IRAQ 4 pagine di inserto Mensile di informazione, politica e cultura dell’Associazione Luciana Fittaioli - Anno II, n. 11 - Foligno, novembre 2010
A
lcuni giorni fa quattro soldati italiani sono morti saltando su di una mina anticarro in Afghanistan. L’evento, gravissimo per la morte di quattro giovani, ha scatenato un nuovo furore guerriero della parte più reazionaria della nostra politica che ha invocato un aumento della nostra presenza militare, sino a prefigurare persino l’impiego di aerei da bombardamento, raccontando sempre la stessa storiella della lotta al terrorismo islamico che nei monti e nelle caverne di quel paese troverebbe i suoi “santuari”. Questa giustificazione, se non comportasse le conseguenze drammatiche che ben vediamo, sconfinerebbe ampiamente nel ridicolo. Ridicolo pensare che qualche decina, fossero anche migliaia, d’irriducibili combattenti talebani, asserragliati nelle pieghe montagnose di un paese duro, arido e inospitale, possano realmente mettere in pericolo un miliardo di mediamente benestanti cittadini dell’occidente ricco del mondo. Sono oramai passati quasi dieci anni dall’abbattimento delle “torri gemelle” quando pastori talebani in grado di pilotare grandi aerei di linea compirono l’ultimo attentato terroristico in occidente (così almeno hanno cercato di farci credere…). Dopo di allora allarmi tanti e continui, ma tutti falsi. Veri invece i sequestri di migliaia di persone in tutto il mondo da parte degli USA, i campi di tortura di Guantanamo e di Abu Graib, le bombe all’uranio e al fosforo sulle città dell’Iraq e dell’Afghanistan. Del perché gli eserciti degli USA e dei loro cugini poveri inglesi, con accodati più o meno tutti gli stati occidentali, l’Italia ovviamente in prima linea, sono lì, nei luoghi dove è o dove deve passare il petrolio, ne parliamo più ampiamente nell’inserto di questo numero dedicato, appunto, all’Iraq. Ciò che vogliamo qui richiamare all’attenzione di
noi tutti sono gli sperperi mostruosi di risorse e di ricchezze che comportano queste guerre. E’ stato scritto che dopo lo tsunami, che alcuni anni fa ha devastato una vastissima area dell’estremo oriente, gli USA fecero enormi donazioni in favore delle popolazioni colpite dal disastro naturale, raggiungendo un importo altissimo, un importo pari al costo di “una”, sì di “una” sola giornata di guerra in Iraq! Restiamo ai conti di casa nostra e proviamo a immaginare quanti ospedali, scuole, acquedotti, case potrebbero essere costruiti in quel paese disgraziato con gli 800 milioni di euro (!!!) spesi ogni anno per le nostre missioni di guerra. Certo alcuni potrebbero obiettare che i perfidi talebani non ce lo consentirebbero, forse, ma allora cosa facciamo, li bombardiamo? I nostri alpini scortavano una colonna di 70-80 camion che trasportavano materiali per costruire una postazione fortificata del nostro esercito, in un deserto di miseria e povertà, di mancanza di bene primari dal pane all’acqua, di mancanza di leggi e tutele, di mancanza anche di un segno minimo di vita dignitosa. Un’ingiustizia non elimina un’altra ingiustizia e una morte non compensa un’altra morte, tutte si sommano in ingiustizie e morti più grandi. I nostri quattro alpini sono morti in un’azione di guerra dentro un mezzo blindato, armati di tutto punto, in un paese straniero lontano migliaia di chilometri dalle loro case, dai confini della nostra nazione. Poche settimane prima cinque bambini afghani erano rimasti uccisi nel corso di un’operazione militare condotta dal contingente australiano, erano disarmati, verosimilmente a piedi nudi e vestiti di stracci ed erano a casa loro, se quella si può chiamare casa.
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Guerra
Sterpete L’attività agricola delle aziende che risiedono nelle campagne della frazione messa in discussione dall’attraversamento della “Variante sud” definita un ecomostro dal Comitato Cittadino che si batte contro la realizzazione della strada Intervista al Presidente del Comitato Cittadino Luigi Casini Sterpete è una piccola ma interessante e compatta realtà cittadina di 1700 anime poco fuori le mura e a ridosso di una vasta area di terreni di pregio e di spazi verdi utilizzati per l'agricoltura e l'allevamento che non ha conosciuto uno sviluppo edilizio intensivo come le frazioni limitrofe di Borroni o S.Eraclio che sono oramai diventati dei veri e propri quartieri; questa crescita contenuta ha permesso la sopravvivenza di un quartiere residenziale dove il nucleo familiare è posto al centro, favorendo così un clima d’unione e di solidarietà fra i cittadini. In questa zona sorge l’aeroporto di Foligno che ha origini storiche importanti che risalgono alla fine del 1700, dove venivano effettuati i primi lanci di aerostati da parte dei militari; durante la II guerra mondiale nel quale veniva considerato uno dei migliori siti d’Italia fu costituita la scuola militare per gli allievi e sottufficiali dell’aereonautica. Nel corso degli anni l’aeroporto viene in parte abbandonato, sino al 2005 quando si è proceduto alla pavimentazione in cemento
con rivestimento in conglomerato bituminoso speciale, della storica pista in erba, che permette oggi l’atterraggio della flotta antincendio della protezione civile e che in futuro grazie anche alla realizzazione della piastra logistica i cui lavori dovrebbero iniziare nel 2011, rappresenterà una importante snodo interportuale non solo per Foligno, ma anche per le città limitrofe come Bevagna, Montefalco, Cannara, Trevi. Nelle campagne della frazione vivono ancora realtà agricole importanti che producono ed allevano bestiame cercando di utilizzare le risorse del terreno nel rispetto del territorio che continua a rappresentare una parte fondamentale dell’economia locale con la produzione di cereali e tabacco, nonché ortaggi e verdure. Queste zone a vocazione agricola di pregio protette anche da norme regionali sono oggi insidiate dalla realizzazione della cosidetta “Variante sud”, cioè una bretella di collegamento tra la SS3 con la SS316 inserita nel progetto della Quadrilatero per la costruzione della SS77. Contro questo progetto realizzativo che prevede una variazione significativa dell’attuale PRG si è costituito un comitato di cittadini che
risiedono a Sterpete ma anche nelle zone limitrofe interessate dall’attraversamento della strada classificata come C1, cioè extraurbana, quali Cave, Maceratola, S.Pietro, ponendo come priorità la salvaguardia del territorio e dell’ambiente. La richiesta del comitato è quella di ritornare all’ipotesi di strada interquartierale prevista dal PRG, senza così invadere le campagna e rischiare di allargare il perimetro della città che è già notevolmente sovradimensionato rispetto alle reali capacità abitative (si stima infatti un PRG da oltre 100.000 abitanti contro i 55.000 residenti del comune di Foligno). La diatriba oramai si protrae da diversi anni senza che l’amministrazione comunale sia in grado di dare risposte esaurienti ed esaustive, il comitato continua nella sua battaglia cercando di stimolare e creare interessi da ogni realtà coinvolta direttamente o indirettamente. L’ultimo in ordine di tempo ad interessarsi al problema è stato il sindaco di Bevagna, Enrico Bastioli che in qualità di consigliere provinciale ha chiesto alla giunta provinciale di indire un tavolo tecnico al quale partecipino la Quadrilatero e tutti i soggetti interessati affinchè si valuti il proget-
to con prospettive più ampie che sono già contemplate nel piano territoriale di coordinamento provinciale (P.T.C.P.). Il piano infatti prevedeva la realizzazione di una bretella di collegamento fra la SS75 e la Sp403, intersecando la SS316 per collegare le zone industriali di Foligno, Bevagna, Montefalco, in prospettiva anche della realizzazione della piastra logistica nei pressi dell’interporto, con un tracciato che seguiva i confini naturali delle aziende agricole e che pur essendo ad alto scorrimento viaggiava a filo di campagna riducendo sensibilmente l’impatto ambientale. Le posizioni in merito alla questione tra il comune di Foligno e gli altri protagonisti della contesa sono molto distanti, ma una cosa è certa cioè che i cittadini interessati meritano sicuramente di sapere quale sarà l’effettivo tracciato della “Variante sud”, per cui è auspicabile al più presto che venga fatto questo incontro con la “Quadrilatero” promosso dal sindaco Bastioli e che siano resi pubblici i contenuti espressi in tale sede con un consiglio comunale aperto nel quale sia garantita la massima partecipazione democratica.
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Energie rinnovabili Imponibilità della tariffa incentivante e della tariffa unica omnicomprensiva
GIANLUCA MATILLI
Le energie rinnovabili sono quelle forme di energia generate da fonti, che si rigenerano e non sono quindi esauribili; generalmente sono considerate “fonti di energia rinnovabile” il sole, il vento, il mare e il calore della terra. La produzione di energia mediante l’impiego di fonti alternative è un obiettivo che le istituzioni tendono a incentivare introducendo misure atte a favorirne la diffusione. Nella logica dello sviluppo del settore è stata adottata la cosiddetta tariffa incentivante volta, per l’appunto, ad incentivare la produzione di energia da fonte solare; il meccanismo introdotto prevede che l’incentivo venga erogato per un periodo di tempo in ragione dell’energia prodotta annualmente dall’impianto medesimo. L’obiettivo dell’incentivo è quello di sostenere la produzione di energia mediante lo sfruttamento dell’impianto, l’esborso dell’investimento iniziale non viene ridotto per effetto della corresponsione dell’incentivo, ma può solo essere recuperato nel tempo attraverso la produzione di energia che viene “premiata” mediante la corresponsione di una somma pari alla tariffa incentivante, che varia in base alla potenza dell’impianto. Per le fonti rinnovabili differenti da quella solare è stato prevista la tariffa onnicomprensiva, che risulta essere di entità variabile a seconda delle fonti utilizzate ed il cui importo si determina moltiplicando il valore della tariffa per l’energia elettrica incentivata determinata dal G.S.E. (Gestore Servizi Elettrici) e corrispondente all’energia elettrica immessa in rete. Il valore di tale tariffa incorpora, seppur non in maniera esplicita, sia una quota incentivante che un corrispettivo per la vendita dell’energia (da qui la definizione onnicomprensiva). Anche le energie rinnovabili sono state disciplinate dalla normativa fiscale; fin dal 2007 l’Agenzia delle Entrate con la circolare n. 46, ha cercato di regolamentare i trattamenti tributari applicati agli incentivi riconosciuti ai produttori di energia elettrica da fonte solare (tariffa incentivante). Un adeguato passo in avanti nella razionalizzazione di
tale disciplina è stata compiuto con l’emissione della Risoluzione n. 88/E del 25 agosto 2010 che permette di chiarire il trattamento della tariffa unica; la suddetta Risoluzione ribadisce che qualora l’impianto di produzione di energia elettrica da fonti quali l’eolico il geotermico ed agro alimentari (biomasse), così come chiarito per la produzione di energia elettrica da fotovoltaico l’impianto sia di dimensione massima non superiore ai 20 kw e venga collocato sul tetto di un’abitazione o su un’area pertinenziale al fine di soddisfare i bisogni energetici dell’abitazione, sia da considerare di tipo privatistico. Alla luce di questo ultimo chiarimento possiamo sintetizzare il trattamento fiscale delle tariffe per l’energia prodotta da fotovoltaico e da fonti diverse dal fotovoltaico ed esattamente: 1) Titolare persona fisica o ente non commerciale ed energia prodotta da impianti di potenza fino a 20 KW al servizio dell’abitazione o della sede dell’ente a) tariffa incentivante per l’energia da fotovoltaico: non imponibile iva e non costituisce reddito ai fini delle imposte dirette; b) tariffa unica onnicomprensiva per l’energia da fonti diverse dal fotovoltaico: non imponibile Iva, costituisce reddito ai fini delle imposte dirette ed esattamente un Reddito diverso (art. 67, comma 1, lettera i T.U.I.R). 2) Titolare persona fisica o ente non commerciale ed energia rodotta da impianti di potenza fino a 20 KW non al servizio dell’abitazione o della sede dell’ente, oppure da impianti di potenza superiore a 20 KW; oppure se il titolare svolge una attività commerciale o di lavoro autonomo a) tariffa incentivante per l’energia prodotta da fotovoltaico: non imponibile Iva e costituisce un ricavo (per la parte pari all’energia ceduta e non auto consumata) se percepita da persone fisiche, lavoratori autonomi, enti non commerciali, reddito di impresa (articoli 55 e 85 del T.U.I.R) se percepita nell’ambito di un’attività commerciale; b) tariffa unica onnicomprensiva per l’energia da fonti diverse dal fotovoltaico: Iva: Imponibile (articolo 2 del D.P.R. 633/1972), Imposte Dirette: ricavo ai sensi degli articoli 57 e 85 T.U.I.R.
Leggi e diritti
FOLIGNO NOVEMBRE 2010
La riforma della giustizia: leggi “ad personam” o generali e astratte MARCO MARIANI Nei precedenti numeri di gennaio e marzo ci siamo occupati di alcune questioni concrete legate al tema della riforma della giustizia, in particolare abbiamo parlato del processo breve e della legge sul legittimo impedimento. Ora alla luce dell’ultimo confronto parlamentare e al passaggio sulla fiducia chiesta ed ottenuta dal Governo in seguito alla spaccatura della maggioranza e alla nascita dei gruppi parlamentari “Futuro e Libertà”, la questione “giustizia” sembra assumere nuovamente un profilo di priorità dell’azione dell’esecutivo. Orbene la domanda che sorge spontanea è a quali interessi sottende tale priorità ed impegno, quelli generali e legati al bisogno reale del paese o quelli particolari di creare comunque uno scudo al Presidente del Consiglio. Questo ci domandiamo alla luce dei seguenti elementi. Il primo è l’avvicinarsi della decisione della Corte Costituzionale sulla legge che appunto mette in una sorta di limbo temporaneo il capo del governo o i ministri che potranno far sospendere il processo penale nei loro confronti per un certo lasso di tempo autocertificandosi un impedimento funzionale di pari durata. Il secondo, il percorso di discussione in Senato del nuovo lodo Alfano proposto nella forma di
legge costituzionale, con la finalità di garantire uno scudo alle più alte cariche dello Stato (Primo Ministro e Presidente della Repubblica) con la sospensione della eventuale azione penale, la quale potrà riprendere al momento della cessazione della carica. La discussione in commissione al Senato ha visto un primo serrato scontro tra maggioranza e opposizione su un emendamento approvato dalla maggioranza che rende il lodo retroattivo, cioè efficace anche in caso di reati commes-
gliaia di processi in corso. La opinione di chi scrive è che sul tema della giustizia le forze politiche debbono sperimentare un nuovo terreno di confronto ed aprirsi a nuove regole e relazioni. La riforma della giustizia non può essere di appannaggio di una maggioranza parlamentare che non rappresenta la maggioranza del paese e le forze parlamentari di opposizione devono aprirsi ad un confronto avanzando anch’esse proposte serie e concrete che vadano oltre la migliore
si prima dell’assunzione della carica. Il terzo, è la sorte del processo breve, proposta che tuttavia sembra contornata da maggiori elementi di contraddizione all’interno della stessa maggioranza, alla luce della dichiarata indisponibilità dei nuovi gruppi parlamentari Fli e naturalmente dalla opposizione a valutare qualsiasi effetto retroattivo della riforma e dunque ad impedire l’estinzione di mi-
conservazione dell’esistente. Ciò detto, appare utile sottolineare che quando si parla della giustizia e della sua riforma non ci si deve fermare alla giustizia penale, ma occorre estendere l’indagine e l’intervento anche alla giustizia civile, il cui stato di profonda agonia non è meno preoccupante e fortemente incidente sullo stato e grado di tutela dei diritti dei cittadini e delle relazioni economiche e sociali,
e anche alla giustizia amministrativa anche se rappresenta il comparto forse più solido ed efficiente. Ora che il processo breve sembra essersi fortunatamente arenato, si capisce ancor meglio come fosse irresponsabile quel disegno riformatore e quali danni avrebbe prodotto nel sistema giustizia. Forse allora questa è l’occasione per aprire un nuovo confronto con l’obiettivo di rispondere pienamente alle esigenze di tutela dettate dalla norma costituzionale sul ragionevole contenimento dei tempi del processo, obiettivo giusto e irrinunciabile che va perseguito con grande senso di responsabilità. Su questo terreno è possibile tessere le alleanze delle idee e delle proposte con le forze che, ora, in parlamento, si riconoscono in un processo riformatore di alto respiro che si ispiri al principio di razionalità della legge che sta proprio nella sua astrattezza e generalità, vale a dire nel fatto che chi la propone guarda anche agli effetti di medio e lungo periodo, al di là dell’occasione immediata ed è consapevole che domani potrà essere applica, se del caso, anche a suo svantaggio. Le avvisaglie di questi giorni in parlamento forse non sono incoraggianti, ma la speranza di costruire un paese migliore non deve abbandonare le coscienze dei cittadini e deve rafforzare l’impegno a favore di una vera riforma della giustizia.
Commissione di massimo scoperto Una disposizione legislativa che non ha raggiunto l’obiettivo ROBERTO FRANCESCHI
In un contratto di apertura di credito in conto corrente bancario (fido di cassa), la commissione di massimo scoperto (per brevità chiameremo poi cms) è un costo percentuale calcolato sul massimo saldo debitore durante il trimestre, oltre ovviamente agli interessi. Un semplice esempio matematico semplificherà ogni spiegazione: fido concesso euro 10.000, saldo massimo negativo raggiunto nel trimestre euro 9.000, cms pari al 1%= 90 euro. Le origini di questo costo sono riferibili a motivazioni di natura creditizia. La banca cerca di compensare l'onere di dover immediatamente fronteggiare con la propria liquidità "una rapida espansione" dell'utilizzo dello scoperto di conto, tenendo presente che il cliente ha la possibilità e non l'onere, a sua discrezione, di utilizzare tutto l'accordato. Potrei citare altre motivazioni riconducibili alla logica della cms, ma lasciamole agli
studiosi di diritto. La legge del 28/01/2009, recante misure urgenti per il sostegno a famiglie e lavoro, fra altre disposizioni, regolamenta con più puntualità lo specifico argomento, apportando alcuni migliori benefici che di seguito riassumiamo. La cms può essere applicata solo se il conto espone un saldo debitore continuativo per giorni 30 e non può essere applicata per i rapporti non assistiti da regolare apertura di credito di conto corrente, in pratica sugli utilizzi solo concessi discrezionalmente dalla banca. Il sistema creditizio ha mal tollerato queste nuove disposizioni legislative, considerando genericamente tale normativa come "avversa legislazione". E' però da tener conto che la normativa ha coinciso con la più grande crisi di liquidità nella storia economica di tutti in tempi, prova ne è lo stato di insolvenza di moltissimi istituti anche di dimensioni planetarie. La nuova offerta che le banche hanno strutturato in sostituzione della cms è stata quella del commitment fee
(commissione di disponibilità del fido) che per legge non può superare il 2%. Tralasciamo di valutare le percentuali applicate (che ovviamente sono oggetto di singole trattative fra cliente e banca, tutte purtroppo incentrate sulla reciproca forza contrattuale espressa), per valutare l'effettivo impatto sulla clientela. Benefici ne trarrà chi non gode di fido, poiché per eventuali scoperture tollerate non avrà costo di cms né di commitment fee. Nessun beneficio ne trarrà chi utilizza il proprio accordato sempre e comunque ai picchi massimi e verrà invece significativamente penalizzato chi utilizza il fido in maniera elastica (è un termine che vuole indicare chi, pur godendo di fido sul proprio conto corrente, alterna saldi debitori a saldi creditori). In questo caso infatti dovrà pagare una percentuale non sull'effettivo utilizzo ma sul montante di fido accordato (esempio: fido 10.000 euro, saldo sempre creditore c. fee 1%= 100 euro). Ora in punto di puro diritto, la c. fee appare nella sua ap-
plicazione molto più pertinente e logica: avevamo appunto premesso che questa remunerazione aggiuntiva richiesta dalle banche risponde ad un principio legato a dover sostenere i costi di sempre pronta liquidità, per far fronte ad una improvvisa "espansione" di credito a vista concesso. Riteniamo pertanto che se critiche dovrebbero essere avanzate, andrebbero rivolte in pari grado sia alla nuova normativa (che, seppur inspirata da sani principi, ha sostanzialmente fallito l'obiettivo prefissato), sia alle banche che hanno recepito e risolto “pro domo” la problematica. In tema di trasparenza di costi bancari, sono stati effettuati passi notevolissimi che nella sostanza hanno apportato notevoli benefici generalizzati, se non altro in tema di concorrenza fra banche; ma il cammino è ancora molto lungo, sia per la sostanziale difficoltà della materia sia per quanto più volte sottolineato: i costi rispondono (nei limiti dei parametri fisiologici di mercato) alla forza contrattuale fra le parti.
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Politica ed Etica
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La fecondazione assistita Occorrono risposte soddisfacenti alle esigenze di una materia in continua evoluzione. E’ legittimo soddisfare il desiderio di maternità superando un limite della natura? LUIGI NAPOLITANO
Le recenti polemiche sollevate da esponenti della Chiesa Cattolica sull’assegnazione del premio Nobel per la medicina al dottor Robert Edwards, padre della fecondazione assistita e, dunque, realizzata al di fuori del corpo della donna e la richiesta della prima sezione del Tribunale Civile di Firenze alla Corte Costituzionale di pronunciarsi circa la legittimità della norma con la quale si vieta alle coppie sterili di accedere alla fecondazione eterologa, ossia con ovuli o seme donati da persone estranee alla coppia, ha riportato all’attenzione dell’opinione pubblica il problema della legittimità dell’intervento della scienza su un evento, considerato per millenni un mistero imperscrutabile, quale la procreazione ed i limiti che alla stessa possono e/o devono imporsi. Da sempre, basti pensare al processo a Galileo, la Chiesa Cattolica e il mondo scientifico contrappongono le loro diverse vedute su tanti fenomeni legati all’innovazione scientifica, per cui è normale che il contrasto divenga più duro quando l’argomento del
contendere è la vita umana. Compito del legislatore, in casi come questo, è di regolamentare la materia nel rispetto degli argomenti delle parti in causa ma, soprattutto, delle esigenze della comunità che amministra. In Italia, fino al 2004, anno di promulgazione della legge 40, la materia era affidata alla coscienza degli aspiranti genitori ed al rispetto della deontologia medica. Si erano ritenute possibili la stipula del contratto di maternità surrogata con il quale una donna poteva impegnarsi, generalmente dietro corrispettivo, a ricevere l’embrione di una coppia sterile al fine di farlo sviluppare e con l’obbligo, dopo il parto, di consegnare il bambino, senza alcuna ingerenza futura, alla coppia committente la quale avrebbe assunto tutti i diritti e i doveri propri dei genitori; la fecondazione sia omologa, ossia con ovuli o seme provenienti dalla coppia, che eterologa, con possibilità di accesso a tali tecniche sia di coppie non sposate che di donne single. Il sorgere di problemi riguardanti questa attività, hanno richiesto, nel tempo, l’intervento sempre più frequente della Giustizia, la quale ha decretato l’illegittimità della
revoca del consenso alla fecondazione eterologa dei mariti, prima consenzienti, mediante l’azione di disconoscimento della paternità, la nullità del contratto di maternità surrogata per mancanza nell’oggetto dei requisiti di possibilità e liceità oltre che per l’impossibilità di dedurre in obbligazione prestazioni consistenti nel concepimento dello sviluppo fetale del nascituro, l’illegittimità del rifiuto di un medico, basato esclusivamente sul divieto posto da norme deontologiche, ad impiantare, dopo la morte di uno dei coniugi, embrioni crioconservati. Dopo una battaglia parlamentare, più politica e ideologica che scientifica, sotto la spinta di forti pressioni esterne che hanno pesantemente condizionato esponenti del mondo politico i quali, nel loro privato, raramente possono definirsi rispettosi dei dettami di chi quelle pressioni ha esercitato, il 19 febbraio 2004 è stata approvata in parlamento la Legge n.40 “Norme in materia di procreazione medicalmente assistita”, confermata nel 2005 seppur per il mancato raggiungimento del quorum, da un referendum abrogativo. Il testo normativo, che ha recepito alcune indicazioni del-
Uno rispetto all’infinito MARIA SARA MIRTI
Gli orizzonti speculari e paralleli della nascita e della morte si dividono tra loro le rappresentazioni di tutte le umane paure. Infatti la prima è vista come paradossalmente oscura, informe, avvolta in superstizioni inestricabili, ingabbiata per sempre nel corpo altrettanto oscuro, potente e pericoloso, della donna; la seconda è considerata invece quasi familiare, abitata da personaggi mitologici e da figure care che nella morte non hanno perduto la propria umanità, in grado all’occorrenza di tornare a mescolarsi con il mondo dei vivi, di ascoltare suppliche e raccogliere offerte. In mezzo, la scienza tenta come può di fare “da pacere”. Una domanda da sola contiene tutte le nostre incertezze: cos’è la vita? Poiché chi scrive, come accade ad altri, non è in grado di dare a tale essenziale quesito né una risposta scientifica, né una filosofica, in queste righe ne verrà ricercata una simbolica, basata su risorse e vissuti personali. Potremmo immaginare la vita come una luce, un fuoco, secondo i culti antichi (inizialmente matriarcali, poi patriarcali), come una sostanza inusuale dotata di sorprendenti facoltà. Le sue espressioni possono essere uniche, eppure esemplari, e nessuna di essa può essere considerata un’eccezione. Si dice che ci sia vita quando c’è movimen-
to, consumo energetico, calore, una piccola luce della ragione già accesa. Tuttavia, quando un bambino nasce, così riporta il Piccolo Midrachim (op. cit. in O. Rank, Il trauma della nascita), un angelo lo colpisce sotto il naso e gli spegne la luce che arde sopra la sua testa. Il bambino quindi, inconsciamente, piangerà a dirotto la sua perdita forzata: da quell’istante in poi la vita dovrà essere inseguita, imparata tutta da capo girando in tondo come fa la Terra che, circondata dal buio più denso, sembra danzare solo per se stessa. Ogni bambino è stato formato e fatto nascere senza tener conto della sua volontà, “chiuso dentro”, nella propria pelle e nel ventre di sua madre, “a chiavistello”, quindi alla nascita piangerà solo per se stesso. Egli non è e non rimarrà altri che se stesso, immodificabile da chiunque, nel carattere e nella sostanza; d‘altra parte la vita non si crea, esiste soltanto, e forse è sempre esistita. Quel bambino appena nato, una luce isolata, indipendente dal buio che lo ha partorito, assumerà su di sé una nuova vita. K. Kerényi (Dioniso, Adelphi) si è trovato ad affermare che la moderna biologia dovrebbe più correttamente definirsi zoologia: esiste infatti la vita intellegibile, simile a un mimo, chiara e definita, che abbina a un proprio essere una morte “propria”: la bìos. Poi esiste la Vita, quella che per definizione non può cessare d’esistere, sia con-
la giurisprudenza, non sembra aver dato soddisfacenti risposte alle esigenze ed alle problematiche connesse alla delicatezza ed all’importanza di una materia in continua evoluzione; esempio ne siano l’obbligo di impianto di tutti gli embrioni prodotti, che impedisce, di fatto, di eseguire una diagnosi pre-impianto e la disparità tra cittadini abbienti e non, in quanto il divieto di fecondazione eterologa è aggirabile andando a svolgere la pratica in paesi dove è ammessa. Ragioni per le quali, relativamente agli articoli più contestati, da parte di tanti tribunali civili e soprattutto della Consulta, ha subito un lento ma progressivo smantellamento che l’ha privato di senso e di autorità. Valga da ultima la sanzione inflitta dalla Corte Europea di Strasburgo all’Austria, la cui normativa conteneva un analogo divieto di fecondazione eterologa, dichiarato illegittimo perché discriminatorio ed invasivo della sfera privata. Appaiono, infine, condivisibili le critiche alla legge, mosse con una lucida analisi, che ha riscontrato nella stessa due obiettivi fortemente ideologici quali la legittimità di un solo modello familiare, costituito dalla coppia stabile ed ete-
cettualmente che di fatto, la vita che si identifica col termine anima e ad esso si sovrappone: la zoé. Per quanto la scienza dei divieti e delle assoluzioni cerchi di travasare un po’ di zoé nella bìos, noi esseri umani non potremo mai arrivare a possedere la vita vera: su questo punto il nostro libero arbitrio diventa
Comprendere la vita ci costringe a un nuovo linguaggio, privato del corpo della donna nella sua rassicurante profondità e dispiegato invece su molte superfici tecnologiche e sterili, partorite, piuttosto che dalla mitica costola di Adamo, dal suo intelletto. Ormai lo sappiamo, la vita non è più solo movimento, essa può avere solo l’apparenza del nascere. Un bambino (mi riferisco a prima dell’avvento delle mo-
soltanto libera immaginazione. La forza della zoé è ancora sconosciuta, essa interviene sconvolgendo ciò che noi riteniamo essere la nostra natura, sovvertendo i nostri ritmi, incontrollabile come il calore del fuoco, come il fuoco veicolo di conoscenza. La vita così intesa non può far altro che scottare, accecare, disturbare, inebriare. Essa completa il nostro esserci, e non può essere paragonata alla bìos.
derne tecniche diagnostiche) può essere formato, almeno all’esterno, arrivare al nono mese di gravidanza e indurre le doglie del parto, eppure nascere morto, o meglio, a dispetto della vitalità delle sue cellule, non essere mai stato vivo. Ancora: un feto che, a seguito della morte della madre, si trovi a migrare nelle vicinanze di un qualsiasi tessuto ne assimilerà la fattezza, divenendo per esempio osso.
Picasso, Maternità 1921 rosessuale e la preminenza della posizione giuridica dell’embrione rispetto a quello non solo della coppia ma della madre stessa nonché una sostanziale avversità alle tecniche di procreazione medicalmente assistita che trova il suo culmine in un atteggiamento discriminante nei confronti dei nati grazie a tale tecnica, quale il loro inserimento per legge in un apposito registro. Condivido pienamente le parole del neo-premio Nobel per la medicina “Nulla è più speciale che avere un figlio. E’ la cosa più importante della vita”, penso che un neona-
to, concepito naturalmente o con tecniche medicalmente assistite, sia sempre frutto d’amore e provo grande apprezzamento per la scienza quando aiuta a superare un ostacolo naturale, tentando di soddisfare il desiderio di maternità di donne che, per vari motivi, non riescono ad appagare in modo naturale questo loro legittimo desiderio, per cui auspico una rivisitazione della legge che, nel rispetto della personalità di tutte le parti coinvolte da queste tecniche ne sappia cogliere, libera da pregiudizi, tutti gli aspetti veramente rilevanti.
Sembra proprio che la bìos possa essere modellata come un qualsiasi materiale. Ma la vita non è certo una materia prima pregiata o un atto segreto, i nostri corpi non sono cave estrattive di cui Altri decidono l’apertura e la chiusura. A cosa servirà quel materiale, la cui unicità viene forzosamente dilatata e strattonata da un capo all’altro della terra, quel materiale divenuto ormai luogo pubblico, se non a trasformare gli emblemi della vita che conosciamo in idoli (B. Duden, Il corpo della donna come luogo pubblico. Sull‘abuso del concetto di vita, Bollati Boringhieri)? Io credo che sia lecito, per quanto doloroso, “aggirare” il corpo materno allo scopo di dare allo stesso più voce, di aprire una porta, scomoda e imperfetta senza dubbio, per permetterle di ospitare dentro di sé una vita da amare. Avere la pretesa di impadronirsi del corpo della donna “dal di dentro”, invece, è semplicemente inaccettabile. Così come è impensabile l’idea che siano le nostre “celluline speciali“, i nostri idoli divisi in tante parti anatomiche, la sola origine della vita. La vita non ci appartiene, sfugge al nostro controllo, noi non siamo in grado di trattenerla, è lei a sceglierci. Essa ci passa solo attraverso: è consustanziale al nostro desiderio, un desiderio che ha già in sé una preghiera esaudita; l’anima in noi s’impiglia e basta, finché qualcosa di traumatico non la costringe a tornare libera. La vita non è nel nostro genoma, nei nostri tentativi d’interpretazione della conoscenza: sta tutta nel nostro desiderio di veder-
la nascere e maturare. La vita è un frutto, il frutto di una grande vite a cui vengono periodicamente staccati dei germogli, affinché non dia tralci sterili ma fruttifichi. Troppo spesso la nostra esistenza, accumunata in questo a quella di Dio, è qualcosa che, come diceva M. Seta nel ’49, può avere una sola possibilità rispetto all’infinito. Mentre “a priori” ha tutte le possibilità di esistere, e quindi non c’è ragione di credere che non esista, “a posteriori” ha una sola probabilità di esserci rispetto all’infinito. La vita non proviene da noi, dunque è una “benedizione“, un atto d’amore che per compiersi utilizzerà tutti i mezzi possibili e non. Forse l’unica cosa da fare di fronte a pratiche mediche che non condividiamo, eppure coraggiose e generose, di fronte a genitori e figli che non conosciamo, non è ostacolarne il percorso con precetti crudeli, ma usare, per esempio, la formula dubitativa con cui le infermiere, dopo la prima guerra mondiale e fino agli anni ’50, a modo loro “benedicevano”, cioè spruzzavano con l’acqua, i feti di cui era incerta non solo l’origine e la natura, ma anche la fine: “Se sei un uomo…“. Il compito di riconoscere socialmente il prodotto del concepimento, dunque, era tornato ad essere gestito, magari non dalla madre, ma pur sempre da una donna. Chissà se rimettersi nelle mani di ogni donna non sia, anche adesso che il loro diritto alla procreazione viene rimesso in gioco nei tribunali, quella nostra unica possibilità rispetto all’infinito.
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dal Mondo
FOLIGNO NOVEMBRE 2010
Viaggio a XI’AN e il “Panino alla cultura” Al seguito della trasferta in Cina dal 27 settembre all‘8 ottobre 2010 del Teatro Lirico Sperimentale Appunti cinesi, suggestioni e riflessioni italiane tra Verdi, Puccini e Tremonti CLAUDIO LEPORE
Dopo18 ore di viaggio, se comprendiamo anche il trasferimento da Spoleto a Fiumicino, il ceck-in difficoltoso a Roma a causa dell’eccesso di bagaglio causato da materiale tecnico necessario per la trasferta risolto brillantemente dai funzionari di Air China, le normali attese, i controlli di sicurezza, atterriamo puntualmente ma provati all’aeroporto internazionale di Pechino. Ho letto in viaggio metà del romanzo “Chiedi alla polvere” di John Fante alternando lettura, sonno e spuntini cinesi. Il libro è bello già dall’inizio e Camilla Lopez, la protagonista femminile piuttosto misteriosa. Ripiego velocemente l’angolo della pagina sin dove sono arrivato a leggere; il mio vicino, un cinese minuto, educato e che ha dormito per tutto il viaggio senza alcun movimento mi ha concesso un viaggio decente nella economy della Air China. Ora è sveglio e impaziente di prendere il bagaglio nella cappelliera.E’ già il 28 settembre. Dopo le inevitabili formalità alla dogana cinese e al controllo passaporti veniamo accolti da due personaggi che ci seguiranno per tutto il periodo di trasferta a Xi’an. Il Sig.Ting dell’Agenzia statale cinese per lo spettacolo e una interprete, una ragazza minuta che per semplificarci la vita ci prega di chiamarla semplicemente Stella (chissà quanto complicato è il suo nome). L’italiano non è fluidissimo ma accetta-
bile, senz’altro migliore del nostro cinese che è nullo. Inizia subito e si compie in due ore il secondo trasferimento sempre via aereo da Pechino e Xi’an. Raggiungiamo finalmente l’antica capitale della Via della Seta, l’antica Chang’An ora Xi’an, già capitale dell’Impero cinese. Ci fu un tempo in cui Xi’an contendeva a Roma e successivamente poi a Costantinopoli la palma di città più grande al mondo. Nel IX secolo era la più grande e ricca del mondo grazie soprattutto ai benefici derivanti dai commerci favoriti dalla
Arts Agency (L’agenzia statale che si occupa di spettacolo) giunge a Xi’an la musica operistica italiana: il Teatro lirico Sperimentale di Spoleto-Teatro Lirico dell’Umbria con cinque artisti: la soprano Sofia Mitropoulos, la mezzosoprano Loriana Castellano, il tenore Roberto Cresca, il baritono Massimiliano Fichera, il basso Tiziano Castro, accompagnati dal pianista Francesco Massimi. Un invito finalizzato alla partecipazione del Teatro Lirico Sperimentale al Grand Opening International Festival organizzato in occasione del-
Via della Seta. La Via della Seta, non altro che un reticolo, più canali di transito terrestre, marittimo, fluviale che univano la Cina al Mediterraneo e viceversa. Fluivano merci di ogni tipo (tra cui in primis la seta che raggiungeva Roma) ma anche idee, religioni, cultura. E sul ricordo dell’antica via della Seta dall’Umbria su invito della China Performing
l’inaugurazione del Daming Palace National Heritage Park, il parco archeologico di circa 30 chilometri quadrati. Il sito archeologico si trova a Longshou Plateau a nord-est del centro di Xi’an. Il lussuoso Daming Palace fu uno dei tre grandi complessi architettonici all’interno dell’impero della dinastia Tang. Tutti gli imperatori della dinastia Tang (618-917 d.c.), eccetto l’impe-
ratore Xingqing, hanno vissuto nel Daming Palace. La ristrutturazione del grande parco ha avuto inizio nel 2006; sono stati smantellati numerosissimi edifici, tanto che sono stati trasferiti oltre 100.000 abitanti ai quali sono state assegnate nuove case non lontane dal sito archelogico sia per non allontanarli dal quartiere dove hanno vissuto o sono nati, sia per consentire loro la fruibilità del vasto e bellissimo parco. Abbiamo letto nel materiale ufficiale distribuito dall’organizzazione governativa a proposito del Daming Palace Site Park e tradotte dalla nostra interprete Stella alcune frasi sorprendenti: “lo splendore della storia e della cultura sono in grado di stimolare la rinascita culturale per favorire lo sviluppo economico”. Saremmo anche noi contenti di leggere queste frasi in Italia. Leggiamo ben altro invece nei nostri quotidiani tra cui frasi aberranti attribuite al Ministro italiano dell’Economia (che poi smentisce ovviamente) del tipo “Non è che la gente la cultura se la mangia”, in risposta al Ministro Bondi che reclama fondi e che si dovrebbe occupare di cultura se avesse un bilancio degno di questo nome. A seguire il Ministro dell’Economia rincara la dose parlando con i giornalisti della Camera dei deputati: "Vado a farmi un panino alla cultura. Inizio dalla Divina Commedia". Si riprende, interrogato da un cronista, “E' solo una battuta, ma vi sembra...". Beh a noi ci sembra proprio che la situazione sia al limite in Italia anche in questo settore,
Maradona come metafora dell’Argentina OSVALDO GUALTIERI
C’è qualche somiglianza tra il calciatore e il peronismo? Si dice con frequenza che la soluzione dei problemi nell’Africa sub sahariana è l’educazione; che le risorse naturali abbondano e se solo si potesse reaggiungere un buon livello educativo tra la popolazione il continente sarebbe ricco. Non necessariamente. Guardiamo l’Argentina. Ci sono tutte le risorse naturali che vogliamo, una bassissima densità di popolazione e una decente scolarità. Però oggi, in un paese che 100 anni fa era uno dei 10 più ricchi del mondo, un terzo dei bimbi è condannato a vivere in povertà. Otto bimbi con meno di cinque anni muoiono ogni giorno per motivi della denutrizione in un paese considerato fino a pochi anni fa “il granaio del mondo”. Questa aberrazione è frutto di un contesto politico in cui da 80 anni si alternano
dittature militari con governi populisti e corrotti. Dove è rimasta la famosa “giustizia sociale” proclamata fino alla stanchezza dal peronismo che ha governato la maggior parte del periodo democratico istaurato nel 1983? Quale è il problema?. Il problema è Diego Armando Maradona. O, per essere più precisi, lui lo incarna come simbolo: il Dio Argentino. L’idolatria per i redentori, il culto della furbizia, il disprezzo per l’etica, il narcisismo, la fede alle soluzioni magiche, l’impulso ossessivo a non farsi autocritica e incolpare gli altri di tutti i mali, sono caratteristiche che non definiscono tutti gli argentini, però che Maradona rappresenta in caricatura pagliaccesca a la maggior parte della popolazione, quella incapace di perdere la fede nel peronismo e che applaude non con risate, ma con perversa e patetica serietà. Il punto di partenza è il rifiuto della realtà.
Questo è il terreno dove opera Maradona nel quale la sua legione di devoti si addentrano – come per esempio i 20.000 tifosi organizzati dalla mafia sindacale/peronista che lo attesero all’aeroporto per ringraziarlo dell’esito disastroso dell’ultimo mondiale di calcio – per adorarlo, facendo risaltare il detto popolare, misto di grottesco e convinzione, “Dio è argentino!”. Diego Maradona è stato un bravissimo calciatore, però
la fama non da diritto ad opinare con assoluta certezza su quasi tutto e allo stesso tempo a denigrare, provocare e offendere tutti quelli che non sono d’accordo con le sue “idee”. In Argentina, mentre fa vergognare alcuni pochi, fa gridare di entusiasmo la maggior parte della popolazione. Credono che uniti all’idolo, tutto il mondo “se la succhia” – come piace ripetere continuamente a lui e agli argentini.
quello della cultura, un settore che non si mangia ma che consente di vivere e di far mangiare qualche centinaio di migliaia di persone, oltre a tutti coloro che operano nell’indotto. Ma la Cina è lontana… Nel frattempo la crisi economica viene combattuta a colpi di accetta. In Italia si riducono le risorse alla cultura, allo spettacolo, alla musica, al teatro, cioè a un capitolo di spesa considerato improduttivo, come se l’Italia fosse conosciuta nel mondo per gli ampi giacimenti di petrolio che si estendono tra la bassa Toscana e la media valle umbra del Tevere, o per le miniere d’oro e brillanti o, invece, non fosse conosciuta nel mondo per la storia, l’architettura, le opere d’arte, la musica, l’opera lirica e quindi la cultura. Ma non siamo in Cina e anche senza essere in Cina, paesi più vicini a noi che non hanno perso identità e equilibrio, pur aggrediti dalla crisi, considerano le arti e la cultura una risorsa tanto da ricomprenderli nei pacchetti anticrisi. Obama nel 2009 aumenta del 20% i contributi al National Endowment for the Arts, Sarkozy aumenta del 10% il contributo dello Stato alla cultura, il Sindaco di New York Bloomberg favorisce un piano al settore artistico che genera un indotto di altri 5,8 milioni di dollari nel solo distretto di Manhattan. Le regioni (Lander) della Germania incrementano gli incentivi agli investimenti per la cultura di circa il 7%.
Scrive sul Corriere della Sera, che non è ancora un giornale cinese, Severino Salvemini, docente ordinario di organizzazione del lavoro all’Università Bocconi, membro del comitato scientifico dell’Unione Industriali di Biella (quindi nemmeno il professore può essere tacciato di essere una guardia rossa cinese): ”La cultura è uno dei più potenti motori dell’economia postmoderna. L’economia dove conta sempre meno il valore d’uso dei prodotti e sempre più la valenza simbolica ed evocativa che essi esprimono. L’economia delle imprese che oggi producono, vendono prima di tutto i significati culturali che gli oggetti e i servizi incorporano (moda, design, turismo, ristorazione e cosi via)” - gli altri paesi che investono in cultura anche al momento della crisi (n.d.r.) –“hanno capito molto bene che i singoli investimenti culturali determinano ricadute economiche incrementali sull’occupazione e sul reddito locale che possono ormai sostituire il progressivo declino di produzioni industriali spesso a fine corsa. Ministro Tremonti, carmina dant panem, eccome”. Ma come dicevo non siamo in Cina, ma neppure in Francia o in Germania, siamo in Italia e soprattutto in un momento di grande smarrimento identitario e di saggezza. (segue la seconda parte nel prossimo numero di dicembre)
Nella realtà l’unico che ha succhiato di tutto è lui, da alcool a cocaina… Non è un’accusa alla sua famosa malattia. Solo si tratta di segnalare la sua grottesca arroganza, di carattere profondamente narcisista, metafora della patologia cronica del paese. Giorni fa – dopo un pubblicizzato incontro con i coniugi Kirchen, i suoi attuali amici che si usano a vicenda per farsi pubblicità – Maradona ha dato la sua prima intervista dopo il disastro del Sudafrica. Dopo aver detto minuti prima della partita che “l’Argentina avrebbe dato una lezione di calcio alla Germania”, non ha fatto nessuna analisi né spiegazione e ha finito per giustificare la spettacolare sconfitta solo dicendo che “il portiere tedesco è stato bravo” e che “dopo il 2 a 0 siamo calati” aggiungendo che “con un po’ di fortuna avremmo vinto la partita”. Si vede che quel giorno il Dio dei tedeschi ce l’aveva con gli argentini. Il fracasso di Maradona nel mondiale è lo specchio del fracasso di Argentina come paese, dove l’illusione, il po-
pulismo, il nazionalismo e la demagogia predominano sula realtà. Il prevalere di idoli-Dei che non si devono criticare come Peròn, Evita e Maradona, esseri intoccabili e senza errori, porta al fallimento continuo e alla conseguente sofferenza di milioni di argentini. Le società propense ad alimentare questa realtà cadono in una seduzione ipnotica di personaggi-Dei di queste caratteristiche. Quello che fino a poco tempo fa era considerato il “granaio del mondo” attualmente è un paese pieno di fallimenti, povertà, denutrizione, corruzione, insicurezza, distruzione dell’educazione e delle istituzioni. Evidentemente Dio sta cambiando di nazionalità. P/s: L’articolo non pretende analizzare tutte le cause della tragica situazione economica e sociale attuale dell’Argentina. Questo è un tema lungo e dai tanti aspetti. Si è cercato solo di analizzare solo un aspetto della mentalità di una gran parte degli argentini, che condiziona fortemente la loro storia.
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dalla Città
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Foligno: “lu centru de lu munno” Mentre la magistratura indaga, Foligno prosegue nel suo inesorabile declino ANDREA TOFI "Al centro de l'Italia ce sta l'Umbria, al centro de l'Umbria ce sta Fulignu, al centro de Fulignu ce sta la piazza, al centro de questa ce sta 'l bar, in mezz' al bar c'è 'l biliardo e al centro del biliardo c'è 'l birillo…quindi il birillo è lu centro de lu munno". Questa filastrocca popolare esprimeva sino in fondo il fervore e la dinamicità del territorio folignate, ponendo al centro proprio il cuore pulsante della città. Per decenni si è posta l’attenzione su mille altri problemi senza porsi il benché minimo pensiero sul futuro di Foligno; le discussioni prevalenti hanno sempre riguardato la sfera politica, decidere le alleanze, assegnare i posti di maggiore spessore, soprattutto dopo la nascita delle aziende partecipate, coltivare piccoli e grandi piaceri purché vi fosse comunque un ritorno dal punto di vista elettorale. Oggi, alla luce delle notizie pubblicate sui principali quotidiani locali e non solo, degli avvisi di garanzia emessi nei confronti di esponenti politici di rilievo della nostra città e della nostra regione, scopriamo finalmente (nostro malgrado) che le nostre fantasie, i nostri cattivi pensieri, i mugugni dei ragazzi e ragazze che continuano imperterriti a presentare curriculum e a fare i concorsi per entrare in qualche ente pubblico senza alcun successo, erano fondati e non erano sicuramente solo il frutto delle nostre menti distorte e malpensanti. Questa situazione di malgoverno del nostro territorio ci ha consegnato oggi una città
agonizzante con negozi e attività commerciali che continuano a chiudere, con la gente (preoccupata anche per l’eccessivo accentramento degli extracomunitari in alcune zone oramai ghettizzate) che continua a scappare verso la periferia, dove si continua imperterriti, malgrado la crisi, a costruire nuovi insediamenti sottraendo residenziali sempre più terreno alle nostre campagne, che di fronte a lauti guadagni per la cessione dei terreni e senza una valida politica per il sostegno delle attività agricole, sono destinate ad estin-
debitamento di migliaia di famiglie che continuano a coltivare il sogno della casa, pur vivendo in un periodo in cui la sicurezza del posto di lavoro non c’è più. Vivere in una città con pochi servizi, senza parcheggi, con attività commerciali che migrano verso i centri commerciali che nascono come funghi, è onestamente difficile, anche perché le esigenze di una famiglia di oggi sono tante, ma la vita in periferia, se pur più tranquilla, non è poi così bella in quanto ci sono alcune zone che sembrano quasi abbandonate o prese poco in con-
guersi e morire. E’ deprimente percorrere le vie del centro con la maggior parte delle saracinesche dei negozi chiusi, con attività storiche come il bar citato nella filastrocca popolare che smettono di vivere, lasciando il posto a una miriade di agenzie immobiliari e bancarie che puntano esclusivamente alla compravendita speculando sull’in-
siderazione se non nei periodi preelettorali durante i quali i problemi vengono enfatizzati con l’intento di raccogliere voti con promesse poi mai o raramente mantenute. Ci sono zone come S. Pietro in forte espansione abitativa, ma non è l’unica, dove c’è tutt’ora una fogna a cielo aperto che rende invivibile la zona soprattutto
nei periodi estivi quando l’acqua del fiume non scorre; la viabiltà soprattutto nelle vicinanze dei nuovi insediamenti residenziali lascia molto a desiderare perché insufficiente e pericolosa; numerose sono le discariche abusive create presso alcuni cassonetti dell’immondizia, anche se in taluni casi penso proprio che coloro che si rendono responsabili di questi atti tutti i torti non li hanno, perché a Foligno la gestione dei rifiuti, ma soprattutto quella della raccolta differenziata, lascia molto a desiderare, i cassonetti sono insufficienti, le zone più isolate della periferia ne sono totalmente prive e per chi vorrebbe fare la differenziazione è difficile se non impossibile portare il materiale presso l’unico centro di raccolta che si trova in via Campagnola, difficile da raggiungere, soprattutto con la macchina piena di sacchi di immondizia. Il paradosso è che in alcune zone di montagna la raccolta differenziata c’è e viene fatta anche con il porta a porta, forse qualche problema c’è, non pensate? Speriamo che questo scossone portato dalla magistratura faccia finalmente aprire gli occhi ai nostri politici accecati dal senso di potere e dalla paura di cadere giù dal trono; che capiscano la necessità di ritornare nei luoghi dove la gente vive, studia, lavora, pratica sport, nei bar, nei circoli ricreativi e studenteschi dove si dovrebbe anche far politica (quella vera e sincera), perché è lì che si percepiscono i malumori e le difficoltà quotidiane dei cittadini comuni, degli operai, degli studenti!
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Il meteo dei folignati LUISITO SDEI I folignati hanno avuto sempre una notevole passione per le vicende del tempo. Viviamo a ridosso di montagne nevose, in una pianura calda d’estate e nebbiosa d’inverno; siamo quasi sempre con gli occhi rivolti al cielo, anche per un atavico istinto contadino. Sarà anche per un’antica cultura tecnica di massa, quella della scuola Arti e Mestieri, quella dell’I.T.I.S.; ma qui ci sono sempre state persone che hanno trafficato con i primi dati via satellite, con le stazioni meteorologiche manuali, con ogni sorta di diavoleria elettronica pre-internettiana finalizzata alla scoperta del cielo. La nascita del web ha portato, nel giro di 15 anni, alla realizzazione di una rete di stazioni meteorologiche amatoriali che diffondono dati on line 24 ore su 24, di estensione e capillarità davvero rare, in grado di dare informazioni praticamente su ogni angolo del territorio. La rete più vasta e organizzata è quella messa in piedi dal portale amatoriale www.folignometeo.org Oltre alla redazione di un bollettino meteo quotidiano, vanta stazioni e webcam collocate a Colfiorito, La Franca, Santo Pietro, Tenne e a Pigge di Trevi. Il portale della meteorologia umbra: www.umbriameteo.com offre i dati on line rilevati lungo la palude di Colfiorito e a Foligno città. Appartengono invece alla rete amatoriale di www.lineameteo.it altre due stazioni, poste a Foligno Viale Firenze e a Borroni. Un’altra stazione amatoriale, posta a Foligno Nord, è collegata alla rete di Diretta Meteo ed è raggiungibile all’indirizzo http://www.direttameteo.it/rete/foligno-
pg/index.php E non basta: il Consorzio della Bonificazione Umbra diffonde a questo indirizzo http://www.bonificaumbra.it/index.php?page=meteofoligno i dati meteo della stazione sita nella propria sede, sempre nella zona di Foligno Nord. Insomma: una rete di punti di osservazione vastissima che, abbinata ai servizi offerti dai portali meteo su scala nazionale, ci consente di conoscere in ogni istante il tempo che fa ed anche quello che farà. Peccato che neanche questa rete ci possa mettere al riparo dalle insidie del cambiamento climatico. Ricordiamo il prolungato periodo di siccità che ha investito la Valle Umbra nella prima metà di questo decennio. Quando però, fra qualche anno, i dati raccolti da queste stazioni potranno essere storicizzati e raffrontati, sapremo senz’altro molte più cose su un clima che ogni giorno di più si mostra diverso da zona a zona, da quartiere a quartiere. L’ingegno e la passione dei folignati ce la stanno mettendo tutta, per affrontare il riscaldamento globale. Speriamo che un analogo impegno venga profuso dalle Istituzioni.
cordare l’immenso carico di disumanità incorporato in quelle pietre sovrapposte. Il “Cubo di Fuksas” non ha certo la pretesa di concorrere con l’immensità delle piramidi egiziane e certamente nasce in un ben diverso contesto economico e sociale. Lasciamo alle coscienze dei fedeli da valutare la coerenza di quell’opera con il messaggio di povertà e carità del Dio al quale è stata dedicata. Limitiamoci, ovvero “obbligiamoci” a ragionare sulla coerenza politica, sociale e culturale di un’opera estremamente costosa realizzata in un mondo che vede ogni
giorno decine e decine di disperati tentare di approdare alle coste del nostro paese correndo i rischi, che spesso divengono tragiche realtà, di essere imprigionati e torturati nelle prigioni libiche o turche o di annegare nella traversata marina, per poi doversi nascondere nelle pieghe delle nostre opulente città, in sotterranei bui e malsani dove lavorare senza pausa alla produzione di quel luccicante “made in Italy” che ci rende famosi e orgogliosi di essere italiani in tutto il mondo. Forse questo “conflitto” è la bruttura maggiore di quell’opera di inutile megalomania.
Cubo e Piramide, due solidi inutili Le manie di grandezza attraversano il tempo e lo spazio SANDRO RIDOLFI Il “Cubo di Fuksas” continua a sollecitare discussioni e soprattutto critiche da parte di esteti e di fedeli. Lasciamo a ciascuno di loro le rispettive competenze e, coerentemente con l’ideologia che ispira questo periodico, proviamo a farne una analisi economica e sociale. La produzione di opere monumentali destinate alla imperitura memoria dei loro realizzatori (più correttamente: dei loro committenti) si potrebbe dire che nasce con la evoluzione dell’homo abilis, in grado di sollevare enormi “pietroni” in posizione verticale per significare, si dice, l’aspirazione dell’ascesa verso il cielo. Le grandi opere manufatte dall’uomo hanno avuto svariate ragioni, sempre radicate nel contesto politico, economico e sociale
di realizzazione. Vi sono state anzitutto opere difensive verso “l’esterno”: dai grandi massi squadrati della Porta dei Leoni di Micene, al Vallo di Adriano in Scozia, alla Grande Muraglia. Opere difensive verso “l’interno”, cioè a protezione delle classi dominanti contro i rischi di rivolta dei dominati quali, per restare nel nostro territorio, la Rocca Albornoziana di Spoleto o quella Paolina di Perugia. Vi sono state anche opere utili allo sviluppo dell’economia e della qualità della vita, come i giganteschi acquedotti romani e le incredibili gallerie e serbatoi sotterranei mediorientali, le strade lastricate, i porti marini e fluviali, i canali di irrigazione e navigazione sparsi più o meno in tutto il mondo. Vi sono state le grandi opere dedicate alla soddisfazione o al dominio delle “pance”, come gli straordinari anfiteatri
greci e i teatri romani. Ancora opere dedicate più direttamente al dominio delle “menti” attraverso la manifestazione fisica della potenza della religione, dalle piramidi tronche dei Maja, al tempio di Gerusalemme, alle immense cupole delle chiese cristiane, agli alti minareti musulmani. Sino infine alle gigantesche piramidi egiziane alle quali, specificamente, vogliamo dedicare una breve riflessione. Le piramidi egiziane, diversamente dalle altre grandi opere, non sembrano avere alcuna utilità concreta o finalità funzionale; non di difesa, non di economia, neppure di culto, ma solo la smisurata, paranoica e parossistica esigenza di marcare l’immensa distanza tra dominanti e dominati. Sono una tomba per un solo uomo, sigillata e dunque inaccessibile per sempre, solo da ammirare con prostrata soggezione e sottomissione.
Giganteschi monumenti alla disuguaglianza, alla più folle ed esasperata violenza della sopraffazione dell’uomo sull’uomo. Se provassimo anche solo per un attimo a calcolare il costo economico, umano e sociale, lo sperpero gigantesco di risorse che la realizzazione di quei mostri ha rappresentato nella loro epoca e immaginarne invece l’investimento in opere civili, del tipo di sistemi di controllo delle piene del Nilo, piene di limo fertile, ma anche causa di devastazione dei villaggi limitrofi e di diffusione di malattie endemiche che limitavano la durata media della vita dei sudditi a non oltre i 30 anni, ebbene quale diverso scenario si sarebbe allora potuto aprire per la qualità e la dignità della vita di migliaia e migliaia di generazioni di essere umani! Ogni volta che vediamo quelle “meraviglie” della storia dell’umanità dovremmo ri-
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In Volo su Cuba
Cultura/e
to. Erano chiaramente chiacchiere e risate nervose che lasciavano trasparire la non poca apprensione dei viaggiatori per l’esperienza, forse non molto diffusa, del volo aereo. Cosicché non appena l’aeromobile si è messo in movimento e dal pavimento della cabina ha iniziato a salire un denso fumo, costituito in verità da nebbia di condensa del sistema di condizionamento, quel vociare e ridere s’è improvvisamente interrotto sopraffatto da un silenzio assordante come il rombo delle turbine dei tre reattori in accelerazione. Poi il vociare, questa volta in tono quasi isterico, è di nuovo ripreso interamente incentrato sulla giusta preoccupazione generata dal quella coltre di fumo che si andava diffondendo sul pavimento della cabina; ad un certo punto il comandante del volo, con un forte e ripetuto messaggio dagli altoparlanti della cabina, ha dovuto rassicurare i passeggeri sulla natura e sulla “normalità” di quelle emissioni gassose, invitandoli alla calma e, di più, alla fiducia (!). La calma è tornata, la fiducia onestamente non lo so a guardare i volti stirati dei passeggeri più vicini, quasi paralizzati nella istantanea di un sorriso congelato. L’aereo ha iniziato a rullare sulla pista, ha raggiunto il punto di partenza, ha alzato al massimo il rumore dei motori ed ha iniziato la sua corsa per il decollo. In quello stesso momento l’emissione di fumo si è decuplicata e nei pochi istanti dello stacco dal suolo la cabina dei passeggeri è stata interamente invasa dal gas di condizionamento sino ad impedire la vista persino del sedile di fronte al proprio. Questo fatto mi ha impedito di vedere le nuove espressioni che indubbiamente si erano andate formando sui volti dei miei vicini in quel frangente preannunziato ma non certo previsto con quelle dimensioni assolute, ma il gelo termico diffuso dal gas del condizionamento era accompagnato da un gelo di voci e persino di respiri che ben trasmetteva il clima psicologico che mi circondava. Per fortuna non appena in volo il gas si è disciolto con la stessa improvvisa rapidità con cui si era formato e quindi la trasvolata si è svolta serenamente e senza ulteriori sorprese, avvolta nel buio della fonda notte caraibica. Lo sbarco ha visto ripetere le stesse scene di assalto della salita, ma oramai si era a terra, per qualcuno a casa, per altri, come me, in attesa del prossimo volo. S.R.
NOVEMBRE 2010
L’incontro tra due essenze ovvero l’affinità non carnale IOLANDA TARZIA
Con un’ora e mezza circa di ritardo sull’orario previsto è infine giunta la chiamata d’imbarco della quale ho avuto notizia non già dall’altoparlante della sala completamente soffocato dal rumore assordante di un televisore acceso al centro della stessa, ma dalla concitazione con la quale improvvisamente, quasi illuminati da un comando telepatico, tutti i viaggiatori sono scattati in piedi e si sono caoticamente ammassati alla porta di uscita verso il piazzale di decollo. Forte del mio biglietto d’imbarco contrassegnato dal numero di prenotazione 1, mi sono messo compostamente in coda e così sono salito per ultimo sull’aereo fermo al centro della pista. Errore: a Cuba non c’è prenotazione del posto ma ci si siede così come capita quasi all’arrembaggio. Errore veniale, per fortuna, in quanto anche a Cuba almeno non emettono più biglietti d’imbarco rispetto alla capienza di posti seduti dell’aeromobile; quindi ho trovato infine un posto libero e mi sono seduto. La cabina dell’aereo era stipata di tutto: pacchi legati con lo spago, sacchi di iuta, ceste e persino enormi torte di pasticceria dolce senza incarto, tenute in mano dal proprietario per tutto il tempo del viaggio. Quella del trasporto delle torte in mano, senza incarto, è una delle consuetudini più diffuse in ogni angolo dell’isola. E’ frequente infatti vedere uscire dalle profumate pasticcerie aperte e molto attive in tutta l’isola clienti con in mano, o persino sulla testa o sulla spalla, enormi torte decorate dai fantasiosi e vari colori pastello (celeste cielo, rosa confetto, verde pisello, ecc.), che poi vengono trasportate a lungo per le vie cittadine e, come ho potuto personalmente constatare, anche per aereo da una città all’altra. Debbo confessare di non avere mai avuto il coraggio di assaggiare tali torte che, alla vista, sembrano quasi essere finte, fabbricate di cartapesta e di gesso colorato; so però che loro le mangiano e le apprezzano molto; chissà la prossima volta, un’altra volta, le assaggerò anch’io. Com’era ovvio, la quasi totalità dei viaggiatori cubani aveva trasformato la cabina dell’aereo in una piazza vociante e festosa dato l’alto tono delle voci e l’abbondare di risate e battute. Una signora seduta nella fina dietro la mia, in particolare, parlava ininterrottamente con tutti quelli che le risultavano a tiro di voce, come una macchinetta, alternando parole a risate dal tono assai al-
FOLIGNO
“…Un incontro, a stretto rigor di termini è una coincidenza, il che non significa, è chiaro, che tutte le coincidenze debbano essere incontri” (Josè Saramago – Il Vangelo secondo Gesù Cristo; Ed. Universale Economica Feltrinelli) Nel corso della vita le coincidenze ci portano ad incrociare un numero indeterminato di persone. Alcune le ignoriamo, altre ci soffermiamo a guardarle ma non riusciamo a vederle, altre ancora entrano a far parte della nostra esistenza, per un attimo o per anni. La loro vita incontra la nostra. Fra le varie vite che incontriamo ce ne sono talune che sin dal primo istante percepiamo simili e nei confronti delle quali proviamo immediatamente un’attrazione, una vicinanza, istintiva. Sono quelle che Goethe definiva le nature “affini”. Altre, invece, che sentiamo assolutamente diverse e lontane al nostro io e che altrettanto istintivamente respingiamo. Con queste ultime è probabile che rimarremo estranee. Ci sono corpi “… che stringono presto relazione e si uniscono senza alterarsi l’un l’latro: come il vino si mescola all’acqua. Ora invece si manterranno estranei l’un l’altro e nemmeno la mescolanza e l’attrito meccanico varranno a fonderli insieme: così come l’olio e l’acqua, sbattuti insie-
me, dopo un attimo si tornano a separare” (Johann Wolfang Goethe – Le affinità elettive; Ed. Fabbri Editori). Eppure, può capitare che una mera coincidenza determini un incontro fra due esseri opposti, che forse proprio per-
tomeno, diversi, si attraggono, in che cosa si può identificare l’elemento mediatore? L’attrazione fisica o, meglio, la passione, è l’elemento che più frequentemente spinge due esseri a cercarsi, a confondersi fino a perdersi
ché opposti e nonostante la presenza di altri esseri simili, incontrandosi si attraggono, si scelgono, si avvincono, si abbandonano e si legano modificandosi per formare un’entità nuova. Che cos’è, però, quel quid che causa l’attrazione, l’affinità, fra due opposti? Goethe lo identificava negli elementi mediatori che combinano ciò che reciprocamente si respinge: le leggi, la morale, le sostanze chimiche, ecc.. Ma in un rapporto fra un uomo ed una donna che per una coincidenza si incontrano e, seppur opposti o, quan-
l’uno nel corpo dell’altro. E’ il desiderio di possedersi, di dare e attingere piacere che determinerà il legame. I corpi saranno lo strumento per vivere l’incontro. E ciò anche quando i due esseri hanno un io che razionalmente non potrà mai incontrarsi e compenetrarsi. Consumata la passione finirà l’incontro. Ma può accadere che due esseri, seppur diversi, nonostante istintivamente e talvolta anche razionalmente si respingano, non possano fare a meno di cercarsi. E non per attrazione o piacere fisici. Non è la ricerca di un cor-
po. Il corpo sarà solo lo strumento attraverso il quale i due esseri creeranno il primo contatto. Gli occhi, le mani, la bocca, la pelle, l’odore serviranno solo come veicoli per unire l’essenza dei due esseri, ciò che si cela sotto le sovrastrutture che il percorso delle due vite ha creato su ciò che naturalmente è del tutto simile. L’essenza si riconoscerà, comunicherà, si unirà, si confonderà e si perderà in una dimensione astratta, avulsa e lontana dalla realtà delle due vite, che diversamente continueranno a respingersi. Le parole e i gesti non serviranno per mantenere unite le due essenze, anzi, spesso saranno utilizzate per separarle. Sarà una lotta continua fra ciò che l’essere “è” e ciò che “è diventato”, finché l’uno non si arrenderà all’altro. Certamente la razionalità aiuterà ciò che l’essere “è diventato” a prevalere sulla parte più nuda ed indifesa dell’io, l’ essenza. Tuttavia se ciò che l’essere “è diventato” realizzasse quanto siano rare le coincidenze che determinano l’incontro con altre essenze simili, si spoglierebbe immediatamente delle sovrastrutture inutili, mettendo a tacere la razionalità e dimenticando le parole, i gesti, gli atteggiamenti che gli derivano da altre coincidenze e altri incontri, per abbandonarsi totalmente a ciò che “è” per diventare un’entità nuova con un'altra essenza.
Non solo coppe Il Milan di Berlusconi di Massimo Solani e Francesco Luti con una appendice economica di Marcel Vulpis (direttore Sporteconomy) Primavera 1986: il Milan di Giussy Farina allenato da Nils Liedholm è sull’orlo del fallimento, sportivo e societario. Azioni sequestrate dalla magistratura, un Presidente in fuga e creditori inferociti alle porte di Milanello. Un attimo prima che i libri contabili vengano portati in tribunale Silvio Berlusconi, dopo mesi di tentennamenti e trattative al ribasso, compra il club di via Turati per cambiare la storia. Del calcio, certo, ma anche della sua vita. Maggio 1994: vinte le elezioni, quattro mesi dopo aver annunciato ufficialmente la sua discesa in campo, Silvio Berlusconi varca le soglie di Palazzo Chigi pattinando sul pantano di Mani Pulite. Il Milan, ad Atene, ha appena conquistato la quinta Coppa Campioni, la terza della gestione del Cavaliere. È il compimento di una storia parallela fatta di calcio e autopromozione, trionfi personali e vittorie societa-
rie. Pallone, televisione e politica. Van Basten, Pippo Baudo e Bonaiuti. I riflettori di San Siro, gli schermi tv e le luci della ribalta internazionale. Sono passati ventiquattro anni, ventiquattro anni di vittorie e trofei: dalla scoperta di Sacchi alla scommessa Leonardo, dall’aziendalismo di Capello alla consacrazione di Ancelotti. Finali vinte e rovesciamenti della sorte. Con un’unica costante: Silvio Berlusconi. Il presidente-allenatore che tutto muove e tutto decide. O che almeno si vanta di farlo accreditando di sé l’immagine di vincente e nuovo Re Mida. L’inventore della tv commerciale in Italia, l’imprenditore edile di Milano2 e il creatore della squadra più forte e titolata al mondo. Ma soprattutto l’uomo che per la sua ascesa, prima imprenditoriale e poi politica, ha mescolato tutti questi ingredienti in un cocktail velenoso fatto di regole aggirate, spese folli e conflitti d’interessi.
Dal far west dell’etere ai diritti tv del calcio, dalle campagne acquisiti faraoniche a quelle elettorali con il Milan testimonial. E poi gli scandali sportivi, i processi, le leggi ad personam e Calciopoli. Un racconto di calcio che è innanzitutto un racconto dell’Italia berlusconiana, dei suoi metodi, delle sue manie di grandezza e delle suo anomalie. Ventiquattro anni narrati attraverso le gesta sportive degli eroi rossoneri, i dettagli inediti della commistione calcio e politica e l’affresco di un conflitto di interessi diventato sistema. Come quando la struttura della comunicazione del Popolo della Libertà, alla vigilia delle elezioni, si mosse per organizzare una
controffensiva mediatica in grado di calmare gli animi dei tifosi inferociti per la campagna acquisti del Milan. Massimo Solani, classe 1977, è giornalista professionista dal 2002 e lavora per il quotidiano l’Unità dove si occupa di cronaca giudiziaria e sport. Francesco Luti, nato nel 1973, lavora a Sky dopo aver collaborato con molte testate nazionali; giornalista professionista dal 2003 è stato arbitro di calcio della Figc dal 1989 al 2003.
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Cultura/e
La giusta direzione MARIA SARA MIRTI (Seconda parte. La prima è stata pubblicata nel numero di ottobre e nel sito internet) “Il tempo è magnifico - e meritato. Ma di compagni, ahimè, per le camminate - non ne ho […]. Perciò cammino da sola non particolarmente lontano, perché non solo perdo il senso dell’orientamento, ma appena sono nata - l’ho perso.” (da Lettere ad Adriadna Berg, di Marina Cvetaeva) Quando un giovanotto della Nigeria o di una qualche regione della sconfinata Cina ci ferma, ci sentiamo quasi obbligati a misurare la distanza delle nostre mani, a non porgergliele né a ritirarle troppo apertamente, a mandarlo via con scivolosa cortesia, a non sorridergli troppo, ed eventualmente, a dargli solo la minima parte dei nostri spiccioli. Magari, col tempo, impariamo anche a riconoscere i tratti di quei volti all’inizio identici tra loro, possiamo persino arrivare a distinguere nitidamente i singoli stati d’animo, a sapere quando chi abbiamo di fronte soffre per un male fisico o per un male psicologico, per un sogno infranto, ma non ci riteniamo sufficientemente autorizzati a comportarci di conseguenza, perché mai nessuno ci ha insegnato ad apporre su persone “come loro” le etichette di diritto o di rovescio. E si
sa quanto possa essere imbarazzante, una volta “cresciuti”, trovarsi di nuovo a tu per tu con dilemmi infantili: sarà giusto o sarà sbagliato? Che poi, secondo il nostro modo sbrigativo di essere
que altro. Molte persone di ogni età hanno ancora bisogno di sentirsi rispondere allo stesso modo; tutti coloro che ci hanno preceduto ci hanno trasmesso la propria idea di “giusto e sbagliato”.
umani, è l’unica cosa che conti davvero in una qualsiasi azione. Una volta, frequentavo le medie, nel pieno di un litigio che aveva diviso tutti i partecipanti allo scontro in due opposte tifoserie, una mia compagna di classe (non una qualsiasi in realtà, ma la meglio inserita nel pur limitato tessuto sociale e la meglio vestita per la sua età) mi chiese senza giri di parole: «Ma noi siamo o no dalla parte del giusto?». Una domanda che non mi aspettavo, banalmente assoluta. «Ma certo» le risposi, sicura com’ero di avere dalla nostra un’abbondanza maggiore di parole rispetto a chiun-
Nel modo di scrivere, di abbottonarsi gli abiti, di pettinarsi, di guardare il prossimo o di fare l’elemosina, si nascondono le varie tappe di una lunga battaglia, a volte vinta e a volte persa, con le nostre sensazioni più profonde. In uno scatolone di vecchi libri ereditati da un nonno per via collaterale, ho scoperto poco tempo fa un’edizione delle Ultime lettere di Iacopo Ortis del ’47, con su disegnato un viso di donna dai tratti duri e geometrici, tipici, immagino, di una mano maschile che da lì a poco avrebbe intrapreso la carriera militare, eppure con lo sguardo vagamente reclinato, dolce.
Luca si sveglia ANGELO DI MICHELE (Seconda parte. La prima è stata pubbicata nel numero di ottobre e nel sito internet) A Luca piace usare la fresa, davanti allo schermo della macchina ha l’eleganza dei maestri d’orchestra, le frese acuminate gli vorticano intorno sfiorandolo, mordendo il metallo come fosse di burro, scagliando in aria petali metallici che lo fanno sembrare Mosè che divide le acque. Luca ama contemplare la superficie levigata dei “pezzi”, così come appare dopo la lavorazione, liscia e lucente, segnata dalla fresa come un campo da calcio dal tosaerba. Allora lui fa sempre l’occhiolino e mi dice “guarda che bella”. Luca lavora bene, a volte sembra completamente ipnotizzato dalla macchina, Luca a volte resta troppo tempo nel cesso, non si sa a che fare. Comunque quando Luca non ha voglia di faticare scuote la testa e ripete sempre la stessa cosa: “aveva ragione Giancarlo”. Superate le gallerie e con loro il punto più in alto del tragitto, dove non era raro trovare la neve in quel periodo dell’anno, Luca affronta la discesa famelico, quelle curve solcano un mare di neve, candida e soffice, il pensiero vola ad Erica. Si frequentavano dalle scuole superiori, Luca correva da lei
ad ogni pausa, passeggiavano abbracciati per i corridoi durante la ricreazione, si era comprato un paio di Levis, quando lei gli si avvinghiava addosso aggrappandosi alla tasca posteriore si sentiva in paradiso. Qualche anno dopo Luca andò a letto con Adele. Adele aveva pressappoco la sua età, rideva molto e lo provocava continuamente. Adele era passata nella vita di Luca quel tanto da incasinare tutto, gli aveva fatto scordare la tasca dei suoi jeans griffati, Adele lo svuotava, Adele era l’avventura, Erica era un porto tranquillo. Luca svolta sulla provinciale proprio all’altezza del cimitero, la mattina è buia, gli torna in mente la zingara. La Zingara aveva una montagna di collane d’oro e lo guardava con occhi furbi. Luca le aveva dato qualche spiccio, la Zingara gli aveva parlato di un incidente. “Morirai a trentatre anni in un incidente” gli aveva detto. Luca aveva sorriso, la Zingara allora gli aveva detto di Adele e lui aveva smesso di sorridere. Erica non aveva dato peso agli sproloqui di quella vecchia, Luca da quel giorno non aveva mai smesso di pensarci. Luca vola sulla strada, per un momento pensa che potrebbe essere oggi, la strada è sgombra il sole comincia ad affacciarsi rivelando la sagoma buia delle montagne, Luca marcia deciso verso il grugno
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Mi chiedo chi sia stata e che volto abbia avuto nella realtà. A vederla così sembra la personificazione della domanda di affetto di un adolescente che osa solo immaginare uno sguardo benevolo lanciato di sottecchi dall’amore futuro. Giudicando dai tratti, credo che anche lui si sia chiesto quale fosse il verso più adatto in cui orientare le varie figure che compongono il volto, i cerchi e i semicerchi degli occhi e delle guance, o quale avrebbe potuto essere la giusta direzione dei suoi capelli o del suo sguardo. Peccato non abbia indovinato la giusta posizione degli occhi. Mi chiedo se non sia stata una amicizia immaginaria abbandonata sulla carta prima di iniziare a studiare da adulto. Chissà se quel giovanissimo uomo, che io ricordo come il vecchio asciutto e ingiallito delle fotografie, si sarà domandato per un attimo se valesse davvero la pena controllare i propri sentimenti. A che serve fare la cosa giusta se poi dobbiamo costringere noi stessi a fare ciò che non vogliamo, ad avere paura di ciò che sentiamo, a relegare gli altri in precise caselle a debita distanza dalla nostra? A cosa mai potrà servire immaginare un volto di donna dagli occhi dolci ma dal profilo genericamente squadrato? Quale superiore vantaggio ci può essere nel preoccuparsi di ciò che accade fuori della nostra porta, se poi la nostra anima dovrà morire di solitudine?
di Gianni. Luca si aspetta di scorgere il furgone dietro ad ogni curva, pensa che farà una scenata che potrebbe costargli il posto, pensa che romperà il muso a Gianni costi quel che costi. Quando Luca scorge la zona commerciale pensa che finalmente potrà leggere l’ ora dall’insegna della banca.
Luca allunga il collo all’inverosimile nel tentativo di vedere l’ora, ma l’orologio attende che lui sia passato prima di mostrarla. Nell’ultimo tratto prima della fabbrica la provinciale si restringe, qualche idiota ha finanziato una pubblicità su un cartellone con una ragazza che si tocca i capelli e recita: “io amo la vita”.
Il semaforo in quel punto è sempre rosso, all’uscita delle fabbriche puoi passare un’ora in fila per passare. Luca pensa che avrà tempo per vedere l’ora. Il semaforo è verde, la strada deserta, Luca mantiene il gas premuto e scalcia il sedile della panda come fosse il fianco di un cavallo in corsa. Luca getta lo sguardo all’indirizzo della banca, i caratteri luminosi sembrano congelati anche loro, l insegna che mostra a rotazione ora, data e temperatura pare essere inchiodata: -5 -5 -5 -5 -5.
Luca la guarda ogni giorno, lo fa pensare a Erica, pensa che stasera andranno a mangiare una pizza, pensa che dovrebbe stargli più vicino, che dovrebbe chiedergli che cosa è quel segno sul collo. Luca imbocca la esse davanti ai vigili del fuoco che da quel giorno tutti avrebbero chiamato la curva di Luca. La panda sbanda, che non è un gioco di parole, Luca ha un sussulto, la macchina si mette di traverso. La macchina inizia a balzare sul posteriore, il muso rimane attaccato all’asfalto.
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Sex Machine James Brown- 1970 Ragazzi, sono pronto a alzarmi e fare quello che devo Voglio entrarle dentro, sai amico.... Come, come una macchina del sesso, amico, Muovendomi, facendolo, sai, Posso comiciare a contare? (Dài!) Uno, due, tre, quattro! Vieni su, dài sali, Vieni su, dài sali, Rimani in scena, come una macchina del sesso Aspetta! Scuoti il bracccio poi usa il corpo Rimani in scena come una macchina del sesso Devi sentirtelo dentro, come sei certo di essere nata Buttati, così, proprio così. Vieni su, dài sali Vieni su, dai sali Dicevo che come ti senti Mi fà venire la febbre e i sudori freddi Mi piace proprio così com'è, Ho per me e non mi preoccupo per lei Vieni su e scuoti la tua gallina dalle uova d'oro, scuoti la tua gallina dalle uova d'oro
Luca sogghigna, non mette mai la cintura, la cunetta fangosa lo ingoia. La macchina esce completamente di strada e scivola su un fianco, i paletti di una recinzione iniziano a saltare in aria, la rete arrugginita si chiude come la rete di un pescatore. La macchina si ferma con un suono ruvido, niente a che vedere con gli incidenti della televisione. Niente nuvole di fumo, né scintille, niente vetri in frantumi ed esplosioni. Uno scivolare sordo e grezzo, fango e puzza di benzina. La strada è deserta, un lungo istante di silenzio, sembra posarsi sulla carcassa dell’automobile, come un manto di polvere. Luca esce dall’abitacolo, come un astronauta dal portello. Bestemmia forte mentre scala il piccolo argine della cunetta. Un’auto si ferma, ne esce un tale basso e tarchiato, ha il volto spaventato sotto un cappello ridicolo. Il tipo chiede cosa è successo, Luca lo guarda e dice “un incidente”. Il tipo si tira su le maniche e gli dice “pensi che siano morti? Dobbiamo tirarli fuori?” Luca sorride, un'altra auto si ferma, ne cala un tipo che sembra la reincarnazione di Obelix. I tre insieme, raddrizzano l’auto che molleggiando disinvolta torna in strada. Luca ringrazia e salta su, il parabrezza sembra la tela di un grosso ragno, i cinque euro di benzina che aveva nel serbatoio sono sparpagliati per tutta la vettura. Il motore ruggisce, sembra
quasi rinvigorito dall’urto, l’auto invece si muove claudicante, una ruota deve essersi come ovalizzata, la macchina sembra sculettare. Ora è sicuro che questo è il suo ultimo giorno di lavoro, è sicuro che Gianni pagherà anche questo. Luca guarda la lancetta della temperatura andare su come un contagiri in accelerazione, dopo un po’ l’auto è come se soffocasse, il sibilo di una pentola a pressione, la macchina inizia a sussultare, poi muore davanti al cancello della fabbrica, proprio ai piedi degli operai del primo turno, quello delle sei. Luca è un bravo ragazzo, ogni mattina l’aspetto alle macchinette del caffè, io inizio alle sei lui arriva soltanto alle sette. Una mattina, non me lo toglierò mai dalla mente, sono le sei meno dieci quando vedo la panda rossa di Luca arrivare, ha il parabrezza sfondato e del fumo che esce dal cofano, la macchina esala l’ultimo respiro proprio ai miei piedi, Luca esce stravolto, neanche mi saluta e mi chiede che ore sono, io gli sorrido rassicurandolo: “Vai tranquillo, sono le sei meno dieci, sei in anticipo!”. Erica aveva chiesto mille volte a Luca di cambiare l’ora anche sul display del videoregistratore della cucina visto che lei non ne era capace, lui si era rifiutato sempre, sfruttava la cosa come un vantaggio, perché così lei aveva sempre qualcosa da dirgli, perché altrimenti sarebbe rimasta muta a guardare la televisione, perché pensava in questo modo, di farle un dispetto.
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Lavoro
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Per la salvaguardia e il mantenimento del sito Merloni di Nocera Umbra
Documento consegnato dal Comitato dei Lavoratori della A. Merloni di Nocera Umbra ai componenti del Consiglio Regionale della Regione dell’Umbria nella seduta del 26 ottobre 2010 Dopo alcuni anni di evidente incapacità gestionale da parte della famiglia proprietaria e nonostante gravi delocalizzazioni di significativi reparti produttivi in paesi a minor costo di manodopera che non hanno posto rimedio, ma semmai aggravato, la crisi più commerciale che produttiva del gruppo industriale, in data 28 otto-
bre 2008 la Antonio Merloni Spa, con tutte le sue partecipate, è stata posta in Amministrazione Straordinaria. In seguito alla apertura della procedura fallimentare la crisi produttiva, che ha colpito soprattutto lo stabilimento umbro di Colle di Nocera, e quello Marchigiano di Fabriano,ha indotto i Commissari nominati da Governo al ricorso alla cassa integrazione “legge Marzano” che, salvo alcuni giorni di attività produttiva al mese, ha sostanzialmente interessato tutti gli oltre 1.000 lavoratori umbri e i 1400 Marchigiani. Grazie alla forte mobilitazione di tutti i lavoratori del gruppo in data 20 Marzo 2010 è stato sottoscritto, tra il Ministero dello Sviluppo Economico e tutte le Regioni interessate dalla crisi dei diversi stabilimenti del gruppo Merloni, un Accordo di Programma che ha posto chia-
ramente la priorità della ricerca di nuovi imprenditori in grado di garantire, attraverso un idoneo progetto industriale e di ristrutturazione, il rilancio produttivo dell’intero gruppo, con l’obiettivo irrinunciabile della salvaguardia dei livelli occupazionali di tutti gli stabilimenti del gruppo A. Merloni. In relazione a tale obiettivo l’Accordo di Programma ha previsto la messa a disposizione del progetto di ristrutturazione e rilancio aziendale ingenti risorse economiche, sia dirette che indirette, prevedendo altresì l’impegno degli Enti firmatari di farsi parte attiva nella ricerca dei nuovi investitori, affiancando e stimolando costantemente l’attività istituzionale dei Commissari. A distanza di 7 mesi dalla sottoscrizione dell’Accordo di Programma, tuttavia, nonostante siano state ripetutamente avanzate manifestazioni di interesse da parte di imprenditori di grande rilevanza internazionale, non solo non si è giunti alla formalizzazione di concrete offerte di acquisto, ma è anzi
iniziato un processo di smantellamento dell’intero gruppo industriale, con la cessione frazionata di asset italiani ed esteri, che sta mettendo in grave discussione la appetibilità del gruppo industriale da parte di soggetti imprenditoriali realmente in grado di progettare e sostenere il rilancio delle produzioni, in misura tale da salvaguardare i livelli occupazionali dei siti della produzione del “BIANCO” di Nocera Umbra e Fabriano. All’esito dell’ultimo incontro con i Commissari svoltosi in Fabriano il giorno 18 ottobre 2010 sembra prospettarsi il rischio concreto della chiusura dello stabilimento di Colle di Nocera Umbra, circostanza che potrebbe altresì riflettersi sulla sorte anche del sito marchigiano, per il quale sembrano farsi avanti proposte fortemente riduttiva da parte di potenziali acquirenti di dubbia provenienza e comunque di basso profilo imprenditoriale. La salvaguardia del sito produttivo di Colle di Nocera
+ Fatica - Libertà
Senza lotta contro la disuguaglianza, il razzismo e le discriminazioni non c’è libertà delle donne. Senza libertà delle donne non c’è libertà La crisi ha mangiato posti di lavoro per tutti, specialmente nell’industria, ma come sempre le donne pagano il prezzo più alto. Oltre 104.000 donne sono scomparse dall’industria negli ultimi 24 mesi con un calo impressionante proprio tra i lavoratori con contratto a tempo indeterminato, dove rappresentano circa il 46% del calo dell’occupazione totale e oltre il 92% del calo industriale del Nord. Una crisi feroce, in cui le disparità tra i generi sono ancora più drammatiche. Le donne sono più presenti nei settori marginali e obsoleti dell’industria, dove le crisi aziendali sono più drammatiche e senza soluzioni, così come nelle microimprese dove il padrone può licenziare senza giusta causa. Ciò avviene perché gli ammortizzatori sociali e lo Statuto dei lavoratori non sono ancora estesi alle aziende al di sotto dei 15 dipendenti, come la Fiom ha denunciato dall’inizio della crisi, chiedendone l’estensione e la generalizzazione. Le donne sono le prime ad andar via quando le aziende aprono i processi di ristrutturazione, proponendogli «esodi incentivati», magari accettando anche piccole somme, che gli uomini rifiutano. La fatica sta diventando in-
sopportabile. Ritmi e carichi di lavoro crescono, turni di notte, lavoro al sabato e nei festivi, pressione sullo straordinario, il controllo e il regime di comando nei reparti produttivi diventa sempre più ossessivo. La maternità e il lavoro di cura, considerate solo come un costo aziendale e un impedimento alla
la capacità di tirare avanti. Questo sforzo quotidiano (calcolato in almeno due ore di lavoro in più al giorno) porta non solo fatica e stress, ma fa sì che le donne si ammalino di malattie professionali più degli uomini, perché le postazioni e i ritmi di lavoro non sono a misura del corpo delle donne, ma anche perché la dop-
produttività, sono fatte vivere alle lavoratrici come colpa e frustrazione professionale. Manca qualsiasi intervento pubblico a sostegno del lavoro di cura, il peso del vivere quotidiano tra casa e lavoro viene scaricato sulle spalle delle donne, sulla loro fatica e ingegnosità, sul-
pia fatica le logora prima e più a fondo. Il governo Berlusconi però ha aumentato l’età pensionabile delle donne nel pubblico e si propone di farlo anche per i settori privati, penalizzando le donne perché vivono più degli uomini e quindi costano troppo alla collettività.
Federmeccanica, insieme a Fim e Uilm, vuole distruggere il contratto nazionale, contrattando le deroghe. Questa scelta sciagurata porterà a peggiorare le condizioni di lavoro e di salario ogni qualvolta i padroni ne faranno richiesta. Con le deroghe, le discriminazioni contro le donne diventeranno più diffuse e pesanti: Fim e Uilm potrebbero concordare più bassi salari per le donne «per favorirne l’assunzione », come potrebbero fare accordi che scambiano occupazione con tutele e diritti acquisiti, nonostante i princìpi di parità di trattamento che sono costati anni di lotte alle donne e che dovrebbero rappresentare una frontiera di civiltà non più valicabile. Il ministro Sacconi e il governo Berlusconi vogliono cancellare i contratti nazionali e lo Statuto dei lavoratori, in particolar modo l’articolo 18, emanando una legge che introduce il contratto individuale e l’arbitrato al posto del ricorso ai giudice del lavoro. Senza contratti e senza diritti, il nostro paese diventerà una giungla sociale dove il padrone avrà sempre ragione, perché la forza è dalla sua parte e i lavoratori e le lavoratrici diventeranno solo merce, senza dignità.
Umbra, sia per i grandi numeri della occupazione lavorativa diretta e di indotto, sia per l’importanza assoluta della dimensione del sito industriale in un contesto regionale assai debole e produttivamente marginale nel quadro economico industriale nazionale, deve costituire una priorità assoluta dell’azione di tutti i soggetti pubblici istituzionalmente preposti alla difesa del diritto al lavoro della propria collettività amministrata. L’Assemblea dei lavoratori dello stabilimento Merloni di Colle di Nocera Umbra chiede quindi che la Regione dell’Umbria, con l’assunzione di una deliberazione formale prescrittiva da parte del proprio massimo organo consiliare, assuma l’impegno concreto e vincolante di promuovere, d’intesa solidale con la Regione Marche, la ricerca di soluzioni imprenditoriali di dimensione e profilo tali da garantire la riattivazione e il rilancio di tutti gli stabilimenti del gruppo Merloni ancora in
gestione alla Amministrazione Straordinaria, a cominciare da quello di Colle di Nocera Umbra, considerando esplicitamente l’ipotesi subordinata prevista nell’Accordo di Programma, di smantellamento e/o frazionamento dello stabilimento di Colle di Nocera Umbra, come evento disastroso per le politiche occupazionali e produttive della nostra Regione,che avrebbe dalle conseguenze economiche e sociali gravissime, anche perché irreversibili. Infine, considerato che inizialmente la riapertura dei bandi prevedeva una durata di 90 giorni, termine ridotto dai Commissari a 45 giorni con scadenza fissata al “15 Novembre 2010 ore 18.00” oramai imminente in mancanza di offerte presentate, chiediamo che la Regione Umbria congiuntamente con la Regione Marche sollecitino sin da ora i Commissari al prolungamento del termine di scadenza del bando quanto meno sino a quello inizialmente previsto.
“Schiavi Mai!” Grande manifestazione a Torino della Unione Sindacale di Base
9 ottobre, 10.000 lavoratori dietro un enorme striscione con scritto 'NO al modello Fiat, no al patto sociale, no ai sindacati complici' hanno attraversato i quartieri operai di Torino dalla porta 5 Mirafiori fino al Lingotto. Una manifestazione orgogliosa e consapevole della posta in gioco. Non solo la difesa dei posti di lavoro e delle tutele nelle aziende del gruppo Fiat, i cui striscioni aprivano il corteo, ma la volontà di impedire che l'aggressione in corso al mondo del lavoro arrivi a compimento. "Schiavi mai" era la scritta che una dozzina di operai torinesi in catene portavano orgogliosamente subito dopo lo striscione di apertura, salutati da applausi lungo tutto Corso Traiano e poi dalle finestre delle case operaie di via Nizza. E poi la Sevel, Cassino, Mirafiori e i compagni della Confederazione Cobas della Fiat e ancora i vigili del fuoco e i migranti, i giovani dei Blocchi precari metropolitani e gli occupanti delle case, i dipendenti pubblici e i precari a rispondere unitariamente all'attacco in corso. No-
nostante l'assordante silenzio mediatico che ha accompagnato la preparazione di questa straordinaria manifestazione, studenti, popolo viola e numerosi rappresentanti di forze politiche della sinistra hanno portato il proprio contributo, segno che la scelta di portare a Torino una manifestazione nazionale del mondo del lavoro ha trovato consensi anche nella galassia politica. Un segnale chiaro e' arrivato oggi dal Lingotto, tra i fumogeni ed il lancio di uova: nessuna divisione del mondo del lavoro deve passare e non si può e non si deve affidare ad una categoria, pur forte ed attrezzata, la difesa degli interessi di tutti perché tutti, in tutte le categorie, hanno bisogno del sindacato combattivo e conflittuale. La confederalità, la generalizzazione delle lotte, la volontà e la capacità di "connettere le lotte" perché nessuno resti solo davanti alla ferocia del capitale e dei padroni sono gli ingredienti giusti per essere davvero il sindacato che serve ai lavoratori; oggi ne è stato costruito un altro pezzo.
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Lavoro
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Riforma degli ammortizzatori sociali: la proposta della Cgil Due soli strumenti: la cassa integrazione e la disoccupazione Si potrebbero includere donne, immigrati e addetti con basse qualifiche oggi senza tutele La riforma è in grado di finanziarsi con la contribuzione La proposta, messa a punto dalla confederazione e dall’Ires (con un gruppo di lavoro composto da Giovanna Alteri, Lorenzo Birindelli, Fernando Di Nicola, Michele Raitano e Claudio Treves) è stata presentata a corso d’Italia lunedì 4 ottobre dal segretario generale della Cgil, Gugliemo Epifani, dal segretario confederale Fulvio Fammoni e da Giovanna Altieri, direttore dell’Ires. L’ambizione è alta: 500mila nuovi lavoratori dovrebbero a regime (nel 2018) essere inclusi nel sistema di tutele, il tutto in modo finanziariamente sostenibile. Tre, come ha sottolineato Epifani, sono i pregi essenziali della proposta: include tanti lavoratori prima esclusi da cassa integrazione, mobilità e indennità di disoccupazione, ha costi prevedibili e sostenibili, permette all’Italia "di sentirsi un po’ più europea", visto
che con il sistema attualmente vigente i nostri lavoratori sono al secondo posto in Europa quanto a rischio povertà, anche a causa di una spesa per i disoccupati appena allo 0,7 del Pil, la quota più bassa tra i maggiori paesi dell’Ue. L’idea è quella di attivare a regime due soli strumenti per tutti i settori. Il primo è la Cig (che mette insieme cassa integrazione ordinaria e cassa integrazione straordinaria), il secondo la Disoccupazione, che unisce mobilità e, appunto, disoccupazione. Il sistema progettato è pubblico e universale e – in controtendenza con l’idea di sussidiario del governo – può essere solo integrato, mai sostituito, dalla bilateralità. Per avere diritto alla nuova Cig bisogna avere almeno 90 giorni di contribuzione, l’importo è l’80 per cento della retribuzione (con un massimale di
1.800 euro netti, senza decalage) e dura al massimo 36 mesi nel quinquennio. Quanto alla disoccupazione, la copertura sarà anche qui inizialmente dell’80 per cento (fino a un tetto di 1.800 euro netti), con una progressiva diminuzione che porta l’indennità al 64 per cento dopo 12 mesi e al 50 per cento dopo due anni (integrabile dalla contrattazione bilaterale). Il sussidio comporta l’obbligo da parte del lavoratore, dopo i primi sei mesi di godimento del beneficio, di accettare offerte di lavoro congrue secondo le disposizioni delle leggi regionali. La durata massima dell’indennità è fissata a 24 mesi per chi ha meno di 50 anni e sale a 30 per chi ne ha di più; per i disoccupati del Sud sono previsti sei mesi in più. Tra le novità più interessanti, c’è il fatto che per accedere alla disoccupazione basta-
no 78 giornate lavorative sulle quali si è versata la contribuzione. Con l’attuale normativa c’è invece un vincolo biennale e questo, secondo calcoli molto attendibili, taglia fuori il 74,5 per cento dei lavoratori a tempo indeterminato che non soddisfano i requisiti per l’indennità. Altro indubbio merito della proposta è quello di semplificare gli strumenti normativi che scenderebbero da sette a due, così come i modelli di contribuzione (cioè le aliquote) che passerebbero dalla giungla delle attuali ventiquattro a sei. L’unica differenza che resta è quella tra le imprese fino a 15 dipendenti, che avranno aliquote più basse rispetto a
quelle industriali con un maggior numero di dipendenti e al settore edile. «Con la nostra proposta – spiega il segretario confederale della Cgil, Fulvio Fammoni – la platea dei lavoratori che potrebbe usufruire degli ammortizzatori sociali salirebbe di 500mila, per la maggior parte donne, immigrati e addetti con basse qualifiche. Sono misure necessarie e organiche, tanto più urgenti perché la crisi è assai lontano dal cessare di produrre i suoi effetti che sono contemporaneamente il restringimento della base lavorativa e produttiva del paese. Naturalmente come tutte le proposte è aperta alla discussione, a cominciare na-
turalmente da Cisl e Uil». Da non sottovalutare, infine, l’aspetto finanziario. «Sinora – ha detto Epifani – tutti i governi, compresi quelli di centro sinistra, ci hanno spiegato che la riforma degli ammortizzatori sociali non si poteva fare perché costava troppo, ma con questa proposta dimostriamo che non è così». Come è dimostrato in numerose e utili tabelle, la riforma targata Cgil è in grado di finanziarsi attraverso la contribuzione, che può coprire 4,2 miliardi di euro in più necessari a regime, cioè nel 2018. In alcuni, i contributi delle imprese possono anche scendere: aumentano solo quelli delle aziende che oggi versano poco o nulla.
Il Parlamento Europeo chiede 15 ottobre, Cobas Scuola: sanzioni per le imprese sciopero in difesa della scuola che delocalizzanzo pubblica “Bene Comune”
Il Parlamento chiede di sanzionare le imprese che, entro sette anni dall'aver beneficiato di aiuti pubblici, delocalizzano le loro attività. E' poi chiesto di contrastare le pratiche che non concorrono alla coesione e all'obiettivo strategico della piena occupazione. Sollecitando maggiori fondi UE a favore dell'occupazione, della formazione e l'innovazione, sono anche chieste misure per evitare la caccia alle sovvenzioni e la definizione di una lista nera delle imprese che violano le norme. La relazione d'iniziativa di Alain Hutchinson (PSE, BE) approvata dal Parlamento sottolinea anzitutto «la gravità delle delocalizzazioni di imprese in diversi paesi dell'Unione europea». Tale fenomeno, secondo i deputati, può riguardare non soltanto le industrie cosiddette tradizionali con elevata intensità di manodopera, ma anche industrie con elevata intensità di capitale e il setto-
re dei servizi. D'altra parte, notando che la scelta di delocalizzare, talune volte, non è affatto correlata a problemi di produttività, di efficienza o di redditività economica, il Parlamento sollecita il rispetto e l'attuazione degli obiettivi di coesione economica, sociale e territoriali e degli obiettivi strategici della piena occupazione. Chiede quindi che non siano sostenute finanziariamente dall'UE le pratiche che non concorrono alla realizzazione di tali obiettivi quali, appunto, le delocalizzazioni immotivate sotto il profilo della redditività o che comportano notevoli soppressioni di posti di lavoro. La Commissione e gli Stati membri devono invece impegnarsi nell'adozione di provvedimenti volti a prevenire le potenziali incidenze negative delle delocalizzazioni sullo sviluppo economico nonché «i drammi sociali» riconducibili alle perdite occupazionali dirette o indirette da esse causate nelle regioni dell'Unione europea che lamentano chiusure di imprese e le cui capacità di riconversione siano modeste o inesistenti. Al contempo, i deputati ricordano l'importante ruolo che
possono svolgere i fondi strutturali e di coesione europei, a condizione che questi promuovano la coesione e la solidarietà tra gli Stati membri e che «massimi sforzi» siano compiuti prioritariamente nelle regioni che soffrono di ritardi nello sviluppo economico. Ai loro occhi, inoltre, la Commissione deve adottare tutti i provvedimenti necessari affinché la politica regionale europea non costituisca un incentivo alla delocalizzazione di imprese. Per tale ragione, riconoscono che la proposta, contestuale alla riforma dei Fondi strutturali, tesa «a punire» le imprese che, pur avendo usufruito di un aiuto finanziario dell'UE, delocalizzano le loro attività in un arco di sette anni a decorrere dalla concessione dell'aiuto, sia «una prima misura indispensabile per promuovere la coesione economica, sociale e territoriale dell'UE». Inoltre, chiedono che le imprese che si delocalizzano all'interno dell'Unione dopo aver beneficiato di aiuti pubblici o quelle che hanno licenziato il personale del loro stabilimento d'origine senza rispettare le legislazioni nazionali ed internazionali, non possano usufruire degli aiuti pubblici per il loro nuovo luogo di attività. Tali imprese dovrebbero anche essere escluse in futuro dal beneficio dei Fondi strutturali o da quello degli aiuti statali per un periodo di sette anni a decorrere dalla delocalizzazione.
Davvero una giornata importante nella lotta per difendere quel bene comune cruciale che è la scuola pubblica di tutti e per tutti. Dai dati delle principali città risulta che il 30% dei lavoratori hanno scioperato, fatto di grande rilievo visto che il nostro appello alle strutture sindacali per uno sciopero comune non è stato purtroppo accolto e che la responsabilità dell’iniziativa è gravata solo sulle nostre spalle. E almeno centomila manifestanti sono scesi in piazza nelle manifestazioni regionali, con punte particolarmente alte a Torino (circa 20 mila), Roma (15 mila), Napoli (15 mila), Palermo e Cagliari (entrambe 7 mila), Pisa (6 mila). Sciopero e cortei si sono rivolti contro i tagli di orario, materie e posti di lavoro (140 mila in meno in tre anni), sottolineando come l’impoverimento della scuola sia certamente un processo in atto da un ventennio con la responsabilità dei governi sia di centrodestra sia di centrosinistra, ma che, nel contem-
po, l’attuale politica di tagli registra un salto quantitativo che ci precipita verso il baratro di una scuola-miseria senza risorse né speranze. Nelle manifestazioni hanno dominato le richieste di annullamento dei tagli, di assunzione stabile dei precari, di investimenti consistenti almeno ai livelli medi europei, di recupero integrale degli scatti di anzianità e dei contratti per docenti ed Ata, senza il quale ogni lavoratore perderà in media 40-50 mila euro. E’ motivo di particolare soddisfazione che in piazza, accanto a docenti, Ata e studenti, ci siano stati operai delle fabbriche metalmeccaniche, a partire dalla FIAT, e lavoratori del Pubblico impiego; nonché quei Comitati dei precari e dei genitori che si oppongono alla scuola-miseria di Gelmini e Tremonti ma che non dimenticano il ruolo svolto, nell’impoverimento della scuola, da quei partiti di centrosinistra che furono in posizione dominante nei governi Prodi. A Torino, insieme ai docenti, Ata e studenti, hanno manifestano anche i lavoratori della FIAT, di fabbriche meccaniche e chimiche, del Pubblico Impiego e Sanità, nel quadro dello sciopero provinciale ge-
nerale. A L’Aquila, insieme al popolo della scuola pubblica, erano in piazza anche tanti cittadini per protestare contro la gestione malandrina e cialtrona della “ricostruzione” che non ha restituito alla città martoriata nemmeno le scuole e l’università preesistenti, nonché gli operai della SEVELFIAT. Ad Adro i COBAS hanno manifestato a fianco dei colleghi che coraggiosamente hanno fatto quello che nessuna autorità pubblica si è accollata, e cioè porre fine all’esproprio di una scuola da parte di una fazione politica, quel distruttivo leghismo che vorrebbe una scuola divisa per etnie e religioni, consegnata a gruppi privati e partiti. A Roma la polizia ha impedito ai manifestanti, che avevano protestato a lungo sotto il MIUR, di giungere al Parlamento ma il corteo si è svolto ugualmente in quel centro che il sindaco Alemanno vorrebbe off-limits per i cortei. Anche a Napoli l’intervento della polizia ha influito sulla manifestazione, a cui hanno partecipato anche gli operai Fiat di Pomigliano, caricando provocatoriamente una parte del corteo e provocando feriti e fermi. Ora la lotta proseguirà con la “Campagna contro il Collaborazionismo e l’Illegalità” che ha già bloccato in molte centinaia di scuole le attività aggiuntive, oltre a contrastare tutte le illegalità messe in atto quotidianamente per mascherare le voragini della scuola-miseria. Piero Bernocchi portavoce nazionale COBAS
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Enti locali e servizi
FOLIGNO NOVEMBRE 2010
L'Istat ha adottato il Codice Classificazioneacusticaedifici: italiano delle statistiche la nuova norma UNI 11367 ufficiali Un nuovo collaudo a molti zeri per poter vendere o SALVATORE ZAITI
Con la deliberazione n. 10 del 17 marzo 2010 (pubblicata nella G.U. n. 240 del 13 ottobre 2010) il Comitato d’indirizzo e coordinamento dell'informazione statistica ha fissato i principi cui devono uniformarsi gli enti e gli uffici del Sistema statistico nazionale per la produzione delle statistiche ufficiali. Per la verità, tale adempimento era stato già richiesto dalla Commissione Europea agli Stati membri con una raccomandazione del 25 maggio 2005, meglio conosciuta come Codice delle statistiche europee. E' a tutti noto, infatti, quale ruolo fondamentale assolvono le statistiche nelle società democratiche, proprio perché mettono a disposizione delle autorità pubbliche, dei politici, degli operatori economici e sociali nonché dei cittadini informazioni obiettive ed imparziali sulla base delle quali è possibile adottare decisioni informate e dibattere apertamente talune tematiche. Ne consegue che per poter svolgere tale ruolo, le statistiche ufficiali devono essere prodotte e diffuse conformemente a norme comuni che garantiscano l'ottemperanza ai principi di imparzialità, affidabilità, obiettività, indipendenza scientifica, efficienza economica e riservatezza statistica. Il Codice, quindi, intende perseguire un duplice obiettivo: da un lato, accrescere la fiducia verso le autorità statistiche; dall'altro, migliora-
re la qualità delle statistiche da esse prodotte e diffuse, promuovendo l'applicazione dei principi, delle pratiche e dei metodi statistici internazionali migliori. Il documento si articola nei seguenti quindici principi: "1. indipendenza professionale degli organi statistici; 2. mandato per la raccolta dei dati dichiarato in modo esplicito a chi è invitato a rispondere; 3. le risorse a disposizione devono essere sufficienti a soddisfare le necessità della statistica ufficiale; 4. l'impegno in favore della qualità conformemente ai principi fissati nella dichiarazione sulla qualità del sistema statistico europeo; 5. riservatezza statistica per la tutela dei dati personali dei fornitori di dati; 6. imparzialità e obiettività nel rispetto dell'indipendenza scientifica; 7. solida metodologia con strumenti, procedure e competenze adeguate; 8. procedure statistiche appropriate sia per la rilevazione dei dati che per la loro convalida; 9. onere non eccessivo sui rispondenti; 10. efficienza rispetto ai costi; 11. pertinenza alle esigenze degli utenti; 12. accuratezza e attendibilità nel rispecchiare la realtà in maniera accurata e attendibile; 13. tempestività e puntualità nella diffusione; 14. coerenza e confrontabilità con fonti diverse; 15. accessibilità e chiarezza per gli utenti. Il Codice italiano, pur elencando, anche nell'ordine, i
medesimi principi adottati dal Codice europeo, non fornisce però gli strumenti né gli indicatori per dare concreta applicazione ai principi stessi; si limita a rinviare agli enti e uffici del Sistema statistico nazionale l'adozione delle misure necessarie. Ciò non facilita di certo l'azione intrapresa verso una maggiore indipendenza, integrità e responsabilità delle autorità statistiche nazionali. Se alla proclamazione dei principi non faranno seguito interventi seri e attendibili in grado di misurare e verificare la loro reale attuazione, allora continueremo ad assistere alle consuete "sfornate" di numeri, indici e grafici. L'obiettivo che si era proposto il legislatore europeo di accrescere la fiducia del pubblico nei confronti delle statistiche ufficiali è strettamente legato al principio d’indipendenza sancito direttamente dal Trattato UE e fa riferimento all'obiettività del processo di produzione delle statistiche. Non può sfuggire, infatti, che "per imparzialità si intende un modo oggettivo e indipendente di produrre statistiche, al riparo da qualsiasi pressione esercitata da gruppi politici o da altri gruppi di interesse, in particolare per la scelta delle tecniche, delle definizioni e delle metodologie più adeguate al perseguimento degli obiettivi stabiliti". Auguriamoci che il sistema statistico nel suo complesso abbia le capacità per farvi fronte.
locare una casa SILVIA PROSAICI
E' stata pubblicata a fine luglio la norma UNI 11367 che definisce la classificazione acustica degli edifici ed impone, a chiunque voglia vendere o affittare un alloggio, oltre alla normale certificazione energetica, anche l’elaborazione di quella acustica. Un obbligo che entrerà a pieno regime dal 2011, mentre i dettagli ed il regolamento attuativo della norma UNI saranno noti nelle prossime settimane. Con la nuova norma, in buona sostanza, si prevede che ogni unità immobiliare abbia una certificazione che attesti la classe acustica di appartenenza. Il concetto è lo stesso della certificazione energetica, con qualche differenza, però, almeno in relazione ai costi. La certificazione acustica, infatti, viene redatta sulla base di un collaudo da effettuare in tutti i vani dell'immobile. Mentre per la redazione di una certificazione energetica si spendono fino a 300 euro, secondo l'Ente italiano di unificazione, che ha elaborato la norma UNI 11367, i collaudi acustici costeranno dalle cin-
que alle dieci volte in più rispetto a quelli energetici. Ottenere la certificazione acustica, quindi, costerà tra i 1.500 e i 3mila euro. Molto dipenderà dalla superficie da verificare e dai vani che dovranno essere collaudati. La certificazione acustica, infatti, è una prova che deve essere ripetuta in tutte le stanze che compongono l'immobile che sta per essere venduto o locato. Dai risultati ottenuti nelle prove acustiche effettuate in
tutti i vani, considerato un margine di incertezza delle misurazioni e fatta una media, si ricaverà un indice che permetterà la classificazione acustica sulla base di quattro diverse classi. Le classi acustiche appunto. Sono previste quattro soglie di differenziazione che cor-
rispondono ad altrettante classi di efficienza acustica. La prima classe identifica il livello più alto e silenzioso, mentre la quarta classe rappresenta quella con la peggior efficienza acustica e maggiore rumorosità: va considerato che, seppure il livello prestazionale "di base" - così come previsto dalla norma UNI - è rappresentato dalla terza classe, la stragrande maggioranza degli edifici italiani esistenti non raggiunge neppure la quarta classe. La valutazione complessiva di ogni unità immobiliare, inoltre, deriverà da una serie di valutazioni inerenti diversi elementi: l'isolamento di facciata, l'isolamento rispetto ai vicini (sia per i rumori aerei, sia per i rumori di calpestio) e il livello sonoro degli impianti. Nel caso degli alberghi saranno considerati altresì gli isolamenti acustici fra ambienti della stessa unità. La certificazione acustica obbligatoria sarà necessaria per tutti i tipi di edifici, anche per le case monofamiliari, esclusi quelli a uso agricolo, artigianale e industriale. Per quanto riguarda invece gli ospedali, le scuole e le case di cure i requisiti acustici saranno contenuti nell'appendice della norma UNI.
tamenti previsti dall’art. 572 c.p. La Suprema Corte, in tale caso, ha affermato come le pratiche persecutorie realizzate ai danni del lavoratore dipendente e finalizzate alla sua emarginazione possono integrare il delitto di maltrattamenti in famiglia esclusivamente qualora il rapporto tra il datore di lavoro ed il dipendente assuma natura para-familiare, in quanto caratterizzato da relazioni intense ed abituali, da consuetudini di vita tra i soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell’altra e dalla fiducia riposta dal soggetto più debole del rapporto in quello che ricopre la posizione di supremazia, escludendo, pertanto, nel caso sottoposto, la sussistenza del reato in rela-
zione alle vessazioni subite dalla dipendente ad opera di un dirigente di un’azienda privata di grandi dimensioni. L’indirizzo posto da detta decisione è stato, però, immediatamente abbandonato. La Corte di Cassazione, Sez. VI, con la sentenza n. 28553/2009 ha abbracciato l’orientamento dominante in giurisprudenza, qualificando le molteplici attività dei vertici aziendali volte a conseguire l’acquiescenza dei lavoratori presso un termovalorizzatore alle carenze degli impianti di sicurezza e di prevenzione degli infortuni, sottoponendo gli stessi lavoratori a ripetuti provvedimenti di dequalificazione, di depotenziamento dei rispettivi ruoli e a minacce di sanzioni disciplinari ingiustificate, come maltrattamenti, lesioni personali e violenza privata. Pertanto, nonostante il mobbing sia entrato a far parte del linguaggio corrente, resta per ora ancorato ai diversi orientamenti della giurisprudenza, in attesa che il legislatore italiano ottemperi ai vincoli imposti dall’Unione Europea sulla creazione di una normativa specifica che contrasti il crescente fenomeno del mobbing.
Il “mobbing” in Italia I diversi orientamenti giurisprudenziali sul “reato” di mobbing ELISA BEDORI
Nell’ordinamento italiano, nonostante le sollecitazioni del Parlamento Europeo (Risoluzione 2001/2239-INI, emanata il 20 Settembre 2001) manca una norma incriminatrice ad hoc in tema di mobbing. La giurisprudenza italiana riconduce essenzialmente il fenomeno (oltre che - a seconda dei casi - ai reati di lesione e violenza privata) al reato di maltrattamenti ex art. 572 del codice penale collocato tra i delitti contro la famiglia, ma che vieta espressamente anche condotte di maltrattamento poste in essere dal soggetto agente in danno di “una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidat per l’esercizio di una professione o di un’arte”. Pur non esistendo nel nostro codice il reato di mobbing, si
usa sempre più spesso parlare di questo istituto quando si verificano determinati comportamenti sul luogo di lavoro. Il termine mobbing (da to mob, letteralmente “accalcarsi intorno a qualcuno”) è stato mutuato da una branca dell’etologia, per designare un complesso fenomeno consistente in una serie di atti o comportamenti vessatori, protratti nel tempo, posti in essere nei confronti di un lavoratore da parte dei componenti del gruppo di lavoro in cui è inserito o dal suo capo, caratterizzati da un intento di persecuzione ed emarginazione finalizzato all’obiettivo primario di escludere la vittima dal gruppo. Trattasi di condotte per lo più finalizzate ad indurre la vittima all’auto-licenziamento, ovvero a discriminare il lavoratore che abbia tenuto condotte non approvate dai superiori o dai colleghi. In Italia, la giurisprudenza di
legittimità penale ha inizialmente ricondotto il mobbing ai reati di percosse o lesioni (Cass. pen., Sez. IV, 20.12. 2005, n. 46266). Le decisioni più recenti, invece, fanno rientrare l’istituto in oggetto nell’ambito del delitto di maltrattamenti (Cass. pen., Sez. VI, n. 737/2007; Sez. V, n. 33624/2007), osservando che il fenomeno del mobbing appare più prossimo alla fattispecie di cui all’art. 572 c.p., la cui integrazione richiede, comunque, la ravvisabilità dei parametri di frequenza e durata nel tempo delle azioni ostili al fine di valutarne il complessivo carattere persecutorio e discriminatorio. Tale principio è stato ribadito, con motivazione ampia e convincente dalla sent. 27469/2008 della III° Sezione della Suprema Corte, che ha fatto rientrare nel rapporto d’autorità di cui all’art. 572 c.p. il rapporto intersoggetti-
vo che si instaura tra datore di lavoro e lavoratore subordinato in quanto caratterizzato dal potere direttivo e disciplinare che la legge attribuisce al primo nei confronti del secondo, osservando che “l’art. 572 c.p., rispetto al precedente codice, ha ampliato la categoria delle persone che possono essere vittima di maltrattamenti, aggiungendo nella previsione normativa ogni persona sottoposta all’autorità dell’agente, ovvero al medesimo affidata per ragioni d’istruzione, educazione, etc..” Nonostante l’orientamento prevalente, la Corte di Cassazione (Sez. VI), nella recente sentenza n. 26594/2009, ritiene come non sia possibile inquadrare tout court il mobbing nell’ambito dei maltrat-
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Salute
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Celiachia
Tumore del fegato
L’informazione e la dieta sono le uniche armi vincenti
Importanza della prevenzione e nuove prospettive terapeutiche
LEONARDO MERCURI La celiachia è un’intolleranza permanente al glutine, sostanza proteica presente in avena, frumento, farro, kamut, orzo, segale, spelta e triticale. L’incidenza di questa intolleranza in Italia è stimata in un soggetto ogni 100/150 persone. I celiaci potenzialmente sarebbero quindi 400 mila, ma ne sono stati diagnosticati intorno ai 65 mila. Ogni anno vengono effettuate cinque mila nuove diagnosi ed ogni anno nascono 2.800 nuovi celiaci, con un incremento annuo del 9%. Per curare la celiachia, attualmente, occorre escludere dalla dieta alcuni degli alimenti più comuni, quali pane, pasta, biscotti e pizza, ma anche eliminare le più piccole tracce di farina da ogni piatto. Questo implica un forte impegno di educazione alimentare. Infatti l’assunzione di glutine, anche in piccole dosi, può causare danni. La dieta senza glutine, condotta con rigore, è l’unica terapia che garantisce al celiaco un perfetto stato di salute. Il glutine è una proteina contenuta in alcuni cereali: frumento, farro, orzo, segale, avena. Seguire una dieta senza glutine significa evitare alimenti contenenti questi cereali e i loro derivati. Si possono utilizzare invece altri tipi alimenti quali: riso, mais, miglio, manioca ed altri. Molte industrie alimentari hanno messo in commercio alimenti senza glutine sempre più gradevoli: farine che
sostituiscono quella di grano, pane, pasta, biscotti, dolci, cracker, grissini, fette biscottate, merende. La dieta del celiaco risulta così varia ed equilibrata nonostante l’esclusione del glutine. Ricordate che l’alimentazione senza glutine non è solo un limite o una rinuncia continua, come potrebbe sembrare, ci sono infatti tanti alimenti privi di glutine che da sempre fanno parte dell’alimentazione mediterranea e che possono essere un valido spunto per piatti semplici e particolari
per tutti, celiaci e non. Con un po’ di fantasia e creatività ognuno di noi potrà inventare piatti senza glutine buoni e uguali per tutti, come risotti, patate, polenta, legumi. Ma cerhiamo di capire ora come e perchè si deve variare la propria dieta, e soprattutto come ci si deve comportare quando si è affetti da questa intolleranza. L'esclusione nella dieta delle prolamine di grano, orzo, segale, farro ecc. condiziona inevitabilmente scelte alimentari ed abitudini quotidiane come fare la spesa o mangiare fuori casa. Queste attenzioni specifiche non
devono escludere le regole di base di una alimentazione sana ed i principi della "dieta mediterranea" rappresentata da cereali, legumi, frutta ed ortaggi, pesce, olio di oliva. La densità energetica, il contenuto in fibre vegetali e vitamine, il contenuto e la composizione dei grassi prevalentemente di origine vegetale di questi alimenti hanno un ruolo protettivo verso molte patologie e favoriscono un buon stato di salute generale. Nell’alimentazione equilibrata dell’adulto il 60% delle calorie della razione dovrebbe provenire dai carboidrati o zuccheri ed il 20-30% dai grassi. Poiché ogni alimento ha un proprio profilo nutritivo, e’ importante scegliere quantità adeguate (porzioni) di cibi appartenenti ai diversi gruppi di alimenti, alternandoli nei vari pasti della giornata per avere disponibili tutti i principi necessari per l'organismo. Come avrete capito una persona celiaca non ha bisogno di alimenti particolari e rari, ma ha bisogno di conoscere la propria patologia, conoscere gli alimenti e soprattutto la loro composizione nutrizionale. Nel servizio dietetico ospedaliero della nostra città troverete delle ottime dietiste esperte in questa ed in tutte le altre problematiche che riguardano l’alimentazione, basterà rivolgersi a loro, od a qualsiasi altro dietista di vostra fiducia per avere una sicurezza ed una informazione seria e professionale che vi aiuti a convivere con una patologia che se affrontata con le cognizioni giuste non ci darà mai nessun problema.
PARIDE TRAMPETTI Il tumore del fegato, epatocarcinoma (HCC), è un tumore in aumento nelle statistiche mondiali. La prevenzione costituisce l’arma migliore contro tale neoplasia. L’epatite cronica B e C, l’abuso alcolico e la sindrome metabolica (diabete e soprappeso) sono le principali cause di cirrosi epatica, che a sua volta rappresenta il maggior rischio per sviluppare il tumore. In Italia 300.000 persone presentano cirrosi epatica, spesso senza saperlo. Di questi ogni anno l’1-3% sviluppano un tumore (HCC), quindi circa 6.000 nuovi casi l’anno. Dal 1991 nel nostro paese è in atto (obbligatoria inizialmente per i neonati e i dodicenni, dal 2003 solo per i neonati) la vaccinazione contro l’epatite B, per cui attualmente la popolazione fino a trenta anni è protetta dal virus B. Invece la trasmissione dell’epatite C è combattuta attraverso misure di igiene primaria (tra l’altro strumenti medici monouso). Il problema sono quindi i 500.000 pazienti affetti da epatite cronica B e il milione da epatite C. I farmaci attualmente in uso riescono a spegnere l’epatite B e a guarire in una buona percentuale i pazienti affetti da epatite C. Chi non risponde alla terapia deve essere sorvegliato attentamente tramite ecografia per la diagnosi precoce del tumore. Infatti scoprire un tumore di piccole dimensioni e limitato al fegato consente tramite intervento chirurgico di eliminarlo in maniera definitiva. Tuttavia bisogna tener conto che spesso le condizioni di questi pazienti sono
Mario Tessari, Sciamano - 2003 compromesse da anni di epatite cronica e dalla cirrosi epatica. Per cui in essi è spesso difficile eseguire interventi chirurgici o altre metodiche terapeutiche atte a neutralizzare il tumore epatico ed evitare la possibilità di metastasi ( alcolizzazione , termoablazione, embilizzazione). Il tumore del fegato è spesso silente, non da sintomi, si accresce lentamente, e in alcuni casi da metastasi, senza prima aver dato segni di sé. Quindi spesso la diagnosi viene posta quando ormai è troppo tardi per poter intervenire chirurgicamente o con altre metodiche. La chemioterapia tradizionale non ha praticamente effetto su questo tumore, per cui fino al 2007 non vi era arma per poterlo contrastare quando ormai avanzato. Attualmente è in uso un
Malattie emorroidarie Un disturbo che non va sottovalutato; una corretta alimentazione può alleviare il disagio MARIO ANTONIO ZOCCO Le Emorroidi sono cuscinetti di tessuto sotto mucosa riccamente vascolarizzato nella parte inferiore del retto e contribuiscono a chiudere completamente il canale anale. Quando questi cuscinetti si prolassano si parla di malattie emorroidarie. Considerato un disturbo di scarsa rilevanza medica, queste vengono trascurate, in realtà sono un problema fastidioso e a volte molto doloroso. Rappresentano un problema degli adulti over 50 sen-
za distinzione di sesso. La perdita di sangue vivo nel momento della defecazione è il segno principale della Malattia Emorroidaria. A seconda dello stadio della malattia si può avere: 1° stadio prurito, 2° stadio prolasso, 3° stadio edema, 4° stadio dolore e perdita di muco. Per svariati motivi (timidezza, noncuranza, ecc.) molte persone non consultano il medico. Il Farmacista perciò può diventare l'interlocutore preferenziale. Prima di decidere se intervenire in autonomia o invi-
tare il paziente a consultare il medico è necessario verificare che il quadro clinico sia chiaro e il paziente in grado di fornire una chiara descrizione dei sintomi. La Malattia emorroidaria spesso dipende da una cattiva alimentazione. La riduzione della consistenza delle feci rende l'evacuazione più facile, riducendo il sanguinamento. Consigli 1) Aumentare gradatamente l'apporto di fibra (pane integrale, frutta, verdura), aumentare l'assunzione di acqua, succhi di frutta e spremute. 2) Usare i prodotti a base di
psyllium, gomma di Guar, per chi non riesce a correggere la stipsi con la dieta. 3) Evitare alimenti irritanti, bevande alcoliche, spezie, frutta secca e dolci. 4) Assecondare lo stimolo della defecazione senza stare troppo sul water. 5) Il prurito può essere alleviato con un'accurata igiene intima con saponi acido liquidi.
Terapia Si pensava che la crioterapia selettiva fosse la metodica più adatta alla soluzione del problema, invece è stata quasi abbandonata, come pure abbandonati sono HAL doppler e Coagulazione ad Infrarossi. THD è il più moderno trattamento chirurgico della terapia delle emorroidi. Questo metodo è la soluzio-
nuovo farmaco SORAFENIB, farmaco antiangiogenesi, capace cioè di bloccare la formazione di vasi sanguigni indotta dal tumore. Quindi il farmaco riduce o impedisce l’apporto di sangue al tumore, ostacolandone la crescita. Sono allo studio altre molecole il cui funzionamento è basato sullo stesso principio, però più potenti e selettive (farmaci che agiscono sui recettori EGRF), già sperimentati con successo in altri tumori. La novità di questi farmaci in fase di sperimentazione, da usare in tumori avanzati, non aggredibili con altre metodiche (chirurgia alcolizzazione ecc..) è quella che essi forse saranno capaci di far regredire il tumore, non solo rallentarne la crescita; essendo poi gravati da minori effetti collaterali, perché più selettivi.
ne meno dolorosa e inoltre rispetta pienamente l'integrità anatomica di questa area molto importante per la continenza. Terapia farmacologica. a) Preparazioni topiche cortisonici e anestetici locali; i cortisonici hanno un'azione antinfiammatoria, antipruriginosa, antiedemigena mentre gli anestetici locali hanno azione antidolorifica. b) Biflavonoidi; sono sostanze di origine vegetale, esercitano azione antiossidante e capillaroprotettrice, usati in associazione con i preparati topici riducono gli episodi di sanguinamento, il numero delle ricadute e la gravità dei sintomi negli attacchi acuti. c) Ghiaccio ed analgesici per os; in caso di dolore molto forte può essere utile applicare il ghiaccio (15- 30 min) e/o l'uso di analgesici (paracetamolo, ibuprofene, ketoprofene, diclofenac).
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Pensieri e Parole
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FUORI E DENTRO IL BORGO SEMPRE E SOLO RADIOFRECCIA
LA CONDIZIONE NECESSARIA DELLA POESIA QUANDO LA PAROLA È IL SUONO DELLA VITA “Poesia è pensier che manifesta/E stringe il Vero in simboli profondi/E’ fuoco sacro sull’altar di Vesta/Luce di templi, sinfonia di mondi.” Arturo Graf SILVIA
PALLARACCI
Con questa frase vorrei iniziare a parlare di Poesia, che considero la forma più pura d’espressione artistica benché, da sempre e soprattutto in questi tempi moderni,sia un genere letterario tanto bistrattato quanto diffusa è la tendenza ad accorgersi dell’esistenza di certe meravigliose Voci solo quando queste sono ormai passate a miglior vita (...). Sul concetto generale di Poesia si potrebbe disquisire a lungo, ma ritengo che già troppo in questo senso sia stato fatto e che individuare una definizione precisa non sia comunque possibile, né in fondo necessario. La Poesia è una dimensione così intima e radicata nel sentire profondo di ognuno che non si può racchiuderla in schemi e fissarle una forma; ha molteplici volti mutanti nel contenuto, nel significato, nello stile. E la sua ricchezza risiede proprio nel suo essere elastica e ripiegabile, spaziale ed essenziale. Quindi cercherò semplicemente di spiegare cosa rappresenti per me la Poesia e perché, da quando ho memoria, senta il bisogno di scrivere in versi. La Poesia è la mia rincorsa frenetica alla vita, una sorta di accanimento su me stessa attraverso cui rivendico il diritto di aggrapparmi a tutto ciò che mi circonda. La mia scrittura attinge dal mio sangue, è la lama con cui mi incido per arrivare al cuore e poter osservare con sguardo lucido e sen-
za filtri il mondo. E questo è un faticoso ma inevitabile percorso di sofferenza, fatto di salti nel vuoto, scosse d’assestamento, fasi alterne di disperazione e di estasi inaudita, perché la parola non cura né acquieta, ma amplifica ogni sensazione, scopre la carne, rivela le nudità. E’uno sviscerarsi senza sosta che richiede assoluta sincerità -nella Poesia non si può barare- e che condiziona e scandisce ogni minuto della giornata, come una necessità che pulsa e respira,tanto da portarmi a descrivere perfino lo sguardo che indosso ogni mattina. Nel definirmi Poetessa sottolineo sempre come non ami molto la tecnica, preferendo affidarmi completamente al sentire più che alla parola in sé. Non uso la parola come mezzo per catturare gli istanti, ma per dilatarli e lasciarli fluire liberamente. Nella parola l’emozione brucia in un attimo ma rimane immortale. E la Poesia non è altro che un gesto d’amore verso me stessa, la mia consegna all’eternità. Vorrei così invitarvi, nel modo che reputo più semplice e naturale, a condividere con me questo cammino nell’affascinante universo della Poesia, riportandovi questo mese una delle mie liriche. In seguito mi propongo di farvi conoscere il pensiero e
le opere di altri autori, anche poco conosciuti, che sono certa imparerete ad amare come è successo a me. Buona lettura. “Conditio sine qua non” Mi scopro sempre qua, nell’alveo che converge tutta la mia discendenza ruvida e al femminile. Un puntaspilli di un rovescio di mano in disuso di prudenza. Dico e mai disdico che la verità non sempre è vera che ho amato ogni volta le cose imperfette perché al contrario ho rilevato forme irregolari Mi sono riempita di un irrequieto chiedere per svuotarmi di uno stentato esistere. L’indole mia reclama una pietà che appartiene solo a me e alla mia indecente anarchia. Altro non è dato sapere e col dorso spigoloso del polso ora asciugo le labbra da tanto farfugliare. Di me solo questo dite: essere stata è la condizione perché lei sia. Lei.
...E TUTTI IN CORO CANTAVAMO O SOLE MIO ROBERTO CRESCIA Grazie al Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto ho avuto l’opportunità di esibirmi in due occasioni diverse nella Repubblica Popolare Cinese. Lo scorso luglio ho preso parte ad un concerto presso il padiglione Italiano dell’Expo universale di Shanghai e, i primi giorni di ottobre appena passati, a Xi’An, la città con l’ottava meraviglia del mondo: lo straordinario esercito dei guerrieri di terracotta. Sembra strano ma sono state due esperienze completamente diverse, sia per quanto riguarda il lasso temporale (appena 5 giorni di permanenza a Shanghai, oltre 10 giorni a Xi’An) sia per le esperienze artistiche ed umane. Shanghai è una città globalizzata, dove puoi trovare dietro l’angolo qualcosa di occidentale che ti riporta a sensazioni che ricordano casa. Xi’An no, o almeno molto meno. Nei tempi passati era la capitale cinese, e tutt’ora è una metropoli con oltre 8 milioni di abitanti, ma sembra di entrare in tutt’altra dimensione rispet-
to a Shanghai. Lo scopo del nostro ultimo viaggio è stata l’inaugurazione del grandissimo complesso archeologico del Daming Palace, ovvero un enorme parco (oltre 30 kmq) con resti archeologici e un nuovo palazzo-museo ricostruito in base a documentazioni storiche. Per l’evento l’agenzia di stato cinese che si occupa di grandi eventi ha fatto veramente la cose in grande. Delegazioni da diverse nazioni (Italia, Iran, Turchia, Corea, Russia, ecc) si sono esibite sui numerosi palcoscenici all’aperto seminati per il parco e noi abbiamo fatto ben 14 con-
certi, passando in rassegna arie, duetti e terzetti del nostro sconfinato repertorio operistico e canzoni della tradizione italiana e partenopea, brani che ormai sono un vero e proprio patrimonio dell’umanità. La folla ha sempre gremito il nostro palcoscenico. Vedere e sentire il pubblico cinese cantare con noi in italiano o napoletano non ha avuto davvero prezzo. La cosa che mi ha maggiormente colpito però è l’essere stato considerato esotico. Non so dire se ciò sia stato piacevole o meno, ma senza dubbio strano. Un cantante lirico al giorno d’oggi è considerato esotico anche in Italia, questo è vero, però l’interesse e la curiosità che io ed i miei colleghi abbiamo suscitato mi ha sorpreso. Mi sono ritrovato a camminare per le strade tra migliaia di persone che ti guardavano, sorridevano, salutavano, volevano fotografarsi con me o mi fotografavano di nascosto. Tutto questo è normalità per un artista quando avviene durante un’esibizione o subito dopo, ma quando si va anonimamente in giro per la città e non si è Pavarotti, no.
SAMANTHA PASSERI “Buona notte ehmm, qui è radio Raptus e io sono Benassi... Ivan ehmm forse lì c’è qualcuno che non dorme... beh che ci siate o no io ci ho una cosa da dire oggi ho avuto una discussione con un mio amico lui beh lui è uno di quelli bravi... bravi a credere in quello in cui gli dicono di credere... lui dice che se uno non crede in certe cose non crede in niente... beh non è vero. Anche io credo. Credo nelle rovesciate di Bonimba e nei riff di Keith Richard. Credo al doppio suono di campanello del padrone di casa che vuole l'affitto ogni primo del mese. Credo che ognuno di noi meriterebbe di avere una madre e un padre che siano decenti con lui almeno fino a quando non si sta in piedi. Credo che un Inter come quella di Corso, Mazzola e Suarez non ci sarà mai più, ma non è detto che non ce ne saranno altre belle in maniera diversa. Credo che non sia tutto qua. Però prima di credere in qualcosa d’altro bisogna fare i conti con quello che c'è qua, e allora mi sa che crederò prima o poi in qualche dio. Credo che se mai avrò una famiglia sarà dura tirare avanti con 300mila al mese ma credo anche che se non leccherò culi come fa il mio capo-reparto difficilmente cambieranno le cose. Credo che ho un buco grosso
dentro ma anche che il rock and roll, qualche amichetta , il calcio, qualche soddisfazione sul lavoro, le stronzate con gli amici... beh ogni tanto questo buco me lo riempiono. Credo che la voglia di scappare da un paese con 20mila abitanti vuol dire che hai voglia di scappare da te stesso e credo che da te stesso non ci scappi neanche se sei Eddie Merx. Credo che non è giusto giudicare la vite degli altri perché non puoi sapere proprio un
cazzo della vita degli altri. Credo che per credere certi momenti ti ci vuole molta energia. (…)” Ivan Benassi detto Freccia. “Ho perso le parole, eppure ce le avevo qua un attimo fa..” Luciano Ligabue Vedete Radiofreccia è così. Uno di quei film che a fare la recensione perdi solo tempo. Deve essere visto tutto d'un fia-
to. Come un bicchierino d'amaro bevuto per riscaldarsi. Poi deve essere rivisto. Riavvolgete il nastro e soffermatevi sui dettagli. Ecco. Ora potrete capire perché pagine bianche, estratti della pellicola, citazioni dalla colonna sonora sono utilizzate per tentare goffamente di riprodurre qualcosa, una qualche atmosfera magica a cui manca un ingrediente essenziale: l'emozione. Si ragazzi queste sono solo nude parole, non fermatevi qui stasera quando starete leggendo annoiati questo articolo che si trova seminascosto in fondo al giornale. Correte in internet aprite youtube o qualunque altro sito conosciate e aggiungente l'ingrediente. Toccate con mano. Vedete a volte non servono grandi registi, scuole di cinema, nomi altisonanti. Questo film vi prova che tutto ciò che incontrate nella vostra vita può essere afferrato e rinchiuso da qualche parte, una canzone, un film, un libro. E reso immortale. Dovete crederci di più davvero. Bisogna bruciare via con la forza di un'esistenza di passaggio e con la rabbia di chi vuole restare per sempre. Chissà se ci riuscirete. Se ci riusciremo. Però penso che la sfida che ci lancia Radiofreccia valga la pena di essere raccolta. Allora? Siete pronti? 112 minuti. Saranno 6720 secondi interminabili. A proposito, ma volete ancora una recensione?
UNA LETTERA AL MONDO ADULTO CHE NE SARÀ DI NOI E DEL MONDO CHE CI LASCIATE ARIANNA BOASSO Caro mondo adulto, Basta a chi ci dice “bamboccioni “, gioventù senza valori, senza Dio, senza educazione. Basta agli articoli e saggi di illustri sociologi e psichiatri che dicono di quanto noi ventenni siamo confusi e persi. Lo sappiamo benissimo. E basta dire che è colpa della scuola, della televisione, del computer, della scienza. Basta a chi si erge e dall’alto della sua incommensurabile scienza, giudica e ci infila in categorie. Si parla spesso di tribù metropolitane, come i punk, i metallari, gli emo, i pariolini, gli skaters e tanti altri, che l’esigenza di mettere tutto in categorie ha classificato. Ma non siamo mica dei prodotti da supermercato, messi accuratamente al posto giusto nel reparto di riferimento. Che tristezza!! Noi siamo chi siamo, e basta; evitate di rinchiuderci in stereotipi perché poi va a finire che in qualche modo ci crediamo anche noi e uscirne è difficile perché per una stupida esigenza di coerenza si è obbligati a restare nella propria rassicurante categoria di riferimento e finisce che si fa fatica a capire chi siamo veramente. Ci state lasciando un mondo che va a rotoli, ci date esempi ben poco edificanti e poi vi
lamentate che restiamo a casa fino a trent’anni. Andate voi con laurea e magari anche master ed esperienze all’estero a fare i camerieri, se vi sta bene. Dovreste prendere invece esempio da questi ragazzi che lavorano sodo, che hanno studiato tanto, con risultati eccellenti e che vanno a fare lavori che un tempo faceva solo chi era poco istruito. E scusate se poi l’affitto per una casa, da soli, non ce la facciamo a pagarlo, scusate se non riusciamo a lavorare per più di un anno o anche meno, ma con la precarietà che avanza non è cosa semplice. Non siamo noi che siamo senza valori, ma siete voi che li avete distrutti, e con loro molte altre cose. Ci insegnate che per fare successo conta essere belli, per le ragazze essere anche un po’ veline non guasta, giovani,
pronti a lavorare anche dodici ore al giorno, che la maternità a trent’anni è solo un impedimento ad una carriera eccellente, che contano le conoscenze e amicizie, e poi se sei competente è anche meglio ma non fondamentale. Ma che cosa state dicendo? E il merito? La classe politica urla che i romani sono porci e vi lamentate del fatto che l’unità nazionale si realizza servendo il paese con uno di stipendio sicuro a fine mese. Non investite sulla scuola, sull’educazione e non vi rendete conto di quante capacità e risorse state sprecando obbligando giovani laureati italiani a realizzarsi all’estero. Quindi basta stereotipi, e mettetevi una mano sulla coscienza. Proprio sicuri che quelli senza valori siamo noi? In bocca al lupo, ragazzi!
FOLIGNO NOVEMBRE 2010
Scuola a cura di Maura Donati
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Le origini del declino e l’autunno “caldo” della mobilitazione contro i tagli alla scuola pubblica Tutto ha avuto inizio nell’agosto del 2008, quando il decreto legge numero 112 del 25 giugno è stato convertito in legge, la numero 133 del 6 agosto, “recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria". Questa legge, all’articolo 64 riporta “disposizioni in materia di organizzazione scolastica” che rappresentano l’incipit di un percorso di interventi e misure atti a trasformare lentamente e con progressione crescente la scuola pubblica per come docenti, studenti e famiglie la stanno iniziando a conoscere in questo caldo autunno delle mobilitazioni responsabili e partecipate. Nove punti che evidenziano l’uno dopo l’altro l’importanza dei tagli, della razionalizzazione delle risorse, della diminuzione del personale docente e amministrativo e della revisione dell’attuale assetto ordinamentale, organizzativo e didattico “ai fini di una migliore qualificazione dei servizi scolastici e di una piena valorizzazione professionale del personale docente – si legge nell’articolo - tutto questo, a decorrere dall'anno scolastico 2009/2010 e
da realizzare comunque entro l'anno scolastico 2011/2012”. Bisogna, però, arrivare al sesto punto per conoscere effettivamente l’entità dei tagli di spesa destinata alla scuola pubblica: 456 milioni di euro per l’anno 2009, 1.650 milioni di euro per l’anno 2010, 2.538 milioni di euro per l’anno 2011, 3.188 milioni di euro per il 2012. Un incremento continuo di tagli da applicare in tre anni scolastici, producendo una riduzione complessiva della spesa da destinare alla scuola pubblica pari a 8 milioni di euro. Un trend giudicato positivamente dal governo che ha trovato nella persona del ministro Mariastella Gelmini il soggetto attuatore ma anche il bersaglio contro cui si sono scagliate le critiche forti e decise dei Comitati che da sempre lottano per una scuola pubblica sana e libera. Insomma, le origini di quello che sarebbe accaduto era sotto gli occhi di tutti già dall’estate del 2008 ma solo quest’anno si iniziano a vedere i primi cortei, le mobilitazioni e gli scioperi in difesa di una scuola che sta andando alla deriva tra classi superaffollate e fuori norma, mancanza di personale tecnico amministrativo (Ata), precari senza un futuro e, perché no, bagni sen-
za carta igienica. I Cobas (Comitati di base della scuola) hanno lottato e continuano a lottare per ribaltare la propaganda del Governo sull’importanza dei tagli al fine di migliorare le condizioni della scuola pubblica: “i tagli rappresentano soltanto un progressivo indebolimento della qualità su cui si erge la scuola pubblica italiana – ha dichiarato Patrizia Puri, insegnante e rappresentante dei Cobas – l’anno scorso soltanto le
tanto impegno speso nelle piazze e nelle strade a coinvolgere e far capire l’importanza della mobilitazione contro dei tagli indiscriminati, siamo riusciti a ribaltare una propaganda apparentemente positiva ma che nasconde degli effetti assolutamente negativi sulla realtà educativa e di ricerca in Italia. Basti pensare a come vengono presentati i tagli di spesa per la scuola pubblica: le cifre più basse sono relative ai primi due
sorpresa con modifiche sostanziali quando ormai è troppo tardi per poter tornare indietro senza pesanti conseguenze”. Ad avvalorare questa tesi che critica i tagli ritenendo invece di fondamentale importanza “un massiccio investimento nell’istruzione”, ci sono anche i dati pubblicati nel recente rapporto Ocse sull’educazione che “boccia” l’Italia in quanto al di sotto della media europea in merito ad investimenti in questo set-
Presidio dei Cobas del 15 ottobre 2010 davanti alla sede Rai di Perugia persone più sensibili alla politica scolastica si sono accorte di quanto stava accadendo. Oggi, invece, dopo
anni per lasciare le cifre più elevate al 2011 e al 2012. In questo modo, il mondo scolastico può essere colto di
tore: il fatto che solo la Slovacchia abbia un dato peggiore la dice lunga sulla deriva della scuola pubblica
italiana e sul complessivo livello di cultura ed educazione nazionale che ci riguarderà da qui in avanti se le cose non cambieranno. Ma le mobilitazioni finalizzate a contrastare questo andamento sono già iniziate da tempo anche sollecitate dall’appello lanciato dall’Assemblea europea dell’educazione durante il Social Forum Europeo che si è svolto quest’anno ad Istanbul. In Italia, ad esempio, i Cobas hanno risposto e stanno rispondendo con iniziative ad ampio spettro finalizzate anche a coinvolgere docenti ed Ata, precari e stabili, genitori, cittadini tutti, in difesa della scuola pubblica, del diritto all’istruzione, dei posti di lavoro. “La scuola che si sta delineando con la riduzione di 140 mila posti di lavoro in tre anni è una scuola povera di tutto: insegnanti, classi, materie, ore, conoscenza e futuro – si legge in una nota diffusa il 15 ottobre durante il presidio davanti alla sede Rai di Perugia dei Coordinamenti ‘Viva la scuola pubblica’ e ‘Precari’ – il dramma di decine di migliaia di precari, spremuti fino a ieri come limoni ed oggi spietatamente gettati via, è il dramma di un paese con meno istruzione, meno diritti e meno democrazia per tutti”.
Appello alla mobilitazione lanciato La mobilitazione dei docenti contro “la scuola dei tagli” si fa anche dall’Assemblea europea dell’educa- in aula e arriva a coinvolgere studenti e famiglie. zione nel corso del Social Forum Perché tutti devono sapere e partecipare. Europeo che si è svolto ad Istanbul Venerdì 15 ottobre, sul sito internet del Liceo scientifico Galeazzo Alessi di Perugia, è stato pubblia luglio di quest’anno cato un singolare quanto significativo documento sottoscritto dai professori della stessa scuola. “Noi, popolo della scuola pubblica, riunito ad Istanbul per il sesto Forum Sociale Europeo lanciamo un appello per un periodo di mobilitazione per il prossimo autunno. […]Intendiamo portare avanti scioperi, manifestazioni e azioni in tutta Europa per riaffermare il diritto all’educazione pubblica e gratuita per tutti e per difendere ed estendere i diritti dei lavoratori. Continueremo a dare il nostro appoggio, nei prossimi due anni, a manifestazioni nazionali e contro-summit in occasione degli incontri dei ministri europei dell’educazione, così come abbiamo fatto lo scorso maggio a Madrid. Organizzeremo incontri in varie città europee in modo da coinvolgere sempre più persone, condividere le nostre esperienze e unificare le nostre lotte contro le politiche neoliberiste; contatteremo in maniera attiva gli studenti e le organizzazioni dei lavoratori coinvolti nelle lotte per l’educazione perché partecipino ai nostri incontri: lanceremo quindi un appello per la partecipazione al prossimo meeting educazione. La crisi va pagata da chi l’ha provocata! I nostri governi usano la crisi per cancellare tutti i diritti ottenuti dai lavoratori negli ultimi cento anni e per abbassare salari e pensioni.
Usano il diktat del Fmi e dell’ Ue per approvare misure anticrisi che saranno i soli lavoratori a pagare (come in Grecia, Italia, Portogallo, Spagna, Francia): una delle soluzioni è tassare gli speculatori, loro devono pagare la crisi! Basta tagli ai fondi pubblici per l’educazione, basta con la riduzione dei curricula e con i tagli al tempo scuola, alle lezioni e alle materie di insegnamento, basta con la privatizzazione e la mercificazione dei sistemi educativi: noi lottiamo per maggiori investimenti nell’educazione pubblica, per una scuola e una ricerca libere; lottiamo per fermare la precarizzazione dei lavoratori della scuola e dell’università in modo da garantire educazione di qualità per tutti. Basta con l’introduzione di test di valutazione basati su abilità determinate dal mercato; basta con l’insegnamento per competenze orientate dal mercato: noi lottiamo per il diritto ad una educazione gratuita, laica e di qualità per tutti, per il diritto al pensiero critico, per il diritto, per ogni essere umano, di avere pieno accesso alla conoscenza e di divenire un cittadino consapevole ed attivo; lottiamo perché tutti i generi abbiano uguali diritti e perché non ci sia una prospettiva patriarcale nell’educazione. Lottiamo per il diritto all’educazione nella propria lingua. […]”.
Le parole espresse parlano chiaro: il mondo scolastico si sta mobilitando in vari modi e sta cercando di coinvolgere un sempre maggior numero di persone al fine di produrre cambiamenti concreti e visibili. Di seguito, proponiamo il documento nella sua interezza e precisiamo che “il Liceo Scientifico Galeazzo Alessi, erede diretto della Scuola Normale Ignazio Danti istituita in Perugia nel 1861 – si legge in una nota del sito internet - è il Liceo più antico della città dove, con l’attuale nome, opera da più di ottanta anni in una dimensione liceale continuamente aggiornata ed apprezzata anche al di fuori dei confini cittadini”.
Protesta dei docenti del Liceo scientifico Alessi. Comunicazione a genitori e studenti. “Di fronte all'opera di graduale smantellamento, che l'attuale governo sta conducendo nei confronti della Scuola Pubblica italiana, la larga maggioranza dei docenti del Liceo Scientifico G. Alessi di Perugia (circa il 70%) ha scelto di astenersi dall'effettuare sostituzioni e prestazioni straordinarie in genere, nonché dall'accompagnare gli alunni a viaggi di istruzione e stage. Tale astensione assume la valenza di protesta per difendere i nostri diritti di lavoratori senza venir meno ai doveri contrattuali: le attività oggetto di sospensione non solo non sono obbligatorie, ma, pur rappresentando un arricchimento dell'offerta formativa, non compromettono il percorso didattico del quale garantiamo il regolare svolgimento. Con questa iniziativa non si vogliono creare contrapposizioni fra docenti e famiglie, o docenti e studenti, ma rendere tutti coscienti delle difficoltà in cui versa la scuola, affinché tutti contribuiscano a far sentire il
proprio disagio dal proprio punto di vista. I punti maggiormente critici (e dannosi) dei provvedimenti governativi sono i seguenti: la crescita del numero degli alunni per classe che rende precaria la sicurezza e arreca grave danno all'efficacia dell'attività didattica; la dequalificazione e l'impoverimento dell'offerta scolastica che derivano dall'azzeramento dei corsi sperimentali; il
produrranno un ulteriore aumento delle classi scoperte e una diminuzione del numero di giorni di lezione effettiva per gli studenti; la mancanza di un piano nazionale di aggiornamento dei docenti ai nuovi indirizzi e programmi di studio; la mancanza in molti casi di libri di testo adeguati alle indicazioni nazionali; l'avere applicato la riforma tramite circolari e non leggi seguendo una proce-
taglio delle risorse per attività di sostegno e recupero che priva gli alunni più deboli dei necessari interventi personalizzati; il taglio dei fondi per le supplenze e la saturazione delle cattedre a 18 ore e oltre, che
dura dichiarata illegittima in alcuni casi da ordinanze del TAR, a causa di forzature nei tempi e nei metodi. La penalizzazione riguarda tutta la scuola, perché tutti i provvedimenti, che presi singolarmente pos-
sono sembrare di poco conto, portano ad un forte abbassamento della qualità della scuola pubblica nel suo complesso, con grave danno per gli studenti. Per quanto concerne in particolare la nostra categoria, inaccettabile e vergognoso è il blocco degli scatti di anzianità, che per noi insegnanti rappresentano l'unica forma di avanzamento della carriera. La loro sospensione, quindi, economica e giuridica comporta una mancata retribuzione i cui effetti incidono, non solo su tre anni, ma su tutta la vita lavorativa, sui trattamenti di fine servizio e sulla pensione, con un danno economico complessivo quantificabile, per un docente a inizio carriera, in più di 40.000 euro lordi. Per i viaggi di istruzione, all'impegno totale degli insegnanti (24 ore su 24) fa riscontro il totale disconoscimento del loro lavoro: nessun compenso è previsto. Riteniamo che alunni e famiglie comprendano significato e validità della nostra protesta sperando che quanto prima si trovi occasione concreta di confronto e dibattito”.
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Corrispondenze, Sport e Cucina
AL VIA IL CAMPIONATO DI CALCIO A 7 U.I.S.P.
Riflettori di nuovo accesi sul torneo di calcio a 7 UISP. Con la disputa degli incontri della prima giornata, è ai nastri di partenza il tradizionale appuntamento con questo campionato che ormai è una "classica" del panorama sportivo folignate, essendo giunto ormai alla decima edizione. Sono sempre più gli appassionati che si accostano a questa specialità sportiva, da non considerare come il parente povero del più tradizionale calcio a 11. Le analogie sono evidenti, ma, come dice il nome stesso, il calcio a 7 si disputa con sette giocatori per parte e su un campo di dimensioni considerevolmente più ridotte rispetto al campo di calcio, essendo 60x35 mt. Le dimensioni massime del terreno di gioco. Il regolamento ricalca a grandi linee quello del calcio a 11, ma ci sono alcune peculiarità che rendono il calcio a 7 una disciplina a volte molto più spettacolare del calcio stesso. Tanto per cominciare, nel calcio a 7 non è previsto il fuorigioco ed è possibile effettuare sostituzioni illimitate come nella pallacanestro, con i giocatori sostituiti che possono rientrare in partita. Sono 23 quest'anno le compagini al via, con un lieve calo rispetto all'edizione 20092010 che aveva visto in lizza 26 squadre. Confermata anche la formula del torneo, con incontri di sola andata in un girone unico all'italiana (ciascuna squadra incontrerà tutte le altre ma una sola volta) che terminerà il 2 Aprile 2011. E poi c'è il piatto forte del campionato, i play-offs ai quali parteciperanno le prime dodici squadre classificate al termine delle ventitrè gionate di gioco e che decreteranno la squadra campione 20102011 che succederà ai campioni uscenti del D.L.F. (laureatisi successivamente anche campioni regionali). Anch'essi hanno la loro particolarità: eccezion fatta per la finale, in caso di pareggio nei play-offs,accede al turno successivo la squadra meglio classificata al termine della "regular season". Questa è una novità introdotta due anni fa e che certamente contribuisce a rendere quasta fase del torneo ancora più interessante ed
NOVEMBRE 2010
GRAN BALLO SULLATOLDADEL TITANIC Mentre Foligno “affonda” nella crisi economica, nei problemi di immigrazione e integrazione, nelle indagini giudiziarie, il Museo di Palazzo Trinci viene aperto a una festa privata “d’altri tempi” e non per il pretesto di una decina di costumi e acconciature settecentesche, ma per la grossolanità dello sfarzo della piccola borghesia cittadina. Body Guard con tanto di autricolari, fasce da miss Italia per gli invitati, modelle deambulanti, disc jockei e luci stroboscopiche, grande torta con improbabili inni alla pace e poi un’orgia di abiti lunghi e scol-
PAOLO AZZARELLI
FOLIGNO
lati da gran serata per le madame, tait, mezzi tait e persino frac per i messeri. Così, con il patrocinio del Comune di Foligno e l’impiego del personale del Museo, tra le pitture di Nicolaus Pictor (l’Alunno) e false attribuzioni a Gentile da Fabriano, reperti storici di più o meno grande valore, la “bella società” di Foligno si è scatenata nelle danze. Dalla discomusic, alla quadriglia, con gran finale del trenino di Fantozzi. Insomma mancavano solo i tric-trac, le stelle filanti e i coriandoli e la carnevalata sa-
rebbe stata perfetta. Ma qualcuno glielo ha detto a questi signori che a Foligno le fabbriche licenziano, i negozi chiudono, i disoccupati aumentano e il numero dei giovani in cerca di prima occupazione è percentualmente spaventoso? Qualcuno glielo ha detto che il Comune non è più in grado di fare fronte alla prestazione di servizi primari per le scuole materne, per gli anziani, per i giovani? Sarà anche stata la “meglio società”, ma è proprio mancato un tocco di “bon ton”. lettera firmata
FACEBOOK E SOCIAL NETWORK ON LINE appassionante. Quattro le sedi di gioco per questa edizione del campionato, dopo l'uscita di scena degli storici impianti dell'Hotel Villaverde e di Scafali: Bevagna, Panda Tennis Club, S.Luciola e Spello. I giorni di gara sono come di consueto il lunedì e il martedì.Ci sono, insomma, tutte le premesse perché anche la prossima sia una stagione tutta da seguire per il calcio a 7 UISP di Foligno, e non solo da un punto di vista dei numeri che pure non sono irrilevanti;certamente sono lontani i tempi della prima edizione risoltasi in un torneo esagonale disputatosi in poche settimane. Il trofeo sta diventando ogni anno sempre più ambito e le compagini al via si presentano con rose sempre più ampie e competitive. Il tutto, però, senza dimenticare quale è il vero obiettivo della manifestazione: offrire a tutti la possibilità di praticare sport seguendo i princìpi più sani dello sport amatoriale che dev’essere visto come momento di aggregazione fra persone che nutrono la stessa passione per il pallone. Permetteteci, in conclusione di segnalare la puntuale ed accurata organizzazione del torneo da parte del Comitato UISP della sede di Foligno, nelle persone di Sandro Sarti responsabile calendari e sedi di gioco, Massimo Venerini responsabile degli arbitri, Sergio Luccioli designatore arbitrale e il presidente Antonio Falcinelli. Si è intanto disputata la prima giornata della quale pubblichiamo di seguito i risultati. Come nella migliore tradizione di questo sport,
non sono mancate le sorprese che sono sempre dietro l'angolo, soprattutto nelle prime giornate di campionato. Ma quando il torneo entrerà nel vivo, usciranno i veri valori delle squadre. Subito turno di riposo per i campioni uscenti della Pizzeria Pietrarossa (ex D.L.F.). Poiché le squadre sono 23, ci sarà un turno di riposo per ciascuna squadra. Tra i risultati del primo turno, da segnalare il rocambolesco pareggio (3-3) tra Porco Alegre e Gus Team, con i secondi in vantaggio per 3-1 ad una manciata di secondi dal triplice fischio finale; l'inopinata battuta d'arresto di un Silvy's United (una delle candidate alla vittoria finale) - peraltro in formazione ampiamente rimaneggiata troppo brutto per essere vero; la roboante vittoria (133!) dell'Asso Computer (anch'essa tra il lotto delle favorite) ai danni della malcapitata A.D.Service e il pareggio (2-2) imposto dal BeautyGlobal al Forno Nocera Umbra. RISULTATI PRIMA GIORNATA Porco Alegre-Gus Team 2-2 N. Stella Rossa-Spartak Foligno 5-3 EcoSuntek Gualdo-Bacaro Parrucchieri 1-4 M.B. System-Silvy's United 6-1 S. Magno Caffè-Quintanella Scafali 5-6 Mojito FC-Borroni A.S.D. 3-1 Old Stars-Planet Cafè 7-3 Asso Computer-A.D.Service 13-3 Cecconi Impianti-Arci Bahia 5-2 BeautyGlobal-Forno Nocera Umbra 2-2 Equilibri Estetica-Bar Polly 0-1
CRISTIANO DELLA VEDOVA
Tantissime persone e altrettante possibilità di utilizzo: un’agorà virtuale che sta ingenerando lo svilimento e la perdita delle più semplici e “romantiche” forme di comunicazione. Una rete sociale (in inglese social network) consiste in un qualsiasi gruppo di persone connesse tra loro da diversi legami sociali, che vanno dalla conoscenza casuale, ai rapporti di lavoro, ai vincoli familiari. Le reti sociali sono spesso usate come base di studi interculturali in sociologia e in antropologia. Sovente nel linguaggio corrente, e in particolare nell'uso del termine social network, si sorvola sul fatto che una rete sociale è storicamente e diffusamente una rete fisica. Rete sociale è una comunità di lavoratori, che si incontra nei relativi circoli dopolavoristici e che costituisce una delle associazioni di promozione sociale; una comunità di sportivi, attivi o sostenitori di eventi, che si incontra per praticare o seguire la propria squadra; una comunità unita da problematiche strettamente lavorative e di tutela sindacale del diritto nel lavoro. La versione di Internet delle reti sociali (Social media) è una delle forme più evolute di comunicazione in rete.E oggi non esiste luogo o contesto sociale in cui non si parli di social network on line o di facebook. Traduzione letterale: “Faccialibro”. Come per la risoluzione di un problema di matematica o di una questione giuridica, lo spunto sorge da un episodio di vita quotidiana. In un locale mi capita casualmente di sentire un diciottenne che, nel tentativo di sedurre una ragazza, le domanda: “Ci sei su Facebook”?
Ma di solito, non si chiede il numero di telefono? Mi sorge un atteggiamento critico “a pelle” nei confronti di questo nuovo modo di comunicare con cui miliardi di persone in tutto il mondo si scambiano informazioni, saluti, auguri, senza nemmeno vedere fisicamente chi gli sta di fronte. In tutta sincerità l’unica spiegazione che davo e che mi davo per non far parte di questa gigantesca agorà virtuale era quella di amare forme più tradizionali e romantiche di comunicazione, come una lettera o un bigliettino scritto rigorosamente a mano. Poi, approfondendo lo studio dell’argomento, scopro delle situazioni allarmanti. Secondo gli ultimi dati diffusi da Internet Security Company AVG, il 92 % dei neonati e bambini sotto i 2 anni possiede un profilo online su social network, blog, community o altro. Un’azione ovviamente effettuata dai genitori che pubblicano decine di immagini e informazioni ogni mese “facendo le veci” dei figli. Senza chiedere il permesso, dato che i bambini così piccoli non potrebbero comprendere. Ci sono genitori, zii, parenti alla lontana oppure semplici amici che pubblicano foto di bambini anche piccolissimi sul proprio profilo, spesso e volentieri per raccattare facili commenti d’apprezzamento. I dati parlano chiaro: il 92% dei neonati americani ha già un’identità online o comunque informazioni anche private, rese pubbliche. In Italia la situazione non è molto differente. Le generazioni future, quelle dei bambini d’oggi avranno centinaia se non migliaia di foto pubblicate online e condivise sui social network da Facebook a Twitter e sui contenitori come Flickr, video su
Youtube, informazioni su blog. Siamo sicuri che quando apprenderanno il fatto e lo potranno comprendere saranno davvero contenti? Nessun rispetto, nessuna delicatezza … il mondo intero in balia delle mode, risucchiato nelle manie “dei più”. Questo e tanto altro. E’ il delirio di Facebook; di quelle sue schegge impazzite che scambiano in un mercato virtuale idee più o meno stimolanti o intelligenti semplicemente perché “ci sono tutti”. “Ci sei su Facebook”? “No”! “Ma dai, iscriviti, ci sono tutti”! Con la più ampia forma di umiltà, uno spesso velo di desolazione cala negli occhi e nella mente di un ragazzo come tanti che forse desidera più di altri semplicità e purezza. In qualsiasi ambito. Una riflessione critica non vuole nulla togliere alla frivola utilità di Facebook: tante persone hanno ritrovato in giro per il mondo parenti o amici che magari non sentivano o vedevano da anni. Nulla questio. Troppo poco però, per un movimento che smuove un intero pianeta. C’è chi ha parlato di grossi rischi legati allo spionaggio industriale, alla sicurezza informatica … forse uno dei rischi più grandi è quello di perdere di vista la realtà … un contatto visivo, un sorriso, una mano che suda, un abbraccio! Traduzione letterale: “Faccialibro” … Cominciamo con il leggerlo, qualche libro!
LA RICETTA DEL MESE: TETTE DI VENERE - LIMBROGLIATA Redazione: Via della Piazza del Grano 11 06034 Foligno (PG) tel. 0742510520 Mail: redazionepiazzadelgrano@alice.it Autorizzazione tribunale di Perugia n° 29/2009 Editore: Sandro Ridolfi Direttore Editoriale: Sandro Ridolfi Direttore Responsabile: Giorgio Aurizi Direttore Sito Internet: Andrea Tofi Stampa: Grupo Poligrafico Tiberino srl, Città di Castello Chiuso in redazione il 25/10/2010 Tiratura: 3.000 copie Periodico dell’Associazione ”Luciana Fittaioli”
Tette di Venere Fare un composto con 500 gr di farina tipo 00, 500 gr di patate lessate, sbucciate e schiacciate, 2 uova, 50 gr di burro, due dita di latte tiepido nel quale avrete sciolto del lievito di birra. Lavorate bene il tutto e lasciate a lievitare in un recipiente coperto da una pezza di cotone. Nell’attesa fate il ripieno tritando assieme 150 gr di
prosciutto cotto, dei capperi e una o più mozzarelle che ridurrete a pezzettini. Nel frattempo la pasta sarà a posto, stendetela con un matterello e portatela a uno spessore giusto, né troppo alto né troppo sottile. Con una tazza ricavate dei cerchi al cui interno collocherete pugnetti del ripieno, poi chiudete a fagotto o sacchetto. Lasciate riposare tutte queste tette per un’altra mezzora e poi finalmente friggetele in olio bollente.
L’imbrogliata E’ una minestra abbastanza popolare in Lucania; il suo nome deriva dal fatto che si presenta come un piatto molto ricco mentre in realtà è abbastanza semplice e povero. Vi servono 5 zucchine, 5 cipolle, qualche patata, un cavolo verza, 300 gr di fagioli rossi, mezzo chilo di pomodorini freschi, olio extravergine di oliva, delle porzioni di pane raffermo, pepe e sale q.b. Lavate bene le verdure e cuocete a parte i fagioli. Quando saranno quasi cot-
ti, in una pentola di coccio, alternate strati di zucchine e pomodori a tocchetti; quindi le patate, la cipolla e la verza, tutto tagliato a fettine; poi i fagioli. Livellate con l’acqua di cottura dei legumi e fate bollire a fuoco lento, senza mai mescolare. A cottura ultimata schiacciate tutto con un mestolo di legno, pepate e salate. Aggiungete il pane raffermo, una cucchiata di farina di grano duro e olio extravergine di oliva, amalgamate e servite caldo in ampie ciotole.
FOLIGNO NOVEMBRE 2010
Spettacoli ed eventi a cura di Piter Foglietta
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La nuova stagione di prosa 2010-2011 a Foligno Il Programma della stagione 2010/2011 del Teatro Stabile dell'Umbria prenderà il via il 22 Novembre con "Un sogno nella notte dell'estate" di Massimiliano Civica. Teatro Politeama Clarici, Auditorium San Domenico e Teatro San Carlo Lunedì 22 novembre, ore 21 Teatro Stabile dell'Umbria Compagnia Il Mercante con il sostegno alla produzione di Romaeuropa Festival UN SOGNO NELLA NOTTE DELL’ESTATE di William Shakespeare uno spettacolo di Massimiliano Civica con Elena Borgogni, Valentina Curatoli, Nicola Danesi, Oscar De Summa, Mirko Feliziani, Riccardo Goretti, Armando Iovino, Mauro Pescio, Alfonso Postiglione, Francesco Rotelli, Francesca Sarteanesi, Diego Sepe, Luca Zacchini Il Teatro Stabile dell’Umbria produce questo nuovo lavoro di Massimiliano Civica, giovane regista che con il suo “Mercante di Venezia”, ha ottenuto il Premio Ubu per la regia 2008 e che è valso agli attori della compagnia il Premio Vittorio Mezzogiorno 2009. Attraverso tecniche e invenzioni che non mancheranno di incuriosire il pubblico e avvalendosi di un numeroso cast di giovani attori, Civica metterà in scena ciò che resiste a qualsiasi tentativo di rappresentazione: il mondo degli spiriti, fate ed elfi che corrono per i boschi, il chiaro di luna dentro una sala teatrale. L’invisibile, insomma. Lo spettacolo è dedicato alla memoria di Andrea Cambi. Venerdì 3 dicembre, ore 21, Auditorium San Domenico (fuori abbonamento) UmbriainDanza. Spettacolo Umbria (2007) - OPLAS DANZA/CCR Umbria con il sostegno di MIBAC - Regione Umbria LOVE regia e coreografia Luca Bruni scene e costumi Mario Ferrari musiche Antonio Vivaldi “Le quattro stagioni” eseguite dal vivo dall’Ensemble Hubay, diretto da Stefano Rondoni La donna e i rapporti di coppia sono al centro di quest’intenso spettacolo della Compagnia OPLAS. Luca Bruni e Mario Ferrari, grazie alle loro poliedriche capacità da anni portano avanti con successo un discorso artistico che si avvale di varie discipline, arti figurative e circensi, teatro di strada, in una continua sperimentazione di tecniche e forme espressive che coniugano tradizione e innovazione. Questa nuova e originale dimensione coreutica si è affermata anche grazie a danzatori dalle straordinarie doti interpretative, non solo per il virtuosismo, ma anche per il coraggio nell’affrontare la singolare tecnica della danza sui trampoli che ha reso OPLAS famosa sul piano internazionale, non solo in Europa, ma anche in Oriente per l’attività didattica e di produzione coreografica che OPLAS svolge da anni in Tailandia. Giovedì 16 dicembre, ore 21 Compagnia Scimone Sframeli Espace Malraux, Scène Nationale de Chambéry et de La Savoie Carta Bianca Projet Al-
cotra coopération France / Italie e Théâtre Garonne de Toulouse in collaborazione con Asti Teatro 31 PALI di Spiro Scimone con Francesco Sframeli, Spiro Scimone, Salvatore Arena, Gianluca Cesale regia Francesco Sframeli Spiro Scimone, finissimo drammaturgo, tra i pochissimi autori italiani i cui testi siano stati messi in scena sul prestigioso palco della Comédie Française, e Francesco Sframeli, intenso attore e regista, tornano a collaborare insieme in “Pali”, opera che nel 2009 ha ottenuto il Premio Ubu come “Nuovo testo italiano”. Martedì 11 gennaio, ore 21
Fondazione Teatro Due – Teatro Stabile del Veneto TUTTO SU MIA MADRE Testo teatrale di Samuel Adamson basato sul film di Pedro Almodovar traduzione Giovanni Lombardo Radic con Elisabetta Pozzi, Alvia Reale , Eva Robin’s, Paola Di Meglio, Alberto Fasoli, Silvia Giulia Mendola, Giovanna Mangiù, Alberto Onofrietti. Il testo è un omaggio allo spessore umano delle donne, creature capaci di avere uno stile di vita superiore alla norma, che ravvisa la sofferenza e il risentimento, senza incancrenirsi e trasformarsi in rancore e odio, donne umili, che alla fine del loro percorso evolutivo, non giudicano e non condannano, donne che amano la vita e che sono disposte solamente a vivere. Una vicenda narrativa avvincente e divertente in cui pianto e risate si mescolano
senza soluzione di continuità, per la prima volta sui palcoscenici italiani, con la straordinaria Elisabetta Pozzi
come protagonista. Martedì 1 febbraio, ore 21 Teatro Stabile dell’Umbria Compagnia Lavia-Anagni IL MALATO IMMAGINARIO di Molière traduzione Chiara De Marchi con Gabriele Lavia e Pietro Biondi, Gianni De Lellis, Giorgio Crisafi, Barbara Begala, Mauro Mandolini, Vittorio Vannutelli, Giulia Galiani, Andrea Macaluso, Michele Demaria, Lucia Lavia, Livia Vannutelli. Il Teatro Stabile dell’Umbria affronta questa nuova produzione insieme a uno dei più grandi maestri italiani del palcoscenico, Gabriele Lavia. Dopo la felice esperienza con L’avaro, l’artista torna ad un altro testo simbolo della produzione di Molière, a lui particolarmente congeniale per la
qualità della drammaturgia e lo spessore dei personaggi. Venerdì 25 febbraio, ore 21 Michela Signori, Jolefilm LA MACCHINA DEL CAPO testi Marco Paolini, Michela Signori interpretazione e regia Marco Paolini musiche originali composte ed eseguite da Lorenzo Monguzzi elementi scenici: Antonio Panzuto disegno luci: Andrea Violato È un lavoro sull’infanzia e sulla primissima adolescenza, tra la famiglia, la colonia e le avventure nel campetto di pallone. È un viaggio che parte dalla casa, micro-universo dal quale osservare il mondo, per avanzare alla scoperta del macro-mondo (del mare, dei compagni di giochi, del sesso visto con gli occhi di un bambino). È il ritratto di un’Italia di periferia, vista su scala ridotta,
tra la Pedemontana e il mare. Martedì 15 marzo, ore 21 Società per Attori – Teatro Stabile del Veneto – Teatro
Stabile d’Abruzzo ROMAN E IL SUO CUCCIOLO di Reinaldo Povod traduzione e adattamento Edoardo Erba con Alessandro Gassman, Manrico Gammarota, Sergio Meogrossi, Giovanni Anzaldo, Matteo Taranto, Natalia Lungu, Andrea Paolotti regia di Alessandro Gassman La drammatica vicenda umana di un uomo disposto a tutto pur di guadagnare denaro e garantire al figlio un futuro diverso dal suo e di un ragazzo consapevole del fatto che il padre potrà, a suo modo, amarlo ma non riuscirà mai a capirlo. Un rapporto toccante, crudo, a tratti sconvolgente, che troverà compimento solo attraverso un fatale, catartico epilogo. Venerdì 25 marzo, ore 21 UmbriainDanza Emiliano Pellisari Studio in collaborazione con Teatro Mancinelli di Orvieto CANTICA II con Mariana Porceddu, Annalisa Ammendola, Giulia Consoli, Gabriele Bruschi, Yari Molinari, Patrizio Di Diodato musiche repertorio classico rielaborato da Riccardo Magni (consulenti musicali:
Domenico Bulla, El Sander) voci recitanti Nicola Marcucci e Laura Amadei, costumi Yari Molinari. Dopo il successo di Inferno, il nuovo spettacolo di Emiliano Pellisari, ovvero il secondo episodio della trilogia sulla Divina Commedia: Cantica II. Da giovedì 7 a sabato 16 aprile, ore 21 TEATRO SAN CARLO Trend - ZoeTeatro - Teatro Stabile dell’Umbria THE INFANT di Oliver Lansley traduzione Serenella Martufi con Michele Bandini, Emiliano Pergolari, Francesco Ferri, Marianna Masciolini diretto da Michele Bandini, Emiliano Pergolari Lo stato è in pericolo: cellule sovversive, terroristi,
nemici della patria meditano in segreto grandi rivoluzioni. Una giovane coppia viene presa in ostaggio da due sinistre figure che incarnano il potere costituito, l'ordine sociale. Chi è stato a fare il disegno? Cosa c'è in questo disegno? In nome del controllo, della “prevenzione”, viene dato il via alla caccia alle streghe, in nome del bene comune inizia l'attività frenetica, maniacale di chi entra senza ritegno nelle vite private, nelle nostre case, cercando un segno, una condotta, che possa essere interpretata come prova di appartenenza al cosiddetto e presunto male.
Teatro del Sogno da Chagall a Fellini La mostra a cura di Luca Beatrice, proseguirà fino al 9 Gennaio, presso Galleria Nazionale dell'Umbria . Il sogno è il tema, il soggetto o il pretesto che ha invaso l'immaginario estetico degli artisti scelti da Luca Beatrice per costruire una mostra che intreccia il Simbolismo di inizio Novecento con l'arte contemporanea, i diversi "surrealismi" con alcune delle più suggestive espressioni del Cinema. Nel percorso espositivo, allestito come dietro le quinte di un ideale palcoscenico, prendono posto oltre 100 opere di alcuni protagonisti assoluti delle arti figurative e del cinema dal primo Novecento al contemporaneo, rappresentati anche simbolicamente da Marc Chagall e Federico Fellini. Le prime esperienze visionarie legate al sogno sono presenti in mostra con opere di Umberto Boccioni, Arnold Böcklin, Paul Klee, Max Klinger, Plinio Nomellini, Gaetano Previati. Nel percorso espositivo, allestito in modo da favorire un dialogo tra le opere, si incontrano i più rappresentativi esponenti del movimento surrealista insieme agli artisti che nel cuore del Novecento si sono misurati con il mondo dell'inconscio: Marc Chagall innanzitutto, di cui sono esposte sei opere di grande impatto e qualità pittorica, e poi Salvador Dalì, Giorgio de
Chirico, Paul Delvaux, Max Ernst, Renè Magritte, André Masson, Joan Mirò, Man Ray, Alberto Savinio, Yves Tanguy, Fernando Botero, Pinot Gallizio. Nella parte finale la mostra entra nel vivo del panorama contemporaneo, che fa da compendio al tema con le esperienze pittoriche della Transavanguardia italiana e internazionale - Sandro Chia, Mimmo Pala-
dino, Julian Schnabel, David Salle - e le suggestioni proposte da video, installazioni e sculture di artist-star del nuovo millennio - Jan Fabre, Damien Hirst, Tony Oursler, Felix Gonzalez-Torres. Nel Teatro del Sogno "messo in scena" nella Galleria Nazionale dell'Umbria la presenza del cinema, fondamentale al pari delle arti figurative, ruota intorno alla straordinaria produzione di
Federico Fellini, di cui sono esposti oltre 30 disegni e schizzi - alcuni dei quali tratti dal famoso Libro dei Sogni - e di cui si potrà ammirare una selezione di scene tratte dai film più "onirici" come "I clown" e la "La città delle donne". Lungo il percorso di mostra s'incontrano capolavori surrealisti come Un Chien andalou e L'age d'or di Bunuel, l'unica sceneggiatura cinematografica (Film) di Samuel Beckett, Spellbound (Io ti salverò) di Alfred Hitchcock con le celebri scenografie create da Salvador Dalì, e poi Sleep di Andy Warhol e la sua controparte odierna David Beckham Sleeping di Sam Taylor-Wood e infine Quijote, lungometraggio di Mimmo Paladino, ispirato al noto romanzo di Miguel Cervantes. La mostra è promossa dal Comune di Perugia in collaborazione con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, la Regione Umbria, la Provincia di Perugia e la Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia. L'organizzazione è affidata a Civita e la realizzazione del catalogo all'editore Giunti. TEATRO DEL SOGNO. DA CHAGALL A FELLINI 25 settembre 2010 - 9 gennaio 2011 Perugia, Galleria Nazionale dell'Umbria C.so Vannucci 19, informazioni e prenotazioni http://www. mostrateatrodelsogno.it/
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ESSERE COMUNISTI UNA QUESTIONE MORALE
Il Partito comunista italiano è un Paese pulito in un Paese sporco, un Paese onesto in un Paese disonesto, un Paese intelligente in un Paese idiota, un Paese colto in un Paese ignorante, un Paese umanistico in un Paese consumistico. In questi ultimi anni tra il Partito comunista italiano, inteso in senso autenticamente unitario - in un compatto "insieme" di dirigenti, base e votanti - e il resto dell'Italia, si è aperto un baratto: per cui il Partito comunista italiano è divenuto appunto un "Paese separato", un'isola. Pierpaolo Pasolini 14 novembre 1974
Per noi comunisti la passione non è finita (Intervista di Enrico Berlinguer del 28 luglio 1981) Ma per gli altri? Non voglio dar giudizi e mettere il piede in casa altrui, ma i fatti ci sono e sono sotto gli occhi di tutti. I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello, e non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l'iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un "boss" e dei "sottoboss I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal governo. Hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai TV, alcuni grandi giornali. Per esempio, oggi c'è il pericolo che il maggior quotidiano italiano, il Corriere della Sera, cada in mano di questo o quel partito o di una sua
corrente, ma noi impediremo che un grande organo di stampa come il Corriere faccia una così brutta fine. Insomma, tutto è già lottizzato e spartito o si vorrebbe lottizzare e spartire. E il risultato è drammatico. Tutte le "operazioni" che le diverse istituzioni e i loro attuali dirigenti sono chiamati a compiere vengono viste prevalentemente in funzione dell'interesse del partito o della corrente o del clan cui si deve la carica. Un credito bancario viene concesso se è utile a questo fine, se procura vantaggi e rapporti di clientela; un'autorizzazione amministrativa viene data, un appalto viene aggiudicato, una cattedra viene assegnata, un'attrezzatura di laboratorio viene finanziata, se i beneficiari fanno atto di fedeltà al partito che procura quei vantaggi, anche quando si tratta soltanto di riconoscimenti dovuti. Molti italiani si accorgono benissimo del mercimonio che si fa dello Stato, delle sopraffazioni, dei favoritismi, delle discriminazioni. Ma gran parte di loro è sotto ricatto. Hanno ricevuto vantaggi (magari dovuti, ma ottenuti solo attraverso i canali dei partiti e delle loro correnti) o sperano di riceverne, o temono di non riceverne più. Vuole una conferma di quanto dico? Confronti il vo-
to che gli italiani hanno dato in occasione dei referendum e quello delle normali elezioni politiche e amministrative. Il voto ai referendum non comporta favori, non coinvolge rapporti clientelari, non mette in gioco e non mobilita candidati e interessi privati o di un gruppo o di parte. È un voto assolutamente libero da questo genere di condizionamenti. Ebbene, sia nel '74 per il divorzio, sia, ancor di più, nell'81 per l'aborto, gli italiani hanno fornito l'immagine di un paese liberissimo e moderno, hanno dato un voto di progresso. Al nord come al sud, nelle città come nelle campagne, nei quartieri borghesi come in quelli operai e proletari. Nelle elezioni politiche e amministrative il quadro cambia, anche a distanza di poche settimane. Può apparire persino straordinario che un partito come il nostro, che va così decisamente contro l'andazzo corrente, conservi tanti consensi e persino li accresca. Ma io credo di sapere a che cosa lei pensa: poiché noi dichiariamo di essere un partito "diverso" dagli altri, lei pensa che gli italiani abbiano timore di questa diversità. Qualcuno, sì, ha ragione di temerne, e lei capisce subito chi intendo. Per una risposta chiara alla sua domanda, elencherò per punti molto
semplici in che consiste il nostro essere diversi, così spero non ci sarà più margine all'equivoco. Dunque: primo, noi vogliamo che i partiti cessino di occupare lo Stato. I partiti debbono, come dice la nostra Costituzione, concorrere alla formazione della volontà politica della nazione; e ciò possono farlo non occupando pezzi sempre più larghi di Stato, sempre più numerosi centri di potere in ogni campo, ma interpretando le grandi correnti di opinione, organizzando le aspirazioni del popolo, controllando democraticamente l'operato delle istituzioni. Ecco la prima ragione della nostra diversità. Le sembra che debba incutere tanta paura agli italiani? Noi pensiamo che il privilegio vada combattuto e distrutto ovunque si annidi, che i poveri e gli emarginati, gli svantaggiati, vadano difesi, e gli vada data voce e possibilità concreta di contare nelle decisioni e di cambiare le proprie condizioni, che certi bisogni sociali e umani oggi ignorati vadano soddisfatti con priorità rispetto ad altri, che la professionalità e il merito vadano premiati, che la partecipazione di ogni cittadino e di ogni cittadina alla cosa pubblica debba essere assicurata. Noi comunisti abbiamo sessant'anni di storia alle spalle
e abbiamo dimostrato di perseguirle e di farle sul serio. In galera con gli operai ci siamo stati noi; sui monti con i partigiani ci siamo stati noi; nelle borgate con i disoccupati ci siamo stati noi; con le donne, con il proletariato emarginato, con i giovani ci siamo stati noi; alla direzione di certi comuni, di certe regioni, amministrate con onestà, ci siamo stati noi. Noi pensiamo che il tipo di sviluppo economico e sociale capitalistico sia causa di gravi distorsioni, di immensi costi e disparità sociali, di enormi sprechi di ricchezza. Non vogliamo seguire i modelli di socialismo che si sono finora realizzati, rifiutiamo una rigida e centralizzata pianificazione dell'economia, pensiamo che il mercato possa mantenere una funzione essenziale, che l'iniziativa individuale sia insostituibile, che l'impresa privata abbia un suo spazio e conservi un suo ruolo importante. Ma siamo convinti che tutte queste realtà, dentro le forme capitalistiche -e soprattutto, oggi, sotto la cappa di piombo del sistema imperniato sulla DC- non funzionano più, e che quindi si possa e si debba discutere in qual modo superare il capitalismo inteso come meccanismo, come sistema, giacché esso, oggi, sta creando masse crescenti di disoccu-
pati, di emarginati, di sfruttati. Sta qui, al fondo, la causa non solo dell'attuale crisi economica, ma di fenomeni di barbarie, del diffondersi della droga, del rifiuto del lavoro, della sfiducia, della noia, della disperazione. È un delitto avere queste idee? La questione morale non si esaurisce nel fatto che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori in alte sfere della politica e dell'amministrazione, bisogna scovarli, bisogna denunciarli e bisogna metterli in galera. La questione morale, nell'Italia d'oggi, fa tutt'uno con l'occupazione dello stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt'uno con la guerra per bande, fa tutt'uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno semplicemente abbandonati e superati. Ecco perché dico che la questione morale è il centro del problema italiano. Ecco perché gli altri partiti possono provare d'essere forze di serio rinnovamento soltanto se aggrediscono in pieno la questione morale andando alle sue cause politiche. Quel che deve interessare veramente è la sorte del paese. Se si continua in questo modo, in Italia la democrazia rischia di restringersi, non di allargarsi e svilupparsi; rischia di soffocare in una palude.
supplemento al numero 11 - Anno II - novembre 2010 di Piazza del Grano - www.piazzadelgrano.org
IRAQ
2 00 3 - 20 1 1 m as s ac r o d i un p o po l o Domanda: “Sa indicarmi su questo mappamondo dove si trova l’Iraq?” Risposta: “Non lo so e non mi interessa saperlo, tanto lo distruggeremo!” (da un’inchiesta svolta negli USA dalla BBC )
19 marzo 2003 inizia il bombardamento di Bagdad
Dopo otto anni di guerra i soldati USA se ne vanno e tornano i “contractors” Barack Obama l’aveva detto e sembra che ora la farà sul serio: i soldati americani lasciano l’Iraq. Il “rais” è stato giustiziato, con tanto di figli e nipoti; il partito baat è stato sciolto; come anche l’esercito repubblicano sostituito da un’armata “accozzata” di militari e poliziotti corrotti e violenti; le armi di distruzione di massa non ci sono più anche perché non c’erano mai state; il governo democraticamente eletto è di fatto inesistente; è in corso una vera e propria guerra civile. La guerra contro Saddam Hussein è costata la vita a circa 5.000 soldati della coalizione che ha partecipato all'invasione. Per quanto riguarda gli iracheni invece il quadro è assai più drammatico: nel 2005 Bush aveva appena accennato a 30.000 vittime, uno studio datato però
2006 della rivista medica inglese “Lancet” riportava la cifra di 650.000 morti, il sito di politica estera “Just Foreign Policy” ha tentato un conteggio totale proprio sula base delle previsioni di Lancet arrivando per l’anno 2008 all'impressionate numero di circa 1.300.000 vittime, da allora sono passati ancora due anni. La propaganda delle forze di occupazione dichiara una situazione oggettivamente difficile, ma sotto controllo e in graduale miglioramento. Dice che la lotta contro il terrorismo internazionale in Iraq procede senza tregua, che gli insorgenti (guai a chiamarli resistenza) perdono terreno giorno dopo giorno, che gli integralisti islamici non riusciranno a ostacolare il cammino inesorabile della democrazia e della libertà.
Nella realtà una parte relativamente grande dell’Iraq oggi vive in condizioni di anarchia generalizzata in cui non esiste uno Stato di diritto e uno spazio di tutela del cittadino, attraversata da bande o vere e proprie milizie etniche o religiose che alternativamente attaccano le forze di occupazione o si massacrano tra di loro, o meglio massacrano la popolazione civile. Il terrorismo che, sotto il regime di Saddam, non esisteva in Iraq che non aveva alcun legame con Al Qaeda, oggi dilaga con attentati kamikaze dalle conseguenze enormi. Nonostante centinaia di milioni di dollari di aiuti alla ricostruzione, l’accesso ai servizi e l’assistenza sociale di base – come gli ospedali, gli ambulatori, l’acqua potabile, l’energia elettrica, il gasolio per uso domestico, il sistema giu-
diziario – sono diminuiti vertiginosamente dal marzo del 2003 data di inizio della seconda guerra del Golfo. Oggi un abitante di Bagdad riceve una media di tre ore di elettricità al giorno senza sapere quando, beve acqua normalmente contaminata, assiste al graduale deterioramento dell’igiene pubblica per via della mancanza di un sistema di raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani, è costretto a vendere le sue proprietà per curarsi o per emigrare all’estero. Ma soprattutto, vive nella paura per l’incolumità propria e della propria famiglia. Il numero di sequestri a scopo di estorsione sfiora i 200 al giorno. Gli attentati e gli omicidi politici si registrano tutti i giorni a danno di esponenti di partiti e comunità religiose. I crimini per vendetta e regola-
menti di conti che vengono riportati (quindi solo quando un corpo raggiunge un ospedale o una camera mortuaria) superano ormai la media di 50 al giorno solo a Bagdad. Il cittadino medio ha paura di denunciare un crimine, ha paura di avvicinare un ufficiale di polizia nella strada, poiché spesso sono proprio gli ufficiali di polizia e delle forze dell’esercito a commettere quei crimini. Fare la fila per ritirare lo stipendio, fare la spesa al mercato, andare in moschea a pregare sono ormai considerate attività ad altissimo rischio. Nel frattempo il costo della vita e l’inflazione sono saliti di più del 30%, di fronte ad un blocco totale dei salari e a un tasso di disoccupazione della popolazione attiva di quasi il 35%. Il petrolio è stato nuova-
mente privatizzato dopo la statalizzazione di Saddam e i pozzi e le raffinerie, una volta partiti i soldati USA, avranno nuovi difensori: i “contractors”, cioè quei mercenari già allontanati anni addietro dall’Iraq a causa di gravissimi fatti di violenza ai danni della popolazione civile, migrati in Afganistan e ora di nuovo indietro, in Iraq. Si parla di decine di migliaia di mercenari (100.000?) a stipendio in parte delle società petrolifere, ma in buona parte, così dicono le fonti americane, dello stesso governo USA. Ma il premio Nobel “a futura memoria” non ha detto tutta la verità. I soldati americani richiamati dall’Iraq non torneranno a casa, cambiano solo paese, vanno in Afganistan. La guerra degli USA, dunque, non è finita, ha solo cambiato scacchiere.
I
Saddam, il “rais” laico filoccidentale
Sigonella 1985
Padre Padrone di un paese (ex) evoluto con un forte “stato sociale”, istruzione, sanità, parità di diritti per le donne, libertà di religione
“Se l’Italia fosse stata davvero autonoma, nessun Paese straniero si sarebbe permesso di violare il nostro territorio in armi. Nessuno avrebbe mai neppure immaginato di fare ciò che è successo a Sigonella in Paesi quali la Francia, l’Inghilterra, persino la Spagna.” (Roberto Pennisi, PM intervenuto nella
Saddam Hussein è nato nel villaggio di al-Awja, nel distretto iracheno di Tikr!t, da una famiglia di pastori. Trasferitosi a Bagdad si iscrisse al Partito Ba'th (Partito della Risurrezione, di tendenze socialiste) e nel 1956, prese parte al fallito tentativo di colpo di Stato contro Re Faysal II. Nel 1958 in una rivolta nazionalista venne ucciso il re e salì al potere Kassem. Nell’anno successivo Saddam partecipò a una rivolta fallita contro il nuovo regime nazionalista e fu costretto a fuggire in Egitto dove conseguì la laurea in giurisprudenza. Tornò in Iraq a seguito del colpo di Stato militare del 1963, ma fu di nuovo imprigionato nel 1964. Nel 1967 riuscì a evadere e nel 1968 partecipò al colpo di Stato non violento realizzato dal partito Ba"th. A partire dal 1968 Saddam ricoprì il ruolo di vicepresidente del Consiglio del Comando Rivoluzionario; nel 1973 fu promosso al grado di Generale dell'esercito iracheno, malgrado facesse parte dell'ala cosiddetta "civile" del partito Ba"th. Nel 1979 Saddam divenne presidente della Repubblica irakena. Il partito Ba"th aveva un programma progressista e socialista che puntava alla modernizzazione e secolarizzazione dell'Iraq. Saddam dette corso a riforme epocali e ancora oggi uniche nel medio oriente quali la concessione alle donne di diritti pari a quelli degli uomini, l'introduzione di un codice civile
modellato su quelli dei paesi occidentali (che sostituì la Shar!"a) e la creazione di un apparato giudiziario laico (che comportò l'abolizione delle corti islamiche). Nel 1972 Saddam realizzò la nazionalizzazione dell'industria petrolifera e utilizzò una parte consistente dei profitti petroliferi per programmi di welfare (istruzione gratuita e obbligatoria; sanità pubblica
La guerra non ebbe esito positivo per l’Iraq che ne uscì fortemente impoverito, ragione che indusse nel 1990 Saddam a invadere il Kuwait per reintegrare con le risorse petrolifere di quell’emirato le finanze irakene. Nell’agosto 1990 gli Stati Uniti (con la partecipazione dell’Inghilterra, Francia, Egitto, Siria, Arabia Saudita, Italia e Canada) lanciarono la campagna Desert Storm preceduta da un devas t a n t e bombardam e n t o dell’intero paese; in pochissimo tempo le divisioni corazzate americane penetrarono in Iraq Il “falso” dell’abbattimento della statuta di Sad- giungendo dam, girato a “piazza chiusa” con una decina di sino a soli comparse vestite all’araba 60 km da Baghdad. Gli USA però, preoccupati dalgratuita) e per modernizzare le la caduta del regime laico di infrastrutture e l'economia Saddam e del conseguente ridell'Iraq, portando l'elettricità schio di estensione del fondain tutto il Paese, con una masmentalismo islamico di tipo siccia meccanizzazione agricoiraniano, sospesero l’aggresla ed un'ampia distribuzione sione e stipularono la pace con di terre ai contadini. Saddam lasciandolo al potere. Tuttavia nel 1979 l’Iraq venne L'Iraq comunque uscì molto coinvolto nella sanguinosissiindebolito dalla guerra, devama e costosissima guerra destato dai bombardamenti, con cennale contro l’Iran di Khoperdite umane, militari e civili meyni, spinto, sostenuto e ardi oltre 100.000 morti, contro i mato dagli Stati Uniti (anche 230 morti della coalizione. con armi chimiche ampiaNel 2000 Saddam iniziò a rimente “sperimentate” in chiedere che il petrolio iraquella guerra).
cheno fosse pagato in euro anziché in dollari, anche perché la gran parte delle importazioni irachene avvenivano dai paesi europei. Accusato di possedere ancora armi nucleari, chimiche e biologiche, mai trovate però dagli ispettori dell’ONU, l'Iraq venne nuovamente attaccato nel marzo del 2003. 300.000 soldati statunitensi e britannici invasero da sud l'Iraq dando il via all'operazione Iraqi Freedom con l'obiettivo di disarmare e distruggere il regime di Saddam, accusato di collusione con il terrorismo internazionale. In soli due mesi gli americani conquistarono l’intero Iraq manifestamente facilitati dalla mancata difesa, verosimilmente preordinata con la corruzione dei vertici militari irakeni. Il 1º maggio 2003, il presidente George W. Bush proclamò la fine dei combattimenti in Iraq affermando: "Nella guerra contro l'Iraq, gli Stati Uniti d'America e i suoi alleati hanno prevalso". Seguiranno, invece, 8 anni di combattimenti, stragi, massacri e oggi è in corso una devastante guerra civile. Le armi di distruzione di massa non sono mai state trovate, mentre l’Iraq è stato realmente distrutto. L’Iraq è oggi regredito a livelli economici, sociali e culturali praticamente medioevali. Saddam è stato catturato e giustiziato, così come sono stati uccisi i suoi figli e nipoti in azioni militari giudicate “omicidi”.
L’Impero del dollaro. I “petrodollari” Una moneta “flat” (piatta, senza valore) “convertibile” in “piombo”
II
Uno Stato-Nazione tassa i propri cittadini, mentre un Impero tassa gli altri Stati-Nazione. La storia degli imperi insegna che l'economia di ogni singolo impero si basa sulla tassazione delle altre nazioni. Storicamente la tassazione era sempre diretta: lo stato assoggettato consegnava direttamente le merci all'impero. Per la prima volta nella storia gli Stati Uniti sono stati in grado di tassare le nazioni suddite indirettamente, attraverso l'inflazione. Ecco com’è successo. All'inizio del 20° secolo, l'economia americana iniziava a dominare il mondo e il valore del dollaro era allineato con quello dell'oro. La grande depressione, con l’inflazione dal 1921 al 1929 e il susseguente deficit dei governi, ha sostanzialmente aumentato l'ammontare di valuta in circolazione. Questo condusse Roosevelt nel 1932 a scollegare il dollaro con l'oro. Fino a quel punto, gli Stati Uniti avevano dominato l'economia mondiale, ma dal punto di vista economico non era ancora un impero. Il valore fisso del dollaro non permetteva agli americani di trarre vantaggi economici dalle altre nazioni fornendo loro dollari convertibili in oro.
Economicamente, l'Impero americano è nato con gli accordi di Bretton Woods nel 1945. I dollari americani vennero resi convertibili in oro solo per i governi stranieri, i quali furono obbligati ad acquistare e conservare i dollari come unica valuta di riserva. Ciò fu possibile perché, durante la seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti avevano rifornito gli alleati ricevendo oro come pagamento e accumulando una significativa porzione dell'oro mondiale. Un impero non sarebbe stato possibile tuttavia se, seguendo gli accordi di Bretton Woods, la fornitura di dollari fosse rimasta equivalente alla disponibilità delle riserve auree. A causa dell’enorme costo della guerra del Vietnam, gli Stati Uniti iniziarono a emettere più valuta delle proprie riserve auree, acquistando merci delle altre nazioni che non avrebbero mai potuto restituire per equivalente di valore. Il 15 agosto 1971 l’allora presidente Nixon annunciò la fine della convertibilità dei dollari in oro, in sostanza ammettendo lo stato di bancarotta del Governo americano ma, in quello stesso momento, gli Stati Uniti si autodichiararono un Impero obbligando il mondo ad accettare e accumulare dollari senza alcuna prospetti-
va di restituzione per equivalente di valore. L’imposizione passò attraverso l’accordo tra USA e Opec (l’organizzazione degli stati produttori di petrolio) che stabilì nel dollaro americano l’unica moneta per gli scambi petroliferi. Il dollaro divenne quindi l’equivalente del petrolio, legando il suo valore di scambio a quello di quel prodotto che tutti gli stati avrebbero comunque dovuto comprare e che, non a caso, venne denominato l’ “oro nero” e per converso il suo mezzo di acquisto venne chiamato “petrodollaro”. Dal momento che il mondo aveva bisogno di quantità crescenti di petrolio e i prezzi del petrolio aumentavano, la domanda di dollari poteva solamente crescere e quindi gli USA potevano emettere moneta indifferentemente dalla capacità del loro sistema economico di restituirne l’equivalente di valore, ma solo per consentire la circolazione del petrolio. Se, per qualche ragione, i dollari avessero perso la capacità di essere scambiati con il petrolio, l'Impero americano avrebbe istantaneamente cessato di esistere. Nel 2000 il cosiddetto “rais” Saddam Hussein iniziò a ven-
dere il petrolio irakeno contro euro, seguito poco dopo, almeno nelle dichiarazioni, dall’Iran. Gli USA di Bush nel 2003 hanno invaso l’Iraq e tengono sotto minaccia costante di invasione l’Iran. Il petrolio non è stato più scambiato in euro e la supremazia del dollaro è stata confermata. La “partita”, ovviamente, non è ancora finita poiché la Russia e la Cina, che conservano nelle loro banche centrali la maggior parte dei dollari americani, hanno iniziato da alcuni anni a diversificare le monete di contrattazione, non solo accettando euro, ma anche rendendo convertibili le loro (primo il rublo già usato per le compravendite del gas russo). La dimensione delle riserve mondiali della moneta USA (l’ultimo dato del deficit americano indica la cifra iperbolica di 10,6 trilioni di dollari) rende improbabile un abbandono imminente del dollaro da parte degli stati che ne hanno maggiori riserve che verrebbero enormemente deprezzate. Paradossalmente è proprio l’inaffidabilità del dollaro che tiene in piedi l’economia USA, l’altra faccia, ovviamente, è quella della potenza militare ancora in grado di sottomettere buona parte del mondo.
base di Sigonella per l’identificazione e l’arresto dei sequestratori palestinesi)
Un esercito di popolo per la Pace 1982-1984 le missioni “Libano 1” e “Libano 2”
Per la prima volta dalla fine della seconda guerra mondiale l’esercito italiano esce dai confini nazionali in armi, ma lo fa “vestito di bianco”: in pace, per portare la pace Il 6 giugno 1982 l’esercito israeliano invade il Libano con l’obiettivo di distruggere le forze militari dell’OLP di Arafat. I carri armati israeliani raggiungono rapidamente Beirut che, dopo dieci settimane di combattimenti, viene ridotta a un cumulo di macerie. Nell’agosto viene firmato un accordo di pace e un contingente internazionale formato da militari italiani, francesi ed americani sbarca a Beirut per permettere l’evacuazione delle forze palestinesi dalla città assediata. A settembre la forza multinazionale lascia il Libano, ma non si ritira l’esercito israeliano che, invece, rompendo l’accordo di pace invade i quartieri musulmani dando il via a una violenta guerra civile tra le diverse comunità cristiana, musulmana e drusa. Il 16 settembre 1982 uomini
armati appartenenti alla fazione cristiano maronita entrano nei campi profughi palestinesi di Sabra e Shatila e compiono un vero e proprio massacro: in una sola notte vengono uccise più di 3.000 persone, in prevalenza bambini, donne e vecchi. I militari israeliani, a soli 100 metri di distanza, rimangono fermi a guardare il massacro. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite condanna il massacro con la risoluzione 521 del 19 settembre 1982. Viene decisa una nuova missione multinazionale. L’Italia questa volta è impegnata con una forza che complessivamente impiegherà oltre 8.000 soldati e 500 mezzi “bianchi”: “bianco” il colore degli automezzi e dei blindati, “bianco” il colore degli elmetti dei militari in prevalenza bersaglieri e lagunari tutti
di leva, né professionisti né volontari, cittadini in armi in missione di pace. Al contingente italiano, pur in assenza di coordinamento internazionale ufficiale, viene affidata la protezione dei campi profughi palestinesi e la realizzazione di un ospedale nel quale verranno assistiti, nei 18 mesi della missione, oltre 63.000 civili libanesi e palestinesi. Regola d’ingaggio: non sparare! Ad aprile 1983 un’autobomba guidata da un kamikaze fa saltare in area l’ambasciata americana a Beirut. I morti sono 63, tra cui il direttore della Cia per il Medio Oriente. In ottobre ancora due attentati kamikaze ai quartieri generali americano e francese causano la morte di circa 300 soldati americani e 90 francesi. Gli americani rispondono
Al servizio dello Stato italiano Il 4 marzo 2005 i servizi segreti italiani, operando in autonomia e sicuramente in contrasto con servizi segreti USA, ottengono dai resistenti irakeni la liberazione della giornalista del Manifesto Serena Sgrena. La giornalista accompagnata da due agenti del Sismi italiani e da un autista irakeno, vestiti all’araba e su di un’autovettura ordinaria, si dirigono subito dopo la liberazione all’aeroporto di Bagdad dove è in attesa un volo mi-
bombardando la città dalle navi e i francesi con attacchi aerei. La guerra divampa tutt’attorno al contingente italiano che resta tuttavia praticamente illeso (al termine dell’operazione verrà contato un solo lagunare morto e alcuni feriti) e sostanzialmente si adopera nei soccorsi alle vittime degli attentati e degli scontri. Il 4 novembre 1983, per il sessantesimo anniversario della fine della prima guerra mondiale, il Presidente della Re-
litare italiano. Lungo il percorso, in prossimità oramai dell’aeroporto, l’autovettura viene investita da un enorme numero di proiettili sparati, senza preavviso o intimazione di alt, da un posto di blocco militare USA con l’uso di più armi pesanti e leggere. Viene ucciso il capitano del Sismi Nicola Calipari, feriti con diversa gravità gli altri tre passeggeri. La magistratura italiana aprì un procedimento per omicidio volontario e triplice tentato omi-
pubblica Sandro Pertini, a sorpresa e contro il parere dei comandi militari, raggiunge Beirut per festeggiare con i soldati di leva italiani. A dicembre 1983 il Libano è in guerra totale e le forze multinazionali, americane e francesi, sono parte attiva del conflitto. La missione di pace è fallita, l’esercito italiano, l’esercito “bianco” di pace, a marzo 1984 torna a casa. Seguiranno sei anni di guerra civiole
cidio a carico del militare che l’esercito USA indicò come unico tiratore, nonché contro ignoti stante la pluralità delle armi utilizzate. Il procedimento è stato archiviato per difetto di giurisdizione della magistratura italiana su reati compiuti da militari dell’esercito americano. Nella foto l’allora Presidente della Repubblica Carlo Azelio Ciampi riceve all’aeroporto di Ciampino la bara con la salma del funzionario dello Stato italiano Nicola Calipari.
Il 7 ottobre 1985 la nave da crociera italiana Achille Lauro, mentre navigava in acque egiziane, venne presa in ostaggio da quattro terroristi palestinesi che si dichiaravano esponenti dell'OLP, l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina, ma in realtà appartenevano alla fazione filosiriana di una sua componente minoritaria, il FPLP. I sequestratori chiedevano la liberazione di una cinquantina di loro compagni detenuti nelle carceri israeliane. Ricevuta la notizia del sequestro l’allora ministro degli Esteri Giulio Andreotti prese immediatamente contatto telefonico con Yasser Arafat, presidente dell'OLP e capo della formazione maggioritaria alFatah; il leader palestinese assicurò la propria estraneità e si mise subito in azione per risolvere l’incidente. L’OLP incaricò il leader del FPLP, Abu Abbas, di prendere contatto con i sequestratori per negoziare la restituzione della nave e la liberazione degli ostaggi. Nonostante l’opposizione degli Stati Uniti dell’allora presidente Ronald Reagan, contrari di principio a negoziati con i terroristi, il governo italiano, all’epoca guidato da Craxi, proseguì nella trattativa che rapidamente giunse a buon fine con la mediazione dell’Egitto del presidente Mubarak. Abu Abbas di persona ottenne la resa dei terroristi e la restituzione della nave all’equipaggio italiano, in cambio di un salvacondotto del governo egiziano che mise a disposizione un proprio aereo di linea per trasportare terroristi e negoziatori palestinesi in Tunisia dove allora si trovava il quartiere generale dell’OLP, accompagnati da un ambasciatore egiziano e da alcuni elementi del servizio di sicurezza egiziano. Mentre era in volo sopra l’isola di Malta il boeing egiziano venne affiancato da due caccia americani che lo costrinsero ad atterrare nella base militare
Nato di Sigonella in Sicilia, con l’intento di far catturare i dirottatori e il leader palestinese dai militari della propria Delta Force subito decollati da una portaerei americana nel Mediterraneo. Avuta notizia dell’operazione dell’aviazione USA il governo italiano (in verità sempre e solo Craxi e Andreotti con esclusione del ministro della difesa Spadolini dichiaratamente filo israeliano) ordinò al comandante italiano della base di Sigonella di autorizzare l’atterraggio del boeing egiziano ma di prendere sotto protezione l’aereo impedendo “a chiunque” di attaccarlo. Così accadde che mentre i militari della Delta Force USA, atterrati subito dietro al boeing egiziano, si preparavano ad assaltarlo, gli avieri di leva dell’esercito italiano, rinforzati dai carabinieri fatti affluire da Catania e Siracusa, circondarono l’aereo egiziano ponendosi in difesa armata nei confronti dei militari americani. Seguirono per tutto il corso della notte, mentre affluivano all’aeroporto mezzi blindati dei carabinieri a rinforzare le difese italiane, numerose telefonate dirette tra il presidente Reagan e Craxi, al termine delle quali gli americani acconsentirono a riconoscere al governo italiano la giurisdizione sui sequestratori e fecero arretrare la propria Delta Force. Il Boeing venne quindi raggiunto dai magistrati di Siracusa che interrogarono i dirottatori e li fecero trasferire alle carceri italiane, rimanendo sull’aereo il leader palestinese e i funzionari egiziani. L’aereo, senza più i dirottatori a bordo, decollò quindi alla volta di Roma, ma venne subito seguito da caccia USA che, tuttavia, si trovarono a loro volta seguiti da due squadriglie di caccia italiani incaricati di scortare l’aereo egiziano. II boeing egiziano atterrò a Ciampino seguito, subito dopo, da un ennesimo aereo della Delta Force USA che atterrò senza permesso, contromano
rispetto alla pista di decollo, ponendosi di fronte al boeing con l’evidente scopo di impedirne un ulteriore decollo. Nel frattempo al governo italiano pervenne una richiesta formale degli USA di estradizione a carico di Abu Abbas che l’allora ministro della giustizia, Nino Martinazzoli, dichiarò non accoglibile e respinse. Il boeing egiziano, dopo la minaccia del comando dell’aeroporto di Ciampino di far intervenire i bulldozer per far spostare l’aereo della Delta Force americano, riprese il volo con destinazione l’aeroporto di Fiumicino dove atterrò dopo pochi minuti a fianco di un aereo di linea jugoslavo, fatto appositamente attendere, sul quale viene trasbordato il leader palestinese portato in salvo in Jugoslavia. Dopo questi eventi, emersero profonde lacerazioni politiche all'interno della maggioranza del Pentapartito. Spadolini, filo-americano e filo-israeliano chiese le dimissioni del Governo che invece, a sorpresa, ricevette l'appoggio del Partito Comunista Italiano. Tuttavia, i ministri repubblicani ritirarono la loro delegazione dal governo, aprendo, di fatto, la crisi; il governo però ottenne la fiducia della Camera dei deputati e il discorso di Craxi, lungi dal recedere dalle ragioni sostenute per gestire il caso Sigonella, le rilanciò con un originale paragone tra Arafat e Mazzini che produsse le proteste in Aula di repubblicani e missini, ma venne applaudito dalla restante parte della maggioranza e anche dall'opposizione comunista. Non molto tempo più tardi Andreotti è stato coinvolto in confessioni di connivenza mafiosa che lo hanno sostanzialmente escluso dalla vita politica e Craxi se ne è andato in esilio in Tunisia. Di questi ultimi eventi c’erano “infinite” ragioni, ma è difficile escludere anche una “resa dei conti” americana (israeliana) per i fatti di Sigonella.
Nassirya 2004 Nel libro «La guerra del petrolio» (Editori Riuniti), l’autore, Benito Li Vigni, entrato all’ENI con Mattei e rimasto nel gruppo fino al 1996, ricoprendovi posizioni di grande responsabilità, a proposito di Nassiriya scrive: «La presenza italiana in Iraq, al di là dei presupposti ufficialmente dichiarati, è motivata dal desiderio di non essere assenti dal tavolo della ricostruzione e degli affari. Questi ultimi riguardano soprattutto lo sfruttamento dei ricchi campi petroliferi. Non a caso il nostro contingente si è attestato nella zona di Nassiriya dove agli italiani dell’ENI il governo iracheno, pensando alla fine dell’embargo, aveva concesso – fra il 1995 e il 2000 – lo sfruttamento di un
giacimento petrolifero, con 2,5-3 miliardi di barili di riserve: quinto per importanza tra i nuovi giacimenti che l’Iraq di Saddam voleva avviare a produzione». Per completare l’informazione, va detto che contratti analoghi il regime iracheno aveva sottoscritto con Francia, Russia e Germania, contrarie alla guerra. Il contratto con l’ENI era particolarmente favorevole all’Italia per due ragioni: i costi di estrazione che la società di bandiera avrebbe dovuto affrontare sarebbero stati scontati con la produzione del petrolio estratto; una volta ammortizzati i costi, la produzione seguente, sarebbe stata divisa a metà tra ENI e Governo Iracheno. L’Operazione era importante a tal punto
che uno dei più autorevoli giornali americani, commentandola, aveva scritto che se fosse andata in porto, l’ENI sarebbe diventata la più grande compagnia petrolifera del mondo. Resta da capire perché, dopo aver concluso la trattativa durata cinque anni, l’ENI non abbia cominciato a trivellare i pozzi. La risposta è legata alla decisione di Saddam di attendere la fine dell’embargo, per la quale aveva chiesto l’aiuto e l’intervento italiano, francese e tedesco presso la presidenza degli Stati Uniti, dichiarandosi anche disponibile, ciò che fece, a immettere sul mercato due milioni di barili al giorno per evitare l’aumento del prezzo del greggio.
III
Saddam, il “rais” laico filoccidentale
Sigonella 1985
Padre Padrone di un paese (ex) evoluto con un forte “stato sociale”, istruzione, sanità, parità di diritti per le donne, libertà di religione
“Se l’Italia fosse stata davvero autonoma, nessun Paese straniero si sarebbe permesso di violare il nostro territorio in armi. Nessuno avrebbe mai neppure immaginato di fare ciò che è successo a Sigonella in Paesi quali la Francia, l’Inghilterra, persino la Spagna.” (Roberto Pennisi, PM intervenuto nella
Saddam Hussein è nato nel villaggio di al-Awja, nel distretto iracheno di Tikr!t, da una famiglia di pastori. Trasferitosi a Bagdad si iscrisse al Partito Ba'th (Partito della Risurrezione, di tendenze socialiste) e nel 1956, prese parte al fallito tentativo di colpo di Stato contro Re Faysal II. Nel 1958 in una rivolta nazionalista venne ucciso il re e salì al potere Kassem. Nell’anno successivo Saddam partecipò a una rivolta fallita contro il nuovo regime nazionalista e fu costretto a fuggire in Egitto dove conseguì la laurea in giurisprudenza. Tornò in Iraq a seguito del colpo di Stato militare del 1963, ma fu di nuovo imprigionato nel 1964. Nel 1967 riuscì a evadere e nel 1968 partecipò al colpo di Stato non violento realizzato dal partito Ba"th. A partire dal 1968 Saddam ricoprì il ruolo di vicepresidente del Consiglio del Comando Rivoluzionario; nel 1973 fu promosso al grado di Generale dell'esercito iracheno, malgrado facesse parte dell'ala cosiddetta "civile" del partito Ba"th. Nel 1979 Saddam divenne presidente della Repubblica irakena. Il partito Ba"th aveva un programma progressista e socialista che puntava alla modernizzazione e secolarizzazione dell'Iraq. Saddam dette corso a riforme epocali e ancora oggi uniche nel medio oriente quali la concessione alle donne di diritti pari a quelli degli uomini, l'introduzione di un codice civile
modellato su quelli dei paesi occidentali (che sostituì la Shar!"a) e la creazione di un apparato giudiziario laico (che comportò l'abolizione delle corti islamiche). Nel 1972 Saddam realizzò la nazionalizzazione dell'industria petrolifera e utilizzò una parte consistente dei profitti petroliferi per programmi di welfare (istruzione gratuita e obbligatoria; sanità pubblica
La guerra non ebbe esito positivo per l’Iraq che ne uscì fortemente impoverito, ragione che indusse nel 1990 Saddam a invadere il Kuwait per reintegrare con le risorse petrolifere di quell’emirato le finanze irakene. Nell’agosto 1990 gli Stati Uniti (con la partecipazione dell’Inghilterra, Francia, Egitto, Siria, Arabia Saudita, Italia e Canada) lanciarono la campagna Desert Storm preceduta da un devas t a n t e bombardam e n t o dell’intero paese; in pochissimo tempo le divisioni corazzate americane penetrarono in Iraq Il “falso” dell’abbattimento della statuta di Sad- giungendo dam, girato a “piazza chiusa” con una decina di sino a soli comparse vestite all’araba 60 km da Baghdad. Gli USA però, preoccupati dalgratuita) e per modernizzare le la caduta del regime laico di infrastrutture e l'economia Saddam e del conseguente ridell'Iraq, portando l'elettricità schio di estensione del fondain tutto il Paese, con una masmentalismo islamico di tipo siccia meccanizzazione agricoiraniano, sospesero l’aggresla ed un'ampia distribuzione sione e stipularono la pace con di terre ai contadini. Saddam lasciandolo al potere. Tuttavia nel 1979 l’Iraq venne L'Iraq comunque uscì molto coinvolto nella sanguinosissiindebolito dalla guerra, devama e costosissima guerra destato dai bombardamenti, con cennale contro l’Iran di Khoperdite umane, militari e civili meyni, spinto, sostenuto e ardi oltre 100.000 morti, contro i mato dagli Stati Uniti (anche 230 morti della coalizione. con armi chimiche ampiaNel 2000 Saddam iniziò a rimente “sperimentate” in chiedere che il petrolio iraquella guerra).
cheno fosse pagato in euro anziché in dollari, anche perché la gran parte delle importazioni irachene avvenivano dai paesi europei. Accusato di possedere ancora armi nucleari, chimiche e biologiche, mai trovate però dagli ispettori dell’ONU, l'Iraq venne nuovamente attaccato nel marzo del 2003. 300.000 soldati statunitensi e britannici invasero da sud l'Iraq dando il via all'operazione Iraqi Freedom con l'obiettivo di disarmare e distruggere il regime di Saddam, accusato di collusione con il terrorismo internazionale. In soli due mesi gli americani conquistarono l’intero Iraq manifestamente facilitati dalla mancata difesa, verosimilmente preordinata con la corruzione dei vertici militari irakeni. Il 1º maggio 2003, il presidente George W. Bush proclamò la fine dei combattimenti in Iraq affermando: "Nella guerra contro l'Iraq, gli Stati Uniti d'America e i suoi alleati hanno prevalso". Seguiranno, invece, 8 anni di combattimenti, stragi, massacri e oggi è in corso una devastante guerra civile. Le armi di distruzione di massa non sono mai state trovate, mentre l’Iraq è stato realmente distrutto. L’Iraq è oggi regredito a livelli economici, sociali e culturali praticamente medioevali. Saddam è stato catturato e giustiziato, così come sono stati uccisi i suoi figli e nipoti in azioni militari giudicate “omicidi”.
L’Impero del dollaro. I “petrodollari” Una moneta “flat” (piatta, senza valore) “convertibile” in “piombo”
II
Uno Stato-Nazione tassa i propri cittadini, mentre un Impero tassa gli altri Stati-Nazione. La storia degli imperi insegna che l'economia di ogni singolo impero si basa sulla tassazione delle altre nazioni. Storicamente la tassazione era sempre diretta: lo stato assoggettato consegnava direttamente le merci all'impero. Per la prima volta nella storia gli Stati Uniti sono stati in grado di tassare le nazioni suddite indirettamente, attraverso l'inflazione. Ecco com’è successo. All'inizio del 20° secolo, l'economia americana iniziava a dominare il mondo e il valore del dollaro era allineato con quello dell'oro. La grande depressione, con l’inflazione dal 1921 al 1929 e il susseguente deficit dei governi, ha sostanzialmente aumentato l'ammontare di valuta in circolazione. Questo condusse Roosevelt nel 1932 a scollegare il dollaro con l'oro. Fino a quel punto, gli Stati Uniti avevano dominato l'economia mondiale, ma dal punto di vista economico non era ancora un impero. Il valore fisso del dollaro non permetteva agli americani di trarre vantaggi economici dalle altre nazioni fornendo loro dollari convertibili in oro.
Economicamente, l'Impero americano è nato con gli accordi di Bretton Woods nel 1945. I dollari americani vennero resi convertibili in oro solo per i governi stranieri, i quali furono obbligati ad acquistare e conservare i dollari come unica valuta di riserva. Ciò fu possibile perché, durante la seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti avevano rifornito gli alleati ricevendo oro come pagamento e accumulando una significativa porzione dell'oro mondiale. Un impero non sarebbe stato possibile tuttavia se, seguendo gli accordi di Bretton Woods, la fornitura di dollari fosse rimasta equivalente alla disponibilità delle riserve auree. A causa dell’enorme costo della guerra del Vietnam, gli Stati Uniti iniziarono a emettere più valuta delle proprie riserve auree, acquistando merci delle altre nazioni che non avrebbero mai potuto restituire per equivalente di valore. Il 15 agosto 1971 l’allora presidente Nixon annunciò la fine della convertibilità dei dollari in oro, in sostanza ammettendo lo stato di bancarotta del Governo americano ma, in quello stesso momento, gli Stati Uniti si autodichiararono un Impero obbligando il mondo ad accettare e accumulare dollari senza alcuna prospetti-
va di restituzione per equivalente di valore. L’imposizione passò attraverso l’accordo tra USA e Opec (l’organizzazione degli stati produttori di petrolio) che stabilì nel dollaro americano l’unica moneta per gli scambi petroliferi. Il dollaro divenne quindi l’equivalente del petrolio, legando il suo valore di scambio a quello di quel prodotto che tutti gli stati avrebbero comunque dovuto comprare e che, non a caso, venne denominato l’ “oro nero” e per converso il suo mezzo di acquisto venne chiamato “petrodollaro”. Dal momento che il mondo aveva bisogno di quantità crescenti di petrolio e i prezzi del petrolio aumentavano, la domanda di dollari poteva solamente crescere e quindi gli USA potevano emettere moneta indifferentemente dalla capacità del loro sistema economico di restituirne l’equivalente di valore, ma solo per consentire la circolazione del petrolio. Se, per qualche ragione, i dollari avessero perso la capacità di essere scambiati con il petrolio, l'Impero americano avrebbe istantaneamente cessato di esistere. Nel 2000 il cosiddetto “rais” Saddam Hussein iniziò a ven-
dere il petrolio irakeno contro euro, seguito poco dopo, almeno nelle dichiarazioni, dall’Iran. Gli USA di Bush nel 2003 hanno invaso l’Iraq e tengono sotto minaccia costante di invasione l’Iran. Il petrolio non è stato più scambiato in euro e la supremazia del dollaro è stata confermata. La “partita”, ovviamente, non è ancora finita poiché la Russia e la Cina, che conservano nelle loro banche centrali la maggior parte dei dollari americani, hanno iniziato da alcuni anni a diversificare le monete di contrattazione, non solo accettando euro, ma anche rendendo convertibili le loro (primo il rublo già usato per le compravendite del gas russo). La dimensione delle riserve mondiali della moneta USA (l’ultimo dato del deficit americano indica la cifra iperbolica di 10,6 trilioni di dollari) rende improbabile un abbandono imminente del dollaro da parte degli stati che ne hanno maggiori riserve che verrebbero enormemente deprezzate. Paradossalmente è proprio l’inaffidabilità del dollaro che tiene in piedi l’economia USA, l’altra faccia, ovviamente, è quella della potenza militare ancora in grado di sottomettere buona parte del mondo.
base di Sigonella per l’identificazione e l’arresto dei sequestratori palestinesi)
Un esercito di popolo per la Pace 1982-1984 le missioni “Libano 1” e “Libano 2”
Per la prima volta dalla fine della seconda guerra mondiale l’esercito italiano esce dai confini nazionali in armi, ma lo fa “vestito di bianco”: in pace, per portare la pace Il 6 giugno 1982 l’esercito israeliano invade il Libano con l’obiettivo di distruggere le forze militari dell’OLP di Arafat. I carri armati israeliani raggiungono rapidamente Beirut che, dopo dieci settimane di combattimenti, viene ridotta a un cumulo di macerie. Nell’agosto viene firmato un accordo di pace e un contingente internazionale formato da militari italiani, francesi ed americani sbarca a Beirut per permettere l’evacuazione delle forze palestinesi dalla città assediata. A settembre la forza multinazionale lascia il Libano, ma non si ritira l’esercito israeliano che, invece, rompendo l’accordo di pace invade i quartieri musulmani dando il via a una violenta guerra civile tra le diverse comunità cristiana, musulmana e drusa. Il 16 settembre 1982 uomini
armati appartenenti alla fazione cristiano maronita entrano nei campi profughi palestinesi di Sabra e Shatila e compiono un vero e proprio massacro: in una sola notte vengono uccise più di 3.000 persone, in prevalenza bambini, donne e vecchi. I militari israeliani, a soli 100 metri di distanza, rimangono fermi a guardare il massacro. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite condanna il massacro con la risoluzione 521 del 19 settembre 1982. Viene decisa una nuova missione multinazionale. L’Italia questa volta è impegnata con una forza che complessivamente impiegherà oltre 8.000 soldati e 500 mezzi “bianchi”: “bianco” il colore degli automezzi e dei blindati, “bianco” il colore degli elmetti dei militari in prevalenza bersaglieri e lagunari tutti
di leva, né professionisti né volontari, cittadini in armi in missione di pace. Al contingente italiano, pur in assenza di coordinamento internazionale ufficiale, viene affidata la protezione dei campi profughi palestinesi e la realizzazione di un ospedale nel quale verranno assistiti, nei 18 mesi della missione, oltre 63.000 civili libanesi e palestinesi. Regola d’ingaggio: non sparare! Ad aprile 1983 un’autobomba guidata da un kamikaze fa saltare in area l’ambasciata americana a Beirut. I morti sono 63, tra cui il direttore della Cia per il Medio Oriente. In ottobre ancora due attentati kamikaze ai quartieri generali americano e francese causano la morte di circa 300 soldati americani e 90 francesi. Gli americani rispondono
Al servizio dello Stato italiano Il 4 marzo 2005 i servizi segreti italiani, operando in autonomia e sicuramente in contrasto con servizi segreti USA, ottengono dai resistenti irakeni la liberazione della giornalista del Manifesto Serena Sgrena. La giornalista accompagnata da due agenti del Sismi italiani e da un autista irakeno, vestiti all’araba e su di un’autovettura ordinaria, si dirigono subito dopo la liberazione all’aeroporto di Bagdad dove è in attesa un volo mi-
bombardando la città dalle navi e i francesi con attacchi aerei. La guerra divampa tutt’attorno al contingente italiano che resta tuttavia praticamente illeso (al termine dell’operazione verrà contato un solo lagunare morto e alcuni feriti) e sostanzialmente si adopera nei soccorsi alle vittime degli attentati e degli scontri. Il 4 novembre 1983, per il sessantesimo anniversario della fine della prima guerra mondiale, il Presidente della Re-
litare italiano. Lungo il percorso, in prossimità oramai dell’aeroporto, l’autovettura viene investita da un enorme numero di proiettili sparati, senza preavviso o intimazione di alt, da un posto di blocco militare USA con l’uso di più armi pesanti e leggere. Viene ucciso il capitano del Sismi Nicola Calipari, feriti con diversa gravità gli altri tre passeggeri. La magistratura italiana aprì un procedimento per omicidio volontario e triplice tentato omi-
pubblica Sandro Pertini, a sorpresa e contro il parere dei comandi militari, raggiunge Beirut per festeggiare con i soldati di leva italiani. A dicembre 1983 il Libano è in guerra totale e le forze multinazionali, americane e francesi, sono parte attiva del conflitto. La missione di pace è fallita, l’esercito italiano, l’esercito “bianco” di pace, a marzo 1984 torna a casa. Seguiranno sei anni di guerra civiole
cidio a carico del militare che l’esercito USA indicò come unico tiratore, nonché contro ignoti stante la pluralità delle armi utilizzate. Il procedimento è stato archiviato per difetto di giurisdizione della magistratura italiana su reati compiuti da militari dell’esercito americano. Nella foto l’allora Presidente della Repubblica Carlo Azelio Ciampi riceve all’aeroporto di Ciampino la bara con la salma del funzionario dello Stato italiano Nicola Calipari.
Il 7 ottobre 1985 la nave da crociera italiana Achille Lauro, mentre navigava in acque egiziane, venne presa in ostaggio da quattro terroristi palestinesi che si dichiaravano esponenti dell'OLP, l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina, ma in realtà appartenevano alla fazione filosiriana di una sua componente minoritaria, il FPLP. I sequestratori chiedevano la liberazione di una cinquantina di loro compagni detenuti nelle carceri israeliane. Ricevuta la notizia del sequestro l’allora ministro degli Esteri Giulio Andreotti prese immediatamente contatto telefonico con Yasser Arafat, presidente dell'OLP e capo della formazione maggioritaria alFatah; il leader palestinese assicurò la propria estraneità e si mise subito in azione per risolvere l’incidente. L’OLP incaricò il leader del FPLP, Abu Abbas, di prendere contatto con i sequestratori per negoziare la restituzione della nave e la liberazione degli ostaggi. Nonostante l’opposizione degli Stati Uniti dell’allora presidente Ronald Reagan, contrari di principio a negoziati con i terroristi, il governo italiano, all’epoca guidato da Craxi, proseguì nella trattativa che rapidamente giunse a buon fine con la mediazione dell’Egitto del presidente Mubarak. Abu Abbas di persona ottenne la resa dei terroristi e la restituzione della nave all’equipaggio italiano, in cambio di un salvacondotto del governo egiziano che mise a disposizione un proprio aereo di linea per trasportare terroristi e negoziatori palestinesi in Tunisia dove allora si trovava il quartiere generale dell’OLP, accompagnati da un ambasciatore egiziano e da alcuni elementi del servizio di sicurezza egiziano. Mentre era in volo sopra l’isola di Malta il boeing egiziano venne affiancato da due caccia americani che lo costrinsero ad atterrare nella base militare
Nato di Sigonella in Sicilia, con l’intento di far catturare i dirottatori e il leader palestinese dai militari della propria Delta Force subito decollati da una portaerei americana nel Mediterraneo. Avuta notizia dell’operazione dell’aviazione USA il governo italiano (in verità sempre e solo Craxi e Andreotti con esclusione del ministro della difesa Spadolini dichiaratamente filo israeliano) ordinò al comandante italiano della base di Sigonella di autorizzare l’atterraggio del boeing egiziano ma di prendere sotto protezione l’aereo impedendo “a chiunque” di attaccarlo. Così accadde che mentre i militari della Delta Force USA, atterrati subito dietro al boeing egiziano, si preparavano ad assaltarlo, gli avieri di leva dell’esercito italiano, rinforzati dai carabinieri fatti affluire da Catania e Siracusa, circondarono l’aereo egiziano ponendosi in difesa armata nei confronti dei militari americani. Seguirono per tutto il corso della notte, mentre affluivano all’aeroporto mezzi blindati dei carabinieri a rinforzare le difese italiane, numerose telefonate dirette tra il presidente Reagan e Craxi, al termine delle quali gli americani acconsentirono a riconoscere al governo italiano la giurisdizione sui sequestratori e fecero arretrare la propria Delta Force. Il Boeing venne quindi raggiunto dai magistrati di Siracusa che interrogarono i dirottatori e li fecero trasferire alle carceri italiane, rimanendo sull’aereo il leader palestinese e i funzionari egiziani. L’aereo, senza più i dirottatori a bordo, decollò quindi alla volta di Roma, ma venne subito seguito da caccia USA che, tuttavia, si trovarono a loro volta seguiti da due squadriglie di caccia italiani incaricati di scortare l’aereo egiziano. II boeing egiziano atterrò a Ciampino seguito, subito dopo, da un ennesimo aereo della Delta Force USA che atterrò senza permesso, contromano
rispetto alla pista di decollo, ponendosi di fronte al boeing con l’evidente scopo di impedirne un ulteriore decollo. Nel frattempo al governo italiano pervenne una richiesta formale degli USA di estradizione a carico di Abu Abbas che l’allora ministro della giustizia, Nino Martinazzoli, dichiarò non accoglibile e respinse. Il boeing egiziano, dopo la minaccia del comando dell’aeroporto di Ciampino di far intervenire i bulldozer per far spostare l’aereo della Delta Force americano, riprese il volo con destinazione l’aeroporto di Fiumicino dove atterrò dopo pochi minuti a fianco di un aereo di linea jugoslavo, fatto appositamente attendere, sul quale viene trasbordato il leader palestinese portato in salvo in Jugoslavia. Dopo questi eventi, emersero profonde lacerazioni politiche all'interno della maggioranza del Pentapartito. Spadolini, filo-americano e filo-israeliano chiese le dimissioni del Governo che invece, a sorpresa, ricevette l'appoggio del Partito Comunista Italiano. Tuttavia, i ministri repubblicani ritirarono la loro delegazione dal governo, aprendo, di fatto, la crisi; il governo però ottenne la fiducia della Camera dei deputati e il discorso di Craxi, lungi dal recedere dalle ragioni sostenute per gestire il caso Sigonella, le rilanciò con un originale paragone tra Arafat e Mazzini che produsse le proteste in Aula di repubblicani e missini, ma venne applaudito dalla restante parte della maggioranza e anche dall'opposizione comunista. Non molto tempo più tardi Andreotti è stato coinvolto in confessioni di connivenza mafiosa che lo hanno sostanzialmente escluso dalla vita politica e Craxi se ne è andato in esilio in Tunisia. Di questi ultimi eventi c’erano “infinite” ragioni, ma è difficile escludere anche una “resa dei conti” americana (israeliana) per i fatti di Sigonella.
Nassirya 2004 Nel libro «La guerra del petrolio» (Editori Riuniti), l’autore, Benito Li Vigni, entrato all’ENI con Mattei e rimasto nel gruppo fino al 1996, ricoprendovi posizioni di grande responsabilità, a proposito di Nassiriya scrive: «La presenza italiana in Iraq, al di là dei presupposti ufficialmente dichiarati, è motivata dal desiderio di non essere assenti dal tavolo della ricostruzione e degli affari. Questi ultimi riguardano soprattutto lo sfruttamento dei ricchi campi petroliferi. Non a caso il nostro contingente si è attestato nella zona di Nassiriya dove agli italiani dell’ENI il governo iracheno, pensando alla fine dell’embargo, aveva concesso – fra il 1995 e il 2000 – lo sfruttamento di un
giacimento petrolifero, con 2,5-3 miliardi di barili di riserve: quinto per importanza tra i nuovi giacimenti che l’Iraq di Saddam voleva avviare a produzione». Per completare l’informazione, va detto che contratti analoghi il regime iracheno aveva sottoscritto con Francia, Russia e Germania, contrarie alla guerra. Il contratto con l’ENI era particolarmente favorevole all’Italia per due ragioni: i costi di estrazione che la società di bandiera avrebbe dovuto affrontare sarebbero stati scontati con la produzione del petrolio estratto; una volta ammortizzati i costi, la produzione seguente, sarebbe stata divisa a metà tra ENI e Governo Iracheno. L’Operazione era importante a tal punto
che uno dei più autorevoli giornali americani, commentandola, aveva scritto che se fosse andata in porto, l’ENI sarebbe diventata la più grande compagnia petrolifera del mondo. Resta da capire perché, dopo aver concluso la trattativa durata cinque anni, l’ENI non abbia cominciato a trivellare i pozzi. La risposta è legata alla decisione di Saddam di attendere la fine dell’embargo, per la quale aveva chiesto l’aiuto e l’intervento italiano, francese e tedesco presso la presidenza degli Stati Uniti, dichiarandosi anche disponibile, ciò che fece, a immettere sul mercato due milioni di barili al giorno per evitare l’aumento del prezzo del greggio.
III
L’ “energia” muove gli eserciti degli “esportatori di democrazia” Il nostro sistema economico e sociale è un “mostro” che divora “energia”. Tre opzioni: bombardare Bagdad, costruire centrali atomiche, rivoluzionare il sistema
IV
La complessità della materia potrà far sembrare alcune ipotesi e conclusioni apparentemente contraddittorie tra di loro o poco “politicamente corrette”; può effettivamente essere così, ma questo è il “prezzo” della ricerca della verità che non è mai “bianco o nero” e spesso ha molte facce e non tutte piacevoli. Ma la verità è “rivoluzionaria” perché solo conoscendola, solo conoscendo il reale “stato delle cose”, si può, non solo sperare (ed è il minimo), ma soprattutto concretamente progettarne il cambiamento. Cominciamo dall’inizio, cominciamo dalla ricerca della “energia” che è il motore della vita e della crescita economica, sociale e culturale. All’inizio c’erano le braccia, tante braccia per sostenere un’economia agricola o di pastorizia: è Gavino che il “Padre Padrone” riprende dalla scuola dell’obbligo per mandarlo a guardare il gregge dal quale dipende la sopravvivenza dell’intera famiglia. Poi ci sono stati gli animali addomesticati da soma, ma anche gli schiavi, categorie di “produttori di energia” che non a caso nel diritto romano avevano la stessa qualità di “res mancipi” cioè di “cose di maggior valore”. V’erano anche alcune sorgenti di energia naturali: l’acqua e il vento che facevano girare i molini e spingevano le navi. Più tardi sono comparsi i fossili: il carbone, poi il petrolio, poi il gas. Infine l’energia creata dall’uomo: l’energia atomica. Con la scoperta della “energia” le società che ne disponevano hanno cominciato a crescere, consumando sempre più energia in una spirale infinita che, a un certo punto, ha superato le disponibilità proprie e, quindi, ha posto la necessità di reperire “altrove” l’energia necessaria. Tre regole hanno guidato la ricerca dell’energia “altrove”: saccheggiare i territori ricchi di risorse energetiche; impedire agli abitanti di quei territori di sviluppare una loro economia che avrebbe concorso al consumo “in casa” di tali risorse; controllare le sorgenti e le vie delle risorse in modo da impedirne l’accesso ad altri “concorrenti”. La prima regola ha avuto una traduzione politica tanto semplice quanto devastante per i “destinatari”: la colonizzazione, cioè l’occupazione, il saccheggio, la sottomissione delle popolazioni dei territori occupati. La seconda regola ha avuto una traduzione parimenti semplice e di facile applicazione: la corruzione delle classi dominanti, vere o fasulle, dei paesi colonizzati. La terza regola, infine, ha avuto la traduzione per così dire più “estrema”: la guerra; ovviamente tra i colonizzatori, perché solo tra “uguali” può esserci “guerra”, tra colonizzatori e colonizzati, tra dominatori e sudditi, tra padroni e servi non c’è guerra, ma “oppressione”. Due esempi saranno sufficienti a chiarire i concetti ora esposti: la dominazione e il saccheggio dei paesi del golfo
arabico, con la corruzione dei loro sceicchi che consapevolmente non hanno mai investito nel loro paese gli immensi ricavi dalla vendita del petrolio ma, anzi, ci hanno finanziato le economie dei loro sfruttatori; le guerre mondiali che hanno impedito, in un continente all’economia tedesca e nell’altro a quella giapponese, di crescere e mettere in discussione lo status quo del dominio del mondo, escludendole dall’accesso alle risorse energetiche del terzo mondo, quasi interamente colonizzato dai “vecchi” regimi europei e dal “nuovo” padrone nord americano. La seconda guerra mondiale ha sancito un equilibrio, sottomettendo i padroni più piccoli al padrone più grande: la NATO nello scacchiere atlantico, la SEATO in quello pacifico; al di sotto, parafrasando Sciascia, niente, poi niente, poi niente, poi il terzo e il quarto mondo. Va precisato che quell’ “equilibrio” era totalmente interno al sistema capitalistico occidentale, includendoci per semplicità ma pertinenza anche il Giappone, e nulla aveva a che vedere con la fasulla “guerra fredda” simulata con il “blocco” sovietico. La guerra, s’è detto, può esserci solo tra “uguali” che concorrono e competono per occupare e dominare gli stessi spazi fisici (territori coloniali) o figurativi (i mercati dei beni e della finanza). Il sistema economico sovietico era profondamente diverso da quello capitalistico e, se per un verso poteva anche concorrere a occupare spazi fisici d’interesse anche di quest’ultimo, certamente non competeva negli stessi ambiti mercantili e finanziari. Il crollo del sistema sovietico ha svelato clamorosamente la finzione del pluriennale conflitto USA-URSS quando, cadute le barriere geopolitiche, il sistema produttivo, industriale ed economico sovietico si è letteralmente disintegrando, aprendo taluni spazi fisici all’occidente capitalista, ma nulla apportando in termini di mercato a causa del drammatico impoverimento di quei paesi, caduti peraltro in mano di sistemi di governo oligarchici e mafiosi. L’ex est europeo socialista oggi fornisce mano d’opera a basso costo, il gigante russo e suoi ex territori associati non è altro che un produttore di energia in vendita ai paesi capitalisti, né più né meno dei paesi arabi, seppure con una non irrilevante differenza: quella di avere una classe oligarchica dominante non (ancora) venduta agli ordini dell’occidente. Ma gli equilibri, proprio per lo-
ro natura, non sono permanenti e, dunque, nel tempo oscillano col cambiare degli scenari; dalla fine della seconda guerra mondiale molto è cambiato e il vecchio equilibrio post bellico è oggi in forte discussione; i sudditi alzano la testa e nuovi competitori appaiono all’orizzonte. Ci troviamo a vivere una fase politico-economica che forse non ha precedenti nella storia dell’umanità e, più precisamente, nel sistema dei rapporti di potere per il dominio del mondo; per la prima volta lo stato più potente in termini militari non è anche il più ricco, anzi è da tempo in grandi, se non grandissime, difficoltà produttive ed economiche. Il gigante nord americano che con la seconda guerra mondale aveva conquistato il mondo, dall’occidente all’oriente, creando la gerarchia di comando sopra detta, non è più in grado di competere
durne al proprio interno. Gli Stati Uniti hanno così accumulato un debito estero incredibile che non saranno mai in grado di rimborsare e che continuano a finanziare emettendo moneta (vedi l’articolo sui “petrodollari”). In certo senso aveva ragione Mao quando diceva che gli imperialisti (gli Stati Uniti) sono una “tigre di carta”, un gigante “con i piedi di argilla”. L’argilla rischia di franare e questo pericolo richiede una risposta sempre più “forte”, l’unica che quel paese è in grado di “produrre”: la guerra. Possiamo a questo punto tornare alla “energia”. Possedere le sorgenti e le vie dell’energia è il mezzo per controllare le economie dei “concorrenti” e, quindi, per conservare il dominio del mondo. Oggi gli Stati Uniti si trovano a fronteggiare due grandi competitori: da un lato l’Europa,
economicamente con i suoi sudditi, anzi dipende sempre più dagli stessi. Gli Stati Uniti sulla carta sono il paese con il più alto Pil (ovviamente se non si considera l’Unione Europea come soggetto unitario, altrimenti il sorpasso sarebbe anche significativo); in realtà, però, tale ricchezza non corrisponde a una reale diffusione di benessere, mezzi, strutture nel senso più lato (dalla alimentazione, alla istruzione, alla sanità, ecc.) all’interno del proprio territorio. La ricchezza degli Stati Uniti è concentrata in circoli di potere talmente ristretti dall’essere difficilmente identificati con un determinato territorio che, al contrario, è caratterizzato da vaste aree di povertà e arretratezza assai prossime al terzo mondo. Questa situazione, nel tempo, ha fatto sì che quel gigante divenisse sempre più dipendente dall’estero e non solo per l’approvvigionamento di risorse energetiche che, tutto sommato, sono abbastanza abbondanti all’interno del suo territorio (includendovi il “cortile di casa” del centrosud America), quanto per la stessa produzione di beni d’ogni genere che è costretto a importare massicciamente non essendo in grado di pro-
con la sua nuova moneta unica; dall’altro la Cina, con la sua sempre più vasta zona d’influenza indocinese e potenzialmente indiana. Tagliare, o almeno dominare, le risorse energetiche indispensabili ai due nuovi competitori per sostenere le loro economie, già a partire dalla amministrazione Clinton (con l’approvazione del “Silk Road Strategy Act” che definisce la politica energetica USA per l’intero mondo) e, in maniera esponenziale, con l’amministrazione Bush post 11 settembre, è stata la missione vitale della politica estera nord americana. I Balcani il primo scenario, l’Afghanistan l’ultimo e, nel mezzo, l’Iraq e l’Iran. E’ attraverso i Balcani, per il così detto “Corridoio 11”, che avrebbe dovuto, anzi dovrebbe ancora passare il nuovo sistema di trasporto del gas del Caspio verso l’Adriatico e l’Europa. Un tentativo USA di aggirare i Balcani con un gasdotto attraverso la “loro” Turchia non ha dato l’esito sperato a causa della modestia delle fonti di approvvigionamento e della sorprendente capacità della Russia dello “Zar Putin” di recuperare il controllo delle aree ricche di petrolio e gas schiacciando i tentativi indipenden-
tisti etnico-religiosi aizzati e sostenuti dagli USA. Nel 1999 gli USA hanno rotto gli indugi: ignorando l’ONU, utilizzando la Nato e così obbligando i sudditi europei all’obbedienza, hanno invaso i Balcani collocandovi loro basi militari e/o governi fantoccio da loro dipendenti. Più a oriente, sotto la minaccia della stipula di accordi commerciali petroliferi importantissimi tra taluni paesi europei e l’Iraq (esperti affermano che nel sottosuolo dell’Iraq vi siano giacimenti ancora non sfruttati persino superiori a quelli dell’Arabia Saudita), nonché del progetto di Saddam di sostituire l’euro al dollaro nelle contrattazioni petrolifere, dapprima nel 1990 e con più vigore nel 2003, ancora una volta ignorando l’ONU e mettendo in piedi una coalizione basata sull’asse di ferro con la Gran Bretagna, gli Stati Uniti hanno invaso l’Iraq e rinforzato il loro controllo militare sull’intera area medio orientale. Resta in verità ancora l’Iran; la minaccia USA è grande, ma abbastanza forte questa volta appare la copertura della Russia e della Cina; nulla però può essere escluso. Infine, ancora più a oriente, l’Afghanistan. L’Afghanistan, in verità, non ha alcuna risorsa energetica, tuttavia il suo territorio è strategico per il transito del gasdotto che va dal Turkmenistan verso il Pakistan e l’India. Questo gasdotto, denominato TAPI (acronimo delle iniziali degli stati attraversati) è la risposta strategica militare degli USA per il controllo delle sorgenti di energia necessarie direttamente all’India, indirettamente, con lo sviamento delle linee di rifornimento, alla Cina. Milosevic e il genocidio bonsiaco-kosovaro-albanese, Saddam e la sua dittatura con il genocidio kurdo, i Talebani e il loro fondamentalismo islamico, si potrebbe tranquillamente affermare che sono stati e sono solo “specchietti per le allodole”, meno ancora quindi di pretesti, comunque ipocriti e speciosi. Non è l’ “amor che move il sole e l’altre stelle”, è l’energia (petrolio, gas, ecc.) che muove gli eserciti degli “esportatori di democrazia” nord americani. E l’Europa, o più pertinentemente, e l’Italia? E qui inizia il non “politicamente corretto”, cioè la così detta “nuda e cruda” verità. Il nostro paese ha da tempo superato le proprie disponibilità energetiche. Perché le nostre fabbriche funzionino, i nostro ospedali, le scuole, le case si riscaldino, perché infine anche i nostri “luna park” s’illuminino, è necessario approvvigionare risorse dall’ “altrove”. In che modo? Con le colonie anzitutto. L’ENI, il piccolo gatto che cer-
cava, perdendoci la vita, di sfamarsi mangiando nel ricco piatto dei “sette cani-sorelle”, oggi è la quinta delle “sorelle”; se fosse andato in porto il contratto con Saddam per i pozzi di Nassiriya sarebbe salito ancora più in alto. Con la corruzione senz’altro. L’ “amicizia” con i regimi libico e similari dittature nord e centro africane, dell’est europeo e dell’oriente vicino e lontano, ne sono la prova. Con la guerra, anche. Guerra alla Jugoslavia, guerra all’Iraq, guerra all’Afghanistan. Se questo è il nostro sistema economico e sociale e se questo sistema, bello o brutto, giusto o ingiusto, ma certamente imparagonabilmente più vivibile rispetto ai sistemi del terzo e del quarto mondo, è quello che vogliamo difendere e sviluppare, allora è corretto chiedersi: aveva torto D’Alema a far partecipare l’Italia al bombardamento della Jugoslavia e a occupare con la missione Arcobaleno importanti aree strategiche dei Balcani? Aveva torto il governo Berlusconi e poi Prodi e poi di nuovo Berlusconi a mandare i nostri soldati a difendere le concessioni petrolifere dell’ENI a Nassiriya in Iraq e poi a presidiare la provincia di Herat in Afghanistan dove passerà il gasdotto TAPI? Apparentemente, ma sostanzialmente in concreto, c’è una sola alternativa realistica e credibile a tutto ciò: la scelta dell’energia nucleare, l’unica fonte di energia autoctona che potrebbe sollevare il nostro paese non solo dai rischi dell’interruzione dell’approvvigionamento energetico estero, ma anche dalla necessità di invadere, distruggere e soggiogare altri paesi e popoli. Forse è il caso, a questo punto, di porsi una domanda: è meglio bombardare all’uranio impoverito Bagdad o esporsi al rischio di perdite di radiazioni dalle centrali nucleari italiane? Perché questa è la scelta reale “nuda e cruda”. Soli che ridono, campi verdi ecologici che fioriscono, pale che girano producendo energie “pulite e rinnovabili”, sono solo “favolette” in un paese che non ha ventilazione idonea a far validamente funzionare sistemi eolici che costano un’enormità e arricchiscono solo chi li produce e li mette in opera a spese dello Stato, in una realtà tecnologica che produce sistemi di energia solare che ancora consumano più energia per la loro produzione, manutenzione e smaltimento di quanta ne producano nella loro vita funzionale, in un contesto produttivo e sociale che richiede risorse energetiche enormi rispetto alle quali i pur più efficienti sistemi di produzione di energie rinnovabili appaiono comunque irrisori. Non ci sono conclusioni, solo alcuni elementi di verità che servano a riflettere. Se il nostro sistema economico-energetico è un tumore, non si può credere e far credere di poterlo curare con le due aspirine delle pale eoliche e dei pannelli fotovoltaici, occorre immaginare di rivoluzionarlo. La verità è già rivoluzione.