Mensile di informazione, politica e cultura dell’Associazione Luciana Fittaioli - Anno IV, n. 4 settembre 2012 - distribuzione gratuita
“Prima di giudicare (e per la storia in atto o politica il giudizio è l’azione) occorre conoscere e per conoscere occorre sapere tutto ciò che è possibile sapere” (Antonio Gramsci) “Faremo il possibile per esporre in forma semplice e popolare, senza presupporre la conoscenza nemmeno dei concetti più elementari. Vogliamo farci comprendere dagli operai.” (Karl Marx)
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L’Editoriale
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“Gli amministratori debbono avere massimo rispetto per gli organi che li hanno eletti, per gli organismi rappresentativi dei lavoratori.” (Giuseppe Dozza, primo Sindaco di Bologna) di SANDRO RIDOLFI
La foto di copertina mostra uno scorcio particolare della nostra città com’è oggi: la Piazza S. Francesco verso via Rutili sino alla facciata dell’ex Teatro Piermarini. E’ uno dei tanti scorci simili che potrebbero essere ripresi in altrettanti luoghi della città oggi, che si ripeteranno domani e per un certo numero di domani in altri luoghi fino a che non sarà completata la grande opera di ripavimentazione dell’intero centro urbano. Un’opera grande, quasi epocale per la storia della nostra sostanzialmente piccola e certamente non ricca città. Un’opera dai molteplici aspetti e ricadute positive: dal risanamento delle reti sottostradali a grande beneficio della sicurezza e della qualità dell’erogazione dei servizi in condotta, all’indubbio valore estetico e di fruibilità della pavimentazione superficiale, alla notevole dimensione dei finanziamenti straordinari fortunatamente ricevuti che generano lavoro e quindi economia in un contesto, peraltro, di grandissima sofferenza e dunque, benvenuti. Poi però ci sono anche gli aspetti e le ricadute negative conseguenti a un blocco, se non certamente totale, tuttavia molto importante della vita del centro urbano di una città, per storia millenaria, vocata al commercio. La ricaduta negativa è pesante, taluni dati dicono pesantissima, certamente non tutta causata dalle difficoltà della viabilità. Congiura in questi tempi una crisi generale dell’economia dell’intero occidente caratterizzata, tra l’altro, proprio da un forte caduta dei consumi. Coniugando ora la crisi mondiale con i disagi locali l’effetto negativo subisce un’indubbia amplificazione. E’ legittimo porsi delle domande: sarebbe stato opportuno differire un così vasto intervento sulla viabilità dell’intero centro storico commerciale a un momento di congiuntura economica meno sfavorevo-
le? Sarebbe stato possibile organizzare diversamente l’intervento, magari diluendolo in un tempo più lungo con interventi frazionati meno invasivi e bloccanti? La risposta più ovvia è quella della proverbiale “coperta”: avviare le opere di pavimentazione significa creare lavoro edile e d’impiantistica e quindi sostenere una parte dell’economia del nostro territorio in forte sofferenza; d’altro lato però l’avvio di quel tipo di opere ha l’inevitabile conseguenza perversa di compromettere un’altra parte dell’economia cittadina, quella legata al commercio. Una scelta indubbiamente difficile, ulteriormente complicata dalla natura dei finanziamenti straordinari e dalle vincolanti regole degli appalti pubblici. Andrà aggiunto che quando tale scelta venne fatta nessuno poteva prevedere la gravità, la violenza e la rapidità della crisi economica in corso. Si potevano e si dovevano prevedere e mettere nel conto dei disagi, anche forti, ma non certo l’attuale situazione di crisi del commercio cittadino a rischio di agonia. Ancora una domanda: si potrebbe ripensare oggi qualche intervento correttivo o di mitigazione dell’impatto bloccante? Sembrerebbe logico dire sì; eppure sul punto non s’è sentita una voce. Ma non è questo il messaggio che l’articolo vuole trarre da quella foto di copertina che ritrae un paesaggio lunare, una colata di cemento ferma oramai da diversi mesi, piena di blocchi di pietre, lastre di ferro, palizzate di metallo e rete di plastica rossa e tanti cartelli “intimidatori” di pericolo e dissuasione. Ed eccoci infine al punto: il rispetto. Quel che mostra quella foto di copertina è una manifestazione, senza mezzi termini, di un atteggiamento offensivo dei diritti, anche psicologici e umani dei cittadini. E’ giusto abbandonare per tanti mesi già trascorsi e altri ancora ne passeranno, aree così vaste e nevralgiche della città in condizioni di cantiere incompiuto polveroso e squallido? E’ giusto non cercare idee, soluzioni, invenzioni per mitigare quell’impatto, per rendere di-
gnitosa e vivibile quella come le altre tante aree in condizioni similari, pur nelle oggettive difficoltà del completamento delle opere di pavimentazione? Forse mancano le pietre, forse mancano gli scalpellini posatori, forse ritardano le imprese, non si può pretendere l’impossibile da chi, appunto, non ha la possibilità di fare di più, almeno su quel piano. Ma sarebbe possibile fare qualcosa d’altro? Potrebbero non occorre grandi e costosi mezzi, giusto per dire: fioriere, guide, totem e pannelli, luci, qualsiasi cosa insomma che possa rendere persino curioso, originale, interessante un percorso diversamente, così com’è oggi, lunare. Eppure alcuni degli attuali amministratori (molti) conoscono bene questa città e i suoi abitanti occupando persino da oltre un trentennio posizioni apicali nella politica cittadina. Eppure alcuni degli attuali amministratori (molti) svolgono questa funzione a tempo pieno come unico impiego retribuito e dunque ne avrebbero di tempo per impegnarsi anche su questa questione. Ma perché ciò accada occorre una cultura dell’amministrazione locale che sembra essersi persa nel tempo anche nella nostra città che pure ne era stata bandiera nei decenni passati. E qui si giunge al passaggio più delicato e difficile. La cultura della polis democratica, della città/comunità del vivere civile, richiede una coscienza dei cittadini che non si sentano e non si pongano passivamente come spettatori o clienti di un’amministrazione delegata e separata da loro. Occorre che i cittadini non esauriscano, non solo i loro diritti, ma anche i loro doveri con il solo voto di delega, ma partecipino attivamente alla vita della loro polis: controllando, chiedendo, ma anche proponendo e agendo attivamente. Dunque l’ultima domanda: i cittadini, i folignati, i veri padroni e utilizzatori della città, cosa fanno? Si limitano a lamentarsi, a questuare, a protestare disillusi e passivi o reagiscono e promuovono? Perché altrimenti vuol dire che, in fondo in fondo, va bene così!
4 Sommario del mese di settembre ex Zuccherificio Nuovi scenari geo-politici di Guido Tofi
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Ricostruzione Un bilancio a 14 anni dal sisma di Andrea Tofi
pagina 13
Ricchezza Labirintica agricoltura di Sol Bapp
pagina 17
Migranti Una vita da migrante - Sanatoria 2012 di Loretta Ottaviani
pagina 21
Denocrazia Bandiera Rossa sull’Hotel de Ville di @barberini.it
pagina 25
Comunità Terapeutiche Luoghi alternativi extraospedalieri di Clara Caltagirone e Roberto Quintiliani
pagina 29
Teatro Un’opera Migrante a cura del TLS Belli di Spoleto
pagina 33
Scuola Due scuole a confronto Italia e Cina di Giovanni Nicosia e Sara Mirti
pagina 37
Linguaggio Base e sovrastruttura di Sandro Ridolfi
pagina 41
Gelose Inquiete come fantasime di Sara Mirti
pagina 45
Musica L’accordatura del pianoforte di Jacopo Feliciani e Paolo Parigi
pagina 49
Cucina Il libro del mangiare gustoso e sano di Autori Vari
pagina 53
Inediti L’invero è finito di Katia Marani
pagina 55
Redazione: Corso Cavour n. 39 06034 Foligno redazionepiazzadelgrano@yahoo.it
Autorizzazione: tribunale di Perugia n. 29/2009 Editore: Sandro Ridolfi Direttore Responsabile: Maura Donati Sito Internet:
Andrea Tofi Stampa: GTP Srl Città di Castello Chiuso: 26 agosto 2012 Tiratura: 3.000 copie Periodico dell’Associazione “Luciana Fittaioli”
Sindaco
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La figura del Sindaco tra passato, presente e futuro alla luce della crisi dei partiti
DI
LUIGI NAPOLITANO
Il Sindaco è l’organo monocratico a capo del Comune. Insieme alla giunta e al consiglio ne forma l’intero governo. Come figura fu introdotta, con il dominio napoleonico, in un sistema di organizzazione piramidale-gerarchico dei poteri locali; ripresa nella legislazione del Regno di Sardegna fu poi estesa all’in-
tero territorio nazionale. Dura in carica cinque anni ed è rieleggibile per due soli mandati consecutivi. Rappresenta l'ente; nomina e revoca gli assessori il cui ruolo è incompatibile con quello di consigliere, nomina il segretario comunale; funzionalmente compie tutti gli atti previsti dagli artt. 50 e 54 del D. Lgs. 267 del 2000. Quando agisce nella veste di organo locale dello Stato è ufficiale del Governo.
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ono ormai trascorsi circa venti anni dall’entrata in vigore della legge che ha attribuito al sindaco, eletto direttamente dai cittadini, il ruolo centrale dell’amministrazione cittadina e quella di capo di una maggioranza politica. Legge che ha, inoltre, il merito di aver fatto perdere la memoria dell’epoca in cui il mandato amministrativo rappresentava quasi un intermezzo tra periodi di crisi più o meno lunghi. Rappresentazione questa, su scala ridotta, della ribalta nazionale, dominata dalle dinamiche interne dei partiti, prodromiche di carriere politiche personali che avevano, in genere, come naturale con-
Sindaco seguenza la creazione di giunte instabili, svuotate di autorevolezza e capacità di incidere nel tessuto sociale cittadino. Il tutto nell’ambito di un mutato ruolo delle città che hanno assunto negli anni un’importanza primaria nell’attrazione di risorse intellettuali, diventando laboratori di attività economiche innovative, primo terreno di confronto di diverse etnie, culture, religioni. li aspetti, senz’altro positivi, della legge sono da individuare nel rapporto di legittimazione democratica e nella stabilità del mandato; quelli negativi nel depotenziamento dell’assemblea eletti-
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Decreto Legislativo 18 agosto 2000, n. 267 "Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali" Articolo 46 Elezione del sindaco e del presidente della provincia - Nomina della giunta 1. Il sindaco e il presidente della provincia sono eletti dai cittadini a suffragio universale e diretto secondo le disposizioni dettate dalla legge e sono membri dei rispettivi consigli. 2. Il sindaco e il presidente della provincia nominano i componenti della giunta, tra cui un vicesindaco e un vicepresidente, e ne danno comunicazione al consiglio nella prima seduta successiva alla elezione. 3. Entro il termine fissato dallo statuto, il sindaco o il presidente della provincia, sentita la giunta, presenta al consiglio le linee programmatiche relative alle azioni e ai progetti da realizzare nel corso del mandato. 4. Il sindaco e il presidente della provincia possono revocare uno o piu' assessori, dandone motivata comunicazione al consiglio.Articolo 50 Competenze del sindaco e del presidente della provincia 1. Il sindaco e il presidente della provincia sono gli organi responsabili dell'amministrazione del comune e della provincia. 2. Il sindaco e il presidente della provincia rappresentano l'ente, convocano e presiedono la giunta, nonché il consiglio quando non e' previsto il presidente del consiglio, e sovrintendono al funzionamento dei servizi e degli uffici e all'esecuzione degli atti. 3. Salvo quanto previsto dall'articolo 107 essi esercitano le funzioni loro attribuite dalle leggi, dallo statuto e dai regolamenti e sovrintendono altresì all'espletamento delle funzioni statali e regionali attribuite o delegate al comune e alla provincia. 4. Il sindaco esercita altresì le altre funzioni attribuitegli quale autorità locale nelle materie previste da specifiche disposizioni di legge. 5. In particolare, in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale le ordinanze contingibili e urgenti sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunità locale. Negli altri casi l'adozione dei prov-
va e nella ridotta promozione di una classe dirigente giovane; discutibile risulta l’effetto di un’eccessiva personalizzazione del ruolo. uttavia gli elementi che hanno più di ogni altro potenziato la figura e il ruolo del Sindaco sono state, da un lato le mutate tendenze dell’economia, dall’altro la crisi della politica con l’implosione dei partiti. In un recente passato lo strumento principale per la crescita di una città e l’attività preponderante dell’amministrazione si concretizzavano nello sviluppo urbanistico, attuato mediante la rivisitazione del piano regolatore.
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vedimenti d'urgenza ivi compresa la costituzione di centri e organismi di referenza o assistenza, spetta allo Stato o alle regioni in ragione della dimensione dell'emergenza e dell'eventuale interessamento di più ambiti territoriali regionali. 6. In caso di emergenza che interessi il territorio di più comuni, ogni sindaco adotta le misure necessarie fino a quando non intervengano i soggetti competenti ai sensi del precedente comma. 7. Il sindaco, altresì, coordina e riorganizza, sulla base degli indirizzi espressi dal consiglio comunale e nell'ambito dei criteri eventualmente indicati dalla regione, gli orari degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e dei servizi pubblici, nonché, d'intesa con i responsabili territorialmente competenti delle amministrazioni interessate, gli orari di apertura al pubblico degli uffici pubblici localizzati nel territorio, al fine di armonizzare l'espletamento dei servizi con le esigenze complessive e generali degli utenti. 8. Sulla base degli indirizzi stabiliti dal consiglio il sindaco e il presidente della provincia provvedono alla nomina, alla designazione e alla revoca dei rappresentanti del comune e della provincia presso enti, aziende ed istituzioni. 9. Tutte le nomine e le designazioni debbono essere effettuate entro quarantacinque giorni dall'insediamento ovvero entro i termini di scadenza del precedente incarico. In mancanza, il comitato regionale di controllo adotta i provvedimenti sostitutivi ai sensi dell'articolo 136. 10. Il sindaco e il presidente della provincia nominano i responsabili degli uffici e dei servizi, attribuiscono e definiscono gli incarichi dirigenziali e quelli di collaborazione esterna secondo le modalità ed i criteri stabiliti dagli articoli 109 e 110, nonché dai rispettivi statuti e regolamenti comunali e provinciali. 11. Il sindaco e il presidente della provincia prestano davanti al consiglio, nella seduta di insediamento, il giuramento di osservare lealmente la Costituzione italiana. 12. Distintivo del sindaco e' la fascia tricolore con lo stemma della Repubblica e lo stemma del comune, da portarsi a tracolla. Distintivo del presidente della provincia e' una fascia di colore azzurro con lo stemma della Repubblica e lo stemma della propria provincia, da portare a tracolla.
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ggi, compito degli organi di governo cittadino, e del Sindaco in primis, è quello di seguire nuovi orientamenti, nel solco dell’innovazione tecnologica, tendenti ad aumentare i fattori di attrazione per le imprese, costituendo questo l’unico strumento capace di creare nuove occasioni di lavoro. Questa attività primaria deve essere affiancata da altre iniziative come la produzione di servizi, la promozione di eventi culturali, di spettacolo e commerciali capaci di attrarre visitatori e capitali in un clima di sicurezza e pacifica convivenza della popolazione sempre più multietnica, in un sistema che non trascuri la solidarietà, sem-
pre più penalizzata dai tagli statali, e la sicurezza. Compito del Sindaco è, dunque, quello di reinventare la città senza tradirne le tradizioni ma afferrando, prima di altri, le occasioni che una società in rapida evoluzione sociale ed economica offre l Sindaco deve assolvere il compito di proiettare nel tempo la progettualità del disegno politico con piani strategici che coniugano il bene della città ed il consenso. Compito questo reso più arduo dalla crisi dei partiti che avrebbero dovuto assolvere la funzione di creare il consenso, senza il quale diventa impossibile governare. Si è così generato un corto circuito in virtù del quale gli organi di go-
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Articolo 51 Durata del mandato del sindaco, del presidente della provincia e dei consigli. Limitazione dei mandati 1. Il sindaco e il consiglio comunale, il presidente della provincia e il consiglio provinciale durano in carica per un periodo di cinque anni. 2. Chi ha ricoperto per due mandati consecutivi la carica di sindaco e di presidente della provincia non e', allo scadere del secondo mandato, immediatamente rieleggibile alle medesime cariche. 3. E' consentito un terzo mandato consecutivo se uno dei due mandati precedenti ha avuto durata inferiore a due anni, sei mesi e un giorno, per causa diversa dalle dimissioni volontarie. Articolo 52 Mozione di sfiducia 1. Il voto del consiglio comunale o del consiglio provinciale contrario ad una proposta del sindaco, del presidente della provincia o delle rispettive giunte non comporta le dimissioni degli stessi. 2. Il sindaco, il presidente della provincia e le rispettive giunte cessano dalla carica in caso di approvazione di una mozione di sfiducia votata per appello nominale dalla maggioranza assoluta dei componenti il consiglio. La mozione di sfiducia deve essere motivata e sottoscritta da almeno due quinti dei consiglieri assegnati, senza computare a tal fine il sindaco e il presidente della provincia, e viene messa in discussione non prima di dieci giorni e non oltre trenta giorni dalla sua presentazione. Se la mozione viene approvata, si procede allo scioglimento del consiglio e alla nomina di un commissario ai sensi dell'articolo 141. Articolo 54 A ttribuzioni del sindaco nei servizi di competenza statale 1. Il sindaco, quale ufficiale del Governo, sovraintende: a ) alla tenuta dei registri di stato civile e di popolazione ed agli adempimenti demandatigli dalle leggi in materia elettorale, di leva militare e di statistica;b) alla emanazione degli atti che gli sono attribuiti dalle leggi e dai regolamenti in materia di ordine e di sicurezza pubblica;c) allo svolgimento, in materia di pubblica sicurezza e di polizia giudiziaria, delle funzioni affidategli dalla legge;d) alla vigilanza su tutto quanto possa interessare la sicu-
verno cittadino appaiono più interessati alla creazione del consenso immediato che a scelte di ampio respiro, finalizzate al miglioramento della qualità della vita cittadina. ’ invece indispensabile che i sindaci diventino leader di complessi processi di ridefinizione delle prospettive di sviluppo dei territori amministrati, attivando il coinvolgimento degli attori economici e sociali, locali e non. E’ in un quadro del genere che, a mio avviso, dovrebbero porsi coloro che si candideranno in futuro a guidare le amministrazioni cittadine. Con un progetto chiaro, sintetico, concreto e soprattutto realizzabile.
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rezza e l'ordine pubblico, informandone il prefetto. 2. Il sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta, con atto motivato e nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico, provvedimenti contingibili e urgenti al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità dei cittadini; per l'esecuzione dei relativi ordini può richiedere al prefetto, ove occorra, l'assistenza della forza pubblica. 3. In casi di emergenza, connessi, con il traffico e/o con l'inquinamento atmosferico o acustico, ovvero quando a causa di circostanze straordinarie si verifichino particolari necessità dell'utenza, il sindaco può modificare gli orari degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e dei servizi pubblici, nonché, d'intesa con i responsabili territorialmente competenti delle amministrazioni interessate, gli orari di apertura al pubblico degli uffici pubblici localizzati nel territorio, adottando i provvedimenti di cui al comma 2. 4. Se l'ordinanza adottata ai sensi del comma 2 e' rivolta a persone determinate e queste non ottemperano all'ordine impartito, il sindaco può provvedere d'ufficio a spese degli interessati, senza pregiudizio dell'azione penale per i reati in cui fossero incorsi. 5. Chi sostituisce il sindaco esercita anche le funzioni di cui al presente articolo. 6. Nell'ambito dei servizi di cui al presente articolo, il prefetto può disporre ispezioni per accertare il regolare funzionamento dei servizi stessi nonché per l'acquisizione di dati e notizie interessanti altri servizi di carattere generale. 7. Nelle materie previste dalle lettere a), b), c) e d) del comma 1, nonché dall'articolo 14, il sindaco, previa comunicazione al prefetto, può delegare l'esercizio delle funzioni ivi indicate al presidente del consiglio circoscrizionale; ove non siano costituiti gli organi di decentramento comunale, il sindaco può conferire la delega ad un consigliere comunale per l'esercizio delle funzioni nei quartieri e nelle frazioni. 8. Ove il sindaco o chi ne esercita le funzioni non adempia ai compiti di cui al presente articolo, il prefetto può nominare un commissario per l'adempimento delle funzioni stesse. 9. Alle spese per il commissario provvede l'ente interessato. 10. Ove il sindaco non adotti i provvedimenti di cui al comma 2, il prefetto provvede con propria ordinanza.
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Non è a caso che dal nuovo grande partito del popolo, dal Partito comunista nella sua compiuta visione democratica e progressiva, parte l'iniziativa per una più profonda democratizzazione della vita pubblica anche locale. Ma sarebbe il più funesto degli errori ritenere che la funzione dei comunisti sia semplicemente di lottare sul terreno propagandistico o su quello legislativo per l'autonomia amministrativa degli enti locali, e che in attesa di conquistare tale obbiettivo altro non sia possibile fare che dell'ordinaria amministrazione. Le difficoltà, lo sappiamo bene per esperienza, sono grandissime, ma non bisogna lasciarsi arrestare da esse. Funzione del Partito comunista è precisamente di aiutare le masse popolari a superare le difficoltà che esse incontrano nella loro dura vita di ogni giorno. Bisogna sforzarsi di tradurre in atto una pubblica amministrazione costruttiva nell'interesse del popolo. E se per questa strada incontreremo, come certamente incontreremo, degli ostacoli, ciò renderà più concreta agli occhi delle popolazioni che cosa è quell'auspicata autonomia amministrativa che, presentata in termini generici, riesce spesso poco comprensibile alle masse popolari; ciò che non potrà non aiutare l'azione che sarà necessario svolgere per raggiungere quegli obbiettivi per i quali l'unità di tutto
il popolo è già fatta. Funzione essenziale che noi riconosciamo alle amministrazioni comunali popolari dirette da comunisti è di agire nel senso di avviare alla più rapida soluzione possibile alcuni problemi essenziali. Un buon sindaco può aumentare il prestigio del Partito comunista: un sindaco che si allontani dallanimo del popolo può gravemente comprometterlo. Il legame e l'accordo fra gli organi dirigenti locali del Partito ed i compagni amministratori dev'essere stretto e permanente. Gli amministratori sono tenuti a rendere conte al Partito del loro operato, mentre debbono avere massimo rispetto per gli organi che li hanno eletti, per gli organismi rappresentativi dei lavoratori. Rendere conto del proprio operato, chiedere lausilio e il consiglio degli elettori è una delle caratteristiche dellamministratore comunista che è popolo in mezzo al popolo. E per questa via esso farà appello alle immense energie che sono latenti nel popolo e bisogna saper sprigionare, organizzando in forme molteplici la collaborazione degli operai e dei tecnici, degli intellettuali e dei contadini con coloro che in questo momento hanno la grande responsabilità e il non indifferente peso di reggere le pubbliche amministrazioni. Giuseppe Dozza
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Zuccherificio nuovi scenari geo-politici
Nel numero di giugno abbiamo pubblicato un articolo, a firma dell’editore, sulla questione del maxi progetto di recupero dell’area dismessa (abbandonata) da numerosi anni dell’ex zuccherificio. Discostandosi dai toni (senza offesa, ma sinceramente) da gossip dell’intenso dibattito cittadino che in quelle settimane “infiammava” la presentazione del progetto infrastrutturale ed edilizio, in coerenza con la linea politica e culturale di questa rivista marxista, l’articolo ha inteso evidenziare taluni dei profili di criticità “reali” dell’iniziativa, senza esporre “opinioni” che non fossero la logica conseguenza delle dette evidenziazioni di criticità. Lo scopo era quello di stimolare un dibattito cittadino, concreto e documentato, su di un tema di così grande importanza per le potenziali vaste ricadute sul sistema economico, e quindi socia-
le e culturale, dell’intera città. Concludevano l’articolo con l’invito: “Parliamone, il dibattito è aperto anche su questo giornale”. Riceviamo ora un contributo alla discussione da parte di un imprenditore locale, particolarmente coinvolto nell’iniziativa edilizia, che spiega e, soprattutto, motiva e documenta, le ragioni “reali” dell’opportunità dell’iniziativa edilizia, urbanistica e commerciale, rappresentandone le potenziali ricadute positive sia sul contesto economico contingente, che sulle prospettive di più lungo periodo della crescita, anche sociale e culturale, della città e dell’intero suo territorio di attrazione. Pubblichiamo volentieri il contributo ringraziando l’autore, auspicando che questo intervento possa costituire un’occasione di stimolo per ulteriori contributi dialettici, ovviamente, motivati e documentati.
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Zuccherificio
Una critica costruttiva per sostenere il progetto di recupero dell'area dell'ex zuccherificio: una proiezione della storia per la rinascita di un'intera città DI
GUIDO TOFI
Gentile Editore, raccolgo il Suo invito a partecipare al dibattito per intervenire sul tema del recupero dell’area Ex Zuccherificio. Il mio intervento è volto ad evidenziare le molteplici note positive che caratterizzano il progetto e dissentire dalle critiche, certamente eccessive, che il mensile Piazza del Grano ha puntualmente esposto. All’assemblea pubblica di presentazione del progetto (illustrato dagli architetti Gae Aulenti ed Anacleto Cleri) tenutasi a palazzo Trinci nel mese di marzo ed al successivo dibattito hanno partecipato numerosi cittadini e rappresentanti delle diverse forze sociali (commercianti, sindacati etc.) e dei diversi territori che compongono la sfera di interesse della città di Foligno che comprende, ormai, una popolazione di oltre centomila abitanti. Da qui nasce la prima esigenza di un territorio che, pur avendone le caratteristiche, non si è
dotato di un polo commerciale, residenziale e culturale che possa attrarre interesse, tenuto conto che la realizzazione ed il completamento della Strada Statale 77 della Val di Chienti rivoluzionerà la dimensione troppo spesso introspettiva della città di Foligno proiettandola decisamente verso un’interregionalità ove dovrà presentarsi da protagonista anche alla luce dei nuovi sviluppi legislativi di riassetto del territorio a seguito della ridefinizione delle province nonché punto baricentrico di una ipotetica (ma non troppo) macro-regione di mezzo su cui sempre di più si comincia a ragionare per uscire dai confini un po’ asfittici di una regione, l’Umbria, troppo piccola per affrontare da sola sfide sempre
La storia e le tappe dellarea dellex zuccherificio Nel 1997 il Consiglio Comunale di Foligno adotta il nuovo P.R.G. Nellarea dellex zuccherificio sono previste superfici totali per 42.042 metri quadrati; sono realizzabili superfici commerciali pari a 13.000 metri quadrati, superfici direzionale e formazione pari a 13.000 metri quadrati e superfici abitative pari a 14.000 metri quadrati, superficie non utilizza circa 2.000 metri quadrati. Il nuovo piano viene accettato sia politicamente (non si rinvengono interventi ostili) che giuridicamente (non viene presentato alcun ricorso e/o impugnazione), lasciando pertanto invariate le volumetrie previste nellex zuccherificio e le destinazioni delle superfici. Larea è stata quindi acquisita dalla società Foligno 2000 – di cui sono proprietari in parti uguali quattro imprenditori locali – ed è oggetto di trattativa con diversi interlocutori extraregionali. Il nuovo P.R.G. vieni quindi definitivamente approvato nel 2000 e soltanto a quel punto Coop decide di acquistare larea per poi presentare, nel 2004, il piano attuativo. Questo sarà adottato e quindi approvato nel marzo 2005 e viene stipulata la convenzione urbanistica tra Coop e il Comune di Foligno per la realizzazione del parco fluviale, la ristrutturazione della palazzina liberty e il recupero della vecchia distilleria. Nel 2009
più grandi. Il progetto di recupero urbanistico ed edilizio dell’area dismessa dell’ex zuccherificio dovrebbe pertanto essere inserito e valutato alla luce di tale nuovo scenario. Come tutti hanno avuto modo di vedere, gli edifici residenziali sono quelli che hanno avuto maggior impatto, in primis per l’altezza e l’originalità progettuale.
viene rilasciata lautorizzazione a demolire e nel 2010 quella per la realizzazione delle opere di urbanizzazione. Iniziano quindi i lavori con la demolizione degli edifici e nel novembre 2011 con le opere di urbanizzazione. Nel contempo Coop costruisce sinergie imprenditoriali con le forze locali per realizzare il progetto: Koinon s.p.a. diviene partner per linvestimento degli edifici adibiti a servizi e ad abitativo, mentre Coop investe nella realizzazione del commerciale, del formativo e del direzionale. I numeri dellarea dellex zuccherificio Il progetto, redatto dagli studi Gae Aulenti di Milano e ARAUT di Foligno rispetta i metri quadrati, i volumi e le destinazioni urbanistiche previste dal Piano Regolatore del 1997 e dal Piano Attuativo approvato nel 2005; la proprietà rinuncia volontariamente anche a costruire oltre duemila metri quadrati. Il compresso del Piano attuativo comprende circa 9 ettari di terreno: il 14 per cento è utilizzato per ledificazione, il 39 per cento per il verde, il restante per le infrastrutture e servizi (parcheggi di superficie 6 per cento, piazze e percorsi pedonali 29 per cento, viabilità 12 per cento). Sono, inoltre, previsti parcheggi interrati su due piani per 1.400 posti macchina.
Zuccherificio È evidente che ad oggi è ancora prematuro conoscere nel dettaglio la tipologia ed il costo degli appartamenti, di sicuro l’intervento avrà una qualità complessiva molto elevata. Per questo non credo che il prezzo costituisca un deterrente all’acquisto, sono invece sicuro che i servizi offerti, il consistente risparmio energetico, la possibilità di usufruire di un vero e proprio parco “sotto casa”, la vicinanza al centro cittadino, il giardino verticale di ogni appartamento, spingeranno moltissime persone ad acquistare qualcosa di pregio, di diverso dal solito appartamento. Per quanto concerne il progetto relativo alla galleria commerciale, gli architetti hanno assicurato che non si tratterà del solito “capannone”, ma di uno spazio aperto, un parco commerciale la cui “galleria” non è altro che una copertura che permette di riparare le persone dagli agenti atmosferici mentre si spostano da un’attività all’altra, senza dimenticare il giardino che ricopre il tetto
degli edifici commerciali e offre un affaccio significativo agli uffici. Proprio questi ultimi, posti ai piani superiori rispetto agli spazi commerciali, saranno inevitabilmente trainati dalle attività commerciali (e non solo) presenti nel quartiere. Altra importante peculiarità e punto di forza del progetto, per il quale la proprietà ha deciso di investire pesantemente, è il parcheggio sotterraneo che consente di “nascondere” le autovetture e lasciare
Dei circa 9 ettari oltre 4 vengono ceduti al Comune per proprie esigenze pubbliche anche al fine di realizzare gli obiettivi previsti nel progetto “Il parco delle scienze e delle arti”. Si stima che linvestimento complessivo supera i 100 milioni di euro creando un indotto occupazionale relativo alla realizzazione di oltre 100 addetti e unoccupazione stabile, per il funzionamento e la gestione di tutto il complesso una volta realizzato, di oltre 200 addetti. Crisi delledilizia LIstat ha da poco comunicato un crollo nel settore delle costruzioni, con un -20,3% rispetto allo stesso periodo dellanno scorso. Le cifre parlano chiaro: tra giugno 2011 e giugno 2012 le imprese del settore costruzioni, pari a 899.602, sono diminuite dell1,36%. In calo dell1,17% anche le imprese artigiane, che sono la fetta più consistente del settore edile: 577.588, vale a dire il 64,2% del totale. Negative le conseguenze sulloccupazione: tra giugno 2011 e marzo 2012 è diminuita del 5,1%, pari a 97.800 posti di lavoro in meno. Si conferma dunque un trend che dura ormai da tre anni, e questo sarà il quarto, in cui la produzione nel settore edile è in crisi. Lo dimostra anche il fatto drammatico che il 45% dei suicidi che si sono registrati
11 un considerevole spazio riservato al parco fluviale, ai camminamenti e alle attività culturali e ludiche di superficie. Per quanto concerne, infine, il terzo punto critico da Lei evidenziato, ossia l’esproprio dell’area oggi occupata dal “Tigre”, l’auspicio è che le parti trovino una soluzione condivisa che soddisfi i legittimi interessi che consenta di eliminare quella struttura obsoleta, restituendo in tutta la sua bellezza alla città la magnifica vista delle mura urbiche e l’affaccio sul fiume. Nel corso dei vari dibattiti, infine, è emersa la volontà di costituire nell’area il Parco delle scienze, una struttura che potrà ospitare mostre, esibizioni e realizzazioni a carattere scientifico-sperimentale che possano promuovere gli ambiti di ricerca attualmente più in evoluzione e proporre alla cittadinanza e ai visitatori una veste accessibile e stimolante alla cultura scientifica, anche per generare idee ed innovazioni.
dall'inizio dell'anno riguarda imprenditori e artigiani che operavano nel settore delle costruzioni. Le ragioni di questa recessione nelledilizia si possono ricercare in una serie di congiunture negative, a partire dalla stretta sulle risorse pubbliche destinate agli investimenti infrastrutturali. A ciò deve aggiungersi il patto di stabilità, che impedisce ai Comuni di spendere in edilizia e i ritardi e/o i mancati pagamenti, a tutti i livelli, che a cascata si ripercuotono sulla filiera produttiva. I prezzi delle case, per effetto dellImu, la nuova tassa sugli immobili, e i valori delle abitazioni si ridurranno, a fine anno, del 20%. Infine il cosiddetto “caromutui”, che secondo una rilevazione dellUfficio studi di Confartigianato ha determinato un aumento del tasso d'interesse sui prestiti alle famiglie. I mutui alle famiglie per lacquisto di abitazioni era sensibilmente sceso fino al minimo di 2,51% in giugno 2010: successivamente è tornato a crescere, ma a maggio 2012 si attesta sul 4,12%. Il tasso medio sui mutui a maggio 2012 è così di 103 punti base superiore rispetto ad un anno fa e di 161 punti base superiore rispetto al precedente punto di minimo di giugno 2010. Una situazione difficile: gli italiani per pagare devono sborsare il 30,9% del reddito.
12 Il Parco delle scienze potrebbe rappresentare anche un’interessante prospettiva per il comparto del “turismo scientifico”, tanto da costituire un volano per lo sviluppo del territorio, portando a Foligno turisti e visitatori da altri regioni d’Italia e non solo.È evidente, allora, dal mio punto di vista, che le opportunità che il piano di recupero dell’ex zuccherificio offre sono maggiori rispetto alle criticità. Lo stesso centro storico potrebbe ricavarne concreti benefici, sia logistici (vedi la passerella che unirà l’ex zuccherificio con l’ex ospedale, peraltro in grande rilancio), che dal piano di marketing elaborato da Coop (costruito per creare sinergie in termini di insediamento e offerta con le attività del centro storico). Credo che la città d Foligno debba liberarsi di un certo costume disfattista e negativo (anche un po’ sofista) che ha ingessato la nascita e/o rinascita di numerosi attività. Al contrario, come cittadino
Zuccherificio
e come imprenditore, confido nella riuscita del progetto, anche perché la proprietà ha coinvolto tramite la società Koinon S.p.a. le forze imprenditoriali locali che, da un lato, avranno l’occasione di non disperdere le maestranze cresciute con l’esperienza della ricostruzione e, dall’altro, vi-
Le ultime soluzioni normative: Piano nazionale per le città Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti predispone un piano nazionale per le città, dedicato alla riqualificazione di aree urbane con particolare riferimento a quelle degradate. A tal fine, con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, è istituita, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, la Cabina di regia del piano, composta da rappresentanti di diversi Ministeri, dellAgenzia del demanio, della Cassa depositi e prestiti, dellAssociazione nazionale comuni italiani. Ai fini della predisposizione del piano nazionale per le città, i comuni potranno inviare alla Cabina di regia proposte di Contratti di valorizzazione urbana costituite da un insieme coordinato di interventi con riferimento ad aree urbane degradate, indicando: a) la descrizione, le caratteristiche e lambito urbano oggetto di trasformazione e valorizzazione; b) gli investimenti ed i finanziamenti necessari, sia pubblici che privati, comprensivi delleventuale cofinanziamento del comune proponente; c) i soggetti interessati; d) le eventuali premialità; e) il programma temporale degli interventi da attivare; f) la fattibilità tecnico-amministrativa. La Cabina di regia selezionerà le proposte, premiando gli interventi immediatamente cantierabili, la capacità di coinvolgimento di soggetti e finanziamenti pubblici e privati e di attivazione di un effetto moltiplicatore del finanziamento pubblico nei confronti degli investimenti privati. Tra gli elementi premiali vi sarà anche la riduzione di fenomeni di tensione abitativa, di marginalizzazione e degrado sociale, il
vendo nel territorio avranno tutto l’interesse affinché l’opera sia compiuta. Chiudo invitandoLa a sostenere ( con una critica costruttiva) il recupero dell’area, da oltre trenta anni lasciata nel totale abbandono, perché da lì può rinascere un’intera città, moderna e all’avanguardia.
miglioramento della dotazione infrastrutturale e il miglioramento della qualità urbana, del tessuto sociale ed ambientale. La Cabina di regia, sulla base degli apporti e delle risorse messe a disposizione dai vari organismi che la compongono, definisce gli investimenti attivabili nellambito urbano selezionato. La Cabina di regia promuove, di intesa con il comune interessato, la sottoscrizione del Contratto di valorizzazione urbana che regolamenta gli impegni dei vari soggetti pubblici e privati, prevedendo anche la revoca dei finanziamenti in caso di inerzia realizzativa. Linsieme dei Contratti di valorizzazione urbana andrebbe a costituire il piano nazionale per le città.
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La ricostruzione in Umbria A 14 anni dal sisma è ora di fare un bilancio delle attività svolte sino ad ora nel nostro comprensorio
5.345.077.515,63 di Euro (dati forniti dall’osservatorio per la ricostruzione instituito dalla Regione ed aggiornati al 01/03/2012), è la crifra sino ad ora messa a disposizione da Stato (capitolo di spesa presente sino alla finanziaria del 2008), Regione, Comunità Europea, per ricostruire e rilanciare l’economia del territorio Umbro-Marchigiano colpito dall’evento sismico. Tanto è stato fatto sul piano della ricostruzione e messa in sicurezza degli edifici, sia pubblici che privati (da valutare se gli interventi sono stati eseguiti a regola d’arte), ma poco o nulla per favorire la ripresa economica reale e non contingente alla ricostruzione. Al nostro comune son andati fondi pari circa a 850 milioni di Euro senza considerare alcuni capitoli di spesa che non sono esplicitati per comune ma solo come voce complessiva d’intervento regionale.
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Ricostruzione
Le macerie del post-ricostruzione La ricostruzione sta volgendo al termine con il completamento degli ultimi PIR, le imprese edili e i punti vendita che in questi anni hanno operato nel settore sono ai ferri corti, travolte anche dalle crisi economica che attanaglia il nostro paese. A questo punto la giunta comunale come pensa di rilanciare l’economia del nostro territorio! DI
@ALICE.IT
La gestione delle immense risorse messe a disposizione Non dico tutti, ma forse qualcuno ha sottovalutato la cifra “dichiarata”, sicuramente inferiore a quella effettivamente messa a disposizione degli enti locali della nostra regione per affrontare i danni subiti dal terremoto del ‘97. Sisma che ha senza dubbio creato disagi a molte persone, ma che alla fine ha permesso la ricostruzione della quasi totalità degli edifici, anche quelli che da anni versavano in pessime condizioni e non erano effettivamente abitati. I danni subiti dal nostro territorio in termine di vittime ed edifici lesionati realmente abitati, non è sicuramente paragonabile al terremoto che 3 anni fa ha colpito l’Abruzzo, o quello che recentemente a colpito l’Emili-Romagna e le regioni limitrofe. In Abruzzo gli sfollati sono stati oltre 67.000, noi si fa per dire ne avevamo appena 22.000 comprendendo anche il territorio marchigiano, l’Emilia ha avuto meno sfollati, 15.000 ma l’attività produttiva è in serio rischio: 42 aziende crollate, 100 dichiarate inagibili, oltre 200 che necessitano di interventi per la messa in sicurezza, migliaia di persone che hanno perso in un solo instante sia la casa che il lavoro. I 5 miliardi di Euro, sino ad ora spesi in Umbria sono l’equivalente di una piccola finanziaria. Una cifra considerevole considerando anche il numero di imprese che hanno lavorato nei cantieri della ricostruzione: 2945 imprese con una media di fatturato ben oltre il milione e mezzo di Euro (3 miliardi delle vecchie lire). La nostra regione sotto questo punto di vista è stata molto fortunata, la situazione economica nazionale era profondamente diversa, le risorse sono state tutte messe a disposizione, ciò che purtroppo non sta avvenendo in Abruzzo, dove ad oggi sono stati finanziati solamente 13 piani di ricostruzione per un
importo complessivo di 640 milioni di Euro. In Umbria dopo 3 anni erano già stati finanziati oltre 3 miliardi di Euro. I nostri amministratori vanno fieri per la gestione della ricostruzione nel nostro comprensorio, stimolando le altre regioni a emulare il nostro operato. Purtroppo però non si rendono conto che senza risorse è difficile anche commettere degli errori. Da noi si è passati dalle tende allestite per la prima emergenza alle roulotte, per poi trasferire tutti nei conteiner e successivamente ancora nelle casette di legno e prefabbricati, distribuiti nei campi di accoglienza. Tutto ciò ha comportato un dispendio enorme di
risorse che poteva essere evitato saltando qualche passaggio e che ha rallentato fortemente il processo di ricostruzione. In Emilia Romagna, a tre mesi dal sisma che ha sconvolto una regione non abituata ad affrontare simili calamità, coloro che non hanno trovato sistemazione in un alloggio temporaneo risiedono ancora nelle tende allestite nella prima emergenza dalla Protezione civile. Sicuramente non è una situazione gradevole, ma permetterà speriamo alle amministrazioni locali, di trovare una sistemazione pressochè definitiva sino alla ricostruzione degli edifici danneggiati dal sisma.
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Ricostruzione 1ª fase della ricosrtuzione: inizio dei P.I.R. (programmi integrati di recupero) I Programmi Integrati di Recupero sono lo strumento operativo nato per attuare la ricostruzione di centri e nuclei abitativi di particolare interesse storico, paesaggistico ed economico, tramite modalità di intervento edilizio in una logica d’insieme (edilizia privata, pubblica, reti di urbanizzazione, spazi pubblici ed opere di consolidamento del suolo, ecc...). Lo strumento dei P.I.R. è funzionale e se ben applicato rende gli interventi più semplici e con una maggiore vista d’insieme. Purtroppo però in molti casi gli interventi effettuati nel periodo immediatamente successivo all’evento sismico non si sono rilvelati così ben fatti ed eseguiti a regola d’arte. Gestire un evento di questa portata non è stato sicuramente facile, ma non si può dire che tutto ha funzionato alla perfezione come ci vogliono far credere i nostri amministratori. Il fatto di dover ritornare su alcuni lavori eseguiti in modo non corretto non è sintomo di efficenza e comporta un utilizzo improprio delle risorse pubbliche, sempre più esigue e centellinate. L’impiego nella prima fase dei lavori di tecnici per la supervisione dei cantieri, non sempre formati professionalmente, perchè prvenienti direttamente dagli istituti scolastici, ha contribuito ad accentuare il problema ed in alcuni casi l’imperizia nei lavori è stata più che evidente. Ciò che sta sotto il manto stradale è difficile da giudicare a meno che non si verifichino rotture, ma quello che è sotto gli occhi di tutti non si può nascondere. Ci sono esempi emblematici di come è stata gestita la ricostruzione che purtroppo dimostrano la superficialità con cui sono stati esguiti gli interventi. A Colfiorito, che rappresenta il centro di montagna per eccellenza del comprensorio folignate, sinonimo di bellezza ed incontaminazione per la presenza non marginale di uno dei parchi naturalistici più vasti del centro Italia, la ricostruzione sicuramente non ha portato dei benefici per ciò che concerne l’attratività verso i visitatori e la conservazione del terreno. La difficoltà nel creare i consorzi, la lentezza nella ricostruzione degli edifici, la fretta di abbandonare i conteiner ( nei quali la vita era difficile, ma dignitosa), ha contribuito a far si che si realizzassero strut-
ture prefrabbricate con scarsa attinenza allo stile dei fabbricati del luogo, già oggi in notevole decadimento, a ridosso del paese, ma soprattutto si è cercato di raggiungere in fretta la normalitàla realizzando la deplorabile quanto affrettata pavimentazione delle vie del centro (pressochè distrutte e rattoppate con l’asfalto). Episodi più o meno gravi ed assimilabili a quelli di Colfiorito si sono verificati in diverse località ed oggi che devono essere ultimati i lavori se ne pagano le conseguenze.
2ª fase della ricostruzione: lavori di adeguamento e completamento La seconda fase dei P.I.R., che è in fase d’attuazione, sta sicuramente funzionando meglio, anche se in molti casi le mofiche e gli adeguamenti al primo stralcio di lavori eseguiti comportano notevoli ritardi ed un ulteriore dispendio di risorse finanziarie. Le condizioni in cui stanno operando ora le imprese ed i tecnici responsabili delle opere sono decisamente migliori rispetto a dieci-dodici anni fa, quando sono iniziati i P.I.R. (case distrutte, viabilità compromessa, cantieri a rilento, frenesia nei lavori), ma non sono ammissibili errori grossolani come quello già menzionato di Colfiorito, oppure i problemi avuti con le reti in-
Campo Conteiner di Colfiorito
frastrutturali quali fogne non funzionanti, cavidotti ostruiti, continue rotture della rete idrica ecc.. Su infrastrutture nuove, se pur realizzate in una situazione di operatività critica, non è concepibile che si verifichino intoppi di questo genere. Se succedesse ad un privato egli cercherebbe subito il responsabile per averne ragione. Tutto si risolve, o si rattoppa alla fine, ma questi costi aggiuntivi hanno un prezzo per la società in cui viviamo, ed in un momento di crisi profonda, come quella che stiamo attraversando è necessario ridurre gli sprechi, ottimizzare le risorse, in modo da continuare a garantire a tutti lo “Stato Sociale” che lentamente i governi che si sono succeduti negli ultimi decenni stanno sgretolando progressivamente. Questi denari inutilmente “sprerperati” potevano invece essere impiegati per rilanciare l’economia del luogo fortemente legata all’agricoltura e l’allevamento, favorendo anche nuovi insediamenti produttivi artigianali che possano garantire un ripopolamento stabile delle frazioni.
Villaggio di Fraia, tra abbandono e degrado
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Ricostruzione
Chiusura stabilimento Caltiber
E ora, che si fa? Come sostenere l’economia di queste zone? La ricostruzione fortunatamente o sfortunatamente, a seconda dei punti di vista, sta finendo il suo corso, le località di montagna sono quasi tutte rimesse a nuovo (tranne quelle in cui non sono stati completati i P.I.R. o dove non erano previsti piani di recupero). Ci sono posti incantevoli, edifici risanati con tecniche esteticamente ottime, pavimentazione ricostruite con veri selciati o comunque rispettose dell’ambiente circostante. Ma ora che ci facciamo di tutto questo? La percentuale di case stabilmente abitate è minima, non conosco bene i dati ma vivendo quotidianamente a contatto con queste realtà posso affermare che tranne qualche anziano rimasto legato al luogo di nascita ed ancora in salute, i giovani oramai si sono allontanati e risiedono in città o altrove. Purtroppo è una constatazione di fatto, ma in questo processo di ricostruzione lento e talvolta faragginoso, non ci si è accorti che la montagna si stava definitivamente spopolando. Nulla è stato fatto per sostene-
re l’economia del luogo, si è provveduto semplicemente ad erogare dei fondi in regime d’emergenza per il ripristino di alcune attività compromesse in seguito al sisma, ma la cifra erogata che si aggira intorno ai 3,6 milioni di Euro per il comune di Foligno, rappresenta ben poca cosa. I Piani Integrati di Recupero con il relativo stanziamento di fondi nascono per delle finalità precise e che hanno dei riferimenti normativi stabiliti da Leggi Regionali e non solo. Essi contemplano il ripristino dei manufatti edilizi, in particolare quelli residenziali per restituirli al loro uso; il sostegno della ripresa delle attività economiche; il miglioramento della qualità dei tessuti urbani; la riduzione della vulnerabilità degli edifici, degli insediamenti nel loro insieme e quella delle reti infrastrutturali. Dunque se i P.I.R. non possono considerarsi un vero strumento di sviluppo e rinascita economica in senso stretto, essi possono fungere da volano per rivitalizzare gli insediamenti edilizi ai fini del ripopolamento e di una ripresa economica stabile. Io da comune cittadino affezionato alla mia città ed alla tipicità del nostro comprensorio, ricco di risorse e capacità produttive, chiedo ai nostri amministratori se ritengono
sufficienti le risorse messe ha disposizione per il rilancio del tessutto economico e produttivo. 3,6 milioni di Euro rapportati ai 5.34 miliardi stanziati per la ricostruzione mi sembrano effetivamente un’inezia. Sta di fatto che le piccole aziende artigianali ed agricole a conduzione familiare presenti all’epoca del terremoto in queste zone, sono morte o stanno morendo, i giovani fuggono alla ricerca di un’occupazione che garantisca loro una dignitosa sopravvivenza. Non è utopia, ma senza un lavoro non si mangia; senza i servizi primari (asili, scuole, negozi, punti d’incontro) la vita è difficile, perciò è inutile investire soldi in opere faraoniche come la ripavimentazione di Foligno (senza ombra di dubbi bellissima) o la SS77 che collegherà la nostra città all’Adriatico, se non si pone attenzione al tessuto socio-economico che ci circonda. Sarà anche bello raggiungere il mare in meno di un’ora, ma con quali soldi ci potremo permettere il lusso di una vacanza se non c’è lavoro, se non c’è una prospettiva per i nostri figli o le generazione che verranno. Gli investimenti vanno fatti, ma devono essere ben ponderati, a volte non è necessario sognare l’opera epocale, basta un pò di sano realismo.
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La nostra ricchezza
GEMME VERDI L'ascoltare parole è semplice per i bambini increduli ed ingenui, davanti alle bellezze ai particolari che son ricchezze preziose e uniche scoperte da difendere per gli amici.
L’ascoltare discorsi è complesso fenomeno per gli adulti cresciuti, dall'età e dalle esperienze le parole son filtrate, mutano assumono aspetti molteplici e perdono la loro universalità … Come GEMME VERDI di cui ritrovare naturalità spogliate da falsi valori scrostate dal malcostume dalla sfiducia nel prossimo dal guadagno personale
…. poiché il miglior beneficio è quell'improvviso sorriso stupore e non artificio, solo frutto della semplicità non del calcolo ma dell'umanità. Ilario Gappo
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on la testa come un brillante, aveva accumulato tutta quella roba, dove prima veniva da mattina a sera a zappare, a potare a mietere; col sole, coll’acqua, col vento; senza scarpe ai piedi, senza uno straccio di cappotto; che tutti si rammentavano di avergli dato dei calci nel di dietro, quelli che ora gli davano dell’eccellenza, e gli parlavano con il berretto in mano. Né per questo egli era montato in superbia, adesso che tutte le eccellenze del paese erano suoi debitori; e diceva che eccellenza vuol dire povero diavolo e cattivo pagatore; ma egli portava ancora il berretto, soltanto lo portava di seta nera, era la sua sola grandezza, e da ultimo era anche arrivato a mettere il cappello di feltro, perché costava meno del berretto di seta. Della roba ne possedeva fin dove arrivava la vista, ed egli aveva la vista lunga:
dappertutto, a destra e a sinistra, davanti e di dietro, nel monte e nella pianura. Più di cinquemila bocche, senza contare gli uccelli del cielo e gli animali della terra, che mangiavano sulla sua terra, e senza contare la sua bocca , la quale mangiava meno di tutte, e si contentava di due soldi di pane e un pezzo di formaggio.” uesto passo è tratto dalla novella “La Roba” di Giovanni Verga, che racconta delle distese di terra arsa dal sole della sua Sicilia, e della vita di contadino diventato proprietario dei poderi. A quell'epoca anche lo Stato Pontificio per i suoi possedimenti era molto ricco e tra le sue terre annoverava anche quelle rigogliose ed aspre dell’Umbria, che ancora oggi è una delle regioni più verdi d'Italia, il cosiddetto “polmone verde” nel centro dello stivale progettato da Cavour, Mazzini e Garibaldi. Il colore verde si associa immediatamente alle colline dipinte da campi di mais, campi di trifoglio o di
loietto o ancora dalle pendici coperte da foreste o da pascoli rigogliosi. Tale colore in fisica è ben definito dalla sua frequenza tra i 526 ed i 606 TeraHertz, benchè con l'andare della stagione, nel paesaggio lascia il posto ad un abisso di variazioni ed una moltitudine di sfaccettature per il nostro occhio come una indefinita quantità di sensazioni, che il vocabolario italiano non riesce a sclerotizzare ne a tradurre. Si direbbe un quadro naturale che l'uomo, con conoscenze, studi ed umiltà, contribuisce a mantenere, prodigandosi in attività volte a creare e a coltivare. L'umano lavoro viene regolato e agevolato da leggi che rendono lo svolgersi della vita, scorrevole e piacevolmente vivibile. In questo contesto nascono aziende agricole e forestali che usano saggiamente il territorio e le materie prime, e con tecniche sempre nuove ed innovative, incrementano i prodotti nel mercato italiano che diventerà in ragione di qualche decennio, un mercato mondiale o meglio globale. La vita delle famiglie migliora, cresce il benessere, i paesi si trasformano in città, in estese metropoli che moltiplicano le possibilità di vita che modificano gli usi ed i costumi, rendendo alcune aree più vocate alla produzione
Biodiversità - Cosa sono le Zps e i Sic La biodiversità è il concetto che ha ispirato a livello europeo ed in seguito recepito a livello nazionale l'istituzione dei siti di importanza comunitarie (Sic) e della zone a protezione speciale (Zps). Entrambe le aree tutelano gli habitat naturali, il frutto dell'interazione tra le diverse specie animali, vegetali con l'ambiente. In generale, la presenza dell'uomo agisce sulle componenti di ognuno di essi, anche ad esempio attraverso la monocoltura estesa; si hanno così variazioni che possono alterare gli equilibri tra gli esseri viventi e l'ambiente, causando la scomparsa di specie vegetali ed animali oppure lo sviluppo indisturbato di alcune specie su altre. In passato la coltivazione della stessa specie di coltura ha favorito la perdita della biodiversità vegetale soprattutto per alcune specie utilizzate per l'alimentazione e per le specie ad esse connesse. Il suolo, caratterizzato da un patrimonio di flora infestante, insetti e piccoli abitanti, soggetto alle medesime colture per anni perde la sua biodiversità, favorendo la formazione di parassiti
specifici per le colture in atto. Per debellare la presenza di attacchi massicci seguono azioni di disinfezione con sostanze velenose che entrano in circolazione nel ciclo dell'acqua o le tecniche scientifiche hanno permesso l'introduzione di specie geneticamente modificate (OGM). Gli attacchi parassitari sono stati ridotti da un lato, ma dall'altro, in modo del tutto inconsapevole, si verifica la scomparsa di porzioni del patrimonio genetico di una data specie, con il conseguente impoverimento biologico non solo della specie “migliorata” ma anche di tutto l'ambiente che ad essa ruota intorno. Le Zps insieme ai Sic costituiscono la Rete Natura 2000 concepita ai fini della tutela della biodiversità europea attraverso la conservazione degli habitat naturali e delle specie animali e vegetali di interesse comunitario. Le Zps, non sono aree protette nel senso tradizionale e non rientrano nella legge quadro sulle aree protette n. 394/91, sono previste e regolamentate dalla direttiva comunitaria 79/409 "Uccelli", recepita dall'Italia dalla legge sulla caccia n. 157/92; l'obiettivo
della direttiva è la "conservazione di tutte le specie di uccelli viventi naturalmente allo stato selvatico", che viene raggiunta non soltanto attraverso la tutela delle popolazioni ma anche proteggendo i loro habitat naturali, con la designazione delle Zone di protezione speciale (Zps). Per i Sic che non sono aree protette nel senso tradizionale e quindi non rientrano nella legge quadro sulle aree protette n. 394/91, e nascono con la direttiva 92/43 "Habitat", recepita dal D.P.R n. 357/97 e successivo n. 120/03, finalizzata alla conservazione degli habitat naturali e delle specie animali e vegetali di interesse comunitario e sono designati per tutelare la biodiversità attraverso specifici piani di gestione. (Luca Cimino, Emiliano Filippini URP-Mipaaf) 25 febbraio 2008. Tali normative, con l'istituzione delle aree Sic e Zps, pur tutelando gli habitat naturali, hanno introdotto ulteriori oneri diretti a carico del privato o dell'azienda agricola, che alle volte pur con limitate conoscenze e nel rispetto delle tradizioni tenta ancora di attuare una normale gestione del territorio
Labirintica agricoltura moderna DI ILARIO
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di un bene o più beni, ed altre, per morfologia del terreno più adatte alle installazioni di aree industriali che cambiano il modo di vedere la produzione. ascono nuove prospettive di vita. Gli operai sottoposti ad orari più o meno agevoli, percepiscono un salario o uno stipendio e ne dispongono. Nasce il potere d'acquisto, la libertà di scelta tra un ortaggio ed un arredo per la casa, tra la vacanza o una nuova auto. Le campagne e le montagne si spopolano per via dei disagi sempre crescenti rispetto alle “comodità” della città. Così le città ora aree metropolitane costruite senza piani regolatori si espandono partendo sia da nuclei rurali, dal nulla o da quei nuclei tanto bene organizzati degli antenati dell'antica Roma. Le me- Foto scattata in direzione nord, nel territorio di Scheggino sulla montagna di Civitella. tropoli diventano conse- Vista da un pascolo in abbandono. Si notino le gradazioni di colori e le sfumature guentemente agglomerati di a realtà della Società in apparen- Una giornata di lavoro di dodici ore edifici di uno, due, trenta, cinquanta te ordine, tenta di mostrarsi in non ripaga neppure i costi. La terra piani, di vicoli, vie e corsi con due, quattro ed otto corsie organizzati in una forma sempre più perfetta, pia- fertile della Natura diventa sempre distretti, in quartieri, in circoscrizio- cevolmente presentabile, ma ogget- più sterile in quanto appesantita da ni, in grado di ospitare anche milioni tivamente ogni giorno più povera di normative scritte per disperdere di persone, individui che non si cono- contenuti, di particolari significati- energie in alcuni angoli del labirinscono pur incontrandosi continua- vi, di un cuore e di un vero senso. to. Una procedura funzionante e mente durante una quotidianità sem- Gli edifici e le strade della città si snella, per puro orgoglio politico, pre più lontana dal ritmo natural- trasformano in una vetrina ricca di per bambinesche ripicche prive di mente rallentato delle campagne. Le lustrini, di messaggi subliminari, di senso, per interessi di qualche potecnologie impongono un ulteriore allettanti proposte che non hanno tente lobby, viene resa un labirinto cambiamento e trasformano il volto aderenza né con la realtà umana, né intricato che rende quella vista della Società dando ad essa tutte le con l'uomo stesso: la vita dell'ope- semplice, oggettivamente complicapossibilità immaginabili e ponendo raio è lievitata, quella dell'agricolto- ta. Così ci si getta alla ricerca di caogni giorno il germe anche per quelle re si è allontanata dalla terra tanto villi e strade secondarie al limite inimmaginabili, fornendo a quei pic- da volerla alienare, da venderla per della correttezza, che spesso agevocoli individui che vivevano in fami- poter incassare quel denaro che ora lano l'inserimento del “furbetto” in glia, i mezzi per andare in ogni luogo serve per mantenere i vizi e non più ogni situazione, sfavoriscono l'onedel mondo dalla poltrona di casa pro- coltivare le virtù. Il lavoro della ter- sto in ogni settore, creando un'inpria, oppure andando dall'altra parte ra sempre più pesante si perde in versione dei valori ed uno sconfordel globo con un sicuro uccello metal- una labirintica agricoltura, fatta di to nell'uomo che crede fermamente lico, frutto delle più costose ricerche. carta, di scadenze, di contributi, di nella giustizia. L'onesto lavoratore, E grazie a questa facilità di mobilità premi, di pagamenti ritardati, di l'agricoltore stanco viene ulteriorparadossalmente tutto diventa più pratiche geologiche, agronomiche, mente sfavorito e trova nella vendidifficoltoso. Lo spostamento sulle notarili, giuridiche che danno lavo- ta della “roba di famiglia”, l'unico strade delle merci e degli uomini al ro ad un sistema burocratico sem- rifugio. l benessere, le comodità della teclavoro s'ingarbuglia e crea delle inter- pre meno pratico ed operativo. La nologia agevolano l'abbandono e minabili code. Le comodità, per esse- terra che produce piante, semi e re tali necessitano di un'organizza- frutti di cui gli uomini più fortunati l'incuria del territorio. L'industria zione preventiva, che è procrastinata di questa Società si nutrono, non ed il settore del terziario, acquisisempre più e demandata alla fortuna hanno più un valore scambiabile o scono enormi quantità di territorio, almeno sufficiente a sopravvivere. intere aree agricole improduttive dell'ultimo momento.
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Così l'abete bianco si insidiò nella faggeta in Valnerina Un bell'esempio di biodiversità nelle nostre valli umbre. trasformandole con piani regolatori adeguatamente concordati, quei vecchi ed ossidati tesori di famiglia in una miniera di diamanti che moltiplica in modo esponenziale le ricchezze di quei pochi “imprenditori” che diventano padroni di grosse estensioni di città e della periferia. Per le zone cosiddette marginali e svantaggiate, sudate dai vecchi e cedute per poche decine di migliaia di baiocchi dai giovani, inizia un declino sconfortante che ha suggerito una cura prescritta a norma di legge. Il terreno viene vincolato, ne viene impedita l'attività agricola, pensando che l'evoluzione naturale possa essere la soluzione. l risultato di questa politica mantiene la libera pratica agricola in quel labirinto; l'applicazione delle usanze faticosamente ereditate è sempre più difficoltosa e seguita da infiniti lamenti, che provocano un progressivo abbandono dei valori tipici della tradizione contadina italiana. In Italia c'è una forte frammentazione della proprietà, con la consuetudine della divisione dei terreni nel passaggio di padre in figlio. Le aziende agricole sono oggi di piccole dimensioni con appezzamenti disomogenei e poco gestibili. Sempre più spesso, si verificano situazioni in cui una piccola azienda possiede mezzo
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Biodiversità Che cosè la biodiversità e cosa racchiude il significato del termine? La biodiversità in poche parole:la biodiversità è la diversità della vita. La diversità della vita è a sua volta scindibile in tre sottolivelli: - diversità degli ecosistemi (ambienti naturali quali acque, boschi, spazio alpino); - diversità delle specie (animali, piante, funghi, microrganismi); - diversità del patrimonio genetico (razze o varietà di specie selvatiche e domestiche). Un quarto livello è costituito dalla biodiversità funzionale, ovvero dalla diversità delle interazioni che si esplicano allinterno e fra i tre livelli. La biodiversità nel diritto internazionale Nellarticolo 2 della Convenzione sulla diversità biologica (CBD, Convention on biological diversity) la diversità biologica – o, in breve, la biodiversità – è definita come: «la variabilità degli organismi viventi di ogni origine, compresi inter alia gli ecosistemi terrestri, marini ed altri ecosistemi acquatici e i complessi ecologici di cui fanno parte; ciò include la diversità nellambito delle specie e tra le specie e la diversità degli ecosistemi.»
ettaro di terra dentro un'area definita di importanza comunitaria (SIC). La superficie è inferiore all'ettaro e non può usufruire per l'UE di incentivi. Per incrementare la dimensione ed il valore di quell'appezzamento si pensa ad una coltura tartufigena oppure si va alla ricerca di altre piccole proprietà limitrofe; se si tratta di pascoli, di boschi o seminativi non irrigui in zona marginali, il valore di mercato è in genere inferiore al costo per stipulare un atto notarile. Si decide di impiantare su quel piccolo terreno una tartufaia: in quasi tutti i casi, con determinazione stoica, ci si rimbocca le maniche e di fatica propria, mezzi propri e denaro proprio si procede all'espletamento di pratiche ambientali come valutazione d'incidenza o valutazione di non incidenza, relazione paesaggistico-ambientale ed un eventuale progetto... della recinzione naturalmente. Completato l'iter burocratico non senza difficoltà si inizia con mezzi propri ed a tempo perso, se si è fortunati con mezzi meccanici a realizzare il progetto, che se curato amorevolmente, protetto da indesiderati ladri e si è fortunati, inizierà a dare i primi preziosi frutti dopo 7 o 8 anni. Si noti che l'utilizzo di mezzi meccanici dove la viabilità è ridotta al minimo, può comportare l'eventuale
sistemazione di un sentiero di accesso con ulteriore iter autorizzativo ed ulteriore aggravio di costi. In conclusione, nonostante gli evidenti ostacoli burocratici, secondo chi ancora fatica sulle terre di Civitella di Scheggino e molte terre della Valnerina vale sempre di più un pezzettino di terra, che un pugno di banconote dal valore flessibile, mutevole ed assolutamente inaffidabile. Con la vita stressante di questi tempi non c'è miglior medicina che veder crescere e fruttare il proprio lavoro tra incalcolabili ed irripetibili sforzi sfogando le ansie immersi nella natura più selvaggia. i dice che l'imprenditore agricolo non sia un vero imprenditore, perchè naturalmente il fatturato della sua azienda può sembrare basso rispetto ad altri settori ed incide poco sul PIL. A mio avviso, se l'industriale utilizzasse le stesse energie dell'imprenditore agricolo, a parità di risorse primarie, e capisse di dover reinvestire in mezzi, in tecnologie e in sicurezza, invece di diminuire i costi di manutenzione e della manodopera portando i capitali in paradisi fiscali, lo stato delle industrie oggi non verserebbe in stato di coma permanente, in attesa delle trasfusioni di capitali da parte delle banche e dello Stato italiano.
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Vita da “Migrante”
DI
LORETTA OTTAVIANI
Quando le persone attraversano i confini del proprio Paese, probabilmente non lo sanno ancora, ma il mondo non li guarderà più con gli stessi occhi, poiché hanno acquisito un nuovo status o condizione personale: sono dei migranti. In conseguenza di ciò, essi si trovano spesso in una posizione di inferiorità rispetto a coloro che detengono un passaporto del Paese in cui vivono. A prescindere dalle circostanze nel-
le quali viaggiano, coloro che diventano migranti normalmente si muovono in ambienti nuovi, sconosciuti, e meno sicuri. Che siano entrati regolarmente oppure siano privi di documenti, i migranti troveranno generalmente i loro diritti ridotti rispetto a quelli dei cittadini del Paese in cui soggiornano. Il livello di violazione dei loro diritti o di esclusione dei migranti dall’assistenza legale o dalla possibilità di adire le vie legali varia in maniera considerabile da una giurisdizione all’altra. Un migrante “regolare” potrebbe subire violenze sul posto di lavoro oppure essere
soggetto a condizioni precarie di lavoro, oltre a una carenza di protezione dei diritti del lavoratore, ed aver paura di adire le vie legali a causa della minaccia di licenziamento da parte di un superiore con conseguente perdita del permesso di lavoro. Un “rifugiato” potrebbe ritrovarsi intrappolato nel lungo, complesso e spesso arbitrario labirinto delle procedure per il riconoscimento della sua condizione giuridica, durante le quali i diritti possono essere ridotti e il richiedente asilo rischia di ritrovarsi in una situazione di incertezza: in un “limbo giuridico”.
22 Ancor più vulnerabili sono i “migranti senza documenti”. A causa del timore di essere identificate o espulse, molte persone che si trovano in questa condizione giuridica e sociale perdono, nella pratica, ogni opportunità di rivendicare i propri diritti umani o di accedere alle vie legali predisposte per proteggerli: rischiano di essere sottoposti a sfruttamenti economici o fisici, all’indigenza, e all’allontanamento sommario verso i propri Paesi di origine, col rischio per alcuni di affrontare pericoli
Migranti per la propria vita o incolumità. Tuttavia, per i migranti irregolari, che entrano nel Paese senza documenti o si trattengono dopo la scadenza del permesso di soggiorno, un fattore quasi costante concerne la forte motivazione a non essere rimandati nel loro Paese di origine, per cui sono pronti a accettare molte privazioni personali e, persino, la negazione dei loro diritti. Sia coloro che emigrano per sfuggire alla guerra, alle persecuzioni, alla fame, a catastrofi naturali o a depressioni economiche,
sia coloro che si spostano per cercare una vita migliore, entrambi spesso preferiscono le situazioni di insicurezza, di restrizioni e, a volte, di indigenza nei Paesi di destinazione piuttosto che quelle che potrebbero incontrare una volta rientrati a casa. Molti non hanno altra scelta che partire. Coloro che, invece, hanno almeno qualche scelta limitata, sono disposti a correre il rischio di perdere i propri diritti nella speranza di riconquistarli in seguito nel Paese di soggiorno.
15 Settembre 2012. Click day sanatoria per stranieri extracomunitari Nella GU del 25 luglio è stato pubblicato il decreto legislativo 16 luglio 2012, n. 109 di attuazione della direttiva 2009/52/CE che introduce norme minime relative a sanzioni e a provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare e in particolare l’art. 5 “disposizione transitoria” reca le disposizioni per l’emersione dei lavoratori stranieri occupati irregolarmente: - domande dal 15 settembre al 15 ottobre; - moratoria delle sanzioni e delle espulsioni a partire dal 9 agosto; dal 16 ottobre pene fino a 4 anni e 6 mesi ai datori di lavoro che occupano gli irregolari. La sanatoria 2012 In contrasto con una delle dichiarazioni del ministro dell'Interno Annamaria Cancellieri, la quale afferma che "Non si può passare da una sanatoria all'altra, queste non sono la soluzione del problema'', il 5 giugno 2012 il Senato ha espresso parere positivo sullo Schema del decreto legislativo, recante attuazione della direttiva 2009/52/CE, che introduce norme minime relative a sanzioni e a provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, ma condizionandolo al fatto che il governo faccia una nuova regolarizzazione per gli stranieri extracomunitari già presenti in Italia. La sanatoria o regolarizzazione si pone i seguenti obiettivi: ad un gran numero di lavoratori stranieri clandestini o irregolari, già presenti sul territorio italiano, di ottenere il permesso di soggiorno per lavoro, avendo già datori di lavoro disposti ad assumerli regolarmente e versare i relativi contributi; ai datori di lavoro di evitare di incorrere in pesantissime sanzioni. La regolarizzazione annunciata è diventata legge il 25/07/2012 quando è stato pubblicato in G.U. il d.lgs. n. 109. Vediamo i presupposti e le condizioni men-
tre per il dettaglio delle procedure si dovrà attendere un decreto interministeriale che sarà adottato entro il 29 agosto. Chi può attivare il procedimento di regolarizzazione Le date sono ormai ufficiali: il click day scatterà il 15 settembre 2012 e riguarderà tutti i datori di lavoro che, alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo occupano irregolarmente alle proprie dipendenze da almeno tre mesi, e continuano ad occuparli alla data di presentazione lavoratori stranieri irregolari. I datori di lavoro potranno essere (oltre che italiani) anche comunitari o stranieri in possesso del permesso CE per soggiornanti di lungo periodo (ex carta di soggiorno). Non possono partecipare i datori di lavoro che: - sono stati condannati negli ultimi cinque anni, anche con sentenza non definitiva, per favoreggiamento dellimmigrazione clandestina, per tratta o sfruttamento di prostituzione e minori, o per aver dato lavoro a immigrati irregolari; - dopo aver presentato, in passato, altre domande di regolarizzazione o per i flussi, non ha poi assunto il lavoratore, perchè non ha sottoscritto il contratto di soggiorno presso lo sportello unico, salvo cau-
se di forza maggiore. Requisiti del rapporto di lavoro Il lavoratore deve essere occupato (irregolarmente e con rapporto a tempo pieno salvo trattarsi di lavoro domestico o di assistenza alle persone per i quali sono sufficienti anche 20 ore settimanali) alle dipendenze del richiedente da almeno tre mesi antecedenti la data di entrata in vigore del decreto (9 agosto e quindi dal 9 maggio 2012) e lo sia ancora al momento della presentazione della dichiarazione di emersione (primo giorno utile il 15 settembre, ultimo il 15 ottobre). Quali lavoratori non possono essere regolarizzati Per poter partecipare alla sanatoria, gli stranieri irregolari devono essere presenti nel territorio nazionale in modo ininterrotto almeno dalla data del 31 dicembre 2011, o precedentemente. Questo requisito dovrà essere attestato da documentazione proveniente da organismi pubblici e tutto dovrà essere presentato allo Sportello unico dell'immigrazione. Non possono partecipare i lavoratori che: - hanno avuto un provvedimento di espulsione; - risultino segnalati, anche in base ad accordi
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Questa è la condizione umana che le leggi e le politiche migratorie tentano di gestire e talvolta di sfruttare. La migrazione è una questione controversa e altamente dibattuta nel contesto politico della maggioranza degli Stati di destinazione e il controllo dei confini nazionali è considerato un aspetto essenziale della sovranità dello Stato. Questi scontri politici si riflettono anche nella legislazione nazionale, che definisce il quadro normativo all’interno del
quale sono a rischio i diritti umani dei migranti. Tant’è che gli Stati sempre più spesso adottano una normativa restrittiva, alimentata frequentemente da un’ostilità della popolazione verso gli immigrati, con l’effetto di aumentare la proporzione di migranti senza documenti, la cui vulnerabilità a abusi e sfruttamenti è particolarmente alta. In definitiva, esistono interessi essenziali in gioco sia per l’individuo sia per lo Stato. Tuttavia addossare la colpa di
ciò agli immigrati è ingiusto e infondato. Non si può certo addossare loro la colpa della povertà. Non se la sono cercata, non è colpa loro se le materie che essi producono sono andate sempre diminuendo di valore, mentre quelle che produciamo noi sono sempre andate aumentando: i prezzi li impongono gli occidentali! E spero che nessuno consideri una colpa quello di cercare di sfuggire alla fame e alla persecuzioni per trovare da vivere.
o convenzioni internazionali in vigore per l'Italia, ai fini della non ammissione nel territorio dello Stato; - risultino condannati, anche con sentenza non definitiva, e che comunque siano considerati una minaccia per lordine pubblico o la sicurezza dello Stato o di uno dei Paesi con i quali lItalia abbia sottoscritto accordi internazionale. Quanto costa Per poter accedere alla regolarizzazione, i datori di lavoro dovranno versare 1.000 euro nelle casse dello Stato per ogni immigrato “clandestino” alle proprie dipendenze. Al momento della stipula del contratto di soggiorno, che verrà sottoscritto allo Sportello unico dell'immigrazione, dovranno dimostrare di aver versato regolarmente, oltre al “contributo forfettario” ma anche retribuzione, tasse e contributi per almeno sei mesi o, se, superiore, per tutta la durata del rapporto di lavoro. Il contributo non è deducibile ai fini dellimposta sul reddito. Moratoria Dal 9 agosto e fino alla conclusione del procedimento di emersione sono sospesi i procedimenti penali e amministrativi nei confronti del datore di lavoro e del lavoratore per le violazioni delle norme relative allingresso e al soggiorno nel territorio nazionale, ed allimpiego irregolare dei lavoratori stranieri anche se rivestano carattere finanziario, fiscale, previdenziale o assistenziale, con esclusione di tutti i reati previsti dallarticolo 12 TUI (favoreggiamento dellingresso di clandestini, della permanenza, cessione di immobili, ecc). Nello stesso arco di tempo sono sospese le espulsioni tranne che nei casi sopra indicati come ostativi alla regolarizzazione. La procedura post domanda Lo Sportello unico per limmigrazione, acquisiti i pareri di questura e DPL (sulla capacità economica del datore di lavoro e sulla congruità delle condizioni di lavoro applicate) convoca le parti per la stipula del
contratto di soggiorno e per la presentazione della richiesta del permesso di soggiorno per lavoro subordinato, previa esibizione dellattestazione di avvenuto pagamento dei contributi previsti. Contestualmente alla stipula del contratto di soggiorno, il datore di lavoro deve effettuare la comunicazione obbligatoria di assunzione al Centro per limpiego ovvero, in caso di rapporto di lavoro domestico, allInps.Nei casi in cui non venga presentata la dichiarazione di emersione ovvero si proceda allarchiviazione del procedimento o al rigetto della dichiarazione, la sospensione dei procedimenti penali ed amministrativi cessa, rispettivamente, alla data di scadenza del termine per la presentazione ovvero alla data di archiviazione del procedimento o di rigetto della dichiarazione. Però, se lesito negativo del procedimento non è imputabile al datore di lavoro, i procedimenti penali e amministrativi a suo carico sono archiviati. Con la sottoscrizione del contratto di soggiorno, la comunicazione obbligatoria
di assunzione ed il rilascio del permesso di soggiorno si estinguono reati ed illeciti amministrativi a carico del datore di lavoro e del lavoratore. Per conoscere nel dettaglio le modalità di presentazione delle domande e le indicazioni operative sui passaggi meno chiari della norma si dovrà attendere lemanazioni delle circolari dei Ministeri dellinterno, del lavoro e dellInps. Considerazioni Sembra che ci troviamo di fronte ad una ricetta già nota e anche peggiore delle altre: dopo i 500 euro richiesti nel 2009, infatti, ora per la regolarizzazione saranno chiesti, oltre a contributi e retribuzioni, 1.000 euro: - si potrebbe innescare una nuova gigantesca gara al permesso di soggiorno nella quale gli unici a rimetterci saranno ancora i “migranti”, - si permette ai padroni di mettersi in salvo dalle possibile denunce di lavoro nero, - il Governo ancora una volta farà cassa per sanare i propri conti facendo leva sullinasprimento delle pene per i datori di lavoro.
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E’ evidente che quelli che vengono nel nostro paese per trovare da vivere non possiedono niente, altrimenti sarebbero rimasti al loro paese. Quel poco che avevano sovente lo hanno speso per pagare il trasporto. Arrivati qui, non trovano lavoro: è giocoforza che mendichino il pane, solo dopo essere stati giorni interi senza mangiare. La responsabilità
di questo disagio ricade più sulla disorganizzazione-illegalità del nostro paese che su di loro. Si può capire che a queste situazioni si potrebbe mettere rimedio con una politica, che provveda ad accogliere ed inserire adeguatamente gli immigrati nel tessuto sociale, che renda meno precaria la loro condizione (anche dal punto di vista burocratico), che li
sottragga alla delinquenza locale e all’illegalità (dei padroni e dei proprietari), che controlli maggiormente gli abusi e le situazioni di delinquenza strisciante. Invece la politica italiana è stata per anni latitante su questo. Ciò ha prodotto una situazione di illegalità diffusa perché le immigrazioni potevano avvenire solo clandestinamente.
Principali leggi di riferimento in materia di extracomunitari in Italia Le leggi emanate nel corso degli anni, in particolare la n.943 del 1986 e la n.39 del 1990, meglio nota come legge Martelli, hanno di volta in volta affrontato singoli aspetti della condizione dello straniero, senza arrivare ad una legge organica. La Legge n. 40 del 6 marzo 1998 (detta legge Turco-Napolitano, inserita successivamente nel Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dellimmigrazione) che, abrogata quasi tutta la legislazione precedente, intende disciplinare in modo completo la condizione giuridica dello straniero: fissa gli indirizzi, gli obiettivi e le regole su tutti gli aspetti che concernono la vita degli stranieri nel nostro paese, ma demanda al Governo e alle amministrazioni la loro attuazione. Nono-
stante lo sforzo di dare una disciplina unitaria ed organica allintera materia, è continuata quindi la prassi di regolare in concreto le situazioni attraverso circolari ministeriali ripetute e spesso contraddittorie. La Legge 189 del 2002 (legge Bossi/Fini) modifica radicalmente la precedente legge a svantaggio degli stranieri: l'ingresso in Italia può dirsi difficoltoso, come più difficoltosa è resa la permanenza regolare; sono accelerate e semplificate le procedure per l'espulsione dei "clandestini" le cui modalità di esecuzione divengono sempre più dure; sono state limitate le possibilità di ricongiungimento familiare; si riduce la concreta praticabilità del diritto di asilo. Il cosiddetto Pacchetto Sicurezza (Decreto Legge, testo coordinato del 23.05.2008 n. 92, pubblicato in G.U. 25.07.2008), che potremo definire una legge barbara, ha
persino introdotto il reato di clandestinità, così che coloro che arrivano nel nostro paese in cerca di un lavoro, sono già delinquenti prima ancora di aver commesso qualche malefatta. Decreto Legge del settembre 2009 per lemersione del lavoro irregolare di colf e badanti di origine straniera. Si tratta della cosiddetta “sanatoria 2009” rivolta a cittadini stranieri, lavoratori onesti a cui doveva essere “offerta” la possibilità di vivere alla luce del sole, di avere un permesso di soggiorno e un contratto di lavoro regolare. In realtà si tratta di un decreto legge di natura discriminatoria, poiché tale provvedimento ha sanato la posizione solo di chi lavora nelle nostre case o assiste i nostri nonni, lasciando, così, costretti allo sfruttamento e alla clandestinità i lavoratori dellindustria, dellagricoltura e di tutti gli altri settori.
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Le forme della Democrazia La Comune di Parigi democrazia diretta, il popolo al potere
La Bandiera Rossa sventola sull’Hotel de Ville di Parigi. Il 18 marzo 1871 il Comitato Centrale della Federazione popolare si istallò nell’Hotel de Ville e issò la bandiera rossa stendardo e simbolo della Comune “La Comune fu l'antitesi diretta dell'impero. Il grido di "repubblica sociale", col quale il proletariato di Parigi aveva iniziato la rivoluzione di febbraio, non esprimeva che una vaga aspirazione a una repubblica che non avrebbe dovuto eliminare soltanto la forma monarchica del dominio di classe, ma lo stesso dominio di classe. La Comune fu la forma positiva di questa repubblica ... La molteplicità delle interpretazioni che si danno della Comune e la molteplicità degli interessi che nella Comune hanno trovato la loro espressione, mostrano che essa fu una forma politica fondamentalmente espansiva, mentre tutte le precedenti forme di governo erano state unilateralmente repressive. Il suo vero segreto fu questo: che essa fu essenzialmente un governo della classe operaia, il prodotto della lotta della classe dei produttori contro la classe appropriatrice, la forma politica finalmente scoperta, nella quale si poteva compiere la emancipazione economica del lavoro.” (Karl Marx)
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Sudditi repressi del regno e dell’impero, cittadini emarginati e sfruttati della repubblica borghese, per due mesi padroni di se stessi. 18 marzo - 28 maggio 1871, l’epopea eroica della Comune di Parigi DI
@BARBERINI.IT
La storia oscurata e la memoria negata La Comune di Parigi nei soli due mesi di vita ha rappresentato un fenomeno storico unico, di straordinaria importanza, tanto grande che, a distanza di decenni e ancora circa un secolo più tardi all’altro capo del mondo, è stata non solo ricordata, ma persino fedelmente replicata con richiami testuali espliciti. All’esperienza della Comune di Parigi del 1871 si ispirò, infatti, non solo la rivoluzione bolscevica, ma ne fu fedele replica nel 1967, nel corso della Grande Rivoluzione Culturale cinese, l’omonima Comune di Shangai. Eppure di quell’evento sembra quasi essere stata rimossa la memoria e negata la conoscenza nella nostra cultura storica e politica così detta occidentale. Due fattori hanno concorso, e di fatto ancora concorrono, nella nostra cultura a sostenere quella “rimozione”: il primo in certo senso “morale”, il secondo decisamente “politico”. Al primo motivo di rimozione appartengono due peculiarità (se tali si vogliono chiamare) che caratterizzarono il soffocamento dell’esperienza comunarda parigina. La prima è stata la “santa alleanza” che in quel frangente si realizzò, ancorché tacitamente ma sfacciatamente, tra gli eserciti vittoriosi della Prussia che aveva appena sconfitto l’esercito di Napoleone III, imprigionato l’imperatore, invaso la Francia sino alle porte di Parigi e stava dettando le condizioni di disarmo, risarcimento economico e perdite territoriali del-
Il muro dei Federati al Père Lanchaise, contro il quale vennero fucilati con le mitragliatrici centinaria di combattenti e popolani della Comune di Parigi la nazione sconfitta, e quel che restava dell’armata francese ancora non smobilitata e rimasta agli ordini del governo della repubblica post napoleonica che stava, appunto, trattando le condizioni pesantissime della resa. La seconda è stata la dimensione senza precedenti del massacro di popolo, non solo militari o combattenti, ma donne, vecchi e persino bambini che nei pochi giorni della riconquista della città da parte del governo post napoleonico contò circa 50.000 morti dichiarati, ma verosimilmente molti più, oltre ai deportati nelle colonie penali centroamericane, ai profughi riparati all’estero e agli incarcerati. Se si paragona il massacro di popolo dei pochi giorni della Comune di Parigi alle esecuzioni per ghigliottina del così detto periodo del “terrore” della rivoluzione francese di fine settecento, il rapporto è di dieci a uno; ma a morire nel “terrore” rivoluzionario furono nobili, borghesi e persino un re e una regina, a morire nella repressione della Comune furono ignoti popolani, operai e artigiani, di loro, massacrati con le bombe incendiarie al petrolio, falcidiati con le mitragliatrici, sepolti anche vivi coperti di calce, non restano neppure le tombe, ma solo un muro che fece da sfondo a una delle tante carneficine con una targa alla memoria.
Il primo governo proletario della storia Assai più rilevante, ovviamente per la storia che seguì e che, soprattutto, mantiene ancora la pericolosa attualità dell’esperienza della Comune, è il motivo, come detto, politico: la Comune di Parigi fu il primo esperimento nella storia dell’umanità di governo popolare. Non si trattò più allora di eliminare una classe, quella aristocratica, per sostituirla con un’altra classe emergente, la borghesia, il progetto della Comune sfiorò l’abolizione delle classi e dimostrò come il popolo, quel popolo ignorante e da sempre sottomesso ed escluso da ogni decisione anche riguardante la propria vita, era stato in grado di auto organizzarsi, di governare, di progettare un futuro completamente diverso, realmente rivoluzionario. Per un attimo, in quei brevi due mesi di vita, lotta e repressione, l’organizzazione amministrativa della Comune di Parigi non si limitò a impossessarsi e replicare, seppure su presupposti ovviamente estremamente diversi, la struttura del vecchio Stato borghese, ma concepì lo stesso superamento dello Stato, una forma di società nuova fatta di democrazia diretta, autonomie, federalismo e libertà totale.
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La sconfitta annunciata La Comune di Parigi fu in realtà, in quel particolare contesto storico, un progetto velleitario, nel senso che non aveva alcuna possibilità di successo, anche se forse era imprevedibile l’efferata violenza della repressione. Di questo ebbe sin da prima dell’insurrezione piena coscienza Marx che ne avvertì la pericolosità, scontrandosi con i teorici del terrorismo politico e del martirio del popolo (raramente di quello personale loro) quali i bombaroli regicidi di Mazzini, diversi spontaneisti utopici socialisti di Proudhon, anarchici insurrezionalisti di Bakunin e altri ancora idealisti ignari della leggi dell’economia e delle classi sociali. Due le grandi debolezze individuate e denunziate da Marx: la prima era relativa alla realtà oggettiva del contesto politico militare che vedeva in campo eserciti potenti e Stati, quelli vincitori, ancora saldamente nelle mani delle aristocrazie nazionali, troppo forti e organizzati per poter immaginare di sconfiggerli con milizie popolari spontanee, non addestrate e neppure adeguatamente armate; il secondo era il cuore stesso dell’analisi marxista della lotta di classe e della rivoluzione comunista: in quel momento storico non solo non si era ancora compitamente definita una classe operaia in grado di
guidare una rivoluzione vittoriosa, ma soprattutto la classe nascente non aveva ancora a disposizione il suo fondamentale strumento ideologico e organizzativo: il partito dei lavoratori, il partito comunista. Così avvertiva Marx nell’Indirizzo al Consiglio Generale dell’Internazionale dei Lavoratori (Prima Internazionale) il 9 settembre 1870: “La classe operaia francese si trova dunque in una situazione estremamente difficile. Ogni tentativo di rovesciare il nuovo governo nella crisi presente, mentre il nemico batte quasi alle porte di Parigi, sarebbe una disperata follia. Gli operai francesi devono compiere il
Parigi nel 1871 era una città inespugnabile sia per il sistema di fortificazioni che per il grande numero di abitanti che, armati con armi e munizioni prodotte nelle fabbriche allinterno alla stessa Parigi, superavano di molto anche i più numerosi eserciti stranieri. Benché affamata dallassedio la città era in grado di produrre cibo sufficiente alla numerosa popolazione. Parigi non sarebbe mai caduta per un attacco straniero, solo tradimenti e incertezze decisionali portarono alla sconfitta della Guardia Nazionale, lesercito di popolo auto organizzato e federato sulla base di autonomie territoriali che facevano capo al Comitato Centrale. Nei due mesi di caotico governo della città, caratterizzato da una continuità di elezioni nei luoghi di lavoro, circoscrizioni e generali, che indebolirono molto la strategia militare, ma anche quella governativa, la Comune approvò una serie di decreti che stabilivano principi a volte talmente innovativi che non solo non avevano precedenti neppure nella rivoluzione della fine 700, ma che faticheranno a imporsi in tutto il 900 e in parte sono ancora inattuati nel nostro 2000 europeo. Alcuni dei decreti più importanti riguardarono: il 29 marzo fu decretata labolizione dellesercito permanente e istituita la Guardia Nazionale formata da tutti i cittadini su base territoriale e federale; l1 aprile gli stipendi dei funzionari pubblici vennero equiparati a quelli degli operai; il 2 aprile venne abrogato il concordato napoleonico con la chiesa cattolica e sancita la separazione tra Stato e chiesa con lesproprio della manomorta religiosa e il passaggio delle scuole religiose alla
loro dovere di cittadini: ma non si devono lasciar sviare dalle tradizioni nazionali del 1792, come i contadini francesi si lasciarono ingannare dalle tradizioni nazionali del Primo Impero. Essi non devono ripetere il passato, ma costruire il futuro. Utilizzino essi con calma e risolutamente tutte le possibilità offerte dalla libertà repubblicana, per rafforzare decisamente l'organizzazione della loro classe. Ciò darà loro nuove forze erculee per la rinascita della Francia e per il nostro compito comune - l'emancipazione del proletariato. Dalla loro forza e dalla loro saggezza dipendono le sorti della repubblica.”
Comune; l8 aprile vennero deliberate pensioni alle vedove e agli orfani di guerra senza distinzione della legittimità del matrimonio e della nascita ma solo con riguardo alle situazioni di fatto; il 16 aprile vennero espropriate le officine abbandonate dai proprietari che vennero assunte dai lavoratori in forma associativa auto organizzata; il 20 aprile venne proibito il lavoro notturno e avviato il dibattito sulla limitazione dellorario di lavoro a 8 ore; il 10 maggio vennero chiuse le case di tolleranza; il 19 maggio venne decretata la laicità della scuola col divieto di insegnamento di materie religiose e la presenza dei relativi simboli, lapertura di scuole professionali, la gratuità dei libri di testo e il raddoppio degli stipendi agli insegnanti; il 21 maggio venne decretato il trasferimento dei teatri, musei e luoghi darte alla Comune e stabilita lautogestione da parte degli attori e operato-
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Il seme della consapevolezza popolare dai Soviet alla Comune di Shangai Privo di una solida strumentazione ideologica, culturale e scientifica e della guida di un’avanguardia organizzata, lo spontaneismo popolare era destinato all’insuccesso e al massacro, e così avvenne. Il seme però era stato gettato. Di lì a pochi decenni l’esperienza di democrazia diretta della Comune di Parigi trovò numerosi seguiti, alcuni vittoriosi, come quello russo, altri sconfitti, come quello tedesco e italiano: 1920 Il Consiglio di fabbrica della FIAT si insedia nellufficio del senatore Angelli erano i consigli, i soviet nella lingua russa, le forme cioè di autorganizzazione spontanea popola- polare parigina nella breve ma signifi- tiche e culturali per la scomparsa delle re nei luoghi di lavoro, nell’esercito, cativa esperienza della Comune di classi sociali. La democrazia consiliare nelle città e anche nelle campagne. Shangai superata, con confronto de- dell’esperienza della Comune di Parigi Questa volta però a guidarli c’erano le mocratico e senza spargimenti di san- è forse ancora lontana dal poter essere nuove organizzazioni delle classi lavo- gue, dalla constatazione condivisa del- effettivamente replicata e applicata ratrici, sia i sindacati sia, soprattutto, la intempestività della dissoluzione con successo anche negli stessi Stati i partiti e, primo tra questi, il partito dello Stato centralizzato con la crea- comunisti, ma sarà senza dubbio un comunista creato da Lenin. Sarà anco- zione di autonomie territoriali autogo- passaggio futuro necessario nel perra il partito comunista, in questo caso vernate quando ancora non si era com- corso della realizzazione della società quello cinese, nel 1967, a riprendere piuta la fase del consolidamento dello degli uguali, della società senza più fedelmente, quasi letteralmente, Stato popolare e non erano state rea- classi e senza più Stato, della società l’esperienza di autorganizzazione po- lizzate le condizioni economiche, poli- comunista.
La Comune di Shangai Tornato sulla scena politica dopo quasi sette anni di silenzio Mao lancia la Grande Rivoluzione Culturale con la parola dordine “Fuoco sul Quartier Generale”. E una rivoluzione tutta interna al Partito Comunista che, dopo il fallimento del progetto di sviluppo accelerato dellindustria pesante denominato il “Grande Balzo”, aveva preso uninclinazione moderata con un forte irrigidimento burocratico. La rivoluzione nasce soprattutto tra le giovani generazioni, ma presto si estende al mondo del lavoro e a quello operaio in particolare nelle aree con maggiore sviluppo industriale. La parola dordine era, nella sostanza, di smantellare lapparato burocratico autoreferenziale del Partito sovietizzato, danno spazio alle autonomie decisionali e amministrative dei luoghi di lavoro, di studio, delle città e delle campagne. La rivoluzione ottiene consensi e seguiti assai diversi nel vasto e diversificato territorio della Cina degli anni 60; in ceri casi anche fortemente osteggiata, in altri casi entusiasticamente recepita persino oltre le aspettative del suo promotore. A Shangai, storicamente la città a più alta concentrazione e operaia, la Rivoluzione Culturale ha una vera e propria esplosione di consensi e di partecipazione. In pochissimi mesi un nucleo originario di poche centinaia di operai e dirigenti dissidenti dalla linea burocratica del Partito raggiunge adesioni di oltre 3 milioni di cittadini. La città subisce un rivolgimento generale, salta lintero sistema amministrativo, ma anche di organizzazione del Partito Comunista, e si afferma lautoge-
stione a tutti i livelli e luoghi di studio e di lavoro. A guidare la Rivoluzione sono tre dirigenti che più tardi formeranno, con laggiunta di Chang Ching moglie di Mao, il gruppo radicale divenuto famoso con il nome di “Banda dei Quattro”, smobilitato e represso dopo la morte di Mao. Forti di una solida cultura umanistica, i tre dirigenti fondano la Comune di Shangai replicando letteralmente lesperienza di autogestione, autonomia e organizzazione federale della Comune di Parigi del 1871. Lesperienza è così avanzata e partecipata dai cittadini di Shangai da allarmare lo stesso Mao che teme una “fuga in avanti” della città più industrializzata della Cina a discapito della solidarietà con la crescita delle aree allepoca assai arretrate sia economicamente che culturalmente. Mao, in sostanza, intravede il rischio di una disarticolazione dello Stato e del Partito intempestiva quando ancora non si erano realizzate le condizioni storiche, culturali ed economiche per la dissoluzione dello Stato prefigurate da Engels. E dunque lo stesso Mao a intervenire personalmente con una lettera ai dirigenti della Comune di Shangai per frenarne gli eccessi e richiamarli allordine della solidarietà nazionale e della disciplina del centralismo democratico del Partito Comunista. Formalmente istituita il 5 febbraio 1967 la Comune di Shangai cessa il 24 febbraio dello stesso anno dopo soli 20 giorni di vita. A sostituire gli organi della Comune sarà un Comitato Rivoluzionario costituito sulla base della triplice alleanza tra militari, quadri rivoluzionari e rappresentanti delle masse popolari.
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La malattia mentale fra ricovero in strutture psichiatriche ospedaliere e cura in luoghi alternativi extraospedalieri
Nel precedente numero di luglio-agosto avevamo preannunciato l'apertura di un dibattito sulla legge 180, la legge sulla Riforma psichiatrica attribuita non completamente a ragione, a Basaglia. Alla Legge 180, e quindi a Basaglia, vengono addebitati tutti i mali dell'attuale situazione della cura della malattia mentale e non sempre anche qui ragione. Ma anche i difensori della Legge 180 spesso non hanno correttamente centrato il problema della cura della malattia mentale confondendo gli interventi sugli stati acuti di sofferenza psichica che richiedono il ricovero in strutture ospedaliere "chiuse", con quelli invece di prevenzione cura e riabilitazione che a norma della Legge 180, devono essere attuati in "presidi e strutture sanitarie extraospedaliere" dette più semplicemente Comunità Terapeutiche ( in psichiatria). Gli stati acuti di sofferenza psichica, a norma del-
la legge 180, possono richiedere anche il ricovero coatto in ambienti ospedalieri. La prevenzione, cura e riabilitazione della malattia mentale, sempre secondo la Legge 180, escludono invece e tassativamente il ricovero coatto in luoghi ospedalieri e richiedono invece la manifestazione esplicita della volontà di curarsi senza l'obbligo di residenza in un luogo chiuso. Ancora una volta ricorriamo ad esperti per non cadere, anche noi, in errori e approssimazioni. L'articolo che segue tratta delle Comunità terapeutiche in psichiatria. Presentato in un Convegno internazionale sulla cura della malattia mentale ha il titolo di " Cosa intendiamo oggi per Comunità Terapeutica" ed è a firma di due psicologi psicoterapeuti, fondatori in Italia delle prime Comunità terapeutiche private per la cura della malattia mentale: Clara Caltagirone e Roberto Quintiliani.
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Comunità
Cosa intendiamo per Comunità Terapeutica* DI CLARA CALTAGIRONE E ROBERTO QUINTILIANI
I
primi esperimenti di comunità terapeutica, particolarmente quelli inglesi, si sono proposti come tentativo di integrare la psicoanalisi, la psichiatria sociale e la psicologia gruppale. Dalla prima esperienza di Bion a Northfield a quelle di Main, Jones e Laing, assistiamo al prevalere alterno di alcune modalità su altre, ma con alcune caratteristiche di base comuni a tutte. Tom Main basa la sua esperienza sul tentativo di estendere la psicoanalisi individuale e gruppale alla comunità, intesa come il luogo in cui i residenti e l'équipe curante, partecipano alla vita quotidiana ed in cui la 'cultura dell'indagine' permette la lettura in chiave analitica dei fatti individuali, relazionali ed istituzionali; la premessa è che tutto lo staff abbia una formazione analitica e sia disponibile a mettersi in discussione per il buon esito dell'intervento. M axwell Jones fonda una comunità di stampo maggiormente psicosociale con gruppi di discussione democratici e con la partecipazione di rappresentanti degli utenti in tutti i gruppi istituiti. Per Laing e l'antipsichiatria, era invece necessario che al paziente fosse permessa la regressione e la 'rinascita' in un ambiente dove non esistessero coercizione, differenziazione di ruoli e norme stabilite a priori.
A
l tempo dei nostri avventurosi esordi (siamo al 1979), tuttavia, poca era la letteratura nota e disponibile sulle comunitàA quei tempi, e per diversi anni, lavoravamo puntando molto sull'ipotesi di una rinascita psicologica dei pazienti, avendo poca preoccupazione per gli aspetti di regressione e di eccessiva dipendenza che tale metodo poteva facilmente indurre. Va detto che ciò era fa* Con il consenso degli autori, il testo originale dellarticolo, pubblicato sulla Rivista “Reverie” del dicembre 200, è stato ridotto per motivi di spazio grafico
vorito sia dalla gravità dei pazienti inviatici, sia dall'assenza di un limite temporale postoci per il trattamento da parte dei Servizi: forse avendo anche un suo peso la convinzione di inguaribilità delle psicosi, fino ad allora vigente in ambito sia psichiatrico che psicoanalitico. In ogni caso, i nostri sforzi hanno necessariamente e naturalmente oscillato tra la comprensione e gestione possibile del singolo paziente e l'organizzazione della quotidianità del gruppo. Infatti, senza un'organizzazione che dia sufficiente sostegno e limiti all'attività dei singoli (utenti, ma anche operatori), un senso di precarietà può pervadere l'ambiente, tendendo a deprimerlo ed a frammentarlo: gli operatori possono assumere un comportamento di maniacale operatività o viceversa, di passiva sfiduciata attesa, incrementando così il senso di inadeguatezza e di abbandono che sempre cova nell'animo di chi sia arrivato a cercare il nostro aiuto. Occorre perciò effettivamente occuparsi dell'organizzazione, senza enfatizzarne troppo l'efficienza. Preferiamo in questa sede evitare la citazione di tutte quelle attività che, inserite nella programmazione settimanale, possono tornare utili sia come elemento strutturante per l'intero gruppo, che come specifici stimoli da fornire, a seconda dei momenti ed opportuna-
mente valutati, caso per caso: ogni comunità può infatti, utilizzando risorse economiche, tecniche e di fantasia, animare e sostenere la propria quotidianità in modo in parte regolare e in parte vario, in una articolazione che consenta anche un naturale scambio con l'esterno, al fine di favorirne la migliore e più costruttiva utilizzazione da parte dei pazienti. Soffermandoci, però, ancora sull'organizzazione delle attività, vogliamo introdurre l'idea che essa, se non fornita degli adeguati dispositivi può costituire non più che una cornice entro la quale operare il compito richiesto di produrre una maggiore integrazione cosa che ha a che fare con la cultura e con le qualità umane tanto di chi predispone tali attività in C.T. quanto di chi, ad ogni e vario titolo, vi opera. La comunità terapeutica accoglie infatti, prendendosene cura, individui portatori di sofferenze psichiche tali da escluderne la trattabilità in situazioni meno contestualizzate e per loro predisposte. Occorre perciò in primo luogo domandarci cosa impedisca ai nostri utenti di fare una buona psicoterapia, standosene comodamente a casa propria, beneficiando magari dell'inserimento in una delle tante e benemerite cooperative integrate, con la prospettiva di una rapida 'riabilitazione' e di un facile guadagno.
Comunità Di cosa possono dunque aver bisogno, cosa possono utilizzare e condividere persone dalla storia, dall'età, dai disturbi anche molto differenti quando si rivolgono a noi, a volte con l'attesa quasi magica di guarire senza cambiare? Sono spesso persone già impoverite dal disagio, dagli effetti a volte spersonalizzanti degli psicofarmaci, dalla umiliazione subita nel corso di ricoveri, anche opportuni, ma spesso gestiti con superficialità e con esclusione del loro corretto utilizzo, implicando cioè, la finalità di predisporre un più globale progetto terapeutico così, come previsto; persone perciò terrorizzate all'idea di venire "corrette", "deprivate" di qualcosa ancora.
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ziente, grazie al suo lavoro prevalentemente gruppale, una diffusione degli investimenti. Lo spazio istituzionale viene cioè a supplire ad uno spazio psichico che non permette, al paziente psicotico, scambi ricchi e variati ed una conflittualità tollerabile, senza compromettere il suo senso di identità e di continuità interna. I n attesa che 'qualcosa' permetta alle persone a noi affidate di pensare, piuttosto che agire quegli stati d'animo che essi tendono a precludersi, o attribuire ad altri, o
accettare o contrattare prescrizioni e regole, sia nel fissare i limiti (validi per operatori e ospiti) entro i quali si conflittualizzano le relazioni. Questo gioco dialettico dei limiti e la conflittualità che esso introduce possono permettere al paziente di assicurarsi i suoi limiti e favorire lo sviluppo progressivo di un suo spazio psichico. In tal senso sembra a noi fondamentale che gli ospiti possano esprimersi in merito alla divisione dei compiti e della programmazione; e che tale misura democra-
anche semplicemente a vivere con tale pena da doverli subito evacuare; in attesa che riescano a contenersi attraverso l'acquisizione di un linguaggio idoneo ad esprimersi, ad affermarsi, a difendersi, a modulare le distanze dagli altri, a tutti giova vivere in un luogo in cui le relazioni siano improntate alla tolleranza ed alla comprensione, in cui siano idealmente sospesi giudizi ed eccessive richieste di performances ed in cui vigano poche chiare regole oltre le quali non sia consentito andare, pena la sospensione e riformulazione del contratto. E tuttavia attraverso la proposizione del suo sistema di regole e limiti che ne scandiscono lo spazio-tempo, la comunità fornisce a tutti i suoi partecipanti un ruolo attivo sia intorno alla possibilità di
tica venga sancita con l'istituzione di una periodica assemblea, con ordini del giorno a cui possano contribuire tutti. L a riattivazione di tali processi richiede tempi ragionevoli e quel sostegno attento e continuo che solo una C.T. può offrire; e tuttavia relazioni di tale natura e intensità richiedono a loro volta, da parte della équipe, un lavoro di continua elaborazione, di ricerca di compromessi, nonché una costante osservazione e cura del contesto in cui si svolgono. Le relazioni ed il contesto vengono infatti potentemente attaccati, messi alla prova attraverso l'uso di meccanismi tendenti non solo a scindere emozioni intollerabili e pensieri a queste riferiti, ma anche a dividere le persone in cui tali emozioni vengono depositate.
L
a personalizzazione del rapporto con qualche membro della équipe, così come osservato da Rapaport nel suo rapporto sulle prime storiche C.T. inglesi, risulta fondante di ogni successivo investimento. E chiama immediatamente in causa un operatore (da noi opportunamente scelto per la funzione di affidamento di quello specifico paziente, così come da noi teorizzato e praticato già dall' '83), il quale sappia condurre la relazione in modo da farlo sentire accolto ma non passivizzato, osservato e ascoltato ma non intruso, valorizzato e rispettato ma non fatto oggetto di eccessive aspettative… riconosciuto insomma con la discrezione e la chiarezza necessarie a rispecchiargli ciò che di sé può egli stesso tollerare. Vero è che in presenza di un sé non sufficientemente coeso, come facilmente accade, il legame che si stabilisce è in qualche misura di tipo parassitario: ma quando è necessario a sostenere il suo senso di sé, nonché a darci il tempo di rinforzare il legame, a questo occorre si predispongano i curanti con la calma necessaria, senza attendersi movimenti rapidi. Solo un sé stabilmente coeso permette infatti un riconoscimento dell'altro che contempli l'altrui valore senza dover squalificare il proprio, gli altrui limiti ed i propri, la realtà; ma questi sono già obiettivi. L'istituzione si propone intanto con la funzione di 'rianimazione della vita psichica', ponendosi come 'oggetto nuovo', consentendo al pa-
32 E' l'introiezione di tale esperienza, il sentirsi oggetto di cure e pensieri da parte di persone fra loro capaci di rispettarsi e dialogare, di differenziarsi e condividere che può secondo noi permettere al paziente di accedere ad una maggior coesione. Ma dove trovare operatori che possiedano doti di pazienza, tolleranza, riflessività tali da non cadere - ovvero cadere e registrarlo - nei giochi inconsapevolmente costruiti dalla psiche dei pazienti? Giacché i loro vissuti storici non ancora rivisitati sono così potenti da condizionare e subdolamente distorcere le relazioni attuali, come può, un operatore psichiatrico, guadagnarsi tale capacità riflessiva e tale coraggio da avventurarsi in rapporti notoriamente a 'rischio', senza doversi barricare dietro gabbiotti, divise, ruoli che, marcando nettamente il territorio della malattia, ne impediscono di fatto l'evoluzione attraverso la necessaria 'contaminazione' con elementi della 'salute' psichica?Come evitare che un operatore rabbioso riecheggi, amplificandola, la rabbia di un paziente? Quale espediente può salvarci dal reagire alla loro angoscia, alla loro dispersione, alla loro disperazione… come oggetti lontani irraggiungibili o come rinnovati agenti di una antica e nota risonanza…?Sia pure con tutti i dispositivi adatti a sostenere gli operatori e la loro relazione già citati, come può interagire e contenersi, cosa può elaborare, come può costituire un ambiente sufficientemente buono una équipe composta da persone non abbastanza in grado di riflettere sulle emozioni proprie prima che su quelle altrui".Ai nostri pazienti non è del resto sufficiente una psicoterapia intensiva: a loro occorre la possibilità e il tempo di introiettare non solo la relazione esclusiva con uno psicoterapeuta ma un modo più diffuso di pensare e rapportarsi che venga con naturalità operato nel luogo in cui essi vivono: qualcosa che possa ri-
Comunità condursi a quella capacità di reverie che tutti noi sappiamo idealmente funzionare in ogni madre, a condizione che non sia stata lei stessa troppo poco 'pensata' come figlia e che non lo sia attualmente. Non a caso così frequentemente rintracciamo - nella storia familiare dei pazientitrasferimenti, assenze, lutti che hanno impedito un sereno impianto del rapporto madre-figlio o ne hanno precocemente ostacolato la naturale evoluzione.
una dimostrazione dell'efficacia terapeutica, attraverso strumenti 'scientifici', esperienze 'riproducibili', certificazioni di qualità e accreditamento a vari livelli, ci pone nella necessità di confrontarci con degli strumenti che rendano misurabili i risultati della nostra attività. Per chi, come noi, basa il proprio lavoro su un'impostazione psicodinamica, che punta maggiormente all'integrazione interna, allo sviluppo di capacità riflessive, all'evoluzione del sé, può essere particolarmente ostico adeguarsi a tali nuovi parametri che rischiano di contemplare solo i risultati 'visibili', come l'acquisizione di capacità lavorative o una non meglio valutata riabilitazione che potrebbe solo riflettere organizzazioni pseudoadulte, a volte facilmente ottenibili da pazienti adesivi, peraltro poi incapaci di un'autonomia psichica.
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ome un genitore, ogni operatore è d'altronde una persona che porta nel suo lavoro, ancorché scelto e amato, le sue peculiarità, le sue doti e competenze, ma anche le sue ferite, fragilità e paure. Occorre, a nostro avviso, garantirsi che egli per primo sperimenti e vada introiettando un oggetto affidabile, sufficientemente accogliente ed in grado di 'pensarlo', affinché l'operatore possa pensare 'per sé stesso' ed esprimere tali qualità e funzioni con i suoi affidati. Tale 'formazione' sarebbe per noi da privilegiare rispetto ad ogni altra 'in-formazione'; convinti come siamo che, piuttosto che 'personale' variamente qualificato, ai nostri ospiti occorrono 'persone' che abbiano dimestichezza con la propria parte confusa, dipendente, rabbiosa, imprevedibile, angosciata… e che diano loro ospitalità nella propria mentePer concludere avvertiamo che l'avanzata inesorabile della richiesta di
'altronde, come nota Hinshelwood, ormai ci viene richiesto di collocarci all'interno di un sistema consumistico in cui è fondamentale dimostrare una propria maggior efficacia con la minore spesa possibile in un clima di libero mercato e di libera concorrenza. Il rischio di considerare i diversi interventi all'interno della comunità, come un insieme di prodotti che si hanno da offrire o meno, è grande, e ancor più grande è il rischio dato dalla tendenza, proveniente anche dal tentativo di abbattere i costi, a scindere la terapia dall'assistenza: la quale può quindi essere offerta da personale meno opportunamente preparato e per ciò meno presente. Si rischia di tornare alla vecchia scissione del modello medico-manicomialista in cui il paziente, promosso a 'cliente', libero quindi di scegliere il prodotto da consumare, è comunque il depositario delle parti malate e l'équipe, prese le distanze dalla quotidianità, si può porre alla distanza giusta che permette il convincimento di essere i depositari intangibili e indiscussi della parte sana.
Teatro
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“Un’Opera Migrante”
Il Teatro Lirico Sperimentale “A. Belli” di Spoleto con i titoli del cartellone della Stagione 2012 si conferma, ancora una volta, come una importante fucina culturale, una realtà attiva sul territorio umbro che, intensificando quest’anno ulteriormente la sua attività con nuove collaborazioni e continuando a commissionare e produrre progetti, dimostra che è possibile fare cultura anche in tempi difficili come questi. E infatti oltre a dedicare, come di consueto, grande atten-
zione alle nuove forme di drammaturgia musicale ispirate alla realtà sempre più complessa del sociale, sceglie di prolungare ed ampliare le date ed i luoghi della tournée regionale portando sulle scene uno dei maggiori capolavori del repertorio operistico italiano, non rinunciando ai classici appuntamenti delle kermesse musicali e proseguendo con le prime rappresentazioni in tempi moderni degli intermezzi settecenteschi incominciate nelle scorse Stagioni.
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Teatro
Il “Teatro Civile” di Mario Perrotta Come di consueto l’Istituzione lirica umbra conferma la sua vocazione nell’ambito della sperimentazione e della creatività, diventando un vero e proprio esempio di “Umbria creativa”, un laboratorio di contenuti e idee. Anche per la Stagione 2012 i testi del dittico di teatro musicale contemporaneo sono stati commissionati a una personalità dello spettacolo e della cultura. Quest’anno sarà la volta di Mario Perrotta (dopo Leo de Berardinis, Pippo Delbono, Paolo Rossi). A Perrotta - figura di spicco del mondo del teatro, regista, autore, vincitore del Premio Ubu 2011 per il progetto triennale “Trilogia sull’individuo sociale”- è stata affidata la drammaturgia, la messa in scena e la regia dello spettacolo “Opera Migrante”, di cui è anche protagonista, insieme all’attrice Paola Roscioli. “Opera Migrante” lascia intendere la tematica che si cela dietro il titolo. La struttura della messa in scena sarà divisa in due momenti drammaturgici, due veri e propri atti, uniti da un filo conduttore comune, che tratteranno le problematiche dell’integrazione e della migrazione, del passato
mai troppo remoto attraverso lo sguardo degli italiani emigranti in Belgio che lavoravano nelle miniere e quello presente della migrazione di anime che arrivano sulle coste italiane ogni giorno. Il tutto raccontato con un’ottica dello spazio scenico e della struttura narrativa di natura beckettiana. I lavori di Mario Perrotta rientrano appieno nel teatro civile, a cui si affida il compito indispensabile di educare e far pensare il pubblico oltre
che tramandare la memoria di certi momenti storici. E proprio nelle parole dell’autore che introducono l’opera è racchiuso il senso dello spettacolo: “Tentare un'opera nuova, confondendo i piani della parola detta con quelli della parola cantata e della musica, usando tutto ciò che ho a disposizione, video inclusi, per raccontare in una nuova forma ciò che, ormai, è entrato a pieno titolo nella mia biografia artistica: il migrare. Dopo aver declinato l'argomento migrazione in molte forme, mancava soltanto la musica. La musica con cui dialogare in scena, fatta di voce che esprime cantando e strumenti che raccontano ciò che le parole non possono dire. Ed ecco l'opera. L'opera migrante, un po' zingara, messa di traverso tra i generi, volutamente non schierata - sarà un'opera lirica contemporanea? Sarà teatro sperimentale con musica? A mio avviso, poco importa. Ecco l'opera Emigrante e Immigrante, come i due atti che la compongono: un Andante italiano alla belga e una Fuga straniera con moto”.
Teatro
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Andante Italiano e Fuga Straniera La realizzazione della partitura originale delle due pièce che compongono lo spettacolo, entrambe della durata di circa trentacinque minuti, sono state affidate a due compositori. La prima parte intitolata “Andante italiano alla belga” a Lucio Gregoretti, mentre “Fuga straniera con moto” ad Andrea Cera, il quale ha collaborato nelle scorse stagioni per un’altra opera originale “Ragaaazziii! ”ispirata all’Isola dei Famosi, una delle tre composizioni all’interno del progetto RealityOpera© In “Andante italiano alla belga” - come dichiarato dal compositore Lucio Gregoretti - ”la musica ha un sapore claustrofobico, che richiama alla mente la fatica che si avverte quando si lavora in condizioni disumane, sarà quasi una trasfigurazione delle sensazioni e degli sforzi provati da questi uomini, che verrà fuori dall’uso delle voci che si muovono sopra un tessuto strumentale denso. L’organico strumentale sarà formato da due percussioni, un quartetto d’archi e le tastiere, particolare l’utilizzo del geofono, strumento scientifico che rileva i movimenti sismici a grande profondità a simboleggiare quasi il respiro della terra, a sottolineare l’incombenza e l’ineluttabilità della Natura sull’uomo”. “Fuga Straniera con Moto” - come indicato dal compositore Andrea Cera - “analizza la problematica di una ragazza emigrante africana, il suo amaro incontro con un altro continente, con un'altra mentalità, con una realtà che smentisce crudelmente le sue ingenue aspettative. Il dramma dello scontro nord/sud è mediato dalle molteplici distorsioni della mentalità europea ed italiana, che dipingono la realtà con sfumature diverse, dalla compassione al cinismo, all'ironia per arrivare alla realizzazione che le storie di emigrazione contemporanee si riallacciano inesorabilmente con le nostre. A parte una sezione dove c'è un lungo monologo dell'attrice, in tutto il lavoro c'è un'interazione molto serrata tra la voce recitante e i due cantanti, che impersonano i pensieri non detti della protagonista, dubbi che vorrebbe-
ro restare nascosti, paure, sogni. E' quasi un'opera per tre voci, di cui una non canta. Le voci hanno un andamento globalmente piuttosto semplice, perché il loro testo è indistricabilmente unito a quello dell'attrice, e dev'essere comprensibile quasi come se fosse parlato. La parte musicale è stata pensata per essere al servizio del testo e dello sviluppo drammaturgico. I materiali compositivi sono molto semplici: le armonie sono spesso bicordali ed eventualmente allargate con la tecnica del prolungamento di singole altezze, i profili melodici sono costruiti usando insiemi di poche note consonanti. Solamente le strutture ritmiche possono di tanto in tanto introdurre un elemento di complessità. Il quartetto d'archi e i soun-
dfiles aggiungono un filtro di ambiguità. Ho ottenuto queste basilari strutture compositive riprendendo i materiali di base e deformandoli attraverso cambi di senso e diffrazioni continue”. Per la parte musicale gli altri interpreti saranno i vincitori dei concorsi di canto Chiara Osella, Katarzyna Otczyk e Marco Rencinai. L’ensemble strumentale dell’OT.Li.S. Orchestra del Teatro Lirico Sperimentale sarà diretta anche quest’anno da Marco Angius, uno dei più qualificati direttori di musica contemporanea. L’opera si avvale della collaborazione come aiuto regista di Giovanni Dispenza, la creazione video è affidata a Chiara Idrusa Scrimieri, le luci a Eva Bruno.
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Teatro
La 66ma Stagione Lirica Sperimentale di Spoleto e dell’Umbria 2012 Dal 7 settembre al 7 ottobre, 5 produzioni, 27 rappresentazioni “La Favola dei Tre Gobbi” - “Lieder & Lieder 7” Dal mito al Mito - ”La Traviata” Al Piccolo Teatro di San Nicolò (Sala Superiore) venerdì 14 e sabato 15 settembre alle ore 21.00 e domenica 16 alle ore 18.00 si terrà “La Favola dei Tre Gobbi” di Vincenzio Legrenzio Ciampi su libretto di Carlo Goldoni. Gli intermezzi, pur avendo ricevuto l'attenzione di importanti studiosi, non è mai stata rappresentata in epoca moderna prima d'ora. “La Favola dei Tre Gobbi” è infatti la prima testimonianza di un intermezzo goldoniano di cui sia conservata la musica. Tra i protagonisti Francesca Tassinari, Arete Teemets, Edoardo Milletti, Marco Rencinai, Jacopo Bianchini e Daniele Antonangeli. L’ensemble strumentale dell’O.T.Li.S. sarà diretto da Francesco Massimi, la regia sarà firmata da Giorgio Bongiovanni. Lo spettacolo sarà rappresentato in anteprima a Foligno, giovedì 13 settembre alle ore 21.15 nell’Auditorium Santa Caterina, nell’ambito della programmazione della XXXIII edizione di “Segni Barocchi Festival”, con cui lo Sperimentale collabora da alcuni anni. Mercoledì 19 settembre alle ore 21.00 al Piccolo Teatro di San Niccolò (Sala Superiore) sarà la volta dello spettacolo “Lieder & Lieder 7” Dal mito al Mito. Come spiegato da Michelangelo Zurletti, “il consueto sguardo alla produzione liederistica quest’anno tocca non un autore e nemmeno un periodo storico quanto una filosofia della musica. Essa nasce con i mitici poeti-musicisti dell’antica Grecia (Saffo, Alceo) e prosegue con la rivisitazione del mito compiuta da autori importanti come Petrassi, Dellapiccola, Britten, Monteverdi, Gounod, Ravel. I testi poetici sono presentati nelle traduzioni di Salvatore Quasimodo e di altri importanti poeti e saranno accompagnati nell’esecuzione da immagini fornite da pittori e scultori moderni. Sta in questa chiave il titolo della manifestazione che parte dal mito imprescindibile per la nostra cultura
nella poesia greca e diventa un Mito al quale tutti gli intellettuali novecenteschi si sono abbeverati”. L’impostazione registica è affidata alla sensibilità di Andrea Stanisci che sceglie di accompagnare lo spettatore con foto di sculture ideate da artisti contemporanei fra i quali Giulio Paolini. I testi saranno interpretati da Dino Villatico, Paola Bonesi, nelle par-
ti cantate da Arete Teemets, Chiara Osella, Katarzyna Otczyk, Marco Rencinai, al pianoforte Marco Forgione. Si prosegue con “La Traviata”, capolavoro di Giuseppe Verdi che andrà in scena al Teatro Nuovo di Spoleto martedì 18 settembre - ore 18.00 (anteprima), mercoledì 19 settembre - ore 10.00 (recita per le scuole), giovedì 20 settembre - ore 10.00 (recita per le scuole), venerdì 21 e sabato 22 settembre - ore 20.30, domenica 23 settembre - ore 17.00. L’opera verdiana sarà la protagonista della Sta-
gione Lirica Regionale intensificata nelle date e promossa con il sostegno della Regione Umbria. Lo spettacolo andrà in scena per ben quattro volte a Perugia, al Teatro Morlacchi dal 24 al 27 settembre - ore 20.30, a Città di Castello, al Teatro degli Illuminati venerdì 28 settembre ore 20.30, ad Orvieto, al Teatro Mancinelli sabato 29 settembre - ore 21.00, a Todi al Teatro Comunale domenica 30 settembre - ore 17.00 e ad Assisi, al Teatro Lyrick martedì 2 ottobre nel doppio appuntamento delle ore 10.00 (recite per le scuole) e delle ore 20.30. La Stagione continuerà a Roma al Teatro Italia nel mese di ottobre con le recite di mercoledì 3 ottobre - ore 21.00, giovedì 4 ottobre - ore 21.00, venerdì 5 ottobre - ore 21.00, doppio appuntamento sabato 6 ottobre - ore 16.30 e ore 21.00 e domenica 7 ottobre ore 17.30. La direzione dell’ O.T.Li.S. Orchestra del Teatro Lirico Sperimentale è affidata in alternanza a Carlo Palleschi noto e raffinato musicista che ha già diretto al Teatro Carlo Felice di Genova, all’Arena di Verona, al Maggio Musicale Fiorentino, a Macerata, a Torre del Lago- e al giovane e talentuoso Daniele Squeo, direttore principale dell'Akademisches Orchester di Ilmenau in Germania e vincitore del Concorso “Franco Capuana” per Direttori d’Orchestra 2011. Lo spettacolo è firmato per regia, scene e costumi da Stefano Monti, regista affermato e poliedrico che ripropone, in una versione aggiornata, il suggestivo allestimento nato per l’Opera Giocosa di Savona. Il Coro del Teatro Lirico Sperimentale è diretto da Francesco Massimi. Ad alternarsi nei ruoli protagonisti dell’opera verdiana i cantanti Galina Bakalova, Anna Maria Carbonera, Sofia Mitropoulos, Roberto Cresca, Giuseppe Distefano, Edoardo Milletti, Daniele Antonangeli, Costantino Finucci, Chiara Osella, Kartarzyna Otczyk, Silvia Pantani, Arete Teemets, Marco Rencinai e Jacopo Bianchini.
Scuola
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Due scuole a confronto Italia e Cina
"Alla costruzione del tunnel tra il CERN ed i laboratori del Gran Sasso, attraverso il quale si è svolto l'esperimento, l'Italia ha contribuito con uno stanziamento oggi stimabile intorno ai 45 milioni di euro" Gelmini
“All’alta marea della costruzione economica seguirà inevitabilmente un’alta marea nel campo culturale. È già tramontata l’epoca in cui i cinesi erano considerati gente incolta. Noi ci presenteremo al mondo come una nazione dotata di un alto livello culturale.” Mao
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La scuola in Italia di Sara Mirti Principi generali L’istruzione è la base su cui poggia la stabilità di uno Stato e delle sue Istituzioni, la premessa per ogni futuro sviluppo economico, l’unica garanzia di rinnovamento e di sopravvivenza per qualsiasi “società”, comunque la si voglia intendere; si tratta insomma dell’equivalente di ciò che le fondamenta rappresentano per un edificio. Essa ci permette di crescere oltre i nostri confini, di superare almeno in parte i nostri limiti, ci fornisce una coscienza, un’identità individuale e collettiva. Non a caso nella nostra Costituzione si legge: «[…] È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, eco-
nomica e sociale del Paese» (Art. 3); «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione» (Art. 9); «L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento. [… ]» (Art. 33); « La scuola è aperta a tutti. L'istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. […]» (Art. 34). Si potrebbe tuttavia obiettare che l’aver deciso l’accorpamento del Ministero della Pubblica Istruzione col Ministero dell’Università e delle Ricerca Scientifica e Tecnologica, deciso con la legge Bassanini (D. Lgs. n. 300/1999), ma attuato nei fatti già dal governo Prodi nel biennio precedente, quasi che fossero l’uno “appendice” dell’altro, non abbia facilitato l’attuazione di tali principi. Utenza, finanziamento, insegnanti Nonostante le buone intenzioni, leggendo gli ultimi dati Ocse, pare che l’Italia, per ciò che riguarda l’istruzione, stia investendo male le proprie ri-
La scuola in Cina di GIOVANNI NICOSIA Valori fondanti La scuola cinese è rivolta ad una formazione globale dell’individuo in cui si insiste molto sugli aspetti morali, etici, civici e sui valori sociali ed ambientali. Essa eredita fortissimi dibattiti ideologici legati sia alla cultura confuciana, sia al recente passato socialista che ha lasciato oggi un marcato sentimento patriottico. Si tratta quindi di una scuola assai caratterizzata dai valori che permeano la cultura cinese e da quelli promossi dalle autorità, specialmente nelle materie di contenuto più esplicitamente educativo, nella storia, nella geografia e nelle scienze sociali. I cinesi vengono educati ad amare la loro cultura, il loro Paese ed il loro popolo. Anche il lavoro e la collettività sono valori che la tradizione pedagogica cinese mette in grande risalto
anche dopo i recenti cambiamenti sociali ed economici in senso liberista. L’individualismo in Cina non ha trovato la rilevanza che ha nei Paesi a capitalismo maturo quindi, ad esempio, l'obiettivo dello sviluppo dell’autonomia personale non ha l’importanza che gli viene attribuita nella letteratura pedagogica italiana. Per educare all’idea che il lavoro sia un elemento importante della vita si prevedono attività manuali già dalla fine delle elementari e almeno per tutta la durata delle medie. Un altro interesse assai marcato della scuola cinese è quello per la scienza, intesa sia come studio della natura, sia come prerequisito per le realizzazioni tecniche e tecnologiche, che recentemente hanno suscitato molto apprezzamento. Il sistema scolastico La Repubblica Popolare Cinese ha un sistema nazionale di educazione pubblica diffuso in tutto il suo territorio.
sorse finanziarie e gestendo ancor peggio le proprie “competenze”: i nostri insegnanti, dal 2000 al 2009, hanno visto addirittura diminuirsi lo stipendio di un punto percentuale, mentre quello degli altri paesi Ocse in media è cresciuto del 7%. Eppure, nel nostro Paese sono ancora i laureati a detenere la percentuale minore di disoccupazione, mentre la percentuale peggiore in assoluto spetta invece ai lavoratori sprovvisti di titoli di studio e di qualifiche; poi, naturalmente, ci sono le differenze di genere (che meriterebbero un discorso a parte e che non svilupperò in questa sede): per esempio, lo ho spiegato Claudio Tucci dalle colonne de Il Sole 24 Ore, tanto in Brasile quanto in Italia le donne laureate guadagnano il 65% (o meno) dei colleghi uomini. E, mentre si continua a bocciare nelle scuole di ogni grado senza far nulla per prevenire il fenomeno e senza badare alle conseguenze sociali a lungo termine, ricorda sempre l’Ocse, «coloro che hanno la maggiore probabilità di andare male a scuola o di abbandonarla senza diplomarsi molto spesso vengono da famiglie povere o di immigrati»,
Esso opera dal 1950 ed è quello con la maggiore utenza al mondo. Il 90% degli abitanti delle aree popolate della Cina ha oggi accesso a un’educazione obbligatoria di nove anni. In tempi sorprendentemente brevi, partendo da una situazione decisamente grave, questo sistema ha ridotto l’analfabetismo a meno del 5%. Ogni anno esso educa e forma 60 milioni di professionisti di medio od alto livello, 400 milioni di lavoratori di scolarizzazione media o superiore, 250 milioni di studenti distribuiti nei tre livelli (elementare, medio e superiore), con un indice di crescita annua doppio rispetto a tutti i sistemi scolastici del mondo. La scolarizzazione elementare raggiunge il 98,9%, quella media il 94,1%. Secondo il Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite nel 2003 le dimensioni del sistema scolastico cinese erano: Materne 116.000; Primaria 426.000; Media (inf. e sup.) 89.000; Università 1.552; Insegnanti 12 milioni; studenti 250.000 milioni; il rapporto numerico tra studenti ed insegnanti è in alcuni casi migliore di quello di alcuni Paesi europei.
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e così alla povertà preesistente si aggiunge altra povertà, forgiando di generazione in generazione una catena che sembra difficile interrompere e in cui sarà lo Stato intero, o come lo si preferisce chiamare oggi “il sistema Paese”, a finire intrappolato. Se infatti l’Ocse ha suggerito di dotare le scuole “migliori” (quelle in cui vanno i figli di persone ricche e istruite) di finanziamenti finalizzati a far inserire al loro interno anche studenti di famiglie cosiddette “disagiate” (ma potremmo tranquillamente dire “svantaggiate”), tuttavia l’eterna questione del “merito” rischia di trasformarsi in un pericoloso alibi, in un ulteriore motivo di “separazione” se non di vera e propria “segregazione”. Purtroppo non basterà concentrarsi sullo “studente dell’anno” per riuscire a formare nuove generazioni capaci di gestire una crisi, tanto economica quanto culturale, che attualmente nessuno riesce più a gestire; non è pagando gli insegnanti secondo la loro presunta preparazione, magari decisa attraverso dei test, che scopriremo quali sono i docenti “più aggiornati”, e neppure costringendo gli insegnanti universitari ad un minimo di
ore di lezione garantite si potranno rendere quelle ore proficue, e ugualmente non è concedendo dei “bonus” ai ricercatori “più capaci” che favoriremo una ricerca efficace; non è in questo modo che trasformeremo il mondo scolastico o quello universitario in produttori privilegiati di (nuova) cultura. Nazionalizzazione e internazionalizzazione Bisognerebbe preoccuparsi che il cosiddetto “merito” non provochi in maniera quasi “automatica” la discesa di gran parte della popolazione al di sotto di una soglia accettabile dell’affermazione di sé, e che non lo permetta in nome dell’eventuale “spinta propulsiva” concessa a pochi. Non dimentichiamoci che a tutt’ora un operaio non specializzato, sempre in percentuale, rischia di morire di più di un professionista, e questo non solo perché il proprio lavoro lo espone maggiormente a possibili incidenti e malattie, ma anche perché i mezzi per ottenere le conoscenze utili alla propria tutela e alla gestione della malattia stessa sono ingiustamente impari. Prima di parlare di “merito” le Istituzioni dovrebbero essere certe di essere efficienti tanto
da riuscire a colmare le disparità insite nel tessuto sociale da cui i singoli studenti provengono. Solo quando a ogni individuo, ciascuno secondo le proprie inclinazioni, sarà consentito un “facile” accesso alla cultura e agli strumenti per ottenerla, si potrà parlare davvero di selezione per merito. Per adesso si può soltanto parlare di una selezione economica, sociale, a volte fortuita. È naturale che la “mediocrità”, variamente intesa, faccia paura ad ogni singolo apparato, ad ogni singolo membro di uno Stato che vuole definirsi “sano”, “superiore”, per permettere così alla maggior parte dei propri cittadini di fare altrettanto; ma la cosiddetta “mediocrità” non è una malattia contagiosa e soprattutto, se anche lo fosse, non si tratterebbe di una malattia incurabile. La cura sta in un’istruzione quanto più possibile capillare, in una presa di coscienza collettiva dei propri limiti strutturali o potenziali e nel loro superamento. Il concetto di “qualità”, per essere valido, deve essere progettato per forza in senso totale, di massa. Certo, sarà del tutto inutile sognare un’Italia in cui magari sia possibile per detenuti ed ex-detenuti
Le attività didattiche L’anno scolastico delle scuole elementari e medie dura da settembre a luglio. Ci sono 34 settimane di lezioni e 5 settimane di attività diverse o dedicate al ripasso e agli esami. L’anno scolastico nella scuola superiore dura nove mesi ed è solitamente suddiviso in due semestri. Ci sono vacanze in estate e una pausa di un mese nell’epoca del capodanno, verso febbraio. Le lezioni si tengono dal lunedì al sabato; l’ora d’insegnamento si compone di 45 minuti di attività didattiche e 10 di pausa. Si danno compiti a casa. Gli studenti escono normalmente verso le 16,40. Gli insegnanti arrivano a scuola almeno 15 minuti prima delle 8,00 ed escono verso le 17,00. La lingua d’insegnamento è il cinese mandarino, ma nelle zone in cui sono presenti forti minoranze linguistiche si insegnano anche le lingue locali. L’insegnamento dell’inglese è stato recentemente portato alle elementari in tutte le scuole. I programmi sono nazionali ma presentano varia-
zioni in relazione ai diversi regimi orari ed ai modelli localmente adottati. La lingua cinese e la matematica occupano un posto di rilievo arrivando ad occupare da sole anche il 40% dell’orario alle elementari ed alle medie ed oltre il 50% in certe scuole superiori. Molto peso hanno anche le scienze (fisica, chimica, biologia, geologia); seguono poi storia, geografia, politica, musica, disegno, arti ed educazione fisica. Le valutazioni consistono in verifiche formative mensili ed un esame a metà dell’anno, utile per programmare gli interventi di recupero. Un esame a fine anno misura i livelli di competenza in cinese e matematica. Chi non lo passa deve ripetere l’anno. La scuola cinese è molto selettiva: c’è l’esame di quinta al termine delle elementari e, al termine delle medie, gli studenti si possono iscrivere a scuole superiori di tipo professionale o culturale cui si accede dopo severissimi esami di selezione. L’accesso all’università non dipende dal tipo di scuola frequenta-
to ma dall’esito di esami ancor più severi. L’utenza ed il finanziamento In Cina un diplomato delle scuole superiori è considerato una persona istruita. La selettività dell’accesso all’istruzione universitaria implica una valutazione delle diverse scuole nei termini di quanti studenti riesce a rendere all’altezza degli esami di ammissione. L’istruzione obbligatoria è gratuita per i primi cinque dei nove anni in cui è prevista. Poi per il resto dell’obbligo può essere soggetta a contributi integrativi differenziati localmente per coprire alcune spese. L’istruzione non obbligatoria è a pagamento. Per l’istruzione non obbligatoria sono previsti finanziamenti pubblici che coprono una certa percentuale delle spese sostenute dai singoli cittadini. Per garantire alle famiglie a basso reddito l’accesso all’istruzione superiore ci sono inoltre provvidenze pubbliche, posti di lavoro riservati a studenti all’interno di strutture scolastiche o universitarie ed esenzioni fiscali.
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riscattare la propria fedina penale commutando gli anni di pena scontati o da scontare in altrettanti anni “di scuola”, un’Italia in cui venga riconosciuto il forte potere di “riscatto” insito nell’istruzione e in cui lo Stato diventi a pieno titolo lo Stato tanto delle “vittime” quanto dei “carnefici”, tanto dei “malati” quanto dei “sani”, tanto dei “primi” quanto degli “ultimi”, e si faccia inoltre carico di colmare le distanze materiali, culturali, psicologiche e sociali potenzialmente insite tra tutti i propri membri; ma pensare i limiti in cui scuola e università italiane vengono strangolate come inevitabili è altrettanto inutile, e più dannoso. Poco tempo fa ha fatto discutere la lista dei primi 500 Atenei stilata dalla 'Jiao Tong' University di Shanghai che vedeva ai primi posti le università americane a discapito di quelle europee; colpa forse dei metodi di selezione usati che hanno ignorato, così almeno ha sostenuto la Ministra francese per l’Insegnamento Superiore e la Ricerca, la qualità dell’insegnamento e i risultati ottenuti nelle cosiddette scienze umane e sociali. Oltre al danno la beffa, visto che le Università americane stanno riscoprendo
il valore formativo delle materie umanistiche. Non basta infatti essere esperti in teorie economiche e giuridiche per essere dei cittadini consapevoli al 100%, bisogna saper gestire, saper calare in un contesto culturale e sociale le proprie nozioni, saper dare priorità alla dignità e ai diritti dell’uomo; bisogna avere immaginazione. Futuro In questa situazione di insostenibile “bipolarismo” esistenziale in cui versano le Università Italiane (e non solo), detentrici di un’enorme bagaglio di studi umanistici, ripeto, fondamentali per formare “le ossa” di ogni popolo e di ogni sua istituzione, la corsa verso metodi “standardizzati” di valutazione e forse anche di fruizione culturale, è auspicabile solo a patto di non rinnegare se stessi. Si può crescere solo utilizzando ciò che abbiamo in dote e ciò che siamo, e per farlo servono senza indugio tutte le risorse disponibili. E invece la tenuta delle nostre scuole viene data per scontata e, insieme alla tenuta delle scuole, viene data per scontata anche la tenuta indiscriminatamente a oltranza delle famiglie vessate a partire dai “contributi volontari” per carta igie-
nica, sapone, fotocopie, fino ad arrivare al costo esoso di libri e tasse universitarie. Certo, poi c’è anche una vita da vivere e se, gioco forza, non si possono imbastire su una tavola i testi di studio, ugualmente non si possono mettere nel piatto le ricevute delle tasse e degli innumerevoli pagamenti, spesso gravati da interessi, ai quali le famiglie si trovano a far fronte nel tentativo quasi disperato di crescere dei cittadini consapevoli di sé e della propria realtà. Tessere una fitta rete di Istituti scolatici, primi e più efficaci presidii dello Stato sul territorio, creare eccellenza, senza aspettare che questa cada come la manna dal cielo, e tentare di distribuirla uniformemente sul territorio è l’unico modo per far sì che ogni cittadino possa avere un accesso diretto all’istruzione, dovunque si trovi, qualunque sia la sua storia. Serve insomma un modello di cultura forte e direi quasi “tentacolare” che sollevi almeno in parte le famiglie da una responsabilità del genere; non credo infatti che sia auspicabile, nemmeno per gli eventuali, fortunati, pochi “eletti”, ritrovarsi con uno sparuto drappello di “capitani” di enormi “vascelli fantasma”.
Questo porta ad espandere l’utenza della scuola cinese. Il governo ha l’obiettivo di estendere l’istruzione superiore in modo assai significativo: dal 2020 13.500 persone ogni 100.000 avranno almeno una laurea e 31.000 un diploma superiore, mentre l’analfabetismo dovrà ridursi a meno del 3%. La durata degli studi sarà in media di 11 anni contro gli 8 di oggi. Cresce ogni anno il numero degli studenti cinesi impegnati in programmi di scambio con istituzioni culturali di altri Paesi. La Cina è il Paese che ha il maggior numero al mondo di studenti all’estero. Essi poi solitamente ritornano a terminare gli studi in Cina. Dalla fine degli anni settanta si calcola siano partiti e ritornati circa 700.000 studenti in programmi di scambio con un centinaio di Paesi. Formazione a distanza Poiché c’é un certo divario tra le aree cittadine e quelle rurali, che sono generalmente più arretrate, tra i provvedimenti governativi è notevole l’istituzione di una gigantesca struttura multimediale per la for-
mazione a distanza specialmente in campo tecnico ed agronomico basata su trasmissioni radiofoniche, televisive e satellitari ed articolata su più di 3.000 sedi locali. In circa venti anni essa ha addestrato e educato più di 100 milioni di persone. Si tratta del maggiore programma di formazione a distanza del mondo. Gli insegnanti Nelle concezioni più diffuse in Cina gli insegnanti hanno un ruolo chiave nella tenuta della società e nel raggiungimento dei suoi fini. Il loro ruolo è quindi carico di responsabilità maggiori che in Italia perché lo Stato affida loro il compito cruciale di tramandare i valori fondamentali di un’educazione assai ideologizzata. In generale hanno minore autonomia in confronto ai colleghi italiani, ma godono di uno status di maggiore rispetto da parte di studenti e famiglie anche per effetto delle istanze della cultura confuciana. L’autorità dell’insegnante è perentoria. La formazione degli insegnanti elementari avviene in scuole superiori magistrali cui si accede attra-
verso un esame di ammissione. Il corso dura tre anni e prevede lo studio di lingua cinese, matematica, musica, arte e alcune tecnologie informatiche. Per insegnare alle scuole medie e superiori occorre frequentare scuole speciali universitarie o para universitarie. Come in tutti i corsi di livello universitario, vi si accede per duri esami. Gli aspiranti insegnanti di matematica ricevono qui un’istruzione di alto livello con maggiore approfondimenti teorici rispetto ai loro colleghi dei politecnici o delle facoltà scientifiche in generale. La collaborazione tra docenti nelle scuole superiori cinesi è molto marcata ed essi passano gran parte del loro tempo a confrontare metodi di insegnamento e risultati con colleghi della stessa materia o di materie diverse. I genitori possono essere ricevuti quasi in ogni momento. Non ci sono psicologi scolastici, tutori o specialisti di relazioni umane: i responsabili delle realizzazioni e dello sviluppo mentale, morale e intellettuale degli studenti sono gli insegnanti.
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La funzione della lingua tra base e sovrastruttura
“I dogmatici e i talmudisti considerano il marxismo, le singole conclusioni e formule del marxismo, come una collezione di dogmi i quali non cambiano "mai", nonostante i cambiamenti nelle condizioni di sviluppo della società. Essi pensano che, se avranno imparato a memoria queste conclusioni e formule e cominceranno a citarle per diritto e per traverso, saranno capaci di risolvere qualsiasi problema, calcolando che le conclusioni e le formule imparate a memoria si adattino a tutte le epoche e a tutti i Paesi, a tutti i casi della vita. Ma in questo modo possono pensare solo coloro che vedono la lettera, ma non vedono la sostanza del marxismo, che imparano meccanicamente i testi delle conclusioni e delle formule del marxismo, ma non ne comprendono il contenuto. Il marxismo è
la scienza delle leggi di sviluppo della natura e della società, la scienza della rivoluzione delle masse oppresse e sfruttate, la scienza della vittoria del socialismo in tutti i Paesi, la scienza dell'edificazione della società comunista. Il marxismo, come scienza, non può restare immobile, ma si sviluppa e si perfeziona. Nel suo sviluppo il marxismo non può non arricchirsi di nuove esperienze, di nuove conoscenze, e pertanto le sue singole formule e conclusioni non possono non mutare nel corso del tempo, non possono non essere sostituite da nuove formule e conclusioni, corrispondenti ai nuovi compiti storici. Il marxismo non conosce conclusioni o formule immutabili obbligatorie per tutte le epoche e per tutti i periodi. Il marxismo è nemico di qualsiasi dogmatismo.” (J.V. Stalin)
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Stalin, scienziato marxista di SANDRO RIDOLFI
Aprendo questo inserto molti esclameranno: ancora Stalin? E poi si domanderanno: cosa c’entra Stalin con la linguistica? Qualcuno andrà anche oltre e aggiungerà: cosa c’entra lo stesso marxismo con la lingua. Le risposte ci sono e sono già scritte in diverse parti di questa rivista, o comunque sottintese quali presupposti culturali e politici della pubblicazione stessa della rivista. Iniziamo dalla prima risposta, prima anche in ordine tipografico, l’insegnamento di Gramsci enunciato nel sottotitolo della copertina: “Prima di giudicare (e per la storia in atto o politica il giudizio è l’azione) occorre conoscere e per conoscere occorre sapere tutto ciò che è possibile sapere”. Conoscere Stalin; sapere, andando oltre la persona fisica, il contesto nel quale è vissuto, col quale si è relazionato e ha operato. Sapere quindi per giudicare. Una retorica propagandistica anticomunista “da quattro soldi” ha da decenni stereotipato la figura di Stalin, scollegandola capziosamente dal suo contesto storico, in quella di un becero, oscuro, sanguinario dittatore. Allegramente, si fa per dire, totalmente equiparandola a quella di Hitler. Mussolini no, perché, essendo italiano, in fin dei conti era un po’ cialtrone e quindi “bonaccione” (italiani brava gente!). Trascuriamo volutamente l’ignoranza “pelosa” dei pentiti del comunismo (vedi la lista in penultima di copertina). Non è così, soprattutto non può essere liquidato un personaggio e un periodo storico di quella portata così “grossolanamente”. Premesso che il “despota” Stalin, come tutti i “capi”, ha riassunto e rappresentato nella sua persona un sistema di governo politico e amministrativo vastissimo, per poterlo giudicare occorre inserirlo nel suo contesto storico. Pochi cenni, perché in questa sede parleremo di linguistica, ma essenziali. All’indomani stesso della rivoluzione d’ottobre la nuova Russia sovietica fu investita da un’aggressione militare che vide parte-
cipi, oltre alle così dette armate bianche russe, almeno quattro Stati: Finlandia, Polonia, Inghilterra e Francia. Respinta la prima invasione straniera lo Stato Sovietico si è trovato a dover scegliere subito la strategia difensiva per la prossima sicura nuova invasione. Tra la tesi così detta trotzkista, espansione delle rivoluzione proletaria negli altri Stati europee, e quella stalinista (in verità già leninista), difesa della “cittadella assediata”, ha prevalso la seconda. Così per 20 anni l’Unione Sovietica si è dovuta preparare a resistere all’invasione straniera: forse inglese e francese, forse te-
desca. C’è stata la seconda. Il 22 giugno 1941 scattò l’operazione Barbarossa: 3 milioni di soldati tedeschi, 600mila ungheresi, 65mila italiani e ancora rumeni e finlandesi, invasero l’Unione Sovietica e in soli tre mesi giunsero a 7 chilometri del centro di Mosca. Il 7 novembre 1941, con i tedeschi alle porte della città, Stalin pronunciò sulla Piazza Rossa il discorso della “Vittoria”: l’Unione Sovietica, i popoli di tutte le nazionalità dell’Unione sovietica, non avrebbero ceduto ai nazisti e ai fascisti! Così è stato:
la Germania nazista, l’Ungheria, la Finlandia e l’Italia fasciste sono state sconfitte e l’intero occidente ha potuto preservare e recuperare la sua forma di democrazia capitalista. Ma non è finita lì. Immediatamente dopo la fine della seconda guerra mondiale l’Unione Sovietica è stata accerchiata dai nuovi vincitori, ex alleati, e ha avuto inizio la “guerra fredda”, preannunciata dalle bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki. In tutti questi decenni l’Unione Sovietica, il primo Stato della storia governato dal proletariato, senza aver mai minacciato militarmente nessuno, ha vissuto, e concretamente subito, l’incubo della invasione straniera. Si stima che nella seconda guerra mondiale morirono 35 milioni di persone, oltre 20 milioni furono cittadini dell’Unione Sovietica, che non ha ceduto. Questo è stato Stalin e l’intero Partito Comunista sovietico: il pilastro che ha retto anche le nostre libertà democratiche occidentali. Tanto premesso veniamo al merito del presente inserto. Cosa c’entra Stalin e il marxismo con la linguistica. C’entrano perché Stalin, come tutti i grandi dirigenti comunisti, era un vero marxista, un profondo conoscitore della scienza marxista. Di quella scienza che, come chiarisce con brevi passaggi l’estratto di prima pagina, “non può restare immobile, ma si sviluppa e si perfeziona”, che “non conosce conclusioni o formule immodificabili obbligatorie per tutte le epoche”, che è nemica “di qualsiasi dogmatismo”. Il marxismo è scienza che abbraccia tutti i campi della vita reale e, dunque, anche quello della linguistica che è un elemento essenziale, quasi un presupposto, di tutte le società umane. L’estratto che segue testimonia della versatilità e dell’ampiezza della conoscenza del marxismo di Stalin, ma soprattutto testimonia della vitalità del dibattito ideologico che caratterizza la società comunista e che vede in campo, va detto nello specifico argomento in posizione di dissenso critico rispetto a un dogmatismo prevalente, lo stesso leader dell’organizzazione amministrativa dello Stato. Leader politico, capo militare, scienziato del marxismo, questo è stato Stalin, Comprendere e approfondire anche questo personaggio storico non è solo un fatto culturale, che già di per sé assume assoluta valenza, ma è il principio stesso dell’intelligenza proletaria e comunista.
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A proposito del marxismo nella linguistica J. V. Stalin - 20 giugno - 28 luglio 1950
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a base è la struttura economica della società in un determinato stadio del suo sviluppo. La sovrastruttura consiste nelle opinioni politiche, giuridiche, religiose, artistiche e filosofiche della società, nonché nelle corrispondenti istituzioni politiche, giuridiche e d'altro genere. Ogni base ha una propria sovrastruttura, a essa corrispondente. Se la base cambia e viene liquidata, allora, dopo di essa cambia e viene liquidata anche la sua sovrastruttura; se una nuova base sorge, allora, dopo di essa sorge una sovrastruttura a essa corrispondente. Per questo aspetto, la lingua differisce radicalmente dalla sovrastruttura. La lingua non è il prodotto di questa o quella base, di una base vecchia o nuova, entro una determinata società, ma dell'intero corso della storia della società e della storia delle basi per secoli e secoli. Essa è stata creata non da una classe, ma da tutta la società, da tutte le classi della società, dagli sforzi di centinaia di generazioni. Essa è stata creata per soddisfare le necessità non di una sola classe, ma di tutta la società, di tutte le classi della società. Precisamente per questo è stata creata come un unico linguaggio per la società, comune a tutti i membri di essa, come linguaggio comune di tutto il popolo. Di conseguenza, la funzione ausiliare del linguaggio, come mezzo di comunicazione tra gli uomini, consiste non nel servire una classe a danno di altre classi, ma nel servire egualmente tutta la società, tutte le classi della società. Basta che una lingua si allontani da questa posizione di essere comune a tutto il popolo, basta che una lingua si ponga nella posizione di preferire e appoggiare un qualsiasi gruppo sociale a danno di altri gruppi sociali della società, perché essa perda la sua qualità, cessi di essere un mezzo di comunicazione tra gli uomini in società e si trasformi nel gergo di un gruppo sociale, degeneri e sia condannata a scomparire. Per questo aspetto la lingua, mentre differisce in linea di principio dalla sovrastruttura, non differisce dagli strumenti di produzione, dalle macchine, diciamo, che possono egualmente ser-
vire il sistema capitalista e quello socialista. Inoltre la sovrastruttura è il prodotto di un'epoca, durante la quale esiste e opera una determinata base economica. La sovrastruttura pertanto non vive a lungo; essa viene liquidata e scompare con la liquidazione e la scomparsa di quella determinata base. La lingua, al contrario, è il prodotto di una serie di epoche, nel corso delle quali essa prende forma, si arricchisce, si sviluppa, si perfeziona. Per questo la lingua riflette i mutamenti della produzione immediatamente e direttamente, senza aspettare i cambiamenti della base. E' per questo motivo che la sfera d'azione della lingua, che abbraccia tutte le sfere di attività dell'uomo, è assai più vasta e multiforme della sfera d'azione della sovrastruttura. Anzi, essa è praticamente illimitata. Ciò spiega innanzitutto il motivo per cui la lingua, o meglio il suo patrimonio lessicale, è in uno stato quasi continuo di mutamento. Il costante sviluppo dell'industria e dell'agricoltura, del commercio e dei trasporti, della tecnica e della scienza, esige che la lingua arricchisca il suo lessico di nuove parole ed espressioni, che sono necessarie per il loro lavoro. E la lingua, riflettendo direttamente queste necessità, arricchisce il suo lessico di nuove parole e perfeziona la sua struttura grammaticale. a storia ci dice che le lingue nazionali non sono lingue di classe ma lingue di tutto il popolo, comuni ai membri della nazione e uniche per la nazione. I dialetti e i gerghi sono pertanto ramificazioni della comune lin-
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Aleksandr Puskin gua nazionale, non possiedono una indipendenza linguistica di qualsiasi genere e sono destinati alla stagnazione. Chiunque creda che i dialetti e i gerghi possano svilupparsi come lingua indipendente, che essi siano capaci di eliminare e soppiantare la lingua nazionale, ha perso ogni senso della prospettiva storica e abbandonato la posizione marxista. Il marxismo dice che la lingua comune è uno dei segni distintivi più importanti di una nazione, pur sapendo benissimo che in seno alla nazione vi sono contraddizioni di classe. Solo l’ignoranza del marxismo e una totale incomprensione della natura della lingua possono aver suggerito ad alcuni nostri compagni la favola della scissione della società, delle lingue "di classe" e delle grammatiche "di classe". L'errore di questi compagni sta nel fatto che essi identificano e confondono la lingua con la cultura. Ma la cultura e la lingua sono due cose diverse. La cultura può essere borghese o socialista, mentre la lingua, come mezzo di comunicazione, è sempre una comune lingua
44 nazionale e può servire sia la cultura borghese che quella socialista. Pertanto: la lingua come mezzo di comunicazione è sempre stata e rimane unica per una società e comune a tutti i suoi membri; l'esistenza di dialetti e di gerghi non nega ma conferma l'esistenza di una lingua comune a tutto il popolo, della quale essi sono le ramificazioni e alla quale sono subordinati; l a formula del "carattere di classe" della lingua è una formula errata e non marxista. La lingua è uno di quei fenomeni sociali che operano per tutta la durata di una società. Essa nasce e si sviluppa con il nascere e lo svilupparsi della società. Essa muore col morire della società. Senza società non c'è lingua. Perciò la lingua e le sue leggi di sviluppo possono essere comprese solo se vengono studiate in inscindibile connessione con la storia della società, con la storia del popolo a cui appartiene la lingua studiata e che è creatore e depositario di questa lingua. a lingua è un mezzo, uno strumento con l'aiuto del quale gli uomini comunicano gli uni con gli altri, scambiano i pensieri e giungono a comprendersi reciprocamente. Essendo direttamente connessa con il pensiero, la lingua registra e cristallizza in parole, e in parole coordinate in proposizioni, i risultati del pensiero e i successi del lavoro di ricerca dell'uomo, rendendo così possibile lo scambio delle idee nella società umana. Lo scambio delle idee è una necessità costante e vitale, perché senza di esso è impossibile coordinare le azioni degli uomini nella lotta contro le forze della natura, nella lotta per la produzione dei beni materiali indispensabili; è impossibile ottenere successi nell'attività produttiva della società e, pertanto, è impossibile l'esistenza stessa della produzione sociale. Di conseguenza, senza una lingua compresa dalla società e comune a tutti i suoi membri, la società cessa la produzione e cessa di esistere come società. Il patrimonio lessicale riflette lo stato della lingua: quanto più ricco e vario
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è il patrimonio lessicale tanto più ricca e sviluppata è la lingua. Tuttavia, di per se stesso, il patrimonio lessicale non costituisce ancora la lingua: esso è piuttosto il materiale di costruzione della lingua. Ma il patrimonio lessicale di una lingua assume un'estrema importanza quando è messo a disposizione della grammatica, che fissa le regole della modificazione delle parole e l'ordinamento delle parole nelle proposizioni, dando così alla lingua un carattere ordinato e significativo. La grammatica (morfologia, sintassi) è la raccolta delle regole che governano la modificazione dei vocaboli e il loro coordinamento nelle proposizioni. E' pertanto grazie alla grammatica che la lingua acquista la possibilità di rivestire i pensieri dell'uomo di un tessuto linguistico materiale. Il tratto caratteristico della grammatica sta nel fatto che essa dà le regole della modificazione delle parole, non riferendosi a parole concrete, ma a parole in generale, senza alcuna concretezza; essa dà pure le regole per la formazione delle proposizioni, non riferendosi ad alcuna proposizione concreta. Pertanto, facendo astrazione dal particolare e dal concreto, così nelle parole, come nelle proposizioni, la grammatica prende ciò che è gene-
rale, ciò che sta alla base della modificazione delle parole e del loro coordinamento in proposizioni, traendone regole e leggi grammaticali. La grammatica è il risultato di un lungo lavoro di astrazione del pensiero umano, è un indice degli immani progressi del pensiero. Sotto questo aspetto, la grammatica ricorda la geometria, la quale fissa le proprie leggi facendo astrazione dagli oggetti concreti, considerando gli oggetti come corpi privi di ogni concretezza e definendo le relazioni tra di essi non come relazioni concrete tra oggetti concreti, ma come relazioni di corpi in generale, privi di ogni concretezza. La struttura grammaticale di una lingua cambia ancora più lentamente del suo patrimonio lessicale fondamentale. Elaborata nel corso delle epoche e divenuta carne e sangue della lingua, la struttura grammaticale muta ancor più lentamente del patrimonio lessicale fondamentale. Essa naturalmente subisce dei cambiamenti con l'andar del tempo, si perfeziona, migliora, precisa le sue regole e si arricchisce di regole nuove; ma le fondamenta della struttura grammaticale durano per lunghissimo tempo poiché, come insegna la storia, possono utilmente servire alla società per la durata delle varie epoche. C osì la struttura grammaticale della lingua e il suo patrimonio lessicale fondamentale ne costituiscono il fondamento e l'essenza specifica. l marxismo non ammette le esplosioni improvvise nello sviluppo delle lingue, la morte improvvisa di una lingua esistente e l'improvvisa comparsa di una lingua nuova. Il marxismo ritiene che il passaggio di una lingua da una vecchia a una nuova qualità non avviene per mezzo di un'esplosione, per mezzo della distruzione della lingua esistente e della creazione di una nuova lingua, ma per mezzo della graduale accumulazione degli elementi della nuova qualità, e conseguentemente, per mezzo della graduale scomparsa degli elementi della vecchia qualità.
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Gelose
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Gelose e inquiete come “Fantasime”
«Lu fantàsima è n’èssiri suprannaturali, nu spettru, ca secunnu la cumuni cridenza pupulari appari speci di notti»
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Gelose
"Tradizioni, usanze e saggezze popolari" DI
SARA MIRTI
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ome si sa, i fantasmi, con le loro catene, i lenzuoli e le facce spaventose, non esistono, e di certo non si vuole mettere in dubbio in questa sede una simile affermazione. Esistono tuttavia molte storie sui fantasmi, molte credenze e altrettante pratiche religiose, superstizioni, fiabe, mitologie, cronache e descrizioni di esseri sovrannaturali, specchi di una coscienza collettiva spaventata a morte (a volte letteralmente) dai propri “parti mostruosi” e per questo perennemente affetta da incubi. Sono come fantasmi le mogli rinchiuse nei confini domestici, le donne costrette all’ignoranza e ai soli lavori di fatica, ma sono altresì fantasmi i loro uomini che si credono inseguiti dalle ombre, ossessionati dal terrore che “il loro mondo”, il piccolo mondo di cui si sentono padroni, crolli all’improvviso e che, con esso, finisca per dileguarsi ogni umana certezza. Sono fantasmi, diurni e notturni, quelli che popolano i sogni, gli spazi vuoti e oscuri delle abitazioni, delle città e delle campagne, quelli che si accampano sugli usci,
che si muovono negli interstizi attraversati dal vento, o che ammiccano attraverso il fumo di una candela accesa. Tra teschi e teste vere, folletti, fate, streghe, poltergeist, “orsi-fantasma”, dame bianche e via dicendo, tra le numerose anime che sfilano la notte nei centri cittadini, che infestano case, rovine, cimiteri e chiese, infine tra i fuochi fatui che sorgono dalla terra e i morti che tornano sotto varie forme quasi piovendo dal cielo, le mie “entità preferite” restano le “Fantasime di Tereglio” descritte da Giovanni Giannini nei primi anni del ‘900. L’Autore, all’epoca in cui scrive, considera l’espediente delle “Fantasime” in uso esclusivamente presso questo villaggio situato a 518 metri sul livello del mare (600 abitanti all’inizio del secolo scorso e ora soltanto 173), frazione di Coreglia degli Antelminelli, nella Montagna lucchese. Forse, vista l’ingegnosità e l’originalità dimostrata dalle donne di Tereglio, potrebbe anche aver avuto ragione. e donne (anche questo si sa) possono essere dispettose, appunto, come spiritelli, come lo “Scarcagnulu” cantato da Domenico Modugno negli anni 50, fastidiose, inopportune, capaci di rovinare “la festa” ai
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Fermarmi qui! Mirare anch'io questa natura un poco. Del mare mattutino e del limpido cielo smaglianti azzurri e gialla riva: tutto s'abbella nella grande luce effusa. Fermarmi qui. Illuso di mirare ciò che vidi davvero l'attimo che ristetti, e non le mie fantasime, anche qui, le memorie, le forme del piacere. (C. Kavafis, “Mare mattutino”)
mariti, di umiliarli senza provare il benché minimo rimorso. Insomma, per mille e più di mille motivi che non starò ad elencare, “chi dice donna dice danno”… Quando s’impegnano in un’opera, quale essa sia, le donne riescono sempre a spuntarla, soprattutto se l’opera in questione riguarda come scoprire i pensieri più reconditi del marito prim’anzi che li conosca persino il diretto interessato, come stanarlo, sorprenderlo in adulterio, spaventarlo a morte e magari come prenderlo a legnate…beh, poveri mariti! Le creature può pericolose, i mostri più antichi e potenti sono tutte entità femminili, o meglio, entità in cui “il femminile” è inarrestabile, insaziabile, non addomesticato, non ancora rinchiuso e controllato dalle leggi “civili” dell’uomo. Non meno di suddetti mostri si temono le mogli, le sorelle, le madri, le figlie, in quanto portatrici, da Eva in poi, di potenziale perdizione, di un’umanità più bassa e mediocre, problematica, ingestibile. Tanto per fare un solo esempio, quando “lu Munaciello” (lo spirito di un piccolo uomo, o di un bambino, vestito da monaco, morto di morte violenta, ora benevolo ora malevolo, la cui presenza in alcuni quartieri napoletani è a un tempo gradita e temuta) lascia dei denari nella casa che visita, si dice che questi siano il frutto della prostituzione delle donne col “piccolo monaco”: il male chiama il male, simile con simile. e alle donne è stato concesso in dote ogni sorta di vizio innato, ogni possibilità di maleficio, almeno esse, di generazione in generazione, si sono dimostrate in grado di gestire tale dote con profitto, di farne, là dove possibile, un punto di forza, un bene da difendere. Oppure si può dire, più semplicemente, che la stupidità e l’ottusità degli uomini ritorna loro sempre indietro, come un boomerang. e il termine siciliano “lu fantasima” è al maschile, il toscano “la fantasima”, non a caso, è femminile.
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Gelose «La borghesia che vive nelle strade strette e buie o malinconicamente larghe e senza orizzonte, che ignora l'alba, che ignora il tramonto, che ignora il mare, che non sa nulla del cielo, nulla della poesia, nulla dell'arte; questa borghesia che non conosce che se stessa, quadrata, piatta, scialba, grassa, pesante, gonfia di vanità, gonfia di nullagine; questa borghesia che non ha, non puo avere, non avrà mai il dono celeste della fantasia, ha il suo folletto. Non è lo gnomo che danza sull'erba molle dei prati, non è lo spiritello che canta sulla riva del fiume; è il maligno folletto delle vecchie case di Napoli, è lu munaciello. Non abita i quartieri aristocratici di Chiaia, di S.Ferdinando, del Chiatamone, di Toledo, non abita i quartieri nuovi di Mergellina, del rione Amedeo, di via SaIvator Rosa, di Capodimonte: la parte ariosa, luminosa e linda della città, non gli appartiene. Ma per i vicoli che da Toledo portano giù, per le
tetre vie dei Tribunali e della Sapienza, per la triste strada di Foria, per i quartieri cupi e bassi di Vicaria, di Mercato, di Porto e di Pendino, il folletto borghese estende l'incontrastato suo regno. Dove è stato vivo, s'aggira come spirito; dove è apparso il suo corpo piccino, la testa grossa, la faccia pallida, i grandi occhi lucenti, la tonacella nera,
Che Iddio ci guardi / Da’ pruni e da’ cardi, / Dal fosso di Mareglio / E dalla befane di Tereglio» (da R. Sarti, “Long live the strong: A History of Rural Society in the Apenine Mountains”, University of Massachusetts Press). Per capire fino in fondo “l’utilità” della creazione delle “Fantasime” bisognerebbe avere davanti agli occhi, come direbbe il Giannini, «la angolosità del monte scosceso su cui sorge il […] paesucolo», le case e le strade che sembrano fatte di un materiale più forte della montagna stessa. Bisognerebbe riuscire ad immaginarsi «[…] giù, a circa cento metri di distanza, nella Via Piana, una gigantesca e informe figura, alta due volte un uomo, tutta bianca come una statua di marmo, che si avanzava, ora lentamente, ora quasi di corsa, scomparendo e ricomparendo ogni tanto dalle insenature del monte», per capire l’enorme spavento provato da chi nel «[…] silenzio solenne della notte, sotto quel-
la luce scialba e malinconica, dinanzi a quel paesaggio pieno di luci e d’ombre misteriose», s’imbattesse nella “Fantasima”. Uno spirito femminile quindi, ma stavolta non di perdizione. A perdere gli uomini ci pensa l’amante, le fantasime se lo vanno solo a riprendere. “Fare la fantasima” vuol dire prendere una specie di lunga antenna da portare come fosse uno stendardo, legarci in cima un ampio lenzuolo, ricoprirsi interamente con questo fino a non essere più riconoscibile, e mettersi a girare, finalmente indisturbata, per il paese, libera di fermarsi a origliare a ogni uscio, di attraversare spazi altrimenti interdetti ad una donna “onesta” al calar della sera, senza paura delle male lingue parsane e, c’è da credere, senza timore dei “fantasmi veri”. Al passaggio di un simile, biblico, gigante gli uomini che incontra, non volendo pensare il peggio, la scambiano per un’anima del Purgatorio, non
47 la pazienza di lana bianca ed il cappuccetto nero, lì ricompare, nella medesima parvenza, pel terrore delle donne, dei fanciulli e degli uomini. Dove lo hanno fatto soffrire, anima sconosciuta e forse grande in un corpo rattrappito, debole e malaticcio, là egli ritorna, spirito malizioso e maligno, nel desiderio di una lunga ed insaziabile vendetta. Egli si vendica epicamente, tormentando coloro che lo hanno tormentato. Chiedete ad un vecchio, ad una fanciulla, ad una madre, ad un uomo, ad un bambino, se veramente questo munaciello esiste e scorazza per le case e vi faranno un brutto volto, come lo farebbero a chi offende la fede. Se volete udirne delle storie, ne udrete; se volete averne dei documenti autentici, ne avrete. Di tutto è capace il munaciello...» (Da “Lu munaciello”, in “Leggende Napoletane” di Matilde Serao, ed. Newton)
riuscendo forse ad immaginare che “il peggio” arriverà in carne e ossa a un qualche marito sotto forma di punizione terrena, per non dire squisitamente corporale: «In generale queste Fantasime sono donne sciagurate, che - travolte dalla passione - han perduto la coscienza dei propri doveri e si depravano in amorazzi illeciti […] ma qualche volta si dà pure il caso che ricorra a questo mezzo audace anche qualche povera moglie per iscoprire le infedeltà del marito e che, coltolo in fallo, butti via magari il lenzuolo che l’avvolgeva e con l’antenna in mano comincia a dar botte da orbi sui due colombi» (G. Giannini, La ‹‹Fantasima›› a Tereglio, in Usanze e feste del popolo italiano. Raccolte da Dino Provenzal, Nicola Zanichelli, Bologna 1921, p. 133). Solo un tale Bacci, così si narra, ebbe il coraggio di affrontarne una minacciandola di «bruciarle le viscere» (come si fa con le entità malvagie e con i mostri di ogni genere).
48 Certo, può ben darsi che alcune mogli, come quella Monna Tessa dei Lotteringhi di boccaccesca memoria, approfittino della “distrazione” dei mariti per “distrarsi” pure loro, ma nella mia mente ho sempre immaginato quell’enorme lenzuolo bianco come “un doppio”, finalmente utile,
Gelose dello strascico delle spose; insomma, preferisco pensare alle fantasime come a delle capostipiti, a delle mogli intente a ricordare agli uomini le loro stesse leggi. Prima dell’avvento del divorzio e della (più o meno) “libera gestione” del corpo femminile, ecco dunque
svelato come le donne delle generazioni passate, vittime della propria presunta natura e dei propri presunti obblighi, lì tra le montagne lucchesi, seppero far diventare il proprio ego grande due volte quello di un uomo e le proprie ragioni cocenti come tante bastonate.
«[…] E stando un poco, Federigo picchiò la seconda volta; di che Gianni maravigliandosi punzecchiò un poco la donna, e disse: - Tessa, odi tu quel chio? E pare che luscio nostro sia tocco -. La donna, che molto meglio di lui udito lavea, fece vista di svegliarsi, e disse: - Come di? Eh? - Dico, – disse Gianni – che pare che luscio nostro sia tocco -. Disse la donna: - Tocco? Ohimè, Gianni mio, or non sai tu quello chegli è? Egli è la fantasima, della quale io ho avuta a queste notti la maggior paura che mai savesse, tale che, come io sentita lho, ho messo il capo sotto né mai ho avuto ardir di trarlo fuori sì è stato dì chiaro -. […] La donna, acciò che Federigo per avventura altro sospetto non prendesse e con lei si turbasse, diliberò del tutto di doversi levare e di fargli sentire che Gianni vera, e disse al marito: - Bene sta, tu ditue parole tu, io per me non mi terrò mai salva né sicura, se noi non la ncantiamo, poscia che tu ci se-. Disse Gianni: - O come sincanta ella? […] disse la donna a Gianni: - Ora sputerai, quando io il ti dirò -. Disse Gianni: - Bene -. E la donna cominciò lorazione, e disse: - Fantasima, fantasima che di notte vai, a coda ritta ci venisti, a coda ritta te nandrai; va nellorto a piè del pesco grosso, troverai unto bisunto e cento cacherelli della gallina mia; pon bocca al fiasco e vatti via, e non far male né a me né a Gianni mio -; e così detto, disse al marito: - Sputa, Gianni -; e Gianni sputò. E Federigo, che di fuori era e questo udiva, già di gelosia uscito, con tutta la malinconia, aveva si gran voglia di ridere che scoppiava; e pianamente, quando Gianni sputava, diceva: - I denti -. La donna, poi che in questa guisa ebbe tre volte la fantasima incantata, al letto se ne tornò col marito. Federigo, che con lei di cenar saspettava, non avendo cenato e avendo bene le parole della orazione intese, se nandò nellorto e a piè del pesco grosso trovati i due capponi e 1 vino e luova, a casa se ne gli portò e cenò a grande agio. E poi dellaltre volte, ritrovandosi con la donna, molto di questa incantazione rise con essolei. (Boccaccio, “Decameron”, VII, 1)
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L'accordatura del Pianoforte tra tecnica e ascolto
Il pianoforte occupa il palco al centro della scena. E' di uno candido colore bianco con la sua coda imponente. La tastiera di 88 tasti in sette ottave è percossa ripetutamente, su ogni tasto più volte. Le mani e tutte le dieci dita intrise di grasso imbrattano completamente il lucido dell'avorio e dell'ebano, e molte altre parti del piano. Il leggio sfilato e il coperchio della cassa armonica è completamente aperto. L'accordatore sta allentando premurosamente un
bischero per la sostituzione delle corde. Ogni nota è il risultato della vibrazione di una corda per le note più gravi, di due per le ottave medio-gravi, di tre per le più acute. Le corde delle note gravi hanno diametri da 4mm a ….. mentre fino a diametri 1,0mm per le note acute. Il tasto muove una serie di meccanismi in legno che agisce su un martelletto rivestito in feltro. Solitamente il martelletto è segnato dalla corde e in genere non viene mai sostituito a meno che ci sia
una rottura sul legno. Tinn, Tinn, Tinn, il suono è penetrante per un uditore, non per l'accordatore che cerca il suono giusto, una frequenza appropriata. Anzi, ogni tasto è un fastidio per l'orribile suono calante da sistemare! Quinte strette, terze giuste, battimenti, cronografi... per un'ora le singole note si susseguono più volte fino alla noia per chi transita e per puro caso attende al lavoro dell'accordatore di pianoforti. Paolo Parigi
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Musica
Da Pitagora, fisica e filosofia nell’accordatura di uno strumento musicale DI
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JACOPO FELICIANI
'accordatura di uno strumento musicale è un'operazione che potrebbe essere considerata banale. L'attività coingolge molti settori a cominciare dalla Fisica, l'acustica, la manualità, per giungere fino alla Filosofia. Si tratta di stabilire dei valori di frequenza di vibrazione di un complesso di note di cui è costituito lo strumento. Con studi che partono prima di Pitagora e che con l'Ellenico acquisiscono una teorizzazione più compiuta. Occorrono molteplici osservazioni e criteri solo per fissare il diapason di una scala musicale. Oggi è fissata convenzionalmente al La 440Hz, cui si giunge dietro una lunga serie di teorizzazioni, scontri e soprattutto infinite polemiche*(1). Si giunge persino a chiamare in causa una Teoria della cospirazione dell'innalzamento del corista*(2). Non essendo possibile trovare una composi-
zione o soluzione legale, malgrado la Teoria scientifica abbia il suo fondamento ben radicato, almeno quanto quella empirica dello'ascolto, siamo costretti ad accettare e a costruire degli strumenti ottimizzati per il La 440Hz. Definito dunque forzatamente il corista di riferimento si può partire con l'accordatura. Oggi, grazie al progresso tecnologico ci sono due alternativi metodi d'accordatura. Il tradizionale, la sempre più apprezzata accordatura aurale ossia fatta ad orecchio, e l'accordatura elettronica, con l'ausilio di strumenti meccanici e informatici. Per il Pianoforte l'operazione di accordatura risulta ancora più complessa rispetto ad altri strumenti più semplici, non tanto per il maggiore numero di corde da regolare, ma per una serie complessa di fenomeni fisici che in-
*(1) Il diapason fu fissato sul La 440 Hz con la Risoluzione europea n.71 del 30 giugno 1971. In Italia la Legge 3 maggio 1989, n.70, pubblicata sulla G.U. n.109 del 12/05/1989 stabilì la frequenza della nota di riferimento per l'accordatura degli strumenti musicali: "Normalizzazione dell'intonazione di base degli strumenti musicali". Art.1: "Il suono di riferimento per l'intonazione di base degli strumenti musicali è la nota La3, la cui altezza deve corrispondere alla frequenza di 440 hertz, misurata alla temperatura ambiente di 20 gradi centigradi". Diapason alternativo è il la 415 o 430 Hz che viene utilizzato per l'esecuzione filologica con strumenti storici barocchi e classici. La questione riemerse con la polemica lettera di Giuseppe Verdi, indirizzata alla Commissione musicale del Governo, Genova 10 febbraio 1884, durante un dibattito su un diapason armonico a 432Hz contro un diapason a 440Hz, in cui sosteneva l'adozione di un "diapason normale". Il "diapason normale" conservato al Museo del Conservatorio nazionale di Parigi a cui Verdi si riferiva prevedeva una frequenza per il La 435Hz. Il "diapason scientifico" è calcolato sul Do3 a 256 Hz, corrisponde ad un La3 a 440Hz e fu approvato all'unanimità dal Congresso dei musicisti italiani del 1881. Questa corsa ad una intonazione più acuta era ricercata delle bande militari russe e da quelle austriache avallato da Wagner e da Liszt, fu accettato convenzionalmente a
tervengono. Il principale è conosciuto con il termine di inarmonicità*(3) delle corde acustiche. L'inarmonicità si risolve con particolari accorgimenti a seconda si utilizzi l'aurale o l'elettronica. Un secondo problema è connesso con la specificità e la complessità dell'attrezzatura e nella reperibilità molto limitata. L'attrezzatura base dell'accordatore è costituita da una chiave d'accordatura universale, un nastro per la ripartizione del centro, un diapason e cunei in feltro o gomma e un diapason La 440Hz.
Londra nel 1939. Il diapason 440 non è sorretto da alcuna argomentazione scientifica, ne tantomeno tollerato dalle caratteristiche delle voce umana. Perché nella scelta tra tanti diapason si dovrebbe selezionare proprio il La 432? Perché ci sono elementi per dire che la musica è più rilassante, più cantabile, ma anche per ragioni scientifiche. Si prende come riferimento la frequenza fondamentale di oscillazione della Terra, 7,83Hz, che fu dimostrata matematicamente dal Fisico Winfried Otto Schumann nel 1952, chiamata risonanza elettromagnetica globale e conosciuta con il termine "Risonanza di Schumann". La scala musicale intonata sul la 432 produce l'armonia musicale più perfetta rispettando la vibrazione naturale fondamentale della terra. Un tale ascolto predispone il cuore a ritmi cardiaci regolari, ad una sincronizzazione biemisferica del cervello corretta, la frequenza di replicazione del Dna più precisa con un miglioramento complessivo del riposo. Nel canto si osserva come le famose “Voci verdiane” con un La 432Hz suonano rotonde, piene, potenti, corpose. Con un La 440Hr si introducono delle delle forzature che impongono di affrontare uno scalino, un “passaggio di registro”, non solo per le corde vocali che dovrebbero vibrare su certe frequenze ma anche per i risuonatori, essendo il canto un'attività umana naturale basata sulla proporzione aurea di 432 oscillazioni al secondo.
Musica Nemmeno la semplice attrezzatura di base è troppo facile da reperire nei negozi specializzati. Generalmente hanno in magazzino delle chiavi di accordatura di pessima qualità che rovinano facilmente le caviglie. L'ideale è un manico in acciaio e legno o plastica anche di fabbricazione russa e una bussola universale professionale con acciai tedeschi. Per i cunei, zeppe e strisce in feltro non ci sono particolari problemi. a fondamentale regola è di non improvvisarsi mai ad accordatori senza una particolare esperienza per non rischiare di rovinare il pianoforte. Inserire sempre la bussola della chiave d'accordatura facendo attenzione che sia esattamente la corda da sistemare, perché essendo molto ravvicinate ci si confonde facilmente. Ruotare la chiave d'accordatura con delicatezza, sempre a stringere e con rotazioni che non superino il quarto di giro, perché si rischia di riscaldare il legno del somiere – la caviglia si avvita letteralmente al somiere e quindi le operazioni devono essere molto delicate altrimenti si compromette la stabilità della corda. Si procede accordando per prima la corda sinistra e poi via le altre sulla destra, in ragione della conformazione del telaio. E' consigliabile accordare prima i registri bassi e poi gli acuti per-
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ché si abbia migliore stabilità di accordatura. Per aggirare il fenomeno dell'inarmonicità delle corde si procede a seconda si accordi con i sistemi elettronici o ad orecchio. - Con i sistemi elettronici basta suonare una nota del piano, registrarla sullo strumento elettronico che elabora velocemente l'inarmonicità del pianoforte e da quella si calcola automaticamente tutte le frequenze ideali per quello specifico pianoforte. Il compito dell'accordatore è ridotto a qualche semplice regola e alla manualità personale. Si suona una corda, il calcolatore acquisisce la nota tramite un microfono e visualizza la fre-
*(2) La teoria della cospirazione riguarda una sorta di tortura psicologica cui sarebbe sottoposto l'uomo all'ascolto di una musica costruita su una scala non naturale. Un siffatto ascolto provocherebbe tensioni, malumori, malesseri e malattie di cui a profittarne è il violento Potere. *(3) L'Inarmonicità fenomeno per il quale le frequenze degli armonici parziali delle corde prese singolarmente, hanno la caratteristica di deviare di qualche cent dai teorici multipli della frequenza fondamentale pura, rispetto ad una corda all'ottava superiore. Suonando una corda e le sue corrispondenti alle ottave superiori, percepiamo dei fastidiosi battimenti causati dalle differenti frequenze. Per risolvere il problema occorre stringere di qualche cent queste ultime ottave. Rispetto alla lunghezza (L) delle corde, l'inarmonicità (I) ha una relazione pari all'inverso della IV potenza di questa. I=1/(L elevato 4). Possiamo dunque affermare che l'inarmonicità e inversamente correlata alla lunghezza. Per inciso, più lunghe sono le corde, minore è l'inarmonicità e viceversa. Inoltre le corde rivestite in rame o ottone del registro grave del pianoforte genera una inarmonicità, seppur ridotta, sostanzialmente attenuata dalle inferiori frequenze di vibrazione che questo settore genera. Le frequenze dette "parziali non armonici", sono dei suoni prodotti dalla vibrazione di una corda con frequenze non armonicamente collegate alla fondamentale. Quando si pone in vibrazione una corda essa genera un'onda fondamentale e molteplici onde stazionarie. Le onde
quenza, si sistema la corda con la chiave d'accordatura fino a quando il valore non è quello esatto. Si effettua per tutte le corde e l'accordatura è terminata. - Per l'accordatura aurale o armonica, il procedimento è molto più complesso perché occorre effettuare il cosiddetto "centro". Si inizia temperando il "centro", l'ottava che parte dal fa sotto al do centrale fino al fa sopra. La prima operazione è quella di isolare le ventiquattro corde dell'ottava fa3-fa4 lasciando le sole 12 sinistre, una corda sola per coro -tre corde che concorrono a produrre una nota- per mezzo della striscia in feltro.
stazionarie si generano per via dei nodi e ventri che si producono secondo vari rapporti matematici metà, 1/3, 2/3 ecc. durante l'oscillazione di una corda. Nell'oscillazione di una corda non udiremo mai un suono puro ma qualcosa di complesso formato dal fondamentale e da una serie di parziali non armonici e armoniche -o suoni multipli della frequenza base con intensità sonora via via decrescente. Questi suoni in più non sono mai pari esattamente a quelli che la corda all'ottava successiva produce. Tale differenza genera per il noto problema del Terzo suono di Tartini, un'ascolto non gradevole quello dei battimenti. Pertanto si deve intervenire per correggere questa differenza accordando strette le note più basse e larghe quelle più acute. *(4) I nodi e i ventri che si generano nei parziali armonici hanno delle misure più corte rispetto alla misura della corda originale, pertanto suonano più acute; è questa la ragione dell'inarmonicità. *(5) Il battimento è un suono di intensità variabile che ha un max e un min ad intervalli di tempo regolare ed è generato da due suoni che vibrano contemporaneamente con frequenze abbastanza vicine . La frequenza di battimento è data dalla differenza delle frequenze dei due suoni. Il valore così trovato corrisponde al numero totale dei battimenti per secondo. La frequenza di battimento è udibile se la differenza di frequenza tra i due suoni è minore della minima frequenza udibile che è pari a circa 30 Hz; in questo caso si parla di terzo suono di Tartini o suono differenziale.
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questo punto accordiamo perfettamente il La centrale a 440Hr per mezzo del diapason. Per quarte e quinte sistemo le altre corde dell'ottava centrale fa3-fa4. Suono LA e la quarta sopra, il RE che sistemo lasciando un battimento al secondo in crescere; suono il RE e il SOL una quinta sotto ottenendo un intervallo calante di un battimento; suono il SOL e il DO una quarta sopra ottenendo una quarta crescente, suono il DO e il FA una quinta sotto. A questo punto controllo l'intervallo di terza FA – LA che dovrebbe avere circa 7 battimenti al secondo. Suono il FA – SIb una quarta sopra ottenendo intervallo crescente di un battimento. A questo punto controllo l'intervallo di sesta FA – RE con 8 battimenti, e l'intervallo di terza Sib – RE con 9 battimenti. Suono il SIb – MIb una quarta sopra ottenendo un intervallo crescente di un battimento. Suono il MIb - LAb, una quinta sotto ottenendo un intervallo calante di un battimento. Suono il LAb - REb una quarta sopra ottenendo un intervallo crescente di un battimento. A questo punto controllo gli intervalli di terza maggiore LAb - DO, LA REb, SIb- RE che hanno delle progressioni nei battimenti uniformi 12, 13 e 12 battimenti. Suono il REb – SOLb una quinta sotto ottenendo
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un intervallo crescente di un battimento.Controllo che le terze FA LA e SOLb - SIb siano in progressione, 10 battimenti circa. Suono il SOLb - SI una quarta sopra ottenendo intervallo calante di un battimento; suono il SI – MI una quarta sopra ottenendo intervallo calante di un battimento. Infine regolo all'ottava il FA3 togliendo ogni battimento rispetto al FA4. Avremmo pertanto ottenuto delle terze in progressione in modo che la terza maggiore fa-la lasci 7 battimenti al secondo fino ad arrivare alla terza maggiore re bemolle-fa con 13 battimenti al secondo. In questo modo ho ottenuto una ripartizione dell'ottava lasciando equamente gli errori distribuiti per tutta l'ottava il cosiddetto temperamento equabile, e una costante accelerazione o rallentamento costante dei battimenti. Ottenuta l'ottava centrale, poi non ci resta che accordare il resto delle altre corde del pianoforte per ottave ed il lavoro è terminato. Scendendo verso i suoni gravi otterrò bassi calanti rispetto ai matematici e il contrario salendo verso gli acuti, in quanto le ottave ottenute matematicamente sono più strette rispetto a quelle sistemate con i battimenti. on l'operazione di accordatura non si è esaurito il compito del-
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l'accordatore perché occorre anche effettuare un'altra operazione con cui ci si confonde che consiste nell'intonazione. Intonazione riguarda la sistemazione dei martelletti del piano. Vengono smontati ad uno ad uno e con un pettinino si rinnovano e rinfrescano le fibre del feltro. I martelletti delle corde più acute sono in feltro più duro e più slanciato rispetto a quelle delle corde più gravi. Un'altra operazione abbastanza semplice da operare è la sostituzione di una corda del piano. Inserendo o sostituendo una corda, bisogna fare attenzione al verso (usualmente antiorario) come sono orientate le corde rispetto al pirone o bischero e che la corda si avvolga in modo che la parte che va alla caviglia (capo corda opposto al pirone) sia al di sotto. Le caviglie si avvitano letteralmente al pancone o somiere, allentare gli stessi di qualche giro per non danneggiarli -circa 4 giri interi facendo delle pause di quarto di giro. Il filo va tagliato tenendo in considerazione la misura della corda tra le due caviglie e aggiungendo circa 15 cm, per corde doppie. Per le corde singole vanno aggiunti solo 5 cm. Inoltre fare attenzione che la corda passi con correttezza sotto e soprattutto al lato degli smorzarori. Con le pinzette fare una L alle estremità delle corde e poi inserirle nella caviglia. A questo punto prendiamo la chiave per accordare e ruotiamo in senso orario con prudenza facendo attenzione che la corda sia stata posta nella corretta posizione e facendola entrare nelle proprie guide. Se ci si accorge di cose irregolari si cerchi di capire cosa è stato sbagliato e poi subito intervenire. Infine ci sono una gran serie di altre operazioni che coinvolgono specialmente la meccanica del pianoforte con delle regolazioni che risultano più complesse ma molto meno frequenti.
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Rivoluzione in Cucina Al termine dei primi tre piani quinquennali post rivoluzionari, oramai alla vigilia dell’inizio della seconda guerra mondiale, l’URSS aveva vissuto una evoluzione economica e sociale senza precedenti (50 anni più tardi la ripeterà la Cina), sviluppando non solo un’industria pesante di primo livello mondiale, ma anche un’industria leggera agro-alimentare in grado di cambiare radicalmente le potenzialità e le abitudini alimentari delle innumerevoli popolazioni della sconfinato Stato socialista. La ricerca scientifica, che aveva anch’essa raggiunto punte di eccellenza mondiale, aveva investito anche il campo dell’alimentazione inducendo una crescita dell’aspettativa di vita pari al doppio di quella del periodo pre-rivoluzionario. Nel 1939 il governo si determinò a diffondere i risultati di quelle conquiste scientifiche promuovendo nuove consuetudini alimentari nella comune vita domestica, pubblicando un manuale di cucina che teneva conto sia delle nuove disponibilità di prodotti che delle loro accertate diverse peculiarità salu-
Insalata “salute” Ingredienti: 2 cetrioli freschi, 2 carote crude, 2 mele, 2 pomodori, 100gr insalata verde, mezza porzione di panna acida, mezzo limone Procedimento: lavate bene i cetrioli freschi, le carote crude e una mela tagliata a pezzi molto sottili, aggiungete le foglie dell’insalata verde tagliate i 3/4 parti uguali. Mescolate il tutto e condite con panna acida, succo di limone, sale e zucchero. La parte superiore dell’insalata decorata con pomodoro tagliato a fette. Questa insalata, grazie alla verdura e frutta fresche, contiene una notevole quantità di vitamine. Insalata verde con panna acida e uovo sodo Ingredienti: 300 gr insalata verde, 1 cetriolo, 1 uovo sodo, mezzo bicchie-
tistiche e anche sanitarie. Il manuale intitolato “Il libro del cibo gustoso e salutare” venne stampato in centinaia di migliaia di copie e rieditato con costanti aggiornamenti e arricchimenti sino al 1987. Così si apriva l’introduzione alla prima edizione del 1939: “In base al costante aumento del benessere del popolo sovietico, il compito dell’industria alimentare si fonda sul presupposto di fornire supporto all’industria per la lavorazione del pesce, della carne, dei latticini, rispondendo nel contempo alle più moderne esigenze. Ogni anno che passa cresce sempre di più, da parte della popolazione, la richiesta di cibi ad alto valore nutrizionale. Negli ultimi anni l’industria alimentare ha acquisito la capacità di produrre decine di prodotti precedentemente inesistenti e sconosciuti in tutta la Russia. In base alla proposta del compagno Mikojan la redazione della rivista “Industria agroalimentare” pubblica ora “Il libro del cibo gustoso e salutare”, prima opera del genere in Unione Sovietica, un libro di ricette per tutti gli strati
re di salsa preparata con panna acida Procedimento: lavare e asciugare l’insalata verde, tagliarla e disporla in una scodella. Cuocere l’uovo sodo, tagliarlo a fette sottili e mescolarle con la salsa di panna acida e aceto. Poco prima di servirla, condire l’insalata con la salsa di panna acida e un uovo sodo, disporre il tutto nell’insalatiera, decorare con il cetriolo tagliato a fette sottili e finocchietto selvatico sminuz-
53 della popolazione. Esso contiene le ricette delle più varie pietanze adatte alla nutrizione quotidiana, cibi per le festività, cibi per i bambini e cibi indicati per le persone che, per motivi di salute, devono seguire una dieta particolare. Il libro si è avvalso della ricca tradizione culinaria che è alla base delle ricette contenute in esso. Hanno avuto parte attiva nel libro pure i contadini, gli ingegneri, i medici, i biologi, così come le semplici massaie.” [Nota. Qualcuno sorriderà leggendo lingenuità del progetto di un “Artusi” popolare socialista. Dovrà però ricordare - o documentarsi che non è mai male – che in quellepoca nella nostra ricca, felice ed evoluta Umbria era diffusa la “pellagra”, malattia alimentare con effetti devastanti a livello psichico, che riempiva gli innumerevoli manicomi presenti in tante cittadine umbre (provate a immaginare quanti ricoverati poteva contenere il mastodontico Ospedale Psichiatrico di Foligno, oggi sede dellUniversità, in via Oberdan). Ebbene la “pellagra”, che colpiva ovviamente gli strati più poveri della popolazione rurale, poteva avere una semplice terapia: il grano! Cioè il pane fatto con farina pulita e sana e non con i residui muffiti delle granaglie lasciate dai proprietari fondiari ai loro contadini]
zato, oppure, in alternativa, con del prezzemolo anch’esso sminuzzato. Quest’insalata si sposa bene con tutte le pietanze a base di carne o di pesce. Insalata di barbabietola rossa Ingredienti: 2 o 3 pezzi di barbabietola rossa, 2 cucchiai di olio vegetale, mezzo bicchiere di aceto. Procedimento: cuocere nell’acqua o a vapore la barbabietola rossa, sbucciarla, tagliarla a fette tonde, disporla nella scodella, salarla, aggiungere pepe, olio, aceto, indi mescolare il tutto e disporlo nell’insalatiera. Decorare in superficie con del finocchietto selvatico o con prezzemolo. Questo tipo di insalata si accompagna bene con le pietanze di carne arrosto o bollita. E’ possibile aggiungervi anche delle patate lesse. In tal caso la barbabietola rossa e le patate vnno in quantità uguali.
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La Carne Nellalimentazione la carne, di manzo, di maiale, di montone, è uno dei prodotti più importanti. E dotata delle più alte qualità nutritive e risulta inoltre facile da combinare con i più svariati contorni, come verdura, farinacei, pasta e simili. Oltre alle proteine, la carne contiene grasso e notevoli quantità di sostanze dincomparabile valore. Esse servono come elementi di separazione dei succhi gastrici e, nello stesso tempo, contribuiscono a una migliore assimilazione del cibo. La carne fresca usata per la preparazione delle pietanze deve avere aspetto e colore naturali, deve inoltre possedere il profumo caratteristico della carne, nonché una certa consistenza. Il buchetto che si forma con una leggera pressione del dito, nella carne di qualità deve “risistemarsi” subito dopo. La carne a peso è venduta leggermente raffreddata, fredda o anche congelata. Le qualità di carne sotto forma di semilavorati debbono essere vendute soltanto raffreddate. La carne fresca è preparata in apposite aziende e tagliata in pezzi da 250 o 500 gr. Poi viene impacchettata nel cellofan o nella carta oleata e, infine, etichettata. Ogni etichetta deve indicare la data della macellazione, il peso, la denominazione della parte macellata, nonché le qualità nutritive. Bastruma di filetto Ingredienti: 500 gr di carne di manzo, 2 testine di cipolla, 1 bicchiere di aceto di vino, 100 gr di cipolla fresca, 200 gr di pomodoro e mezzo limone. Preparazione: Lavare il filetto di manzo ripulendolo da eventuali nervature, tagliarlo in pezzi da 40-50 gr circa, disporlo in un recipiente di porcella o semplicemente in padella, salare, aggiungere paprica in polvere, aceto, cipolla tagliata sottile. Mescolare il tutto. Coprire con un coperchio e lasciare riposare in luogo fresco per 2-3 ore, affinché il filetto risulti ben marinato. Una volta preparato il filetto, infilarlo in uno spiedino di metallo e cuocerlo per 10 minuti su fuoco
vivo allestito con carbone (senza fiamma), avendo cura di girare sempre lo spiedino, affinché possa rosolarsi uniformemente da ogni parte. Per servire a tavola i pezzi di bastruma, togliere la carne dallo spiedino, disporla su di un piatto di servizio precedentemente riscaldato e accompagnare con pomodoro, cipolla fresca (con foglie verdi) e limone. Cervella fritta Mettere la cervella nell’acqua fredda e lasciarvela per 30-40 minuti. Mondarla dalla pellicina e disporla in padella, coprendola completamente con acqua. Aggiungere 1-2 cucchiaini di aceto, sale quanto basta, 2-3 foglie di alloro e pepe
in grani. Quando l’acqua arriva al punto di ebollizione, abbassare la fiamma e proseguire la cottura per 25-30 minuti. Estrarre dall’acqua la cervella così cotta e lasciarla riposare per un po’. Indi staccare le due parti con un coltello, tagliarle in quattro, salarle, aggiungere pepe macinato, passarle nella farina e friggerle da ogni lato a fuoco abbastanza vivo. A frittura terminata disporre i pezzi di cervella su un piatto di servizio, aggiungervi olio o burro e succo di limone e cospargervi sopra un po’ di prezzemolo tritato. Come contorno possono essere servite patate cotte inforno, patate lessate nel latte oppure purea di patate. Su sposano bene anche i piselli e le carote.
Dolci - Torta di mandorle Ingredienti: 400 grammi di mandorle, 10 uova molto fresche, 2 bicchieri di zucchero, mezzo bicchiere di pangrattato, mezzo bicchiere di burro scaldato, Per la crema: mezzo litro di panna dolce, 1 bicchiere di zucchero, un quarto di confezione di zucchero vanigliato. Procedimento: sbattere bene le uova con lo zucchero. Preparare a parte le mandorle, circa 400 gr, lavandole, asciugandole, tritandole o macinandole con l’apposito macinino. Realizzata così la pasta di mandorle, unirla alle uova sbattute e allo zucchero mescolando bene tutto quanto per 10-20 minuti. A questo punto la pasta così ottenuta va cotta nel forno ripartita in due parti uguali; dividere perciò la paste in due parti oppure cuocerla in due tegami con il medesimo diametro, oliati quanto basata e cosparsi di pangrattato. Cuocere in forno per 12-15 minuti. A parte preparare una crema a base di panna dolce, che si ottiene da mezzo litro di panna con l’aggiunta di un bicchiere di zucchero e un
po’ di zucchero vanigliato; cuocere a bagnomaria oppure a fuoco molto lento fino al momento in cui diventa abbastanza densa. Fare attenzione a non farla attaccare. La tinta ideale di questa crema dev’essere bruno chiaro. Ottenuta così la crema, va tolta dal fuoco, raffreddata e mescolata molto bene, meglio ancora
se sbattuta con una paletta. Una volta raffreddata la base della torta, disporre su di un piatto una delle due parti, coprirla con la crema, stenderla bene e disporvi sopra l’altra parte. Lasciare da parte tanta crema quanta ne serve per coprire tutta la torta, decorandola con mandorle tostate e tritate.
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L’inverno è finito L'amore è la capacità di avvertire il simile nel dissimile. T.W. Adorno
Ci sono, per te ci sarò sempre; anche quando non mi sopporti. Anche quando non mi vuoi vicino. A mia figlia Veronica.
un racconto di Katia Marani
Questa non è una storia per superstiziosi. Questa è una storia come piace a me: con la vita che attinge nuovo vigore nell'aiutare gli altri, e la speranza che da scacco matto alla disperazione. Una delle due protagoniste non vive per se stessa, ma per donarsi; l'altra, scoprirà che non c'è modo migliore di questo per vivere l'attesa.
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Nina incarna listante esatto in cui un essere vivente impara a conoscere il significato concreto della propria esistenza: in lei cè la repulsione che accomuna in egual misura lenormemente bello e leccessivamente brutto. Lei è il catalizzatore degli eventi che le ruotano intorno e insieme il punto di fuga nella loro rappresentazione; ma Nina è anche la protagonista del libro inedito di una valente autrice conosciuta grazie al concorso lanciato dal giornale nei mesi scorsi, Katia Marani, libro di cui in questa sede viene pubblicato il primo capitolo (fruibile per intero come e-book sul sito www.piazzadelgrano.org). La storia della piccola e grande Nina, quella dei suoi genitori, del suo paese, dei personaggi che lo abitano e dei luoghi grigi che lo caratterizzano, il racconto del tempo che scorre tra i loro respiri, perennemente freddi come stalattiti di ghiaccio, tutto viene tenuto insieme da un destino più arrogante degli esseri umani, uno speciale destino per “disgraziati” che, sia pure in maniera troppo spesso brutale, non permette mai agli uomini di perdersi del tutto. Una traccia di loro, o su di loro, rimane sempre: a niente e a nessuno viene concesso di passare invano.
Capitolo Primo Nina Era nata per caso di venerdì diciassette dicembre. Un giorno come tanti se non ci si fa abbindolare dalle credenze, fondate su presupposti magici ed emotivi. Un giorno qualsiasi per chi non cade nella trappola spesso convincente che può diventare l'irrazionale. Era nata nel monolocale cucina-salottocamera da letto, al piano terra di una vecchia e laida palazzina alla periferia più povera di Minsk. La stanza, appena illuminata, era impregnata dall'afrore pungente dell'aglio ed aveva pareti grigiastre macerate dall'umidità ed incrostate dal fumo della stufa accesa, quando c'erano qualche ciocco o quant'altro potesse ardere. Il vetro diaccio dell'unica finestra era schermato dai tendaggi aleatori formatisi dal vapore che esalava la conca dell'acqua calda, che Jajalona aveva preparato per accoglierla appena fosse uscita dal ventre grave e dolorante della madre. Ormai dalla vulva enfiata e paonazza sporgeva la capelluta testina della creatura. Voleva, con l'energia e la fretta di tutti i neonati, precipitarsi per uscire fuori, ma a differenza della maggior parte di loro che quasi subito, come se d'improvviso diventassero con-
sapevoli d'aver interrotto il periodo più felice della vita, pentiti si stizziscono e piangono. Lei non lo fece, nonostante avesse già preso da Jajalona la sua bella dose di sculacciate. Lei no, nonostante Iddio sapesse quanto più di altri quell'innocente ne avesse tutte le ragioni. Per lei la vita non sarebbe stata un'occasione persa da rimpiangere. Neppure la madre aveva pianto quando Jajalona, la vicina di casa- mammana le aveva rivelato che la bambina era già morta prima ancora di affacciarsi da quel buco, ma che tutto sommato era stata una fortuna per entrambe, visto che il faccino era inguardabile tanto era sgraziato, che le sue piccole dita dei piedi non erano cinque bensì quattro, perché due di esse risultavano fuse assieme, e come se non bastava, all'inguine, aveva una antiestetica voglia nera, più pelosa di una pantegana. Per questo, sveltamente la donna dopo averla affardellata in un asciugamano strappo e insanguinato, la condusse al piccolo cimitero di quartiere, di lì a due passi, e la consegnò a chi se ne sarebbe occupato senza bisogno di tante cerimonie. Quella casa sporca, povera, disprezzata, anche da coloro che la abitavano pensò - era già abbastanza tribolata e non c'era posto per un'altra disgrazia. A Minsk bastava una bella sbronza con
la vodka per riaccendere i sogni degli infelici. Anche Maria sapeva bene, tanto che nelle sue vene ne scorreva più del sangue stesso. Quella sera, dopo aver avuto le doglie e poi sgravato l'inanimato mostriciattolo, cercò di aggiustare la sua anima semplicemente come si fa per le cose rotte, con l'unico collante che sapeva. Trangugiò sfiancata una gran quantità di sorsi, tanto in gola non bruciavano neanche più. Il suo stomaco però era troppo vuoto per sopportare quel mezzo litro di vodka. La nausea le balzò presto in gola, e dai conati sgorgava il liquido gastrico verdognolo e puzzolente che le andava imbrattando la veste sbiadita dall'usura. Fu allora che iniziarono a battere ripetutamente sul portoncino mezzo squassato. Chiunque fosse pensò che doveva avere molta fretta per cui si tamponò la bocca con una mano e, con l'altra, afferrata la maniglia si spicciò ad aprire. Era Sergiej Dulciov, il becchino-giardiniere del cimitero. Bianco come un cencio appena sciacquato e con la fronte brinata di sudore. Con un balzo entrò in quel disadorno e cupo stambugio. Adagiato fra le braccia, come per paura di stropicciarlo ancor più, recava lo stesso fagotto insanguinato che le era stato affidato qualche ora prima.
Inediti Le raccontò tutto d'un fiato, di come stava battendo l'ultimo chiodo sulla cassettina di faggio stagionato che aveva attrezzato per la sepoltura, che ad un tratto un urlo, gli aveva fatto raggelare il sangue arrestando i battiti del suo cuore e per lo spavento si era sentito mancare. Poi aveva ripreso coraggio e si era adoperato per liberare quel corpicino pieno di fiato, che non cessava più di strillare. Per questo si era precipitato a riportargliela. Naturalmente, aveva tralasciato di raccontare alla madre che un altro spavento se lo era preso quando, cercando di riordinare quel groviglio di stracci, ne aveva scorto il piccolo viso animalesco. E fu in questo modo, poco convenzionale ed ancor meno tenero, ma a dir poco incredibile, che la bambina arrivò tra le braccia scivolose e maleodoranti di vomito della madre. Il padre addirittura lo conobbe una settimana più tardi. Proprio la vigilia di Natale. La più fredda di quegli ultimi dieci anni che gli abitanti di Minsk ricordassero. Era solito bazzicare i bordelli più miserabili della città, dove trascorreva la maggior parte del tempo a bere più che a fottere, fin quando di quei miseri quattrini, che riusciva a racimolare da sobrio, ne rimanevano soltanto quelli che si nascondevano fra la stoffa e la fodera sbrindellata delle tasche, dell'unica giacca di lana infeltrita che possedeva, pesante e rigida come, l'armatura di un crociato. Pietro Sadkova, s'avviò verso casa, alle prime luci dell'alba, col freddo pungente che gli friggeva le guance scavate. Dai tetti, ben conservate dal freddo, pencolavano le stalattiti di ghiaccio, incombenti sui rari passati aggranchiti, come tante affilatissime spade. Entrò schivo e silenzioso. Si tolse le scarpe sporche di fango, appena sor-
passato l'uscio, per evitare che scricchiolassero sul pavimento di linoleum poco, adatto ad attutire i rumori. Se la moglie continuava a dormire, tanto di guadagnato; non aveva voglia di litigare con lei. La stanza era quella affumicata, squallida e grigia di sempre. Era una brutta stanza, simile a quella dove abitavano la maggior parte delle famiglie di Minsk. Uguale a quella che abitavano tutti gli inquilini di quel palazzaccio. Quasi subito, appartata, notò la vecchia zana di vimini intrecciati, che
aveva accolto i suoi due precedenti figli, così intuì, nonostante la moglie non fosse ancora di tempo, di essere diventato nuovamente padre, senza peraltro provare particolari emozioni. Pian piano, con le mani ben salde ai bordi, sollevò la culla e la piazzò vicino alla finestra, affinché la luce piatta del crepuscolo mattutino illuminasse le fattezze dell'ignoto esserino. Curioso guardò sotto le fasce per conoscerne il sesso - una femmina! - pensò meglio, è meno arrogante d'un maschio.Quindi fin qui non rimase deluso. Dopo, scrutò il visino privo di proporzioni armoniche, e dai tratti primitivi. Il panico, come l'arsura gli seccò la gola, la soddisfazione di riconoscersi in quei lineamenti minuti affogò in un profondo disincanto. Gli zigomi erano alti, la faccia schiacciata, le fessure palpebrali erano più strette ed obli-
57 que del normale. Alla fronte alta s'attacava quasi subito il naso piccolo e appiattito alla radice. La boccuccia era disegnata da una linea ricurva verso il basso, in cui le labbra erano soltanto abbozzate. Un'accozzaglia di lineamenti incorniciati da una piccola criniera di capelli ispidi e scuri, poco delimitati che degradavano lungo la schiena cicciotella ed anche sulle guance svuotate in una fitta peluria. Passò in rassegna tutti i suoi avi ma non ricordava di aver mai sentito accennare ad una tale bruttura nella sua famiglia. E neppure Maria...In quell'istante, lampeggiò nella sua memoria il tempo remoto in cui, appena ventenne e ben fatto, aveva incontrato Maria sua coetanea, in una casa di piacere, dove faceva "quel mestiere" già da due anni. Era famosa tra gli uomini del quartiere dov'egli alloggiava, nei pressi del porto di Vladivostok, non tanto per il piacere che era in grado di procurare, ma soprattutto per la bellezza lunare del volto, per le braccia e le gambe affusolate ed il culo alto e sodo. Quella pelle lattea come il globo di una perla, era seta su cui far scivolare le mani callose. Era migrato da Minsk pieno di progetti, per ritrovarsi a fare l'operaio sottopagato in una grande fabbrica, in cui si trattava il merluzzo, che dopo essere stato sviscerato e pressato, veniva messo sotto sale, per permetterne una conservazione più lunga. Il lavoro era faticoso e alienante, perché bisognava immergere quei pesci nel sale con le mani nude che inevitabilmente venivano corrose e macerate dal cloruro di sodio. La cute si infiammava e fra le pieghe delle dita si aprivano dei tagli che sanguinavano e dolevano. L'odore forte e sgradevole del baccalà, penetrava sotto ai grembiali, sotto agli abiti, e di conseguenza anche la pelle, attraverso i pori, assorbiva lo stesso lezzo.
58 Non era sufficiente per sbarazzarsene restare a bagno nella conca d'acqua saponata per l'intera mattinata di ogni domenica, unica giornata dedicata al riposo e alle donne. Trascorreva quel pomeriggio in fila, davanti alla porta della camera di Maria, con tutti gli altri che la bramavano. Lui più di tutti ci aveva perso la testa, tanto che la sposò e se la portò a Minsk, lontano dal bordello, sicuro che gli sarebbe stato sufficiente essere giovani, belli e pieni di fantasticherie ed illusioni, per dimenticare il passato e realizzare il loro sogno di felicità futura. Avevano preso in affitto una brutta casa, senza spazio e senza luce con la certezza di migliorare presto la loro condizione; nel frattempo, pane e amore sarebbero stati sufficienti. Ma quasi sempre, a chi nasce disgraziato la vita non fa mai regali. Così, erano trascorsi trent'anni, la brutta casa in affitto era sempre la stessa, le illusioni avevano ceduto il posto all'annichilimento, nel frattempo il pane e l'amore erano sempre più scarsi. Non tanto l'annosa difficoltà di Pietro nel reperire un lavoro stabile e le conseguenti privazioni avevano osteggiato la loro felicità, quanto la loro predisposizione ad accettare il peggio come normalità. Maria era poco incline ai lavori domestici e non perdeva occasione per dargli del fallito. Lui di rammentarle in quale merda di posto l'aveva raccattata. Continuarono tutti quegli anni ad
Inediti accusarsi rancorosi di reciproca inettitudine senza però cercare un modo pratico per combattere quella miseria. A nulla era valsa la nascita di Nicola e Katiuscia, i loro due primi figli, per creare un po' di serenità familiare; anzi più che mai Maria si era dimostrata sempre meno desiderosa di fare la moglie, e neppure aveva saputo essere una madre tenera e premurosa. Di lì a poco la sua vera grande passione era diventata la vodka. Lì affogava tutte le sue amarezze e tutte le sue frustrazioni. All'inizio Pietro l'aveva contrastata, persino picchiata con il pretesto di toglierle il vizio, ma l'acqua con le mani non la si ferma; finché, egli stesso, un goccio ogni tanto un goccio alla volta.. .si era convinto che tracannare litri di vodka e fottere le puttane dei bordelli fosse un binomio perfetto, indispensabile per rigenerarsi nel corpo e nella mente. Spesso accadeva che si ubriacassero insieme, lui e la moglie, che poi discutessero e finissero col picchiarsi ed insultarsi. Alle volte lui contro la volontà della donna, acchiappandola per i lunghi capelli ancora segosi, strascicandola come una sgangherata sedia di legno, la buttava sul tavolo a pancia in sotto immobilizzandola e, dopo averle alzato la veste sopra le testa la prendeva. Seppure in stato di semincoscienza sentiva crescere l'irrefrenabile eccitazione di compiere quell'atto e neppure le urla e i pianti della consorte, la quale cercava in ogni modo di sottrarsi a quella penetrazione resa
ancor più dolorosa dall'assenza di umori, potevano fermarlo. Per lei era soltanto umiliazione, per lui era una rivincita. Inoltre l'uomo era addirittura del parere che ad ogni età ed in qualunque condizione, egli doveva immergersi nella donna, senza alcun ritegno o scrupolo, per essere felice e dimenticare che lo aspettava la morte. E fu così, tramite la brutalità di uno stupro, consumatosi all'interno delle mura domestiche, che la genesi della piccina s'era compiuta, nonostante la donna stesse per cavalcare la cinquantina. L'assenza del menarca le aveva fatto immaginare di essere entrata nella menopausa. Fu poi troppo tardi per intervenire con un aborto, quando fra il sesto ed il settimo mese di amenorrea, intuì che di lì a qualche tempo avrebbe sgravato. Anche a guardarla, Nina, non poteva che apparire come il frutto di una bassezza umana, un piccolo mostriciattolo del quale disfarsi senza spargimenti di lacrime, ma la bimba s'era dimostrata più tenace di quello che sua madre avrebbe sperato. In lei la vita era così insistente che se l'avessero tagliata in due, come una lucertola i pezzi avrebbero continuato a vibrare e a muoversi. L'unico momento di tenerezza ebbe luogo alla spicciolata, quando il padre la prese in braccio, la benedisse baciandola in fronte, biascicando col fiato vinoso il primo nome che gli affiorò alle labbra. Ed era stato tutto quanto, avesse commemorato quella nascita derelitta.
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La Lista
Le anime vergini degli uomini di campagna, quando si convincono di una verità, si sacrificano per essa, fanno tutto il possibile per attuarla. Chi si è convertito, è sempre un relativista. Preferisco che al movimento si accosti un contadino più che un professore d'università. (Antonio Gramsci)
ex comunisti, mai comunisti, anti comunisti la Lista Pier Luigi Bersani Nato a Bettola, Piacenza, il 29 settembre 1951. Quasi adolescente entra in politica nelle file del PCI assumendo la vice presidenza della Comunità Montana piacentina, da allora non ha mai svolto alcun lavoro, se non incarichi politici retribuiti: consigliere regionale Emilia Romagna e poi Presidente della Regione, parlamentare dal 2001 anche al Parlamento d’Europa, ripetutamente Ministro (tre diversi ministeri) con quattro diversi governi, attuale sedicente segretario del PD, ma improbabile candidato premier, responsabile: - di avere dato il via al progetto folle delle privatizzazioni, infatuato dalle miracolose promesse della crescita infinita del mercato mondiale (la stiamo vivendo!), spogliando lo Stato e gli Enti locali di un immenso patrimonio economico, tecnologico e culturale accumulato negli anni della ricostruzione post bellica; - di avere segretamente negoziato con gli USA un programma di ricerca e sviluppo dell’energia nucleare, in dispregio dei referendum che, per due volte, ne hanno rifiutato l’utilizzazione in Italia. (Ops! Scusate nella foto è Crozza che imita Bersani... ma forse è più serio) Emma Bonino Nata a Bra il 9 marzo 1948. Si qualifica docente universitaria, in realtà è professoressa “emerita” dell’università americana al Cairo. Ha sempre e solo svolto attività politica retribuita: sette volte deputata, una senatrice (l’attuale), quattro volte parlamentare europea. Ha ricoperto numerosissime cariche sia ministeriali, che nella commissione europea, attraversando tutto lo schieramento costituzionale: nata radicale, si è legata per motivi di quorum elettorali all’Ulivo, poi al Polo delle Libertà di Berlusconi (la nomina a Commissario europeo la riceve da quest’ultimo), poi crea un’alleanza con i vecchi socialisti (Rosa nel Pugno, grande flop elettorale), torna infine al centrosinistra per l’elezione al Senato, impone la sua candidatura alla presidenza della Regione Lazio perdendo clamorosamente contro una sconosciuta Polverini per di più indebolita da problemi di liste elettorali, rinuncia al consiglio regionale preferendo conservare la carica di vice presidente del Senato con i relativi benefici di appartamento, ufficio, scorta, ecc., responsabile: - di avere fatto parte come Monti della Commissione Europea di destra che ha smantellato i cardini del progetto dell’Unione politica dell’Europa (la Commissione presieduta da Prodi che l’ha seguita ha fatto molto di peggio!); - di avere sostenuto, venendo meno all’ideologia radicale pacifista, l’invasione militare del Kossovo; - di avere fatto annullare il progetto Arlacchi finalizzato alla cessazione delle coltivazioni di oppio in Afghanistan mediante aiuti economici ai contadini coltivatori, inventandosi l’importazione dell’oppio a fini farmaceutici (?), con l’invasione dell’Afghanistan la produzione di oppio è decuplicata; - di avere sostanzialmente compromesso, per presunzione e arroganza personale, l’intera storia del movimento radicale italiano; - e non basta... Pier Ferdinando Casini Nato a Bologna il 3 dicembre 1955. Laureato nel 1979, nel 1980 entra in politica e non ne esce più. Deputato da 8 legislature, anche al Parlamento d’Europa, presidente della Camera dei deputati prima di Bertinotti ma per l’intera legislatura. Adottato da Forlani vive la dissoluzione della DC e attraversa, con compagnie sempre diverse, almeno tre altre sigle, senza mai rinunciare alla genetica democristiana. Si allea alternativamente con Berlusconi e con l’Ulivo, poi con i fascisti di Fini e di nuovo con il centrosinistra di Bersani e Vendola. Strenuo difensore della sacralità della famiglia unita dalla Chiesa, ovviamente divorzia e forma nuove famiglie. Dal 2007, data del matrimonio civile (?!) diviene ufficialmente “il genero” del grande costruttore romano Caltagirone, responsabile: - ...onestamente di nulla... perché essendosi occupato solamente dei fatti suoi c’è riuscito benissimo! La lista” prosegue nei prossimi numeri
a cura di SANDRO RIDOLFI
Genova 2001 Per Non Dimenticare
Con sentenza depositata a luglio 2012 la Corte di Cassazione ha invece confermato la sentenza della Corte d’Appello di Genova che ha accertato le violenze commesse dalla Polizia di Stato (e altri organi di sicurezza) nella irruzione alla scuola Diaz e successiva illegittima detenzione nella caserma Bolzaneto ai danni di circa 90 ragazzi del tutto estranei agli scontri di piazza dei giorni precedenti. L’accertamento dei gravissimi fatti di violenza non ha comportato condanne detentive per i funzionari e gli agenti accertati responsabili essendo intervenuta la prescrizione breve dei reati di lesione fisica e psichica, non avendo ancora l’Italia recepito la convenzione dell’ONU sul reato di tortura che avrebbe notevolmente allungato i tempi della prescrizione. La prescrizione penale non ha tuttavia estinto il diritto al risarcimento economico civile e tutti gli imputati, in solido con lo Stato italiano, sono stati condanni a risarcimenti in favore delle vittime della loro violenza per un ammontare di oltre 10 milioni di euro, importo che da la misura della vastità e gravità delle violenze commesse e conseguenti lesioni causate. All’indomani dell’irruzione nella scuola Diaz la direzione della Polizia emise il seguente comunicato, le parti in neretto indicano i falsi successivamente accertati dalla magistratura penale: “Anche a seguito di violenze commesse contro pattuglie della Polizia di Stato nella serata di ieri in via Cesare Battisti, si è deciso, previa informazione all’autorità giudiziaria, di procedere a perquisizione della scuola Diaz che ospitava numerosi giovani tra i quali quelli che avevano bersagliato le pattuglie con lancio di bottiglie e pietre. Nella scuola Diaz sono stati trovati 92 giovani, in gran parte di nazionalità straniera, dei quali 61 con evidenti e pregresse contusioni e ferite. In vari locali dello stabile sono stati sequestrati armi, oggetti da offesa ed altro materiale che ricollegano il gruppo dei giovani in questione ai disordini e alle violenze scatenate dai Black Bloc a Genova nei giorni 20 e 21. Tutti i 92 giovani sono stati tratti in arresto per associazione a delinquere finalizzata alla devastazione e saccheggio e detenzione di bottiglie molotov. All’atto dell’irruzione uno degli occupanti ha colpito con un coltello un agente di Polizia che non ha riportato lesioni perché protetto da un corpetto. Tutti i feriti sono stati condotti per le cure in ospedali cittadini.”
pagina a cura delleditore
Giovanni De Gennaro, Capo della Polizia dal 2000 al 2007, “rimosso e promosso” Capo di Gabinetto dal Ministro degli Interni Giuliano Amato dopo limputazione per induzione alla falsa testimonianza nel processo per i fatti di Genova del 2001, nel 2008 diviene Direttore del Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza, carica che mantiene nonostante la condanna a un anno e quattro mesi di reclusione emessa nel 2010 dalla Corte dAppello di Genova, poi annullata dalla Corte di Cassazione con sentenza depositata a maggio 2012, nello stesso mese è stato nominato Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri presieduto da Mario Monti.