quadro esatto dei valori in campo e fotografare fedelmente la realtà. Ma non c'è dubbio che dando una rapida occhiata alla classifica del torneo di calcio a 7 UISP, non si può fare a meno di notare come ci sia un evidente e notevole livellamento tra le compagini. A nostro parere, si tratta di un livellamento verso l'alto che contribuisce decisivamente a conferire incertezza e spettacolarità ad un campionato che ancora deve esprimere una vera e propria squadra leader. E per dare lustro alle nostre osservazioni, proprio i numeri ci vengono in soccorso. Quando il campionato ha ormai esaurito i due terzi del suo cammino, non ci sono più da tempo squadre imbattute, solo undici punti distanziano quella che sarebbe ora l'ultima squadra qualificata ai play-off (cioè la dodicesima in classifica) dalla capolista, mentre nelle posizioni di vertice troviamo sette squadre nell'esiguo spazio di quattro punti.Inoltre, nelle ultime quattro giornate, la quotavetta è stata incrementata di sole tre lunghezze, il tutto nella migliore tradizione del calcio a 7 UISP che vede l'equilibrio come caratteristica precipua e quasi imprescindibile per questo torneo. Da segnalare, abbastanza a sorpresa, il ritiro dalla competizione di Ecosuntek Gualdo, peraltro protagonista finora di un campionato complessivamente anonimo in relazione delle aspettative della vigi-
lia. E' stato deciso che tutte le partite fin qui disputate dalla compagine gualdese saranno considerate come mai giocate. Anche in virtù di questo imprevisto,la classifica subisce qualche scossone, specialmente in vetta dove troviamo di nuovo un tandem: Beautyglobal, che riesce a dare sempre buona continuità ai propri risultati, a dispetto dell'inopinato stop subìto nell'ultima giornata dalla tenace Old Stars (0-1), e M.B. System che sembra aver ritrovato la vena dei tempi migliori, inanellando tre successi nelle ultime quattro uscite. Una sola vittoria per Asso Computer che, costretto alla sconfitta prima dalla rediviva Pizzeria Pietrarossa e poi dalla sorprendente Mojito F.C., abbandona perlomeno temporaneamente la vetta della classifica. Nelle immediate posizioni di rincalzo si mantiene Bacaro Parrucchieri, malgrado un rendimento a tratti altalenante che comprende la rovinosa sconfitta contro Silvy's United (1-7 !). Proprio i nerocelesti sembrano essere la compagine del mese con quattro squillanti successi in altrettante uscite e gli "scalpi" prestigiosi di Bacaro Parrucchieri e Cecconi Impianti. Consentiteci di ricordare, proprio in merito al match disputato contro Cecconi Impianti, che Luca Rambotti, bomber induscusso del Silvy's United, con la doppietta messa a segno, raggiunge quota 100 reti realizzate in carriera. A lui i nostri più sentiti complimenti per il prestigioso traguardo raggiunto. Deve ridimensionare, almeno per il momento, le proprie ambizioni Cecconi Impianti, reduce da un solo successo ai danni di Porco Alegre, che
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UNANUOVA “ALLEANZA” PER SCONFIGGERE IL “BERLUSCONISMO” VINCENZO LAZZARONI
rimane lievemente attardato rispetto alla quota playoff, ma anche da due perentorie battute d'arresto contro due dirette concorrenti come Silvy's United e M.B. System. Da segnalare anche timidi segnali di ripresa da parte di Pizzeria Pietrarossa che ottiene due vittorie, una delle quali assai prestigiosa ai danni di Asso Computer,in attesa di disputare il recupero con Forno Nocera Umbra, partita che in ogni caso sembra il crocevia decisivo della stagione per le ambizioni dei campioni uscenti.In ottica play-off, buon momento anche per Gus Team che, con tre successi negli ultimi quattro incontri disputati, tallona ad una sola lunghezza Forno Nocera Umbra che in questo momento sarebbe l'ultima compagine a qualificarsi per il post-season. Si torna in campo il 21 e 22 Febbraio e tra gli incontri in programma spicca senz'altro un interessante Silvy's United, ormai lanciato verso posizioni di vertice e certamente squadra più in forma del torneo e Bar Polly, piacevole novità di questo campionato. CLASSIFICA BEAUTYGLOBAL M.B. SYSTEM BACARO PARRUCCHIERI ASSO COMP.–MASSAGGIO SILVY'S UNITED OLD STARS BAR POLLY CECCONI IMPIANTI MOJITO F.C. ARCI BAHIA NUOVA STELLA ROSSA FORNO NOCERA UMBRA GUS TEAM SAN MAGNO CAFFE' SPARTAK FOLIGNO PORCO ALEGRE ECOSUNTEK GUALDO T. BORRONI PIZZERIA PIETRAROSSA QUINTANELLA SCAFALI PLANET CAFFE' EQUILIBRI ESTETICA A.D SERVICE ECOSUNTEK GUALDO T.
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Le trasmissioni televisive degli ultimi mesi, dai telegiornali ai talkshow quali anno zero, ballarò, otto e mezzo, l’infedele ecc., ci propinano, in nome della par condicio, ripetuti scontri tra berlusconiani e antiberlusconiani, e il paese assiste impotente a questo balletto delle parti dal quale transita, nelle coscienze di chi ascolta, un modello culturale che non ci dovrebbe appartenere, né a destra né a sinistra. Il modello culturale della contrapposizione faziosa assolutamente sterile giacché questa più si acuisce più radicalizza le posizioni sino a far perdere ogni lucidità e obiettività di giudizio. Quanto erano belle le tribune politiche anni sessanta/settanta in cui la par condicio veniva rispettata facendo parlare ogni sera un politico di programmi, di progetti, di proposte; il quale, senza contraddittorio e senza litigiosità faziosa, aveva la possibilità di esprimere le proprie idee, sì che lo spettatore, dopo averli ascoltati tutti, poteva farsi una propria libera convinzione! Tempi della cosiddetta e tanto vituperata prima repubblica, se non fosse che la seconda che ne è seguita ricorda più il ventennio antecedente alla prima repubblica, non ovviamente in termini di violenza fisica, quanto in termini di violenza delle coscienze. Da qui mi viene l’esigenza fisica, derivante dal grave stato di malumore che provo, per dire quello che penso, non potendo, purtroppo, fare altro. E parto proprio da una affermazione che l’onorevole Casini ha fatto a otto e mezzo giovedì 17 febbraio. Egli ha affermato con assoluta risolutezza di essere contrario alla “santa alleanza”, cioè all’ammucchiata di tutte le forze che si contrappongono a Berlusconi. Orbene io sono convinto che ormai, al punto in cui siamo, noi ci troviamo in una situazione simile, e ribadisco simile non la stessa, a quella in cui gli italia-
ni si trovarono prima durante la guerra di resistenza e durante la fase costituente dopo. Situazioni in cui c’era un obiettivo comune per democristiani, liberali, repubblicani, socialisti, comunisti: sconfiggere il fascismo e mandare a casa Mussolini prima e creare la Costituzione repubblicana dopo. Ciò che forze politiche, con idee tanto diverse tra loro, sono riuscite a realizzare insieme negli anni ’40 è qualcosa che è stato consegnato alla storia come uno dei momenti più alti dell’azione e del pensiero umano. Eppure, all’indomani della promulgazione della Carta Costituzionale, nelle elezione che ne sono seguite, ognuno per sé contro tutti, per far prevalere le proprie idee. Ma ciò è stato possibile solo perché c’era stata la “santa alleanza” che aveva reso l’Italia un paese libero e democratico. Non si tratta quindi di fare una grande ammucchiata e fare un governo alternativo a Berlusconi, quanto di creare le condizioni per sconfiggere politicamente il berlu-
sconismo e i guasti culturali, prima ancora che economici e sociali, che esso ha creato nel paese in questi 17 anni; fare poi rapidamente due o tre cose, molto meno impegnative che scrivere la Carta Costituzionale, quali la riforma del sistema elettorale per rendere più democratiche le elezioni che seguiranno, la legge sul conflitto di interessi, e poi si vada al voto liberi di scontrarsi e di proporre ogni possibile programma e alleanza per il futuro governo del paese. Cosa stanno aspettando i nostri politici? Che sia la piazza esasperata, magari dalla “fame”, o dalle provocatorie contrapposizioni, a risolvere il problema che ora loro, per meri calcoli di convenienza politica non sono capaci di risolvere? Cosa accadrà nel paese se le parti, oggi artatamente contrapposte per mero calcolo di convenienza, arriveranno a scontrasi nelle piazze? Altro che unità. Sarà bene che si rifletta sui rischi che la nostra democrazia sta correndo!
Corrispondenze, commenti, materiali di archivio, fotografici e video possono essere inviati agli indirizzi e-mail del giornale redazionepiazzadelgrano@alice.it e associazionefittaioli@yahoo.it. Compatibilmente con lo spazio disponibile e il tempo di arrivo, i contributi ricevuti saranno pubblicati sul periodico o inseriti nel sito internet
LA RICETTA DEL MESE: TORTA DI MELE E SFOGLIA BIETA E MENTA Redazione: Via della Piazza del Grano 11 06034 Foligno (PG) tel. 0742510520 Mail: redazionepiazzadelgrano@alice.it Autorizzazione tribunale di Perugia n° 29/2009 Editore: Sandro Ridolfi Direttore Editoriale: Sandro Ridolfi Direttore Responsabile: Giorgio Aurizi Direttore Sito Internet: Andrea Tofi Stampa: Del Gallo Editori, loc. S. Chiodo, Spoleto Chiuso in redazione il 26/2/2011 Tiratura: 3.000 copie Periodico dell’Associazione “Luciana Fittaioli”
ANTONIETTA STADERINI Torta di mele e ricotta Ingredienti per 6/8 persone: n 3 uova, gr 200 ricotta vaccina, 2 bicchieri di zucchero, mezzo bicchiere di fecola di patate, 2 bicchieri/2 bicchieri e mezzo di farina, scorza di mezzo limone grattugiata, 2 mele, un bicchierino di rum, gr 50 burro, gr 30 zucchero a velo, una bustina di lievito per dolci. Procedimento: in un contenitore mettere le uova intere, la scorza del limone grattugiata, lo zucchero, lavorare gli ingredienti; aggiunge-
re poi le mele precedentemente sbucciate, tagliate a cubetti e saltate per qualche minuto in padella con gr 30 di burro, mezzo cucchiaio di zucchero e il rum. Aggiungere, infine, al composto il lievito, la fecola e la farina, lavorare bene tutti gli ingredienti sino ad ottenere un composto cremoso e morbido ma non troppo liquido (il quantitativo di farina può minimamente variare in relazione alla consistenza del composto che non deve risultare troppo compatto). Imburrare una tortiera dai bordi abbastanza bassi, aggiungere il composto e cuocere in forno
preriscaldato a 180° per circa 20 minuti. Servire la tortina
cosparsa di zucchero a velo. Sfoglia di bieta e menta. Ingredienti per 8 persone: gr 300 farina, uova 3, kg 1 bieta (possono essere utilizzate anche altre verdure cotte come,
ad esempio la mista di campo), 1 mazzetto di menta, gr 100 pecorino stagionato grattugiato, gr 100 ricotta di pecora, sale q.b., olio di oliva q.b. Procedimento: sul piano da lavoro mettere la farina a fontana, al centro un pizzico di sale le uova, un bicchierino di acqua e lavorare sino a che l’impasto non risulti liscio ed omogeneo (stesso impasto che si utilizza per tagliatelle e fettuccine)., ricoprire con un panno appena umido e lasciare riposare. Pulire e cuocere la verdura in acqua salata, tagliarla poi grossolanamente e unire ad essa la ricotta, il pe-
corino, la menta precedentemente tritata finemente , un filo di olio, sale, lavorare bene sino a che gli ingredienti non siano amalgamati tra loro. Stendere con il mattarello la pasta cercando di renderla il più possibile sottile e tagliarla in fasce larghe, tali che possano contenere in lunghezza l’impasto come nella preparazione dello strudel. Una volta preparati questi “strudel” di verdura, spennellarli con olio di oliva e infornarli a 180° per circa 20 minuti. Con i ritagli di pasta possiamo ricavare maltagliati o quadretti da utilizzare sia asciutti che in zuppe.
FOLIGNO
Spettacoli ed eventi a cura di Piter Foglietta
MARZO 2011
Elio è Gianburrasca
A Foligno il 4 marzo 2011 Auditorium S. Domenico Prosegue senza sosta l'attività teatrale di Elio, che aggiunge un nuovo personaggio al suo repertorio e questa volta con la regia di Lina Wertmüller, con cui già aveva collaborato ai tempi di “Storia d'amore e d'anarchia”. Il 4 Marzo sarà all'Auditorium San Domenico, nell'ambito della stagione musicale degli Amici della Musica di Foligno. Sarà proprio lui, infatti, che vestirà i panni dello scatenato Giannino Stoppani (alias Gian Burrasca), per raccontare i momenti salienti del romanzo di VAMBA (1907), oltre ad interpretare le indimenticabili canzoni di Nino Rota, di cui proprio nel 2011 ricorre il centenario della nascita, accompagnato da uno straordinario quintetto di musicisti “in scena” (clarinetto, fisarmonica, chitarra, contrabbasso e percussioni) Nel 1964 Lina Wertmüller dirigeva le otto puntate dello sceneggiato Rai “il giornalino di Gian Burrasca”, tratto dal libro di Luigi Bertelli, in arte Vamba, pub-
blicato tra il 1907 e il 1908, cadenzate sulle musiche di Nino Rota, dirette da Luis Bacalov. Fu uno dei maggiori successi televisivi dell'epoca e rese immortali canzoni come “viva la pappa col pomodoro” e le buffe intemperanze del ragazzinino impertinente, interpretato da una giovane Rita Pavone. A quarantasei anni di distanza, in occasione
del centenario della nascita del maestro Nino Rota (3 dicembre 1911 – Roma, 10 aprile 1979), Lina Wertmüller torna a curare l'adattamento del testo e la supervisione alla regia di questa edizione teatrale interpretata da Elio affiancato da un ensemble strumentale composto da musicisti di livello internazionale.
Gli Incantevoli 2011 “Rassegna All'incanto Di Giovani Canzoni” a cura della MusicalBox Venerdì 11 Marzo h. 20,45 Teatro Pavone AMOR FOU “I Moralisti” Secondo disco per gli Amor fou. Un lavoro che suona come una fotografia alla società italiana attraverso il racconto di 10 personaggi (notevole il successo ottenuto dal singolo “De Pedis” ispirato dalla vicenda della Banda della Magliana). Un concept album realizzato con l'approccio del cinema d'inchiesta. Tanta melodia e dinamismo, altissime le individualità tecniche, Incantevole a dir poco la voce del cantante Alessandro Raina. Mercoledì 23 Marzo h21,00Teatro Pavone Pierpaolo Capovilla legge Vladimirovi Majakovskij accompagnato da Giulio Favero con chitarre e laptop, Massimo Pupillo basso e rumori, Kole Laca pianoforte. Parte dell'incasso della serata verrà devoluto alla costituita ass. culturale Paolo Vinti Giovedì 31 Marzo h. 20,45 Teatro Morlacchi LE LUCI DELLA CENTRALE ELETTRICA con Orchestra distorta “Per ora noi la chiameremo felicità” Per Ora Noi la Chiameremo Felicità: è un titolo che racchiude tutto il senso del percorso de Le Luci della Centrale Elettrica, sia per i contenuti (canzoni spesso disperate, ma che, appunto, racchiudono tutta la critica e l'analisi acuta e poetica dell'autore Vasco Brondi verso il mondo che ci circonda) che per quella propensione all'uso e alla ricer-
ca maniacale della parola, che con Le Luci della Centrale Elettrica, in un mondo devastato dalle immagini, dalla frammentarietà e fuggevolezza della cultura contemporanea, ritorna ad essere vera protagonista, unico baluardo che ci potrebbe traghettare dalla disperazione alla felicità. Martedì 19 Aprile h. 20,45 Teatro Pavone COLORE PERFETTO “L’ILLUSIONE DEL CONTROLLO” Il nuovo disco della band perugina è una scoperta del “qui e adesso” dei bei tempi che furono, un congegno nascosto di derivazioni psichedeliche, rock organico e testi che hanno ancora il valore dell’introspezione sincera e vissuta. Ascoltarlo è come guardare una vecchia foto e scoprire una nuova luce sui volti delle persone. E’ come riassaporare il passaggio velocissimo di sensazioni provate nel passato. Non c’è nulla di volutamen-
te retrospettivo tra le tracce del disco, niente di assimilabile alla volontà di avere un suono retrò: semplicemente questo disco sa allo stesso tempo di classico e di attuale. Le liriche disegnano spirali ardite, scandite da un cantato dilavato di qualsiasi posa, barricato al culmine (impossibile) tra disillusione e incanto. Giovedì 7 Aprile h. 20,45 Teatro Pavone ETTORE GIURADEI “La republica del sole” Cantastorie in chiave musical teatrale, surreale ed onirico: al terzo disco, il bresciano Ettore Giuradei continua a dar vita al suo universo già codificato nei precedenti “Panciastorie” e “Era che così” nei quali si manifesta tutto il suo immaginario istintivo e straripante. Un grandissimo artista che sul palco mette le ali ai piedi e diventa incontenibile per energia e intensità scenica.
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Il pittore del Risorgimento Domenico Bruschi in mostra a Villa Fidelia di Spello Recuperare un’interessante memoria pittorica locale, nel primo centenario della scomparsa del pittore Domenico Bruschi (1840-1910). Questo è l’intento della mostra allestita nel primo e secondo piano della palazzina-museum di Villa Fidelia di Spello fino al 10 aprile 2011 e promossa dalla Provincia di Perugia. L’esposizione è un omaggio al pittore anche perché rappresenta un momento centrale nei programmi del 150° in quanto l’artista perugino, proveniente da una famiglia di patrioti, con la sua attività ha celebrato l’Unità dell’Umbria e dell’Italia e, poi, ha impersonato un modello significativo di “pittore” dell’Italia unita lungo tutta la sua vita. Poi non dimentichiamo che
sue sono le pitture della sala del Consiglio Provinciale di Perugia. La mostra si articola in sei sezioni, comprensive di una docu-
mentaria ed una dedicata ai ritratti e alle miniature. A commento delle opere esposte vengono presentate citazioni dai suoi scritti o dalle fonti dell’epoca. Nella prima sezione dal titolo “Formazione accademica (1853-1861)” si ripercorrono gli anni iniziali
della sua carriera. Si chiude con il capitolo 1861: Bruschi e l’Unità, in cui si evidenzia l’ideale adesione alla lotta e alle tematiche risorgimentali espresse nella sua arte. Inoltre, particolare rilievo viene dato alle decorazioni teatrali realizzate da Bruschi che nel secondo Ottocento fu maestro indiscusso del genere. Ad integrare le conoscenze sul periodo sono presentati disegni e spolveri per la prima volta connessi ad opere finite. Nel complesso il percorso evidenzia i costanti contati di lavoro con l’Umbria, una relazione con la sua regione iniziata con le pitture allegoriche e storiche realizzate nel Palazzo Prefettizio, oggi sede della Provincia di Perugia.
Giovedì al Cinema a cura di Roberto Lazzerini 5 marzo RIPARO di Marco Simon Puccioni (Italia 2007, 100’) […] al secondo lungometraggio (dopo Quello che cerchi 2001) Puccioni realizza un bel dramma da camera. Al ritorno da una vacanza in Tunisia, Anna (Maria De Medeiros) e Mara (Antonia Liskova) si accorgono che un giovane immigrato, Anis (Mounir Ouadi), attratto dall’Europa come migliaia di suoi coetanei, ha viaggiato con loro. Comincia così un moto di relazioni, che cambierà la loro vita tranquilla, romperà l’equilibrio precario ma certo in cui credevano di esercitare il controllo […]
12 marzo RACCONTI DA STOCCOLMA di Anders Nilsson (Svezia-Germania 2007, 133’ […] Anders Nilsson racconta, unificandole sotto lo stesso schema concettuale, al di là delle differenze apparenti, tre storie di rottura del silenzio sulla violenza, tre storie, non intrecciate,
che formano un trittico: i destini, impediti nella felicità, di Leyla, figlia di una famiglia mediorientale, cresciuta secondo un rigido codice; di Carina, madre generosa e giornalista, umiliata dalle percosse di un marito geloso, e di Aram, giovane proprietario di un locale, innamorato di uno degli uomini della sicurezza […]
19 marzo ONCE di John Carney (Irlanda-USA 2007, 87’) […] a Dublino il regista irlandese Carney realizza un musical eccentrico, girato con taglio documentaristico, camera a mano e luci di scena limitate, cast formato da attori non professionisti. Un busker (suonatore ambulante) canta l'amore perduto e sogna il contratto discografico e una vita a Londra. Incontra una giovane immigrata ceca, lavoratrice, ragazza madre responsabile e pianista di talento. Un casto amore e la passione per la musica li unisce a comporre il disco della loro anima profonda […]
26 marzo CORAZONES DE MUJER di D Sordella e Pablo Benedetti (Italia 2008, 85’) […] lo pseudonimo dei due registi e produttori, Kiff Kosoof (parola araba che sta per eclisse) investe una tensione narrativa rivolta all’asse nord –sud, Torino-Marocco in questo caso. Il film racconta la storia vera di un sarto, Shakira, travestito di origine marocchina, e Zina, una promessa sposa, cui deve cucire l’abito da sposa, che ha perso la verginità. Se sposarsi così, Zina non può, saliranno allora al volante di una vecchia spider, da Torino fino in Marocco, per salvare l’onore perduto e la vita […]
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FOLIGNO MARZO 2011
“So che per realizzare anche solo in par te il mio pensiero, per dargli concretezza, devo innestarlo in quello, operante, di una grande forza della cui validità, alla distanza, non ho mai dubitato e non dubito” Umberto Terracini Umberto Terracini nacque a Genova 27 luglio 1895 e morì a Roma il 6 dicembre 1983 all’età di 88 anni. Di origine ebrea frequentò la scuola ebraica ma non ne accettò mai la religione. Si avvicinò alla politica durante gli studi liceali a Torino, dove conobbe Angelo Tasca, divenendo socialista. Nel 1914, mentre ancora frequentava nell’università di Torino la facoltà di giurisprudenza, venne eletto segretario provinciale. Allo scoppio del prima guerra mondiale fece propaganda contro la partecipazione dell’Italia alla guerra e venne arrestato per la prima volta e poi mandato al fronte. Al ritorno dalla guerra a Torino conobbe Gramsci e Togliatti con i quali fondò il giornale operaista “L’Ordine Nuovo”, partecipando attivamente alla rivolta del biennio rosso torinese. Nel 1921, al Congresso di Livorno, uscì dal Partito Socialista, per fondare con gli “ordinovisti” di Torino, gli “astensionisti” di Bordiga e i “massimalisti” di Marabini e Graziadei il Partito Comunista d’Italia sezione della Terza Internazionale comunista, entrando a far parte del primo esecutivo ristretto. Eletto deputato nel 1922 e nel 1924, a seguito della vittoria fascista nel 1926 fu arrestato e condannato dal Tribunale Speciale (con Antonio Gramsci e Giovanni Roveda) a 22 anni e 9 mesi di carcere. Dopo averne scontati 11 a Roma, nel 1937 venne spedito al confino prima a Ponza e poi a Santo Stefano, dove sarà liberato dai partigiani nel 1943, rifugiandosi in Svizzera per la sua duplice condizione di comunista ed ebreo. Tornerà in Italia l’anno successivo per far parte degli organismi dirigenti della Repubblica libera partigiana dell’Ossola. Eletto deputato e vicepresidente dell'Assemblea Costituente nel 1946, un anno dopo ne sarà presidente dopo le dimissioni di Giuseppe Saragat. Fu lui a firmare la Costituzione italiana insieme al Capo dello Stato Enrico De Nicola e al Presidente del Consiglio dei ministri Alcide De Gasperi. Venne ripetutamente eletto alla Camera dei Deputati e per due volte fu candidato alla presidenza della Repubblica. Fu un comunista “atipico” riuscendo sempre a coniugare il suo indomabile spirito di critica e di indipendenza con la disciplina del Partito dal quale non si allontanò mai, nemmeno nei momenti di scontro più duri sia durante il fascismo, in occasione del Patto Ribbentrop/Molotov che gli costò una lunga sospensione dal partito, sia
successivamente in occasione della così detta destalinizzazione, che condivise, ma imputò a tutti gli organi dirigenti, rifiutando l’ipocrisia dello scarico delle responsabilità sull’unico colpevole. Restano memorabili nella storia dei congressi dell’Internazionale Comunista le parole di Lenin che, interrompendone la foga oratoria gli diceva (in francese) “più elasticità, compagno Terracini, più elasticità”. La migliore descrizione di questo straordinario personaggio della storia del comunismo, ma anche della politica e della cultura nel senso più ampio italiana del ‘900, la si può leggere proprio da una intervista rilasciata negli ultimi anni della sua vita. “Io ho sempre pensato che al singolo, per alto che sia il suo ingegno e per quanto grande sia la sua capacità di agire, non è dato di incidere sulla realtà se non si unisce agli affini, ai simili, agli uguali. Ove la si voglia dirigere e mutare, e questo è l’animus del politico, è al collettivo, al ‘politico’, come oggi si dice, che bisogna rivolgersi. Per questo ho sempre voluto restare nell’ambito di una forza organizzata nella quale, e per il cui tramite, il mio pensiero potesse divenire azione efficiente. E anche quando ho dissentito da certe posizioni del partito ho evitato sempre di farmi trascinare, per amore delle mie idee, a tali passi che mi portassero a staccarmene definitivamente. In questo caso, salvaguardate che io avessi le mie idee, le avrei insieme condannate alla sterilità, all’impotenza. Avrei cioè tradito la mia natura di militante. Al dunque, non avrei neppure salvato la mia coscienza. Questa è la chiave della comprensione della mia condotta. Non ho mai voluto e non voglio essere un pensatore solitario, non amo il destino delle anime belle. So che per realizzare anche solo in parte il mio pensiero, per dargli concretezza, devo innestarlo in quello, operante, di una grande forza della cui validità, alla distanza, non ho mai dubitato e non dubito. D’altronde, le mie radici affondano nello stesso terreno ideologico dal quale il partito trae nutrimento, e ciò mi dà garanzia che, pur nell’autonomia dell’elaborazione, un incontro alla fine tornerà a esserci. Ecco perché, se potessi rivivere la mia vita di militante, non batterei strada diversa. E d’altronde non credo che i compagni, ormai, me lo chiederebbero”.
Un comunista rivoluzionario un sovversivo
supplemento al numero 3 - Anno III - marzo 2011 di Piazza del Grano - www.piazzadelgrano.org
Nè con lo Stato borghese Nè con le Brigate Rosse I Comunisti non debbono mai tagliarsi fuori dalla maggioranza del popolo e, dimenticandosi di essa, andare alla ventura capeggiando qualche minoranza avanzata; ma staranno sempre attenti a stabilire stretti legami tra gli elementi avanzati e la grande massa del popolo. Questo vuol dire pensare alla maggioranza. Noi Comunisti siamo come il seme e il popolo è come la terra. Dovunque andiamo, dobbiamo unirci al popolo, radicarci e fiorire in mezzo al popolo. MAO Gettare la sola avanguardia nella battaglia decisiva prima che tutta la classe, prima che le grandi masse abbiano preso una posizione o un appoggio diretto allavanguardia, non sarebbe soltanto una sciocchezza, ma anche un delitto. Affinché effettivamente le grandi masse dei lavoratori e degli oppressi dal capitale giungano a prendere tale posizione, la sola propaganda, la sola agitazione non basta. Per questo è necessaria lesperienza politica delle masse stesse. LENIN
Comunismo contro terrorismo Marx contro Mazzini Il tema “terrorismo” è quanto mai “delicato” (ma d’altronde non lo sono stati meno diversi dei temi già trattati e che saranno trattati in futuro negli inserti di questo giornale). Affrontarlo richiede pertanto una premessa ideologica, politica, culturale e morale estremamente chiara. Le due citazioni a fianco del simbolo della BR dovrebbero da sole già dare sufficiente conto di quanto l’idea stessa del terrorismo sia estranea al pensiero comunista. Varrà di aggiungere che non è con Lenin, prima, e con Mao, poi, che il partito comunista (inteso come unico soggetto politico mondiale) ha sancito la sua distanza da ogni forma di insurrezionalismo elitario, marginale e/o emarginato, escluso ed estraneo dalla lotta di classe che è il vero motore del processo che conduce alla realizzazione della società comunista. La prima lezione in tal senso la troviamo già in Marx ed Engels, nella loro severissima critica alle teorie insurrezionali mazziniane e di quella nutrita schiera di ideologi borghesi che nella metà dell’ottocento progettavano, attraverso velleitarie iniziative di ribellioni assolutamente minoritarie e singole azioni “bombarole” regicide, la costruzione di una Europa repubblicana che avrebbe sancito (parole testuali di Marx) l’avvento di una Europa democratica con l’ “imbecillità decretata in permanenza”.
L’esaurimento della spinta rivoluzionaria del 1948 aveva aperto alla analisi dei meccanismi di funzionamento del nuovo sistema capitalista. E’ nel decennio seguente, nel così detto “decennio fecondo”, che Marx ed Engels elaborano la teoria del capitale, ne analizzano e svelano i meccanismi di formazione e di conservazione, di presa e di gestione del potere dapprima economico e poi politico. Emerge e si definisce il concetto di classe, ovvero delle classi sociali create dal nuovo sistema di economia capitalista che stabilisce un nuovo rapporto di dominio dell’uomo sull’uomo, basato non più sul privilegio della nascita e sulla forza delle armi, ma sulla proprietà dei mezzi di produzione. E’ sulla lotta di classe che si svolgerà la futura storia dell’umanità e l’esperienza del primo governo popolare della Comune di Parigi del 1870 (profondamente avversata da Mazzini) ne costituirà la prima testimonianza; ma sarà anche la prova della immaturità di un progetto rivoluzionario vincente e, dunque, durissima sarà la posizione dei fondatori del comunismo scientifico avverso il così detto “terrorismo democratico italiano” ispirato da Mazzini nella totale indifferenza delle classi popolari che, fallimento insurrezionale dopo fallimento, ne subiranno le conseguenze devastanti. Mazzini era un terrorista,
spinto sino alla organizzazione di attentati bombaroli regicidi, i comunisti ne hanno da subito denunciato la imbecillità e la pericolosità. Marx ed Engels combatterono tutta la vita contro questa concezione soggettivistica della politica, contro questa concezione settaria. Essi operarono per una rivoluzione sociale che avesse per protagonista non una minoranza che incute “terrore”, ma la classe del proletariato, la massa degli sfruttati. Scriveva Marx già nel 1851: “Ritengo che la politica di Mazzini sia fondamentalmente sbagliata. Col suo insistere affinché l’Italia si metta ora in movimento, egli fa il gioco dell’Austria. D’altra parte trascura di rivolgersi a quella parte dell’Italia che è oppressa da secoli, ai contadini, e in tal modo prepara nuove riserve alla controrivoluzione. Il signor Mazzini conosce soltanto le città con la loro nobiltà liberale e i loro citoyen éclairés (cittadini illuminati). Naturalmente i bisogni materiali delle popolazioni agricole italiane dissanguate e sistematicamente snervate e incretinite come quelle irlandesi sono troppo al di sotto del firmamento retorico dei suoi manifesti cosmopolitico – neocattolico – ideologici ... Per il rimanente la rivoluzione italiana supera di gran lunga quella tedesca per la povertà di idee e l’abbondanza di parole”.
Anni di piombo, cellule eversive, anarco-insurrezionalisti e altre pericolose imbecillità Quattro (o cinque o sei, il numero non conta) ragazzi di provincia inviano una busta con due proiettili alla Presidente della Regione, bruciano un paio di centraline elettriche e imbrattano dei muri con scritte “eversive”. Piovono dal cielo le “forze speciali” e la televisione (tutte le televisioni) rimbombano la minaccia del “ritorno agli anni di piombo”; anni (3, 4 decenni in verità) nei quali, secondo politici, politologi e giornalisti d’avanspettacolo l’Italia avrebbe vissuto nel terrore di attentati terroristici “rossi” (o rosso-neri se anarchici). Nell’articolo a fianco abbiamo chiarito l’estraneità, anzi l’incompatibilità tra qualsiasi organizzazione sedicente rivoluzionaria pensata su azioni paramilitari individualistiche e l’universo del pensiero filosofico, scientifico e morale del comunismo. Vogliamo qui dedicare alcune brevi considerazioni all’uso scientifico, politicamente criminale, che viene fatto di false evocazioni emotive per creare invece emozioni reali; del parlare cioè di un “antico” terrore inesistente per indurne invece uno attuale e reale. Utilizzeremo dei numeri ribadendo che i dati che citeremo, come sempre, hanno fonti sicure e comunque sono verificabili da parte di chiunque lo voglia. Utilizzeremo dei numeri, in qualche modo violando un
principio al quale vorremmo sempre attenerci, quello delle “ragioni” che danno “qualità” alle “quantità”, per cercare di dare con maggiore immediatezza il senso delle proporzioni, ovvero delle “sproporzioni”. Con “anni di piombo” in Italia ci si riferisce all’oramai circa quarantennio che va dalla prima comparsa delle Brigate Rosse torinesi e genovesi agli ultimi allarmi della ridicola (il termine non si riferisce e non vuole assolutamente offendere i ragazzi coinvolti) cellula eversiva spoletina. Le vittime imputabili a questo quarantennio di violenza sono state circa 85 (ripetiamo: ne sarebbe bastata una per qualificare ignobile quel fatto, anzi quel reato, ma un numero ha pur sempre un significato). Nello stesso quarantennio le vittime imputate alle azioni paramilitari dell’ETA basca sono state circa 850, tra le quali lo stesso primo ministro spagnolo Carrero Blanco. Ancora nello stesso periodo di quaranta anni le vittime della guerra indipendentista dell’IRA irlandese sono state circa 3.500 delle quali, precisano gli stessi irredentisti, 700 non combattenti. Tra le vittime “eccellenti”: il vice re dell’India lord Louis Moutbatten e, salva, la primo ministro Thatcher. Recentemente il Ministero dell’Interno italiano ha pubblicato una riclassifica-
zione degli omicidi in Italia per il quindicennio 19922006; complessivamente alla mafia siciliana, alla ndrangheta calabrese, alla sacra corona pugliese e alla camorra campana sono stati attribuiti ben 3.000 omicidi. Se il dato viene rielaborato per l’intero quarantennio considerato nei casi precedenti appare assai verosimile la cifra di 10.000 morti diffusa da Saviano in alcune interviste televisive. Inutile citarne le vittime così dette “illustri” (tutte le vittime sono illustri se ovviamente non sono della stessa “famiglia”) dalla magistratura, alle forze dell’ordine, alla politica e alla stampa “buone”, a tanti cittadini “onesti” laici e religiosi. Una guerra civile, tre volte più violenta dell’irredentismo irlandese e dieci volte più sanguinaria di quello basco, più di 100 volte il terrorismo così detto rosso. Perché allora solo l’evocazione degli anni di piombo genera (si vuole che generi) terrore, mentre il termine mafia finisce non raramente a coniugarsi con quello di “uomo d’onore”? Perché basta una sola stella a cinque punte malamente schizzata su di un muro di Torino per demonizzare un’intera classe lavoratrice e piegare, o almeno provare a piegarla alle volontà del padrone dei mezzi di produzione. Con la mafia si tratta, ai lavoratori si impone.
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Guerre “asimmetriche” e terrorismo
Giuseppe Pinelli
ferroviere anarchico innocente, ucciso nei locali della questura di Milano
L'Fbi definisce il terrorismo come “atti violenti... miranti a intimidire o a coartare la popolazione civile, a influenzare la politica di un governo, o a interferire nella condotta di un governo”. Chi è il “terrorista”, chi invade o chi resiste? da un articolo di Sergio Romano pubblicato sul Corriere della sera del 5 febbraio 2009
“Come lei sa, la definizione di terrorismo è un difficile esercizio a cui sono stati dedicati studi importanti e dibattiti interminabili, soprattutto alle Nazioni Unite. Personalmente uso quella che mette l'accento sulla clandestinità dell'organizzazione, la segretezza e l'imprevedibilità dell'attentato e, come nel caso del terrorismo religioso, l'uso della vita dell'attentatore come arma suprema. Nella guerra dei missili contro i territori israeliani queste caratteristiche non sono presenti. Le milizie di Hamas non sono una organizzazione segreta e ne hanno dato la prova, tra l'altro, combattendo contro le forze armate israeliane durante le scorse settimane. Si spostano rapidamente dopo il lancio del missile e cercano di
sfuggire alla rappresaglia. Ma questo è uno stile di combattimento comune a tutti i corpi speciali (arditi, commando, incursionisti, raiders, Seals) creati dalle forze armate di molti Stati nel corso del Novecento. Qualcuno potrebbe osservare, tuttavia, che i missili colpiscono centri abitati e sono diretti contro la popolazione civile. È vero. Ma l'uso della popolazione civile come obiettivo militare non è una novità introdotta dai movimenti dell'islamismo radicale. Il fenomeno comincia con i primi bombardamenti della Grande guerra. Assume proporzioni maggiori durante la guerra cino-giapponese e la guerra civile spagnola. Diventa una componente fondamentale della strategia dei Paesi combattenti durante la Seconda guerra mondiale. I bombardamenti tedeschi di Coventry, le V1 e le V2
lanciate su Londra, le bombe americane su Milano e Roma nel 1943, i bombardamenti anglo-americani di Dresda e di Amburgo, le bombe atomiche lanciate dagli Stati Uniti su Hiroshima e Nagasaki, non si proponevano la distruzione di un obiettivo militare. Il loro bersaglio era il «morale», vale a dire quel valore intangibile da cui dipende in ultima analisi la capacità di combattere e di resistere. Si colpiscono i civili, in altre parole, per piegare la loro volontà o, meglio ancora, aizzarli contro il loro governo. Se usiamo questo criterio, tra l'assedio israeliano di Gaza e i missili di Hamas contro Sderot e altre città esistono meno differenze di quanto non appaia a prima vista. Lo scopo, in ambedue i casi, è quello di attaccare il «fronte interno» del nemico e creare alle sue spalle un diffuso senti-
mento di rabbia e paura. Gli israeliani assediavano Gaza nella speranza di spingere il suo popolo alla rivolta. Hamas bombardava Sderot nella speranza di provocare Israele. E ha raggiunto il suo obiettivo. Aggiungo un'altra considerazione. Quella di Israele contro Hamas è una guerra doppiamente asimmetrica. È tale, anzitutto, perché i due combattenti hanno arsenali totalmente diversi e il piccolo non può permettersi di giocare la parte con le regole rese possibili da armi di cui non dispone. Ed è asimmetrica, in secondo luogo, perché Israele non riconosce all'organizzazione palestinese lo statuto di combattente legittimo. Quando è considerato brigante il nemico tende inevitabilmente a comportarsi come tale. Ma non è necessariamente un terrorista.”
Attacco di via Rasella ed eccidio delle Fosse Ardeatine: un atto di guerra e una reazione di terrorismo
II
Il 23 marzo 1944 in via Rasella a Roma alcuni partigiani dei Gruppi di Azione Patriottica (GAP) attaccarono un reparto delle truppe di occupazione tedesche. Tale azione si svolse nell'ambito della lotta di liberazione nazionale condotta contro il nazifascismo. L'attacco fu sferrato contro un reparto di polizia militare tedesca incorporato nel comando delle SS. Seguì l'efferata rappresaglia consumata alle Fosse Ardeatine con l’eccidio di 335 civili italiani. L'attacco di via Rasella e l'eccidio delle fosse Ardeatine, sono due degli episodi più drammatici e sanguinosi dell'occupazione tedesca di Roma. Con l'armistizio dell'8 settembre 1943 e la fuga del re e del governo, Roma divenne teatro di una battaglia contro i tedeschi nel corso della quale caddero 1.167 militari e oltre 120 civili italiani. Pesanti perdite soffrirono anche ai tedeschi, che però si impadronirono in breve della capitale. Roma passò nominalmente sotto il governo della Repubblica Sociale Italiana, ma di fatto era nelle mani delle autorità militari tedesche. I tedeschi, consapevoli del valore politico di Roma, con la presenza del Vaticano, tentarono di far fruttare propagandisticamente la dichiarazione di "città aperta" emessa da governo Badoglio, mantenendo all'interno della cerchia cittadina reparti di polizia militare SS-Polizei, nonché truppe di comando e servizi. Lo sbarco di Anzio cambiò il quadro tattico e il 22 gennaio 1944, l'intera provincia di Roma fu dichiarata "zona di operazioni" e capo della Gestapo di Roma, gestore dell'ordine pubblico, divenne l'ufficiale delle SS Herbert Kappler. Kappler pianificò frequenti rastrellamenti, arrestò numerosi sospetti antifascisti, organizzò in Via Tasso un centro di detenzione e tortura, creò nella città un clima di terrore, più volte violando le extraterritorialità vaticane in cui avevano trovato ospitalità centinaia di esponenti dell'antifasci-
smo ed ebrei. Nonostante ciò i GAP, formati per la maggior parte da partigiani del partito comunista, attaccarono i tedeschi numerose volte continuando la guerra parallela e coordinata con lo sforzo alleato. Toccò quindi a Giorgio Amendola, rappresentante del Partito Comunista Italiano presso la giunta militare del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), organizzare l'azione partigiana. La data dell’attacco, il 23 marzo 1944, fu scelta non casualmente per farla coincidere con il XXV anni-
versario della fondazione dei Fasci Italiani di Combattimento, e avrebbe dovuto svolgersi con due azioni contemporanee: un attacco al teatro Adriano in Piazza Cavour dove i fascisti avevano programmato la commemorazione dell’anniversario e uno contro una formazione militare tedesca. Il primo attacco venne annullato perché i tedeschi non consentirono la manifestazione fascista e l’azione dei GAP si concentro sull’attacco al reparto di polizia delle SS denominato SS Polizei Regiment Bozen, composto da 156 uomini altoatesini/sudtirolesi arruolati nella polizia in seguito all'occupazione tedesca dopo il 1º ottobre 1943 delle province di Bolzano, Trento e Belluno, fondamentalmente impiegati nella guerra anti-partigiana, nella cac-
cia agli ebrei, agli antifascisti, ai renitenti alla leva militare e del lavoro, ecc.; alla fine della guerra molti di loro furono processati e condannati da tribunali militari Alleati per aver compiuto crimini di guerra. Numerosi partigiani partecipato all'azione che si svolse dapprima con l’esplosione di un ordigno collocato all’interno di un carrettino della nettezza urbana e, quindi, con pistole e bombe a mano contro i superstiti dell’esplosione. L’azione venne diretta da Franco Calamandrei (detto Cola) e Car-
lo Salinari (detto Spartaco), ad innescare l’esplosivo fu Rosario Bencivenga (detto Paolo). Nell'immediatezza dell'attacco rimasero uccisi 32 militari tedeschi e 110 rimasero feriti, oltre a 2 vittime civili. Dei feriti, uno morì poco dopo il ricovero, mentre era in corso la preparazione della rappresaglia, che fu dunque calcolata in base a 33 vittime germaniche. Nei giorni seguenti morirono altri 9 militari feriti portando così a 42 il totale. Immediatamente dopo la cessazione dei combattimenti in via Rasella, i superstiti del SS Polizei Bozen iniziarono a rastrellare la popolazione della zona circostante, arrestando abitanti e passanti, raccogliendoli nel cortile del vicino Palazzo Barberini e quindi trasferendoli direttamente alle Fosse Ar-
deatine, assieme a un altro consistente numero di prigionieri forniti dal direttore delle carceri di Roma (poi linciato dalla popolazione durante il processo al questore di Roma). Il massacro dei rastrellati e dei prigionieri venne qualificato dalle truppe di occupazione naziste come atto di “rappresaglia” calcolata con la percentuale di 10 civili per ogni militare ucciso. Difendendosi dall’accusa dell’eccidio Kappler affermò di avere diramato un comunicato con il quale aveva intimato ai responsabili dell’attacco di consegnarsi per evitare il massacro dei civili, avendo dato un termine di 24 ore. Di questo avviso non è mai stata data prova mentre è certo e provato che il massacro delle Fosse Ardeatine venne compiuto esattamente 21 ore dopo l’attacco di via Rasella, di nascosto e con la tecnica dell’occultamento immediato delle vittime che vennero sepolte collettivamente con l’esplosione delle volte della cava di tufo. La ferocia del massacro delle Fosse Ardeatine, una volta scoperto, ha giustificato nel tempo numerosi tentativi di addossare ai partigiani la responsabilità di un “legittimo atto di reazione” da parte delle truppe di occupazione naziste, cercando di de-qualificare l’azione partigiana come atto di terrorismo. La Cassazione si è numerose volte espressa sul punto sempre affermando la natura dell’attacco di via Rasella come atto di lotta partigiana “considerata dalla legislazione italiana quale legittima attività di guerra” (Sentenza n. 3053 del 19 luglio 1957, le Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione). I GAP romani erano dunque combattenti di una guerra di liberazione “asimmetrica” contro truppe di occupazione straniere sostenute dai traditori fascisti e agevolate dalla vigliacca fuga del re e della sua corte. La rappresaglia delle truppe di occupazione naziste era indubbiamente un atto di terrorismo.
“La vecchia credeva che fossero mortaretti e cominciò a battere le mani festosa. Rideva. Per una frazione di secondo continuò a ridere, allegra, dentro di sé, ma il suo sorriso si era già rattrappito in un ghigno di terrore. Un mulo cadde con il ventre all'aria. A una bambina, all’improvviso, la piccola mascella si arrossò di sangue. La polvere si levava a spruzzi come se il vento avesse preso a danzare. C'era gente che cadeva, in silenzio, e non si alzava più. Altri scappavano urlando, come impazziti. E scappavano, in preda al terrore, i cavalli, travolgendo uomini, donne, bambini. Poi si udì qualcosa che fischiava contro i massi. Qualcosa che strideva e fischiava. E ancora quel rumore di mortaretti. Un bambino cadde colpito alla spalla. Una donna, con il petto squarciato, era finita esanime sulla carcassa della sua cavalla sventrata. Il corpo di un uomo, dalla testa maciullata cadde al suolo con il rumore di un sacco pieno di stracci. E poi quell'odore di polvere da sparo. La carneficina durò in tutto un paio di minuti. Alla fine la mitragliatrice tacque e un silenzio carico di paura piombò sulla piccola vallata. In lontananza il fiume Jato riprese a far udire il suo suono liquido e leggero. E le due alture gialle di ginestre, la Pizzuta e la Cumeta, apparvero tra la polvere come angeli custodi silenti e smarriti. Era il l° maggio 1947 e a Portella della Ginestra si era appena compiuta la prima strage dell'Italia repubblicana” Il 1º maggio 1947, nell'immediato dopoguerra, si tornava a festeggiare la festa dei lavoratori, spostata al 21 aprile durante il regime fascista. Circa duemila lavoratori della zona di Piana degli Albanesi, in prevalenza contadini, si riunirono nella vallata di Portella della Ginestra per manifestare contro il latifondismo, a favore dell'occupazione delle terre incolte, e per festeggiare la vittoria del Blocco del Popolo nelle recenti elezioni per l'Assemblea Regionale Siciliana, svoltesi il 20 aprile di quell'anno e nelle quali la coalizione PSI PCI aveva conquistato 29 rappresentanti (con il 29% circa dei voti) contro i soli 21 della DC (crollata al 20% circa). Sulla gente in festa partirono dalle colline circostanti numerose raffiche di mitra che lasciarono
sul terreno, secondo le fonti ufficiali, 11 morti (9 adulti e 2 bambini) e 27 feriti, di cui alcuni morirono in seguito per le ferite riportate. La CGIL proclamò lo sciopero generale, accusando i latifondisti siciliani di voler “soffocare nel sangue le organizzazioni dei lavoratori”. Solo quattro mesi dopo si seppe che a sparare materialmente erano stati gli uomini del bandito separatista Salvatore Giuliano, colonnello del E.V.I.S.. Il rapporto dei carabinieri sulla strage faceva chiaramente riferimento a "elementi reazionari in combutta con i mafiosi locali". Nel 1949 Giuliano scrisse una lettera ai giornali, in cui affermava lo scopo politico della strage. Questa tesi fu smentita dall'allora ministro degli Interni Mario Scelba. Nel 1950, il bandito Giuliano fu as-
sassinato dal suo luogotenente Gaspare Pisciotta, il quale morì avvelenato in carcere quattro anni più tardi, dopo aver affermato di voler rivelare i nomi dei mandanti della strage. Attualmente vi sono forti dubbi sul fatto che Pisciotta fosse l'autore dell'omicidio. Sul movente dell'eccidio furono formulate alcune ipotesi già all'indomani della tragedia. Il 2 maggio 1947 il ministro Scelba intervenne all'Assemblea Costituente, affermando che dietro all'episodio non vi era alcuna finalità politica o terroristica, ma che doveva essere considerato un fatto circoscritto e identificò in Salvatore Giuliano e nella sua banda gli unici responsabili. Il processo del 1951, dapprima istruito a Palermo, poi spostato a Viterbo per legittima suspicione, si
concluse con la conferma di questa tesi, con il riconoscimento della colpevolezza di Salvatore Giuliano (morto il 5 luglio 1950, ufficialmente per mano del capitano Antonio Perenze) e con la condanna all'ergastolo di Gaspare Pisciotta e di altri componenti la banda. Pisciotta durante il processo, oltre ad attribuirsi l'assassinio di Giuliano, lanciò pesanti accuse sui presunti mandanti politici della strage: “Coloro che ci avevano fatto le promesse si chiamavano così: L'onorevole deputato democristiano on. Bernardo Mattarella, l'onorevole deputato regionale Giacomo Cusumano Geloso, il principe Giovanni Alliata di Montereale, l'onorevole monarchico Tommaso Leone Marchesano e anche il signor Scelba… Furono Marchesano, il principe Alliata,
7 luglio 1960, Strage di Reggio Emilia La strage fu l'apice di un periodo di alta tensione in tutta l'Italia, in cui avvennero scontri con la polizia. I fatti scatenanti furono la formazione del governo Tambroni, monocolore democristiano con il determinante appoggio esterno del MSI, e l'avallo della scelta di Genova (città "partigiana", già medaglia d'oro della Resistenza) come sede del congresso del partito missino. Le reazioni d'indignazione furono molteplici e la tensione in tutto il paese provocò una grande mobilitazione popolare. L'allora Presidente del Consiglio, Fernando Tambroni, diede libertà di aprire il fuoco in "situazioni di emergenza" ed alla fine di quelle settimane drammatiche si contarono undici morti e
centinaia di feriti. Queste drammatiche conseguenze avrebbero costretto alle dimissioni il governo Tambroni. La sera del 6 luglio la CGIL reggiana proclamò lo sciopero cittadino di protesta contro le violenze dei giorni precedenti. La prefettura proibì gli assembramenti nei luoghi pubblici e concesse unicamente i 600 posti della Sala Verdi per lo svolgimento del comizio. L'indomani il corteo di protesta era composto da circa 20.000 manifestanti. Un gruppo di circa 300 operai delle Officine Meccaniche Reggiane decise quindi di raccogliersi davanti al monumento ai Caduti, cantando canzoni di protesta. Alle 16.45 del pomeriggio una carica di un reparto di 350 poli-
ziotti, al comando del vicequestore Giulio Cafari Panico, investì la manifestazione pacifica. Anche i carabinieri, al comando del tenente colonnello Giudici, partecipano alla carica. Incalzati dalle camionette, dai getti d'acqua e dai lacrimogeni, i manifestanti cercarono rifugio nel vicino isolato San Rocco, per poi barricarsi letteralmente dietro ogni sorta di oggetto trovato, seggiole, assi di legno, tavoli dei bar e rispondendo alle cariche con lancio di oggetti. Respinte dalla disperata resistenza dei manifestanti, le forze dell'ordine impugnarono le armi da fuoco e cominciarono a sparare. Sul selciato della piazza caddero: Lauro Farioli (1938), operaio di 22 anni, orfano di padre, spo-
sato e padre di un bambino; Ovidio Franchi (1941), operaio di 19 anni, il più giovane dei caduti; Marino Serri (1919), pastore di 41 anni, partigiano della 76a, primo di sei fratelli; Afro Tondelli (1924), operaio di 36 anni, partigiano della 76a SAP, è il quinto di otto fratelli; Emilio Reverberi (1921), operaio di 39 anni, partigiano nella 144a Brigata Garibaldi era commissario politico nel distaccamento "G. Amendola". Furono sparati 182 colpi di mitra , 14 di moschetto e 39 di pistola , una guardia di PS dichiarò di aver perduto 7 colpi di pistola. Sedici furono i feriti "ufficiali", ovvero quelli portati in ospedale perché ritenuti in pericolo di vita, ma molti altri preferirono curarsi "clandesti-
l'onorevole Mattarella a ordinare la strage di Portella… Dopo le elezioni del 18 aprile 1948, Giuliano mi ha mandato a chiamare e ci siamo incontrati con Mattarella e Cusumano; l'incontro tra noi e i due mandanti è avvenuto in contrada Parrini, dove Giuliano ha chiesto che le promesse fatte prima del 18 aprile fossero mantenute. I due tornarono allora da Roma e ci hanno fatto sapere che Scelba non era d'accordo con loro, che egli non voleva avere contatti con i banditi.” Una tesi più recente attribuisce invece la strage a una coincidenza di interessi tra i post-fascisti che durante la guerra avevano combattuto nella Xª Flottiglia MAS di Junio Valerio Borghese, i servizi segreti USA (preoccupati dell'avanzata comunista in Italia) e i latifondisti siciliani.
namente", allo scopo di non farsi identificare. I fatti furono cantati in una celebre canzone di Fausto Amodei, dal titolo Per i morti di Reggio Emilia e, più recentemente, alla base del romanzo di Paolo Nori del 2006 Noi la farem vendetta. In seguito ai fatti di Reggio Emilia in data 29 novembre 1962 la Sezione Istruttoria della Corte d'appello di Bologna rinviava a Giudizio il vicequestore Giulio Cafari Panico per omicidio colposo plurimo e l'agente Orlando Celani per omicidio. Il dibattimento venne celebrato avanti la Corte d'Assise di Milano e non a Reggio Emilia; Il vice-questore fu assolto con formula piena, per non aver commesso il fatto, mentre l'agente venne assolto con formula dubitativa.
Il processo che doveva far luce sulla morte di Giuseppe Pinelli si è arrestato davanti alla bara del ferroviere ucciso senza colpa. Chi porta la responsabilità della sua fine, Luigi Calabresi, ha trovato nella legge la possibilità di ricusare il suo giudice. Chi doveva celebrare il giudizio, Carlo Biotti, lo ha inquinato con i meschini calcoli di un carrierismo senile. Chi aveva indossato la toga del patrocinio legale, Michele Lener, vi ha nascosto le trame di una odiosa coercizione. Oggi come ieri - quando denunciammo apertamente l'arbitrio calunnioso di un questore, Michele Guida[9], e l'indegna copertura concessagli dalla Procura della Repubblica, nelle persone di Giovanni Caizzi e Carlo Amati - il nostro sdegno è di chi sente spegnersi la fiducia in una giustizia che non è più tale quando non può riconoscersi in essa la coscienza dei cittadini. Per questo, per non rinunciare a tale fiducia senza la quale morrebbe ogni possibilità di convivenza civile, noi formuliamo a nostra volta un atto di ricusazione. Una ricusazione di coscienza - che non ha minor legittimità di quella di diritto - rivolta ai commissari torturatori, ai magistrati persecutori, ai giudici indegni. Noi chiediamo l'allontanamento dai loro uffici di coloro che abbiamo nominato, in quanto ricusiamo di riconoscere in loro qualsiasi rappresentanza della legge, dello Stato, dei cittadini 13 giugno 1971 Seguono 757 firme Il 12 dicembre 1969 una bomba scoppia nei locali della Banca dell’Agricoltura in Piazza Fontana a Milano causando la morte di 17 persone e il ferimento di altre 88. Poco dopo una seconda bomba inesplosa verrà rinvenuta nella sede della Banca Commerciale in Piazza della Scala sempre a Milano, mentre una terza esploderà invece a Roma nel sotterraneo della Banca Nazionale del Lavoro di via Veneto ferendo 13 persone, una quarta sempre a Roma esploderà davanti all’Altare della Patria e una quinta all’ingresso del Museo del Risorgimento in Piazza Venezia a Roma ferendo quattro persone. E’ l’inizio della “strategia della tensione” che in pochi anni collezionerà ben 144 attentati, alcuni con conseguenze enormi come la strage del 2 agosto 1980 alla Stazione di Bologna che causò la morte di 85 persone e il ferimento di oltre 200. Sono le “stragi di Stato”, quelle che non hanno mai avuto colpevoli, ma che avevano un preciso obiettivo che, almeno in parte, hanno realizzato, fermare la crescita democratica del nostro Paese, la spinta rivoluzionaria del ’68, la crescita del Partito Comunista e del suo sindacato operaio; forse anche preparare un colpo di Stato fascista con la connivenza di una “certa” presidenza della Repubblica e l’avvallo e il sostegno se non la vera e propria istigazione degli Stati Uniti, colpo di Stato abortito nel grottesco tentativo di Junio Valerio Borghese dell’8 dicembre 1970. Per la strage di Piazza Fontana tuttavia non vi furono dubbi per la questura di Milano: i colpevoli erano gli anarchici, uno in particolare che il Commissario Luigi Calabresi a capo dell’Ufficio Politico ben conosceva personalmente: il ferroviere Giuseppe Pinelli. Pinelli venne arrestato e portato alla Questura di Milano con altri anarchici il giorno successivo alla strage, il 13 dicembre 1969. Alle ore 24 di quella stessa notte il suo copro cadde giù dal quarto piano schiantandosi sul selciato del cortile; all’arrivo dell’ambulanza, che risultò essere stata chiamata alcuni minuti
prima della “caduta”, era ancora vivo ma morì durante il trasporto all’ospedale. Solo pochi anni di indagini giudiziarie e nel 1975 i responsabili della morte di Pinelli vennero tutti assolti: “mentre era sotto interrogatorio nella stanza del Commissario Calabresi, Pinelli, vistosi perduto, al grido ‘l’anarchia è morta’ si divincolò dalla stretta degli agenti e si lanciò dalla finestra casualmente aperta”. Pinelli era innocente e questo è un dato accertato indiscutibilmente, così come lo erano tutti i suoi compagni anarchici lungamente perseguitati, detenuti e pestati anche se, fortunatamente, almeno loro rimasti vivi. Per denunziare questa vergogna e questa gravissima offesa alla legalità e alla dignità dello Stato democratico 757 politici, sindacalisti, intellettuali, artisti e lavoratori d’ogni mestiere e professione firmarono già nel 1971 la denuncia pubblica sopra trascritta. Non servì sostanzialmente a nulla, le stragi continuarono e continuarono i depistaggi, le confusioni, in una parola il “terrore”; sino al livello politicamente più elevato, sino alla strage di via Fani e all’esecuzione di Aldo Moro. Tre anni dopo l’uccisione di Giuseppe Pinelli un commando, che la giustizia ha accertato essere stato ispirato da alcuni dirigenti storici di Lotta Continua, anche se gli stessi hanno sempre negato, uccise il Commissario Luigi Calabresi. Dell’assassinio di Giuseppe Pinelli s’è completamente persa la memoria, di quello del Commissario Calabresi ancora ripetutamente se ne parla con toni da martirio, sino alla proposta, lungamente coltivata da alcune frange cattoliche, della sua beatificazione. Ora è assolutamente fuori discussione che nessuno può arrogarsi il diritto di disporre della vita altrui, chiunque sia questo “altrui” e qualsiasi cosa abbia commesso o di qualsiasi più tremenda infamia si sia macchiato. Per i comunisti, che non credono in una seconda vita, che non credono che ci sia un essere immaginario che può dare e togliere la vita a suo piacimento,
la vita è il bene più grande che un essere umano può possedere, è il bene per eccellenza, nessuno dunque ne può disporre se non il suo proprietario. Chi ha ucciso il Commissario Calabresi, chiun que esso sia ed è forte il dubbio che siano realmente stati gli attuali condannati, merita comunque il massimo del dissenso. Tuttavia non può essere dimenticato che il Commissario Luigi Calabresi era il responsabile, l’autore, forse materiale certamente solidale, dell’omicidio di un cittadino italiano affidato alle sue funzioni di tutore della incolumità pubblica, e non rileva neppure precisare che lo stesso fosse manifestamente innocente; Giuseppe Pinelli era un cittadino nelle mani dello Stato e lo Stato lo ha ucciso e poi ha coperto le proprie responsabilità abusando del proprio potere. In uno Stato diverso, in uno Stato di giustizia e legalità il Commissario Luigi Calabresi sarebbe stato condannato a una lunga, lunghissima detenzione per avere ucciso, con l’aggravante massima delle sue specifiche funzioni, un cittadino italiano, un essere umano. Con l’invito a voler comprendere correttamente i termini che ora verranno usati, deve essere affermato che “è sicuramente grave se un mafioso uccide un magistrato, ma è enormemente più grave se è un magistrato a uccide un mafioso”, perché in questo caso si mettono in discussione le fondamenta stesse dello Stato di diritto e si mina non solo la fiducia, ma lo stesso rispetto dei cittadini verso le proprie istituzioni. E anche questo, anzi forse soprattutto la perdita di fiducia nelle istituzioni è “terrore” e indurla è “terrorismo”.
III
Guerre “asimmetriche” e terrorismo
Giuseppe Pinelli
ferroviere anarchico innocente, ucciso nei locali della questura di Milano
L'Fbi definisce il terrorismo come “atti violenti... miranti a intimidire o a coartare la popolazione civile, a influenzare la politica di un governo, o a interferire nella condotta di un governo”. Chi è il “terrorista”, chi invade o chi resiste? da un articolo di Sergio Romano pubblicato sul Corriere della sera del 5 febbraio 2009
“Come lei sa, la definizione di terrorismo è un difficile esercizio a cui sono stati dedicati studi importanti e dibattiti interminabili, soprattutto alle Nazioni Unite. Personalmente uso quella che mette l'accento sulla clandestinità dell'organizzazione, la segretezza e l'imprevedibilità dell'attentato e, come nel caso del terrorismo religioso, l'uso della vita dell'attentatore come arma suprema. Nella guerra dei missili contro i territori israeliani queste caratteristiche non sono presenti. Le milizie di Hamas non sono una organizzazione segreta e ne hanno dato la prova, tra l'altro, combattendo contro le forze armate israeliane durante le scorse settimane. Si spostano rapidamente dopo il lancio del missile e cercano di
sfuggire alla rappresaglia. Ma questo è uno stile di combattimento comune a tutti i corpi speciali (arditi, commando, incursionisti, raiders, Seals) creati dalle forze armate di molti Stati nel corso del Novecento. Qualcuno potrebbe osservare, tuttavia, che i missili colpiscono centri abitati e sono diretti contro la popolazione civile. È vero. Ma l'uso della popolazione civile come obiettivo militare non è una novità introdotta dai movimenti dell'islamismo radicale. Il fenomeno comincia con i primi bombardamenti della Grande guerra. Assume proporzioni maggiori durante la guerra cino-giapponese e la guerra civile spagnola. Diventa una componente fondamentale della strategia dei Paesi combattenti durante la Seconda guerra mondiale. I bombardamenti tedeschi di Coventry, le V1 e le V2
lanciate su Londra, le bombe americane su Milano e Roma nel 1943, i bombardamenti anglo-americani di Dresda e di Amburgo, le bombe atomiche lanciate dagli Stati Uniti su Hiroshima e Nagasaki, non si proponevano la distruzione di un obiettivo militare. Il loro bersaglio era il «morale», vale a dire quel valore intangibile da cui dipende in ultima analisi la capacità di combattere e di resistere. Si colpiscono i civili, in altre parole, per piegare la loro volontà o, meglio ancora, aizzarli contro il loro governo. Se usiamo questo criterio, tra l'assedio israeliano di Gaza e i missili di Hamas contro Sderot e altre città esistono meno differenze di quanto non appaia a prima vista. Lo scopo, in ambedue i casi, è quello di attaccare il «fronte interno» del nemico e creare alle sue spalle un diffuso senti-
mento di rabbia e paura. Gli israeliani assediavano Gaza nella speranza di spingere il suo popolo alla rivolta. Hamas bombardava Sderot nella speranza di provocare Israele. E ha raggiunto il suo obiettivo. Aggiungo un'altra considerazione. Quella di Israele contro Hamas è una guerra doppiamente asimmetrica. È tale, anzitutto, perché i due combattenti hanno arsenali totalmente diversi e il piccolo non può permettersi di giocare la parte con le regole rese possibili da armi di cui non dispone. Ed è asimmetrica, in secondo luogo, perché Israele non riconosce all'organizzazione palestinese lo statuto di combattente legittimo. Quando è considerato brigante il nemico tende inevitabilmente a comportarsi come tale. Ma non è necessariamente un terrorista.”
Attacco di via Rasella ed eccidio delle Fosse Ardeatine: un atto di guerra e una reazione di terrorismo
II
Il 23 marzo 1944 in via Rasella a Roma alcuni partigiani dei Gruppi di Azione Patriottica (GAP) attaccarono un reparto delle truppe di occupazione tedesche. Tale azione si svolse nell'ambito della lotta di liberazione nazionale condotta contro il nazifascismo. L'attacco fu sferrato contro un reparto di polizia militare tedesca incorporato nel comando delle SS. Seguì l'efferata rappresaglia consumata alle Fosse Ardeatine con l’eccidio di 335 civili italiani. L'attacco di via Rasella e l'eccidio delle fosse Ardeatine, sono due degli episodi più drammatici e sanguinosi dell'occupazione tedesca di Roma. Con l'armistizio dell'8 settembre 1943 e la fuga del re e del governo, Roma divenne teatro di una battaglia contro i tedeschi nel corso della quale caddero 1.167 militari e oltre 120 civili italiani. Pesanti perdite soffrirono anche ai tedeschi, che però si impadronirono in breve della capitale. Roma passò nominalmente sotto il governo della Repubblica Sociale Italiana, ma di fatto era nelle mani delle autorità militari tedesche. I tedeschi, consapevoli del valore politico di Roma, con la presenza del Vaticano, tentarono di far fruttare propagandisticamente la dichiarazione di "città aperta" emessa da governo Badoglio, mantenendo all'interno della cerchia cittadina reparti di polizia militare SS-Polizei, nonché truppe di comando e servizi. Lo sbarco di Anzio cambiò il quadro tattico e il 22 gennaio 1944, l'intera provincia di Roma fu dichiarata "zona di operazioni" e capo della Gestapo di Roma, gestore dell'ordine pubblico, divenne l'ufficiale delle SS Herbert Kappler. Kappler pianificò frequenti rastrellamenti, arrestò numerosi sospetti antifascisti, organizzò in Via Tasso un centro di detenzione e tortura, creò nella città un clima di terrore, più volte violando le extraterritorialità vaticane in cui avevano trovato ospitalità centinaia di esponenti dell'antifasci-
smo ed ebrei. Nonostante ciò i GAP, formati per la maggior parte da partigiani del partito comunista, attaccarono i tedeschi numerose volte continuando la guerra parallela e coordinata con lo sforzo alleato. Toccò quindi a Giorgio Amendola, rappresentante del Partito Comunista Italiano presso la giunta militare del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), organizzare l'azione partigiana. La data dell’attacco, il 23 marzo 1944, fu scelta non casualmente per farla coincidere con il XXV anni-
versario della fondazione dei Fasci Italiani di Combattimento, e avrebbe dovuto svolgersi con due azioni contemporanee: un attacco al teatro Adriano in Piazza Cavour dove i fascisti avevano programmato la commemorazione dell’anniversario e uno contro una formazione militare tedesca. Il primo attacco venne annullato perché i tedeschi non consentirono la manifestazione fascista e l’azione dei GAP si concentro sull’attacco al reparto di polizia delle SS denominato SS Polizei Regiment Bozen, composto da 156 uomini altoatesini/sudtirolesi arruolati nella polizia in seguito all'occupazione tedesca dopo il 1º ottobre 1943 delle province di Bolzano, Trento e Belluno, fondamentalmente impiegati nella guerra anti-partigiana, nella cac-
cia agli ebrei, agli antifascisti, ai renitenti alla leva militare e del lavoro, ecc.; alla fine della guerra molti di loro furono processati e condannati da tribunali militari Alleati per aver compiuto crimini di guerra. Numerosi partigiani partecipato all'azione che si svolse dapprima con l’esplosione di un ordigno collocato all’interno di un carrettino della nettezza urbana e, quindi, con pistole e bombe a mano contro i superstiti dell’esplosione. L’azione venne diretta da Franco Calamandrei (detto Cola) e Car-
lo Salinari (detto Spartaco), ad innescare l’esplosivo fu Rosario Bencivenga (detto Paolo). Nell'immediatezza dell'attacco rimasero uccisi 32 militari tedeschi e 110 rimasero feriti, oltre a 2 vittime civili. Dei feriti, uno morì poco dopo il ricovero, mentre era in corso la preparazione della rappresaglia, che fu dunque calcolata in base a 33 vittime germaniche. Nei giorni seguenti morirono altri 9 militari feriti portando così a 42 il totale. Immediatamente dopo la cessazione dei combattimenti in via Rasella, i superstiti del SS Polizei Bozen iniziarono a rastrellare la popolazione della zona circostante, arrestando abitanti e passanti, raccogliendoli nel cortile del vicino Palazzo Barberini e quindi trasferendoli direttamente alle Fosse Ar-
deatine, assieme a un altro consistente numero di prigionieri forniti dal direttore delle carceri di Roma (poi linciato dalla popolazione durante il processo al questore di Roma). Il massacro dei rastrellati e dei prigionieri venne qualificato dalle truppe di occupazione naziste come atto di “rappresaglia” calcolata con la percentuale di 10 civili per ogni militare ucciso. Difendendosi dall’accusa dell’eccidio Kappler affermò di avere diramato un comunicato con il quale aveva intimato ai responsabili dell’attacco di consegnarsi per evitare il massacro dei civili, avendo dato un termine di 24 ore. Di questo avviso non è mai stata data prova mentre è certo e provato che il massacro delle Fosse Ardeatine venne compiuto esattamente 21 ore dopo l’attacco di via Rasella, di nascosto e con la tecnica dell’occultamento immediato delle vittime che vennero sepolte collettivamente con l’esplosione delle volte della cava di tufo. La ferocia del massacro delle Fosse Ardeatine, una volta scoperto, ha giustificato nel tempo numerosi tentativi di addossare ai partigiani la responsabilità di un “legittimo atto di reazione” da parte delle truppe di occupazione naziste, cercando di de-qualificare l’azione partigiana come atto di terrorismo. La Cassazione si è numerose volte espressa sul punto sempre affermando la natura dell’attacco di via Rasella come atto di lotta partigiana “considerata dalla legislazione italiana quale legittima attività di guerra” (Sentenza n. 3053 del 19 luglio 1957, le Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione). I GAP romani erano dunque combattenti di una guerra di liberazione “asimmetrica” contro truppe di occupazione straniere sostenute dai traditori fascisti e agevolate dalla vigliacca fuga del re e della sua corte. La rappresaglia delle truppe di occupazione naziste era indubbiamente un atto di terrorismo.
“La vecchia credeva che fossero mortaretti e cominciò a battere le mani festosa. Rideva. Per una frazione di secondo continuò a ridere, allegra, dentro di sé, ma il suo sorriso si era già rattrappito in un ghigno di terrore. Un mulo cadde con il ventre all'aria. A una bambina, all’improvviso, la piccola mascella si arrossò di sangue. La polvere si levava a spruzzi come se il vento avesse preso a danzare. C'era gente che cadeva, in silenzio, e non si alzava più. Altri scappavano urlando, come impazziti. E scappavano, in preda al terrore, i cavalli, travolgendo uomini, donne, bambini. Poi si udì qualcosa che fischiava contro i massi. Qualcosa che strideva e fischiava. E ancora quel rumore di mortaretti. Un bambino cadde colpito alla spalla. Una donna, con il petto squarciato, era finita esanime sulla carcassa della sua cavalla sventrata. Il corpo di un uomo, dalla testa maciullata cadde al suolo con il rumore di un sacco pieno di stracci. E poi quell'odore di polvere da sparo. La carneficina durò in tutto un paio di minuti. Alla fine la mitragliatrice tacque e un silenzio carico di paura piombò sulla piccola vallata. In lontananza il fiume Jato riprese a far udire il suo suono liquido e leggero. E le due alture gialle di ginestre, la Pizzuta e la Cumeta, apparvero tra la polvere come angeli custodi silenti e smarriti. Era il l° maggio 1947 e a Portella della Ginestra si era appena compiuta la prima strage dell'Italia repubblicana” Il 1º maggio 1947, nell'immediato dopoguerra, si tornava a festeggiare la festa dei lavoratori, spostata al 21 aprile durante il regime fascista. Circa duemila lavoratori della zona di Piana degli Albanesi, in prevalenza contadini, si riunirono nella vallata di Portella della Ginestra per manifestare contro il latifondismo, a favore dell'occupazione delle terre incolte, e per festeggiare la vittoria del Blocco del Popolo nelle recenti elezioni per l'Assemblea Regionale Siciliana, svoltesi il 20 aprile di quell'anno e nelle quali la coalizione PSI PCI aveva conquistato 29 rappresentanti (con il 29% circa dei voti) contro i soli 21 della DC (crollata al 20% circa). Sulla gente in festa partirono dalle colline circostanti numerose raffiche di mitra che lasciarono
sul terreno, secondo le fonti ufficiali, 11 morti (9 adulti e 2 bambini) e 27 feriti, di cui alcuni morirono in seguito per le ferite riportate. La CGIL proclamò lo sciopero generale, accusando i latifondisti siciliani di voler “soffocare nel sangue le organizzazioni dei lavoratori”. Solo quattro mesi dopo si seppe che a sparare materialmente erano stati gli uomini del bandito separatista Salvatore Giuliano, colonnello del E.V.I.S.. Il rapporto dei carabinieri sulla strage faceva chiaramente riferimento a "elementi reazionari in combutta con i mafiosi locali". Nel 1949 Giuliano scrisse una lettera ai giornali, in cui affermava lo scopo politico della strage. Questa tesi fu smentita dall'allora ministro degli Interni Mario Scelba. Nel 1950, il bandito Giuliano fu as-
sassinato dal suo luogotenente Gaspare Pisciotta, il quale morì avvelenato in carcere quattro anni più tardi, dopo aver affermato di voler rivelare i nomi dei mandanti della strage. Attualmente vi sono forti dubbi sul fatto che Pisciotta fosse l'autore dell'omicidio. Sul movente dell'eccidio furono formulate alcune ipotesi già all'indomani della tragedia. Il 2 maggio 1947 il ministro Scelba intervenne all'Assemblea Costituente, affermando che dietro all'episodio non vi era alcuna finalità politica o terroristica, ma che doveva essere considerato un fatto circoscritto e identificò in Salvatore Giuliano e nella sua banda gli unici responsabili. Il processo del 1951, dapprima istruito a Palermo, poi spostato a Viterbo per legittima suspicione, si
concluse con la conferma di questa tesi, con il riconoscimento della colpevolezza di Salvatore Giuliano (morto il 5 luglio 1950, ufficialmente per mano del capitano Antonio Perenze) e con la condanna all'ergastolo di Gaspare Pisciotta e di altri componenti la banda. Pisciotta durante il processo, oltre ad attribuirsi l'assassinio di Giuliano, lanciò pesanti accuse sui presunti mandanti politici della strage: “Coloro che ci avevano fatto le promesse si chiamavano così: L'onorevole deputato democristiano on. Bernardo Mattarella, l'onorevole deputato regionale Giacomo Cusumano Geloso, il principe Giovanni Alliata di Montereale, l'onorevole monarchico Tommaso Leone Marchesano e anche il signor Scelba… Furono Marchesano, il principe Alliata,
7 luglio 1960, Strage di Reggio Emilia La strage fu l'apice di un periodo di alta tensione in tutta l'Italia, in cui avvennero scontri con la polizia. I fatti scatenanti furono la formazione del governo Tambroni, monocolore democristiano con il determinante appoggio esterno del MSI, e l'avallo della scelta di Genova (città "partigiana", già medaglia d'oro della Resistenza) come sede del congresso del partito missino. Le reazioni d'indignazione furono molteplici e la tensione in tutto il paese provocò una grande mobilitazione popolare. L'allora Presidente del Consiglio, Fernando Tambroni, diede libertà di aprire il fuoco in "situazioni di emergenza" ed alla fine di quelle settimane drammatiche si contarono undici morti e
centinaia di feriti. Queste drammatiche conseguenze avrebbero costretto alle dimissioni il governo Tambroni. La sera del 6 luglio la CGIL reggiana proclamò lo sciopero cittadino di protesta contro le violenze dei giorni precedenti. La prefettura proibì gli assembramenti nei luoghi pubblici e concesse unicamente i 600 posti della Sala Verdi per lo svolgimento del comizio. L'indomani il corteo di protesta era composto da circa 20.000 manifestanti. Un gruppo di circa 300 operai delle Officine Meccaniche Reggiane decise quindi di raccogliersi davanti al monumento ai Caduti, cantando canzoni di protesta. Alle 16.45 del pomeriggio una carica di un reparto di 350 poli-
ziotti, al comando del vicequestore Giulio Cafari Panico, investì la manifestazione pacifica. Anche i carabinieri, al comando del tenente colonnello Giudici, partecipano alla carica. Incalzati dalle camionette, dai getti d'acqua e dai lacrimogeni, i manifestanti cercarono rifugio nel vicino isolato San Rocco, per poi barricarsi letteralmente dietro ogni sorta di oggetto trovato, seggiole, assi di legno, tavoli dei bar e rispondendo alle cariche con lancio di oggetti. Respinte dalla disperata resistenza dei manifestanti, le forze dell'ordine impugnarono le armi da fuoco e cominciarono a sparare. Sul selciato della piazza caddero: Lauro Farioli (1938), operaio di 22 anni, orfano di padre, spo-
sato e padre di un bambino; Ovidio Franchi (1941), operaio di 19 anni, il più giovane dei caduti; Marino Serri (1919), pastore di 41 anni, partigiano della 76a, primo di sei fratelli; Afro Tondelli (1924), operaio di 36 anni, partigiano della 76a SAP, è il quinto di otto fratelli; Emilio Reverberi (1921), operaio di 39 anni, partigiano nella 144a Brigata Garibaldi era commissario politico nel distaccamento "G. Amendola". Furono sparati 182 colpi di mitra , 14 di moschetto e 39 di pistola , una guardia di PS dichiarò di aver perduto 7 colpi di pistola. Sedici furono i feriti "ufficiali", ovvero quelli portati in ospedale perché ritenuti in pericolo di vita, ma molti altri preferirono curarsi "clandesti-
l'onorevole Mattarella a ordinare la strage di Portella… Dopo le elezioni del 18 aprile 1948, Giuliano mi ha mandato a chiamare e ci siamo incontrati con Mattarella e Cusumano; l'incontro tra noi e i due mandanti è avvenuto in contrada Parrini, dove Giuliano ha chiesto che le promesse fatte prima del 18 aprile fossero mantenute. I due tornarono allora da Roma e ci hanno fatto sapere che Scelba non era d'accordo con loro, che egli non voleva avere contatti con i banditi.” Una tesi più recente attribuisce invece la strage a una coincidenza di interessi tra i post-fascisti che durante la guerra avevano combattuto nella Xª Flottiglia MAS di Junio Valerio Borghese, i servizi segreti USA (preoccupati dell'avanzata comunista in Italia) e i latifondisti siciliani.
namente", allo scopo di non farsi identificare. I fatti furono cantati in una celebre canzone di Fausto Amodei, dal titolo Per i morti di Reggio Emilia e, più recentemente, alla base del romanzo di Paolo Nori del 2006 Noi la farem vendetta. In seguito ai fatti di Reggio Emilia in data 29 novembre 1962 la Sezione Istruttoria della Corte d'appello di Bologna rinviava a Giudizio il vicequestore Giulio Cafari Panico per omicidio colposo plurimo e l'agente Orlando Celani per omicidio. Il dibattimento venne celebrato avanti la Corte d'Assise di Milano e non a Reggio Emilia; Il vice-questore fu assolto con formula piena, per non aver commesso il fatto, mentre l'agente venne assolto con formula dubitativa.
Il processo che doveva far luce sulla morte di Giuseppe Pinelli si è arrestato davanti alla bara del ferroviere ucciso senza colpa. Chi porta la responsabilità della sua fine, Luigi Calabresi, ha trovato nella legge la possibilità di ricusare il suo giudice. Chi doveva celebrare il giudizio, Carlo Biotti, lo ha inquinato con i meschini calcoli di un carrierismo senile. Chi aveva indossato la toga del patrocinio legale, Michele Lener, vi ha nascosto le trame di una odiosa coercizione. Oggi come ieri - quando denunciammo apertamente l'arbitrio calunnioso di un questore, Michele Guida[9], e l'indegna copertura concessagli dalla Procura della Repubblica, nelle persone di Giovanni Caizzi e Carlo Amati - il nostro sdegno è di chi sente spegnersi la fiducia in una giustizia che non è più tale quando non può riconoscersi in essa la coscienza dei cittadini. Per questo, per non rinunciare a tale fiducia senza la quale morrebbe ogni possibilità di convivenza civile, noi formuliamo a nostra volta un atto di ricusazione. Una ricusazione di coscienza - che non ha minor legittimità di quella di diritto - rivolta ai commissari torturatori, ai magistrati persecutori, ai giudici indegni. Noi chiediamo l'allontanamento dai loro uffici di coloro che abbiamo nominato, in quanto ricusiamo di riconoscere in loro qualsiasi rappresentanza della legge, dello Stato, dei cittadini 13 giugno 1971 Seguono 757 firme Il 12 dicembre 1969 una bomba scoppia nei locali della Banca dell’Agricoltura in Piazza Fontana a Milano causando la morte di 17 persone e il ferimento di altre 88. Poco dopo una seconda bomba inesplosa verrà rinvenuta nella sede della Banca Commerciale in Piazza della Scala sempre a Milano, mentre una terza esploderà invece a Roma nel sotterraneo della Banca Nazionale del Lavoro di via Veneto ferendo 13 persone, una quarta sempre a Roma esploderà davanti all’Altare della Patria e una quinta all’ingresso del Museo del Risorgimento in Piazza Venezia a Roma ferendo quattro persone. E’ l’inizio della “strategia della tensione” che in pochi anni collezionerà ben 144 attentati, alcuni con conseguenze enormi come la strage del 2 agosto 1980 alla Stazione di Bologna che causò la morte di 85 persone e il ferimento di oltre 200. Sono le “stragi di Stato”, quelle che non hanno mai avuto colpevoli, ma che avevano un preciso obiettivo che, almeno in parte, hanno realizzato, fermare la crescita democratica del nostro Paese, la spinta rivoluzionaria del ’68, la crescita del Partito Comunista e del suo sindacato operaio; forse anche preparare un colpo di Stato fascista con la connivenza di una “certa” presidenza della Repubblica e l’avvallo e il sostegno se non la vera e propria istigazione degli Stati Uniti, colpo di Stato abortito nel grottesco tentativo di Junio Valerio Borghese dell’8 dicembre 1970. Per la strage di Piazza Fontana tuttavia non vi furono dubbi per la questura di Milano: i colpevoli erano gli anarchici, uno in particolare che il Commissario Luigi Calabresi a capo dell’Ufficio Politico ben conosceva personalmente: il ferroviere Giuseppe Pinelli. Pinelli venne arrestato e portato alla Questura di Milano con altri anarchici il giorno successivo alla strage, il 13 dicembre 1969. Alle ore 24 di quella stessa notte il suo copro cadde giù dal quarto piano schiantandosi sul selciato del cortile; all’arrivo dell’ambulanza, che risultò essere stata chiamata alcuni minuti
prima della “caduta”, era ancora vivo ma morì durante il trasporto all’ospedale. Solo pochi anni di indagini giudiziarie e nel 1975 i responsabili della morte di Pinelli vennero tutti assolti: “mentre era sotto interrogatorio nella stanza del Commissario Calabresi, Pinelli, vistosi perduto, al grido ‘l’anarchia è morta’ si divincolò dalla stretta degli agenti e si lanciò dalla finestra casualmente aperta”. Pinelli era innocente e questo è un dato accertato indiscutibilmente, così come lo erano tutti i suoi compagni anarchici lungamente perseguitati, detenuti e pestati anche se, fortunatamente, almeno loro rimasti vivi. Per denunziare questa vergogna e questa gravissima offesa alla legalità e alla dignità dello Stato democratico 757 politici, sindacalisti, intellettuali, artisti e lavoratori d’ogni mestiere e professione firmarono già nel 1971 la denuncia pubblica sopra trascritta. Non servì sostanzialmente a nulla, le stragi continuarono e continuarono i depistaggi, le confusioni, in una parola il “terrore”; sino al livello politicamente più elevato, sino alla strage di via Fani e all’esecuzione di Aldo Moro. Tre anni dopo l’uccisione di Giuseppe Pinelli un commando, che la giustizia ha accertato essere stato ispirato da alcuni dirigenti storici di Lotta Continua, anche se gli stessi hanno sempre negato, uccise il Commissario Luigi Calabresi. Dell’assassinio di Giuseppe Pinelli s’è completamente persa la memoria, di quello del Commissario Calabresi ancora ripetutamente se ne parla con toni da martirio, sino alla proposta, lungamente coltivata da alcune frange cattoliche, della sua beatificazione. Ora è assolutamente fuori discussione che nessuno può arrogarsi il diritto di disporre della vita altrui, chiunque sia questo “altrui” e qualsiasi cosa abbia commesso o di qualsiasi più tremenda infamia si sia macchiato. Per i comunisti, che non credono in una seconda vita, che non credono che ci sia un essere immaginario che può dare e togliere la vita a suo piacimento,
la vita è il bene più grande che un essere umano può possedere, è il bene per eccellenza, nessuno dunque ne può disporre se non il suo proprietario. Chi ha ucciso il Commissario Calabresi, chiun que esso sia ed è forte il dubbio che siano realmente stati gli attuali condannati, merita comunque il massimo del dissenso. Tuttavia non può essere dimenticato che il Commissario Luigi Calabresi era il responsabile, l’autore, forse materiale certamente solidale, dell’omicidio di un cittadino italiano affidato alle sue funzioni di tutore della incolumità pubblica, e non rileva neppure precisare che lo stesso fosse manifestamente innocente; Giuseppe Pinelli era un cittadino nelle mani dello Stato e lo Stato lo ha ucciso e poi ha coperto le proprie responsabilità abusando del proprio potere. In uno Stato diverso, in uno Stato di giustizia e legalità il Commissario Luigi Calabresi sarebbe stato condannato a una lunga, lunghissima detenzione per avere ucciso, con l’aggravante massima delle sue specifiche funzioni, un cittadino italiano, un essere umano. Con l’invito a voler comprendere correttamente i termini che ora verranno usati, deve essere affermato che “è sicuramente grave se un mafioso uccide un magistrato, ma è enormemente più grave se è un magistrato a uccide un mafioso”, perché in questo caso si mettono in discussione le fondamenta stesse dello Stato di diritto e si mina non solo la fiducia, ma lo stesso rispetto dei cittadini verso le proprie istituzioni. E anche questo, anzi forse soprattutto la perdita di fiducia nelle istituzioni è “terrore” e indurla è “terrorismo”.
III
Palestina, dove è nato il terrorismo “Se fossi nato in un campo profughi palestinese sarei certamente diventato un terrorista anch’io” (Giulio Andreotti)
IV
Il tema “Palestina” è un tema “enorme”, non solo perché coinvolge la storia, la vita e la stessa sopravvivenza di un intero popolo, ma anche perché è stato e sempre più sta mostrando di essere al centro di “giochi” geopolitici giganteschi e straordinariamente superiori al ruolo effettivamente svolto da quel popolo che dunque ne è, di fatto e nell’indifferenza generale, ostaggio e vittima. Il tema è troppo vasto e complesso per pretendere di trattarlo in queste poche righe, l’impegno è dunque di farne oggetto di un futuro inserto interamente dedicato per la cui preparazione invitiamo sin d’ora chiunque abbia conoscenze ed esperienze in materia a voler offrire il proprio contributo prendendo contatto con il nostro giornale. Non possiamo tuttavia non parlarne, almeno sommariamente e per un limitato aspetto, in un inserto dedicato al terrorismo, poiché proprio a quella storia e quell’area geopolitica è stata imputata l’origine, circa quaranta anni fa, del terrorismo internazionale, sulla cui falsa, distorta e strumentalizzata immagine è stata da alcuni decenni fondata la “morale” della politica delle guerre preventive del nuovo imperialismo americano e non solo. In verità storica, invece, il terrorismo non nasce affatto nelle e dalle vicende della diaspora, della repressione, della negazione della dignità del popolo palestinese, che ancora oggi conduce una lotta di liberazione intesa nella più tipica espressione storica delle lotte per l’emancipazione e l’autodeterminazione dei popoli oppressi. Nell’immediato secondo dopoguerra il nascente impero USA, sino ad allora confinato (si fa per dire) nel suo giardino di casa centro e sud americano, intuì l’importanza strategica, per il dominio dello stesso mondo occidentale, dell’area geopolitica del mediterraneo e del medio oriente petrolifero. E’ da questa intuizione che nasce l’idea della creazione dello Stato di Israele, cioè del posizionamento in quell’area strategica di una “enclave”, sostanzialmente di una “base”, di controllo nord americano. Per l’occorrenza vennero utilizzati i superstiti dell’olocausto, i più poveri e i più disperati ebrei in fuga da un mondo, tutto sia occidentale che orientale, che li rifiutava e alla prima occorrenza li decimava. Quanto agli “indigeni”, ai “nativi” per usare una espressione tanto cara alla cultura devastatrice nord americana, non c’era alcuna considerazione, anche perché, nello specifico dell’area geografica denominata “Palestina” (termine utilizzato per la prima volta dall’imperatore Adriano dopo avere soppresso i termini Israele e Giudea), la popolazione insediata era di etnia diversa da quella dei più grandi e storici paesi confinanti che, dunque, offrirono ben poco sostegno alla espulsione dei
“nativi” da parte dei nuovi immigrati. Avvenne così, negli anni ’50, la diaspora di un intero popolo che ancora non aveva conquistato la sua identità di nazione. I profughi si dispersero negli stati confinanti ove furono rinchiusi in disumani campi profughi, dietro la promessa, mai mantenuta, di un loro sicuro e imminente ritorno alla terra e alle case di origine. La stessa sorte di “concentramento” toccò comunque anche quelli che invece deci-
(ovviamente arabe, gli israeliani non avranno perdite) decine di migliaia di morti. Tutto ciò si svolgeva nella totale indifferenza del mondo occidentale (a parte l’impotenza del così detto blocco orientale anche in virtù degli accordi di Yalta), che pure aveva sostenuto e sosteneva molte guerre di liberazione antiamericane e antioccidentali in genere, prima tra le quali quella del Vietnam. E’ in questo contesto che nasce ovvero, con la
1970 e il sequestro, seguito dal massacro, degli atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco del 1972. Dawson’s Field Il 6 settembre 1970, due aerei di linea vennero dirottati da un commando del Fronte per la Liberazione della Palestina e fatti atterrare a Dawson's Field, un vecchio aeroporto militare nel deserto giordano. Il dirottamento di un terzo fallì per la reazione del personale di sicurezza a bordo, che uccise uno dei di-
Olimpiadi di Monaco Ben diversa, ma solo per gli esiti finali, fu la vicenda che due anni più tardi coinvolse, causandone la morte, alcuni atleti della squadra israeliana alle Olimpiadi di Monaco di Baviera. Anche in qual caso, infatti, il progetto dei militanti palestinesi era quello di occupare l’attenzione pubblica mondiale concentrata sul massimo evento sportivo. Va precisato che a quella soluzione la frangia estrema
Aeroporto della Rivoluzione, 13 settembre 1970, esplosione dei 3 aerei dirottati sero o comunque furono costretti a restare al servizio dei nuovi padroni. Alla fine degli anni ’60 il popolo palestinese iniziò a manifestare autonomamente richieste di riconoscimento identitario e politico, ponendo mano anche alla creazione di un coordinamento unitario politico e militare. E’ nel 1970 che il movimento del popolo palestinese raggiunse la sua massima forza organizzativa e militare, fino a mettere in discussione la sopravvivenza dello stesso regno di Giordania, paese nel quale si trovava la maggioranza dei profughi palestinesi; ma è anche in quello stesso anno che le rivendicazioni della nazione palestinese vengono percepite appieno come minaccia per la stabilità del progetto di colonizzazione USA del medio oriente petrolifero tramite l’organizzazione e la difesa dello Stato di Israele. “Settembre nero” è il periodo che va dal settembre al novembre 1970 durante il quale: da un lato si consumò l’estremo tentativo palestinese della creazione di uno Stato nazionale, dall’altro gli USA per tramite degli israeliani riuscirono a rompere i legami di solidarietà, o quantomeno di tolleranza, tra gli Stati occidentalizzati arabi di Giordania e Libano e le minoranze profughe dei palestinesi, intervenendo con l’aviazione e l’esercito a sostegno del governo giordano per aiutarlo a vincere una vera e propria guerra civile che costerà ad ambedue le parti
propaganda mediatica del poi, viene fatta risalire la nascita del terrorismo internazionale, con tale qualificazione “meta giuridica” classificandosi le azioni di forte impatto mediatico attraverso le quali la resistenza palestinese tentò allora di portare all’attenzione del mondo i presupposti storici, le ragioni giuridiche e la gravità contingente delle condizioni e delle aspettative del popolo palestinese. Quaranta anni di storia hanno inevitabilmente diversamente “modellato”, se così si può dire, il percorso politico e militare della lotta di liberazione del popolo palestinese che oggi, e questo lo si può sicuramente dire, versa in condizioni economiche e sociali di gran lunga peggiori e quasi senza speranza. Di questo però ci riserviamo di parlare in un prossimo inserto appositamente dedicato alla Palestina. Preme qui invece ricostruire almeno un minimo di verità storica, ricordano due episodi, oggi definiti di terrorismo, che allora segnarono con maggiore forza l’ingresso nella scena culturale e politica mondiale del popolo palestinese, fino ad allora oscurato dietro i “superiori” interessi (ovviamente dell’occidente capitalista) della stabilità del bacino del Mediterraneo e del medio oriente petrolifero. Gli episodi concernono il dirottamento di quattro aerei di linea eseguito da militanti del Fronte per la Liberazione della Palestina, guidato da George Habash, nel
rottatori e catturò il secondo, una donna. I terroristi chiesero la liberazione di alcuni prigionieri palestinesi detenuti in Svizzera e in Germania dell’ovest. Il 9 settembre un terzo apparecchio fu dirottato verso Dawson's Field, il quale nel frattempo era stato rinominato "aeroporto della Rivoluzione". In Europa si tenne un vertice tra il Primo Ministro britannico Edward Heath e altri capi di stato europei, per pervenire alla scarcerazione dei palestinesi detenuti e consentire il rilascio degli ostaggi. Sarà solamente venerdì 11 settembre che la vicenda avrà termine con la liberazione dei prigionieri palestinesi. La “questione” Palestina, ovvero del popolo palestinese, occupò allora per cinque giorni consecutivi i media di tutto il mondo. I palestinesi rilasciarono quindi tutti i passeggeri tenuti in ostaggio, ma non riconsegnarono gli aerei. In una epocale trasmissione video, quasi in diretta in tutto il mondo, i palestinesi fecero esplodere i tre aerei tra grida e canti di festa. Quella sera la campana dei Lloyd di Londra, che avevano assicurato i velivoli, suonò a lungo come era usanza per annunciare gravi sciagure; anche il cuore della finanza era stato raggiunto, ma nessuna vittima (tranne un dirottatore) era stata sacrificata, il messaggio intimidatorio era rivolto ai governi, ai popoli di quegli stessi governi era stata mostrata la realtà della repressione del popolo palestinese.
della resistenza palestinese responsabile si risolse dopo che il Comitato Olimpico aveva rifiutato anche solo di prendere in considerazione la richiesta formalmente avanzata dall’organizzazione palestinese di far partecipare una propria rappresentanza giovanile ai Giochi Olimpici. Questo fatto avrebbe rappresentato un riconoscimento della identità nazionale del popolo palestinese e un pari riconoscimento di legittimità giuridica alla organizzazione che lo rappresentava. Non ci fu neppure una risposta negativa: la richiesta non venne esaminata e basta. Il commando palestinese, del quale non è mai stato accertato il numero esatto, si introdusse nel Villaggio olimpico e sequestrò un gruppo di atleti israeliani, due dei quali rimasero uccisi nel tentativo di resistenza all’aggressione. Mentre proseguivano regolarmente le competizioni sportive che vennero sospese solo molto più tardi, intercorse un lungo negoziato tra i palestinesi e la polizia tedesca, che accordò agli stessi il trasferimento con due elicotteri in un aeroporto secondario dove li avrebbe attesi un aereo per portarli al Cairo. Quando i palestinesi con gli ostaggi giunsero all’aeroporto si resero conto della trappola e cercarono di risalire sugli elicotteri, mentre iniziava un violentissima sparatoria da parte della sicurezza tedesca con l’aiuto di mezzi blindati. Nel conflitto esplose uno dei due elicotteri e il bilancio fu
di diversi morti: tutti gli ostaggi e una buona parte dei sequestratori, quattro dei quali cercarono di fuggire e uno venne persino catturato molto più tardi lontano dall’aeroporto. La “storia ufficiale” ha propagandato la tesi secondo cui i palestinesi avrebbero ucciso per rappresaglia tutti gi ostaggi prima di sacrificarsi; ma in realtà i palestinesi non si sacrificarono, anzi cercarono di fuggire e, non riuscendovi, si arresero vivi (quelli che non erano già caduti nello scontro a fuoco), circostanza che esclude ogni logica kamikaze. Vero è che, forse proprio a causa della precedente esperienza del settembre 1970, era maturata una nuova linea di condotta antiterroristica (così vennero qualificati per la prima volta i combattenti palestinesi) che negava pregiudizialmente la possibilità di negoziato e dunque imponeva l’atto di forza per il quale, evidentemente, la polizia tedesca non era ancora adeguatamente attrezzata e addestrata. Certo è che nell’aeroporto della strage erano presenti agenti del Mossad israeliano. La strage di Monaco segna uno spartiacque determinante per la successiva condotta del terrorismo palestinese e non solo: la consapevolezza dell’esito mortale di ogni azione comunque qualificata terroristica. E’ allora che nasce la logica (se tale può essere chiamata) kamikaze. Ma una logica kamikaze non può trovare sostegno solo in pur profonde e radicate convinzioni di impegno e sacrificio politico o ideologico, occorrerà ancora un “salto”, occorrerà (e purtroppo arriverà) il supporto del fanatismo religioso che solo, come ha insegnato l’intera storia dell’umanità, può giustificare il sacrificio consapevole della vita, tanto propria che altrui: il martirio. In questo baratro piano piano scivolerà anche buona parte della resistenza palestinese, ma sarà un incendio che divamperà in tutto il mondo arabo e contagerà ogni luogo della terra ove alle ingiustizie, vere o presunte, verrà opposta una resistenza non più ideologica e politica, ma la verità assoluta del fanatismo sacrificale religioso. A questa folle deriva per certo tempo resisterà la diversa cultura europea e maggiormente quella italiana, forse grazie proprio alla ambiguità del cattolicesimo romano, tanto fondamentalista all’estero quanto compromissorio in casa propria; anche se non sarà per molto. L’Italia si opporrà alla logica americana e israeliana del massacro nell’episodio del dirottamento della Achille Lauro, ma alla fine cederà in occasione del rapimento di Aldo Moro. Così oggi si può negoziare con mafia e camorra perché sono Stato nello Stato, ma non si può, non si deve negoziare con l’emarginazione e la disperazione perché sono contro lo Stato, ovviamente contro “questo” Stato.