Novembre 2013

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Mensile di informazione, politica e cultura dell’Associazione Luciana Fittaioli - Anno V, n. 11 - novembre 2013 - distribuzione gratuita

“Prima di giudicare (e per la storia in atto o politica il giudizio è l’azione) occorre conoscere e per conoscere occorre sapere tutto ciò che è possibile sapere” (Antonio Gramsci) “Faremo il possibile per esporre in forma semplice e popolare, senza presupporre la conoscenza nemmeno dei concetti più elementari. Vogliamo farci comprendere dagli operai.” (Karl Marx)

Enrico Berlinguer


2 Hanno aderito all’iniziativa Vania Alianti, Graziano Angeli, Luciano Ardissone, Dino Baldoni, Mario Ballarani, Luca Barberini, Massimo Bartolini, Elisa Bedori, Luca Bellagamba, Oliva Benedetti, Nicola Bertini, Danila Bizzarri, Franco Bizzarri, Giuseppina Bizzarri, Angelo Bocci, Alessandro Borscia, Mario Bravi, Alessandra Bruschi, Ivano Bruschi, Armando Camerucci, Carla Carloni, Sergio Cecchini, Feliciano Cervelli, Filippo Ciavaglia, Sergio Ciucci, Daniclo Cosimetti, Luciana Cruciani, Roberto Di Arcangelo, Alessandro D’Ingecco, Mirko Donati, Patrizia Epifani, Pietro Epifani, Alberto Eusebi, Paolo Eusebi, Stefano Fagiolo, Vincenzo Falasca, Giampiero Fava, Joseph Flagiello, Piter Foglietta, Maura Franquillo, Sandro Fratini, Maria Frigeri, Fernando Fucinese, Giampiero Fusaro, Fausto Fusconi, Mirko Fusconi, Giorgio Gaggiotti, Fausto Galilei, Marco Galli, Andrea Garofani, Fabiola Gentili, Luciano Ghirga, Franco Giommi, Elio Graziosi, Giampiero Gubbini, Paolo Gubbini, Silvano Lolli, Pino Lorenzetti, Rita Lorenzetti, Rivo Loreti, Antonio Luna, Emilio Magrini, Marcello Maltempi, Stefania Mancini, Alessandro Marchionni, Mario Margasini, Eleonora Mariani, Marco Mariani, Catiuscia Marini, Manlio Marini, Ester Mariotti, Giuseppe Mariucci, Enrico Martelli, Katia Mascioni, Osvaldo Mascioni, Claudio Massi, Stefano Mattioli, Nunzia Mazzoli, Cecilia Mazzoni, Gianfranco Mazzoni, Marcello Mazzoni, Ulisse Mazzoni, Anna Menichelli, Paola Menichelli, Pier Giorgio Metelli, Pierluigi Mingarelli, Nicoletta Mismetti, Nando Mismetti, Silvestro Montefalchesi, Flavio Montefusco, Alfiero Moretti, Federica Nalli, Giuliano Nalli, Christian Napolitano, Luigi Napolitano, Giuseppina Nataletti, Giorgio Nicolic, Eugenio Nizzi, Piera Ottaviani, Alessandro Pacini, Giovanni Patriarchi, Ottavio Pennacchi, Rosalba Persiani, Giancarlo Picchiarelli, Svedo Piccioni, Elisabetta Piccolotti, Giovanni Picuti, Luciano Piermarini, Ennio Pinti, Stefano Porzi, Massimo Properzi, Fausto Ottaviani, Giorgio Raggi, Vincenzo Riommi, Sergio Roani, Orlando Rocchi, Giusi Romagna, Piero Sabatini, Maurizio Salari, Giancarlo Salustri, Daniela Santarelli, Matteo Santarelli, Franco Santocchia, Silvana Santoni, Rolando Sdei, Marina Sereni, Moreno Sigarini, Elia Sigismondi, Candia Silvestri, Leonardo Soli, Giovanni Maria Sotgiu, Luisella Spada, Salvatore Stella, Valeriano Tascini, Guido Tofi, Dario Tommassini, Giampiero Tordi, Catia Tozzi, Maurizio Tozzi, Giuseppe Trabalza, Paolo Trenta, Roberto Triglia, Lorella Trombettini, Claudia Valentini, Valentino Valentini, Sergio Villa, Renato Volpi, Rita Zampolini le adesioni sono state raccolte con il passaparola, molti altri avrebbero voluto aderire, la chiusura della pubblicazione nei tempi tipografici non ci ha consentito di recevere per tempo le loro adesioni, ce ne scusiamo

qr code all’indirizzo www.piazzadelgrano.org Scaricate il software gratuito per la lettura dei “qr code” e, inqua‐ drando il simbolo so‐ pra, potrete accedere direttamente al sito della rivista, nel qua‐ le troverete l’archivio di tutti i numeri editi e i libri digitalizzati pubblicati da questa rivista

Redazione: Corso Cavour n. 39 06034 Foligno redazionepiazzadel‐ grano@yahoo.it Autorizzazione: tribunale di Perugia n. 29/2009 Editore: Sandro Ridolfi Direttore Respon‐ sabile: Maria Carolina Terzi Sito Internet: Andrea Tofi Stampa: GPT Srl Città di Ca‐ stello Chiuso: 15 ottobre 2013 Tiratura: 3.000 copie Periodico dell’Asso‐ ciazione “Luciana Fittaioli”


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Ricordo di Enrico Berlinguer “la storia, il presente e il futuro: le ragioni di un nuovo impegno civile e politico” Era da tempo che alcuni di noi avevano pensato ad una iniziativa in ricordo di Enrico Berlinguer e per questo abbiamo preso, per modo di dire, in prestito il mensile “Piazza del Grano”. Questa pubblicazione, nell’occasione del Convegno divulgativo, vuole dare ai lettori un materiale sufficientemente organizzato che riassume le principali tappe della vita poli‐ tica di Berlinguer. Un motivo che sicuramente ci ha spinto ad organizzare questo appuntamento è la comu‐ ne esperienza politica in quegli anni della sua segreteria, il diretto impegno nel P.C.I. e nelle istituzioni, con un sogno di costruire una società più bella e giusta. Un sogno certo che non solo noi abbiamo coltivato, ma anche tanti giovani che militavano in altre for‐ mazioni politiche di ispirazione laica e cattolica. L’altro motivo, quello un po’ meno nostalgico, è vedere la possibilità di proiettare nel‐ l’oggi e nel domani quanto Berlinguer ci ha lasciato in termini di contenuti e proposte, tanto che abbiamo interessato a questo evento anche persone di estrazione ed esperienza politica diverse, a riprova del valore culturale e plurale dell’iniziativa. Sono trascorsi tanti anni, quasi trenta dalla sua morte, ed egli avrebbe sicuramente ag‐ giornato la sua analisi, come noi dobbiamo naturalmente fare. Rileggere ora gli scritti di Berlinguer ‐ veri saggi politici‐ è operazione non semplicissima alla luce di un linguaggio che può apparirci oggi complesso. Eppure egli ha preso posizione su tanti temi fondamentali della nostra società, con in‐ terventi pensati, approfonditi, studiati ai quali ha affidato, di volta in volta, il compito di innovare il dibattito politico e culturale e di portare il partito comunista verso una fase nuova di grande trasformazione. Forse le due fasi storiche, quella di Berlinguer e quella attuale, non sono comparabili e tuttavia alcuni temi di oggi traggono fonte sicura dal quel passato. La concezione delle istituzioni democratiche e il ruolo dei partiti; la forma dei partiti e dei movimenti; la questione femminile e dei giovani; il rapporto tra le diverse forze po‐ polari; la convergenza sui grandi temi nazionali; il ricambio delle classi dirigenti; la coo‐ perazione e la pace; l’Europa e l’unione dei popoli. Su queste ed altre questioni ancora aperte e in divenire, Berlinguer ci ha lasciato un suo grande contributo di uomo aperto al dialogo, un dirigente politico che ha fatto del suo impegno per gli altri e per i più deboli la principale missione della sua vita, dando altis‐ simo valore alla funzione politica. Noi vogliamo che la sua testimonianza sia viva nelle nuove generazioni per continuare a credere in un nuovo impegno civile e politico. Da qui dobbiamo necessariamente ripartire per costruire un futuro migliore. Marco Mariani Nando Mismetti


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Sono rimasto fedele ai miei ideali di gioventù

“Non mi è accaduto di seguire quella famosa legge per cui si è rivoluzio‐ nari a diciott’anni, a vent’anni e poi si diventa via via liberali, conserva‐ tori e reazionari, io conservo i miei ideali di allora” (Berlinguer)

Nota dell’Editore Quando, alcuni mesi fa, mi è stato chiesto di dedicare un in‐ tero numero della rivista a Enrico Berlinguer non ho avuto esitazioni ad accettare. Due ragioni. Anzitutto una legittima soddisfazione nel vedere, in qualche modo, riconosciuto e apprezzato il lavoro di cinque anni di pubblicazioni di un pe‐ riodico divulgativo del grande patrimonio culturale e morale del marxismo leninismo ispirato all’insegnamento di Gram‐ sci: “conoscere per giudicare”. In secondo luogo, ricordare l’esperienza e diffondere il contributo scientifico, culturale e morale dell’ultimo segretario marxista leninista del PCI, si poneva perfettamente in linea con il progetto politico della rivista e, dunque, è stata un’occasione incondizionatamente benvenuta. Di Berlinguer questa rivista ha parlato più volte nel passato cercando di esaminare, con spirito critico e dia‐ lettico, il suo contributo storico nel percorso della elabora‐ zione della strategia marxista leninista della conquista del‐

l’egemonia politica, culturale e morale da parte del partito comunista italiano, fondato da Gramsci e Togliatti, per la rea‐ lizzazione in Italia, nell’occidente capitalistico, di una società socialista con le “caratteristiche italiane”. Su questo tema che, nonostante la scomparsa in Italia del partito comunista, mantiene la sua intatta attualità e dunque irrinunciabile esi‐ genza, torneremo più opportunamente e approfonditamente in seguito. Offriamo qui ai nostri lettori i materiali di studio e di ragionamento pubblicando, necessariamente per estratti per oggettivi limiti tipografici, i suoi scritti più significativi, unitamente ad alcuni rinvii a interviste e discorsi filmati. Per poter accedere ai filmati, scaricate sui vostri telefonini il software gratuito per la lettura dei “qr code”, inquadrate con l’obiettivo del telefonino il simbolo “qr code” per farne la scansione, il programma vi guiderà direttamente all’indirizzo link del filmato, buona visione e buona lettura. Sandro Ridolfi


Segretario

Berlinguer nuovo segretario del PCI

Intervista ad Enzo Biagi, maggio 1972

to Bordiga, e che anche con il fascismo con‐ servavano i loro ideali. Esercitarono su di È una domanda d’obbligo: com’è diventato me un forte richiamo; c’era, nelle loro vicen‐ comunista? de, molta suggestione. Da ragazzo c’era in me un sentimento di ri‐ Berlinguer è stato, dicono, il delfino di To‐ bellione. Contestavo, se vogliamo usare una gliatti. Quando l’ha conosciuto? parola di moda, tutto. La religione, lo Stato, A Salerno; allora il governo era laggiù, nel le frasi fatte e le usanze sociali. Avevo letto 1944. Mi presentò mio padre; erano compa‐ Bakunin e mi sentivo un anarchico. Nella bi‐ gni di liceo. Ne avevo già sentito parlare, ma blioteca di uno zio, socialista umanitario, come Ercole Ercoli, o Mario Correnti, il no‐ trovai il Manifesto di Marx; poi conobbi de‐ me che usava ai microfoni di Radio Mosca. gli operai, degli artigiani che avevano segui‐ Gramsci, invece, aveva studiato a Cagliari.

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6 La Sardegna ha il suo peso nel vostro partito. Già. Togliatti e Gramsci erano molto bravi a scuola, vinsero una borsa di studio dell’Università di Torino e là s’incontrarono. Togliatti si licenziò con tutti otto e qualche nove. Hanno ritrovato la pagella. Bravissimo. Ma sua sorella lo batteva E il liceale Berlinguer come se la cava‐ va? Io? Normale. In mezzo. Molti sei, qual‐ che sette, pochi otto. Ma non dimenti‐ chi che tra i sardi c’è anche Velio Spa‐ no. Togliatti era figlio di un economo dei convitti nazionali, trasferito nel‐ l’isola; c’è ancora chi lo ha in mente co‐ me un giovanottino studioso, riserva‐ to, che non si occupava di faccende politiche. Rimasero sbalorditi quando seppero che Ercoli era lui. E Benedetto Croce lo ha visto? Certo; per un periodo sono stato an‐ che un suo seguace. Lo vedevo sem‐ pre a Salerno, alla mensa del ministe‐ ro delle Finanze. Pure i collaboratori di Badoglio che non avevano macchi‐ ne, e allora non c’erano ristoranti, mangiavano con gli impiegati, quelle terribili pappette americane e la carne in scatola. Se non è irriverente, ma forse non è il caso di dirlo, Croce mi faceva impressione per il buon appe‐ tito che dimostrava. Sono accadute molte cose da allora. C’è chi sostiene che, pur di andare al potere, vi accontentereste anche di un sottosegretariato alle Poste. No, chiederemmo di sicuro qualcosa di più. Ma che bisogno c’è di entrare in un governo? Potremmo anche ap‐ poggiarlo, standone fuori. Che cosa è mutato da quando sedevate attorno a De Gasperi, con i liberali? Intendo dire: cambiato per voi? A quell’epoca c’era un grande entusia‐ smo. C’era la fede nell’URSS e in Sta‐ lin, e i dirigenti erano fuori da ogni critica, si erano guadagnati il rispetto di tutti nella lotta antifascista. Poi i rapporti si sono fatti più mossi, il di‐ battito più libero, si sono poste que‐ stioni e si sono discusse. L’adesione al partito è diventata più razionale, più meditata. C’è stato, e penso che nes‐ suno abbia difficoltà a riconoscerlo, un progresso notevole. Infine è arri‐ vato lo scossone del XX Congresso. E non avete più insistito nel proporre i vecchi modelli: l’Ungheria, la Polonia o l’Unione Sovietica, che era sempre il

Segretario paese al di sopra di ogni sospetto. Non nascondiamo la nostra simpatia, ma neppure la nostra posizione, che non esclude il dissenso. In ogni caso il tipo di socialismo che si può e si deve costruire da noi è del tutto diverso. Per intenderci, all’Est lo sviluppo dei fatti è stato condizionato dalla situa‐ zione interna e da quella internazio‐ nale. Guerra fredda e accerchiamento hanno determinato certe scelte del‐ l’URSS. Solo la Cecoslovacchia aveva alle spalle un minimo di democrazia borghese. Poi ci sono stati, è evidente, gli errori, che bisogna ammettere, perché non basta la ragione storica a spiegare certe limitazioni a un regime di democrazia politica. È quasi una confessione. No, è un’analisi. Ci sono alcune liber‐ tà, come quella di stampa, che hanno un valore assoluto. Ma bisogna che ci siano anche certi mezzi per renderle effettive. Alcune giuste esigenze sono limitate dal capitalismo, dallo sfrutta‐ mento di classe. Ma già la nostra Co‐ stituzione, che è una delle più avanza‐ te, contiene principi e norme che tracciano nuove strade: il diritto al la‐ voro, all’istruzione, all’assistenza aprono la via ad alcune riforme eco‐ nomiche che devono tener conto del‐ la particolare struttura dell’Italia, do‐ ve non ci sono soltanto una grande borghesia e un proletariato, ma anche un ceto medio produttivo, che va con‐ servato perché in alcuni campi l’ini‐ ziativa dei privati può giovare allo svi‐ luppo dell’intera società. Sono queste affermazioni, forse, che hanno provocato la nascita del Mani‐ festo. Cosa è stata per lei questa frat‐ tura? Non una sorpresa, ma un fatto dolo‐ roso. Erano compagni con i quali ab‐ biamo vissuto tante esperienze. Come spiega la sfiducia di fondo che c’è per i vostri programmi? Forse scon‐ tate anche i fallimenti e gli sbagli di al‐ cune repubbliche socialiste. Nove milioni di voti, uno e mezzo di iscritti, non sono un bilancio che de‐ nuncia una grande diffidenza nei no‐ stri confronti. Un partito serio non può permettersi di enunciare una li‐ nea e di comportarsi dopo in maniera opposta. Veramente c’è una casistica che po‐ trebbe dimostrarlo. Comunque non saremmo mai soli, sa‐ remmo sempre con gli altri. La gente

crede in noi, e noi offriamo garanzie alla gente anche contro di noi. Non siamo, bisogna intendersi, disposti a collaborare con tutti, ma con coloro che si riconoscono in alcuni obiettivi comuni. Non è un riferimento a testi classici, tutt’altro. Ricordo una scenetta che recitava, nel primo dopoguerra, Totò. Gli annunciavano l’arrivo di un russo e lui aveva paura. «Ma è un russo buo‐ no», diceva l’attore che gli faceva da spalla. E lui: «Sempre russo è». E l’al‐ tro insisteva: «Ma un russo bianco.» E Totò: «Sempre russo è». E così molti pensano del PCI. Scusi, ma perché la Democrazia Cri‐ stiana, avendone la possibilità, non ha instaurato la sua dittatura? Non esiste nessun partito che, per defini‐ zione, sia alieno dal prendere tutto il potere. Vedi Tambroni, vedi la «legge truffa». Noi chiediamo una leale inte‐ sa con gli altri, e non posso dire «Dio sa che sono sincero». Lo dica, perché no? Perché non sono credente. Sua moglie lo è? Sì, lei crede. E i suoi quattro figli sono battezzati? Non mi va di parlare di loro, devono restare fuori, devono poter fare libe‐ ramente le loro scelte, senza alcun pregiudizio. Perdoni l’insistenza. Sono, anche loro, nella fase anarchica? La maggiore ha tredici anni; sarebbe troppo precoce. È passata un’ora. Alle due Berlinguer se ne va: «Per scrivere”, spiega, «per studiare, in casa mi trovo meglio.» To‐ gliatti aveva alle spalle l’hotel Lux di Mosca, il Comintern, Dimitrov e la Pa‐ sionaria, le purghe e Stalin; Longo la guerra di Spagna e le brigate partigia‐ ne. Enrico Berlinguer esce da una bi‐ blioteca di buoni borghesi antifascisti, da una scuola di partito, dalle conver‐ sazioni che faceva, in un paese della provincia di Sassari, con pastori e ma‐ rinai. Disse un pescatore che l’aveva conosciuto a quei tempi a un cronista che inutilmente cerca un po’ di colore: «Era un bambino serio, molto chiuso. Non rideva mai.» Già. È la stessa osser‐ vazione che un monsignore avrebbe fatto a Paolo VI: «Molti si chiedono perché è così raro vedere Vostra Santi‐ tà sorridere.» «Che motivo ne avrei?», rispose il papa.


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La politica internazionale e i fatti del Cile

Con tre articoli su “Rinascita”, fra il set‐ tembre e l’otobre del 1973, Berlinguer pro‐ pone la sua analisi della società moderna partendo dal colpo di stato in Cile e lancia l’idea compiuta di un nuovo grande com‐ promesso storico tra le forze che raccol‐ gono e rappresentano la grande maggio‐ ranza del popolo italiano, in quanto, se‐ condo Berlinguer sarebbe del tutto illuso‐ rio pensare che il raggiungimento del 51% dei voti e della rappresentanza parlamen‐ tare da parte della sinistra, possa essere

garanzia per la stabilità del governo del paese. Accanto alla proposta del “compromesso storico” Berlinguer esplicita l’altro tema della democrazie e del pluralismo quali valori universali, rivendicando la diversità e l’autonomia dalle esperienza concrete del socialismo dei paesti dell’est, dando vita a un condiviso rapporto con gli altri‐ partiti comunisti europei: nasce così l’eu‐ rocomunismo e la teoria della terza via al socialismo.

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“Trattino gli Stati, parlino i Popoli� Alcune pagine del discorso pronunciato da Berlinguer alla Marcia della Pace di Assisi il 9 ottobre 1983


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Imperialismo e Coesistenza alla luce dei fatti cileni Rinascita, 28 settembre 1973 Gli avvenimenti cileni sono stati e sono vissuti come un dramma da milioni di uomini sparsi in tutti i continenti. SI è avvertito e si avverte che si tratta di un fatto di portata mondiale, che non solo suscita sentimenti di esecrazione verso i responsabili del golpe reazionario e dei massacri di massa, e di solidarietà per chi ne è vittima e vi resiste, ma che propone interrogativi i quali appassio‐ nano i combattenti della democrazia in ogni paese e muovono alla riflessione. Non giova nascondersi che il colpo gra‐ vissimo inferto alla democrazia cilena, alle conquiste sociali e alle prospettive di avanzata dei lavoratori di quel paese è anche un colpo che si ripercuote sul movimento di liberazione e di emanci‐ pazione dei popoli latino‐americani e sull’intero movimento operaio e demo‐ cratico mondiale; e come tale è sentito anche in Italia dai comunisti, dai socia‐ listi, dalle masse lavoratrici, da tutti i democratici e antifascisti.[...] Anzitut‐ to, gli eventi cileni estendono la consa‐ pevolezza, contro ogni illusione, che i caratteri dell’imperialismo, e di quello nord‐americano in particolare, restano la sopraffazione e la jugulazione eco‐ nomica e politica, lo spirito di aggres‐ sione e di conquista, la tendenza a op‐ primere i popoli e a privarli della loro indipendenza, libertà e unità ogni qualvolta le circostanze concrete e i rapporti di forza lo consentano. In se‐ condo luogo, gli avvenimenti in Cile mettono in piena evidenza chi sono e dove stanno nei paesi del cosiddetto «mondo libero», i nemici della demo‐ crazia. L’opinione pubblica di questi paesi, bombardata da anni e da decen‐ ni da una propaganda che addita nel movimento operaio, nei socialisti e nei comunisti i nemici della democrazia, ha oggi davanti a sé una nuova lampan‐ te prova che le classi dominanti bor‐ ghesi e i partiti che le rappresentano o se ne lasciano asservire, sono pronti a distruggere ogni libertà e a calpestare ogni diritto civile e ogni principio uma‐ no quando sono colpiti o minacciati i propri privilegi e il proprio potere. [...] Gli avvenimenti del Cile possono e de‐ vono suscitare, insieme a un possente e duraturo movimento di solidarietà con quel popolo, un più generale risve‐

glio delle coscienze democratiche, e so‐ prattutto un’azione per l’entrata in campo di nuove forze disposte a lottare concretamente contro l’imperialismo e contro la reazione. [...] Nessuna perso‐ na seria può contestare che sugli avve‐ nimenti cileni ha pesato in modo deci‐ sivo la presenza e l’intervento dell’im‐ perialismo nord‐americano. La co‐ scienza popolare l’ha avvertito imme‐ diatamente. Al di là di pur illuminanti episodi della cronaca politica e diplo‐ matica relativa ai giorni del golpe e a quelli immediatamente precedenti, sta il fatto che, fin dall’avvento del governo di Unità popolare i gruppi monopoli‐ stici nord‐americani presenti con posi‐ zioni dominanti nell’economia cilena (rame, Itt) e i circoli dirigenti dell’am‐ ministrazione degli Usa hanno intra‐ preso una sistematica azione su tutti i terreni – dalla guerra economica alla sovversione – per provocare il falli‐ mento del governo Allende e per rove‐ sciarlo. Del resto, questo e altri modi di intervento degli Usa ai danni dei popoli e delle nazioni che aspirano all’indi‐ pendenza non sono certo un’eccezio‐ ne, ma, specialmente nell’America La‐ tina, la regola. [...] Che cosa può contrastare, limitare e far arretrare questa tendenza dell’imperia‐ lismo? La risposta più semplice è anche quella più vera: la modificazione pro‐ gressiva dei rapporti di forza a suo svantaggio e a favore dei popoli che aspirano alla propria liberazione e di tutti i paesi che lottano per un nuovo assetto del mondo e per un nuovo si‐ stema di rapporti tra gli Stati. È proprio in questa direzione che va il processo storico mondiale da quasi sessanta an‐ ni, da quando la rivoluzione russa del 1917 ha spezzato per la prima volta la dominazione esclusiva dell’imperiali‐ smo e del capitalismo. [...] In questo quadro ha avuto e ha enorme portata la vittoria dell’eroico popolo del Vietnam, sostenuto dai paesi socialisti e da un possente movimento internazionale di solidarietà, contro l’aggressione ameri‐ cana. Tale vittoria ha inflitto un nuovo duro colpo alle pretese imperialistiche, e rappresenta un nuovo determinante contributo al mutamento dei rapporti di forza nel mondo e al progredire di

una politica di distensione e di pacifici negoziati nei rapporti fra gli Stati. Ma inoltre gli Usa sono oggi costretti a fare i conti con una crescente volontà di au‐ tonomia che si viene manifestando, so‐ prattutto negli ultimi anni, nei paesi dell’Occidente europeo. Infine, per grave che sia il colpo che viene dal ro‐ vesciamento del governo di Unità po‐ polare in Cile, il moto di riscossa e di li‐ berazione, che resta una realtà non cancellabile nei paesi dell’America lati‐ na, non cesserà certo di esprimersi nel‐ le forme più diverse e di trovare la stra‐ da per opporsi con successi anche par‐ ziali al dominio nord‐americano e alle cricche locali ad esso asservite. [...] Qualcuno si è domandato come sia possibile che interventi così brutali co‐ me quello effettuato in Cile dalle forze dell’imperialismo e della reazione con‐ tinuino a verificarsi in una fase della vi‐ ta internazionale nella quale si vanno compiendo passi sempre più spediti sulla via della distensione e della coesi‐ stenza pacifica nei rapporti tra Stati con diverso regime sociale. Ma chi ha mai sostenuto che la distensione inter‐ nazionale e la coesistenza significano l’avvento di un’era doi tranquillità, la fine della lotta delle classi sul piano in‐ terno e internazionale, delle controri‐ voluzioni e delle rivoluzioni? La politi‐ ca della distensione, nella prospettiva della pacifica coesistenza, è prima di tutto la via obbligata per garantire un obiettivo primario, di interesse vitale per tutta l’umanità e per ciascun popo‐ lo: evitare la catastrofe della guerra ato‐ mica e termonucleare, assicurare la pa‐ ce mondiale, affermare il principio del negoziato come unico mezzo per risol‐ vere le controversie tra gli Stati. Inol‐ tre, la distensione e la coesistenza, in quanto implicano la riduzione pro‐ gressiva di tutti gli armamenti e forme molteplici e crescenti di cooperazione economica, scientifica e culturale, sia sul piano bilaterale che su quello mul‐ tilaterale, sono una delle vie per affron‐ tare con sforzi congiunti i grandi pro‐ blemi del mondo contemporaneo, quali quelli del sollevamento delle aree depresse, dell’inquinamento, della lot‐ ta contro l’indigenza e le malattie so‐ ciali, ecc.


10 La distensione e la coesistenza non comportano di per sé, automatica‐ mente e in un periodo breve, il supera‐ mento della divisione del mondo in blocchi e zone di influenza, e quindi non precludono agli Usa la possibilità di interferire nei più vari modi, com‐ presi quelli più sfacciati, nelle zone e nei paesi che essi vorrebbero acquisiti per sempre dentro la sfera del loro do‐ minio diretto o indiretto. La divisione del mondo in blocchi ed aree diverse è un fatto che preesiste alla politica della distensione e della coesistenza in quanto è il risultato di tutto lo svolgi‐ mento del processo storico mondiale, dalla Rivoluzione d’Ottobre alla se‐ conda guerra mondiale fino agli even‐ ti, di diverso segno, di questi ultimi de‐ cenni che hanno determinato l’attuale dislocamento degli equilibri interna‐ zionali e interni. [...] Ma è anche evidente che il progre‐ dire della distensione e della coesisten‐ za costituisce una condizione indi‐ spensabile per favorire il superamento della divisione del mondo in blocchi o zone d’influenza, per facilitare l’affer‐ mazione del diritto di ogni nazione al‐ la propria indipendenza e quindi, in ultima analisi, per ridurre le possibilità dell’interferenza imperialistica nella vita di altri paesi. In pari tempo cam‐ minare decisamente sulla strada della distensione e della coesistenza signifi‐ ca sollecitare i processi di sviluppo del‐ la democrazia e della libertà in tutti i paesi del mondo, quale che sia il loro regime sociale. [...]. Da tutto ciò si con‐ ferma la necessità di continuare a lot‐ tare tenacemente, sul piano interna‐ zionale, per far avanzare il processo della distensione e della coesistenza e per svilupparne tutte le potenzialità positive e, al tempo stesso, di prose‐ guire in ogni paese le battaglie per l’in‐ dipendenza nazionale e per la trasfor‐ mazione in senso democratico e socia‐ lista dell’assetto economico e sociale e degli ordinamenti politici e statali. Il nostro partito ha sempre tenuto conto del rapporto imprescindibile tra questi due piani. Da una parte, come ci ha abituato a fare Togliatti, abbiamo cer‐ cato di valutare freddamente le condi‐ zioni complessive dei rapporti mon‐ diali e il contesto internazionale in cui è collocata l’Italia. Dall’altra parte ci siamo sforzati di individuare esatta‐ mente lo stato dei rapporti di forza al‐ l’interno del nostro paese. In partico‐

Internazionale lare abbiamo sempre dato il dovuto sformazione democratica e socialista peso in tutta la nostra condotta al dato del nostro paese. Non devono sfuggire fondamentale costituito dall’apparte‐ ai comunisti e ai democratici le pro‐ nenza dell’Italia al blocco politico‐mi‐ fonde differenze tra la situazione del litare dominato dagli Usa e agli inevi‐ Cile e quella italiana. Il Cile e l’Italia tabili condizionamenti che ne conse‐ sono situati in due regioni del mondo guono. Ma la consapevolezza di que‐ assai diverse, quali l’America latina e sto dato oggettivo non ci ha certo por‐ l’Europa occidentale. Differenti sono tato all’inerzia e alla paralisi. Abbiamo anche il rispettivo assetto sociale, la reagito e reagiamo con la nostra inizia‐ struttura economica e il grado di svi‐ tiva e con la nostra lotta. Tutti i tenta‐ luppo delle forze produttive, così co‐ tivi di schiacciarci o di isolarci li abbia‐ me sono diversi il sistema istituzionale mo respinti. La nostra forza e la nostra (Repubblica presidenziale in Cile, Re‐ influenza fra le masse popolari e nella pubblica parlamentare in Italia) e gli vita nazionale sono anzi cresciuti. Su ordinamenti statali. Altre differenze questa strada si può e si deve andare esistono nelle tradizioni e negli orien‐ avanti. [...]. In pari tempo, la nostra tamenti delle forze politiche, nel loro lotta e la nostra iniziativa vanno svi‐ peso rispettivo e nei loro rapporti. Ma luppate anche sul terreno dei rapporti insieme alle differenze vi sono anche internazionali, sia dando un nostro delle analogie, e in particolare quella contributo a tutte le battaglie che in che i comunisti e i socialisti cileni si Europa e in ogni parte del mondo pos‐ erano proposti anch’essi di perseguire sono condurre a indebolire le forze una via democratica al socialismo. Dal dell’imperialismo, della reazione e del complesso delle differenze e delle ana‐ fascismo, sia sollecitando una politica logie occorre dunque trarre motivo estera italiana che affermi, insieme alla per approfondire e precisare meglio in volontà del nostro paese di vivere in che cosa consiste e come può avanzare pace e in amicizia con tutti gli altri la via italiana al socialismo. paesi, il diritto del popolo italiano di costruirsi in piena libertà il proprio avvenire. Decisi passi avanti possono compiersi oggi in questa direzione perché le esigenze e le proposte che noi avan‐ ziamo si collocano in un quadro europeo caratte‐ rizzato da sensibili pro‐ gressi della distensione e perché esse si incontrano con analoghe aspirazioni e iniziative che si manife‐ stano in altri paesi del‐ l’Europa occidentale. Da ciò abbiamo ricavato una linea che s’incentra nella proposta di lavorare per un assetto di pace nel Mediterraneo e per un’Europa occidentale autonoma, pacifica, de‐ mocratica. [...] Gli avve‐ nimenti cileni ci solleci‐ tano a una riflessione at‐ tenta che non riguarda solo il quadro internazio‐ nale e i problemi della politica estera, ma anche quelli relativi alla lotta e con Ho Chi Min, il leggendario “Zio Ho” fondatore alla prospettiva della tra‐


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Via democratica e violenza reazionaria Rinascita, 5 ottobre 1973

È necessario ricordare sempre le ra‐ gioni di fondo che ci hanno portato a elaborare e a seguire quella strategia politica che Togliatti chiamò di «avan‐ zata dell’Italia verso il socialismo nella democrazia e nella pace». È noto che le origini di questa elaborazione stan‐ no nel pensiero e nell’azione di Anto‐ nio Gramsci e del gruppo dirigente che si raccolse attorno a lui e lavorò nel solco del suo insegnamento. Il Congresso di Lione del 1926 sancì la vittoria della lotta contro l’estremismo e il settarismo che avevano caratteriz‐ zato l’azione del partito nel primissi‐ mo periodo della sua esistenza e che Lenin aveva aspramente criticato e in‐ vitato energicamente a superare. Il Congresso di Lione segnò l’avvio di quella analisi comunista della storia e delle strutture della società italiana che fu poi sviluppata e approfondita da Gramsci negli scritti dal carcere e

negli orientamenti e nell’attività del gruppo dirigente, guidato da Togliatti, che fu alla testa del partito durante gli anni del fascismo e che lo rese capace di svolgere azione politica. Ma il mo‐ mento decisivo, per la vita del partito e per la vita del paese, dell’affermarsi e del pieno dispiegarsi della scelta stori‐ ca e politica che informa tutta la no‐ stra azione, fu costituito dalla linea unitaria che indicammo e seguimmo nella guerra di liberazione antifascista e dalla svolta di Salerno. Dopo la libe‐ razione, riconquistate le libertà demo‐ cratiche, l’Italia si trovò nelle condi‐ zioni di paese occupato dagli eserciti delle potenze capitalistiche (Stati Uni‐ ti, Gran Bretagna). Questo dato di fat‐ to non poteva davvero essere sottova‐ lutato, così come successivamente e ancor oggi non può essere sottovaluta‐ to il dato – che abbiamo già ricordato – costituito dalla collocazione dell’Ita‐ lia in un determinato blocco politico‐militare. Dove, come nella Grecia del 1945, questa condi‐ zione internazionale non fu considerata in tutte le sue implicazio‐ ni, il movimento opera‐ io e comunista andò in‐ contro alla avventura, subì una tragica sconfit‐ ta e venne ricacciato in‐ dietro, in quella situa‐ zione di clandestinità dalla quale era appena uscito. Ma non fu que‐ sto il solo fattore che determinò le nostre scelte di strategia e di tattica. Il senso più pro‐ fondo della svolta stava nella necessità e nella volontà del partito co‐ munista di fare i conti con tutta la storia italia‐ na, e quindi anche con tutte le forze storiche (d’ispirazione socialista, cattolica e di altre ispi‐ razioni democratiche) che erano presenti sulla scena del paese e che si della Repubblica Democratica del Vietnam battevano insieme a noi

per la democrazia, per l’indipendenza del paese e per la sua unità. La novità stava nel fatto che nel corso della guerra di liberazione si era creata una unità che comprendeva tutte queste forze. Si trat‐ tava di una unità che si estendeva dal proletario, dai contadini, da vasti strati della piccola borghesia fino a gruppi della media borghesia progressiva, a gran parte del movimento cattolico di massa e anche a formazioni e quadri delle forze armate. [...] La via aperta da‐ vanti a noi era una sola, dettata dalle cir‐ costanze oggettive, dalle vittorie ripor‐ tate combattendo e dalla unità e dai programmi sorti nella lotta. Si trattava di guidare e spingere avanti, sforzandosi di superare e spezzare tutti gli ostacoli e le resistenze, un movimento reale di massa, che usciva vittorioso dalle prove di una guerra civile. Questo era il com‐ pito più rivoluzionario che allora si po‐ nesse, e per adempierlo, concentrammo le forze». [...] Il compito nostro essen‐ ziale – ed è un compito che può essere assolto – è dunque quello di estendere il tessuto unitario, di raccogliere attorno a un programma di lotta per il risanamen‐ to e rinnovamento democratico dell’in‐ tera società e dello Stato la grande mag‐ gioranza del popolo, e di far corrispon‐ dere a questo programma e a questa maggioranza uno schieramento di forze politiche capace di realizzarlo. Solo que‐ sta linea e nessun’altra può isolare e sconfiggere i gruppi conservatori e rea‐ zionari, può dare alla democrazia solidi‐ tà e forza invincibile, può far avanzare la trasformazione della società. In pari tempo, solo percorrendo questa strada si possono creare fin d’ora le condizioni per costruire una società e uno Stato so‐ cialista che garantiscano il pieno eserci‐ zio e lo sviluppo di tutte le libertà. Ab‐ biamo sempre saputo e sappiamo che l’avanzata delle classi lavoratrici e della democrazia sarà contrastata con tutti i mezzi possibili dai gruppi sociali domi‐ nanti e dai loro apparati di potere. E sappiamo, come mostra ancora una vol‐ ta la tragica esperienza cilena, che que‐ sta reazione antidemocratica tende a farsi più violenta e feroce quando le for‐ ze popolari cominciano a conquistare le leve fondamentali del potere nello Stato e nella società.


12 [...] Queste esperienze vissute dalla classe operaia, dal popolo italiano e dal nostro partito, confermano il carattere un po’ astratto di quelle tesi che tendo‐ no a ridurre schematicamente al di‐ lemma tra via pacifica e via non pacifi‐ ca la scelta della strategia di lotta per l’avanzata verso il socialismo. Le vi‐ cende sociali e politiche che si svolgo‐ no da tanti anni in Italia sono state pa‐ cifiche nel senso che non hanno porta‐ to alla guerra civile. Ma tali vicende non sono state certo tranquille e in‐ cruente: esse sono state segnate da lot‐ te durissime, da crisi e scontri acuti, da rotture o rischi di rotture più o meno profonde. Scegliere una via democra‐ tica non vuol dire, dunque, cullarsi nell’illusione di un’evoluzione piana e senza scosse della società dal capitali‐ smo al socialismo. Sbagliato ci è sem‐ brato sempre anche definire la via de‐ mocratica semplicemente come una via parlamentare. Noi non siamo affet‐ ti da cretinismo parlamentare, mentre qualcuno è affetto da cretinismo anti‐ parlamentare. Noi consideriamo il Parlamento un istituto essenziale della vita politica e non soltanto oggi ma an‐ che nella fase del passaggio al sociali‐ smo e nel corso della sua costruzione. Ciò tanto più è vero in quanto la rina‐ scita e il rinnovamento dell’istituto parlamentare è, in Italia, una conqui‐ sta dovuta in primo luogo alla lotta della classe operaia e delle masse lavo‐ ratrici. Il Parlamento non può dunque essere concepito e adoperato come av‐ veniva all’epoca di Lenin e come può accadere in altri paesi solo come tribu‐ na per la denuncia dei mali del capita‐ lismo e dei governi borghesi e per la propaganda del socialismo. Esso, in Italia, è anche e soprattutto una sede nella quale i rappresentanti del movi‐ mento operaio sviluppano e concreta‐ no una loro iniziativa, sul terreno po‐ litico e legislativo, cercando di influire sugli indirizzi della politica nazionale e di affermare la loro funzione dirigen‐ te. Ma il Parlamento può adempiere il suo compito se, come disse Togliatti, esso diviene sempre più «specchio del paese» e se l’iniziativa parlamentare dei partiti del movimento operaio è collegata alle lotte delle masse, alla crescita di un potere democratico nel‐ la società e all’affermarsi dei princìpi democratici e costituzionali in tutti i settori e gli organi della vita dello Sta‐ to. A questo preciso orientamento si

Internazionale sono ispirate le molteplici battaglie e quella diretta a promuovere misure e che abbiamo condotto per la Repub‐ provvedimenti concreti di democratiz‐ blica e per la Costituzione; per realiz‐ zazione nell’organizzazione e nella vi‐ zare con il voto alle donne la pienezza ta della magistratura, dei corpi armati del suffragio universale; per difendere e di tutti gli apparati dello Stato. [...Ma il principio della rappresentanza pro‐ quale conclusione dobbiamo trarre da porzionale contro il tentativo di liqui‐ questa consapevolezza? Forse quella, darlo; per assicurare giorno per giorno proposta da certi sciagurati, di abban‐ alle Camere le loro prerogative contro donare il terreno democratico e unita‐ ogni tendenza dell’esecutivo e di altri rio per scegliere un’altra strategia fatta centri del potere economico, politico e di fumisteria, ma della quale è comun‐ amministrativo di limitarle e svuotar‐ que chiarissimo l’esito rapido e inevi‐ le; e per affermare il principio e la pras‐ tabile di un isolamento dell’avanguar‐ si di una libera dialettica, senza preclu‐ dia e della sua sconfitta? Noi pensia‐ sioni e discriminazioni, fra tutte le for‐ mo, al contrario, che, se i gruppi sociali ze democratiche rappresentate nel dominanti puntano a rompere il qua‐ Parlamento. A questo stesso orienta‐ dro democratico, a spaccare in due il mento hanno obbedito e obbediscono paese e a scatenare la violenza reazio‐ le nostre battaglie per l’istituzione del‐ naria, questo deve spingerci ancora le Regioni e per il rispetto dell’autono‐ più a tenere saldamente nelle nostre mia e dei poteri degli enti locali. Ma vi mani la causa della difesa delle libertà è anche un altro aspetto assai impor‐ e del progresso democratico, a evitare tante della nostra strategia democrati‐ la divisione verticale del paese e a im‐ ca. La decisione del movimento opera‐ pegnarci con ancora maggiore decisio‐ io di mantenere la propria lotta sul ter‐ ne, intelligenza e pazienza a isolare i reno della legalità democratica non si‐ gruppi reazionari e a ricercare ogni gnifica cadere in una sorta di illusione possibile intesa e convergenza fra tutte legalitaristica rinunciando all’impegno le forze popolari. [...] essenziale di promuove‐ re, sia da posizioni di go‐ verno che stando all’op‐ posizione, una costante iniziativa per rinnovare profondamente in senso democratico le leggi, gli ordinamenti, le strutture e gli apparati dello Stato. La stessa nostra espe‐ rienza, prima ancora di quella di altri paesi, ci ri‐ chiama a tenere sempre presente la necessità di unire alla battaglia per le trasformazioni economi‐ che e sociali quella per il rinnovamento di tutti gli organi e i poteri dello Stato. L’impegno in que‐ sta direzione deve tra‐ dursi in una duplice atti‐ vità: quella diretta a far sì che in tutti i corpi dello Stato e in coloro che vi lavorano penetrino e si affermino sempre più estesamente orienta‐ menti ispirati a una co‐ sciente fedeltà e lealtà al‐ la Costituzione e senti‐ menti di intimo legame con il popolo lavoratore; con, a sinistra, Armando E. Guebuza, attuale presidente


Internazionale

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Riflessioni sull’Italia dopo i fatti del Cile Rinascita, 12 ottobre 1973 Abbiamo constatato che la via demo‐ cratica non è né rettilinea né indolore. Più in generale il cammino del movi‐ mento operaio quali che siano le forme di lotta, non è stato mai né può essere una ascesa ininterrotta. Ci sono sem‐ pre alti e bassi, fasi di avanzata cui se‐ guono fasi in cui il compito è di conso‐ lidare le conquiste raggiunte, e anche fasi in cui bisogna saper compiere una ritirata per evitare la disfatta, per rac‐ cogliere le forze e per preparare le con‐ dizioni di una ripresa del cammino in avanti. Questo vale sia quando il mo‐ vimento operaio combatte stando al‐ l’opposizione sia quando esso conqui‐ sta il potere o va al governo. Ha scritto Lenin: «Bisogna comprendere – e la classe rivoluzionaria impara a com‐ prendere dalla propria amara espe‐ rienza – che non si può vincere senza aver appreso la scienza dell’offensiva e la scienza della ritirata». Lenin stesso,

che è stato certamente il capo rivolu‐ zionario più audace nella scienza dell’offensiva, è stato anche il più au‐ dace nel saper cogliere tempestiva‐ mente i momenti del consolidamento e della ritirata, e nell’utilizzare questi momenti per prendere tempo, per riorganizzare le forze e per riprendere l’avanzata. [...]. L’obiettivo di una forza rivoluzionaria, che è quello di trasfor‐ mare concretamente i dati di una de‐ terminata realtà storica e sociale, non è raggiungibile fondandosi sul puro volontarismo e sulle spinte spontanee di classe dei settori più combattivi del‐ le masse lavoratrici, ma muovendo sempre dalla visione del possibile, unendo la combattività e la risolutezza alla prudenza e alla capacità di mano‐ vra. Il punto di partenza della strategia e della tattica del movimento rivolu‐ zionario è la esatta individuazione del‐ lo stato dei rapporti di forza esistenti in ogni momento e, più in generale, la com‐ prensione del quadro complessivo della si‐ tuazione internaziona‐ le e interna in tutti i suoi aspetti, non iso‐ lando mai unilateral‐ mente questo o quello elemento. La via demo‐ cratica al socialismo è una trasformazione progressiva – che in Italia si può realizzare nell’ambito della Costi‐ tuzione antifascista – dell’intera struttura economica e sociale, dei valori e delle idee guida della nazione, del sistema di potere e del blocco di forze so‐ ciali in cui esso si espri‐ me. Quello che è certo è che la generale tra‐ sformazione per via de‐ mocratica che noi vo‐ gliamo compiere in Ita‐ lia, ha bisogno, in tutte le sue fasi, e della forza e del consenso. La for‐ za si deve esprimere a destra, Samora Machel, già presidente del Mozambico nella incessante vigi‐

lanza, nella combattività delle masse lavoratrici, nella determinazione a rin‐ tuzzare tempestivamente – ci si trovi al governo o all’opposizione – le ma‐ novre, i tentativi e gli attacchi alle li‐ bertà, ai diritti democratici e alla lega‐ lità costituzionale. [...] Del “consenso” la profonda trasformazione della so‐ cietà per via democratica ha bisogno in un significato assai preciso: in Italia essa può realizzarsi solo come rivolu‐ zione della grande maggioranza della popolazione; e solo a questa condizio‐ ne, “consenso e forza” si integrano e possono divenire una realtà invincibi‐ le. [...] È il problema delle alleanze, dunque, il problema decisivo di ogni rivoluzione e di ogni politica rivolu‐ zionaria, ed esso è quindi quello deci‐ sivo anche per l’affermazione della via democratica. In paesi come l’Italia si deve muovere dalla constatazione che si sono create ed esistono una stratifi‐ cazione sociale e una articolazione politica assai complesse. Lo sviluppo capitalistico italiano ha dato luogo al‐ la formazione di un proletariato con‐ sistente. Questa classe che una lunga esperienza di lotte – siamo quasi a un secolo di battaglie proletarie – che l’opera educatrice del movimento so‐ cialista che l’influenza decisiva che su di essa esercita da cinquant’anni il partito comunista, hanno reso parti‐ colarmente combattiva e matura; questa classe, che è la forza motrice di ogni processo di trasformazione della società, tuttavia rimane pur sempre una minoranza della popolazione del nostro paese e della stessa popolazio‐ ne lavoratrice. Così è anche, in misura maggiore o minore, in quasi tutti gli altri paesi capitalistici. Tra il proleta‐ riato e la grande borghesia – le due classi antagoniste fondamentali nel regime capitalistico – si è infatti crea‐ ta, nelle città e nelle campagne, una rete di categorie e di strati intermedi, che spesso si sogliono considerare nel loro complesso e chiamare generica‐ mente «ceto medio», ma di ognuno dei quali in realtà occorre individuare e definire concretamente la precisa collocazione e funzione nella vita so‐ ciale, economica e politica e gli orien‐ tamenti ideali.


14 Accanto e spesso intrecciati a questi ce‐ ti e categorie intermedie e al proletaria‐ to esistono poi nella nostra società strati di popolazione e forze sociali (si tratta, per esempio, di larga parte delle popolazioni del Mezzogiorno e delle isole, delle masse femminili e giovanili, delle forze della scienza, della tecnica, della cultura e dell’arte) che non sono assimilabili, come tali, nella dimensio‐ ne di «categorie», e che tuttavia hanno una condizione nella società che le ac‐ comuna e in una certa misura le uni‐ sce, al di là della propria posizione pro‐ fessionale e persino della propria ap‐ partenenza a un determinato ceto so‐ ciale. Appare chiarissimo che per l’esito della battaglia democratica che condu‐ ciamo per la trasformazione e il rinno‐ vamento della nostra società è deter‐ minante dove si situano, in che senso sono orientate e come si muovono queste masse, questi ceti intermedi, questi strati di popolazione. È del tutto evidente, cioè, come sia decisivo per le sorti dello sviluppo democratico e dell’avanzata al socialismo che il peso di tali forze sociali venga a spostarsi o a fianco della classe operaia oppure con‐ tro di essa. [...] La strategia delle rifor‐ me può dunque affermarsi e avanzare solo se essa è sorretta da una strategia delle alleanze. Anzi, noi abbiamo sot‐ tolineato che, nel rapporto tra riforme e alleanze, queste sono la condizione decisiva perché, se si restringono le al‐ leanze della classe operaia e si estende la base sociale dei gruppi dominanti, prima o poi la realizzazione stessa delle riforme viene meno e tutta la situazio‐ ne politica va indietro, fino anche a ro‐ vesciarsi. Naturalmente, la politica del‐ le alleanze ha il suo punto di partenza nella ricerca di una convergenza tra gli interessi economici immediati e di pro‐ spettiva della classe operaia e quelli di altri gruppi e forze sociali. Ma tale ri‐ cerca non va concepita e attuata in mo‐ do schematico o statico. Occorre, cioè, indicare rivendicazioni e perseguire obiettivi che offrano concretamente a questi strati di popolazione e a queste forze e gruppi sociali una certezza di prospettive che garantiscano in forme nuove e possibilmente migliorino il lo‐ ro livello di esistenza e il loro ruolo nel‐ la società, ma in un diverso sviluppo economico e in un più giusto e più mo‐ derno assetto sociale. A questo scopo diviene necessario lavorare anche per determinare una evoluzione nella stes‐

Internazionale sa mentalità di questi ceti e forze socia‐ sentanza parlamentare (cosa che se‐ li, nel senso di allargare in tutta la po‐ gnerebbe, di per sé, un grande passo polazione una visione sempre meno avanti nei rapporti di forza tra i partiti individualistica o corporativa e sempre in Italia) questo fatto garantirebbe la più sociale della difesa degli interessi sopravvivenza e l’opera di un governo dei singoli e di quelli della collettività. che fosse l’espressione di tale 51 per [...] Un grosso problema che ci impe‐ cento. Ecco perché noi parliamo non di gna in sede politica e che deve impe‐ una «alternativa di sinistra» ma di una gnare di più, in sede teorica, i marxisti «alternativa democratica» e cioè della e gli studiosi avanzati dell’Italia e dei prospettiva politica di una collabora‐ paesi dell’Occidente, è come far sì che zione e di una intesa delle forze popo‐ un programma di profonde trasforma‐ lari di ispirazione comunista e sociali‐ zioni sociali – che determina necessa‐ sta con le forze popolari di ispirazione riamente reazioni di ogni tipo da parte cattolica, oltre che con formazioni di dei gruppi retrivi – non venga effettua‐ altro orientamento democratico. La to in modo da sospingere in posizione nostra ostinazione nel proporre questa di ostilità vasti strati dei ceti intermedi, prospettiva è oggetto di polemiche e di ma riceva invece, in tutte le sue fasi, il critiche di varia provenienza. Ma la ve‐ consenso della grande maggioranza rità è che nessuno dei nostri critici e della popolazione. [...]. Di ciò consape‐ obiettori ha saputo e sa indicare un’al‐ voli noi abbiamo sempre pensato – e tra prospettiva valida, capace di far oggi l’esperienza cilena ci rafforza in uscire l’Italia dalla crisi in cui è stata questa persuasione – che l’unità dei gettata dalla politica di divisione delle partiti di lavoratori e delle forze di sini‐ forze democratiche e popolari, di av‐ stra non è condizione sufficiente per viare a soluzione gli immani e laceranti garantire la difesa e il progresso della problemi economici, sociali e civili che democrazia ove a questa unità si con‐ sono aperti e di garantire l’avvenire de‐ trapponga un blocco di partiti che si si‐ mocratico della nostra Repubblica. tuano dal centro fino alla estrema destra. Il pro‐ blema politico centrale in Italia è stato, e rimane più che mai, proprio quello di evitare che si giunga a una saldatura stabile e organica tra il centro e la destra, a un largo fronte di tipo cleri‐ co‐fascista e di riuscire invece a spostare le forze sociali e politiche che si situano al centro su posi‐ zioni coerentemente de‐ mocratiche. Ovviamen‐ te, l’unità, la forza politi‐ ca ed elettorale delle si‐ nistre e la sempre più so‐ lida intesa tra le loro di‐ verse e autonome espressioni, sono la con‐ dizione indispensabile per mantenere nel paese una crescente pressione per il cambiamento e per determinarlo. Ma sareb‐ be del tutto illusorio pensare che, anche se i partiti e le forze di sini‐ stra riuscissero a rag‐ giungere il 51 per cento con Deng Xiao Ping dei voti e della rappre‐


Internazionale Ma sarebbe del tutto illusorio pensare che, anche se i partiti e le forze di sini‐ stra riuscissero a raggiungere il 51 per cento dei voti e della rappresentanza parlamentare (cosa che segnerebbe, di per sé, un grande passo avanti nei rap‐ porti di forza tra i partiti in Italia) que‐ sto fatto garantirebbe la sopravvivenza e l’opera di un governo che fosse l’espressione di tale 51 per cento. Ecco perché noi parliamo non di una «alter‐ nativa di sinistra» ma di una «alterna‐ tiva democratica» e cioè della prospet‐ tiva politica di una collaborazione e di una intesa delle forze popolari di ispi‐ razione comunista e socialista con le forze popolari di ispirazione cattolica, oltre che con formazioni di altro orien‐ tamento democratico. La nostra osti‐ nazione nel proporre questa prospetti‐ va è oggetto di polemiche e di critiche di varia provenienza. Ma la verità è che nessuno dei nostri critici e obiettori ha saputo e sa indicare un’altra prospetti‐ va valida, capace di far uscire l’Italia dalla crisi in cui è stata gettata dalla po‐ litica di divisione delle forze democra‐ tiche e popolari, di avviare a soluzione

gli immani e laceranti problemi econo‐ mici, sociali e civili che sono aperti e di garantire l’avvenire democratico della nostra Repubblica. E del resto, a veder bene, le polemiche e i tentativi di ren‐ dere impossibile la prospettiva che noi proponiamo non hanno impedito che essa, invece, si sia affermata e si affermi nella coscienza di sempre più larghe masse popolari e nei loro movimenti reali, come anche, in una certa misura e in vari modi, nella stessa vita politica e nei partiti. Sta qui la comprova che il problema da noi posto diventa ogni giorno più maturo e urgente. E se nes‐ suno è in grado di prospettare una di‐ versa alternativa democratica altret‐ tanto valida e credibile rispetto a quella da noi proposta, ciò è perché tale diver‐ sa alternativa, in Italia, non c’è. La no‐ stra politica di dialogo e di confronto con il mondo cattolico si sviluppa ne‐ cessariamente su diversi piani e con di‐ versi interlocutori. Vi è innanzitutto il problema, sul quale la nostra posizione di principio e la nostra linea politica so‐ no note, posto dalla presenza in Italia della Chiesa cattolica, e dai suoi rap‐ porti con lo Stato e con la società civile. Vi è poi il problema della ricerca di una più ampia com‐ prensione reciproca e di una intesa operante con quei movimenti e ten‐ denze di cattolici che, in numero crescente, si collocano nell’ambito del movimento dei lavo‐ ratori e si orientano in senso nettamente anti‐ capitalistico e antiimpe‐ rialistico. Ma non si può certo pensare di sfuggire all’altro grande proble‐ ma costituito dalla esi‐ stenza e dalla forza di un partito politico come la Democrazia cristiana, che a parte la qualifica‐ zione di «cristiana» che esso dà di se stesso, rac‐ coglie nelle sue file o sotto la sua influenza una larga parte delle masse lavoratrici e po‐ polari di orientamento cattolico. [...] Il solo cri‐ terio marxista, o che vo‐ glia essere anche solo fondato sulla serietà po‐

15 litica, consiste nel considerare la Dc sia nel contesto storico politico in cui è collocata e opera che nella composita realtà sociale e politica che in essa si esprime. Solo in questo modo è possi‐ bile mettersi in grado di intervenire e di influire realmente sugli orientamen‐ ti e sulla condotta pratica di tale parti‐ to. Noi abbiamo sempre avuto ben pre‐ sente il legame tra la Democrazia cri‐ stiana e i gruppi dominanti della bor‐ ghesia e il loro peso rilevante, e in certi momenti determinante, sulla politica della Dc. Ma nella Dc e attorno ad essa si raccolgono anche altre forze e inte‐ ressi economici e sociali, da quelli di varie categorie del ceto medio sino a quelli, assai consistenti soprattutto in alcune regioni e zone del paese, di stra‐ ti popolari, di contadini, di giovani, di donne ed anche di operai. Anche il pe‐ so e le sollecitazioni provenienti dagli interessi e dalle aspirazioni di queste forze sociali si sono fatti sentire in mi‐ sura più o meno avvertibile nel corso della vita e della politica della Dc e pos‐ sono essere portati a contare sempre di più. Oltre a questa varia e contraddit‐ toria composizione sociale della Dc vanno prese in considerazione le sue origini, la sua storia, le sue tradizioni e le differenti tendenze politiche e ideali che si sono agitate e si agitano nel suo interno, da quelle reazionarie a quelle conservatrici e moderate fino a quelle democratiche e anche progressiste.[...] Essa avverte che è assai difficile e che può essere gravido di avventure fatali per tutti e per se stessa giocare la carta della contrapposizione e dello scontro, ma non è giunta ancora a intraprende‐ re con coerenza una strada opposta. E sta proprio in ciò una delle cause deter‐ minanti della crisi che attanaglia il pae‐ se. Che fare? In quale direzione dob‐ biamo cercare noi di spingere le cose? Dalla sommaria ricapitolazione che abbiamo fatto della composizione so‐ ciale e della condotta politica della Dc risulta che questo partito è una realtà non solo varia, ma assai mutevole; e ri‐ sulta che i mutamenti sono determi‐ nati sia dalla sua dialettica interna sia, e ancor più, dal modo in cui si svilup‐ pano gli avvenimenti internazionali e interni, dalle lotte e dai rapporti di for‐ za tra le classi e fra i partiti, dal peso che esercitano sulla situazione il mo‐ vimento operaio e il Pci, dalla loro for‐ za, dalla loro linea politica e dalla loro iniziativa.


16 Si pensi alla vicenda più recente, quel‐ la del governo Andreotti: l’ostilità atti‐ va delle masse popolari, la combattivi‐ tà e l’iniziativa unitaria dell’opposizio‐ ne comunista, la battaglia del partito socialista e quella di gruppi, correnti e personalità della stessa Dc hanno por‐ tato allo sfaldarsi della coalizione di centro‐destra e hanno creato una si‐ tuazione in cui la stessa maggioranza di forze interna alla Dc che aveva por‐ tato Andreotti al governo, o che co‐ munque lo sosteneva, è venuta meno. La Dc ha dovuto abbandonare la linea e la prospettiva del centro‐destra. Tali essendo la realtà della Dc e il punto in cui essa si trova oggi, è chiaro che il compito di un partito come il nostro non può essere che quello di isolare e sconfiggere drasticamente le tendenze che puntano o che possono essere ten‐ tate di puntare sulla contrapposizione e sulla spaccatura verticale del paese, o che comunque si ostinano in una posi‐ zione di pregiudiziale preclusione ideologica anti‐comunista, la quale rappresenta di per sé, in Italia, un in‐ combente pericolo di scissione della nazione. Si tratta, al contrario, di agire perché persino sempre di più, fino a prevalere, le tendenze che, con reali‐ smo storico e politico, riconoscono la necessità e la maturità di un dialogo costruttivo e di un’intesa tra tutte le forze popolari senza che ciò significhi confusioni o rinuncia alle distinzioni e alle diversità ideali e politiche che con‐ traddistinguono ciascuna di tali forze. Certo, noi per primi comprendiamo che il cammino verso questa prospet‐ tiva non è facile né può essere frettolo‐ so. Sappiamo anche bene quali e quan‐ te battaglie serrate e incalzanti sarà necessario condurre sui più vari piani, e non solo da parte del nostro partito, con determinazione e con pazienza, per affermare questa prospettiva. Ma non bisogna neppure credere che il tempo a disposizione sia indefinito. La gravità dei problemi del paese, le mi‐ nacce sempre incombenti di avventure reazionarie e la necessità di aprire fi‐ nalmente alla nazione una sicura via di sviluppo economico, di rinnovamento sociale e di progresso democratico rendono sempre più urgente e maturo che si giunga a quello che può essere definito il nuovo grande «compromes‐ so storico» tra le forze che raccolgono e rappresentano la grande maggioran‐ za del popolo italiano.

Internazionale

con Fidel

con Arafat


Democrazia

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La Democrazia è un valore universale

Discorso in occasione del 60° anniversario ma ricco di conquiste nello sviluppo economico della Rivoluzione d’Ottobre, Mosca, 3 no‐ pianificato, nella giustizia sociale e nell’eleva‐ vembre 1977 zione culturale; un cammino nel quale grandeg‐ giano il vostro contributo determinante con il Cari compagni, rivolgo a tutti voi il saluto fra‐ sacrificio di milioni e milioni di vite umane, alla terno del Pci. Con legittima fierezza – come ha vittoria sulla barbarie nazifascista e la vostra co‐ detto il compagno Breznev – i comunisti e i po‐ stante opera per difendere la pace mondiale. poli dell’Unione Sovietica festeggiano i 60 anni Con la Rivoluzione socialista del ’17 si compie della vittoria della Rivoluzione socialista d’otto‐ una svolta radicale nella storia; e così la sen‐ bre, anni di un cammino tormentato e difficile, tono anche oggi i lavoratori di tutti i continenti.


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Democrazia

La vittoria del partito di Lenin fu di por‐ tata veramente universale perché ruppe la catena del dominio, fino ad allora mondiale, del capitalismo e dell’impe‐ rialismo, e perché, per la prima volta, pose a base della costruzione di una so‐ cietà nuova il principio della uguaglian‐ za fra tutti gli uomini. Attraverso la breccia aperta qui 60 anni fa, presero vi‐ ta i partiti comunisti e, successivamen‐ te, in conseguenza del mutamento nei rapporti di forza su scala mondiale rea‐ lizzatosi con la sconfitta del nazismo, in altri paesi si è potuto intraprendere il passaggio dal capitalismo a rapporti so‐ ciali e di produzione socialisti mentre in interi continenti si sono affermati movimenti che hanno fatto crollare i vecchi imperi coloniali e, nei paesi ca‐ pitalisti, sono cresciute le idee del so‐ cialismo e l’influenza del movimento operaio. Il complesso delle forze rivolu‐ zionarie e di progresso – partiti, movi‐ menti, popoli, stati – ha in comune l’aspirazione ad una società superiore a quella capitalistica, alla pace, ad un as‐ setto internazionale fondato sulla giu‐ stizia: qui sta la ragione indistruttibile di quella solidarietà internazionalista che va continuamente ricercata. Ma è chiaro anche che il successo della lotta di tutte queste forze varie e complesse esige che ciascuna segua vie corrispon‐ denti alle peculiarità e condizioni con‐ crete di ogni paese, anche quando si

con Breznev

tratta di avviare e portare a compimen‐ to l’edificazione di società socialiste: l’uniformità è altrettanto dannosa del‐ l’isolamento. Per quanto riguarda i rapporti tra i par‐ titi comunisti e operai, essendo pacifico che non possono esistere fra essi partiti che guidano e partiti che sono guidati, lo sviluppo della loro solidarietà richie‐ de il libero confronto delle opinioni dif‐ ferenti, la stretta osservanza della auto‐ nomia di ogni partito e della non inge‐ renza negli affari interni. Il Partito co‐ munista italiano è sorto anche esso sot‐ to l’impulso della rivoluzione dei Soviet. Esso è poi cresciuto soprattutto perché è riuscito a fare della classe operaia, pri‐ ma e durante la Resistenza, la protago‐ nista della lotta per la riconquista delle libertà contro la tirannide fascista e, nel corso degli ultimi 30 anni, per la salva‐ guardia e lo sviluppo più ampio della democrazia. L’esperienza compiuta ci ha portato alla conclusione, così come è avvenuto per altri partiti comunisti dell’Europa capitalistica, che la demo‐ crazia è oggi non soltanto il terreno sul quale l’avversario di classe è costretto a retrocedere, ma è anche il valore stori‐ camente universale sul quale fondare un’originale società socialista. Ecco per‐ ché la nostra lotta unitaria – che cerca costantemente l’intesa con altre forze di ispirazione socialista e cristiana in Italia e in Europa occidentale – è rivolta a rea‐

lizzare una società nuova, socialista che garantisca tutte le libertà personali e collettive, civili e religiose, il carattere non ideologico dello stato, la possibilità dell’esistenza di diversi partiti, il plura‐ lismo nella vita sociale, culturale e idea‐ le. Compagni, grandi sono i compiti a cui siete chiamati dagli stessi alti tra‐ guardi raggiunti nello sviluppo del vo‐ stro paese, e alta è la funzione che vi as‐ segna la delicata fase internazionale nella lotta per la pace, per la distensio‐ ne, per la cooperazione fra tutti i popoli. Molto cammino dobbiamo ancora per‐ correre tutti. Noi comunisti italiani sia‐ mo certi tuttavia che, sviluppando se‐ condo i compiti e i modi che a ciascuno sono propri i risultati della Rivoluzione d’ottobre, i partiti comunisti e operai, i movimenti di liberazione, le forze pro‐ gressiste di ogni paese riusciranno a de‐ terminare – nel conseguente universa‐ lizzarsi della democrazia, della libertà e dell’emancipazione del lavoro – il supe‐ ramento su scala mondiale del vecchio assetto capitalistico e, quindi, ad assicu‐ rare un futuro più sereno e felice per tutti i popoli. Vi ringraziamo, cari com‐ pagni, per il vostro invito a queste solen‐ ni celebrazioni della Rivoluzione d’otto‐ bre e accogliete il caloroso augurio che i comunisti italiani trasmettono ai comu‐ nisti, ai lavoratori, ai popoli dell’Unione Sovietica per il successo della causa del‐ la pace e del socialismo.


Compromesso

Compromesso storico e alternanza democratica

Nel 1978 Berlinguer incontra Aldo Moro il leader democristiano con cui ha costruito il governo di solidareirà nazionale e avanza la proposta del‐ l’impegno diretto dei comunisti al go‐ verno. In un clima di grande opposizione a tale proposta da parte della destra de‐

mocristiana, del Vaticano, della destra italiana e degli USA, e in un contesto di inasprimento delle azioni di gruppi terroristici, avviene il rapimento di Aldo Moro e la sua uccisione. Tale avento segna la fine della solida‐ rietà nazionale e il PCI torna all’oppo‐ sizione.

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Sindacati, partiti, governo Intervista rilasciata ai lavoratori dell’Autovox, La tribuna dei lavoratori, numero unico a cura della Commissione fabbriche e cantieri della Federazione romana del Pci, s.d., 9 febbraio 1975. Il Pci ha avanzato la proposta del com‐ promesso storico dopo che il gruppo di‐ rigente della Dc aveva assunto le posi‐ zioni politiche più gravi: da quella della «reversibilità delle alleanze» che portò al governo di centro‐destra a quella de‐ gli «opposti estremismi» che offrì una grave copertura politica agli strateghi della tensione, e proprio nel momento in cui la Democrazia cristiana prepara‐ va la scelta del referendum. Come si ri‐ sponde a chi dice che la nostra propo‐ sta del compromesso storico finisce per essere un modo di assolvere la Dc dalle sue gravi responsabilità? La proposta (ma è più corretto dire la linea o la strategia) del compromesso storico non assolve nessuno dalle sue colpe e dalle sue responsabilità: tanto meno la Dc, che ne ha più pesanti de‐ gli altri. E, come tutti possono consta‐ tare, noi non abbiamo certo cessato né cesseremo di denunciare tali responsa‐ bilità. Non mi pare giusto, inoltre, at‐ tribuire un’importanza eccessiva al momento in cui la linea del compro‐ messo storico è stata enunciata. Infat‐ ti, come abbiamo ripetuto più volte, questa nostra linea non è che uno svi‐ luppo di una ispirazione di fondo che seguiamo da lunghi anni. Fatte queste premesse, la risposta al quesito relati‐ vo al momento è che la proposizione del compromesso storico è stata fatta anche per mettere a nudo e contribui‐ re a sconfiggere quelle gravi posizioni che hanno caratterizzato la politica della Dc, specie dal 1968‐69 in poi, e che voi ricordate, e per intervenire positivamente nelle contraddizioni che esse aprivano nella stessa Dc. Que‐ ste posizioni hanno avuto gravi conse‐ guenze (involuzioni in settori delicati dello Stato, acutizzazione della crisi economica e sociale, ecc.). In quelle posizioni politiche si esprimeva e si esprime la preoccupazione dominante di una parte dei dirigenti della Dc di mantenere e preservare intatti e intan‐ gibili tutti i punti e i posti di potere del loro partito e la propensione allo scon‐ tro frontale, cioè alla frattura del pae‐ se, alla divisione della classe operaia, dei lavoratori, delle masse popolari. La

nostra linea, all’opposto, fondandosi sugli interessi del paese, punta sulla collaborazione e l’accordo fra tutte le forze politiche che – sia pure in misura e in modi diversi – hanno radici fra le masse popolari, fra i lavoratori, nella classe operaia per poter uscire dalla crisi odierna nell’unico modo vero: os‐ sia trasformando la società. E la nostra linea ha già potentemente contribuito a evitare spaccature frontali, a solleci‐ tare nel paese processi e convergenze unitarie e anche a incoraggiare quelle forze cattoliche e democristiane che ri‐ fiutano la logica dello scontro. C’è sta‐ to o c’è qualcuno che abbia proposto o proponga oggi una linea diversa dalla nostra ma che sia realistica ed efficace, necessaria e realizzabile quanto la no‐ stra? Non mi sembra. Sì, c’è qualcuno che dice «uniti si, ma contro la Dc» credendo con ciò di essere più rivolu‐ zionario o più avanzato di noi; però sbaglia di grosso o, se è in buona fede, illude se stesso e gli altri. Dietro quella parola d’ordine sbagliata sta una pro‐ spettiva sbagliata e, alla fine, perdente: sta la cosiddetta «alternativa di sini‐ stra», la prospettiva del 51 per cento al‐ le sinistre. È chiaro che noi comunisti abbiamo sempre lavorato e lavorere‐ mo per accrescere la forza elettorale delle sinistre. Puntare alla conquista massima dei voti alle sinistre (51 per cento e anche di più!) rientra fra gli obiettivi che anche noi perseguiamo. La nostra critica quindi non è diretta contro la conquista del 51 per cento, in sé e per sé, bensì contro una duplice il‐ lusione. La prima illusione è quella di affidare la soluzione dei problemi ita‐ liani a una maggioranza di sinistra da raggiungersi essenzialmente per via elettorale, sommando le percentuali via via ottenute di elezione in elezione dalle varie liste di sinistra, e non attra‐ verso la lotta di classe, le lotte di massa sociali e politiche, le iniziative concre‐ te volte a spostare, nel paese e nella so‐ cietà (e poi, quindi, nelle urne e nel parlamento) i rapporti di forza reali a favore delle sinistre. La seconda illusione che noi combat‐ tiamo è quella di credere nell’au‐

tosufficienza politica di un governo che fosse espressione soltanto del fi‐ nalmente raggiunto 51 per cento dei voti alle sinistre. La stabilità, le possi‐ bilità operative e la stessa compattez‐ za di un simile governo sarebbero tut‐ te da verificare quando – come è lecito e doveroso attendersi da un governo «di sinistra» – esso ponesse mano ef‐ fettivamente a trasformazioni profon‐ de delle strutture economiche e socia‐ li del paese avendo però contro di sé, ostilmente schierato, il restante 49 per cento dell’elettorato e del parla‐ mento. La nostra linea del compro‐ messo storico, invece, mira a dare al‐ l’Italia quella nuova guida politica, che in tanto è solida e stabile, è rinnovatri‐ ce ed efficiente in quanto è l’espressio‐ ne e il risultato di una nuova e più sal‐ da unità della grande maggioranza dei lavoratori e del popolo, che si ritrova‐ no attorno a un programma serio e ri‐ goroso di profondo rinnovamento e conferiscono al governo una volontà politica e un potere democratico suf‐ ficiente a piegare ogni resistenza con‐ servatrice e reazionaria. [...] Molti compagni, soprattutto quelli più impegnati nel movimento sinda‐ cale, ritengono, coerentemente con le scelte operate dai congressi confede‐ rali, che sulle questioni dello sviluppo economico, delle riforme e dell’occu‐ pazione, il sindacato debba promuo‐ vere lotte di massa. Nella tua relazio‐ ne preparatoria per il XIV Congresso, come già nel tuo discorso a Bologna per il festival nazionale dell’Unità nel settembre scorso, si sottolinea con forza a questo proposito l’esigenza che il partito sappia combattere, sap‐ pia organizzare e dirigere movimenti politici unitari e di massa anche su ta‐ li questioni, oltre che sui temi dell’ an‐ tifascismo, dell’imperialismo e dell’ affermazione di nuovi diritti civili. Ora, se ciò significa giustamente riba‐ dire il carattere di lotta del nostro partito, non si rischia, nella pratica, di dar vita a movimenti che si presenta‐ no come «doppioni» rispetto a quelli che oggi vengono organizzati dal mo‐ vimento sindacale?


22 A volte nelle fabbriche e nei luoghi di la‐ voro l’unica funzione dei comunisti è quella, certamente importante e neces‐ saria, di dare il massimo sostegno alle piattaforme e alle lotte dei sindacati. In che modo è possibile sugli obiettivi po‐ litici del partito sviluppare, assieme alla necessaria azione di propaganda, un movimento autonomo da quello sinda‐ cale? In altre parole, quale funzione spetta al partito in fabbrica e nei luoghi di lavoro? Sarebbero «doppioni» se si trattasse di movimenti che avessero identici i sog‐ getti, le sedi e le forme di lotta, i conte‐ nuti e gli obiettivi specifici: ma non è cosi. Non si può certo sostenere che l’azione per imporre una diversa politi‐ ca economica possa essere ridotta a semplice aspetto dell’azione rivendica‐ tiva sindacale contrattuale (anche se da questa può venire profondamente in‐ fluenzata), e nemmeno a semplice pro‐ lungamento, dilatazione o proiezione fuori delle aziende della lotta per difen‐ dere meglio e sviluppare ciò che i sinda‐ cati conquistano all’interno delle azien‐ de stesse. L’azione per imporre una di‐ versa politica economica non è confina‐ bile nell’ambito della dialettica. delle cosiddette controparti sindacali. Oltre ai padroni, alle aziende e ai sindacati es‐ sa deve investire lo Stato, i suoi organi‐ smi, i suoi enti, deve coinvolgere le isti‐ tuzioni democratiche, le assemblee rappresentative locali e nazionali, e de‐ ve avere come protagonisti non soltan‐ to gli organismi sindacali ma anche i partiti, non soltanto i lavoratori in

Compromesso quanto presta tori d’opera dipendenti ma le masse lavoratrici (e altre forze so‐ ciali) come utenti di servizi, come con‐ sumatrici, come cittadini. [...] È che una battaglia cosi complessa e di portata ge‐ nerale, come quella volta a cambiare i meccanismi e i fini dello sviluppo eco‐ nomico (che coinvolge ceti e strati di‐ versi, che deve sciogliere un complesso intreccio di molteplici interessi contra‐ stanti, che deve sviluppare una attenta politica di alleanze, che vuole giungere a una soluzione di interesse nazionale passando attraverso il superamento di una serie di particolarismi), va portata avanti direttamente e in prima persona dalle forze politiche popolari; e in pri‐ mo luogo, in prima fila, dal nostro par‐ tito. «Doppioni» di quelli sindacali sa‐ rebbero i movimenti sulle questioni dello sviluppo economico e sociale pro‐ mossi e guidati dal nostro partito se si ha del Pci una concezione che o lo con‐ sidera come una specie di sindacato più grosso e politicizzato o lo considera, per contro, come una sorta di «stato mag‐ giore politico» distaccato da un rappor‐ to vivo con le masse, che con queste ha un legame solo indiretto attraverso «cinghie di trasmissione ». Il partito nuovo, secondo la concezione enuncia‐ ta da Togliatti, e che noi abbiamo co‐ struito in questi trent’anni, è diverso dagli altri partiti, ha una sua originalità e singolarità anche nei confronti di esperienze del passato, perché non sol‐ tanto non è una formazione politica af‐ fetta dalla malattia dell’economicismo, ma soprattutto perché mentre è un par‐

tito di combattimento è anche un par‐ tito di massa, cioè che ha legami propri, diretti con la classe operaia, col popolo lavoratore, con le più varie forze sociali. Va da sé che il nostro è un partito che sente ed è chiamato al dovere di soste‐ nere le lotte promosse dai sindacati operai e da altre organizzazioni demo‐ cratiche di massa unitarie: ma è anche suo compito sviluppare una propria azione di agitazione, di mobilitazione e di organizzazione, è suo dovere dar vita a lotte politiche unitarie di massa. Se questo nostro Pci non fa questo, e tutte le volte che non farà questo – se cioè mancherà l’iniziativa diretta del partito e il suo impegno nel promuovere un si‐ mile tipo di movimenti; se mancherà la sua opera di orientamento e di selezio‐ ne degli obiettivi e dei contenuti delle lotte di massa – non si riuscirà a mutare stabilmente i rapporti di forza tra le classi e tra i partiti, tra governo e oppo‐ sizione di sinistra, tra i gruppi parla‐ mentari, in quei livelli cioè e in quelle sedi dove si decidono gli indirizzi poli‐ tici ed economici del paese. Rivendica‐ re, perciò, al nostro partito un suo rap‐ porto autonomo e diretto con le masse, rivalutare la sua funzione di stimolato‐ re e di promotore di movimenti politici unitari, significa fare assumere alla lotta delle masse – dentro e fuori delle fab‐ briche e dei luoghi di lavoro – quel ca‐ rattere politico di cui essa ha bisogno per poter incidere sul serio e operare una trasformazione e un rinnovamento profondi e duraturi della società e della sua classe dirigente.[...]


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L’Italia, l’Europa, il socialismo

Intervista a L’Unité, settimanale del Partito socialista francese, 24 ottobre 1975 Le elezioni del 15 giugno hanno marca‐ to un grande successo del Pci. A che co‐ sa lo attribuite? Ritenete che la vita po‐ litica italiana sia ormai entrata in una nuova fase, specie con la fine del cen‐ trosinistra? Evidentemente le cause della nostra avanzata nelle elezioni del 15 giugno sono molteplici. Alcune risalgono a momenti anche lontani della storia del nostro paese e del nostro partito. Guardando alle cause legate alla situa‐ zione italiana degli ultimi anni biso‐ gna porre in primo piano l’estendersi della convinzione che la linea di ampia unità di tutte le forze democratiche, proposta e perseguita tenacemente dai comunisti, è quella più capace di sven‐ tare le minacce di tipo fascista e auto‐ ritario e di far uscire la nostra società dalla crisi che attraversa lungo una strada di profondo rinnovamento po‐ litico, economico e sociale. [...] Diversi dirigenti della Dc parlano or‐ mai della necessità del « confronto» con il Pei. Come considerate questo «confronto» e fino a che punto siete di‐ sposti a procedere su questo piano? Che si parli da parte di diversi espo‐ nenti della Dc di confronto serio con le proposte del Pci rappresenta senza dubbio un passo avanti apprezzabile rispetto alle posizioni di quegli altri di‐ rigenti democristiani che concepisco‐ no il rapporto con il nostro partito solo in termini di scontro frontale e di asso‐ luta contrapposizione, senza preoccu‐ parsi dei danni che questa linea ha portato al paese. Secondo noi il con‐ fronto fra partiti democratici diversi dovrebbe essere la regola permanente. Naturalmente, oltre il metodo, impor‐ tano il contenuto e gli obiettivi che si vogliono e si possono raggiungere. Per quanto ci riguarda noi ci sforziamo di far si che il confronto con la Dc, cosi come Con il Psi e con gli altri partiti democratici, sia al centro che in peri‐ feria, conduca a convergenze e intese anche parziali che consentano di risol‐ vere i problemi più assillanti del no‐ stro popolo. Lungo questa linea noi siamo aperti a ogni possibile prospet‐ tiva, fino ad assumere tutte le nostre responsabilità per dare, insieme alle

con Carrillo, segretario del PC spagnolo e Marchais segretario del PC francese

altre forze democratiche e non appena le condizioni siano mature, una nuova guida al paese. Il Pci e il Psi hanno costituito numerose giunte di sinistra. È l’inizio di una nuo‐ va alleanza fra i due partiti? Quali pos‐ sono esserne le basi? La costituzione, dopo il 15 giugno, di più numerose giunte di sinistra è solo un aspetto dei rapporti di collabora‐ zione che esistono in Italia tra il Pci e il Psi. Comunisti e socialisti, infatti, la‐ vorano e lottano insieme in molti altri campi: nel movimento sindacale, nelle cooperative, nelle associazioni femmi‐ nili e in altre organizzazioni di massa. Inoltre, nonostante le differenze che sussistono, sia sul piano ideale che po‐ litico, il Pci e il Psi hanno spesso posi‐ zioni e iniziative convergenti su pro‐ blemi che riguardano gli indirizzi ge‐ nerali della politica economica e socia‐ le, la difesa e il consolidamento delle libertà e delle istituzioni democratiche o anche su molte questioni di politica estera. È bene precisare, però, che la prospettiva di un patto di alleanza tra il Pci e il Psi non è considerata un pro‐ blema all’ordine del giorno in Italia né

dai compagni socialisti né da noi. Si può e si deve invece, secondo noi, ap‐ profondire la discussione per cercare di avvicinare il più possibile le posizio‐ ni dei due partiti anche sul piano della ricerca ideale e delle prospettive stra‐ tegiche del movimento operaio italia‐ no nel quadro di quelle dell’intera Eu‐ ropa occidentale. I progressi della sinistra il 15 giugno hanno rafforzato la vostra tesi del compromesso storico? Che cosa signi‐ fica per voi l’espressione «storico» e qual è il posto del Psi in questa stra‐ tegia? Voi avete spesso ripetuto che l’Italia non si governa soltanto con il 51 % dei voti per la sinistra. Cosa signi‐ fica esattamente? La nostra analisi e la prospettiva per la quale lavoriamo sono fondate sulla pe‐ culiare situazione italiana e, in parti‐ colare, sul dato storico e attuale costi‐ tuito dalla presenza nel movimento popolare di tre grandi tradizioni di pensiero e realtà politico‐sociali: quel‐ la comunista, quella socialista e quella cattolica (la quale ultima si esprime e si organizza in parte nella Dc e in par‐ te in altre associazioni e movimenti).


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La realtà italiana, dunque, pone og‐ partito come gli altri, che prende temi centrali della rivoluzione italia‐ gettivamente l’esigenza di un incon‐ spesso delle posizioni differenti ri‐ na e, più in generale, dell’avanzata tro e di un’intesa tra queste grandi spetto ad altri Pc: lo si è visto per del movimento operaio e della co‐ forze (oltre che con altri gruppi de‐ esempio a proposito del Portogallo. struzione di una società socialista mocratici di diversa ispirazione idea‐ Cosa pensate di questa diversità? nell’occidente europeo. In questo le), come condizione per dar luogo a Nel movimento comunista e operaio spirito noi guardiamo con fraterna un potere politico capace di promuo‐ internazionale non siamo solo noi a attenzione agli apporti che vengono vere e realizzare una profonda presentare tratti caratteristici che ci dall’elaborazione e dalle esperienze trasforma zione dell’assetto econo‐ differenziano dagli altri. Negli ultimi di altri partiti comunisti, e in parti‐ mico e sociale e di fronteggiare con decenni, anzi, si è avviato un proces‐ colare da quello francese, e guardia‐ metodo democratico le prevedibili so che dà luogo a una impetuosa mo con vivo interesse a tutte le novi‐ resistenze e opposizioni delle forze estensione del movimento di libera‐ tà positive che si manifestano anche della destra sociale e politica. Que‐ zione anticapitalistico e antimperia‐ in altre forze d’ispirazione socialista sto, in sintesi, è ciò che intendiamo lista e, al tempo stesso, all’emergere del movimento operaio dell’Europa con l’espressione «compromesso di una differenziazione delle sue va‐ occidentale. storico». Il termine «compromesso» rie componenti, compresi i partiti Mario Soares ha di nuovo. conferma‐ sta a significare 1o sforzo al quale comunisti. In questo panorama ci so‐ to la proposta di una con ferenza dei ogni partito deve sen tirsi chiamato no anche le peculiarità proprie del leader degli otto partiti socialisti e co‐ per comprendere e accogliere le esi‐ Pci. Non è possibile dire in breve munisti d’Italia, Spagna, Portogallo e genze e posizioni specifiche degli al‐ quali siano i singoli aspetti nei quali Francia. Siete favorevoli? E, più in ge‐ tri in uno spirito di tolleranza e di si sono manifestate e si manifestano nerale, nelle condizioni particolari apertura a una collaborazione leale e tali peculiarità. Esse, infatti, sono an‐ dell’Europa meridionale, quali sareb‐ tra uguali. Qualificando il compro‐ zitutto il frutto di uno sforzo labo‐ bero le possibilità di azioni comuni messo con l’aggettivo «storico» in‐ rioso e incessante per dare al nostro dei socialisti e dei comunisti contro il tendiamo sottolineare la sua portata partito radici estese e profonde in capitalismo, e per avanzare verso una di ampio respiro e di innovazione tutta la realtà popolare e nazionale e società socialista e democratica? profonda nella complessiva vita del per farne un partito di massa, una Il nostro partito ha già espresso il paese. Nell’ambito di un’intesa cosi forza politica che sa combattere e in‐ suo assenso all’idea di un tale incon‐ larga fra forze autonome e diverse è fluire ogni giorno e su ogni problema tro. In esso si potrebbero discutere evidente che, anche in Italia, ha valo‐ della vita italiana. Insieme a ciò la utilmente i pro blemi della lotta per re fondamentale il grado di forza e di nostra peculiarità viene da una ela‐ la democrazia e per il socialismo unità dei grandi partiti di ispirazione borazione che, specialmente con nell’occidente. europeo. Natural‐ socialista e, quindi, del Pci e del Psi. l’apporto di Gramsci e Togliatti, si è mente un incontro di tale importan‐ In questo senso è certamente auspi‐ rivolta ad approfondire e sviluppare za, perché si concluda in modo posi‐ cabile che i partiti di sinistra rag‐ i temi del rapporto tra strutture e so‐ tivo, va preparato con grande cura. giungano e superino la maggioranza vrastrutture, tra egemonia e consen‐ Noi siamo pronti a dare a questo fine assoluta e, al tempo stesso, appro‐ so, tra democrazia e socialismo come tutto il nostro contributo. fondiscano la loro collaborazio‐ ne politica. Anche questo è uno degli obiettivi del nostro lavoro e della nostra battaglia politica. Ma, nelle condizioni italiane, noi pensiamo rimanga sempre la necessità di evitare una spac‐ catura tra le forze di sinistra e altre forze popolari e democra‐ tiche, segnatamente quelle di ispirazione cristiana. Tale spac‐ catura, infatti, renderebbe assai ardua e precaria, e al limite im‐ possibile, un’opera coerente di effettivo rinnovamento, in quanto potrebbe favorire una controffensiva reazionaria con basi di massa. Noi riteniamo, in sostanza, necessario e possibile l’apporto di una componente cristiana d’ispirazione demo‐ cratica all’edificazione di una società nuova. Si dice spesso che il Pci non è un Luigi Longo, il mitico Comandante Gallo delle brigate internazionali in Spagna


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La proposta di governo e la questione morale

Nel 1981, Berlinguer accusa la classe politica italiana di corruzione, sollevan‐ do la così detta questione morale. Denuncia l’occupazione da parte dei par‐ titi delle strutture dello Stato, delle Istituzioni, dei centri di cultura, dell’uni‐ versità, della Rai e lancia l’alternativa democratica come punto di raccolta di un largo schiaramento di forze alternativo alla democrazia cristiana.

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Unità e Rigore

di Enrico Berlinguer, 19 marzo 1978, Articolo su L’Unità Viviamo giorni gravi per la nostra democrazia. Abbiamo parlato di pe‐ ricolo per la Repubblica. Non è un cedimento all’emozione, è un giudi‐ zio politico che parte dalla consape‐ volezza delle forze potenti, interne e internazionali, che muovono le fila di questo attacco spietato contro lo Stato e le libertà repubblicane. Il Paese ha capito e milioni di uomini si sono mobilitati dando la risposta giusta, la più ampia e la più unitaria. Comunisti, socialisti, democristiani, cittadini e giovani di ogni fede poli‐ tica si sono ritrovati in piazza con le loro bandiere e con una comune vo‐ lontà di difendere la democrazia. E in Parlamento le forze politiche de‐ mocratiche hanno dato vita ad una maggioranza nuova per la presenza in essa, dopo più di trent’anni, del partito comunista italiano: fatto che ha assunto particolare significato per il momento in cui è avvenuto, superando di slancio dubbi e incer‐ tezze di ogni parte che pur erano presenti dopo la conclusione della crisi di governo. E’ facile immagina‐ re quale sarebbe oggi la situazione, quale lo smarrimento, se non vi fos‐ se stata questa risposta del Paese e del Parlamento. E’ chiaro adesso perché abbiamo lavorato così tena‐ cemente per evitare uno scontro la‐ cerante che avrebbe provocato l’in‐ governabilità del paese, la paralisi dei pubblici poteri e lo scioglimento delle Camere. E’ chiaro perché ab‐ biamo posto al centro di tutta la no‐ stra azione la necessità di fronteg‐ giare l’emergenza attraverso una collaborazione chiara tra le forze politiche fondamentali. Si è afferma‐ to che Aldo Moro è stato rapito pro‐ prio per colpire un simbolo, tra i più significativi, di questo sforzo, teso a impedire lo scollamento politico e istituzionale. Ma al di là della perso‐ na di Moro – (al quale rinnoviamo, in questo terribile momento, la no‐ stra stima e solidarietà) – si è voluto colpire l’insieme della democrazia italiana. Il terrorismo e la violenza politica mirano a questo: a sostituire la presenza, l’iniziativa, la partecipa‐ zione, e quindi la crescita della co‐

scienza politica di masse sempre più grandi di popolo, con la guerriglia di bande di fanatici a colpi di spranga e pistola. E’ la conquista più grande del popolo che viene minacciata. Si vuole impaurire la gente, disperder‐ la, svuotare le istituzioni rappresen‐ tative e preparare così il terreno a nuove dittature. E’ giunto il momen‐ to di decidere da che parte si sta. Noi la scelta l’abbiamo fatto. Essa è scrit‐ ta nella nostra storia. Il regime de‐ mocratico e la Costituzione italiana sono conquiste decisive e irrinuncia‐ bili del movimento popolare, delle sue lotte, del suo cammino, non ci sono stati regalati da nessuno. Molto c’è da rinnovare nella società e nello Stato, ma guai ad allentare la difesa delle conquiste realizzate e delle istituzioni repubblicane. Non c’è og‐ gi compito più urgente e più concre‐ tamente rivoluzionario che quello di fare terra bruciata attorno agli ever‐ sori. Facciano il loro dovere, fino in fondo, i corpi preposti alla difesa delle istituzioni. Faccia il proprio dovere ogni cittadino democratico. Nessuno si lasci prendere dalla sfi‐ ducia, tutti contribuiscano, quale che sia la loro funzione, a mandare avanti la vita del paese in tutti i cam‐ pi. Faccia il suo dovere la classe ope‐ raia che sta diventando sempre più la forza che in concreto garantisce gli interessi fondamentali della na‐ zione e la capacità di reggere a tutti gli urti. Come partito comunista continueremo a fare la nostra parte. Ma questa mobilitazione straordina‐ ria, questa vigilanza di massa del no‐ stro popolo chiedono, sollecitano, una guida politica nuova del Paese. Ha colpito tutti, giovedì, l’assonanza tra Paese reale e Paese legale, tra so‐ cietà civile e il Parlamento. Tutti ca‐ piscono che ben altro governo sa‐ rebbe stato necessario, un vero go‐ verno di unione democratica. Ma il rischio di una grave lacerazione è stato evitato, una nuova maggioran‐ za parlamentare si è formata e vi è un programma che consente di fron‐ teggiare l’emergenza secondo linee che vanno al di là dell’immediato. Si tratta di un passo avanti, che atten‐

de ora la prova dei fatti. Il nostro proposito è che la più ferma difesa della convivenza democratica si ac‐ compagni, finalmente, al rigore, alla pulizia, all’efficienza. Bisogna risa‐ nare lo Stato. La cosa pubblica deve essere amministrata seriamente. E questo vale per tutti: per i più alti funzionari e dirigenti delle imprese statali come per i più umili impiega‐ ti. La carta fondamentale che viene giocata contro le forze del rinnova‐ mento è la disgregazione, il lassi‐ smo, il non governo. Il rigore è una scelta nostra, come lo è l’austerità: è la leva per cambiare le cose e non soltanto per impedire il collasso. Ciò è reso possibile dalla presenza nella maggioranza dei partiti delle classi lavoratrici. Il PCI reca in questa maggioranza anche un modo nuovo e più alto di sentire gli interessi na‐ zionali, una nuova moralità. Già da tempo la classe operaia influenza, più o meno ampiamente, l’indirizzo politico nazionale. Oggi può eserci‐ tare tale influenza politica in modo più diretto. Il passo avanti realizzato nell’unità delle forze fondamentali del nostro popolo reca il segno del‐ l’emergenza. Noi staremo in questa maggioranza parlamentare con la le‐ altà e fermezza. Daremo il nostro so‐ stegno, ma eserciteremo un incisivo e metodico controllo. Ci adoperere‐ mo perché ogni decisione sia coe‐ rente col programma e anzitutto con le sue priorità: ordine democratico, salvezza della scuola, occupazione, Mezzogiorno. C’è però chi concepi‐ sce la soluzione attuale della crisi come una semplice tregua. Troppo grandi sono i problemi che la nuova maggioranza dovrà affrontare, trop‐ po alta è la posta in gioco per poter giustificare un atteggiamento pura‐ mente attendista e passivo qual è quello di tregua. E’ il momento del‐ l’iniziativa e dell’azione solidale con il Paese: altrimenti tutti ne paghe‐ remmo lo scotto. Molto dipende dunque dallo sviluppo nel profondo del Paese di movimenti che rafforzi‐ no il tessuto democratico e rendano più salda ed estesa l’unità tra le forze popolari.


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La nostra proposta di governo

Intervista su L’Unità, di Alfredo Reichlin, 7 dicembre 1980

La proposta politica avanzata dalla no‐ stra Direzione ha suscitato una forte impressione.[...] Che cosa ha spinto il Partito comunista a proporsi come per‐ no e punto di raccolta di un largo schie‐ ramento di forze che rappresenti una reale alternativa democratica a una DC che non appare più in grado di assicura‐ re quella guida politica e morale di cui c’è un bisogno estremo, vitale? [...] Que‐ sta proposta è realistica? È credibile? Dove stanno i suoi interlocutori? Andia‐ mo a uno scontro frontale con tutta la DC e il mondo cattolico popolare? Non c’è il rischio, per il partito, di fughe in avanti e di rigurgiti settari? E poi la do‐ manda su cui tanto si insiste, a volte con malizia, a volte con preoccupazione: si tratta di una svolta rispetto alla nostra strategia? Ho avuto così una lunga con‐ versazione con Enrico Berlinguer che ho riassunto in una serie di domande e di ri‐ sposte. Cominciamo dalla questione che tutti ci pongono: si tratta di una svolta? Le dispute nominalistiche non mi ap‐ passionano perché portano la discus‐ sione su un terreno astratto. Se guar‐ diamo alla sostanza la novità c’è ed è ri‐ levante, come vedremo fra poco. Tutta‐ via non si tratta di un capovolgimento della nostra strategia. Oggi, più che mai, noi partiamo dall’idea che per fronteggiare una crisi così grave e peri‐ colosa, per difendere la democrazia ita‐ liana – e per farlo nel solo modo possi‐ bile, cioè rinnovandola – occorre che le grandi forze popolari (dalle nostre a quelle socialiste, a quelle cattoliche) non si lacerino, non si disgreghino, ma trovino comuni obiettivi. Il che vuol di‐ re, in concreto, che non si allontanino dalla vita politica, ma vi partecipino in prima persona, con la loro identità sto‐ rica, con i loro valori originali, con le lo‐ ro organizzazioni politiche e sociali. Al‐ tro che integralismo ed egemonismo comunista. L’unità è sempre stata e re‐ sta la nostra bandiera, ma essa non può ridursi ad accordi di vertice che non sempre sono possibili e opportuni. L’importante è che in ogni caso si man‐ tenga un tessuto unitario. L’unità è for‐ te, e tiene, al di là delle alterne vicende politiche, degli scontri anche aspri tra i partiti, e al di là delle collocazioni par‐

lamentari e governative, se nasce da questa libera competizione tra forze di‐ verse sul terreno dei grandi problemi nazionali, in sostanza da forti esperien‐ ze politiche collettive vissute dalle mas‐ se in grandi battaglie di libertà e di rin‐ novamento. Solo così il popolo diventa nazione e si riconosce nelle istituzioni, in quanto partecipa esso stesso alla de‐ finizione delle mete nazionali. Scusa se ti interrompo, ma un discorso come questo ci porta subito all’altra questione molto discussa: il «compro‐ messo storico». Mi fanno un po’ sorridere tutti questi becchini del «compromesso storico». Perché sarebbe fallito? È fallita la cari‐ catura che ne hanno fatto presentando‐ lo come una pura formula di governo: peggio, come un accordo di potere tra noi e la DC. L’abbiamo detto cento vol‐ te che non era questo, bensì la ricerca di una convergenza tra le componenti di‐ verse della storia italiana, della società nazionale, anche, quindi, tra classi di‐ verse, tale da rendere possibile una pro‐ fonda trasformazione democratica (un secondo 1945, si è detto) nel rispetto del pluralismo e della Costituzione repub‐ blicana. Che cosa vogliono i nostri cri‐ tici? Delle due l’una: o vogliono impe‐ dire proprio questa trasformazione – ben comprendendo che, di essa, una qualche forma di compromesso storico è l’unica possibile leva – anche a prezzo di uno scontro lacerante; oppure spera‐ no che il PCI rinunci a lavorare per una società socialista fondata sulla demo‐ crazia, pluralista, sia tornando all’idea dello scontro di classe e della dittatura del proletariato, sia sposando la conce‐ zione socialdemocratica. Saranno delu‐ si. La nostra strategia resta valida nei suoi fondamenti essenziali. [...] A quanto vedo ci sono dei farisei che oggi strillano contro di noi perché verremmo meno a un’ispirazione uni‐ taria. È incredibile. Unità con chi? Con chi ha portato oggi il paese in questo vi‐ colo cieco? E che – si badi – lo ha fatto non a caso, ma perché ossessionato dal‐ la preoccupazione di non perdere una briciola del proprio potere. Si è così va‐ nificato il grande generoso tentativo che noi facemmo dopo il 1976 per im‐ pegnare la DC, noi stessi e le altre forze

democratiche sul terreno di un con‐ fronto, di una reciproca sfida volta non soltanto a fronteggiare l’emergenza, ma ad avviare una svolta nella gestione del‐ lo Stato, nel ruolo del Parlamento e del sindacato, nella politica economica, nel superamento di una democrazia resa zoppa, asfittica, clientelare, dall’esisten‐ za della pregiudiziale anticomunista. Si rendono conto adesso dell’errore che hanno fatto? [...] Riassumendo questo insieme di consi‐ derazioni si può, quindi, affermare che non siamo noi che abbiamo cambiato improvvisamente strategia. È cambiata la situazione. Esatto. Non si capisce nulla della nostra iniziative se non si parte da qui, dalle grandi novità della situazione. Dobbia‐ mo guardare in faccia la realtà. Per la prima volta dopo 30 anni il rischio di una crisi istituzionale fino ad un collas‐ so della Repubblica è diventato reale. A chi mi domanda il perché della nostra iniziativa io rispondo: prima di tutto per impedire un simile collasso. Non voglio fare dell’allarmismo. Voglio dire però che il processo di distacco tra pese e istituzioni, tra popolo e classi dirigen‐ ti è arrivato al punto che se non inter‐ viene un fatto nuovo, un sussulto, una svolta positiva, lo scivolamento verso esiti oscuri e avventurosi diventa prima o poi inevitabile. Ecco perché ci siamo mossi. Non c’erano altre strade? Quali? Nel momento in cui la DC forni‐ sce una prova evidente della sua inca‐ pacità a dare al paese un minimo di gui‐ da politica e morale, quando la sua crisi, aperta da tempo, degenera in corruzio‐ ne, in fenomeni di scollamento, fino a vere e proprie guerre tra bande, non ba‐ sta più chiedere la caduta della pregiu‐ diziale anticomunista. A questo punto siamo noi, insieme con la parte sana del paese, che non possiamo non porre una questione pregiudiziale: cioè la questio‐ ne morale, che non riguarda solo le per‐ sone, né può essere intesa come una ri‐ chiesta di messa al bando di un partito che ha radici profonde nella società, nel popolo, in tante parti sane del paese e degli apparati dello Stato, ma che com‐ porta – questo sì – la liquidazione del suo sistema di potere.


28 Ma è giusto partire dalla questione morale? La questione morale esiste da tempo. Ma orami essa è diventata la questione politica prima ed essenziale perché dal‐ la sua soluzione dipende la ripresa di fi‐ ducia nelle istituzioni, la effettiva go‐ vernabilità del paese e la tenuta del re‐ gime democratico. È un fatto, è una du‐ ra realtà che se si vuole impedire lo sci‐ volamento dell’Italia verso una condi‐ zione da paese di secondo o terzo ordi‐ ne la gente deve essere chiamata a grandi sforzi e grandi sacrifici. La DC ha l’autorità per farlo? Detto molto semplicemente è questo, oggi, il pro‐ blema politico italiano. Come si risol‐ ve? Invocando un uomo forte? Cam‐ biando il carattere parlamentare della Repubblica? Chiedendo al partito co‐ munista di logorare il suo grande, in‐ tatto, prestigio politico‐morale in un’azione di appoggio subalterno alla DC, a questa DC? La sfiducia divente‐ rebbe generale. Né servirebbe ad arre‐ starla, se ci limitassimo alla denuncia. Ecco perché non capisco certe obiezio‐ ni alla nostra proposta di porci come forza promotrice e di maggiore garan‐ zia di un governo che raccolga tutte le forze sane della democrazia italiana, persone oneste e capaci dei partiti e fuori di essi; un governo del quale la DC non sia più l’asse e non abbia più la pre‐ sidenza. Non c’è nulla di più corretto anche dal punto di vista parlamentare. Siamo il secondo partito della Repub‐ blica, abbiamo dato prove di serietà, di impegno di disinteresse che tutti cono‐ scono: abbiamo i titoli di lealtà demo‐ cratica e costituzionale che tutti sanno. [...] Sollevare la questione morale non significa dividere il polo. Significa por‐ re un discrimine politico verso tutto un sistema di potere e un modo di gover‐ nare. È un nodo politico decisivo. Ho già detto che essa fa tutt’uno col pro‐ blema stesso della governabilità, cioè con il ristabilimento della fiducia del paese nelle istituzioni democratiche. Ponendo al centro questa questione noi solleviamo non solo il grande pro‐ blema della trasparenza e della rettitu‐ dine degli organi dello Stato e della moralità dei partiti, ma incoraggiamo la partecipazione popolare, ridiamo spazio al controllo delle decisioni, ri‐ creiamo le condizioni per una versa so‐ lidarietà. Senza di che è inimmaginabi‐ le uscire da questa situazione. [..] Hai parlato di un rischio per le istitu‐

Governo zioni. In concreto, e nell’immediato, a me non pare che una accelerazione di questa crisi potrebbe essere provocata da una elezione anticipata. Il rischio di scivolare verso una crisi profonda delle istituzioni è reale, e in effetti tale crisi potrebbe precipitare an‐ che attraverso un’altra interruzione traumatica della legislatura. Chiunque vede questo pericolo ha il dovere di ri‐ cercare i rimedi e non può sottrarsi ad una discussione responsabile della no‐ stra proposta. Bisogna capire a che cosa si potrebbe andare incontro con elezio‐ ni anticipate. Un complesso di forze conservatrici e di destra potrebbe esse‐ re tentato a chiedere una svolta in sen‐ so autoritario: una risposta avventuri‐ stica e catastrofica al problema della go‐ vernabilità e alla crisi di legittimità del sistema imperniato sulla DC. Ma vi possono essere altre forze che puntano alle elezioni anticipate con disegni di tutt’altro tipo. Per esempio, quello di mettere la DC e il PCI sullo stesso piano come i responsabili, sia pure per ragioni diverse, dei mali italiani, per affermare così la centralità di una fantomatica terza forza. È una idea velleitaria che creerebbe un vuoto pericoloso: da una parte spaccherebbe la sinistra e dall’al‐ tra spingerebbe a destra la DC. La stra‐ da che noi proponiamo è la più sicura anche per difendere questa legislatura, essendo la strada della raccolta delle forze democratiche su una linea co‐ struttiva. Questa proposta, oltre a valo‐ rizzare al massimo il potenziale di go‐ verno di una sinistra che abbia ritrovato la via della collaborazione, aprirebbe un grande spazio e esalterebbe il ruolo del‐ le forze intermedie, liberandole dai vin‐ coli di subalternità verso una Democra‐ zia cristiana in crisi. Questo significa che per il PCI l’intera DC è perduta alla causa della moraliz‐ zazione e di una nuova governabilità? È un problema che va affrontato con molta serietà e senza semplificazioni demagogiche. La crisi della DC o, se si preferisce, il suo declino, è reale. Ma è la crisi di un partito che non soltanto ha governato per trent’anni, ma che si è confuso in buona parte con lo Stato. Perciò è evidente il rischio che questa crisi comporti traumi, coinvolga settori dello Stato e degli apparati, crei situa‐ zioni pericolose. Ma questi rischi non si possono fronteggiare chinando il capo e subendo il permanere del suo sistema di potere. La gente smarrirebbe ogni

punto di riferimento alternativo, ver‐ rebbe meno ogni possibilità di cambia‐ mento sul terreno democratico. Occor‐ re lottare a fondo contro il sistema di potere della DC, ma la lotta va condotta in modo tale da non spingere a destra tutta la DC, da non umiliare le sue forze migliori, bensì aprendo ad essere nuove possibilità, nuovi terreni per un’inizia‐ tiva di rinnovamento interno. [...] Per‐ ché si dovrebbe negare a noi il diritto (che a questo punto è anche un dovere) di proporci come fattore di promozione e di maggior garanzia di uno schiera‐ mento di alternativa democratica? Di‐ ciamo alternativa perché, con tutta evi‐ denza, non basta una alternanza all’in‐ terno dello stesso sistema e schiera‐ mento di partiti che hanno governato finora; e diciamo democratica perché pensiamo a un’alleanza che vada oltre i partiti della sinistra. La sinistra vi avrà il suo perso certamente, ma un posto di rilievo vi avrà anche chi, pur non essen‐ do di sinistra, avverte l’esigenza della moralizzazione e intende impegnarsi in una grande opera di rinnovamento. L’importante è che ciascuno dia nei fatti il contributo delle proprie idee e la mi‐ sura della propria dedizione alla Re‐ pubblica. Rispondo così anche a ciò che tu dicevi all’inizio circa il rischio che la nostra proposta venga intesa in certe zone del partito come un ripiegamento settario rispetto a tutto il cammino che abbiamo fatto in questi anni definen‐ doci sempre più come un partito aperto al dialogo, con una profonda ispirazio‐ ne unitaria, pronto ad assumere le re‐ sponsabilità e gli oneri di un partito di governo in una società pluralista, in‐ flessibile nella lotta al terrorismo, co‐ sciente della posizione internazionale dell’Italia, delle sue possibilità e dei suoi vincoli. Capisco il sentimento di certi compagni, ma non sono d’accordo quando sento certi «finalmente», certi «lo dovevate capire fin dal 1976 che con la DC non c’era niente da fare». Sappia‐ mo di aver fatto anche errori, li abbia‐ mo esaminati, e ne abbiamo tratto le conseguenze, da quando nel gennaio del 1979 siamo usciti dalla maggioran‐ za. Ma attenzione. Se oggi un partito come il nostro, che non è un partito so‐ cialdemocratico, può fare in modo cre‐ dibile una proposta di governo imper‐ niata sulla sua forza e sulle garanzie che dà, ciò avviene non malgrado le espe‐ rienze e il cammino di questi anni, ben‐ sì anche grazie ad essi.


29

Governo

Dove va il PCI? – Intervista a Berlinguer di Eugenio Scalfari, 28 luglio 1981, pubblicata su La Repubblica «I partiti non fanno più politica», mi dice Enrico Berlinguer, ed ha una pie‐ ga amara sulla bocca e, nella voce, come un velo di rimpianto. Mi fa una curiosa sensazione sentirgli dire que‐ sta frase. Siamo immersi nella politi‐ ca fino al collo: le pagine dei giornali e della Tv grondano di titoli politici, di personaggi politici, di battaglie poli‐ tiche, di slogan politici, di formule politiche, al punto che gli italiani so‐ no stufi, hanno ormai il rigetto della politica e un vento di qualunquismo soffia robustamente dall’Alpi al Lili‐ beo… «No, no, non è così.», dice lui scuotendo la testa sconsolato. «Poli‐ tica si faceva nel ‘ 45, nel ‘ 48 e ancora negli anni Cinquanta e sin verso la fi‐ ne degli anni Sessanta. Grandi dibat‐ titi, grandi scontri di idee, certo, scontri di interessi corposi, ma illu‐ minati da prospettive chiare, anche se diverse, e dal proposito di assicurare il bene comune. Che passione c’era al‐ lora, quanto entusiasmo, quante rab‐ bie sacrosante! Soprattutto c’era lo sforzo di capire la realtà del paese e di interpretarla. E tra avversari ci si sti‐ mava. De Gasperi stimava Togliatti e Nenni e, al di là delle asprezze pole‐ miche, ne era ricambiato.» Oggi non è più così? «Direi proprio di no: i partiti hanno degenerato e questa è l’origine dei malanni d’Italia.» La passione è finita? La stima reci‐ proca è caduta? «Per noi comunisti la passione non è finita. Ma per gli altri? Non voglio dar giudizi e mettere il piede in casa altrui, ma i fatti ci sono e sono sotto gli occhi di tutti. I partiti di oggi so‐ no soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata co‐ noscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rap‐ porto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcen‐ doli, senza perseguire il bene comu‐ ne. La loro stessa struttura organiz‐ zativa si è ormai conformata su que‐

sto modello, e non sono più organiz‐ zatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l’iniziativa: sono piuttosto federa‐ zioni di correnti, di camarille, cia‐ scuna con un “boss” e dei “sotto‐ boss”. La carta geopolitica dei partiti è fatta di nomi e di luoghi. Per la DC: Bisaglia in Veneto, Gava in Campa‐ nia, Lattanzio in Puglia, Andreotti nel Lazio, De Mita ad Avellino, Ga‐ spari in Abruzzo, Forlani nelle Mar‐ che e così via. Ma per i socialisti, più o meno, è lo stesso e per i socialde‐ mocratici peggio ancora…» Lei mi ha detto poco fa che la degene‐ razione dei partiti è il punto essenzia‐ le della crisi italiana. «È quello che io penso.» Per quale motivo? «I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal governo. Hanno occupato gli enti lo‐ cali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti cul‐ turali, gli ospedali, le università, la Rai TV, alcuni grandi giornali. Per esempio, oggi c’è il pericolo che il maggior quotidiano italiano, “il Cor‐

riere della Sera”, cada in mano di questo o quel partito o di una sua corrente, ma noi impediremo che un grande organo di stampa come il “Corriere” faccia una così brutta fine. Insomma, tutto è già lottizzato e spartito o si vorrebbe lottizzare e spartire. E il risultato è drammatico. Tutte le “operazioni” che le diverse istituzioni e i loro attuali dirigenti sono chiamati a compiere vengono viste prevalentemente in funzione dell’interesse del partito o della cor‐ rente o del clan cui si deve la carica. Un credito bancario viene concesso se è utile a questo fine, se procura vantaggi e rapporti di clientela; un’autorizzazione amministrativa viene data, un appalto viene aggiudi‐ cato, una cattedra viene assegnata, un’attrezzatura di laboratorio viene finanziata, se i beneficiari fanno atto di fedeltà al partito che procura quei vantaggi, anche quando si tratta sol‐ tanto di riconoscimenti dovuti.» Lei fa un quadro della realtà italiana da far accapponare la pelle. «E secondo lei non corrisponde alla situazione?»


30 Debbo riconoscere, signor Segretario, che in gran parte è un quadro realistico. Ma vorrei chiederle: se gli italiani soppor‐ tano questo stato di cose è segno che lo accettano o che non se ne accorgono. Al‐ trimenti voi avreste conquistato la guida del paese da un pezzo. Allora delle due l’una: o gli italiani hanno, come si suol di‐ re, la classe dirigente che si meritano, op‐ pure preferiscono questo stato di cose de‐ gradato all’ipotesi di vedere un partito co‐ munista insediato al governo e ai vertici del potere. Che cosa è dunque che vi ren‐ de così estranei o temibili agli occhi della maggioranza degli italiani? «La domanda è complessa. Mi consenti‐ rà di risponderle ordinatamente. Anzi‐ tutto: molti italiani, secondo me, si ac‐ corgono benissimo del mercimonio che si fa dello Stato, delle sopraffazioni, dei favoritismi, delle discriminazioni. Ma gran parte di loro è sotto ricatto. Hanno ricevuto vantaggi (magari dovuti, ma ot‐ tenuti solo attraverso i canali dei partiti e delle loro correnti) o sperano di rice‐ verne, o temono di non riceverne più. Vuole una conferma di quanto dico? Confronti il voto che gli italiani hanno dato in occasione dei referendum e quel‐ lo delle normali elezioni politiche e am‐ ministrative. Il voto ai referendum non comporta favori, non coinvolge rapporti clientelari, non mette in gioco e non mobilita candidati e interessi privati o di un gruppo o di parte. È un voto assoluta‐ mente libero da questo genere di condi‐ zionamenti. [...]. E la spiegazione sta in quello che dicevo prima: sono macchine di potere che si muovono soltanto quan‐ do è in gioco il potere: seggi in comune, seggi in parlamento, governo centrale e governi locali, ministeri, sotto‐segreta‐ riati, assessorati, banche, enti. se no, non si muovono. Quand’anche lo volessero, così come i partiti sono diventati oggi, non ne avrebbero più la capacità.» Veniamo all’altra mia domanda, se per‐ mette, signor segretario: dovreste aver vinto da un pezzo, se le cose stanno co‐ me lei le descrive. «In un certo senso, al contrario, può ap‐ parire persino straordinario che un par‐ tito come il nostro, che va così decisa‐ mente contro l’andazzo corrente, con‐ servi tanti consensi e persino li accresca. Ma io credo di sapere a che cosa lei pen‐ sa: poiché noi dichiariamo di essere un partito “diverso” dagli altri, lei pensa che gli italiani abbiano timore di questa di‐ versità.» Sì, è così, penso proprio a questa vostra

Governo conclamata diversità. A volte ne parla‐ te come se foste dei marziani, oppure dei missionari in terra d’infedeli: e la gente diffida. Vuole spiegarmi con chia‐ rezza in che consiste la vostra diversi‐ tà? C’è da averne paura? «Qualcuno, sì, ha ragione di temerne, e lei capisce subito chi intendo. Per una ri‐ sposta chiara alla sua domanda, elen‐ cherò per punti molto semplici in che consiste il nostro essere diversi, così spe‐ ro non ci sarà più margine all’equivoco. Dunque: primo, noi vogliamo che i par‐ titi cessino di occupare lo Stato. I partiti debbono, come dice la nostra Costitu‐ zione, concorrere alla formazione della volontà politica della nazione; e ciò pos‐ sono farlo non occupando pezzi sempre più larghi di Stato, sempre più numerosi centri di potere in ogni campo, ma inter‐ pretando le grandi correnti di opinione, organizzando le aspirazioni del popolo, controllando democraticamente l’ope‐ rato delle istituzioni. Ho detto che i par‐ titi hanno degenerato, quale più quale meno, da questa funzione costituzionale loro propria, recando così danni gravis‐ simi allo Stato e a se stessi. Ebbene, il Partito comunista italiano non li ha se‐ guiti in questa degenerazione. Ecco la prima ragione della nostra diversità. Le sembra che debba incutere tanta paura agli italiani?» [...] Veniamo alla seconda di‐ versità «Noi pensiamo che il privi‐ legio vada combattuto e di‐ strutto ovunque si annidi, che i poveri e gli emargina‐ ti, gli svantaggiati, vadano difesi, e gli vada data voce e possibilità concreta di con‐ tare nelle decisioni e di cambiare le proprie condi‐ zioni, che certi bisogni so‐ ciali e umani oggi ignorati vadano soddisfatti con priorità rispetto ad altri, che la professionalità e il merito vadano premiati, che la partecipazione di ogni cittadino e di ogni cit‐ tadina alla cosa pubblica debba essere assicurata.» Onorevole Berlinguer, queste cose le dicono tutti «Già, ma nessuno dei par‐ titi governativi le fa. Noi comunisti abbiamo sessan‐ t’anni di storia alle spalle e

abbiamo dimostrato di perseguirle e di farle sul serio. [...] E passiamo al terzo punto di diversità. Noi pensiamo che il tipo di sviluppo economico e sociale ca‐ pitalistico sia causa di gravi distorsioni, di immensi costi e disparità sociali, di enormi sprechi di ricchezza. Non voglia‐ mo seguire i modelli di socialismo che si sono finora realizzati, rifiutiamo una ri‐ gida e centralizzata pianificazione del‐ l’economia, pensiamo che il mercato possa mantenere una funzione essenzia‐ le, che l’iniziativa individuale sia insosti‐ tuibile, che l’impresa privata abbia un suo spazio e conservi un suo ruolo im‐ portante. Ma siamo convinti che tutte queste realtà, dentro le forme capitalisti‐ che – e soprattutto, oggi, sotto la cappa di piombo del sistema imperniato sulla DC – non funzionano più, e che quindi si possa e si debba discutere in qual mo‐ do superare il capitalismo inteso come meccanismo, come sistema, giacché es‐ so, oggi, sta creando masse crescenti di disoccupati, di inoccupati, di emargina‐ ti, di sfruttati. [...] Non trovo grandi differenze rispetto a quanto può pensare un convinto social‐ democratico europeo. Però a lei sembra un’offesa essere paragonato ad un so‐ cialdemocratico.


Governo «Bè, una differenza sostanziale esi‐ ste. La socialdemocrazia (parlo di quella seria, s’intende) si è sempre molto preoccupata degli operai, dei lavoratori sindacalmente organizzati e poco o nulla degli emarginati, dei sottoproletari, delle donne. Infatti, ora che si sono esauriti gli antichi margini di uno sviluppo capitalistico che consentivano una politica social‐ democratica, ora che i problemi che io prima ricordavo sono scoppiati in tutto l’occidente capitalistico, vi so‐ no segni di crisi anche nella socialde‐ mocrazia tedesca e nel laburismo in‐ glese, proprio perché i partiti social‐ democratici si trovano di fronte a re‐ altà per essi finora ignote o da essi ignorate. Noi abbiamo messo al cen‐ tro della nostra politica non solo gli interessi della classe operaia propria‐ mente detta e delle masse lavoratrici in generale, ma anche quelli degli strati emarginati della società, a co‐ minciare dalle donne, dai giovani, dagli anziani. Per risolvere tali pro‐ blemi non bastano più il riformismo e l’assistenzialismo: ci vuole un pro‐ fondo rinnovamento di indirizzi e di assetto del sistema. Questa è la linea oggettiva di tendenza e questa è la

nostra politica, il nostro impegno. Del resto, la socialdemocrazia svede‐ se si muove anch’essa su questa li‐ nea: e quasi metà della socialdemo‐ crazia tedesca (soprattutto le donne e i giovani) è anch’essa ormai dello stesso avviso. Mitterrand ha vinto su un programma per certi aspetti ana‐ logo.» Vede che non ha ragione di alterarsi se dico che tra voi e un serio partito so‐ cialista non ci sono grandi differenze. «Non mi altero affatto. basta inten‐ dersi sull’aggettivo serio, che per noi significa comprendere e approfondire le ragioni storiche, ideali e politiche per le quali siamo giunti a elaborare e a perseguire la strategia dell’euroco‐ munismo (o terza via, come la chia‐ mano anche i socialisti francesi), che è il terreno sul quale può aversi un av‐ vicinamento e una collaborazione tra le posizioni dei socialisti e dei comu‐ nisti.» Dunque, siete un partito socialista se‐ rio… «…nel senso che vogliamo costruire sul serio il socialismo…» [...] Lei ha detto varie volte che la questio‐ ne morale oggi è al centro della que‐ stione italiana. Perché? «La questione morale non si esaurisce nel fat‐ to che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori in alte sfere della politica e dell’am‐ ministrazione, bisogna scovarli, bisogna de‐ nunciarli e bisogna metterli in galera. La questione morale, nell’Italia d’oggi, fa tut‐ t’uno con l’occupazio‐ ne dello stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt’uno con la guerra per bande, fa tutt’uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno semplice‐ mente abbandonati e superati. Ecco perché dico che la questione morale è il centro del problema italiano. Ec‐ co perché gli altri parti‐ ti possono provare d’essere forze di serio

31 rinnovamento soltanto se aggredisco‐ no in pieno la questione morale an‐ dando alle sue cause politiche.» Le cause politiche che hanno provoca‐ to questo sfascio morale: me ne dica una. «Le dico quella che, secondo me, è la causa prima e decisiva: la discrimina‐ zione contro di noi.» Non le sembra eccessivo Signor Segre‐ tario? Tutto nasce dal fatto che non siete stati ammessi al governo del Paese? «Vorrei essere capito bene. Non dico che tutto nasca dal fatto che noi non siamo stati ammessi nel governo, quasi che, col nostro ingresso, di col‐ po si entrerebbe nell’Età dell’ Oro (del resto noi non abbiamo mai chiesto l’elemosina d’esser “ammessi”). Dico che col nostro ingresso si pone fine ad una stortura e una amputazione della nostra democrazia, della vita dello Stato; dico che verrebbe a cessare il fatto che per trentacinque anni un terzo degli italiani è stato discrimina‐ to per ragioni politiche, che non è mai stato rappresentato nel governo, che il sistema politico è stato bloccato, che non c’ è stato alcun ricambio della classe dirigente, alcuna alternativa di metodi e di programmi. Il gioco è sta‐ to artificialmente ristretto al 60 per cento degli elettori; ma è chiaro che, con un gioco limitato al 60 per cento della rappresentanza parlamentare, i socialisti si vengono a trovare in una posizione chiave.» Questo le dispiace? «Mi sembra un gioco truccato, oltre al fatto che bisogna vedere come il Psi sta usando questa posizione chia‐ ve di cui gode anche grazie alla no‐ stra esclusione. Per esempio, potreb‐ be usarla proprio per rimuovere la pregiudiziale contro di noi. A quel punto le possibilità di ricambio, cioè di una reale alternativa –e, nel suo ambito, anche di un’alternanza‐ sa‐ rebbero possibili, sarebbero a van‐ taggio generale e, a me sembra, a vantaggio dello stesso Psi, in quanto partito che ha anch’esso una sua in‐ sostituibile nel rinnovamento del Paese. Oppure i socialisti possono seguitare a usare la loro posizione per accrescere il potere del loro par‐ tito nella spartizione e nella lottizza‐ zione dello Stato. E allora la situazio‐ ne italiana non può che degradare sempre di più.»


32 Dica la verità, signor segretario: lei ri‐ tiene che i socialisti stiano seguendo piuttosto questa seconda via, non la prima [...] Craxi sostiene che il proble‐ ma, prima ancora del ricambio della classe dirigente e di governo, è quello di un mutamento dei rapporti di forza a sinistra, tra socialisti e comunisti. Cra‐ xi dice: datemi forza, più forza; fate ar‐ rivare il Psi al 18, al 20 per cento. Allo‐ ra, insieme ai socialdemocratici, l’area socialista e quella comunista saranno più o meno equivalenti, e allora sarà possibile anche allearsi con il Pci, per‐ ché allora saremmo noi socialisti a condurre il gioco e a garantirne le re‐ gole. Craxi si richiama all’esempio di Mitterrand, che ha vinto perché è di‐ ventato più forte dei comunisti. Credo sia questo il suo obiettivo. A quel punto sarà pronto ad allearsi con voi, ma non prima. «Sì, lo so che nel partito socialista c’è chi pensa in questo modo. ma, poiché è stato tirato in ballo Mitterrand, vo‐ glio farle osservare che Mitterrand en‐ trò nella Sfio, il vecchio partito social‐ democratico francese, quando la Sfio era ridotta al 6 per cento di voti, men‐ tre il partito comunista francese stava sopra al 20. Ebbene, Mitterrand tra‐ sformò la Sfio, spazzò via la vecchia burocrazia d’apparato, aprì ai club, al sindacato, ai cattolici; ma soprattutto, cercò subito una linea unitaria a sini‐ stra col partito comunista francese, sebbene il Pcf fosse un partito – dicia‐ molo – alquanto diverso dal nostro. Mitterrand non ha aspettato d’essere più forte del Pcf per ricercarne l’alle‐ anza. In queste ultime elezioni presi‐ denziali, durante il dibattito televisivo con Giscard, Mitterrand disse: io non escluderò mai dal governo la classe operaia francese e un parti‐ to, come il Pcf, che ne rappresenta una parte. L’ha detto e l’ha anche fatto. E ha risposto agli americani con la dignità che conosciamo. Io dico che forse proprio per questo la forza socialista francese è cre‐ sciuta fino a diventare maggiorita‐ ria nella sinistra.» [...] «Lei adesso sposta il confronto fra la politica dei socialisti francesi, dei socialisti italiani e la nostra su un altro tavolo, sulle questioni di politica internazionale. Ma la se‐ guo volentieri. E le dirò, allora, che non mi persuadono le ultime di‐ chiarazioni di Mitterrand, ma che

Governo noi comunisti italiani possiamo con‐ dividere la dichiarazione sugli euro‐ missili che figura nel programma del nuovo governo francese e che è stata sottoscritta sia dal partito socialista che da quello comunista. Essa, in so‐ stanza, non chiede che l’America cessi di costruire i suoi Pershing 2 e i Crui‐ ser, cioè gli euromissili più moderni che vuole installare in Europa a parti‐ re dal 1983. Ma intanto si dia inizio immediato al negoziato per diminuire i missili in Europa, anzi, per toglierli completamente, e l’Urss cessi l’instal‐ lazione sei suoi SS‐20 fin dal momen‐ to in cui il negoziato ha inizio. E io ag‐ giungo che bisogna far presto, perché se continuerà la gara a chi costruisce più missili, a chi li fabbrica più sofisti‐ cati e a chi ne mette di più, il pericolo di una guerra di sterminio in Europa diverrebbe incontrollabile. Questa è la posizione che risulta dall’accordo tra i socialisti e i comunisti francesi, e analoga mi sembra la posizione del partito socialdemocratico tedesco; ed è la nostra posizione. Mi piacerebbe sapere se è anche la posizione del Go‐ verno italiano e dei compagni sociali‐ sti italiani. Del resto l’adesione del‐ l’Italia al programma approvato dalla Nato nel dicembre 1979 (quando si de‐ cise sugli euromissili) era subordinata appunto alla ripresa immediata del negoziato. Quella decisione fu votata anche dai socialisti. Oggi la possibilità di un negoziato – e di un negoziato senza condizioni – è aperta. Che cosa dicono e che cosa fanno il Governo e i partiti che lo sostengono di fronte alla testarda repulsa di Reagan a dare ini‐ zio alle trattative con l’Urss?»

Onorevole Berlinguer, vorrei che ades‐ so lei mi parlasse dello stato del suo partito. C’è una perdita di velocità? Una perdita di influenza? [...] La rottu‐ ra della maggioranza di unità naziona‐ le provocò contrasti nel gruppo diri‐ gente del partito? «Ci furono diverse opinioni e il dibat‐ tito durò a lungo.» Più tardi, pochi mesi fa, avete lanciato la linea dell’alternativa democratica. Posso ricordarle, signor segretario, che lei e il gruppo dirigente del suo partito eravate stati tenacemente contrari ad ogni discorso di alternativa, fino a quando non vi siete improvvisamente “convertiti”. Come mai? «C’è stato forse un certo ritardo. Ma ricordo che già da tempo noi definiva‐ mo l’obiettivo dell’alternativa come alternativa democratica per distin‐ guerlo da quello di una secca alterna‐ tiva di sinistra, per la quale non esisto‐ no tuttora le condizioni. Posso ag‐ giungerle che avevamo anche puntato sulla possibilità che la Dc potesse dav‐ vero rinnovarsi e modificarsi, cambia‐ re metodi e politica, decidersi a porsi all’altezza dei problemi veri del paese. Non ho difficoltà a dire che su questo punto abbiamo sbagliato, o meglio che i mezzi usati non conseguivano lo scopo. Quando ce ne siamo resi conto, abbiamo messo la Dc con le spalle al muro, cioè abbiamo detto che una si‐ mile Dc era incapace di dirigere l’ope‐ ra di risanamento e di rinnovamento necessaria, e che si facesse da parte. L’alternativa democratica è per noi uno strumento che può servire anche a rinnovare i partiti, compresa la Dc.» [...]


33

Governo

Partito e società nella realtà degli anni ’80 Articolo su Rinascita, 6 dicembre 1982 Lo sviluppo impetuoso del movimento per la pace, caratterizzato da contenuti e forme di partecipazione in parte di‐ versi da quelli propri dei partiti, ci con‐ sente di riproporre il tema delle novità che si vanno manifestando nel rappor‐ to tra le masse e la politica[...] Questi modi nuovi di pensare e di comportar‐ si – insieme a questioni decisive per il mondo di oggi e che grandi masse av‐ vertono ormai in tutta la loro gravità, come quella del pericolo di una cata‐ strofe atomica – toccano altre questio‐ ni umane e sociali importantissime co‐ me la famiglia, la vita di coppia, la ses‐ sualità, la maternità, la paternità, i rap‐ porti tra genitori e figli, la tutela della salute, la serenità della vita quotidiana, lo svago e il tempo libero; e queste so‐ no questioni alle quali sono sottese e connesse altre questioni non meno im‐ portanti come quelle del tenore di vita e della qualità della vita, dello stato dei servizi sociali e delle attrezzature civili, della possibilità o meno di avere una casa, di far studiare i figli, di assicurare loro un lavoro e un avvenire, di assiste‐ re gli anziani, e così via, che sono que‐ stioni la cui soluzione dipende da quali scelte si sanno fare per cambiare gli in‐ dirizzi della vita economica e produtti‐ va. Ora, tutti quei mutamenti e novità nei modi di comportarsi e di pensare che sono emersi in questi ultimi anni della vita e nella coscienza anzitutto delle donne e dei giovani, ma anche in altri strati e aree della società – e che si sono rivelati nel referendum sull’abor‐ to e, ora, nei movimenti per la pace, ma che si rivelano anche in mille altri modi – sono ormai divenuti parte so‐ stanziale della politica, e in ogni caso della politica così come noi la intendia‐ mo e va fatta oggi a differenza di ieri, e a differenza di come la concepiscono e la fanno tuttora gli altri partiti. Negli ultimi cento anni, del resto, più volte sono cambiati i caratteri della politica. Fin verso la fine del secolo scorso la po‐ litica è stata qualcosa che si situava al‐ l’infuori e si fondava sull’esclusione delle grandi masse proletarie e popola‐ ri delle città e delle campagne. Quando queste masse hanno cominciato a im‐ porre la loro presenza – ciò avvenne via via con la nascita e l’affermazione del

movimento sociali‐ sta – si ebbe un pri‐ mo mutamento del‐ la vita e della lotta politica, la quale dovette cominciare a fare i conti con i bisogni, le rivendi‐ cazioni, le aspira‐ zioni, la realtà viva di queste masse. Le conseguenze si co‐ noscono: ci fu una espansione della vi‐ ta democratica, cambiarono i partiti e i rapporti tra di es‐ si, sorsero i sindaca‐ ti di classe nelle cit‐ tà e nelle campa‐ gne, cambiò la com‐ posizione delle as‐ semblee rappresen‐ tative, si ebbero mutamenti nella politica economica. Si entrò, insomma, in una fase nuova che dette una so‐ stanza nuova all’elaborazione e al‐ l’azione politica. Dopo il buio periodo d’opposizione e compressione del fa‐ scismo un altro sviluppo qualitativo e un altro allargamento del mondo della politica si realizzò quando, con la resi‐ stenza antifascista e con la sua conclu‐ sione vittoriosa, e con i grandi movi‐ menti del dopoguerra, ebbe luogo un ben più ampio e impetuoso ingresso delle masse lavoratrici e popolari nella battaglia politica e nella vita della so‐ cietà e dello Stato. Così cambiarono ancora i partiti, soprattutto con la na‐ scita dei partiti di massa. Cambiò, poi, la forma istituzionale dello Stato, da monarchia l’Italia divenne repubblica, e dallo Statuto albertino si passò alla Costituzione democratica. Cambiaro‐ no, di nuovo, in molti aspetti, i conte‐ nuti e le forme della lotta politica e so‐ ciale. Sorsero e si svilupparono le più varie associazioni e organizzazioni de‐ mocratiche e di massa. Divenne più ricca la dialettica democratica e più estesa, più capillare la vita della demo‐ crazia. [...] Oggi viviamo in un’epoca che, mentre vede un irreversibile in‐ gresso nella storia del mondo delle

masse sterminate dei popoli già op‐ pressi e sfruttati dal colonialismo e dal‐ l’imperialismo, conosce anche – in al‐ cuni paesi in particolare, fra i quali l’Italia – l’entrata sulla scena della sto‐ ria e della politica (anzi, la presenza in‐ calzante) di nuove forze, di nuove masse, di nuove aree sociali come le donne, i giovani e i giovanissimi, gli emarginati di ogni condizioni e di ogni strato sociale, decisi a contare, ad im‐ porsi, a far sentire le proprie aspirazio‐ ni e ad esigere che siano soddisfatte dalla società, dai partiti, dallo Stato. Questo fatto non è soltanto grandioso per le sue dimensioni, ma è sconvol‐ gente per la qualità delle conseguenze che provoca proprio sul terreno della politica, perché ne cambia ancora una volta i termini secondo i quali essa ve‐ niva tradizionalmente intesa e fatta. È proprio di questo che ancora non ci si è resi conto pienamente, ed è proprio a misurarsi con queste novità che sono chiamati tutti i partiti democratici. De‐ ve far riflettere, a questo proposito, il fatto che anche in Italia, seppure in mi‐ sura inferiore ad altri paesi di tipo oc‐ cidentale, ha cominciato a manifestar‐ si un distacco fra notevoli strati della popolazione e i partiti.


34 Lo si è potuto constatare anche nell’au‐ mento delle astensioni dal voto e delle schede bianche o nulle; e lo si vede nel‐ l’atrofizzarsi della vita interna e della mi‐ lizia attiva in quasi tutti i partiti. Non si può dire, tuttavia, che sia in atto una ge‐ nerale caduta dell’impegno politico, che anzi, per molti aspetti, tende a crescere, manifestandosi però anche fuori e indi‐ pendentemente dai partiti. Così è avve‐ nuto, in parte, nel referendum sull’abor‐ to e così avviene oggi nel movimento per la pace. Vi è qui la riprova della necessità di un rinnovamento dei partiti e dei loro modi di fare politica, se si vuole evitare la crescita di un divario che può divenire assai pericoloso per le sorti della demo‐ crazia. Non si tratta solo di seguire, di as‐ secondare, di non ostacolare, ma di comprendere, di far proprie, di interpre‐ tare politicamente e di far pesare nelle scelte politiche le insoddisfazioni, le ri‐ bellioni, le rivendicazioni che esprimo‐ no le masse contro la corsa agli arma‐ menti, le spese militari, le minacce di guerra, contro i meccanismi capitalistici che tendono ad emarginarle e contro i partiti che mirano a strumentalizzarle (per garantirsi la propria sopravvivenza e prolungare la permanenza di quel si‐ stema di potere clientelare cui essi han‐ no dato vita e a cui non vogliono rinun‐ ciare). Questa sensibilità, in qualche mi‐ sura, il nostro partito l’ha avuta e molto ha già fatto in questa direzione nuova, che tra l’altro è decisiva per imporre la soluzione della questione morale e per far avanzare la prospettiva di un’alterna‐ tiva democratica.[...] Tutto il partito in tutte le sue articolazioni e in tutti i suoi organismi, dalla sezione di fabbrica o di quartiere o di paese fino alla direzione centrale oggi deve prendere piena co‐ scienza che queste forze nuove così vive e dinamiche nella società portano non solo esigenze, ma anche intuizioni, indi‐ cazioni, proposte che esigono soluzioni generali nuove perché, pur risolvendo problemi che hanno un autonomo e specifico ambito, interessano tutti i cit‐ tadini, chiamano in causa l’assetto mon‐ diale e quello della nostra società ed esi‐ gono quindi interventi e modi di inter‐ vento diversi dal passato sia dei partiti che dello Stato, delle istituzioni, del go‐ verno centrale e dei governi locali. E quando ci si protende a stimolare e a da‐ re forza ai movimenti delle masse giova‐ nili e delle masse femminili, o delle mas‐ se di disoccupati o degli anziani, si allar‐ ga l’orizzonte della politica, la si arricchi‐

Governo sce di contenuti prima mai pensati. È proprio in questo impegno che la politi‐ ca diventa milizia animata da una forte tensione ideale e morale. In definitiva, bisogna decidersi a capire che la politica è chiamata oggi a considerare come suo compito diretto – naturalmente, per la parte che le spetta, ossia senza prevari‐ care sulle altre dimensioni della vita umana, e quindi senza pretendere di es‐ sere totalizzante – la soluzione anche di quei problemi che insorgono dallo svol‐ gersi della vita delle persone, e dei rap‐ porti tra le persone, e tra queste e le strutture della società e il sistema politi‐ co che innerva questa società oggi; ossia, nell’attuale determinato contesto socia‐ le, culturale e morale. [...]. E si può ag‐ giungere anche un’altra cosa: non va su‐ perata soltanto quella concezione re‐ strittiva della politica per la quale questa viene ridotta ai rapporti, ai giochi, alle schermaglie fra i partiti, fra maggioranza e opposizione, e tutto finisce lì, ma va su‐ perata anche una concezione tradizio‐ nale della lotta sociale e della vita della società, secondo la quale vengono con‐ siderate come degne di rilievo e di atten‐ zione soltanto quelle masse, quelle orga‐ nizzazioni e quei movimenti che espri‐

mano esigenze e rivendicazioni di tipo eco‐ nomico‐sindacale, non dando il giusto peso a quelle masse e a quei movimenti che non so‐ no definibili e organizzabili secondo lo sche‐ ma economico‐sindacale, e che pure pongo‐ no esigenze e problemi non meno rilevanti politicamente e non meno decisivi per le sorti del paese, quali sono appunto le esigenze e i problemi che avanzano le grandi masse urba‐ ne e delle campagne che si raccolgono nel ter‐ mine di emarginati. Se si acquisisce fino in fondo questa concezio‐ ne aggiornata della lotta politica e dei suoi contenuti, questa visione per tanti aspetti di‐ versi da quella tradizionalistica, ma ancora largamente corrente, mi pare dovrebbe risul‐ tare evidente in quale direzione va promosso e concretamente attuato il rinnovamento del nostro partito.[...] Dunque, noi restiamo con‐ vinti che per rinnovare noi stessi e spingere gli altri a rinnovarsi dobbiamo mantenere ben netti e riaffermare i caratteri che ci contraddi‐ stinguono e ci fanno diversi. [...] Ma questa è, appunto, la premessa: occorre che ora la no‐ stra riflessione prosegua e affronti i concreti contenuti dell’azione per rinnovare e per rin‐ novarci in modo autentico e non fittizio; dob‐ biamo cioè cercare di precisare in che cosa ta‐ le azione consiste dopo aver detto in che cosa essa non può e non deve consistere.


Governo E qui ritorna in luce l’importanza deter‐ minante che hanno oggi quei grandi te‐ mi e problemi, quelle aspirazioni neglet‐ te o insoddisfatte, quelle forze trascurate ed emarginate di cui ho parlato all’inizio e che devono divenire materia viva e nuova della politica e della lotta politica. Immettere nella nostra elaborazione, nel nostro lavoro e nel nostro impegno quotidiano quei problemi e quegli obiet‐ tivi fino a ieri non considerati e affrontati a sufficienza, appropriarcene fino in fon‐ do e sentirli come nostri, per un partito quale siamo comporta necessariamente una conseguenza pratica ben precisa: quella di promuovere e organizzare su di essi e attorno ad essi non solo iniziative specifiche e, per così dire, specialistiche, ma soprattutto movimento di massa, sul piano locale e provinciale, e sul piano nazionale. È così che noi comunisti possiamo rea‐ lizzare davvero e in modi appropriati e adeguati quella esortazione, che sentia‐ mo rivolgere ai partiti con tanta insisten‐ za, ma anche con tanta retorica vaghez‐ za, e che viene espressa con la formula «aprirsi al sociale». Ho parlato più sopra dei movimenti per il disarmo e per la pa‐ ce (sorti e cresciuti in Italia dall’agosto a

oggi con quei caratteri del tutto nuovi e con quella grandiosità che ha sbalordito tutti), come di un esempio di intervento delle masse che va mantenuto, ripreso ed esteso. Ma potrei sottolineare l’enor‐ me importanza innovatrice che hanno avuto e che debbono continuare ad ave‐ re, oggi e domani, i movimenti attorno alle questioni della condizione femmini‐ le, per l’emancipazione e la liberazione della donna (affermazione della sua di‐ gnità e dei suoi diritti di persona libera, di soggetto autonomo e autodetermi‐ nantesi come lavoratrice, come cittadi‐ na, come madre, ecc.); i movimenti per obiettivi che riguardano i problemi irri‐ solti e i temi che suscitano l’interesse dei giovani e delle ragazze (la nuova qualità della vita, il lavoro e l’occupazione, lo svago e lo sport, lo studio e la propria formazione di cittadino, l’amore, il sesso e la vita di coppia, la casa per le giovani coppie, la lotta contro la droga, ecc.); i movimenti per tutelare e migliorare la condizione degli anziani, nella convin‐ zione che la «terza età» non è e non deve significare né lo squallore dell’abbando‐ no in cui troppi vecchi vengono lasciati, né la passiva attesa della morte, ma è una stagione della vita che la società de‐

35 ve far sì che venga impiegata e fruita ga‐ rantendo ad essa tranquillità economica, utilità sociale, serenità personale. E mo‐ vimenti di massa vanno suscitati e orga‐ nizzati sui temi angosciosi ed esplosivi del Mezzogiorno e della situazione delle popolazioni meridionali (per imprimere una qualità nuova allo sviluppo, per uscire dal parassitismo e dal clientelismo che, nella vita politica ed economica di quelle regioni soprattutto, sono una di‐ lagante cancrena, per debellare la ca‐ morra e la mafia), come anche sui temi non meno allarmanti e acuti della di‐ sgregazione sociale che impera soprat‐ tutto in quelle giungle costituite dalle periferie dei grandi centri e nelle aree dove vengono condannate a vivere le masse del sottoproletariato urbano e dei poveri. Se tutto il partito si mette a lavorare for‐ te e sodo su tali questioni e a suscitare intorno ad esse movimenti di massa, non soltanto daremo un contributo grande alla loro soluzione, ma penso an‐ che che andremo superando schemati‐ smi, verticismi, burocratismi nella con‐ cezione stessa della politica e nei modi dia gire del nostro stesso partito. Inoltre – e ciò oggi è molto importante – conti‐ nueremo e svilupperemo davvero il no‐ stro carattere di grande partito di massa organizzato, ma un partito di massa di oggi, degli anni ’80. Nel 1944 Togliatti in‐ tuì la necessità, e poi delineò i tratti di fondo, di un Partito comunista italiano che non fosse più solo un’avanguardia di quadri (e tanto meno una setta di sem‐ plici propagandisti), ma un partito nuo‐ vo, di massa. A questo obiettivo e a que‐ sto compito, che a un giudizio superfi‐ ciale potevano sembrare soltanto un mutamento della struttura organizzati‐ va del partito, erano insiti e connessi una strategia politica democratica e un me‐ todo di lavoro e di lotta democratica, volti ad affermare la funzione dirigente nazionale della classe operaia, una più ampia visione delle sue alleanze, una più alta e comprensiva concezione del gramsciano blocco storico da formare e realizzare per trasformare la società ita‐ liana in direzione del socialismo. Si trat‐ tava dunque di profondissime innova‐ zioni nell’elaborazione teorica, nell’azio‐ ne pratica, nella funzione del Partito co‐ munista italiano, di una formazione ri‐ voluzionaria che opera nell’Occidente capitalisticamente sviluppato, innova‐ zioni che avevano portanza e rilevanza generali.


36 Ma quello che voglio dire è che la scel‐ ta del partito di massa e l’azione che esso veniva chiamato a svolgere si rife‐ rivano a una determinata situazione storica e politica del paese, a una de‐ terminata condizione della società, ad un determinato stadio del costume, a una determinata fase economica, a un determinato livello di coscienza del popolo italiano. [...] Ma le forze e aree sociali verso le quali indirizzammo al‐ lora la nostra azione e la nostra inizia‐ tiva, e dei cui problemi e aspirazioni noi ci facemmo interpreti e, nella mi‐ sura del possibile, risolutori, erano le forze del cambiamento proprie della società di allora, di quella determinata situazione esistente quasi quarant’an‐ ni fa. Oggi le masse escluse, non pro‐ tette, che aspirano al cambiamento, o che comunque ne hanno bisogno, così come i problemi da conoscere, affron‐ tare e risolvere sono in gran parte mu‐ tati; e più esteso è il terreno e più am‐ pio, oltre che più complesso, è l’oriz‐ zonte della politica e dell’azione poli‐ tica di un partito qual è il nostro, cioè di un partito di massa organizzato che vuole trasformare la società. Qui inter‐ viene qualcuno a dirci (e sembra non manchino coloro che lo vanno soste‐ nendo anche nelle nostre file) che tra i cambiamenti intervenuti tra gli anni ’40 e gli anni ’80 ce n’è uno dal quale noi dovremmo trarre certe conseguenze cir‐ ca il carattere del partito. Si fa osservare che spesso il rap‐ porto molto basso che esiste in certe città e in certe zone tra gli iscritti al partito e i suoi elettori non determina conseguenze negative nel numero di voti che vengono a noi. Per conseguenza – si argo‐ menta – dal punto di vista elettorale è ininfluente che si abbiano molti iscritti o pochi iscritti; in definitiva, conta di più fare opinione, richiamare l’attenzione, essere presente nei mass‐media e così via. Se – si dice – riuscissimo a far divenire il Pci un grande par‐ tito di opinione che arriva a toccare i sentimenti, le co‐ scienze, gli interessi della gente attraverso le comuni‐ cazioni di massa, non solo non perderemmo voti, ma,

Governo addirittura, li aumenteremmo. Dun‐ que – si conclude – avere un milione e settecentomila tesserati o averne la metà sposterebbe poco o nulla ai fini di conseguire il massimo peso eletto‐ rale. In verità si possono citare molti dati ad esempio, che provano che mol‐ ti iscritti portano anche più voti. Co‐ munque, ed è questo il punto decisivo, a tener dietro a quei ragionamenti si fi‐ nirebbe col divenire non un grande partito di massa moderno, ma un par‐ tito elettoralistico, un partito all’«ame‐ ricana», cioè un partito che pensereb‐ be solo a prender voti, che svalutereb‐ be il lavoro a diretto contatto con la gente per aiutarla a ragionare, a orga‐ nizzarsi e a lottare, che svuoterebbe di ogni contenuto la milizia politica, che penserebbe solo ad avere più deputati, più senatori, più consiglieri, più asses‐ sori, più posti di potere. E tra l’altro, se diventassimo questo, non avrebbe al‐ cun senso nemmeno il decentramento che andiamo compiendo, cioè lo sfor‐ zo organizzativo e politico che stiamo facendo per estendere capillarmente la presenza organizzata e l’iniziativa co‐ stante delle nostre sezioni, delle nostre zone, delle nostre federazioni. Ma un partito «rinnovato» a questo modo sa‐ rebbe ancora il Partito comunista ita‐ liano? Non sono forse l’elettoralismo e

la caccia al potere per il potere i vizi degli altri partiti ai quali si vorrebbe che noi ci omologassimo? Conquistare più voti è certo indispensabile; dare più attenzione e realizzare una mag‐ giore presenza nostra nella stampa, nella radio, nella televisione, in tutti i mezzi di comunicazione di massa, è giusto; essere più capaci di fare opinio‐ ne su ogni problema grande e piccolo, è importante. Ma essere tanti comuni‐ sti non è forse ancora più importante? Io credo proprio di sì. Anzi, questo è il momento di fare più iscritti e al tempo stesso di formare militanti, più consa‐ pevoli e attivi, di avere cioè più compa‐ gni e compagne impegnati in un lavo‐ ro preciso, con compiti ben definiti, con una carica politica, umana e ideale armati della quale si va e si sa stare tra le masse, con i loro problemi, le loro aspirazioni, con le loro rabbie, con le loro lotte; di compagni e di compagne più numerosi nei posti di responsabi‐ lità e di direzione pubblici e privati, che siano ben preparati, ben orientati, fedeli al mandato ricevuto. Essere tan‐ ti comunisti e seri comunisti è la vera condizione anche per avere tanti voti, ma è soprattutto la garanzia di fare del nostro partito un sempre più saldo e consistente strumento del reale rinno‐ vamento e dello sviluppo del paese.


Cattolici

Il PCI, i cattolici e la Chiesa cattolica

Il rapporto con i cattolici rappresenta per Berlinguer un tema fondamentale della sua riflessione e una costante della strate‐ gia politica del partito comunista italiano. Tale rapporto sarà il supporto sia all’elabo‐ razione del compromesso storico che alla teoria dell’alternativa democratica, distin‐ guendo chiaramente le forze d’ispirazione ai principi del cattolicesimo da quelle or‐ ganizzate nella democrazia cristiana.

Corollario al tema dell’incontro con i cat‐ tolici è la chiara affermazione della laicità dello Stato e dei suoi compiti negli ambiti sociale ed economico. In questo senso è significativo quanto Ber‐ linguer afferma nella lettera al Vescovo di Ivrea, nella quale vengno chiaramente de‐ lineati i pricnipi ispiratori della politica del PCI e della sua concezione dello Stato laico e democratico.

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38 Signor Vescovo. La ringrazio per la Sua lettera aperta, che Lei mi ha cortesemente inviato prima della sua pubblicazione, e mi scuso per non aver potuto risponder‐ Le con la tempestività desiderata. Lei ha sollevato problemi la cui soluzione positiva è molto importante per l’av‐ venire della società e dell’Italia, per una serena convivenza tra tutti i no‐ stri concittadini, non credenti o cre‐ denti, oltre che, in particolare, per lo sviluppo di quel dialogo, per amore del quale ha pensato di rivolgersi a me, come Lei dice, in quanto segreta‐ rio del Partito comunista italiano. Le questioni da Lei poste, lungi dal per‐ dere attualità, sono divenute, in que‐ sti ultimi tempi, oggetto di un dibatti‐ to ancora più serrato e impegnativo. Tenterò di far chiarezza, innanzitutto, sopra un punto, che Lei tocca nella prima parte della Sua lettera: quello relativo all’ispirazione ideale del no‐ stro partito. Lei potrà convenire, cre‐ do, che non per caso può essersi for‐ mata quella solidale, operante unità politica e organizzativa del nostro partito, in base alla quale iscritti, mi‐ litanti, dirigenti di ogni livello con di‐ verse formazioni e convinzioni ideo‐ logiche, culturali, filosofiche, religiose lavorano insieme giorno per giorno, fraternamente ed egualitariamente. Uno dei fondamenti di questa unità interna del Pci, della sua piena e rigo‐ rosa laicità è da gran tempo costituito dall’articolo 2 del suo Statuto, che mi permetto di ricordarLe: “Possono iscriversi al Partito comunista italiano i cittadini che abbiano raggiunto il di‐ ciottesimo anno di età e che – indi‐ pendentemente dalla razza, dalla fede religiosa e dalle convinzioni filosofi‐ che ‐ accettino il programma politico del partito e si impegnino ad operare per realizzarlo, ad osservare lo Statuto e a lavorare in una organizzazione di partito.[...] Questa regola statutaria, non monolitica e non totalizzante bensì democratica, è però anche tale da consentire che, all’interno del par‐ tito, venga sempre garantita l’indi‐ spensabile funzione dirigente: ma si tratta di una funzione che, essendo fondata sulla ricerca continua del‐ l’unità attraverso il dibattito e il con‐ senso, si afferma non come direzione autoritaria, ma come guida rispettosa delle libertà. Infine, si deve sempre a questo articolo 2 del nostro Statuto se,

Cattolici da un lato, abbiamo potuto costruire un partito che, pur conservando e svi‐ luppando alcuni tratti decisivi delle sue origini, è un partito nuovo, perché non solo profondamente di classe ma anche di massa e, anzi, di popolo, non settario, non integralista; e se, dall’al‐ tro lato, siamo stati e siamo sempre impegnati nella ricerca delle alleanze democratiche più ampie possibili e di una trasformatrice unità con forze so‐ ciali, politiche e ideali diverse da noi, in considerazione di ciò, è forse esatto dire, per usare Sue parole, che il Parti‐ to comunista italiano come tale, e cioè in quanto partito, organizzazione po‐ litica, professa esplicitamente l’ideo‐ logia marxista, come filosofia mate‐ rialistica ateistica? Proprio per i chia‐ rimenti sopra dati, risponderei di no. Dicendo ciò, non intendo tuttavia af‐ fermare che l’elaborazione politica del nostro partito ‐ vale a dire il ricercare, l’individuare e lo stabilire via via, sto‐ ricamente, gli obiettivi da scegliere e le forze da muovere per trasformare progressivamente la società ‐ sia ve‐ nuta e venga tuttora formandosi in modo meramente empirico, «pratici‐ stico», senza alcun collegamento a principi, senza un’analisi scientifica della società e dello sviluppo storico, priva di un suo respiro ideale. In real‐ tà, quell’analisi e quell’elaborazione, nonché la condotta politica elettiva che si è intrecciata con esse, con quei tratti che contrassegnano la vita e la lotta dei comunisti italiani, non si sa‐ rebbero potute compiere al di fuori di quella grande, vivente lezione, (che non è e non può essere un “credo ideologico”) trasmessa loro dai mae‐ stri del pensiero politico rivoluziona‐ rio, dai fondatori del movimento co‐ munista, le scoperte e le invenzioni dei quali costituiscono un patrimonio decisivo a cui hanno attinge e attingo‐ no non solo il nostro partito, ma il movimento operaio e rivoluzionario di tutto il mondo, e da cui hanno pre‐ so vita molteplici movimenti di libe‐ razione e numerose varietà di modi e di esperienze di costruzione di società anticapitalistiche avviate sulla strada del socialismo. Senza tale patrimonio, infatti, senza l’analisi marxista ‐ senza un marxismo, cioè, inteso e utilizzato criticamente come insegnamento, non accettato e letto dogmaticamente come concetto immutabile ‐ sarebbe‐ ro del tutto inspiegabili non solo le at‐

tuali posizioni del Pci, ma anche la stessa crescita della sua forza organiz‐ zata e dei suoi consensi elettorali. Ora, da questo grande patrimonio di orientamento ideale e culturale di‐ scende forse la concezione di un par‐ tito politico che professi una filosofia, e in particolare una metafisica mate‐ rialistica e una dottrina atea e che si proponga di imporre, o anche solo di privilegiare, nell’attività politica e nello Stato una particolare ideologia e l’ateismo? Ancora una volta rispon‐ do decisamente di no. La prova, del resto, sta nei risultati ultimi a cui ci ha portato, sul terreno politico e pro‐ grammatico, quel nostro convinci‐ mento che discende ano ch’esso dalla dottrina, cui ci ispiriamo, per il quale l’effettivo processo storico e sociale è senza dubbio influenzato dalle idee (e anche dalle ideologie), ma in cui idee e ideologie sono condizionate dai movimenti reali fino a modificarsi di fatto e ad assumere secondo un orga‐ nico sviluppo, nuove accezioni e nuo‐ ve forme. La prova, cioè, sta nelle adesioni che ricevono le nostre iniziative e i nostri atti concreti di politica interna e in‐ ternazionale, nella stima che circonda il Pci qui e all’estero e in mezzo a tutti gli strati del nostro popolo: del che anche Lei signor Vescovo, pur con qualche riserva, ha voluto darci atto. Ebbene, come sarebbero stati possibi‐ li tali risultati, se il partito comunista non avesse perseguito e ricevuto il consenso, la partecipazione convinta anche di grandi masse di cittadini che atei non sono, ma sono credenti, cri‐ stiani, cattolici? Ma occorre ancora osservare che i risultati raggiunti dal Pci non sono frutto soltanto della sua generale politica rigorosamente laica e coerentemente unitaria: nell’ambito di questa, e data la peculiarità dell’Ita‐ lia, essi sono anche il frutto del rilievo specifico e tutto particolare che, da Gramsci in poi, abbiamo dato alla questione del rapporto con il mondo cattolico. Intorno a tale questione ci sono state infatti una nostra elabora‐ zione e una nostra condotta, che non hanno cessato di svilupparsi e affinar‐ si nel senso della ricerca dell’unità di tutti i lavoratori, delle grandi correnti popolari e di tutte le forze democrati‐ che del nostro paese e quindi, in spe‐ ciale modo, nel senso dell’apertura verso il mondo cattolico[...].


Cattolici Qui, dunque, viene proclamato qual‐ cosa di veramente nuovo, e cioè che il possedere una fede, l’essere ispirati da una coscienza religiosa, lungi dal venire considerato un fatto di per sé incompatibile con l’aspirazione al so‐ cialismo, viene addirittura giudicato una condizione che può stimolare il credente a perseguire anch’egli il rin‐ novamento in senso socialista della società. Mi sembra, allora, sia del tut‐ to comprensibile che cittadini di fede cristiana, cattolici professanti, e, co‐ me Lei dice, pubblicamente impegna‐ ti a restare tali, abbiano accolto l’invi‐ to ad entrare come indipendenti nelle nostre liste elettorali e ad essere eletti dai comunisti. [...] Ma con quel gesto il Pci ha inteso confermare, in modo quanto mai esplicito, non solo il suo rispetto per la religiosità di questi amici (come già aveva fatto per l’ad‐ dietro verso i molti cristiani che da anni e anni militano nelle sue file), ma ha voluto soprattutto mettere in valore l’apporto che la loro umana e civile esperienza, religiosamente for‐ mata, può dare alla comune opera di rinnovamento, sottolineando nel tempo stesso la laicità della politica e dell’impegno politico. E non ho biso‐ gno di rilevare che questo richiamo alla laicità non comporta la minima rinuncia alle rispettive tradizioni ideali, né l’immiserimento di queste a un fatto esclusivamente privato, ma sollecita invece a che esse, alla luce del sole, abbiano il giusto posto e cer‐ chino un reciproco arricchimento, proprio quando, come oggi, le energie del paese debbono unirsi solidalmen‐ te per risanare la società e lo Stato e modificare la direzione politica del‐ l’Italia.[...]. Dunque, la posizioni as‐ sunte e i comportamenti seguiti dal Pci lungo diversi decenni. fino ad og‐ gi, penso dovrebbero portarLa, a rico‐ noscere, signor Vescovo, che l’insie‐ me di essi costituisce la valida garan‐ zia che nel Partito comunista italiano esiste ed opera la volontà non solo di costruire e di far vivere qui, in Italia, un partito laico e democratico, come tale non teista, non ateista e non an‐ titeista; ma di volere anche, per diret‐ ta conseguenza, uno Stato laico e de‐ mocratico, anch’esso dunque non tei‐ sta, non ateista, non antiteista. Altro‐ ve, come nell’Europa orientale, in paesi dove si sta costruendo il sociali‐ smo, si è dato vita a Stati in cui, per

l’influsso di determinate tradizioni teoriche e per peculiari ragioni e con‐ dizioni storiche, si è finito, nella pra‐ tica, per cadere in discriminazioni, anche pesanti, sulla base di criteri ideologici. Ma da questa situazione si sta’ cominciando ad uscire sia pure fa‐ ticosamente, lentamente e anche contraddittoriamente, giacché in al‐ cuni paesi dell’Est europeo si hanno anche tuttora manifestazioni di intol‐ leranza ideologica di Stato. Tuttavia, non si può non riconoscere che nell’Occidente europeo; mentre permane il capitalismo ‐ e cioè il si‐ stema moderno discriminatorio per eccellenza sul piano economico, so‐ ciale e politico ‐ esistono paesi nei quali si legifera sulla, base di aperte pregiudiziali ideologiche (come è il caso della Germania federale) e che, per esempio, il Concordato del 1929, che regola in Italia i rapporti tra Chie‐ sa e Stato, e di cui non si è ancora ri‐ soluti ad attuare la necessaria profon‐ da revisione, considera la religione cattolica religione di Stato. E tacerò di quanto «costantinismo» e temporali‐ smo sono ancora intrisi certi atteggia‐ menti politici ed ecclesiastici in alcu‐ ni paesi europei e in casa nostra; né ri‐ corderò quanto ancora tenaci siano in Italia, nel partito democristiano e in alcune parti della gerarchia della Chiesa, vecchie spinte e pretese inte‐ gralistiche, pur dopo quel Concilio Vaticano Il, quel pontificato di Angelo Roncalli, ed encicliche quali Eccle‐ siam SttlLm e Populorum progressio dell’attuale Pontefice, che hanno sol‐ levato grandi speranze di rinnova‐ mento nella coscienza dei cattolici in Italia e nel mondo. Il nostro Stato, quello che noi comu‐ nisti in misura così grande abbiamo contribuito a edificare con la Resi‐ stenza e la Costituzione, è uno Stato democratico soprattutto per l’am‐ piezza senza precedenti del1e forze sociali che si sono poste a suo fonda‐ mento. Il nostro Stato è sorto come conseguenza del pieno ingresso nella vita politica nazionale delle masse proletarie, contadine e popolari di orientamento comunista, socialista e cattolico; è sorto dall’incontro e dalla partecipazione solidale di queste masse e dei loro partiti che, racco‐ gliendo anche il miglior frullo della tradizione cavourriana e liberale, hanno dato luogo a una comune ope‐

39 ra di rinnovamento democratico delle istituzioni, della società e del suo as‐ setto. Per sussistere e svilupparsi in armonia con tale sua impronta socia‐ le, politica e ideale questo nostro Sta‐ to italiano non può essere che laico, ossia non ideologico: solo così, solo in una pienezza di laicità, esso può esprimere veramente, in tutta la sua pregnanza, la propria originaria natu‐ ra democratica. A questi principi noi comunisti ispiriamo la concezione dei rapporti tra Repubblica italiana e Chiesa cattolica, tra Stato e cittadini di fede cattolica e, più in generale, tra Stato e credenti.[...] Tali posizioni, con approfondimenti, adeguamenti e qualificazioni ulterio‐ ri, più volte il Pci ha avuto occasione di sostenere e illustrare in varie sedi, anche internazionali. Perciò, dopo quanto mi è parso utile ricordarLe sin qui, non riesco proprio a vedere in quale dichiarazione o atto dei comu‐ nisti italiani trovino fondamento i ti‐ mori, che velatamente Lei affaccia, per in tolleranze e prevaricazioni ideologiche che possono venire da parte nostra a danno di altre forma‐ zioni ed espressioni democratiche della vita sociale, politica culturale, religiosa e, in particolare, a danno di quelle cristiane e cattoliche. Non c’è alcuna intenzione, da parte nostra, di «trattar da nemiche» istituzioni reli‐ giose dedite ad opere assistenziali ed educative. Il suo invito a non osteg‐ giarle nasce forse dal fatto che in talu‐ ne occasioni, l’espansione dell’inizia‐ tiva delle amministrazioni locali nel campo della primissima infanzia, in quello scolastico e in quello sanitario, ha oggettivamente creato difficoltà a istituzioni private, sia religiose che laiche.Lei se ne dispiace, io posso comprenderla. Ma vorrei che si po‐ nesse attenzione al fatto che l’azione in questi campi di uno Stato demo‐ cratico non può essere valutata e giu‐ dicata alla stessa stregua del compor‐ tamento che fu proprio dello Stato li‐ beral‐borghese. Come diretta conse‐ guenza dell’essere sorto su così ampie e popolari basi sociali, il nostro Stato democratico dissolverebbe se stesso, si decomporrebbe, e lascerebbe de‐ comporre e dissolvere la società, se non intervenisse con la maggior am‐ piezza possibile sul terreno dei servizi pubblici, sociali, civili, per soddisfare esigenze primarie del popolo.[..]


40 L’estendersi dell’iniziativa di questo nostro Stato che ha le caratteristiche di cui ho già parlato avviene invece ‐ e non può non avvenire ‐ con tutt’al‐ tro spirito e, in tutt’altra forma, e tende a superare, non solo quelle parzialità e quei limiti di classe ma anche le pregiudiziali ideologiche, che caratterizzavano lo Stato libe‐ ral‐borghese. Il nostro Stato demo‐ cratico e pluralistico, soprattutto at‐ traverso le sue autonome articola‐ zioni locali, non può non assumere propri ‐ ma per amministrarli demo‐ craticamente ‐ fondamentali servizi civili e sociali per il bene della co‐ munità nazionale, e democratica‐ mente vuol dire che, anche all’inter‐ no delle strutture scolastiche, assi‐ stenziali e sanitarie cui i poteri pub‐ blici danno vita, debbono poter en‐ trare ed operare, a titolo pieno, con il loro patrimonio ideale e culturale, le diverse energie di tutti coloro che vogliano e siano capaci di soddisfare esigenze delle famiglie e del cittadi‐ no.[...] Certo, comprendiamo bene che la Chiesa ha in tali campi una così cospicua eredità storica che per muoversi in modo nuovo ha bisogno di tempo. Sappiamo che tutto non può avvenire dall’oggi al domani,

Cattolici che questo processo di passaggio e di trasformazione (che è oggettivo nel quadro di uno sviluppo demo‐ cratico) non può avvenire in modi drastici ed in tempi affrettati perché ciò porterebbe a conflitti che vanno evitati. Il nostro scopo è di lavorare insieme alle altre forze ed organizza‐ zioni, che operano in campo sociale, educativo ed assistenziale, nel co‐ stante dialogo e nell’informazione reciproca, per giungere a una appro‐ priata regolamentazione che senza violare i principi costituzionali, ga‐ rantisca ai cittadini che in ogni isti‐ tuzione sociale siano assicurate con‐ dizioni fondamentali di efficienza e di democrazia. In conclusione, lo Stato democratico deve in linea di principio, rispettare le iniziative au‐ tonome dei privati sul terreno socia‐ le, ma non può, per malinteso ri‐ spetto del pluralismo rinunciare alle proprie funzioni. In ogni caso, per quanto riguarda il Pci, Lei non tro‐ verà mai in noi, signor Vescovo, le astrattezze settarie o il freddo stata‐ lismo di certi ministri francesi della fine del secolo scorso, quali un Ferry o un Combes. Per quanto riguarda i cattolici e le loro organizzazioni, il nostro auspicio è che essi invece di

farsi soltanto i custodi gelosi delle loro istituzioni, soprattutto si impe‐ gnino e partecipino al buon funzio‐ namento democratico e al rigore economico dei fondamentali servizi di una società democratica. Noi co‐ munisti vogliamo una società orga‐ nizzata in maniera tale da essere sempre più aperta e. accogliente an‐ che verso i valori cristiani; non vo‐ gliamo, però, una società «cristiana» o uno Stato “cristiano” e non già per‐ ché siamo anticristiani, ma solo per‐ ché sarebbero anch’essi una società e uno Stato “ideologici”, integralisti. Non ho tuttavia difficoltà a ricono‐ scere che, anche quando lo Stato riuscirà ad assicurare un livello quantitativo e qualitativo sempre più elevato di servizi sociali, dovrà essere garantito il libero apporto delle organizzazioni cristiane e delle istituzioni ecclesiastiche nei campi di attività rivolte a soddisfare nuove esigenze per la costruzione di una società democratica, libera, più giu‐ sta, nuova. [...] A questa ispirazione e a questa linea posso in conclusione assicurarLe, signor Vescovo, che il Partito comunista italiano si è man‐ tenuto e si manterrà fedele. Enrico Berlinguer


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Il Partito Comunista le donne, gli intellettuali, i giovani

Altra questione fondamentale nella elabo‐ razione politica di Berlinguer è rappresne‐ tata dalla focalizzazione dei movimenti quali soggetti politici nuovi ed emergenti nella vita dello Stato democratico. Berlinguer dedica particola attenzione ai temi nuovi posti dagli inntellettuali, dai giovani e dalle donne, con i quali condivi‐ de una visione in divenire dei costumi e dei rapporti sociali, ma anche interperso‐ nali, che pongono allo Stato, quale sintesi della collettività, nuovi compiti e chedono risposte nuove.

Dentro questo contesto particolare impor‐ tanza assume la politica di Berlinguer a so‐ stengo della questione femminile, quale ele‐ mento quasi pregiudiziale allo sviluppo di una nuova società, e senza il quale non è possibile intravedere ii cambiamento della società stessa. Parimenti Berlinguer dedica alla questione giovanile una particolare attenzione volta a cogliere le positività di un movimento come componente esenziale di tutta la battaglia per sviluppare la democrazia e rinnovare la società

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Movimenti

Per la Liberazione della Donna Discorso a Piazza Siena, 13 maggio 1979 Un uomo, un dirigente politico avverte oggi una certa difficoltà a parlare a un pubblico in così grande prevalenza femminile, che giustamente non tolle‐ ra più discorsi vaghi e discorsi paterna‐ listici. È una difficoltà: ma è tuttavia minore se si parla a nome di un partito come il nostro che – sia pure ancora con limiti e ritardi – è certamente il partito che più di ogni altro si è impe‐ gnato da anni, e si impegna, grazie an‐ che al contributo delle sue militanti, a comprendere i problemi delle donne, a battersi con esse per risolverli, a co‐ gliere e a far proprie le novità che ven‐ gono via via affiorando e si vanno affer‐ mando nella coscienza delle donne, nei loro movimenti di emancipazione e di liberazione. Possono dire lo stesso gli altri partiti? Qualcosa si è già visto e saputo. Abbiamo letto ad esempio che nell’assemblea nazionale delle donne socialiste il discorso del segre‐ ta¬rio di quel partito è stato contesta‐ to: non solo e non tanto per avere egli imprudentemente riesumato – la scor‐ sa l’state – la figura di Proudhon, un accanito ultra‐antifemminista: e nem‐ meno soltanto per non essere in grado di dare sicuri affidamenti circa la ele‐ zione di un numero adeguato di candi‐ date socialiste (nel disciolto Parlamen‐ to esisteva una sola rappresentante del PSI): ma soprattutto per non essere entrato nel merito delle questioni po‐ ste dalle compagne socialiste con un documento e con delle relazioni che dimostravano un serio e positivo im‐ pegno di elaborazione. Per quanto ri‐ guarda il partito democristiano, per ora si conosce solo un discorso di An‐ dreotti alle COLF, le collaboratrici do‐ mestiche. Abbiamo appreso che esso è stato tutto una esaltazione della «spi‐ ritualità» del lavoro domestico con‐ trapposto al lavoro produttivo. Siamo ora ansiosi di sentire quello che ha da dire alle donne Fanfani che, con i suoi discorsi del 1974, diede un aiuto non secondario alla nostra battaglia contro l’abrogazione della legge sul divorzio. E Zaccagnini? Ci auguriamo che egli ricordi le molte leggi che furono votate dal Parlamento negli ultimi anni, leggi votate – è vero – anche dalla DC, ma puntualmente presentate dal PCI e

portate avanti con lotte che, spesso, sono durate per anni, per vincere le re‐ sistenze democristiane. Le leggi poi bi‐ sogna applicarle. Ci sono cifre che ri‐ guardano alcuni servizi – nidi e con‐ sultori – realizzati nelle Regioni ammi‐ nistrate dalle sinistre e nel Veneto e Mezzogiorno prevalentemente ammi‐ nistrati dalla DC. I nidi sono: 34 nel Veneto, 68 in Liguria, 155 in Piemonte. 160 nel Lazio, 294 in Emilia‐Romagna. I consultori sono 25 nel Veneto (di cui ben 16 a Venezia, amministrazione di sinistra), 26 (più 57 servizi decentrati) in Liguria, 75 nel Lazio, 89 in Piemon‐ te. 116 in Emilia‐Romagna. Nelle regio‐ ni meridionali tutte amministrate dal‐ la DC, sono stati realizzati complessi‐ vamente 26 asili nido e 27 consultori. Le leggi dunque sono una premessa importante, ma è decisivo saperle e vo‐ lerle applicare. Infine i radicali. Voglia‐ mo vedere come sapranno spiegare al‐ le donne perché hanno cercato di im‐ pedire l’approvazione della legge sul‐ l’aborto, unendo i loro voti a quelli del‐ la DC e dei missini (ciò che volevano e gli interessava era in realtà solo un nuovo referendum). E vorremmo sa‐ pere perché oggi sono interessati solo a disfare quel tanto che la legge riesce a operare, tanto che l’anno scorso essi confluirono a Firenze con il movimen‐ to per la vita al solo scopo di provocare il rinvio alla Corte costituzionale delle norme fondamentali della nuova leg‐ ge. La nostra posizione generale su questo tema la conoscete. La legge è buona e va applicata come uno degli strumenti per eliminare la piaga del‐ l’aborto clandestino. Ma il problema di fondo, la vera scelta di civiltà, è di pre‐ venire il ricorso all’aborto attraverso il controllo delle nascite e, più in genera‐ le, l’educazione sessuale, affinché la maternità sia una scelta libera e re‐ sponsabile. E veniamo a noi comunisti. Noi ci pre‐ sentiamo davanti alle donne all’indo‐ mani di un Congresso che ha posto la questione femminile come uno dei te‐ mi centrali della nostra politica e che ne segna nuovi sviluppi. Nella società capitalistica abbiamo detto, insieme con l’oppressione di classe, si prolunga in nuove forme la più antica soggezio‐

ne Imposta alle donne: quella nei con‐ fronti dell’uomo. Siamo usciti da un vecchio schema, che influenzò anche il pensiero e l’azione di grandi rivolu‐ zionari di ogni tempo, secondo cui pri‐ ma si deve fare la rivoluzione sociale e poi si risolverà la questione femminile. Non deve più essere così: il processo della rivoluzione sociale e quello della liberazione della donna da ogni forma di oppressione, compresa quella che si è storicamente determinata nel campo della sessualità, devono procedere di pari passo e sostenersi l’uno con l’altro. Non starò a ricordare le tante e signifi‐ cative tappe e le conquiste che si è riu‐ sciti a strappare con movimenti che hanno portato in campo grandi masse di donne, di operaie, braccianti, conta‐ dine (ricordiamo le mondine) e anche di impiegate, commesse, intellettuali. studentesse, insegnanti. scrittrici, giornaliste, dando scacco a tante osti‐ nate resistenze delle forze conservatri‐ ci, reazionarie, oscurantiste. Quello è un cammino che abbiamo percorso. e segnato da importanti successi. Al tempo stesso però abbiamo avvertito – anche se non senza ritardi – la verità di cui si facevano portatrici le donne che davano vita ai moderni movimenti femministi. E queste verità abbiamo colto e cercato di interpretare con la visione che è propria di un partito rivo‐ luzionario come il nostro: visione per la quale la forza rinnovatrice dei movi‐ menti autonomi delle donne rappre‐ senta una potenza che deve servire a trasformare, con la condizione delle donne, l’intera società, riconoscendo così un significato generale, un valore politico universale alla lotta per l’emancipazione e la liberazione della donna. Si tratta ora di vedere come an‐ dare avanti, come ha detto la compa‐ gna Adriana Seroni: il ricordo della da‐ ta significativa del 12 maggio, la data della vittoria nel referendum sul divor‐ zio; le conquiste realizzate dopo quella data; i passi avanti compiuti nella co‐ scienza civile; quello che si è riusciti ad ottenere sul piano legislativo per quanto riguarda la condizione della donna nel lavoro, nella famiglia, nei rapporti di proprietà, nella società in generale.


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Movimenti

Conclusioni al Convegno degli Intellettuali 16 gennaio 1977, Teatro Eliseo di Roma Per impegnarci in un progetto di rinnovamento della società, e per fare la proposta di mettersi al lavoro per definirlo, non potevamo atten‐ dere che, prima, maturassero nei partiti le condizioni per un nostro ingresso nel governo. [...] La fase at‐ tuale della nostra vita nazionale è certo gravida di rischi, ma essa offre a noi tutti la grande occasione per un rinnovamento. Questa occasione non può essere perduta: essa è la più grande, forse, – sia detto senza reto‐ rica, – che si presenti al popolo ita‐ liano e alle sue più serie forze politi‐ che da quando è nata la nostra re‐ pubblica democratica. Sta qui una peculiarità italiana, di questo nostro paese dissestato, disordinato, si, ma vivo, carico di energie, forte di un grande spirito democratico; di que‐ sta nostra Italia che è forse la nazio‐ ne nella quale la crisi è più grave che in altre zone del mondo capitalisti‐ co (e non soltanto in senso econo‐ mico, ma anche in quello politico, di minaccia alle istituzioni demo‐ cratiche), e nella quale, però, sono anche maggiori che in molti altri paesi le possibilità per lavorare den‐ tro la crisi stessa, per farla diventare mezzo per un cambiamento genera‐ le della società. La nostra iniziativa non è dunque un atto di propaganda o di esibizione del nostro partito. Vuole essere un atto di fiducia; vuo‐ le essere, ancora una volta, un atto di unità, cioè un contributo che sol‐ lecita quello di altri partiti per av‐ viare un lavoro e chiamare ad un impegno comuni, che coinvolgano tutte le forze democratiche e popo‐ lari. Anche per questo suo carattere e intento unitario, il nostro proget‐ to non vuole essere, non deve esse‐ re, io credo, un programma di tran‐ sizione a una società socialista: più modestamente, e concretamente, esso deve proporsi di delineare uno sviluppo dell’economia e della so‐ cietà le cui caratteristiche e modi nuovi di funzionamento possano raccogliere l’adesione e il consenso anche di quegli italiani che, pur non essendo di idee comuniste o sociali‐

ste, avvertono acutamente la neces‐ sità di liberare se stessi e la nazione dalle ingiustizie, dalle storture, dal‐ le assurdità, dalle lacerazioni a cui ci porta, ormai, l’attuale assetto del‐ la società. Ma chi sente questo assil‐ lo e ha questa aspirazione sincera

non può non riconoscere che, per uscire sicuramente dalle sabbie mo‐ bili in cui rischia di essere inghiotti‐ ta l’odierna società, è indispensabile introdurre in essa alcuni elementi, valori, criteri propri dell’ideale so‐ cialista.


44 Quando poniamo l’obiettivo di una programmazione dello sviluppo che abbia come fine la elevazione del‐ l’uomo nella sua essenza umana e sociale, non come mero individuo contrapposto ai suoi simili; quando poniamo l’obiettivo del superamen‐ to di modelli di consumo e di com‐ portamento ispirati a un esasperato individualismo; quando poniamo l’obiettivo di andare oltre l’appaga‐ mento di esigenze materiali artifi‐ ciosamente indotte, e anche oltre il soddisfacimento, negli attuali modi irrazionali, costosi, alienanti e, per giunta, socialmente discriminatori, di bisogni pur essenziali; quando poniamo l’obiettivo della piena uguaglianza e dell’effettiva libera‐ zione della donna, che è oggi uno dei più grandi temi della vita nazio‐ nale, e non solo di essa; quando po‐ niamo l’obiettivo di una partecipa‐ zione dei lavoratori e dei cittadini al controllo delle aziende, dell’econo‐ mia, dello Stato; quando poniamo l’obiettivo di una solidarietà e di una cooperazione internazionale, che porti a una ridistribuzione della ricchezza su scala mondiale; quan‐ do poniamo obiettivi di tal genere, che cos ‘altro facciamo se non pro‐ porre forme di vita e rapporti fra gli uomini e fra gli Stati più solidali, più sociali, più umani, e dunque tali che escono dal quadro e dalla logica del capitalismo? E tuttavia questi criteri, questi valo‐ ri, questi obiettivi, che indubbia‐ mente sono propri del socialismo, riflettono un’aspirazione che non è esclusivamente della classe operaia e dei partiti operai, dei comunisti e dei socialisti, ma esprimono un’esi‐ genza che oggi può venire – e anzi, viene già – anche da cittadini e strati di popolo e lavoratori di altre matri‐ ci ideali, di altri orientamenti politi‐ ci, in primo luogo di matrice e ispi‐ razione cristiana; è un’esigenza che può venire, e che viene in misura crescente, da aree sociali ben più ampie, che vanno ben al di là della classe operaia.[...] Il nostro proposito è di arrivare nel giro di pochi mesi all’elaborazione di un testo che rappresenti una pri‐ ma base di dibattito e di confronto, ma è anche di stimolare, prima e do‐ po la pubblicazione di tale testo, un

Movimenti vasto e continuo impegno d’iniziati‐ va e di lotta. Anche e proprio perché sentiamo tutta la difficoltà di questa impresa, ma insieme anche la sua necessità e la sua forza di suggestio‐ ne, ci siamo rivolti a voi, ci rivolgia‐ mo a tutte le forze intellettuali af‐ finché siano protagoniste – come ha detto Tortorella esponendo questo tema in un modo giusto ed efficace – e di proposte ed iniziative volte a ridare vitalità, a rinnovare le istitu‐ zioni culturali (a cominciare dalla scuola, dall’università e dai centri di ricerca) e, al tempo stesso, affinché diano il loro apporto alla elabora‐ zione delle scelte complessive, e non solo di quelle di settore, che de‐ vono essere alla base del progetto. Un appello, un invito cosi diretto ed esplicito alla cultura italiana ha oggi una sua ben precisa ragione: infatti, da un lato, come sappiamo, le forze intellettuali hanno oggi in Italia, co‐ me del resto hanno in quasi tutti i paesi capitalistici più sviluppati, un peso sociale quale non avevano mai avuto nel passato, e hanno anche, in Italia, in larghissima misura, un orientamento politico democratico e di sinistra; ma accanto a tale dato positivo (Giulio Einaudi ha messo bene in luce questa contraddizione) vi è quello, negativo, della condizio‐ ne di crisi, di decadimento, di mor‐ tificazione in cui sono state precipi‐ tate le nostre istituzioni culturali dopo trent’anni di potere democra‐ tico‐cristiano e di sviluppo sociale distorto e squilibrato. Ed è evidente che nessuna opera di salvezza e di rinnovamento generale del paese può andare avanti senza superare questa crisi, senza sciogliere questa contraddizione: senza, vorrei dire, una crescita del sapere e dell’amore per il sapere, senza un rinnovamen‐ to degli strumenti del sapere, affin‐ ché la produzione di cultura, e quin‐ di le istituzioni culturali, siano arte‐ fici anch’esse del risanamento e del rinnovamento di tutta la società. II modo in cui poniamo oggi la fun‐ zione della cultura per la trasforma‐ zione del paese corrisponde a una tradizione, a una peculiarità del Partito comunista italiano, come partito della classe operaia, come partito democratico e nazionale, co‐ me grande organismo che è esso

stesso produttore di cultura. Noi ci siamo battuti sempre e ci battiamo per il progresso e l’espansione della vita culturale. Ma in questo nostro impegno dobbiamo sempre guar‐ darci da interventi che possano, nel‐ la benché minima misura, ledere l’autonomia della ricerca teorica, delle attività culturali, della creazio‐ ne artistica, giacché queste hanno come condizione vitale di sviluppo non quella di obbedire a un partito, a uno Stato, a un’ideologia, ma quella di poter dispiegarsi in pie‐ nezza di libertà e di spirito critico. Tale impostazione, che è parte della più generale visione che noi abbia‐ mo dei rapporti tra democrazia e so‐ cialismo, si distingue da quella di al‐ cuni partiti al potere in paesi socia‐ listi; atteggiamenti e comportamen‐ ti del potere politico quali quelli di cui si ha notizia (per esempio in Ce‐ coslovacchia dove siamo di fronte addirittura ad atti di tipo repressi‐ vo), sono per noi inaccettabili in li‐ nea di principio. Interpretando que‐ sta posizione generale del partito al‐ cuni nostri compagni intellettuali hanno preso l’iniziativa di una di‐ chiarazione pubblica, che noi consi‐ deriamo giusta ed opportuna. Fa parte irrinunciabile del nostro patrimonio una concezione che ri‐ conosce l’essere compito del partito comunista, degli altri partiti demo‐ cratici e dei pubblici poteri, in quanto siano orientati anch’essi in senso democratico, da un lato la creazione del clima politico morale e dall’altro lato, l’attuazione delle condizioni materiali, pratiche, orga‐ nizzative che consentano il positivo e libero sviluppo della ricerca, della iniziativa e del dibattito culturale. Ma non è compito né dei partiti, né dello Stato esigere obbedienze, far prevalere concezioni del mondo, li‐ mitare in qualsiasi modo le libertà intellettuali. Ed io, cari compagni ed amici – non senza prima ringraziare tutti voi e in modo del tutto partico‐ lare il compagno Argan, che è venu‐ to a rappresentare la città di Roma e la nuova amministrazione popolare romana – voglio concludere il mio intervento proprio con la tranquilla conferma di questa nostra imposta‐ zione: da essa non dobbiamo disco‐ starci mai.


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Movimenti

Fiducia nei Giovani

Intervista a Nuova generazione, supplemento al n. 92, 14 aprile 1972 [...] vogliamo porti un punto centrale della discussione oggi aperta tra i gio‐ vani: in che senso dobbiamo intende‐ re il termine estremismo, quando par‐ liamo dei gruppi? Nel senso in cui lo usava Lenin, oppure si tratta di qual‐ che cosa di diverso? Al XIII Congresso abbiamo proposto all’attenzione dei compagni quello che ci pare uno dei punti di approdo principali del processo di degenera‐ zione subito da alcuni gruppi: la loro trasformazione da espressione sia pure infantile e velleitaria di una va‐ sta e significativa rivolta dei giovani contro il sistema capitalistico, a for‐ mazioni che si sono schierate contro le organizzazioni del movimento operaio finendo cosi col divenire, an‐ che se talvolta inconsapevolmente, strumenti di operazioni e disegni della destra. Non dimentichiamo pe‐ rò che vi sono ancora giovani che continuano a seguire in buona fede questi gruppi e ai quali abbiamo ri‐ volto e rivolgiamo un discorso chia‐ ro: le loro energie rivoluzionarie de‐ vono esprimersi contro la destra fa‐ scista e reazionaria, contro tutte le forze conservatrici, collegandosi al movimento operaio organizzato e al‐ la sua strategia e tattica fondata sulla lotta unitaria, democratica e di mas‐ sa, che è la sola che può trasformare la società. Alcuni degli orientamenti dei gruppi estremistici sono dunque analoghi a quelli di cui scrisse Lenin. Vi sono però delle diversità, che de‐ rivano sia dalle radici sociali, sia dai comportamenti pratici. Mentre de‐ nunciamo apertamente i fenomeni degenerativi e il ruolo negativo e persino provocatorio di alcuni grup‐ pi estremisti, ribadiamo la nostra convinzione che il movimento dei gio vani che si è sviluppato dal 1968 in poi è stato un fenomeno fonda‐ mentalmente positivo. Non si è trat‐ tato di semplici movimenti di prote‐ sta ma di movimenti politici che na‐ scevano da un disagio materiale e morale profondo, e che esprimevano il distacco di larghi strati di giovani dal sistema di potere e dagli orizzon‐ ti culturali e politici della borghesia.

Fenomeni di questa portata non po‐ tevano non assumere forme radicali anche esasperate. Il nostro atteggia‐ mento ha teso a cogliere le radici reali dei movimenti giovanili ed a cercare di saldarli al grande moto di rinnovamento della nostra società. A favore della nostra linea parlano i ri‐ sultati.Con la nostra apertura e con il confronto critico abbiamo realizzato una saldatura fra il Pci e una parte grande delle nuove generazioni che ha portato tanti giovani ad incon‐ trarsi con il partito e con il suo patri‐ monio ideale e politico, scoprendo il nucleo essenziale del leninismo «tra‐ dotto in italiano» da Gramsci, To‐ gliatti e Longo. L’incontro con il Pci ha voluto dire il passaggio dalla pura negazione e dalla protesta contro il capitalismo in generale alla critica

del capitalismo nella sua concreta e attuale espressione storica in Euro‐ pa, in Italia e nel mondo, ed alla comprensione delle linee di strategia che occorre seguire per avanzare ver‐ so il socialismo, nelle condizioni del‐ la nostra epoca e del nostro paese, Per superare l’estremismo è necessa‐ ria «l’analisi concreta della situazio‐ ne concreta». Quando questo avvie‐ ne – come è avvenuto in Italia per de‐ cine di migliaia di giovani che sono entrati nelle nostre file – l’avversario, che può tollerare piuttosto agevol‐ mente le forme di contestazione «spontanee» e utopistiche, è acceca‐ to dalla rabbia e dalla paura, perché si rende conto di che cosa significa il passaggio dalla pura ribellione e pro‐ testa alla scienza ed alla organizza‐ zione rivoluzionaria.


46 Come sai, spesso alcuni gruppi ci attac‐ cano su determinati aspetti della no‐ stra strategia, per esempio sulla nostra ricerca di ampie alleanze sociali e poli‐ tiche e sulla nostra scelta di una lotta che deve svolgersi sul terreno democra‐ tico, ricavando ne la conclusione che noi saremmo dei riformisti e vorremmo attenuare le tensioni che più combatti‐ vamente mettono in discussione il si‐ stema capitalistico. La risposta a questa accusa è nei fatti. Tutti vedono che la classe dominante italiana non riesce a chiudere a proprio vantaggio la crisi aperta nel paese, per‐ ché ha contro di sé un grande e agguer‐ rito movimento di massa, alla cui testa siamo noi comunisti, che riesce ad in‐ calzarla su tutti i terreni con una giusta strategia. Non per caso i nostri avversari cercano con ogni mezzo (dalle pro‐ vocazioni criminali, all’incoraggiamen‐ to dato ai gruppi estremisti, all’appoggio parallelo alle correnti riformiste, ecc.) di farci abbandonare questa strategia che muove le cose, muta nei fatti i rapporti di forza, fa avanzare giorno per giorno il movimento operaio, conquista l’adesio‐ ne ideale e impegna e dà slancio a sem‐ pre nuove energie, a cominciare da quelle dei giovani. [...] Ma forse è meglio che ci occupiamo ora dei problemi veri delle grandi masse giovanili, che sono quelli su cui devono lavorare la Fgci e il partito. A questo proposito qual è il tuo giudizio? Vi è un aggravamento delle condizioni di vita complessive della gioventù ita‐

Movimenti liana. [...] Certo, accanto al problema del lavoro, i giovani sentono acutamente problemi come quelli della scuola e della famiglia, due momenti della formazione del gio‐ vane in quanto uomo e cittadino, due forme della vita associata poste in crisi dai meccanismi spontanei e dai miti del capitalismo «sviluppato» e da venti anni di politica democristiana. [...] È giusto considerare dunque il movimen‐ to studentesco come componente essen‐ ziale di tutta la battaglia per sviluppare la democrazia e per rinnovare la società nella direzione del socialismo? Si. Noi comunisti abbiamo sempre con‐ siderato che la lotta nella scuola non de‐ ve proporsi solo l’obiettivo della sua ri‐ forma. Essa va collegata a precisi obiet‐ tivi di democrazia e di rinnovamento delle strutture sociali. Basta pensare, ad esempio, all’acutezza che hanno proble‐ mi come quelli della qualificazione cul‐ turale, degli sbocchi professionali, della disoccupazione intellettuale. Ma per questo occorre colpire in primo luogo concezioni ed ordinamenti scolastici re‐ trivi e classisti, sacche di potere barona‐ le, cosche corrompitrici e parassitarie che allignano e prolifica no in tutti i gra‐ di della scuola è dell’istruzione, distor‐ cendo e comprimendo, a vantaggio dei gruppi capitalistici dominanti, la forma‐ zione culturale e professionale dell’uo‐ mo, del lavoratore, del cittadino. Eppure c’è chi disprezza questo terreno di lotta e lo considera arretrato e se‐ condario rispetto allo scontro di classe

reale. Chi disprezza questo terreno di lotta non è «più rivoluzionario»: di fatto ri‐ nuncia a compiti forse meno facili di al‐ tri, ma non eludibili, e si rifugia in una pura fraseologia pseudo‐rivoluzionaria o in azioni velleitarie. Bisogna tener conto, inoltre, che è anche e soprattutto nella scuola che le avanguardie degli studenti possono crearsi vere e salde ba‐ si di massa, e mettersi quindi in condi‐ zione di portare fuori dalle scuole e dal‐ le università in tutte le lotte sociali, de‐ mocratiche e antimperialistiche della classe operaia e delle sue organizzazioni sindacali e politiche, l’apporto non solo di gruppi avanzati, ma di masse sempre più ampie di studenti. In questo senso anche la presenza e la lotta delle ragazze hanno un forte valo‐ re democratico. Direi di più, un valore profondamente rivoluzionario. La «questione femmini‐ le», infatti, non deve essere considerata una questione di retroguardia; al con‐ trario, lo sviluppo capitalistico determi‐ na una accentuazione della condizione servile e di inferiorità della donna non riducibile agli aspetti economici e socia‐ li. Perciò la lotta per l’emancipazione della donna comporta un radicale rin‐ novamento politico, ideale e del costu‐ me del nostro paese: come giovani e co‐ me donne, le ragazze devono sentire tutta l’urgenza di un loro impegno di‐ retto nell’azione sindacale, sociale e po‐ litica, nelle campagne, nelle fabbriche, nella scuola, nel paese.


Biografia

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Enrico Berlinguer Biografia

Enrico Berlinguer nasce il 25 maggio del 1922 a Sassari. Nel‐ la cittadina sarda trascorre l'infanzia e l'adolescenza, fre‐ quenta il liceo classico Azuni e nel 1940 si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza. Nell'agosto del 1943 aderisce al PCI. Ini‐ zia allora il suo impegno politico con la partecipazione alle lotte antifasciste dell'Italia badogliana dove impera la guer‐ ra civile. Nel gennaio del 1944 viene arrestato con l'accusa di essere il principale istigatore delle manifestazioni per il pane, che si sono svolte nei mesi precedenti. Resta in car‐ cere quattro mesi. A settembre si trasferisce a Roma con la famiglia, poi a Milano dove lavora nel Fronte della gioven‐ tù, il movimento politico fondato da Eugenio Curiel per co‐ ordinare l'arcipelago delle organizzazioni giovanili antifa‐ sciste. La sua carriera politica nel PCI comincia nel gennaio del 1948, quando a ventisei anni entra nella direzione del partito e meno di un anno dopo diventa segretario generale della FGCI, la Federazione giovanile comunista. Nel 1958 Berlinguer entra nella segreteria del partito per affiancare Luigi Longo, vicesegretario e responsabile dell'ufficio di se‐ greteria. Da allora il rapporto fra Berlinguer e il segretario Togliatti diviene quotidiano. All'XI Congresso, nel gennaio del 1966, Berlinguer si fa interprete delle esigenze di tutto il partito presentandosi come un mediatore di prima gran‐ dezza. È un successo personale, confermato due anni dopo dalle elezioni del 1968 in cui è capolista nel Lazio. Un suc‐ cesso che esplode e si diffonde dopo i fatti di Praga. Berlin‐ guer condanna l'intervento sovietico in Cecoslovacchia e re‐ spinge «il concetto che possa esservi un modello di società socialista unico e valido per tutte le situazioni». Nel 1972 Berlinguer diviene segretario del PCI e al XII congresso ri‐ prende la formula togliattiana della collaborazione fra le grandi forze popolari: comunista, socialista e cattolica. Ma c'è anche di più, non si tratta solo di ribadire la tesi che To‐ gliatti espresse sin dalla fine della seconda guerra mondiale. Con tre articoli su «Rinascita», fra il settembre e l'ottobre del 1973, Berlinguer propone la sua analisi della società moderna partendo dal colpo di Stato in Cile, che ha mostrato a cosa può andare incontro una democrazia fragile. Così scrive il 12 ottobre del 1973: «la gravità dei problemi del paese, le minac‐ ce sempre incombenti di avventure reazionarie e la necessità di aprire finalmente alla nazione una sicura via di sviluppo economico, di rinnovamento sociale e di progresso democra‐ tico rendono sempre più urgente e maturo che si giunga a quello che può essere definito il nuovo grande compromesso storico tra le forze che raccolgono e rappresentano la grande maggioranza del popolo italiano». Lo spiega chiaramente. L'Italia è una democrazia debole che ha bisogno di un'alter‐ nativa condivisa e costruita dai grandi partiti di massa. Il grande successo elettorale, ottenuto dai comunisti italiani al‐ le elezioni del 1975 e del 1976, conferma l'intuizione di Ber‐ linguer e sconvolge il sistema politico, ormai da anni afflitto da un'endemica instabilità e bloccato dalla DC che è al centro dei governi e delle maggioranze parlamentari. I tempi sem‐ brano maturi per un cambiamento radicale della politica ita‐ liana. Nel 1976 accanto alla proposta del compromesso stori‐ co, Berlinguer esplicita l'altro tema della sua politica di diri‐

gente comunista: rompe con il Partito Comunista sovietico. A Mosca, davanti a 5 mila delegati Berlinguer parla del valore della democrazia e del pluralismo, sottolinea l'autonomia del PCI dall'URSS e condanna l'interferenza dei sovietici nelle questioni dei partiti socialisti e comunisti degli altri paesi. È l'eurocomunismo. Con il compromesso storico e l'euroco‐ munismo, Berlinguer porta il PCI, dopo le elezioni del 1976, al primo governo della solidarietà nazionale. Si tratta di un monocolore democristiano che si regge sulla «non sfiducia», cioè sull'astensione dei vecchi partners di governo ai quali si aggiungono i comunisti. A sinistra, molti sottolineano che non è questa la ratio del compromesso storico e che il PCI non riuscirà ad ottenere ciò che ha chiesto ai democristiani in cambio della non sfiducia. E, infatti, le elezioni del 1977 non lo premiano. Nel gennaio 1978 Berlinguer incontra Aldo Moro, il leader democristiano con cui ha costruito il governo della solidarietà nazionale e gli chiede di agevolare l'entrata dei comunisti al governo. Ma ad opporsi sono in molti: la de‐ stra democristiana, il Vaticano, gli amici americani, la destra italiana. E intanto nel paese il terrorismo miete le sue vitti‐ me; due mesi dopo le BR rapiscono e uccidono Moro. È la fi‐ ne della solidarietà nazionale e del progetto di Berlinguer. Il PCI torna all'opposizione. Nel 1981, in un'intervista a Euge‐ nio Scalfari, Berlinguer accusa la classe politica italiana di corruzione, sollevando la cosiddetta questione morale. È l'analisi di un grande leader politico che l'11 giugno del 1984 a Padova, mentre conclude la campagna elettorale per le ele‐ zioni europee, viene colpito da un ictus. Il suo funerale è sta‐ to il più imponente della storia d'Italia, dopo quello di Gio‐ vanni Paolo II. A Roma erano milioni i cittadini che lo salu‐ tarono l'ultima volta.


30 Ottobre 2013– Palazzo Trinci Ricordo di Enrico Berlinguer “la storia, il presente e il futuro: le ragioni di un nuovo impegno civile e politico” Convegno divulgativo 17,00 Apertura e introduzione del convegno 17.15 La storia siamo noi Intervista a Berlinguer di Giovanni Minoli 17,45 Presentazione di “Piazza del Grano” 18,00 On. Walter Veltroni


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