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SEQUENZA DI-IN BLOCCO IL -INSIDE

Backside PIETRO PECOV E L A

Inside TITOLO I L L U STRA-


INDICE DI BLOCCHI IN-DI SEQUENZA

3 - DALLA COMPOSIZIONE AL BLOCCO DI-IN SEQUENZA 9

I - CLOT grumo

I , II , il blue resto, cycle, REcycle, in grid, IV, sovrapposizione I, sovrapposizione II

21 - II FIGURE NELLO SPAZIO

figura I, ROUGE, figure II, fleuristerie decorative, figura sul III, venere , figure in linea, congestione, grumo , contrasto in movimento

( PAUSA )

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- III SUPERFICIE

dell’acqua nella plastica, complesso, sintesi, simbiosi, tanks on water, superficie I, di nero e plastica

83 - IV SEGNO, DENTRO, RIPETIZIONE

dentro I, tondi, dentro celle, dentro II,sdr I,sdr II,sdr III,sdr IV

104 - V IN LUOGO DELL’OGGETTO, sul fiume 2


DALLA COMPOSIZIONE AL BLOCCO DI-IN SEQUENZA Il blocco di sequenza è una composizione di fotogrammi ma ne è anche il superamento. La singola fotografia è una violenza sull'attimo, che in se perde di significato nel momento in cui è scelto (cos’è quel momento? Chi è in quell’attimo? Perché quello e non questo?) , dell'attimo fotogramma come opinione o sguardo esterno su una scena. Il singolo attimo di cui si parla è un informazione, un'unica informazione stillata in dosi da cui derivano poi opinioni ri-elaborate successivamente. Che cosa privilegia un unico singolare ad un molteplice poli-laterale? Forse che un unico singolare è più semplice e diretto da assorbire attraverso un astrazione soggettiva. Il taglio della scena, su una scena, diventa qualcosa che o raffigura il reale mostrato in modo distaccato o rappresenta uno sguardo soggettivo di segno, che lega la grafia del segno significante ad un significato oltre l'immagine: questo significato denso potrebbe anche evaporare per lasciare spazio ad un altro significato solo "evocante" emozioni, dove invece sarebbero da richiedere sensazioni. Da qui il modo per limitare il significante e il significato; per non riferirsi a nulla che sia simbolico, immaginario, allusivo o "segnico" ( legato cioè ad una sola condizione di grafia dell'immagine), ma lasciare muovere l'espressione e l'intensità dell'immagine, lasciare aperto l'inquadramento-scena su ciò che si svolge all'interno di questa. Non si tratta di coinvolgimento del ricettore ma di intensità di ciò che è espresso. Il luogo del ricettore allora è la chiave per districare, ed intricare, la questione. La zona del ricettore è esterno, il luogo dell’immagine è interno. Legando i due termini esterno ed interno a due relazioni nello spazio quali chiuso ed aperto, il limite tra questi oggetti differenti è definito e netto, non si può confondere. Un immagine è un oggetto chiuso, richiuso; il ricettore è l’aperto dentro cui l’immagine precipita. Se però il limite definito è definito, non lo è necessariamente la transizione di questi due oggetti confluenti l’uno nell’altro, non lo è il loro rapporto. L'immagine non parla evocando, alludendo, ricorrendo a sensazioni condivise, strutture assiologiche o sociali, ma solo mostrando ciò che c'è nell'immagine, nell'oggetto-sguardo sia dell’immagine che del ricettore. Al ricettore non deve essere parlato o sussurrato, non gli è nemmeno chiesto di parlare, come non fosse rilevante o necessario. Rimane da creare la struttura al cui interno l’oggetto-sguardo potrà articolarsi ed essere ri-articolato, più e più volte: è questa una condizione di ritorno sull’oggetto-sguardo virtuali, ancora ed ancora. La sola cosa affermabile è la cosa reale in quanto reale. L'interpretazione dell'immagine è ciò che succede dopo, che accadrà , ed è un momento che avverrà in modo indipendente in quanto l'immagine mostrata si aggancerà alla struttura soggettiva di chi guarda fornendo, distribuendo, generando dentro essa una interpretazione soggettiva: su questo insiste la differenza tra interpretazione ed espressione. Nella condizione in cui l’immagine sia univoca, singola ed unica, l’espressione dell’immagine e la sua

interpretazione scivolano l’una nell’altra, non rimanendo separate ma legandosi in contorsioni intestine. In questo senso l’espressione dell’immagine è persa. Il luogo interno chiuso dell’immagine è assorbito dalla zona esterna ed aperta del ricettore, la quale non sarà più aperta ma richiusa sull’immagine, su se stessa, ritorta ad autoerotica sull’immagine ora distorta. Si può affermare la situazione, ed in generale una situazione, in quanto tale; fornirne una interpretazione, una traduzione, non è però parte di una critica ma di un rivestimento esterno. La questione diventa: esiste una relazione in situazioni, ma la situazione in se stessa può essere enumerata in diversi modi, può essere appesantita con cose od oggetti-strutture che la oltrepassano e le stanno sopra. Scomponendo, riducendo, decostruendo, arrivando a scarnificare, a minimizzare le opinioni sull'immagine si opera nella posizione, nel campo di ricettori ampi e dubbitanti. Limitare o rendere parziale l'opinione porterà ad una totale apertura di espressione derivata: la comunicazione, la transizione di informazioni si muoverà su piani differenti per ogni persona ma partirà da un niente, da un vuoto sostanziale, da una non-risposta, da una non affermazione. Da un ampio, su cui la cosa principia il movimento e si muove, avverrà una sublimazione , passando per uno stretto, in cui sopravvive e si avviluppa l'interiorità dell'osservatore. C'è quindi un movimento interno all'immagine ed uno esterno dell'immagine. Il movimento esterno è la trasmissione dell'immagine, puro movimento, concatenamento e associazione di immagini-informazione verso un soggetto-ricettore.

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-movimento interno. polivocità. apertura dell'immagine, della struttura dell'immagine. Immagine, la cosa come statica, un oggetto fisso, recipiente dentro di informazioni. -movimento esterno. movimento univoco, inteso come ciò che è dato, ciò che si mostra, ciò che scorre fuori; scorrimento veicolante. -I''. movimento polivoco. la direzione, l'intensità, non sono costanti: concetti ed immaginario evolvono, sono alterabili, interpretabile, espandibili-contraibili nel tempo.


Il movimento interno è l'immagine riflessa, autoriflessa, in se stessa stante, che rimane "ampia" ed aperta nella sua struttura, senza spiegazione: in se la cosa reale è ciò che è dato. L’oggettività di ciò che è dato muove da un principio di realtà, o principio reale, non ne diventa però la pretesa , in quanto dovrà riflettere di se stessa, elaborando un oggettività del dubbio, in cui anche un astrazione oggettiva merita di essere operata e analizzata dal dubbio. Mostrare un immagine è mostrare un immagine sul tempo di un "oggetto in situazione". L'oggetto in situazione appartiene, è inerente, sussiste, proviene da qualcosa. Il movimento primo è quindi una cosa reale, da ricercare ed estrinsecare. Nel momento I , invece che un immagine-prodotto singola ,che si distorca contro se all'interno del ricettore, possiamo rendere la "struttura" aperta utilizzando un blocco-sequenza. Il blocco-sequenza è un insieme di immagini-prodotto che creano una struttura, è un insieme in cui sussistono immagini in relazione ( dopo aver dichiarato la nullità e lo sprofondare nella nullità espressiva di un immagine singola ), e la relazione è il limiti in cui il blocco-oggetto si muove La sequenza è poi racchiusa all'interno del blocco, che la rende stabile. Il blocco in se è un movimento, la deformazione di un immagine solitaria: può essere pensato come un movimento del movimento, un movimento esterno della singola immagine, che mostra però il movimento di staticità di una cosa reale . Il blocco è come qualcosa che fa da cornice, che perimetra, che racchiude, che delimita fisicamente lo svolgimento della sequenza, è la consistenza reale della sequenza. E’ una limitazione esterna di un illimitato interno, la definizione di un indefinito.

Il blocco implica la temporalità della sequenza; le immagini non possono avvenire nello stesso momento se non come blocco, e in questo subiscono l'azione-forzatura del tempo. Il tempo si mostra ed esplicita nel movimento del ricettore e delle immagini. Questa temporalità non richiede un ordine, non fa ordine, non da direzionalità, apre piuttosto ad una polivocità di direzionalità, ad una pluri-direzionalità di tempi compresenti: la temporalità è lo sviluppo della relazione, di relazioni aperte. La sequenza allora non è sequenza direzionale, ma polivoca e a-temporale, senza alcun ordine pre-imposto o a cui è univocamente sottomessa. La sequenza è sequenza-aperta, associazione e dissociazione di una serie di immagini. La sequenza è effettivamente una sequenza nel modo in cui un immagine segue e si sussegue ad un’altra ed il loro susseguirsi continuo è dato dal fatto che nel/ sul blocco ogni immagine è relazione : se un immagine stesse sopra solitaria ne sarebbe limitata, sarebbe autolimititata dall'essere autoreferenziale, dal suo stare in un non-limite, un nulla nel nulla. 5

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Rapporto di simultaneità-sequenzialità nel blocco Simultaneità del blocco in se, come in una composizione astratta, vedi composizione I. superficie o grumo I. clot. La simultaneità è legata al fatto di essere colpiti in un momento da un blocco, che è un insieme di immagini, che a loro volta posso essere definite come oggetto in relazione. Si dovrà certo denucleare ogni sua parte ma comunque questo si riproporrà come unico ed intero, e la singola immagine non potrà prescindere dall’essere legata alle altre, spazialmente, logicamente e nella continuità del blocco in se. La continuità, quindi simultaneità, del blocco è anche data dalla continuità geometrica che può essere trovata all’interno, da un immagine che evolve in un'altra e questa in un'altra ancora generando un ciclo di momenti-tempo-relazione concatenati, che in questa forma chiusa si danno in simultaneità, come uno sguardo oggettuale concluso. Sequenzialità , serie della sequenza, legata alla temporalità. In una composizione che parla un linguaggio reale e asciutto, vedi Rouge.figure nello spazio. La sequenzialità in questo caso è data dal continuo muoversi dei soggetti dentro e fuori le stanze, che in continuazione attraversano la stessa e diversa soglia per uscire sul corridoio e percorrono il corridoio per sporgersi ogni volta oltre quello stipite. La sequenzialità dei movimenti è ostinata e ripetuta, battuta con forza. Il contesto e l’intorno subiscono la stessa sequenzialità, evolvendosi e deformandosi ripetutamente. La relazione tra i due si spiega nel loro rapporto con l'immagine e il reale. Se ciò che è mostrato è immobile, statico, l'immagine è un immagine di descrizione. La descrizione, che va oltre la tecnica tempo-diaframma, può essere asciutta, intensa, secca, violenta a differenza della realtà-oggetto che è descritta o espressa. L’espressione e l’intensità di espressione sviluppano la plasticità dell’immagine blocco. Nel loro essere fuori e venire fuori, gli oggetti del blocco, che rimane essenzialmente una sequenza o una composizione, si danno come simultanei, contemporanei nel mostrarsi e nell'apparire. Questo rapporto è regolato dallo sbilanciamento di una o dell'altra caratteristica, e porterà ad un diversa relazione nell’immagine e sull'osservatore: tirato dentro, immerso, intrinseco al mondo del blocco, oppure esterno, spettatore, ricettore di una sequenza. L’osservatore-soggetto prima del movimento polivoco, nella compressione e sedimentazione del linguaggio, prima di una interpretazione e traduzione , si trova nella condizione di stare ed essere dentro o fuori. Questa condizione riguarda la posizione del soggetto nei confronti di ciò è oggetto rispetto alla lui, quindi nel suo rapporto con una serie infinita di oggetti che determinano e formano un ambiente. Esso comunque persiste nella sua zona esterna. La zona del soggetto è esterna ad una qualsiasi immagine del reale. La zona del sacro, la zona sacra dell’autodefinizione, della sedimentazione del pensiero e della coscienza, rimane un aperta discarica dove ogni oggetto, immagine, o cosa viene lasciata abbadonata. Il soggetto è come se vagasse in una curvatura del resto dove le cose si amalgamano, ammassandosi, addensandosi o diradandosi. Il valore posizionale dentro o fuori riguarda allora in che modo il blocco sequenza interagisce e sviluppa. Il blocco può avvolgere o rimanere esterno, trascinare o mostrare con distacco. Starà al ricettore seguirne il movimento dentro-fuori, sussistendo però nella sua condizione di errante. 7

( PAUSA )

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GRUMO

I . CLOT

.. .. .. . I . II . III . CYCLE . RE-CYCLE . SOVRAPPOSIZIONE I II........ ..


Nel grumo disteso, un grumo di soggetti ed oggetti in situazione. Resti di colori, forme, un conglomerato di cose, una coppia, un tavolo; un luogo ampio, costretto, sfocato. I limiti dell’ambiente sono riempiti o isolano soggetti ed oggetti. Uno spazio, qualunque spazio. Una situazione per qualsiasi situazione. Immersi ed avvolti negli ambienti-set chiusi ma distesi, dai limiti indefiniti, dal tono sospeso ed asfittico, i soggetti possono dedicarsi all'atto, gli oggetti al non-atto, ad un restare senza necessità in condizioni di immobilità e rimanenza. Il movimento di atto è lo sforzo di un azione nel senso, macchinamento a vuoto di un esserci dalla anarchica libertà; la rimanenza, il resto è un movimento in accumulo, un atto di avviluppo nel non-senso. I soggetti in movimento di atto dispongono di se stessi, di ogni luogo, e di qualche altro. Gli oggetti in movimento di atto di avviluppo, dell’essere residuo, invadono e pervadono lo spazio, lo costringono nel profumo, nelle cromie, nella materia. Le loro composizioni sono emergenze di spontaneità nel tempo, e la cosa che rimane è una espressione di gesto. Dal profondo e su questo si staglia, viene fuori la cosa, scarnificata dall’uso e dal valore. Le composizioni mostrano la complessità caleidoscopica di un luogo, la loro eccentricità o poli-centricità rispetto alla vita in un momento. In una griglia, una serie geometrica o successione razionale dove nidifica il non-senso di accumulo spontaneo? Stridono e sfregano tra loro i flussi delle situazioni interna ed esterne.

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Sotto la pineta si accumulano rami caduti nel marcio, rovi che strappano e irritano la pelle, arbusti che piegano sulle spalle; si fanno tutti attraversare a fatica. Una strada già pestata; seguila. L’odore degli aghi resinosi spinge indietro, forse perché i senegalesi e nigeriani che di giorno battono le spiagge vengono qui per pisciare, cagare o mangiare lasciando il lercio colorato che rimane: lo dice un indiano uscendo dalla zona. Dicono sia qui che facciano riposare i loro sacchi di plastica neri pieni e pesanti di cose. Forse anche perché di notte, tra il secco e gli aghi per terra, si avvolge un orgia di preservativi e umori. Subito scorre l’eccitazione tra le vene che pulsano seccando le mani e le ghiandole che secernono ormoni e voglia. Nel buio, possiamo spingere tanto nessuno vede.Tirami fuori, vieni fuori. Si vede tutto intorno, ma ad un metro è già diventato una groviglio inestricabile di fusti, foglie palmate, rami nodosi e secche cortecce. Una rete metallica sta tutta intorno alla pineta, si entra solo da uno squarcio aperto dietro una duna di sabbia resa compatta da noduli di infestanti. Non c’è nessuno. Entra, segui la linea di verde battuto, è lì sotto sul basso, chinati. Una colonia deserta e silenziosa sovrasta ogni pino marittimo intorno. La villeggiatura la volevano tutti, soprattutto se facevi il regime, se eri il regime: la pelle un po’ più scura, saporita, e il vento sapido di notte. Il complesso è legato in espansione con piani e pilastri che soli insieme delimitano spazio. Ferri ed armature di pilastri e solai fuoriescono da buchi nel pavimento, sfilati da dentro, e la corrosione da sale prosegue ed accelera senza remore, dissolvendo e coagulando rossastra ruggine ferrosa. Non ci sono entrate da dietro, è inutile provare. Cerca; le finestre sventrate iniziano tutte da troppo in altro, e gli arbusti non si fanno penetrare, è un vicolo cieco, una bolla umida senza uscita. Non ci si muove di qui. Li, un buco nel muro; fatto a mano, vicino cadono ancora i mattoni smossi, un lavoro di forza: essenziale necessità. Bisogna chinarsi per guardare dentro, a malapena si passa con il corpo. Nemmeno la necessità può averlo fatto, è solo uno sfogo, uno squallido fallimento polveroso, come un il rigonfiamento di una scottatura quando esplode. Non si passa. Contorciti. Un ginocchio striscia, ma è niente. Dentro è buio. Da fuori non si vede nulla. Metti la testa dentro. E’ buio, non si vede nulla. L’aria? Ferma, sa da chiuso e stantio, odora di cemento e mattoni umidi. E’ pesante. Entra. L’accendino può … Entra. Il ginocchio striscia ancora, quanto. Un rumore di lima morde l’aria.Va e viene, con ritmo, poi si ferma. Dovrebbe essere legno, l’hai sentito tante volte, il ferro ha un suono più acuto, meno tondo. Ancora, ricomincia. Intorno è buio, non si vede. La stanza è ampia. In fondo c’è una luce; da lì si esce. Per ogni passo qualcosa è urtato. La cose rimangono indefinite, sono e non sono che cose. Qualcosa è spostato ancora. La lima è ferma. Ora muove, fredda e precisa quanto non vuoi che sia. Ora è l’intervallo tra una sferzata e il suo ritorno.

Ecco, ancora. Cos’è limato? Viene dal fondo. C’è più luce la, ora si vede un materasso. Ecco, ancora, si ferma. Starci nel mezzo ti fa muovere ridicolo, ma non ti si vede: sei appoggiato e sposti l’aria buia e densa. Una materasso a due piazze intere, comodi su quello forse in quattro e più. Uno di quelli dove si finisce su e giù, spinti e legati dalla saliva, il caldo e i vestiti sgualciti che scorrono su ogni piega. Il buio nero della stanza dirada e desideri ad ogni passo di più la luce della porta. Manca qualche passo e non si può non guardarsi intorno ancora, sferzando con lo sguardo qui e la, ancora e di nuovo. I muscoli iniziano a sciogliersi: gli arti contratti rilassano i volontari lisci e striati e ,fermato lo stomaco, il respiro involontario si porta via. La luce entra densa, ma è troppo profondo per toccare ogni cosa. Da li si vede ad ogni modo meglio.Vicino al materasso ci sono diversi appoggi di diverse altezze; qualcuno è da qualche parte. Il soffitto è crollato in più di un punto e il pavimento è un ammasso di oggettucoli, un discarica di sentori viscidi. Si esce, è anche troppo adesso. E’ un portico, intorno ad una corte. Il chiostro di cemento sembra ampio, la luce della giornata di nuvole scorre e impregna di grigio senza ombre. Il centro della corte è stipato di arbusti, fichi e viti. Risaltano degli smalti sulle tonalità dell’acqua, forse era una vasca decorata. Sull’altro lato una parte del complesso è sventrata, affettata. Niente si muove, alla luce tutto è calmo e fermo. Un ombra mi ha oltrepassato. Una sagoma ti ha oltrepassato. Girati. E’ china su di se ora, arrabatta qualcosa sotto un tavolo di legno colorato, sembra un secchio. Di qualcosa o qui . Si alza e fa per tornare, quasi non mi guarda, ma è chiaro che ci si è visti. Buongiorno. Non c’è risposta, continua senza voltarsi. Da sotto i capelli lunghi e grigi ha visto, ha guardato. Sale per una breve scala ad un livello più uno. E’ una casa. Sei in una casa nel portico. No, è una baracca incastonata nella griglia del complesso. Autoprodotta, autocostruita, autoraccimolata li e dove. Seguilo, sei nella sua casa. E’ un problema se stiamo in giro? No. Sono Joseph. Li sotto, poco più in basso la zona del letto. Li lontano la latrina. Mangiamo ora. Uova e carne. Ivan sta arrivando. Ho già mangiato, non ho fame. La sua lingua è incomprensibile, è un italiano,portoghese e dialetto tenuti insieme dal credo. Sul lato adiacente al portico c’è la sala da pranzo. Sotto il tavolo un vetro di vino. Posso farti un caffè se vuoi. La cucina è un fuoco racchiuso da mattoni, sopra una lastra di metallo si scalda uniformemente. Le parole di Joseph, come lui fa segno con le mani toccandosi fronte e bocca, vengono dall’alto, da dio, è lui che parla per lui, o almeno qualcuno dei due tenta. E’ una brava persona, ripete Ivan, quello li è buono. Joseph continua a fumare hashish in cartina di cellulosa corta con foglie di tabacco di sigaro. Andiamo in alto con Ivan, fino sul tetto, sopra la pineta. Punta con il dito e sbraccia con le spalle tese. Quella è camera mia, ci sono i miei documenti e le scarpe. Li ci scopano di notte, e fanno casino. Non andare li, si cade. Dammi la mano, andiamo via di qui.

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F I G U R A . I R O U G E OUT IN

II. FIGURA DENTRO IN SOPRA

EVITAROCED I I . A R E R E E

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Dall'ambiente dentro allo spazio fuori. Nel dentro agiscono forze e deformazioni. Il soggetto e gli oggetti interagiscono fisicamente, matericamente, deformandosi a vicenda, influenzandosi: questo è la relazione in successione e sequenza. L'influenza, il flusso, la deformazione sono forze, sono delle forzature, sono la forzatura: il movimento lungo le cose dovrebbe essere verso la liberazione o la comprensione di queste. Le forzature nello spazio fuori, in movimenti distesi, sono una metamorfosi: azioni metamorfizzanti, da cosa in luogo a oggetto ad antropos. La figura, che cos’è una figura? Sullo spazio, nello spazio, nel tempo, in ambiente, in movimento, intensa. Si sta davanti ad accumuli di oggetti sullo sfondo. Dall'assenza della figura ne risulta un accumulo caotico di cose, che seguono altre leggi, altre regole: queste riflettono l'assenza della figura ( qualunque cosa essa sia ).

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Entra un uomo in un modo ancora. Un luogo sfuso. Spinge, sposta: tutto pesante. Nel buio una luce, due, tre. Forti, ma non così forti. Suda, tocca. Scorre forte, ma poi si calma. -Una scura, senza schiuma .Bevo …ma, bevo e, il bagno… parole con la “E”: ermeneutica, ente, eterno, entropia, cristallo; no… -“Chi…eh, cosa?” a desta; bei seni, brutti orecchini. -La sua scusa, . Nello sfondo. Deformato, dentro, in movimenti sul fondo pieno di denso. -Sta ferma fuori, - dice, – ma è tutta una congestione.

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III. SUPERFICIE

La sequenza non è temporale ma simultanea, uno sguardo unico verso e sulla superficie coprente-coperta. Mostra il ruolo attivo e passivo dell'involucro, del suo soggetto e dell’oggetto: tenta di descriverne la transizione. Prima del muro c'è una barriera da passare, aderente ed immateriale. Come la superficie dell'involucro è distorta, sgualcita, contorta, deformata sulla cosa su cui è, così è il modo coinvolgente o repulsivo in cui la transizione determina da un dentro ad un fuori. Coprire e ripiegare, incastrare e muovere. Opposizione di fissità intrinseca alla cosa, la sua sostanza dentro, e il suo fuori: il risvolto della superficie plastica. La sequenza e i suoi blocchi indagano la relazione tra il corpo-materia solido, denso, e il movimento sull'esterno, nell'esterno. E' un ragionamento sostanziale e superficiale; il materiale di plastica e il tessuto sono funzionali al ragionamento, al movimento, a mostrare e disgregare l'artificialità dell'oggetto in se, in rapporto ad una nuova spazialità. Un materiale plastico è distorcente e deformante anche per la luce. Questo materiale esprime soffocazione, un’apnea asfissiante. L’opposta sensazione è del tessuto, il cui groviglio annodato della trama respira, si gonfia e contrae, filtrando e sfumando. L'uomo è un soggetto che tende all'assente, ma la sostanza parla dell'uomo come condizione. Le aperture, i passaggi, sono momenti di trapasso dentro-fuori, e i movimenti sono movimenti di superficie come luogo limite.


Studio e pensiero di superficie: velo, telo, vestito, corpo, copertura, apertura,

rivestimento, drappo, plastico, morbido, si muove, disteso deforma, distorto, a gonfiare, sgonfiare, gonfiare e sgonfiare, esplodere, contorcere, accartocciare, seccare, velare, mollare. Lascio cadere, mi protendo in suoni, gesti rotondi e lunghi. Che cosa c’è dentro?

Tocchi di cose, per quello di cui si parla, cerate ed infagottate nello stesso posto.

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Qualcosa nel sacchetto sta sul fondo, appoggiato dentro pieghe fatte di plastica. All’occhio è morto, forse ancora non per quel modo, e luca è quasi timido, quasi si vergogna, quasi è come se non fosse solo luca, ma lui ed altri ingombranti sconosciuti grassocci, tutti costipati in un quattro per quattro. Luca mostra l’impegno del giorno passato sull’acqua: occhi e testa chini sulla rete a cercare mentre viene su, tutte le volte che viene su, piegato, pronto ad avvinghiarsi su quel punto che il braccio poco prima ha segnato. Poi giù di nuovo. La quota è una parte della cosa della casa, è una quota dell’acqua, comprata ad un prezzo stabilito, in parti stabilite. Questa condizione porta luca e gli altri a condividere nel tempo l’appendice della casa sull’acqua: un letto per dieci ed una rete per nove. Come fanno, come fare. Per un giorno un pesce, dentro un sacchetto, un foglio di plastica trasparente morbida e asfissiante con all’interno gocce di condensa, che sono sì l’acqua del canale ma anche il caldo del corpo. In dieci, come fare.

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Il complesso organico è una forma macchina espressiva, un linguaggio che cerca di ribaltare fuori quel che c’è dentro e portare dentro quel che c’è fuori. Si può parlare di interiorizzazione del fuori, del reale, attraverso un linguaggio di sensazione.

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IV. SEGNO DENTRO RIPETIZIONE

IV. SEGNO DENTRO RIPETIZIONE

IV. SEGNO DENTRO RIPETIZIONE IV. SEGNO DENTRO RIPETIZIONE

IV. SEGNO DENTRO RIPETIZIONE IV. SEGNO DENTRO RIPETIZIONE IV. SEGNO DENTRO RIPETIZIONE IV. SEGNO DENTRO RIPETIZIONE IV. SEGNO DENTRO RIPETIZIONE IV. SEGNO DENTRO RIPETIZIONE


Che cos’è? Chi è? Cosa c’è dentro? A cosa si è dentro? Cosa appare ? Il contrasto di intensità nei neri e bianchi, nelle ombre e delle sfumature, della profondità e dell’appiattimento, indaga ripetizioni definite e nette. Le ripetizioni si estrinsecano come segno, come un segno, rappresentano un ingrandimento della struttura, della grafia di una cosa. Il passaggio è da una cosa/movimento ad una cosa/reale, calandosi nella sua trama. La sezione è un indagine di natura, sul segno, in ripetizione, in riproduzione, in espansione e contrazione. Il luogo di cui si tratta è chiuso, profondo e dentro l’oggetto, è lo spazio dentro cui si è costretti ed amalgamanti. La costrizione è calare l’aperto-ricettore nel chiuso-oggetto. Si tratta di un ribaltamento di luogo, per cui il ricettore assorbe ed è attivato, attiva e interagisce con oggetti. Oltre un chi e cosa, il dove è l’interrogativo di segno dentro ripetizione.

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LUOGO

DELL’OGGETTO,

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SUL

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FIUME

Nel bianco di interstizi ti muovi. Da un punto all’altro, ma non ti vedi bene. Prima qua, sotto i piedi, poi la , sopra il sotto dei piedi. Che poi scorri via tutto, senza che ti accorga, e ne senti solo il rumore di fondo e l’oscillazione tra i cannelli di acciaio e le staffe. Una risonanza, in una radura senza alberi ma di cemento e licheni, e di lontano s’avverte il letto del fiume e le sponde, i suoi negativi. Ti muovi nel grigio tra gli spazi, da un punto all’altro, dove il il bianco, poi unto di grigio e lercio di nausea, si disperde. Poi sei una foresta, nella foresta, e non finisci. E non finisce, continua sopra, di fianco, fino alle foglie. Lasci impronte di ruote di fango sulle pteridophyta.


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