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Mensile. Numero 86, Ottobre 2010
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PIG Mag 86, Ottobre 2010 PIG Mag is: Daniel Beckerman Publisher Simon Beckerman Publisher & Editor in Chief Sean Michael Beolchini Executive Editor Fashion & Photography Valentina Barzaghi Managing Editor, Cinema Editor Giacomo De Poli (Depolique) Managing Editor Music Ilaria Norsa Managing Editor Fashion Fabiana Fierotti Fashion Editor, Production Assistant Marco Velardi Managing Editor Books Maria Cristina Bastante Managing Editor Design Giovanni Cervi Managing Editor Art and New Media Janusz Daga Managing Editor Videogames Piotr Niepsuj Assistant Managing Editor Music, Photography Gaetano Scippa Contributing Music Editor Marco Lombardo Contributing Music Editor Graphic design dept Stefania Di Bello - Graphic design and layout
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Contributors Karin Piovan, Marco Braggion (musica), Yara De Nicola (foto), Federica Baldino, Sara Geraci (hair&make-up), Isabelle Rocha Cutrim (model), Anu Koski (model), Anna V. (model), Ennio De Marin (foto), Ana kraš (foto). Special Thanks Bianca Beckerman, Caterina Napolitani, Caterina Panarello, Rebecca Caterina Elisabeth Larsson, Piera Mammini, Giancarlo Biagi, Na Stare Milion e Club Collab, Matteo Convenevole, Sara Kollhof, Laura Cocco e Victoria Ebner. Marketing Director & Pubblicità: Daniel Beckerman adv@pigmagazine.it Pubblicità per la Spagna: SDI Barcelona - Advertising & Graphic Design Tel +34 933 635 795 - Fax +34 935 542 100 Mov.+34 647 114 842 massi@sdibarcelona.com Gestione & Risorse Umane: Barbara Simonetti Edizioni B-arts S.r.l. www.b-arts.com Direzione, Redazione e Amministrazione: Ripa di Porta Ticinese, 21 - 20154 Milano. Tel: +39 02.36.55.90.90 - Fax: 02.36.55.90.99 Presidente: Daniel Beckerman PIG Magazine: Copyright ©2002 Edizioni B-Arts S.r.l. Autorizzazione del Tribunale di Milano n° 453 del 19.07.2001 Sviluppo foto: Speed Photo via Imbriani 55/A - 20158 Milano Stampa: Officine Grafiche DeAgostini S.p.A. Corso della Vittoria 91 - 28100 Novara (Italy). Tel: +39 0321.42.21 Fax: +39 0321.42.22.46
Distribuzione per l’Italia: SO.DI.P. “Angelo Patuzzi” S.p.A. Via Bettola 18 - 20092 Cinisello Balsamo (MI). Tel: +39 02.66.03.01 Fax: +39 02.66.03.03.20 Distribuzione per l’estero: S.I.E.S. Srl Via Bettola, 18 20092 Cinisello Balsamo (MI). Tel. 02.66.03.04.00 - Fax 02.66. 03.02.69 - sies@siesnet.it Abbonamenti: B-Arts S.r.l. Tel. +39 02.36.55.90.90 email: abbonamenti@pigmag.com I versamenti devono essere eseguiti sul CC Postale numero 38804795 intestato a B-Arts S.r.l Spedizione in abbonamento postale 45% art. 2 comma 20/B Legge 662/96 Milano. Contenuto pubblicitario non superiore al 45%. Per informazioni su distribuzione e abbonamenti internazionali: international@pigmag.com PIG all’estero: Grecia, Finlandia, Singapore, Spagna, Inghilterra, Brasile, Hong Kong, Giappone, Turchia, Germania. PIG è presente anche nei DIESEL Store di: Berlino, Londra, Parigi, Tokyo, Milano, Roma e Treviso. PIG Magazine è edita da B-arts editore srl. Tutti i diritti sono riservati. Manoscritti, dattiloscritti, articoli, disegni non si restituiscono anche se non pubblicati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta in alcun modo, senza l’autorizzazione scritta preventiva da parte dell’Editore. Gli Autori e l’Editore non potranno in alcun caso essere responsabili per incidenti o conseguenti danni che derivino o siano causati dall’uso improprio delle informazioni contenute. Le immagini sono copyright © dei rispettivi proprietari. Prezzo del numero 5 Euro. L’Editore si riserva la facoltà di modificare il prezzo nel corso della pubblicazione, se costretto da mutate condizioni di mercato.
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Sommario Interviste:
88: Isabelle, Anu & Anna Foto di copertina di Yara De Nicola
74: The Drums
80: Sonar 2010 part 2
66: Gaspar Noè
Tutto MISS SIXTY
70: Mount Kimbie
Speciale:
Street Files:
60: Built to Resist
52: ITS#Nine
44: London
Foto di Sean Michael Beolchini ed Ana kraš
Servizio di Ilaria Norsa
Foto di Stefano Galli
Regulars 12: Bands Around 16: Shop: Parabatula 20: Design 22: PIG Files 28: Moda News 38: Moda: Red, right. 36: Photographer of the Month: Dany Peschl 108: Musica 114: Cinema 118: Libri 122: PIG Waves 124: Videogames
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Bands Around
Foto di Piotr Niepsuj. Special thanks: Na Stare Milion e Club Collab
Dâm-Funk Live @Powiekszenie, Varsavia Nome? Damon Riddick a.k.a. DâmFunk. Età? Senza età. Da dove vieni? LA/CA (Pasadena). Cos'hai nelle tasche? Il mio Blackberry.Non ho ancora l’Iphone. Qual è il tuo vizio segreto? Lasciare che alcune persone la facciano franca. Qual è l'artista-la band più sorprendente d'oggi? Paddy McAloon di Prefab Spourt Di chi sei la reincarnazione? Del Funksta che non ce l’ha mai fatta dal 1982. Che poster avevi nella tua camera quando eri un teenager? Kiss Alive II Era Tour Ci dici il nome di un artista o di una canzone italiana? Firefly, Show me Tonight.
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Bands Around
Foto di Piotr Niepsuj
Jamaica Milano Nome? Florent. Età? 28. Da dove vieni? Barcelonette. Cos’hai nelle tasche? Plettri. Qual è il tuo vizio segreto? Il cibo. Qual è l’artista-la band più sorprendente d’oggi? Chateau Marmont. Di chi sei la reincarnazione? Bob Marley. Che poster avevi nella tua camera quando eri un teenager? Point Break. Ci dici il nome di un artista o di una canzone italiana? Giorgio Moroder.
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Nome? Antoine Hilaire. Età? 30. Da dove vieni? Parigi, Francia. Cos'hai nelle tasche? Il mio cellulare, plettri, sterline e un pacchetto di sigarette. Qual è il tuo vizio segreto? Guardo ‘Gossip Girl’ e mi piace/diverte. Qual è l'artista-la band più sorprendente d'oggi? Tahiti Boy and The Palmtree Family. Di chi sei la reincarnazione? Kevin Bacon. Che poster avevi nella tua camera quando eri un teenager? Michael Jordan e Kurt Cobain. Ci dici il nome di un artista o di una canzone italiana? Ti amo di Umberto Tozzi.
Shop
Intervista di Federica Baldino
Parabatula Questo piccolo atelier è una factory a tutti gli effetti: giovani artisti si riuniscono e creano di tutto, dagli abiti alle lampade. Io ho intervistato Alessandra, l’ideatrice, tra pizzi e marionette, tutto hand made.
Come stai? Bene grazie, ispirata. Cosa pensi di fare oggi? Sto facendo degli abiti per la mia nuova collezione, anche se qua non abbiamo delle vere e proprie collezioni. Quando abbiamo voglia stiamo anche tutto il giorno dentro a cucire, tagliare, dipingere. Ed ecco nata la nuova collezione. Che non è una collezione (ride). Com'è nata l'idea dell'atelier? Io e Marcello, un mio amico che espone qui le sue opere, abbiamo pensato di dare spazio a giovani talenti per vendere e mostrare le loro cose, far interagire arti diverse e far nascere nuove collaborazioni. Diverse teste che creano un'unica opera. Così lavoriamo qua. Quello che più mi ha colpito all'interno del tuo spazio sono stati i vestiti, per una particolarità, sono tutti lunghi. Come mai? Prima di tutto ci tengo a precisare una cosa. Io non sono né una stilista né una sarta, non ho mai fatto nessuna scuola e non ho mai
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seguito nessun corso di taglio e cucito, semplicemente mi diverto a tagliare e imbastire queste stoffe che come per magia danno vita a questi abiti per lo più lunghi. Perchè immagino una donna leggera che cammina tra le nuvole e il suo abito essendo lungo l'avvolge e l'accompagna. Ogni abito ha una storia e nessuno è uguale ad un altro. l nome Parabatula vuol dire farfalla. Perchè questa scelta? Mio nonno mi diceva sempre che sembravo una parabatula, perchè stavo continuamente in movimento e ballavo incessantemente, ma poi crescendo le farfalle che hanno significato qualcosa sono state quelle piccoline bianche che girano attorno alla luce e portano le notizie. Sono molto legata a loro, quando ho bisogno vengono sempre a darmi segnali e la loro delicatezza mi ispira nel foggiare abiti che fanno sembrar le donne leggere ed eleganti.
E poi pizzo e pizzo. Io lo amo non ne ho mai abbastanza. Il pizzo regna, lo adoro, ma è Carmen una mia amica e collaboratrice ad occuparsene, lei sa riconoscere un pizzo vero e antico da un fake. La scelta dei pizzi richiede tempo e passione e lei ne ha da vendere. E con lei e Fabrizio, un altro collaboratore, facciamo delle bellissime installazioni lavorando sulla poesia di questi abiti. E le marionette? Hanno una vita tutta loro.Vengono fatte pensando a delle persone in particolare e di conseguenza prendono forma. Ti sembrerà strano, ma è così. L'aria che si respira è suggestiva e io mi sono fatta rapire. Alessandra ha una voce angelica e starei ad ascoltarla per ore. Parabatula Via Usai 12 Sassari, Sardegna
WeActivist AMY GUNTHER, LADY TIGRA, BENNY FAIRFAX, VANESSA PRAGER & NICOLE LE MOINE SHOT BY CHERYL DUNN www.wesc.com
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Inspired by a ballpoint pen and a bored student. Fast times everlasting.
P: Ane Jens
P: Gabe Morford
John Cardiel, a skateboarder’s mind over matter, rolling on.
The Vans Warped Tour, 16 years of punk rock.
From founder Paul Van Doren’s doodle came one of Vans’ most iconic emblems.
Š 2010 Vans, Inc.
Intervista di Mariacristina Bastante (kikka@pigmag.com) Interno dello studio (con Tomas Aracena seduto)
Design
Losgogo Due fratelli e un unico brand nato per gioco e poi diventato una passione e un lavoro. Dalla casa sull’albero allo studio di architettura e design che progetta mobili, oggetti, ambienti, vestiti, tavole da surf e skateboard. Nicolas e Tomas Aracena sono curiosi e provano a fare di tutto. A noi hanno raccontato del design in Cile e di come dallo tsunami hanno tirato fuori una collezione di mobili che paiono sculture, utilizzando tutto legno recuperato che sono riusciti a trovare. Stile ruvido, poche concessioni alla decorazione, perché il design – dicono – nasce dopotutto dalla necessità. Eppure loro sono dei minimali davvero sui generis… Ciao Nicolas e Tomas! Descrivetevi con tre o quattro parole. Ossessivi, stakanovisti, flessibili, appassionati. Quanti anni avete? Nicolas ne ha 26, Tomas 23. Dove vivete? Siamo a Santiago, che sarebbe la capitale del Cile, ma in realtà passiamo la maggior parte del tempo a Zapallar, una spiaggia nella costa centrale del paese. Non conosco molto bene la scena del design sudamericano. Voi che mi dite? Come
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vanno le cose in Cile? Qui l’industria del design ha avuto una crescita recente… Adesso con internet, la diffusione del web 2.0, dei social network come facebook e flickr alcuni nuovi designer stanno iniziando ad essere conosciuti. C’è una generazione di giovani che sta creando cose nuove, ma siamo ancora troppo pochi! Se vi chiedessero che cos’è il design per voi, che cosa rispondereste? Il modo per realizzare le nostre idee. Pensate che il design debba essere utile per forza?
E’ assolutamente necessario. E’ la prima cosa a cui pensare… L’idea viene quando c’è una necessità. Quando la questione relativa all’uso è risolta, incorporiamo gli altri aspetti, come la forma, l’estetica, lo stile. Alla fine facciamo un passo indietro, per controllare che queste altre cose non abbiano interferito con la necessità originaria. Quando avete inventato LOSGOGO? Perché? Nella nostra infanzia. Quando eravamo piccoli nostra madre non ci lasciava guardare la tv, così abbiamo trovato il modo di divertirci
con qualcos’altro. Costruivamo cose in cortile, abbiamo costruito una casa sull’albero. Poi nel 1996 abbiamo iniziato a prendere le cose sul serio: abbiamo creato la nostra prima skimboard e il nostro brand LOSGOGO. Da quel momento abbiamo costruito ogni cosa di cui avessimo bisogno. Dopo siamo andati all’Università, abbiamo studiato architettura e LOSGOGO è diventato… qualcosa di più professionale… Voi progettate oggetti, mobili, vestiti, skateboard. Un sacco di cose! C’è una divisione di ruoli nello studio? No, abbiamo entrambi le stesse responsabilità. Qualche volta uno di noi si dedica di più ad un progetto, ma sempre tenendo in considerazione i commenti e l’aiuto dell’altro. LOSGOGO è nato dal desiderio di costruirci da soli le cose che utilizziamo, i nostri interessi sono tanti, quindi abbiamo prodotto cose molto diverse tra loro, dall’architettura, al design, agli abiti, alle scarpe, alle tavole da surf, agli skateboard e gli skimboard. Non ci limitiamo ad uno specifico settore, siamo aperti a sperimentare ogni cosa. E se mi piace una vostra creazione, dove posso comprarla? Per adesso, scrivendoci attraverso il sito. Quali sono i vostri designer o artisti preferiti? Enzo Mari e gli architetti Diller&Scofidio. Pensate di non essere diventati designer. Che cosa avreste fatto? Nicolas il falegname, Tomas l’ingegnere elettronico. Che cosa vi ispira? La natura, l’oceano, la città, i materiali e tutto ciò che è vintage. Tra tutti i progetti che avete realizzato qual è quello cui siete più affezionati? Per ognuno dei nostri progetti abbiamo una speciale forma d’affetto. Quando ne finiamo uno, pensiamo immediatamente a cosa fare dopo. Forse se dovessimo scegliere adesso diremmo Habitáculo ed Escalera Cesar. Escalera Cesar mi è piaciuta molto. Sembra quasi surreale, una scala rossa per arrampicarsi sugli scogli… In realtà ci serviva una scala per potare alcuni alberi. L’abbiamo costruita con il legno più economico e la struttura più semplice, ma non volevamo che fosse troppo “comune”, così l’abbiamo dipinta di un rosso acceso. Poi, visto che ci piace vedere che cosa accade ai nostri progetti quando li spostiamo e interagiscono con altri spazi e situazioni,
Sedia della serie "Waste Furniture"
“Botìn” dalla serie “Ropa”
abbiamo spostato la scala sugli scogli, vicino al mare. E adesso che cosa state facendo? Stiamo costruendo uno spazio per noi, per lavorare, con tutti gli strumenti per fare prototipi e produrre mobili. A proposito di mobili, ho trovato interessante la vostra collezione realizzata con i pezzi di legno ritrovati dopo lo tsunami che ha colpito il Cile lo scorso febbraio… Abbiamo sempre lavorato con materiali di scarto, riciclati, o con qualunque cosa trovassimo. E abbiamo sempre trovato inte-
ressante il vintage e il fatto di reinterpretare qualcosa, dandole una nuova identità e nuovi valori. Adesso, dopo il disastro, c’era tanto di quel materiale abbandonato – pezzi di mobili, parti di edifici antichi - che non abbiamo fatto altro che utilizzarlo per costruire nuovi mobili. Abbiamo preso tutto il legno che siamo riusciti a trovare e progettato questa serie di mobili enfatizzando l’essenza del materiale recuperato. www.losgogo.com
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PIG files
Di Giovanni Cervi
In sella! Eungi Kim deve essere ancora giovane, o comunque avere ben presente che il bambino che è in noi va stimolato e nutrito. Per un concorso coreano è arrivato in finale con questa bicicletta, Horsey, che sembra uscita da un incrocio tra King Arthur e Tron. La libertà non va mai sottovalutata. www.scdc.kr
Mondi paralleli
Tende da alberi
In tutta sincerità non so a cosa servano i progetti di Juliette Warmenhoven, crea incubatori, amplificatori di suoni di pomodori e altre stranezze assolutamente intriganti, delicate e senza tempo. Le adoro. Hanno una poetica molto forte e un equilibrio maturo nella loro, forse, inutilità. www.juliettewarmenhoven.nl
Questo è un progetto un po’ datato ma seminale degli olandesi Dré Wapenaar. Ha un qualcosa di magico e ancestrale dormire in un bozzolo attaccato a un grande albero. Oltre a evitare la noia di montare la tenda, piantare i picchetti, infilare i supporti... Voglio uscirne farfalla. www.drewapenaar.nl
Violenza cristallina Non so se provo ribrezzo e pseudomachismo intellettuale alla vista di questo tirapugni in cristallo. Certo non mi passa inosservato, e con tutte le produzioni degli ultimi tempi che escono iperpop o minimal chic è già molto. Una provocazione ottimamente riuscita. Dove dobbiamo riversare i nostri istinti violenti? www.debrabaxter.com
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PIG files
Di Giovanni Cervi
Soffia il vento Joby Energy l'ha penata in grande. Creare un gigantesco aquilone con tante pale che ruotano eproducono energia. Non so se sarà mai possibile, ma certo è meglio vedere questa turbina (che arriva a produrre 870 terawatt) che un cielo grigio smog. In futuro avremo campi di teraquiloni? www.jobyenergy.com
Lampada con tesoro
Zebre ad arco Ma ci voleva tanto? Un’idea così semplice ed efficace mi ha fatto innamorare a prima vista (anche perché io gli angoli li taglio sempre). Lunga vita e prosperità a “ergo crosswalk (ergonomics)” e al suo creatore Jae Min Lim, finalista all’ultima Design Fair di Seul. sdf.seoul.go.kr
Lampade e sedie sono standard del design con i quali ogni creativo deve confrontarsi prima o poi. Chen-Karlosson lo fanno con una forma semplice e minimale con sorpresa inclusa, trasformando il lampadario in una bolla d’aria e luce che darà nuova vita ai nostri più intimi oggetti segreti. www.chenkarlsson.com
Luce eterna Di solito le lampadine a risparmio energetico son piuttosto brutte. Lo studio Hulger ribalta la situazione e trasforma in punto di forza quello che per gli altri è una debolezza. Da sole queste lampadine nobilitano anonimi paralumi. Il mercato sarà loro. plumen.com
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Š 2010 adidas AG. adidas, the Trefoil, and the 3-Stripes mark are registered trademarks of the adidas Group.
Feature on Designer: Yuco Kamiyama Intervista di Fabiana Fierotti
Appena uscita dal London College of Fashion, Yuco Kamiyama, designer giapponese ancora in cerca della sua strada, ci racconta delle sue origini e del sogno di poter comunicare un po’ della sua storia attraverso le sue creazioni. Ciao Yuco, come stai? Bene, grazie. Cos'hai fatto oggi? Ho avuto un meeting con un nuovo brand che comincerà a produrre nella stagione fw 2011/12. Io disegnerò la sezione di maglieria da donna. Quanti anni hai e dove sei nata? Sono nata in una piccola cittadina di nome Gumma, in Giappone, e compirò 24 anni a Dicembre. Raccontaci meglio delle tue origini. Sono sempre stata affascinata da tutto ciò che riguardasse la moda sin da quando ero bambina. Ero una gran collezionista, adoravo gli abiti del guardaroba dei miei genitori e dei miei nonni, molto di più delle ultime mode seguite dai miei coetanei. Ho imparato a disegnare grazie ai miei nonni che mi hanno insegnato anche qualcosa sull'arte e l'artigianato tradizionale; loro dipingevano ed erano dei maestri calligrafi di Giapponese. Come mai hai deciso di frequentare il London College of Fashion? Una delle
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ragioni è la struttura del corso in cui mi sono iscritta: Surface Textile Fashion Design Technology. Mi piaceva poter provare tre campi differenti del textile design: il lavoro a maglia, la stampa e il ricamo. E perchè Londra? Perchè sono rimasta impressionata dal modo in cui si insegna moda nelle università europee. Secondo me, è più creativo e professionale che in Giappone. Se potessi per un attimo tornare indietro, cosa faresti? Credo mi piacerebbe lavorare nell'industria della moda Giapponese. Parlaci della tua graduation collection, di cosa si tratta? Mi sono ispirata a una storia per bambini di Michael Ende , ‘MomO'. L'idea principale è ‘ragazze che indossano giacche da uomo’, che deriva direttamente dallo stile di Momo, un’orfana che veste giacche da uomo gigantesche e rattoppate. In termini più tecnici, ho scelto i tagli più classici della sartoria tradizionale mischiati
a un gusto vintage, usando materiali molto caldi. Partendo da questa descrizione, riusciresti a definire la tua estetica? Direi che la mia estetica non è molto "fashionable" nel vero senso del termine. Non sono una che segue molto i trend e tanto meno una trend setter. Questo perchè mi ispiro sempre al vintage, agli abiti e agli accessori tradizionali. Amo sempre usare qualcosa sulla quale la gente possa riflettere. Sarei felice se le persone potessero sentire della cultura o un po' di storia attraverso il mio lavoro. Quali sono i tuoi piani per il futuro? Vorrei iniziare davvero a mettere su un brand tutto mio, qui a Londra. Hai un sito internet? E' in fase di costruzione, ma potete trovare tutti i miei lavori sul sito del London College of Fashion, all'indirizzo showtime.arts.ac.uk/ yucokamiyama. In più ho anche un sito di grafica e moda , 'oui'. fotologue.jp/oui-london/
Blog of the Month: 90’S Woman 90swoman.wordpress.com - Intervista di Fabiana Fierotti
Quando ho trovato questo blog ero davvero felice. Non avevo mai letto nulla di più accurato sui nostri adoratissimi (più o meno) anni ‘90. Il duo formato Ada Kalhoun e Kara Jesella è davvero ferrato in materia e vi regalerà delle grandi emozioni, in tutti i sensi.
Ciao Ada, ci faresti una breve presentazione di te stessa? Ada Calhoun, 34 anni, NYC. Ho scritto il libro ‘Instinctive Parenting’ (edizioni Paperback, ottobre 2010). Ho collaborato con Tim Gunn al suo libro ‘Gunn’s Golden Rules’ (settembre 2010). Scrivo anche per vari quotidiani e riviste. Quali sono i tuoi piani per la giornata di oggi? Oggi lavoro come reporter per il New York City Post e sto aspettando che succeda qualcosa di eccitante su cui scrivere. Quando e perché hai deciso di lanciare 90’S WOMAN? Era settembre 2009. Il termine, per quanto ne sappiamo, fu coniato da Bridget Everett. Ecco il link che ci diede l’idea per il tutto: 90swoman.wordpress.com/2009/09/18/ hello-90s-women/ Che età avevi negli anni '90 ? Sono nata nel 1976. La mia esperienza piu forte nei ‘90s sono state le superiori a New York (1990-94). Cominciai ad interes-
sarmi a piccole pubblicazioni di diversi testi, femminismo e musica. Dopo cominciai a viaggiare in India, andare all’università e sentirmi depressa, di conseguenza mi sono persa un sacco di pop culture. Qual è il tuo attore/attrice preferita di quegli anni? Alicia Silverstone in ‘Clueless’. E la serie TV? Non guardavo tanta TV, ero troppo occupata a fare le cassette registrate dalla radio. Comunque mi ricordo questo show fuori di testa che si chiamava ‘Just the Ten of Us’. Parlava di questa grande famiglia di ragazze povere che avevano una splendida fantasia. Devo dire che mi è rimasto impresso. Qual è l’outfit perfetto della donna anni ’90? Un abito baby doll e degli stivali dovrebbero essere il look clichè, ma credo che personalmente opterei per qualcosa di piu comodo. Tipo camicia a scacchi in flanella, bella larga. Le bretelle del reggiseno
rigorosamente a vista. Il tuo cantante preferito? Julie Ruin. Un film? Due giorni fa ho rivisto ‘Mermaids’! Lo adoro! Clueless! Eccovi qualcosa di figo scritto a riguardo da Kara: 90swoman. wordpress.com/2009/12/31/deep-thoughtson-clueless/ Devo dire che mi piacevano molto anche i film di Hal Hartley, specialmente Trust. Le migliori top model? Kate Moss rispecchiava molto tutta quell’ identita’ junkie chic ed era discutibilmente la Modella degli anni ’90. Trovavo molto più particolare Kim Gordon con la sua linea da X-Girl: nymag. com/daily/fashion/2009/04/kim_gordon.html Cosa ti manca degli anni ‘90? Il Body Glitter. Di cosa invece fai volentieri a meno? I politici dall’identità rigida. Dicci la prima cosa che ti viene in mente. Ci sono miliardi di libri e film sugli anni ’60. Credo che i ’90 si meritino almeno un blog.
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Brand highlight
Di Fabiana Fierotti
Transversal In un momento in cui il termine Transgender impazza tra i media - inutile ricordare il nome di Lea T. che ha recentemente posato per la campagna fw10 di Givenchy - Acne Studios e Luis Venegas, editor in chief di Candy Magazine ( la prima rivista interamente dedicata alla transessualità, al travestitismo e all'androginia), hanno deciso di collaborare per una capsule collection composta da tre camicie. Partendo dal classico modello western, i due, accomunati dalla medesima visione di libertà, gioco e creatività, hanno sviluppato dettagli e proporzioni in modo da sovrapporre con ironia la figura maschile a quella femminile e creare un po' di sana confusione. Particolare divertente è il nome dato ad ognuno dei capi secondo "Dynasty", la soap americana preferita da Luis: "Alexis", la camicia con il fiocco al collo, è un tributo a Joan Collin; "Krystle", con le maniche larghe, è dedicata a Linda Evans; "Sammy Jo", con il collo e i polsini arricciati, a Heather Locklear. La collezione sarà disponibile proprio a partire da ottobre. www.acnestudios.com - www.byluisvenegas.com
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SUNLENS BY
Yasemin Özeri Yasemin è nata ad Ankara, in Turchia. Dopo aver studiato architettura, ha frequentato lo IED a Milano, seguendo un master in Fashion e Textile Design. Tornata ad Istanbul dopo alcune esperienze in Italia, ha lanciato la sua linea nel 2009. Ci troviamo decisamente di fronte a un'artista a 360°: Yasemin non solo disegna le proprie collezioni, ma si occupa anche degli scatti dei lookbook e dei progetti grafici dei punti vendita. "Laundromat", il suo primo negozio, è stato interamente curato da lei, divenendo il primo "shop in shop" in Turchia. Al suo interno i designer emergenti hanno la possibilità di mostrare le proprie collezioni per un periodo di tempo, in modo da attirare l'attenzione della stampa. L'estetica della Özeri è molto lineare, le forme sono pulite e contribuiscono a un tipo di bellezza semplice, senza troppi fronzoli. Il suo approccio è essenzialmente "architettonico". www.yaseminozeri.com F.F.
Long hair princess In-Process by Hall Ohara nasce nel 2003 da due studenti della Central Saint Martins: Steven Hall e Yukira Ohara. I due ricevono subito attenzione durante la London fashion week del 2006, vincendo il New Generation Award. Da allora hanno sviluppato anche una linea maschile, “Arp” e una seconda linea femminile “Doodling”. Per la stagione fw10 il duo si ispira alla favola “Raperonzolo” dei fratelli Grimm, nel suo significato più profondo: il passaggio dalle tenebre alla felicità. Questo passaggio traspare attraverso gli abiti, si passa dal nero ai colori più chiari, ed è tutto volto alla riflessione sulla grande depressione che attraversa il popolo giapponese. www.in-process.org F.F.
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Wrangler Baseball Jacket La giacca da baseball è un classico insormontabile, in America una specie di istituzione. Wrangler per la stagione fw10 ci propone un caldissimo modello in lana e pelle, perfetto se abbinato ai vecchi cari blue jeans. Una valida alternativa al cappotto. www.wrangler.com F.F.
April77 is back! Che bello poter dire ogni tanto "tutto è bene quel che finisce bene". April77 ce l'ha fatta, nonostante la crisi e la brutta batosta che li aveva portati al "redressement judiciaire", per dirla secondo le corti francesi, giusto la scorsa stagione. Brice Partouche, il fondatore, si è rimboccato le maniche e tagliando un po' qua e un po' là è riuscito a riportare il brand, nato nel 2002, sul mercato. Sarà per questo rinnovato spirito di sacrificio, ma soprattutto di rinascita, che il nuovo motto di April77 è "Back to basics, Back to nature"; il tema della nuova collezione fw10 "White Runes, Black Flags" rimanda a un immaginario primordiale e mitologico. Proprio per tornare alle origini, il brand ha puntato sul denim, mantenendo i modelli classici e aggiungendone degli altri, finalmente da donna. Per l'occasione il brand ha lanciato il nuovo sito internet: www.april77.fr F.F.
Lanvin for H&M
Foto di Paolo Roversi
“Ho sempre detto che non avrei mai realizzato una collezione accessibile a tutti, ma ciò che mi ha intrigato è l’idea che H&M si avvicinasse al mondo del lusso piuttosto che Lanvin al pubblico". Molto chiaro il pensiero di Alber Elbaz, Direttore Artistico di Lanvin, se condivisibile o meno sta voi giudicarlo. Fatto sta che la catena svedese ha di nuovo fatto pieno centro; se eravate già rimasti deliziati dalle collaborazioni con Karl Lagerfeld, Stella McCartney, Comme des Garçons e Sonia Rykiel e molti di voi erano andati a sgomitare per accaparrarsi, se non altro, almeno un misero paio di calze, stavolta ci sarà da fare a pugni e piazzarsi davanti al punto vendita più vicino alle 5 del mattino. O perchè no, organizzare un bel camping. La collezione sarà in vendita a partire dal 23 novembre e verrà presentata il 2 novembre con un video in esclusiva sul sito www.hm.com, iniziate ad organizzarvi. www.lanvin.com F.F.
Let it snow Se state programmando una bella settimana bianca per le vacanze di Natale e volete rifarvi il guardaroba, adidas Originals e Burton Snowboards hanno messo su una collezione in edizione limitata davvero niente male. Sarà disponibile a partire da novembre, solo per una stagione, nei punti vendita dei due brand. www.adidas.com - www.burton.com
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Act Da Fool Harmony Korine e Proenza Schouler hanno da poco presentato il corto “Act Da Fool”, un piccolo gioiellino di tecnica e gusto che racconta delle esperienze di una ragazza un po’ ingenua, ma allo stesso tempo consapevole e dannatamente Americana. Questo ha espresso al meglio lo spirito della collezione fw10 del brand . La scelta di Harmony deriva da una vera e propria passione dei designer Lazaro Hernandez e Jack McCollough per i suoi film, “Kids” per citarne uno. Il super 8 e la voce narrativa fuori campo lo rendono davvero un piccolo capolavoro. www.proenzaschouler.com F.F.
Piatto ricco mi ci ficco! Continua la collaborazione di Converse con artisti e brand. Noi abbiamo scelto Damien Hirst e Missoni, che più rappresentano il nostro gusto in fatto di estetica. Missoni propone i colori nero e crema rifinendo il tutto con della morbidissima pelle marrone chiaro. Il modello in collaborazione con l’artista inglese, invece, è ispirato a un suo grande capolavoro: “All you need is love”. Entrambe le collezioni saranno disponibili in pochi pezzi, date un’occhiata ai siti www.converse.com - www.missoni.com F.F.
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Timo Weiland Finalmente un po’ di moda maschile - non ci siamo dimenticati di voi, anzi stiamo facendo di tutto per creare una sezione completamente dedicata all’uomo a partire dai prossimi mesi. Siamo rimasti piacevolmente colpiti da Timo Weiland che, in coppia con Alan Eckstein per la stagione fw10, ci trasporta in un mondo che sta a metà tra “The Age of Innocence” e “Gangs of New York”. E poi, c’è da dirlo, tutti gli uomini dovrebbero indossare lunghi cappotti color cammello. www.timoweiland.com F.F.
55DSL x Manhattan Portage 55DSL e Manhattan Portage, brand newyorkese famoso per il design di borse, hanno dato vita a una limited edition per i biker appassionati. Si tratta della Messenger Bag che verrà distribuita in un numero limitato di 1000 esemplari a partire da Novembre; in più se la acquisterete entro il mese di Dicembre, al suo interno troverete un piccolo regalo offerto da 55DSL. Per info visitate i siti www.55dsl.com www.manhattanportage.com F.F.
The Rug Company Se state arredando casa o volete solo togliervi un capriccio vi diamo qualche dritta sul tappeto dei vostri sogni: The Rug Company, in collaborazione con designer del calibro di Vivienne Westwood, Marni, Alexander McQueen e Paul Smith (nelle immagini) crea dei pezzi unici interamente fatti a mano da artigiani specializzati da generazioni. Andate a dare un'occhiata sul sito www.therugcompany.info F.F.
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Red, Right.
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1.Givenchy 2.Isabel Marant 3.Yves Saint Laurent 4.Karen Walker 5.Jean-Charles de Castelbajac 6.Valentino 7.Julien Macdonald 8.Dolce & Gabbana 9.Prabal Gurung 10.Yigal Azrouel 11.Antonio Berardi 12.Margaret Howell 13.Yigal Azrouel 14.Badgley Mischka 15.Valentino 16.Givenchy 17.Giambattista Valli 18.Jenny Packham 19.Dolce & Gabbana 20.Narciso Rodriguez 21.George Chakra 22.MarithÊ + François Girbaud 23.Dolce & Gabbana 24.Ann Demeulemeester 25.Celine 26.Maison Martin Margiela 27.Yves Saint Laurent 28.Alexander Wang 29.Miu Miu 30 -31.Givenchy
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1.Versus 2.Moschino 3.Margaret Howell 4.Maison Martina Margiela 5.Jean-Charles de Castelbajac 6.Christian Louboutin 7.Celine 8.Yigal Azrouel 9.Prada 10-11.Givenchy 12.Lanvin 13.Limi Feu 14.Givenchy 15.TSE 16.Christian Louboutin 17.Givenchy 18.Versus 19.Versace 20.Gianfranco Ferrè 21.Sportmax 22.Givenchy 23.Valentino 24.Christian Louboutin 25.Rolex 26.Celine 27.Rick Owens 28.vintage 29.Yves Saint Laurent 30.Alexander Wang 31.Christian Louboutin
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Photographer of the Month: Dany Peschl danypeschl.tumblr.com - A cura di Sean Michael Beolchini
Dany sembra uscito direttamente da una sceneggiatura. E’ figlio di un nobile australiano piuttosto ribelle, che scappò con un’umile ragazza contadina Ungara. La sua energia non ha eguali. Non è da tanto sulla scena e, geograficamente parlando, non si trova in una location vantaggiosa da molti punti di vista. Tutto è cominciato semplicemente per tirare su qualche soldo, ma presto è diventato una ragione per scavare nella sua mente, ad una velocità incredibile. Online non si trova molto del lavoro di Dany, ma come potete leggere nella nostra piccola intervista, lui non ha alcuna intenzione di fermarsi. Come ti chiami? Ho diversi nomi, ma solitamente in questo periodo mi giro quando mi chiamano “Dany”. Come quel piccolo cane, hai presente? Di dove vieni? Le mie origini sono un po’ complicate da 40 PIG MAGAZINE
spiegare. Mio padre è un nobile austriaco, mamma deriva da una famiglia di contadini ungari, io sono nato e cresciuto in Slovakia. Precisamente nella capitale, Bratislava. Se non ci sei ancora stato, hai fatto bene. Hai mai visto Hostel? Dove vivi?
A Praga. Ci campi con la fotografia? Dipende da cosa intendi per fotografia. A volte capita di fare dei lavori, anche se non devo pagare le bollette. E allora come fai? Ho fondato una band black metal. I nostri
testi sono esclusivamente in norvegese. So che tra poco saremo ricchi e famosi anche se per ora non si sta ancora concludendo il tutto. Quanti anni hai? Quando uscirà il magazine, ne avrò 32. Credimi se ti dico che tutto ciò mi provoca una profonda depressione. Quanti te ne senti? Più o meno 17 – un’età alla quale tornerei subito. Forse perché ho fatto passare un bel po’ di tempo. Veramente! Quando hai iniziato a fotografare e perché? Sembrerà strano ma fu solo due anni fa. Da quando sono piccolo, ho lavorato su immagini e credo che questa mia passione non svanirà mai. La fotografia è semplicemente un nuovo modo di esprimerla. E’ stato come un richiamo muovermi verso questa nuova posizione. Può anche darsi che faccia questo lavoro semplicemente perché voglio provarci con due o tre modelline. Guardando il tuo lavoro, ho potuto notare delle grandi varietà di stili diversi che sembrano essere nettamente divisi da
periodi (prima e dopo), come mai? Cosa ti ha spinto a mutare? I miei lavori che trovi su internet, sono suddivisi da quelli dati in commissione da clienti paganti e quelli che sono stati fatti da me e stimolati dalle mie sensazioni. C’é una grande differenza tra fotografia commerciale e personale. Quando incominciai i miei, erano in gran parte lavori commerciali. Se invece mi stai parlando degli approcci diversi verso la fotografia, che si possono notare nel mio lavoro personale, credo che siano nati dalla mia voglia di esperimentare. E’ da poco tempo che mi adopero in quest’area. Ne sto provando i diversi aspetti e probabilmente sto cercando quello che mi si addice meglio per poi trovare me stesso e il mio stile d’espressione nelle foto. Forse sta già avvenendo, ma non me ne sono ancora accorto. Sta a voi giudicare. Per un certo periodo mi sono anche cimentato nella fotografia di moda, ma so che non è la mia branchia, almeno che non si tratti di alcuni magazine alternativi. Non mi si addice. Non sono abbastanza coraggioso per la
fotografia di reportage in aree di conflitto – nonostante ciò ho un grandissimo rispetto per questo genere di fotografia e per i fotografi che letteralmente rischiano la loro vita per esordire con nuovi messaggi. Mi si addicono più quei tipi di lavoro che portano con loro concetti intimi e che si relazionano con il lato malato e oscuro della mia mente. Come descriveresti il tuo modo di fotografare? Lunatico, come me. E’ sempre difficile descrivere le mie creazioni. Lo stesso vale per ciò che si trova dentro di me. Non potrei mai parlare dei miei sentimenti e così li esprimo attraverso le mie fotografie. Qual è la tua big picture? Non è ancora arrivata, ma dentro di me esiste. Credo che non ti piacerebbe. Che cosa altera le tue percezioni? Sesso, morte e narcisismo. Cosa non ti piace della fotografia oggi? Photoshop. Cosa ami della fotografia oggi? Il ritorno della pellicola fotografica e della
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qualità. Segui qualche regola? Se sì, quali? Ammetto che non ho trucchi e che non seguo delle regole precise. Recentemente ho fatto uno shooting con una modella che aveva una paura folle dei cavalli. Ad un tratto, una mandria di cavalli s’infuriò e ci si diresse contro. Non ero consapevole della sua fobia, so solo che questi suoi ritratti terrorizzati sono gli scatti migliori della giornata.
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A volte non è male quando succede qualche cosa di inaspettato, quando non sei preparato e esci dagli schemi. Le cose buone si creano in questa maniera. Quindi l’unico consiglio (forse un po’ stupido) che posso dare è: lasciamo che il casino partecipi ai nostri shoot. Cerchiamo di scavare in profondo e fare il meglio dei nostri errori, senza correggerli troppo. Le cose programmate dalla A alla Z sono noiose! Chi è il tuo fotografo preferito?
Terry Richardson…Noooo, hahaha, scherzo! Non ricordo di aver mai avuto nessun preferito di conseguenza non mi sono mai preoccupato di trovarlo. L’ultima che mi viene in mente e che ha attirato il mio interesse, è Nan Goldin e il lavoro della sua vita. Che tipo di macchina fotografica usi? Hasselblad CW503, Mamiya RZ67 Pro II, Mamiya 7II e Nikon F3. Che macchina vorresti usare? Mi piacerebbe scattare con qualche macchi-
na a grande formato. Spero di poterlo fare presto. Chi ti piacerebbe scattare in topless? Mi piacerebbe fotografare la gente morta, anche nuda, ma nessuno in particolare o famoso. Questo non vuole dire che disprezzo le donne in vita. Chi dovrebbe essere il nostro prossimo fotografo del mese? Ovviamente Miro Minarovych. Qual sarà il tuo prossimo scatto?
Ho un paio di progetti in questo momento: A partire da Febbraio ho lavorato a un progetto che si chiama “Disturbo”. E’ un ciclo d’immagini di persone catturate in momenti intimi, nei quali non sarebbero dovuti essere disturbati. Le sorprendo mentre si masturbano, fanno la pipì o la pupù, hanno rapporti sessuali, comettono crimini, rituali segreti o deviazioni. Non ho ancora pubblicato nulla. Un’ulteriore cosa della quale vale la pena
parlare e che posso rivelare è un progetto concettuale con un’artista spagnola, Marìa Simò. Si tratta di una serie di foto, quadri, collage e installazioni video che parlano di noi come amanti virtuali i quali non si sono mai ne incontrati né toccati nella vita reale. Non si tratta solo di distanza vs vicinanza ma anche di fino a che punto è disposto ad arrivare l’uomo quando desidera qualcosa o qualcuno. E-mail: daniel@fundaluka.cz
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Nome? Eleonora Rossi. Età ? 31. Da dove vieni? Italia. Definisci il tipico Londinese. Zenzero. Il tuo piatto preferito? Polpette. Cos’hai in borsa? Sigarette, soldi. Il miglior negozio di Londra? Number 6 in Brick Lane. Il tuo viaggio dei sogni? La Transiberiana.
Street Files. London - Foto di Stefano Galli. www.stefanogalli.com
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Nome? James Mathé - musicista (myspace.com/jamesmathe). Età? 30. Da dove vieni? Londra. Definisci il tipico Londinese. Non esiste più. Il tuo piatto preferito? Calamari. Cos’hai in borsa? Purtroppo oggi non ce l’ho. Il miglior negozio di Londra? The Vintage Showroom in Covent Garden. Il tuo viaggio dei sogni? Attraversare l’Italia in camper.
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Nome? Johan Dehlin. Età ? 29. Da dove vieni? Svezia. Definisci il tipico Londinese. Amichevole e tollerante. Il tuo piatto preferito? Chili con carne. Cos’hai in borsa? Una mappa e gli occhiali. Il tuo viaggio dei sogni? Cina.
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Nome? Sophie Wyatt. Età? 27. Da dove vieni? Dalston. Definisci il tipico Londinese. Creativo, ambizioso. Il tuo piatto preferito? Il pesce in generale. Cos’hai in borsa? Un diario, l’iPhone, le sigarette. Il miglior negozio di Londra? Alton, Portobello Market. Il tuo viaggio dei sogni? Francia o New York.
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Nome? Sophia St. Villier (www.sophiastvillier.com). Età? 26. Da dove vieni? New Zealand. Definisci il tipico Londinese. Non ce n’è uno tipico! Il tuo piatto preferito? Eggs Benedict. Cos’hai in borsa? Un costume burlesque, un Blackberry, una maschera, delle chiavi. Il miglior negozio di Londra? Tina, we salute you. Il tuo viaggio dei sogni? Attraversare la Mongolia in cammello.
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Nome? Benjamin Lav. Età ? 26. Da dove vieni? Cambridge. Definisci il tipico Londinese. Normale? Il tuo piatto preferito? Tortino di pesce. Cos’hai in borsa? Sigarette, cartine, una banana.Il miglior negozio di Londra? Dover St. Market. Il tuo viaggio dei sogni? Giappone.
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Nome? Jacob Sjöblom. Età? 27. Da dove vieni? Svezia. Definisci il tipico Londinese. Su una bici a scatto fisso. Il tuo piatto preferito? Polpette con purè di patate. Cos’hai in borsa? Un’altra borsetta, un orologio, il portafogli e il tabacco. Il miglior negozio di Londra? Get Stupped. Il tuo viaggio dei sogni? Verso la Scozia in barca a vela.
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Nome? Emily Gosling. Età? 23. Da dove vieni? Hackney. Definisci il tipico Londinese. Non così burbero come credete voi! Il tuo piatto preferito? Crema di piselli con il ketchup. Cos’hai in borsa? L’iPod, un cardigan, un rossetto, il solito! Il miglior negozio di Londra? Speedies Vintage Furniture in Redchurch Street. Il tuo viaggio dei sogni? New York.
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Viktor & Rolf Ho incontrato i due estrosi stilisti olandesi in occasione di ITS9, dove sono stati chiamati a coprire il nobile ruolo di presidenti di giuria. Non mi sono fatta sfuggire l’occasione di intervistarli per scoprire chi è chi, chi fa cosa, cosa piace a chi e chi non sopporta cosa. Cosa? Niente da fare. Sono due, ma sembrano uno. Non sono gemelli, ma vivono come siamesi. Parli a uno, risponde l’altro. Disegnano fianco a fianco. Sono sempre d’accordo. Hanno gli stessi gusti e probabilmente si leggono anche nel pensiero. E se nemmeno i parenti riescono a distinguerli e i ragazzi del loro team si confondono i loro schizzi, anche io alla fine di quest’intervista continuo a non capire chi è chi. Ma non sembra che importi, soprattutto a loro che su questa “ambiguità” ci hanno costruito una brillante carriera. Intervista a Viktor Horsting e Rolf Snoeren di Ilaria Norsa
A ITS9 siete i presidenti di giuria. Tanta roba. Cosa pensate di questa manifestazione? Concorsi come questo rappresentano un’ottima occasione per incontrare persone e creare connection, aspetto importantissimo soprattutto per chi sta muovendo i primi passi in questo campo. Inoltre per noi è particolarmente emozionante perchè sappiamo perfettamente che cosa stanno attraversando i partecipanti essendoci passati anche noi. E poi è davvero interessante e stimolante osservare il lavoro di questi giovani creativi perchè il livello qui a ITS è molto alto! Vero, quest’edizione è davvero notevole! Quali aspetti considerate quando si tratta di giudicare i partecipanti e le loro creazioni? Il vostro è un criterio basato sull’istinto, la creatività, gli aspetti commerciali o sulla coesistenza di questi elementi? E’ il mix di tutti questi aspetti che ci interessa. Per noi contano le idee ma conta anche che esse possano effettivamente essere realizzate. Qual è il designer che più vi ha colpito? Il ragazzo giapponese, Takashi Nishiyama (vincitore di ITS9 n.d.r.): ci piacciono molto i suoi lavori. Anche gli altri ragazzi sono molto talentuosi, ma lui è davvero speciale, ha una marcia in più! E nella categoria degli accessori?
Ci è piaciuta molto Sarah Williams, la ragazza (trionfatrice per la sua categoria) che ha creato quelle valigie straordinarie. In generale qui a ITS c’è molto talento, il livello è alto! Cos’è il talento per voi? Credo che sia essere veramente originali... L’originalità in effetti è una parola chiave nel vostro dizionario: la moda che proponete con il vostro marchio è una moda creativa al massimo, ai limiti del surrealismo... Sì, ma questo è quello che noi proponiamo con i nostri show, quello che poi vendiamo è diverso. La creatività mantiene comunque un ruolo primario nel vostro universo artistico. Proprio ieri parlavo con Sara Maino di Vogue Italia del ruolo - purtroppo sempre marginale - delle scuole italiane in competition come questa. I nostri istituti sembrano prediligere gli aspetti commerciali a discapito di quelli creativi che vengono spesso soffocati, laddove nelle scuole anglosassoni la tendenza è esattamente opposta (penso per esempio alla CSM). Qui a ITS fortunatamente si respira una grande spontaneità creativa accompagnata da concretezza e serietà esecutiva: il merito va a Barbara Franchin e al suo team, che da 9 edizioni seleziona gli studenti visionando con cura migliaia di portfolio. Voi come trovate i giovani designer di oggi?
Creativi, preparati? Osservando i designer qui a Trieste ci troviamo d’accordo con te: il livello è sicuramente alto. Ma questo fortunatamente è qualcosa che siamo in grado di apprezzare anche all’interno del nostro stesso team creativo: i ragazzi che lavorano con noi sono davvero straordinari. Tra di essi ci sono anche studenti freschi di diploma? Certo! Il team è composto da un mix di persone, alcune con più esperienza e altri che hanno appena finito il loro percorso scolastico e che da noi danno una mano e allo stesso tempo imparano. E voi, dall’alto della vostra esperienza, quali consigli potete dare a un giovane designer? I giovani devono essere originali, ma soprattutto perseveranti. La perseveranza è davvero fondamentale perché la moda è veramente molto competitiva. Il nostro consiglio è sempre lo stesso: andare avanti, a tutti i costi, alla faccia di critiche e deadline, continuando per la propria strada per raggiungere il proprio obiettivo. Come si suol dire: “The show must go on!” Siete partiti dall’haute couture per arrivare al pret-a-porter: avete seguito il percorso inverso rispetto a quello canonico. Come mai? Beh, la nostra è stata tutta una storia “all’incontrario”, ma difficilmente consiglierei a
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qualsiasi persona di seguire la nostra strada... Ognuno d’altra parte deve seguire il suo percorso e il nostro era questo. Per noi è andata così, abbiamo solo seguito l’istinto e il corso delle cose, non avevamo piani precisi. Esattamente due anni fa firmavate un accordo con la Only The Brave di Renzo Rosso (uno dei promotori di questa iniziativa fin dai suoi albori) per la produzione della vostra linea. Immagino che da allora il vostro rapporto con il nostro paese si sia rafforzato e che le vostre visite intensificate... In realtà siamo sempre venuti in Italia perchè la nostra collezione veniva prodotta qui anche prima di questo accordo. Quali sono le cose che preferite fare quando in Italia? Mah... Noi lavoriamo sempre quando siamo qui. Ma non mi dite. Che vita di stenti. Ma dai, non ci credo! In realtà la cosa che preferiamo in assoluto purtroppo si tiene solo ogni due anni: si tratta della Biennale di Venezia: è sempre stupendo andarci... E Venezia è bellissima. Anche la collezione immagino sia prodotta in Veneto, no? Sì. Noventa Vicentina per essere precisi. Siete un’illustre coppia del fashion system, forse una delle più iconiche e riconoscibili. In un contesto in cui questa formazione sembra essere “di moda” (tra Dolce/Gabbana, Valentino/Giammetti, le sorelle Mulleavy di Rodarte, ecc. siete in buona compagnia...) cosa porta due persone a decidere unirsi in uno sposalizio artistico? Due è meglio che uno o l’altro ha quello che a te manca? La nostra prima esperienza insieme fu in occasione della competition di Hyères del 1993, alla quale partecipammo lavorando insieme a un progetto: fu un’esperienza fantastica anche se allora non pensavamo che avremmo messo in piedi un brand insieme. Per noi si trattava di un episodio isolato e pensavamo che poi avremmo seguito strade diverse, qualunque esse fossero. Poi, sai, le cose vanno in modo organico, lavorare insieme è stato molto naturale, sembrava funzionare bene per noi e così, una cosa tira l’altra... Lavorando in due mantenere un equilibrio è fondamentale. Spesso nelle coppie nel mondo della moda i ruoli sono ben delineati: c’è chi si prende cura della parte economica e chi di quella creativa. Nel vostro caso chi fa che cosa?
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In realtà non c’è mai stata una divisione dei ruoli, una decisione a tavolino su chi facesse che cosa. Lavoriamo insieme a ogni aspetto, condividiamo tutto e combiniamo insieme tutto quello che facciamo separatamente. Pensa che addirittura dividiamo ancora lo stesso l’ufficio e disegniamo uno di fianco all’altro! Ahhaha che carini! Ma capiterà che abbiate punti di vista diversi in merito a qualcosa o una visione differente che vi porta anche a discutere, no? In effetti no, siamo sempre d’accordo su tutto. E se non lo siamo vuol dire che l’idea non funziona, che c’è qualcosa che non va, così parliamo fino a quando non sentiamo che l’idea è giusta. Sai per noi è anche difficile spiegare queste cose, perché la nostra affinità artistica e creativa è totale, e per noi è naturale che sia tale. E’ qualcosa che viene da dentro, dalle nostre stesse emozioni. Vivete in simbiosi, praticamente due gemelli siamesi! Figurati che la cosa è così marcata che anche per le persone del nostro team è difficilissimo distinguere i miei designi da quelli di Viktor: sono similissimi, praticamente identici! E anche per la calligrafia è così! La cosa è quasi inquietante. Cavolo non c’è proprio niente che vi distingua, per esempio a lui piace la pizza e a te il gelato?! Mi state mandando al manicomio! Ahah, ma no niente. E’ più forte di noi, le cose stanno proprio così. Quando parlare di affinità è riduttivo e la somiglianza sconfina nell’intercambiabilità (su cui per altro siete i primi a giocare) le analogie finiscono per riflettersi nell’apparire: è come se questa conformità vi fosse addirtittura cresciuta addosso, fino a modificare non solo i vostri modi di fare e vestire, ma anche i vostri tratti somatici. Il fatto che le persone vi confondano in continuazione non finisce per infastidirvi? Ma no, tutt’altro: è qualcosa su cui ci piace giocare! A questo punto suonerà come una domanda retorica, ma non avete mai pensato di fare qualcosa per conto vostro, un progetto da “solista”? Anche Brian Ferry a un certo punto si è staccato dai Roxy Music, i Libertines si sono sciolti e Albano e Romina hanno divorziato, diamine! Ma no! Noi da soli non avremmo mai fatto niente di tutto questo. Quello della moda non è un mondo facile così essere in due è qualcosa che ti tiene coi piedi per terra, puoi riderci sopra.. è il nostro modo di affrontare le cose, di esor-
cizzarle e andare avanti. Ci raccontate un ricordo o aneddoto dei vostri inizi, quando muovevate i primi passi nel mondo della moda? Sì, per esempio la nostra prima competition, per la quale realizzammo il nostro primissimo progetto insieme. Vinsimo quel concorso ma al momento di salire sul palco per ritirare il premio non sapevano come chiamarci perché non ci eravamo dati un nome, non avevamo creato un marchio, un’etichetta, nulla. D’altra parte non pensavamo che il nostro sodalizio avrebbe avuto successo e soprattutto che sarebbe continuato, così ci chiamarono solamente “Viktor & Rolf”. Fu qualcun altro quindi a inventare il nome per noi, non abbiamo nemmeno dovuto sforzarci di cercarne uno. Minimo sforzo massima resa! Quanto tempo è passato? Era la fine del 1992. Quindi sono già 18 anni che lavorate insieme, ma - anche se non litigate mai - immagino non sia stato tutto rose e fiori... No, certo, ci sono stati molti momenti difficili. Per questo ai giovani consigliamo di avere tanta pazienza e perseveranza, perchè ci vuole. E adesso come vanno le cose? E’ un buon momento per il brand? Adesso le cose stanno andando piuttosto bene. E’ un momento interessante per far crescere il business, che è il nostro obiettivo principale in questa fase. La nostra ambizione d’altra parte è sempre stata quella di essere creativi, essere un’ispirazione per le persone - o almeno spero, avendo però anche successo nel business. E’ qualcosa che sentiamo davvero di dover fare. Immagino che dal punto di vista della crescita del business il lancio del profumo Flowerbomb abbia dato una grossa spinta. Sta andando bene no? Assolutamente! Il profumo è fantastico. Qual è il next step? Il prossimo passo per noi è aprire negozi. Avete già in programma qualche opening importante? Il prossimo anno speriamo di riuscire ad aprirne uno a Parigi e New York. E invece in vacanza ci andate o lavorate sempre? Lavoriamo sempre! Ma no, dai, agosto è vacanza per tutti! Meno male.
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“Lavoriamo insieme a ogni aspetto, condividiamo tutto e combiniamo insieme tutto quello che facciamo separatamente. Pensa che addirittura dividiamo ancora lo stesso l’ufficio e disegniamo uno di fianco all’altro!”
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ITS#Nine
Interviste di Ilaria Norsa
Da nove anni l’International Talent Support, in collaborazione con Diesel e YKK, scova i talenti della moda di domani e porta a Trieste una ventata di creatività internazionale. Quest’anno la giuria di esperti capitanata da Viktor&Rolf ha eletto trionfatore per la categoria Fashion il giapponese Takashi Nishiyama, mentre l’inglese Sarah Williams ha spopolato nella categoria Accessories.
Mandi Lennard
Yong Kyun
Conoscevo già Mandi. Facendo questo lavoro d’altra parte è praticamente impossibile non conoscerla - Pr, buyer, tutor, mentore, regina dell’East End (tra i suoi clienti Gareth Pugh, Rocksanda Ilincic, Katie Grand, Dazed and que, Mattel, Ponystep...), è stata recentemente nominata tra le 25 persone più potenti della moda britannica. In occasione di ITS ho
Foto di Ennio De Marin
Confused, Boombox, Bistrothe-
avuto finalmente modo di sedermi davanti a lei per fare una chiacchierata e - dopo aver ammirato una delle sue “sobrie” manicure (in questo caso tigrata-glitteratalogata) e aver cercato invano di spillarle qualche pettegolezzo su Barbie, Ken e la sua crisi di mezza età - ho lasciato che fosse proprio Mandi a presentarvi alcuni dei finalisti di questa edizione. Mandi, tu a ITS sei una veterana: partecipi a questa manifestazione fin dai suoi albori e la tua è sempre stata una figura di riferimento per gli stilisti emergenti. Cosa alimenta in te questo costante interesse per le nuove generazioni? Sono una persona curiosa e tendo a guardarmi intorno per trovare persone nuove, fresche e interessanti... Sono molto affascinata dal “mentoring” e tengo lezioni al Fashion Fringe e al Royal College of Art, svolgendo un ruolo di tutor per gli studenti.
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In pratica restituendo un po’ di quell’esperienza acquisita nel corso della mia vita dò una mano ai più giovani, che si sentono così aiutati e motivati: è molto gratificante! Cosa ti spinge a tornare a Trieste anno dopo anno? Essere invitati ad occasioni come questa, dove si viene a contatto con i nuovi talenti, continua a rappresentare un enorme privilegio dal mio punto di vista: qui si incontrano persone meravigliose, come i giudici ad esempio, che sono sempre eccezionali. Il ruolo dei designer emergenti è in continua evoluzione e credo tu lo abbia potuto osservare anche in questi anni di ITS. Come sono i talenti di oggi? Un tempo i più giovani erano molto creativi ma vivevano in una sorta di mondo immaginario e non si preoccupavano più di tanto degli aspetti concreti e delle responsabilità che implica questa professione. A ITS#Nine ho potuto apprezzare una qualità dei portfolio nettamente superiore: vi è molta teoria dietro i lavori e questo evidenzia il fatto che non basta sempre avere delle idee innovative, ma bisogna fare della ricerca per ottenere buoni risultati.
Quali aspetti consideri quando valuti il portfolio di uno studente? Credo che in generale non si debba analizzare troppo. Ho sempre lavorato molto con le mie sensazioni, basandomi sull’istinto. Alcuni finalisti, nonostante abbiano teorie e concetti molto convincenti, non mi sono rimasti impressi... Le cose devono colpirti subito: nel momento in cui le analizzi troppo e cerchi il motivo per il quale potrebbero funzionare perdi quella prospettiva fresca nei loro riguardi, la stessa prospettiva che caratterizza un potenziale cliente quando entra in un negozio. Parliamo dei ragazzi un po’ più da vicino: vorrei che fossi tu a “presentarli” ai nostri lettori. Ti faccio alcuni nomi, partendo da una delle più interessanti secondo me: Courtney McWilliams, 25 anni, Royal College of Art. Courtney mi è sembrata subito una persona dal carattere forte e deciso. Ha considerato in profondità tutti gli aspetti del suo lavoro, anche i più concreti. Credo che farà strada! A proposito di “concretezza”, sembra che Courtney riesca a combinare entrambi gli aspetti - spesso antitetici - di creatività
Courtney McWilliams
Michael Kampe vs commercialità. Tu cosa insegni ai tuoi ragazzi a proposito di questo eterno contrasto? Nel momento in cui uno stilista si mette a confronto con il mondo commerciale, deve fare attenzione a non pensare troppo a ciò che potrebbe vendere o no, altrimenti rischia di diventare troppo analitico. Io ai giovani consiglio sempre di rimanere fedeli a se stessi. Quali altri aspetti consideri quando ti trovi davanti a uno stilista emergente? Il lato umano gioca un ruolo importante? Certo! Mi impegno sempre a non considerare solo il talento ma guardo anche alla
persona che ho davanti. Il mondo è pieno di gente talentuosa, basta guardare la competitività che c’é a Londra per accorgersene, ma il talento non è tutto! Tornando ai finalisti, cosa mi dici del giovanissimo Michael Kampe (23 anni, tedesco, vincitore del premio Diesel)? La sua ricerca è davvero impressionante: c’è qualcosa di politico nelle sue grafiche... Kampe è perfetto per la categoria “denim”! Un’altra collezione che mi ha incuriosito è stata quella di Astrid Andersen (26, danese, Royal College of Art), per la sua fusione di mondi diversi come quello dell’hip hop e dei matador spagnoli. Ti è piaciuta? In un momento in cui è difficile trovare validi stilisti maschili devo dire che Astrid mi ha fatto un’ottima impressione e mi sono immaginata i suoi pezzi nelle boutique londinesi più all’avanguardia e sui ragazzi a Carnaby Street! E il koreano Yong Kyun Shin (29 anni, Central Saint Martins)? Con la sua brillante trovata di servirsi di mollette per i capelli per costruire i suoi abiti mi ha lasciato senza parole... Sì, Yong è uno dei miei preferiti. Mi è piaciuta molto la sua idea e nello show è emerso chiaramente il carattere forte degli abiti. Il ragazzo poi è divertente, sembra un po’ uno scappato di casa. La linea potrebbe trovare difficoltà a essere capita da persone che non lavorano nell’ambiente della moda ma nonostante ciò alcuni pezzi possono essere molto commerciali. Nei suoi lavori si vede a mio parere lo “stampino” Saint Martins. Com’è possibile che talenti così vengano sempre dalle stesse 3-4 scuole e in Italia non se ne veda l’ombra? Non credo si tratti semplicemente di una genetica carenza di talento! Di certo non credo manchi la creatività: ormai faccio ricerca in giro per il mondo da molti anni e vedo talento ovunque. Per fortuna esso non esce solo dalla Saint Martins: mi piace il fatto per esempio che ci sia talento anche laddove manchi l’influenza scolastica perché in questi casi la prospettiva è più fresca e spontanea. La marcia in più alla Saint Martins è garantita dalla presenza di tutor che incoraggiano gli studenti di essere se stessi in modo che possano realmente raggiungere il loro potenziale creativo più elevato. Allo stesso tempo credo che avere un nome altisonante come quello di un college di questo livello alle spalle, renda il lavoro dei tutor più difficile: quando l’unica cosa che fai è incoraggiare gli studenti a rimanere ciò che già sono, a volte senti di non insegnarli niente... Nel mio ruolo di giudice qui cerco di guardare il meno possibile
la provenienza scolastica degli stilisti per non farmi influenzare. Parliamo della categoria accessori... Il livello era davvero alto quest’anno! Mi è piaciuto Rob Goodwin, coi suoi copricapo ispirati alla decadenza delle maschere veneziane coniugata alla brutalità delle maschere tribali del Congo... Ho amato la sua idea di combinare cappello e scarpe. Poco tempo fa io stessa mi sono comprata un cappello con una collana abbinata: credo sia divertente soprattutto perché sono cresciuta con il concetto del twinset. E poi Rob ha un talento evidente e la lavorazione dei suoi pezzi è davvero eccellente. Ma la vera superstar di questa edizione (nonché trionfatrice assoluta nella sua categoria) è sicuramente stata Sarah Williams che con le sue valigette fatte a mano ha rubato la scena a tutti gli altri... Sarah mi ha mandato letteralmente fuori di testa: ha fatto un ottimo lavoro ispirandosi ai vecchi bauli da viaggio. Inoltre il suo portfolio mostra la ricerca approfondita che ha eseguito in particolare sul tema della distribuzione del peso... Tu come riesci a rimanere imparziale nei tuoi giudizi senza farti coinvolger emotivamente, qui e più in generale nel tuo lavoro? Per noi giudici la responsabilità è molto grande e spesso non puoi fare a meno di coinvolgerti: quando Barbara (Franchin, talent scout e direttrice di ITS) parla a noi giudici ci ricorda che nelle nostre mani abbiamo la possibilità di cambiare la vita di questi ragazzi. Barbara ci mette il cuore e ci crede davvero, viaggia tutto l’anno per trovare questi giovani e conoscerne il loro e i tutor dei college la rispettano per questo.
Rob Goodwin
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Courtney McWilliams Naturalmente non è sempre facile rimanere obiettivi in quanto il gusto personale ha un peso importante e può condizionare. Ho fatto la buyer per diversi anni e da questo lavoro ho imparato che provare a immaginarsi di essere un cliente che entra in un negozio per comprare, può aiutare a dare un giudizio sulle collezioni che si hanno davanti. L’importante per me rimane sempre cercare di non analizzare troppo, fidandomi dell’istinto. Buyer, pr, tutor... In questo periodo di chi o che cosa ti stai occupando?
Ho lasciato la mia professione di pr con l’agenzia per occuparmi solo di consulenze... Veramente? Si chiude un’era! Ma sì, quello delle pr per i designer era un ciclo che si era concluso per me. Ora mi occupo di brand consultancy con “Mandi’s Basement”, il mio nuovo progetto: sai le consulenze sono redditizie, inutile nasconderlo, e dopo aver lavorato tanti anni come pr di designer, praticamente per la gloria, ora mi sento di meritarmi anche qualcosa di più concreto (ovviamente non lo facevo per masochismo ma perché sono vanitosa e lavorare con gente innovativa e up to date mi è sempre piaciuto). Adoro poter mettere a disposizione un po’ di quell’esperienza che ho accumulato negli anni e adesso le aziende si rivolgono a me a chiedermi consigli: è bello essere in grado di darne, avere quel tipo di credibilità. E’ come un riconoscimento. Hai comunque mantenuto alcuni dei tuoi “vecchi” clienti o sei ripartita da zero? Continuo a lavorare con Katie (Grand n.d.r.) per Love magazine (lavoravo con lei anche ai tempi di Pop e continuo a seguire le sue pr personali). Cosa bolle nella pentola di Love? Attualmente il team sta lavorando molto alla parte new media e presto ci saranno molte novità interessanti in quel senso. Katie è veramente una forza della natura, e ogni numero è sempre un’emozione!
Sarah Williams
E tu sei soddisfatta della nuova direzione che ha preso il tuo lavoro? Certo! Faccio questo mestiere da più di dodici anni, ma da un anno e mezzo le cose sembrano finalmente più semplici: adesso riesco anche a lavorare da casa! (Ovviamente non è che se una sera vado giù pesante con la tequila il giorno dopo sto a letto fino alle tre - anzi, ti dirò sono sorpresa di me stessa perchè ho sempre pensato che sarei stata il tipo di persona che lavorando da casa avrebbe passato tutto il giorno davanti alla tv a mangiare toast, invece sono molto organizzata!). E poi adesso almeno non mi devo più occupare di tutte le menate tipiche di uno showroom, come un cappotto che torna indietro senza la sua cintura e roba così! Ero veramente stufa di queste cose... Hai lasciato “orfani” Roksanda Ilincic e Garteh Pugh, che avevi seguito fin dal diploma: adesso chi sono i tuoi clienti? Attualmente sto lavorando con “Barbie” e poi sono molto impegnata con “Toy Story 3”, perché Ken è tornato e ha un grosso ruolo... Cosa sta combinando? Qualche scorribanda? Ha messo le corna a Barbie? Mah, no, però adesso ha più di venti cambi d’abito! Ammazza! Sarà mica diventato omosessuale? AhAh. Sai l’anno prossimo sarà il suo cinquantesimo anniversario, quindi siamo super presi!
Sara Williams
ITS#NINE Accessories Collection of the Year & Absolut Award. Come è nato il progetto delle valigette? E’ nato da un’attenta osservazione dell’artigianato e della manodopera tradizionale: sembra che le pratiche artigianali stiano lentamente scomparendo dall panorama della moderna industria di moda a causa della crescente globalizzazione. A questa prima considerazione ho applicato un antico concetto di metamorfosi per cui la trasformazione implica l’evoluzione in forme strane. Infine ho scelto un oggetto tradizionale, come la ventiquattro ore, e ho applicato ad essa i processi di lavorazione manuale, declinandola in forme e colori diversi. Hai lavorato sempre su valigette di piccole dimensioni o hai anche realizzato qualcosa di più grande, come dei bauli? In effetti ho realizzato anche un pezzo un po’ più grande, ma per ora si tratta di un
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unicum. La speciale forma nasce dalla funzione che attribuisci ai singoli pezzi e quindi dal loro contenuto o il tuo è uno sviluppo puramente estetico?
Alcune hanno uno sviluppo funzionale: per esempio ci sono una valigetta per tenere carta da lettere e penne e un’altra per contenere il computer; altre invece nascono in modo puramente casuale.
Hai mai pensato di creare un’intera collezione di bagagli per chi desiderasse possedere un set da viaggio completo? Sì beh, sarebbe grandioso... Realizzi le valigette in colori diversi, ma sempre in tinta unita. Pensi che in futuro
utilizzerai fantasie o stampe? Sì, magari lo farò; per ora ho lavorato ad alcune varianti realizzate in pelli diverse, come quella di lucertola ad esempio. E cosa vedi nel tuo futuro? Credi ti spingerai in altri campi, disegnando magari
anche degli accessori da indossare? Ora come ora ti dico di no, voglio concentrarmi su questa cosa; però non escludo di cominciare a realizzare anche altri tipi di bagagli e valigie.
Sara Williams
Takashi Nishiyama ITS#NINE Fashion Collection of the Year: 23 anni, giapponese, punk; appassionato di draghi e videogiochi. No sono da solo... Poverone! Chissà che ansia! (A questo punto sfoglio il suo portfolio e al decimo mostruoso dragone con occhi iniettati di sangue, la domanda sorge spontanea: mangiato pesante? Visto troppi film? Troppi videogame? Giusta la terza...) Mi ha ispirato un videogame, Monster Hunter. L’interprete mi spiega che si tratta di un gioco per il computer ma che può essere fatto anche sul cellulare. E’ una specie di mania in questo momento in Giappone: ci giocano tutti, anche gli uomini d’affari e li vedi sui treni, in giacca e cravatta tutti presi dai loro giochini. I disegni sono ispirati proprio a questo: i business man dopo il lavoro possono indossare costumi da mostro sopra i loro completi da ufficio, trasformandosi. Le proporzioni gigantesche conferiscono teatralità alle tue creazioni e immagino abbiano a che fare proprio con questi mostri. Disegnando questi capi che tipo di persona pensavi li avrebbe potuti indossare? Pensavo a me stesso...
Quindi ti è capitato di indossare qualcosa della collezione? Certo, e anche spesso! Cosa vedi nel tuo futuro? Sogno di creare il mio brand... In bocca al lupo! Foto di Ennio De Marin
Qual è l’ispirazione dietro a questa tua collezione? E’ il mondo dei mostri e dei draghi. Quanto ti ci è voluto per creare i capi che hai presentato qui a ITS? Mi ci sono voluti circa dieci mesi, perché ho creato tutti i vestiti da solo, senza l’aiuto di nessuno e ho lavorato moltissimo sui dettagli, che per me sono fondamentali. Dove vivi? In Giappone, in una città vicino a Tokyo Lì studi moda? Studiavo, in realtà mi sono appena diplomato. Pensi di continuare a vivere lì o desideri viaggiare e magari stabilirti in una città europea? No, voglio restare a vivere in Giappone anche se desidero far conoscere la mia collezione portandola in giro per il mondo. Come sei venuto a conoscenza di questo concorso? In Giappone è molto famoso! E’ la prima volta che vieni in Italia? Sì, in realtà è la prima volta che esco dal Giappone... Cavolo, che emozione! Ti ha accompagnato qualcuno della tua famiglia o un amico?
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Built to Resist PIG Magazine for Eastpak - www.eastpak.com Foto di Sean Michael Beolchini ed Ana kraš Built to Resist Collection
Marija Quali poster avevi appesi in camera quando eri una teenager? Kurt Cobain che gioca col suo gatto, una versione non-Disney di Alice nel Paese delle Meraviglie e qualche foto di fiori. Una cosa che tu e Belgrado avete in comune? Siamo entrambi senza nessuna sorta di piano. Una parola per descrivere l’Est Europeo. Sotterraneo. Qual è la tua band preferita del momento? In questi giorni sono in mood Shearwater.
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Eastpak ci ha portato in Serbia, a Belgrado, una città distrutta dalla sua stessa Storia, ma con un fermento artistico underground in continua evoluzione. E’ qui che abbiamo conosciuto i suoi giovani talenti creativi, trascorso qualche giorno con loro, capito come la ri-costruzione di quello che amiamo parte sempre dalle persone e come l’arte sia un mezzo per farlo.
Milutin Com’è cambiata Belgrado negli ultimi dieci anni? E’ un contenitore nuovo. Come credi sarà la città nei prossimi dieci anni? Molto più giovane. Qual è il tuo posto preferito della città? Ce ne sono molti, ma credo che Andricev Venac sia quello che più mi piace. Qual è la tua band preferita del momento? Kill me Laser. Cosa non vedi l’ora di fare? Il mio prossimo film.
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Jovana Da cosa sei legata a Belgrado? Dai natali. Qual è il tuo posto preferito della città? Il fiume. Una cosa che tu e Belgrado avete in comune? Le strade. Una parola per descrivere l’Est Europeo. Senso.
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Miloš Una parola per descrivere l’Est Europeo. Ovest. Una parola per descrivere l’Ovest Europeo. Perso. Qual è la tua band preferita del momento? Black Dice. L’ultimo concerto a cui sei stato? Dove? Islaja al Madame Claude, Berlino.
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Rados Com’è cambiata Belgrado negli ultimi dieci anni? In generale, in meglio. Come credi sarà la città nei prossimi dieci anni? Avremo sicuramente macchine che volano. Una parola per descrivere l’Est Europeo. The Flintstones. Una parola per descrivere l’Ovest Europeo. The Jetsons.
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Stefan & Milica Stefan: Qual è il tuo rapporto con Belgrado? Niente sesso prima del matrimonio. Quali poster avevi appesi in camera quando eri un teenager? Robbie Fowler, George Weah e Christian Vieri. Qual è la tua band preferita del momento? Harlem. L’ultimo concerto a cui sei stato? Dove? Chad Valley a Belgrado. Milica: Qual è il tuo rapporto con Belgrado? Siamo in una relazione attiva e aperta, quindi è incluso vedere anche altra gente. Qual è il tuo posto preferito della città? L’aeroporto. Una parola per descrivere l’Est Europeo. Low-fi. Qual è la tua band preferita del momento? Tame Impala, ma anche Haunted Graffiti di Ariel Pink mi gira di continuo in testa.
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Gaspar Noé Gaspar Noé quest’anno ha compiuto 47 anni. Regista francese che ha attirato i riflettori su di sé grazie al discusso e violento “Irréversible” (quello con la straziante scena di stupro, interpretato da Monica Bellucci e Vincent Cassel), si prepara a sconvolgere ed estasiare un’altra volta il suo pubblico con lo psichedelico “Enter the Void”. Abbiamo incontrato Gaspar il giorno dopo alla retrospettiva a lui dedicata a Circuito Off (e soprattutto dopo una festa serale in cui l’abbiamo visto ballare sbragatissimo). Faccia seria e sguardo indagatore, Gaspar è esattamente come ce lo immaginavamo: misterioso. Così, tra l’intimorito e l’eccitato, ci siamo recati nel suo albergo a Venezia dove ci aspettava pronto per una chiacchierata post pranzo. Intervista di Valentina Barzaghi. Foto di Sean Michael Beolchini
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Ciao Gaspar! Come stai? Direi molto bene, grazie. E' la tua prima volta a Venezia? No, è la seconda. Diciamo che con l'uscita del tuo ultimo lavoro, Enter the Void, avrai già rilasciato milioni d'interviste, quindi direi che iniziamo parlando un po' di te... Ti potresti descrivere usando tre aggettivi? 1 metro e 75, sfacciato e abbastanza forzuto. Qual è il ricordo più bello che hai di quando eri bambino e andavi al cinema? Diciamo che sono due, più legati ai film che non solo al cinema in sé: il primo è quando con i miei genitori, all'età di quattro o cinque anni, ho visto per la prima volta Jason and The Argonauts. Ci trovavamo a New York. Il secondo invece, accadde due o tre anni dopo a questo primo che ti ho raccontato e fu quando vidi per la prima volta, sul grande schermo 2001 Space Odyssey a Buenos Aires. Ce n'è anche un altro, quando ho visto Live and Let Die... Conosci il film di James Bond? Ero ancora un bambino e il film era vietato ai minori di 14 anni, ma ce la feci lo stesso a vederlo; avevo dieci anni ed ero così eccitato alla vista di tutte quelle donne fantastiche in un solo film ... Hai frequentato qualche scuola di cinema? Sì, mi sono iscritto quando avevo diciassette anni. La scuola si chiamava l'Ecolé de Lumiere e aiutava in una formazione cinematografica di tipo professionale. E' lì che ho imparato quasi tutto, da come accendere una camera all'utilizzo delle luci e molte altre cose che mi hanno aiutato poi nella mia professione. Diciamo che sei sempre stato uno che ama sperimentare, c'è molto lavoro dietro ai tuoi film. Ma credi che qualcuno che non ha mai frequentato una scuola di cinema o preso in mano una camera, possa provare lo stesso girare un film? Sì certo, ci sono un sacco di persone che conosco e che fanno bellissimi film, che non hanno mai frequentato nessuna scuola. Qualcuno magari che scriveva, altri che recitavano e che poi hanno deciso di trasformarsi in registi ... anche qualcuno che lavorava nella produzione di film... Non vedo perché no.... Ovvio che frequentare una scuola o avere amici della tua età che hanno la stessa passione aiuta, ma avere l'idea di cosa sia un film e il talento per farlo prescinde da qualsiasi scuola tu decida di frequentare. Visto che i registi mi parlano sempre di cosa amano di più del proprio lavoro, vor-
rei invece chiedere a te, che cosa odi di più dell'essere un regista. Direi che l'aspetto più complicato è sempre il rapporto che instauri con il tuo team di lavoro, che è anche quello che però succede in quasi tutte le professioni, non solo in quella di regista. Quando un gruppo di lavoro si va a formare, ci sono una serie di problemi legati ai ruoli, c'è molto testosterone in circolo, molte persone sono davvero egocentriche oppure ci sono quelli che insistono sul loro personale metodo di lavoro, pensano che tu non stia seguendo una strada giusta, che sbagli, anche perché arrivano con tutte le loro paure e preoccupazioni, credono che stai giocando a fare il papà, devi ottenere il loro rispetto, ti trovi nella situazione in cui spesso ti addossano le colpe, non perché sei tu, ma perché all'interno del progetto ti sei caricato di quel ruolo. Insomma, direi che è questo l'aspetto più difficile... Ma tu che tipo di regista sei sul set? Con gli attori sono molto alla mano, ma sono davvero ossessionato dalla costruzione dell'immagine. Voglio in continuazione migliorare quello che sto facendo e spesso rendo completamente pazzo il mio aiuto perché cambio i programmi in ogni momento e lascio le porte aperte a tutto quello che l'istinto dell'ultimo momento mi dice di girare... ed è così fino alla stanza di montaggio... quindi puoi immaginare... Quindi, solo per capire... Quanto tempo ci hai messo per girare Enter The Void? Quattro anni. Wow! Vorrei sapere che fine ha fatto il tuo aiuto regia dopo la chiusura dei lavori... Comunque diciamo che ora sta andando tutto per il meglio... Ho visto che Enter The Void sta uscendo un po' ovunque tra Europa e U.S.A. ... ma in Italia? Ha preso la BIM la distribuzione... Non so quando e in quante copie, ma lo vedrete di sicuro.... In U.S.A. sta uscendo con IFC Films.... loro hanno delle cose molte interessanti ho visto... Antichrist, Gomorra... Grazie al cielo quindi lo vedremo anche noi... Conosco la IFC Films, li seguo da un sacco, hanno della roba fantastica. Solo dal trailer si può vedere il lavoro che hai fatto, soprattutto con fotografia ed effetti speciali... In molte interviste che ho letto prima di incontrarti si diceva che ti sei ispirato ad un cult come Tron... Sì, in verità ho cercato di riportare quell'atmosfera particolare, con quel fumo che riempie gli spazi che è tanto cara nell'immaginario degli spettatori per quel film.
E poi hai collaborato anche con Pierre Buffin, autore degli effetti speciali dei film di Wong Kar-Wai ... wow! Sì, lui è quello che quello che ha curato tutta la parte di visual effects per 2046 ad esempio... Mentre la fotografia è stata curata da Benoit Debie, con cui avevo già lavorato per Irreversible. Due grandi professionisti! Mi daresti una tua definizione del termine "sex"? Il sesso è il modo con cui ci riproduciamo, l'unico modo che conosciamo per farlo. Quindi è una delle cose più importanti che facciamo. Visto che secondo me è uno degli aspetti molto importanti del tuo cinema, soprattutto vedendo anche i tuoi corti a sfondo erotico... mi potresti dire cos'è la sensualità per te? Se ti chiedessi di rappresentare il termine con una sola immagine, quale useresti? Probabilmente di mostrerei uno qualsiasi dei quadri di Klimt. Girando sempre intorno al tema... spesso hai fatto scandalo con i tuoi lavori, quindi vorrei sapere cosa per te è ancora ritenuto taboo ai giorni nostri... Purtroppo a mio avviso ci sono ancora troppe problematiche che ruotano attorno alla religione. Soggetti, argomenti problematici che non possono essere usati nel cinema come in altre forme d'arte, anche se insieme ad altri, per non avere casini. Quindi direi la religione. Tu sei religioso? No, sono totalmente ateo. A prescindere da questo però credo che non ci dovrebbero essere taboo quando si parla di immagini, perché niente dovrebbe essere considerato troppo estremo dal momento che si lavora con l'immaginazione. Ma capisco che entrano in gioco tanti fattori legati alla vita personale. Ti faccio un esempio: l'omosessualità è stato per molto tempo un taboo nel cinema, mentre oggi man mano, lo puoi vedere anche ai festival, si sta sdoganando perché è così anche nella vita e infatti molti film parlano proprio di questa "rivelazione" anche nell'ambito familiare. Questo è vero... Pensa che ultimamente a Locarno ho visto l'ultimo lavoro di Bruce LaBruce, LA Zombie, super hard a riguardo... non penso che un po' di tempo fa film di quel tipo sarebbe mai stato tenuto in considerazione per il concorso di un festival internazionale... ma credo che sia un ottimo passo in avanti... Sì certo, è così. Inoltre conosco Bruce La-
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Bruce, un ragazzo interessante direi... Se l'inferno fosse una sala cinematografica, cosa di farebbero vedere? Assolutamente Cannibal Holocaust (Ruggero Deodato, 1980, Ndr). Nel senso... se lo vedi una volta ok, ma se rimani in una sala per il resto dei tuoi giorni e te lo proiettano ancora e ancora... Cannibal Holocaust sarebbe insostenibile! Hai qualche rimpianto a livello lavorativo? Non ancora. Diciamo che ho posticipato alcuni progetti su cui vorrei mettermi, visto che per fare questo film - come per gli altri - ci ho messo parecchio tempo... Non sai mai quanto ti può occupare un lavoro, anche cinque o dieci anni. Forse il mio unico rimpianto è di non aver incontrato alcune persone giuste al momento giusto e quindi di aver dovuto aspettare... Molte persone ti aprono le porte, molte altre te le chiudono. Molti sono disposti a darti i loro soldi perché tu possa fare il tuo film... Il team con cui lavori è un aspetto essenziale come ti dicevo, ma ci sono tutta un'altra serie di figure a livello gestionale che ci ruotano attorno e il risultato finale dipende sempre da tutte queste persone, non solo dal producer, o il regista, gli attori. Se hai la fortuna di incontrare gente valida nel momento propizio, ci sono molte più probabilità che farai un buon film. Il film più bello che hai visto recentemente? Ho pianto guardando Toy Story 3 (ride). Mi è piaciuto davvero un sacco, credo che un casino di gente abbia pianto con quel film. Quando ho iniziato a piangere non credevo che stesse succedendo davvero... è emozionante in maniera incredibile. Come spiegheresti a un bambino cos'è la violenza? Gli darei uno schiaffo sul viso (ride). Qual è la cosa che temi di più al mondo? Tic, tic, tic, tic... non saprei... credo che come per molti altri sia una possibile Guerra Nucleare. O il ruolo sempre più opprimente che i computer stanno assumendo nelle nostre vite. Mi puoi già raccontare qualcosa sui tuoi piani futuri? Spero che il mio prossimo film sia qualcosa di davvero melodrammatico ed erotico allo stesso tempo. Ho già lo script pronto. Non so ancora quando mi metterò al lavoro, ma diciamo che questo è quello che vorrei fare. Qual è la cosa migliore che hai sentito su di te? Per quanto riguarda l'ultimo film la migliore recensione che ho avuto diceva che ho cer-
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cato di reinventare il cinema, anche il New York Times è stato molto gentile, mentre un giornale argentino ha scritto che è il peggior film che sia mai stato proiettato al Festival di Cannes (ride di gusto). In verità quando fanno delle recensioni negative, in cui gettano sopra ai miei film un sacco di merda, mi diverto perché so che quella persona è quasi arrabbiata. Non lo prendo solo come un commento. Mi piace far arrabbiare la critica. Quando leggi questo tipo di articoli capisci che ci sta qualcosa dietro... Cosa odi di più delle interviste giornalistiche?
Non è tanto per le interviste in sé, quanto che spesso passi tutto il giorno a ripetere le stesse cose. Se hai solo qualche sessione d'intervista da fare ok, ma ad esempio sono stato a Barcellona recentemente e ho parlato dalle otto di mattina alle sette di sera: mi sentivo come un prigioniero che veniva torturato di domande. Non avevo dormito la notte prima e mi riempivano di domande, mentre volevo solamente dormire; anche se in verità non era nemmeno tanta colpa dei giornalisti, ma dei distributori. Spesso i giornalisti però fanno tutti le stesse domande... Sì, ho letto un po' le interviste che ti han-
no fatto per Enter the Void e tipo, una domanda che non mancava mai era "Perché hai scelto Tokyo come ambientazione?" (risposta: le altre locations papabili erano NYC o Londra, ma poi ha optato per Tokyo dopo diversi anni in cui ha viaggiato per vedere quale fosse l'ambientazione migliore, perché nessuna delle altre aveva lo stesso aspetto futuristico, quello che lui voleva assorbire da film come Tron o Blade Runner Ndr)... Sì, perché quella "vedi fratello e sorella come coppia?" ... Ci sono domande a cui ho risposto un miliardo di volte... Non lo so,
poi onestamente le interviste in generale sono qualcosa di molto statico, preferisco andare a cena o bere qualcosa con le persone perché così si instaura una discussione, è tutto più rilassato. Unica domanda "giornalistica" che ti faccio perché mi interessa sempre scoprire come nascono i film... Ti ricordi quando ti è venuta l'idea per Enter the Void? In verità è stato molto tempo fa... appena finita la scuola di cinema volevo assolutamente realizzare un film psichedelico che fosse visto-vissuto attraverso gli occhi dei suoi personaggi, come se fossero in un con-
tinuo stato di allucinazione, tipo come dopo aver ingerito dei funghetti. Ho lavorato allo script per molti anni, cercando di calarmi il più possibile in quello che dovevo fare... Mi dici cosa vorresti che le persone che non hanno ancora visto il tuo film sapessero su Enter the Void? Fondamentalmente vorrei che sapessero che non devono leggere articoli, recensioni, prima di andarlo a vedere. Da cosa leggi dipende da come sarai influenzato, poi alcune ti svelano troppe cose, altre addirittura come va a finire... Insomma, se vuoi farti un'opinione che sia soltanto tua, vai a vederlo senza prima leggere nulla a riguardo. Poi altra cosa importante è guardarlo in un cinema con uno schermo molto grande. Poi direi che è meglio guardarlo senza sottotitoli, perché il film gioca già su più dimensioni ed effetti, quindi meglio doppiato o in lingua originale, perché altrimenti diventa troppo complicato, ti sconcentra da quello che stai guardando. Poi è una sorta di film ipnotico, che contiene un sacco di effetti strani. Le persone che amano avere il controllo sulle loro percezioni non lo ameranno probabilmente, perché le mette alla prova. Hai qualche incubo ricorrente? Ti capita mai di usare quello che sogni nei tuoi film? No, non spesso. Mi capita di fare sogni strani certo, ad esempio uno abbastanza frequente è un'esplosione atomica in una Parigi deserta o qualche incubo in cui ci sono persone che si uccidono a vicenda. I miei film non parlano di queste cose nello specifico, anche se alcune tematiche poi si possono ritrovare. Diciamo quelle più legate ad un aspetto pauroso. Sei felice? Mah... direi di sì... per certe cose potrebbe andare meglio, ma direi che non ho molte ragioni per non esserlo... La domanda che nessuno ti ha mai fatto, ma a cui ti piacerebbe rispondere? Uccidi le persone nei tuoi sogni? E la risposta sarebbe? Sì (ride). Tu mai? Sì mi è capitato, ma credo che sia capitato a tutti. No, ogni volta che mi capita di dirlo e chiedo alle persone se a loro è mai successo mi dicono "no, no, no". Ma credo che sia comune: alcune persone sognano di fare sesso con persone reali o meno, altre le danneggiano... Grazie Gaspar! A te, ciao.
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Mount Kimbie Intervista di Gaetano Scippa. Foto di Piotr Niepsuj
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Mount Kimbie è un luogo immaginario intimo e ovattato, forse notturno, dove risuonano riverberi, fruscii e voci lontane. Un posto dove Kai Campos e Dominic Maker vogliono condurci con pacato entusiasmo, senza strappi o eccessi di volgarità espressiva, come potrebbe facilmente accadere a dei giovani produttori in cima all’hype dell’elettronica britannica. I ragazzi, innovativi e dal palato fine, in cima ci sono arrivati dopo due acclamati EP (“Maybes” e “Sketch On Glass”) e un album di successo globale, “Crooks & Lovers”. Lanciati da Scuba, i due sono emersi così dal marasma post-dubstep, insieme all’amico-collaboratore James Blake e a pochi altri, con idee chiare, una lodevole qualità creativa e una giusta ambizione. Cerchiamo di conoscerli meglio attraverso le parole di Kai Campos che, tra una data e l’altra del tour europeo con gli xx, si è reso disponibile per quest’intervista.
Cosa provate ad essere uno dei nomi più caldi del momento? Sentite pressione per tutto questo clamore? Sì e no. Suppongo che tu non possa fare a meno di essere condizionato quando le persone ascoltano e hanno reazioni alla tua musica, ma l’unica pressione che possa davvero influenzarti positivamente è quella che metti a te stesso. Partiamo dall’inizio, per conoscere un po’ del vostro background. Quanti anni avete? Entrambi 24. Dove siete cresciuti? Io sono cresciuto per lo più in Cornovaglia, mentre Dom vicino Brighton. Come trascorrete una giornata qualsiasi? Negli ultimi mesi sempre sveglia, doccia, aeroporto, macchina, hotel, concerto. A ripetizione! Ma non credo al momento ci sia un’idea precisa di giornata ordinaria. Quando torniamo a Londra, però, ci manca il tram tram del viaggio. E’ incredibile la varietà di posti che vediamo andando in giro a suonare. Vi siete conosciuti all’Università di Southbank. Quali corsi stavate seguendo e perché avete mollato gli studi? Dom in realtà ha terminato i suoi studi di cinema, si è diplomato. Io invece studiavo arts management e mi piaceva, ma a un certo punto mi sono stufato e mi sono detto che se avessi preso seriamente la musica per un anno almeno le avrei dato una possibilità, anche senza la certezza che avrebbe funzionato. Cosa avevate in comune tu e Dom al momento di conoscervi? Quando ci siamo incontrati la prima volta entrambi ci eravamo appena trasferiti a Londra ed entrambi ascoltavamo musica dubstep, partecipandone con entusiasmo nel 2006. Alla luce dei fatti, fu molto importante questa nostra condivisione. Gli amici sono amici, ma cosa vi ha spinto a formare i Mount Kimbie? Abbiamo cominciato buttando giù un paio di canzoni e, come tutte le giovani band, abbiamo pensato a un profilo su myspace. Trovandoci bene insieme, cosa piuttosto rara tra persone che producono musica, abbiamo deciso di continuare.
Da cosa deriva il nome Mount Kimbie? Immaginate questa intervista su PIG se vi foste chiamati Vertical PIG… Eh, se davvero fosse successo (ride, ndr). Credo che il nome non abbia un significato particolare. A Dom non piaceva il nome Vertical Pig, forse a causa di come appariva graficamente. Comunque sia, io volevo che fosse composto da due parole e che rappresentasse un luogo immaginario. Lavorate insieme, ma separati. Chi fa cosa e come? Abbiamo quasi sempre cominciato a creare musica separatamente, ma, nonostante ciò, non abbiamo ruoli diversi. Solo dal vivo, ovviamente, facciamo cose differenti. Ma in studio di registrazione funziona meglio così, perché puntiamo pressoché allo stesso risultato pur sorprendendoci spesso l’uno con l’altro. L’impressione è che abbiate un ottimo feeling insieme, una bilanciata percezione della musica. Sì, credo che lavorare con qualcun altro ti spinga ad essere maggiormente creativo anche perché devi prendere in considerazione il punto di vista dell’altro. In fondo noi di solito riusciamo a capire quando siamo entrambi soddisfatti di qualcosa. Crooks & Lovers è uno dei migliori dischi dell’anno, personalmente con un unico difetto… la copertina. Questa non è una domanda! Personalmente adoro la cover, ma può darsi che per poterla apprezzare tu debba vederla con tutto il disco e contestualizzarla. La maggior parte delle persone vede solo la copertina frontale online. L’album completa il vostro percorso artistico dopo due EP di successo. Come avete selezionato i pezzi da inserire? Essenzialmente sono quelli che abbiamo finito. Abbiamo cominciato a produrre molte tracce, ma quelle ultimate sono tutte racchiuse nei tre dischi. C’è più cantato e la melodia sembra evolvere. Volete arrivare a scrivere canzoni pop? Siamo sempre stati influenzati dal pop e credo che questo sia la base di tutto ciò che facciamo. Non so se questa nostra attitudine
cambierà col tempo, ma sembra che tutto quel che abbiamo fatto finora e in qualsiasi ambiente sia stato ricondotto a una sorta di struttura pop. E’ qualcosa di grandioso se realizzato nel modo giusto. Ad ogni modo non sono sicuro che scriveremo canzoni più pop di così, è davvero un lavoro impegnativo. Come mai prevalgono atmosfere fumose e malinconiche, come una specie di sensazione post-rave? Anche se speriamo che in questo lavoro si possano percepire diversi stati d’animo, quella è certamente l’idea che ci ha maggiormente ispirato. Non da ultimo il primo disco di Burial, che quando è uscito per noi è stato fondamentale. Cosa puoi raccontare di Carbonated, una delle tracce personalmente più piacevoli e meglio riuscite dell’album? Per la verità quella è stata l’ultima canzone inserita nell’album per sostituire un pezzo più corto. Stavo cazzeggiando con James Blake durante il mixaggio del disco, a casa sua, quando accidentalmente ho fatto partire alcune parti di una nostra vecchia canzone. Ci ho messo su un filtro e quello ha creato l’effetto che si sente del bastone della pioggia. Ho iniziato e finito il pezzo in un pomeriggio, la mattina seguente ho “consegnato” l’intero album. Ero preoccupato che sarebbe sembrato spazzatura dopo una settimana di ascolti, invece sono rimasto soddisfatto del risultato e dei buoni riscontri ricevuti da fuori. In che misura l’ambiente e le registrazioni sul campo hanno influenzato l’opera? Probabilmente meno di quanto la gente si immagini o sia stato scritto. Voglio dire, sono elementi che hanno determinato in qualche modo la produzione del disco e ci hanno fatto riflettere molto sullo spazio e sulle dinamiche. In certi casi le canzoni partono appoggiandosi ai field recordings, che però nel miscuglio finale dei suoni non emergono. Dalle gallerie del vento alle cattedrali. Qual è la vostra esperienza di registrazione più esaltante o curiosa? Nessuna di davvero memorabile! Però ti posso raccontare un episodio divertente, quando abbiamo fatto rimanere in piedi al gelo per
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tre ore i nostri amici James Blake e Sinead con in mano i microfoni mentre io e Dom lanciavamo sassi sul muro completamente ubriachi. Avete mai pensato di sviluppare il lato noise di chitarra per ottenere un suono più ipnotico piuttosto che usare riverberi e loop? In generale mi sembra che le tecniche di chitarra noise siano state fin troppo assimilate. Qualcosa che è già stato fatto non ci interessa più di tanto. Siamo sempre un po’ diffidenti nei confronti di chi si nasconde dietro una nebbia di riverberi. Piuttosto, dal vivo preferiamo usare la chitarra in modo più ambient. Perché secondo voi c’è una tendenza nella musica elettronica a cercare suoni più organici, a suonare strumenti piuttosto che usare campioni? Ci stiamo interessando sempre di più, anche se gradualmente, al processo di sintesi. In qualsiasi modo esso si possa realizzare, l’idea di trarre qualcosa di umano da un sistema digitale o da una serie di regole è affascinante. E’ una barriera dell’essere umano che però spesso spinge l’artista a superare se stesso. E’ la musica dance – di cui fate parte, non è così? – a guardare sempre più all’indie rock o viceversa? Sto pensando al vostro pezzo Field. Non saprei dirti. Probabilmente ti direi che sì, facciamo parte dell’ambito dance. E che quel pezzo è effettivamente influenzato dalla musica indie come da un mucchio di altre cose. Penso anche ai remix per Foals e The XX. Sì, credo dipenda molto dall’uso delle voci. Sarebbe, anzi sarà interessante vedere come saranno percepiti in futuro con l’aggiunta di cantanti. Elettronica glitch, hip hop, trip hop, UK garage, post-rock. Alcuni associano la vostra musica persino alla musica concreta. Da J. Dilla ai Tortoise via Massive Attack e Pierre Schaeffer…non vi pare un po’ esagerato? Accostarci alla musica concreta in effetti è un po’ forzato. Come dicevamo prima, secondo noi la musica è molto ancorata al pop. Ci piace la musica che non strafà, come quella che facciamo noi. Il dubstep è morto, lunga vita al dubstep (e al post-dubstep). Dite sempre di non voler essere associati al movimento, eppure siete pubblicati dalla Hotflush di Scuba e alcune vostre tracce rimandano a FaltyDL, James Blake se non Burial… Sai, il d*****p significa qualcosa di completamente diverso da quello che fu quando io e Dom iniziammo a fare musica insieme. Mi piacerebbe davvero che tutti gli artisti legati al ‘post-dubstep’ si incontrassero almeno una volta al mese per decidere come disegnare il futuro, ma purtroppo non è così. A tal roposito, come avete conosciuto Paul
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Rose (Scuba, ndr)? Ci crederai o no, ci siamo conosciuti su dubstepforum quando ancora valeva la pena visitare quello spazio sul web. Lui e in generale la vita notturna di Berlino hanno ispirato in qualche modo le vostre composizioni? Decisamente. E’ stato stupendo a Berlino, per cui ci torniamo il più spesso possibile e ogni volta proviamo a ricavare più tempo per noi stessi prima e dopo ogni concerto. Ad essere onesti non conosciamo benissimo la vita notturna della città, voglio dire, siamo stati al Berghain e in altri ottimi club ma non è questo il motivo principale per cui amiamo Berlino. A me piacerebbe motissimo farci un disco, perché lo spazio e la luce lì sono fantastici e il senso di libertà è palpabile. Sembra ridicolo, ma è così. Hai menzionato più volte James Blake, vostro amico e collaboratore per i live. Come è stato ed è lavorare con lui? Cosa pensate del suo crescente successo? E’ bellissimo lavorare con James perché ha un gusto molto personale e individuale sulla musica ed è sempre alla ricerca di nuove strade da percorrere nel lavoro. Sul fatto che sul suo nome cia sia un certo ‘hype’, secondo me è una questione di ‘quando’ piuttosto che di ‘se’. E’ un produttore e musicista di gran talento con una voce incredibile e una matura sensibilità compositiva. Com’è stare in giro in tour in Europa per mesi e aprire le date degli XX? E’ fantastico, stiamo imparando molto sulle performance dal vivo, su come le cose debbano funzionare in quel contesto. Abbiamo anche imparato che se facciamo un disco sufficientemente bello altre persone ti tireranno dietro merda. Quanto è importante per voi suonare dal vivo? Lavoriamo duro per migliorare i nostri spettacoli, un’attività istruttiva per riflettere e riconsiderare il nostro stesso modo di fare musica. Interagire in tempo reale con il pubblico e la propria musica, appassionarsi alla fisicità di quest’ultima e delle performance sono esperienze illuminanti. Stiamo già pensando a un nuovo disco, non vediamo l’ora. Ci tufferemo a registrare non appena avremo finito il tour e imparato nuove cose. Qual è stato il vostro miglior concerto finora e per quale ragione? Difficile dirlo. Parecchio tempo fa abbiamo suonato da Ronnie Scott a Soho, Londra. E’ stato a dir poco incredibile, anche considerato che mi piace molto il jazz e quando ero più giovane ascoltavo tutti i cd di Ronnie Scott. Quello stesso palco è stato calcato in passato da moltissimi musicisti straordinari. Anche se sono convinto che abbiamo suonato o fatto
concerti migliori in altre occasioni, quella volta mi è rimasta impressa e la ricorderò per sempre. Avete già ricevuto proposte indecenti da qualche groupie? Non abbastanza indecenti. Finora. Descrivete la donna perfetta. Deve essere una fan dei Mount Kimbie. E tettona. Cosa farete quando sarete ricchi e famosi? Penseremo: “Meno male, siamo felici di essere usciti dall’industria discografica”. Ascoltando Between Time mi domando se conoscete qualche compositore italiano o di origine italiana oltre al Badalamenti di Twin Peaks. Io no, ma li cercherò. E’ sempre interessante quando qualcuno trova delle influenze che non sono le tue. E che in genere sono di autori molto validi. Quella canzone è un furto spudorato, ma non delle loro composizioni. Senza suggerimenti, sapete dirmi almeno un artista di italo disco? Temo di no. Magari sembrerò un idiota, ma un tempo pensavo che la roba DFA fosse davvero figa e oggi credo che ci sia una certa connessione o influenza. Ah, non è che intendevi ragazzi come Linda Jo Rizzo, Chip Chip, Radio Rama, Eddy Huntington, Albert One, Miko Mission, Sabrina, Grant Miller, Max Him? Qual è il vostro film preferito? Quando siamo in giro facciamo una classifica delle prime puntate della serie tv Eastbound & Down e ce le guardiamo di continuo. Vale come risposta? Qual è il miglior cibo che abbiate mai mangiato? Insieme? Alcune fritturine che Paul Rose ci ha offerto a Soho. Ditemi cinque canzoni o remix da non perdere questo mese. Nils Frahm – Unter Phil Kieran – Skyhook (Scuba remix) James Blake – I Only Know (What I Know Now) Mount Kimbie – alcune cose nuove su cui stiamo lavorando LA Vampires & Zola Jesus – Searching I cinque migliori album di sempre? Quasimoto – The Unseen The Microphones – The Glow pt. 2 Red Hot Chilli Peppers – Blood Sugar Sex Magic Pavarotti – Hits & More John Coltrane – A Love Supreme Descrivete l’album perfetto. E’ quello che non può essere descritto. Quali sono i vostri piani futuri? Guadagnare soldi, essere pagati, stare meglio. Fare altri dischi e sperare di rimanere onesti e in qualche modo lasciare il segno.
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The Drums Intervista di Marco Lombardo. Foto di Luca Campri Ciao Jonny, hai voglia di introdurre i The Drums ai lettori di PIG e di raccontarci un po’ la vostra storia? Certo, molto volentieri. Siamo una band di Brooklyn formata da quattro persone. Io canto, Jacob Grahaman suona la chitarra, Adam Kessler il basso e Connor Hanwick la batteria… Io e Jacob abbiamo formato il gruppo poco più di un anno fa e rappresentiamo il nucleo pulsante dei The Drums. Ci conosciamo ormai da dieci anni ma solo di recente abbiamo realizzato di essere in simbiosi dal punto di vista creativo (esplode a ridere). I The Drums non sono il nostro primo esperimento, gli altri però sono falliti miseramente. Non era ancora il momento giusto… Come ti dicevo ci conosciamo da parecchio tempo ormai. Ci siamo incontrati la prima volta in un campo estivo religioso, più di dieci anni fa. Eravamo entrambi degli outsider, ragazzini molto timidi e un po’ problematici; è stato naturale fare subito amicizia. Ci siamo avvicinati grazie alla musica e a una passione comune per oscure band indie-pop europee. Tempo qualche giorno e siamo diventati migliori amici, come solo dei teenager possono diventarlo. Poi l’estate è finita e ci siamo separati. Non ci siamo persi di vista comunque. Abbiamo iniziato a scriverci un sacco di lettere e a vederci in estate, a casa di uno o dell’altro. Crescendo abbiamo formato band diverse, tenendoci continuamente aggiornati sulle rispettive situazioni e rimbalzandoci idee e suggerimenti. Una volta abbiamo anche provato a scrivere qualcosa insieme, muovendoci su coordinate elettroniche e sperimentali, ma la cosa è naufragata in fretta. Qualche mese più tardi ho formato i Goat Explosion, una band elettro-pop, e siamo partiti per un tour negli Stati Uniti, così ho contatto Jacob e gli ho chiesto di unirsi a noi per qualche data. Alla fine di quella esperienza non ci siamo parlati per cinque anni. Io ho formato gli Ekland e lui gli Horse Shoes, gruppi con i quali abbiamo anche pubblicato dei dischi ma senza riuscire a fare il salto di qualità. Dopodiché mi sono ritirato per un po’. Ero in procinto di smettere con la musica quando dal nulla ho ricevuto un email di Jacob: mi proponeva di tornare a suonare insieme. All’epoca lui viveva in Florida e io a New York. Senza pensarci troppo ho preso la macchina e sono andato a trovarlo. Questa volta le cose hanno funzionato e sono
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I Drums sono uno dei fenomeni pop del 2010. Vengono da Brooklyn e con il singolo “Let’s go surfing” hanno contagiato anche le sonnacchiose radio italiane. Il loro album d’esordio, omonimo, ha raccolto i favori di critica e pubblico con un pop umorale, in bilico tra Beach Boys e Joy Division. Abbiamo intervistato Jonathan Pierce, il cantante del gruppo, e ci siamo fatti raccontare cosa si prova a stare sulla copertina del New Musical Express mentre Radio 1 della Bbc trasmette il proprio demo, tra un brano di Lady Gaga e uno di Jay-Z. E pensare che Jonny, a ventanni, voleva già smettere di suonare…
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nati i The Drums. Sulla vostra pagina di Myspace citate come influenze, accanto a mostri sacri come Joy Division, The Shangri-Las, Orange Juice e The Wake, tre gruppi svedesi: The Tough Alliance, The Embassy e The Legends. Un fatto abbastanza inusuale per una band americana. Cosa vi lega alla scena indie scandinava? Sono band che apprezziamo per la straordinaria cura con la quale confezionano canzoni “classiche”, senza tempo. Condividiamo con loro un approccio artigianale alla “materia pop” e una sensibilità melodica che ci spinge alla ricerca ossessiva del brano perfetto. Come avete scoperto queste band? Grazie a internet ovviamente. Prima di diventare noi stessi musicisti siamo stati degli ascoltatori voraci, alla costante ricerca di nuovi input. La rete ha reso il mondo piccolissimo e la Svezia, di conseguenza, più vicina. Abbiamo instaurato un rapporto personale con questi gruppi, basato sulla stima reciproca. Eric dei The Tough Alliance è un mio caro amico, l’anno scorso è stato da me a Brooklyn. Mi è dispiaciuto scoprire del loro scioglimento. Non me lo aspettavo, non sapevo avessero dei problemi. Eric d’altronde è un tipo molto riservato, non mi sorprende il fatto che non abbia mai accennato nulla della cosa. Li ritengo una delle migliori band del decennio; sono stati in grado di creare una forma di pop estremamente personale e innovativa, a suo modo unica. Spero che il loro talento non vada perduto… Uno dei nostri primi concerti come The Drums è stato di spalla ai The Legends e poi Jacob ha conosciuto il cantante degli Embassy. In fondo credo sia naturale che artisti con una sensibilità comune alla fine stringano dei legami. Cosa si prova a essere sulla copertina di NME? Hai vissuto quel momento come un punto di arrivo, la conferma di un successo ormai alle porte? E’ stato un momento davvero strano per noi. Abbiamo formato la band poco più di un anno fa, esordito dal vivo pochissimo tempo dopo, e poi all’improvviso eccoci sulla copertina di uno dei magazine musicali più influenti al mondo. Ci siamo interrogati su quello che stava accadendo. E’ stato un periodo intenso, zero tempo per riflettere e interiorizzare. Ci siamo chiesti: le cose ci stanno sfuggendo di mano? Alla fine però ci siamo rilassati. Se stare sulla cover di quel giornale significa non essere scesi a compromessi e aver modificato il nostro suono o la nostra estetica non può che essere una cosa positiva, di cui andare fieri. Molte band per raggiungere quel traguardo cambiano la loro essenza, diventano più commerciali, si adeguano agli standard produttivi. Noi
abbiamo fatto tutto da soli, registrato il disco nelle nostre camere da letto, seguito il nostro istinto creativo. Se il mondo del mainstream è pronto ad accettarci per quello che siamo è una conquista. Forse se gruppi come i Field Mice all’epoca avessero raggiunto quel tipo di esposizione, oggi non saremmo ancora surclassati da bubble-gum pop insipido e dozzinale, e le chart ci proporrebbero qualcosa di diverso. In radio, invece di ascoltare gruppi senza anima e senza cuore, magari ci sarebbero i Camera Obscura a vendere milioni di copie. Stare sulla copertina del New Musical Express può voler dire contribuire a migliorare la scena mainstream e alzare il livello qualitativo della musica da classifica? Se è così la cosa ci rende orgogliosi. Sentire la prima canzone che abbiamo scritto nel sua versione demo su Radio 1, tra un pezzo di Lady Gaga e uno di Jay-Z, è stata una soddisfazione immensa e forse il segnale che qualcosa potrebbe mutare nel gusto del grande pubblico in futuro. Avete suonato dal vivo durante l’ultimo festival di Cannes. Ho guardato le immagini della vostra esibizione su You Tube e la situazione mi è parsa alquanto surreale, sembravate dei pesci fuor d’acqua, messi lì un po’ per caso. Come avete vissuto quella esperienza? Ci siamo divertiti, anche se hai ragione, è stato tutto un po’ anomalo. Eravamo a Berlino ed è arrivata una telefonata al nostro manager con la proposta di sostituire l’esibizione televisiva di Lady Gaga, che aveva dato forfait all’ultimo minuto, con un mini set dei The Drums. Abbiamo accettato e ci siamo precipitati verso la Francia. Siamo rimasti solo poche ore a Cannes, il tempo di prendere un po’ di sole e suonare una manciata di brani. Ci siamo esibiti tra l’indifferenza e la sorpresa degli ospiti della trasmissione, defilati su un palco vicino al mare, con un pubblico di passanti e curiosi. Avendo un’idea romantica della televisione, legata a un immaginario degli anni cinquanta-sessanta, ritrovarsi concretamente in quel calderone è stato in effetti un po’ straniante. Immagino che non abbiate avuto il tempo di assistere a nessuna proiezione… Esatto, siamo rimasti solo poche ore. L’ho sempre letto nelle interviste di altri artisti e ora mi accorgo di quanto sia vero: quando sei in tour difficilmente riesci a visitare le città dove suoni, giri il mondo ma più che altro vedi l’interno di un tour bus, la location di un concerto e, se sei fortunato, l’area immediatamente adiacente. I momenti turistici sono pressoché inesistenti. Siete all’apice della vostra carriera, almeno sino a questo momento. Quante interviste fai al giorno? Ti pesa il corollario mediatico che circonda il successo di una band?
Speravamo in tutto questo quando abbiamo iniziato, non te lo nascondo. Di fatto però a volte può essere un po’ stancante. In questo periodo abbiamo un ritmo di sei-sette interviste al giorno, poi c’è il soundcheck e il concerto. Le nostre giornate trascorrono spesso all’interno di questa routine lavorativa. In fondo però è quello che abbiamo sempre voluto. Il vostro singolo Forever and Ever Amen è stato remixato dai Saint Etienne. Come ci siete riusciti? Sono da sempre uno dei nostri gruppi preferiti. La loro cover di Kiss & Make Up dei Field Mice è in assoluto uno dei brani di riferimento per i The Drums. Fantasticando su alcuni nomi di artisti da cui avremmo voluto essere remixati i Saint Etienne sono stati immediatamente i primi della lista. Non avremmo mai creduto che una cosa del genere potesse interessarli. Li abbiamo contatti, senza alcuna speranza, giusto per non lasciare la cosa intentata, e con nostra grande sorpresa ci hanno subito risposto positivamente. Siamo rimasti senza parole. Si è realizzato uno dei nostri sogni. Dopo una settimana avevamo tra le mani il loro remix. Non riuscivamo a crederci. Non li abbiamo ancora incontrati di persona ma speriamo di farlo al più presto. Vi piacerebbe essere remixati da altri artisti in particolare? In realtà non ci coinvolge molto quel tipo di approccio. Per i Saint Etienne si trattava di una cosa diversa. Siamo più interessati a delle vere e proprie reinterpretazioni dei nostri brani, che spesso affidiamo a nostri amici o band ancora sconosciute, come nel caso della Knight School Version di Let’s Go Surfing, che troviamo fantastica. Preferiamo muoverci in quella direzione. Quali sono secondo te le principali differenze tra il vostro primo Ep, Summertime, e l’album di debutto? C’è stata una evoluzione di scrittura durante le due release? Non direi, quasi tutti i brani sono stati scritti nello stesso arco di tempo di sei mesi. L’approccio alla composizione è dunque lo stesso. Abbiamo raccolto circa trenta canzoni e abbiamo deciso di pubblicare per prime le tracce più estive. Siamo partiti da un blocco di materiale molto eterogeneo e lo abbiamo suddiviso a seconda delle suggestioni che ci evocava. Una volta scremati i brani più leggeri e spensierati, che sono entrati a far parte dell’ep, sono rimasti quelli più autunnali, introspettivi e personali, che sono poi finiti nell’album. Credo che il disco sia più dark rispetto al materiale dell’ep. Oltre alla musica, da dove traete ispirazione? Gran parte degli input che ci influenzano e ci spingono a scrivere canzoni non hanno nulla a che fare con la musica in senso stretto. Partia-
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mo spesso da fotografie del passato o da vecchie polaroid che ci trasmettono un indefinito senso di malinconia e da quelle suggestioni visive proviamo a comporre delle melodie che possano tradurre quelle sensazioni in musica. Il nome The Drums è nato così: da una vecchia fotografia trovata in una scatola nel garage di Jacob, in Florida. Una foto sbiadita di un gruppo di adolescenti che suonavano la chitarra, alla fine degli anni cinquanta. Abbiamo iniziato a fantasticare su quell’immagine e gli abbiamo costruito attorno una sorta di trama. Ci siamo immaginati quei ragazzini come parte di una band chiamata The Drums, un giovane gruppo in procinto di conquistare il mondo… Per noi ogni canzone è una sorta di sonorizzazione di un immagine, la colonna sonora di un frammento visivo, con le sue atmosfere specifiche. Come se ogni volta cercassimo di ricreare un mondo diverso. Ci sono degli artisti che con cui sentite di condividere la stessa visione estetica? Apprezziamo particolarmente una giovane band di Phoenix, Arizona, i The Young Friends. Abbiamo moltissime cose in comune con loro a livello di immaginario. Siamo sulla stessa barca. Ovviamente sono diventati degli amici carissimi. Ne sentirete parlare presto. Tu e Jacob riuscite a separare la vostra amicizia personale e la relazione che avete all’interno dei The Drums? No, non penso proprio. In realtà non vogliamo che siano due cose distinte. La nostra amicizia in fondo è un elemento fondamentale della band, una parte importante del puzzle. La prima canzone che abbiamo scritto si chiama Best Friends, come potremmo non tenerne conto? Tra noi due ci sono delle dinamiche creative che rendono il suono dei The Drums quello che è proprio per via di questa amicizia; è una parte integrante del gruppo. Se la vostra amicizia dovesse corrompersi pensi che riuscireste lo stesso a portare avanti la band o preferiresti intraprendere una carriera da solista? E’ una domanda difficile. Onestamente è uno scenario a cui non voglio pensare al momento. Come The Drums abbiamo intenzione di pubblicare quattro o cinque album, anche meno, e poi scioglierci. Non vogliamo continuare all’infinito. Anche se l’idea di proseguire da solo mi spaventa parecchio. Secondo te quanti anni dovrebbe durare una rock band per non rischiare di cadere nella parodia di se stessa? Dipende da ogni gruppo. Noi smetteremo non appena avremmo imparato a suonare i nostri strumenti e saremo diventati bravi a fare quel che facciamo. Quando non ci sono più margini di crescita e miglioramento non ha alcun senso continuare. Abbiamo iniziato un anno fa e ci siamo prodotti un disco da
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soli, senza la minima idea di cosa stessimo facendo. Il giorno in cui saremo consapevoli dei trucchi del mestiere la nostra avventura sarà finita. La maggior parte delle band cominciano in uno stato di purezza e ingenuità che rende la loro musica magica, anche se piena di sbavature, e poi non appena raggiungono la maturità si perdono per strada. Secondo me la consapevolezza tecnica il più delle volte è un veicolo per la noia. Non vogliamo fare quella fine. C’è una canzone in particolare che ha cambiato la tua prospettiva sulla musica, o che ti ha spinto a fare questo mestiere? Non so se nello specifico sia il brano che mi ha fatto imbracciare una chitarra per la prima volta ma I have always loved you, di Dolly Parton, è sicuramente quello che avuto il maggior impatto emotivo su di me in passato. Rappresenta un esempio perfetto di quanto una melodia e delle parole possano essere elementari ma nonostante questo, se combinate con la giusta misura, straordinariamente potenti ed evocative. Conosci e apprezzi qualche artista italiano? Mi cogli alla sprovvista, non so farti dei nomi ma siamo tutti fan dei suoni Italo-Disco. E’ stato un periodo incredibilmente creativo per la musica elettronica, avete lasciato un’eredità importante. Avete mai provato a sperimentare quei suoni con i The Drums? E’ una direzione che potrebbe interessarvi? Abbiamo passato la nostra adolescenza a smanettare sui synth e soltanto un anno fa abbiamo deciso di imbracciare le chitarre. In questo momento un approccio elettronico non ci interessa, abbiamo già attraversato quella fase e ci ha annoiato in fretta. La primissima versione di Best Friends era molto più elettronica poi sono arrivate le chitarre e tutto è diventato più divertente. Ci vorranno degli anni prima che ci torni voglia di sperimentare con i sintetizzatori, le chitarre sono ancora uno strumento esotico per noi, tutto da scoprire… Mi racconti come nasce una vostra canzone? All’inizio io mi occupavo di scrivere i brani e poi insieme a Jacob ne valutavo il potenziale. Tutto è cambiato il giorno in cui abbiamo scritto insieme Best Friends; da lì la fase compositiva è diventata una cosa a due, abbiamo resettato tutte le idee precedenti e sono nati i The Drums. Le canzoni che abbiamo pubblicato sinora sono state in gran parte scritte e registrate con un equipaggiamento a dir poco spartano e minimale: un computer, una chitarra, una tastiera per i suoni del basso –non potevamo permetterci un basso vero- un microfono da 35 dollari e una scatola mono effetto per il riverbero, con la quale dare mag-
giore corposità al tutto. Una scelta obbligata in quanto eravamo completamente senza soldi. Un set-up estremamente limitato che però si è rivelato fondamentale per lo sviluppo di una nostra estetica personale. Abbiamo fatto di necessità virtù. Avete intenzione di continuare ad autoprodurvi o vi piacerebbe collaborare con un produttore in futuro? Per lavorare con qualcun altro dovrebbe verificarsi una situazione davvero speciale, tipo l’occasione della vita, alla quale non puoi dire di no. Qualcuno di irraggiungibile anche nei nostri sogni più sfrenati. Siamo felici di fare tutto da soli, siamo dei control freaks, e crediamo di essere riusciti a creare un qualcosa di personale proprio perché ci siamo affidati soltanto alle nostre, seppure limitate, capacità. Il rischio di alterare la specificità del suono dei The Drums, con l’intervento di una persona esterna, è troppo alto. Non siamo ancora pronti. Nonostante tu ci tenga a sottolineare la vostra incompetenza tecnica come un marchio di fabbrica del suono dei The Drums, le canzoni hanno una corposità e un ventaglio di sfumature notevoli per un team di novelli produttori. Trascorrete molto tempo in studio alla ricerca del suono perfetto? Assolutamente no. Ci siamo imposti come metodo di lavoro di non soffermarci più di ventiquattro ore su una canzone. Se non riusciamo ad ottenere qualcosa di buono in quell’arco di tempo allora cestiniamo tutto. Puntiamo sulla spontaneità e l’immediatezza, usiamo pochissimi effetti a parte una valanga di riverberi. Se un brano funziona subito, bene, altrimenti passiamo al successivo e non torniamo indietro. Quanto è importante per i The Drums la componente videoclip? Partecipate in prima persona alla loro realizzazione? Pensiamo che il versante visuale e grafico legato al gruppo sia importante tanto quanto la musica stessa. Seguiamo in prima persona tutta la fase di realizzazione di un video: dalla sua ideazione, che curiamo direttamente, agli aspetti più tecnici. Lavoriamo fianco a fianco con dei ragazzi di Brooklyn di grandissimo talento. Con loro scegliamo il tipo di pellicola da usare, le luci, discutiamo dei toni, dei colori da ottenere e di tutto ciò che concerne la fotografia e il set da creare. Io stesso ho concepito e realizzato la copertina del nostro disco d’esordio. Cosa vi aspetta nei prossimi mesi? Una valanga di concerti tra l’Europa e gli Stati Uniti, sperando di arrivare anche in Asia e in Australia. L’ultima volta che sono stato in tour con una band, tornato a casa, volevo smettere di suonare. Difficilmente mi capiterà anche questa volta…
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Sonar 2010 part 2 Dopo la lunga chiacchierata con i Delorean e le interviste a John Talabot, Uffie, Jimi Tenor e Roska uscite su settembre, ecco la seconda parte dello Speciale Sonar 2010. Â Preparatevi per una ghiotta appendice finale con uno special guest nel prossimo numero. Interviste di Depolique
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Jónsi
Foto di Sean Michael Beolchini
Ai più il nome Jónsi, appena qualche mese fa, non avrebbe detto molto, tantomeno la sua versione estesa, Jón Þór Birgisson. Forse solamente i fan, e sono comunque tanti, dei Sigur Rós che avrebbero riconosciuto in lui la chitarra e soprattutto l’inconfondibile voce della band islandese. Magro, timido e vegano, personaggio dall’aspetto androgino e dal falsetto facile, Jón, approfittando di un periodo sabbatico del gruppo, decide di tirare fuori dal cassetto le canzoni di una vita e metterci le mani per realizzare il sogno di un disco tutto suo. E’ così che nasce Jónsi e si materializza “Go”, un’esplosione sognante di luci, colori e ritmiche tra sperimentazione e pop.
Come mai hai deciso di intraprendere un progetto solista? E' una vita che faccio musica e un disco da solo era un sogno che avevo nel cassetto da diverso tempo e speravo di realizzare. D'altra parte puoi immaginare quante siano le canzoni scritte in solitudine e poi messe da parte. Alcune le ho scritte di recente, altre risalgono a dieci o addirittura quindici anni fa. L'anno scorso alcuni dei componenti dei Sigur Rós hanno avuto dei figli e di comune accordo abbiamo deciso di prenderci un periodo di pausa; mi è sembrato il momento migliore per dedicare a questo progetto il tempo che finalmente richiedeva. Hai fatto tutto da solo o ti ha aiutato qualcun altro? No, mi ha dato una grossa mano Nico Muhly, il compositore americano. Ha suonato il piano, ma soprattutto mi ha aiutato per gli arrangiamenti e gli archi. Si potrebbe anche dire che è merito suo se il disco ha preso questa piega e questi colori. Oltre a Nico ho lavorato con Samuli Kosminen, batterista e percussionista finlandese. Ha portato tanta energia e ritmo, essenziali per il risultato finale. Entrambi sono artisti unici, davvero bravi in quello che fanno; questo è il motivo principale per cui ho scelto di lavorare insieme a loro. Si tratta di un lavoro che ha preso forma di recente ma che ha origine anni e anni fa, che effetto ti fa vederlo finito? Sono molto contento di come è venuto, nonostante non sia esattamente come l'avevo immaginato. Avevo in testa l'idea di un album acustico, minimale e molto tranquillo. Invece è uscito un disco completamente diverso: una raccolta di brani gioiosi, colorati e sopra le righe. I consigli di Nico hanno giocato un ruolo determinante in questo senso. Un titolo come Go mi sembra una specie di dichiarazione d'intenti…
Direi di si. Il titolo nasce dai testi. Le canzoni di Go vivono di opposti, contraddizioni; ci sono parole come speranza, timore, felicità e tristezza. Avrei potuto declinare la parola "go" in un'accezione negativa o positiva: poteva essere "vai all'inferno" ("go to hell") o semplicemente "vai". Come mai la scelta di cimentarti con l'inglese? Mi è sembrata più che altro una sfida, una sfida molto interessante, e come tale l'ho affrontata. Avevo voglia di imparare, di mettermi alla prova con qualcosa di nuovo, una lingua con cui non mi sentissi perfettamente a mio agio, come invece accade con l'islandese. Ultimamente si è parlato molto del tuo paese, l'Islanda, per via dell'eruzione del famoso vulcano Eyjafjölle della crisi economica che l'ha colpito… Ma come sta l'Islanda? Sta bene. Soprattutto adesso, d'estate, quando arriva il sole. Sono convinto che il clima sia di grande aiuto al morale della popolazione. Molta gente negli ultimi tempi ha perso il lavoro, i risparmi, la casa. Sono sicuro che questa crisi alla fine ha portato anche qualcosa di buono: la gente spendeva tanto, consumava troppo, comprava cose di cui non aveva bisogno. Solitamente i periodo di crisi sono un ottimo momento per ricominciare, reinventarsi e trovare nuove vie per la felicità. Tu invece non mi sembri uno che consuma molto… Ma uno abbastanza attento alle tematiche ambientali: ho letto che per il tuo side project, Riceboy Sleeps, hai lavorato anche dalla giungla hawaiana con un computer alimentato ad energia solare. Io nel mio piccolo cerco di pesare il meno possibile sul pianeta: mangio solo cibo crudo - alimenti che non hanno bisogno di essere processati o cucinati, che non comportano il sacrificio di nessun animale - e mi vesto con indumenti di cotone biologico. Non posso fare a meno di consumare ener-
gia, anzi probabilmente ne consumo molta tra computer, cellulari e tutto ciò che mi serve per fare musica. Cerco di fare del mio meglio, come nel caso di Riceboy Sleeps. Quando eravamo alle Hawaii abbiamo vissuto presso una comunità di persone che utilizzavano unicamente energia solare che arriva fino a loro da un grande trasformatore. Il disco l'abbiamo mixato così, alimentando laptop e casse. Restiamo in tema: cosa pensi quando senti di catastrofi ecologiche come quella avvenuta diversi mesi fa nel Golfo del Messico? Cio che è successo in Messico è terribile; questo è l'unico commento che riesco a fare. Ogni volta quando succedono episodi di questo tipo vengono a dirci che le misure di sicurezza erano altissime e che i controlli venivano fatti periodicamente. Ma a quanto pare non è così... La cosa più triste è che potrebbe succedere ancora e che è sempre colpa dell'uomo. Come vedi il futuro? Sei ottimista? Io sono ottimista. Il problema è che la gente ci mette davvero tanto a capire. E ad agire di conseguenza. Soprattutto nel vostro paese, in Italia: ogni volta che vengo in tour faccio una fatica incredibile a trovare del cibo. Cosa pensi dell'espressione "world music"? La trovo abbastanza noiosa, come tutti i tentativi di definire e descrivere la musica. Amo la musica, la considero qualcosa di magico, intoccabile e di conseguenza indefinibile. Non appena cerchi di catturarla con delle parole - ma non fraintendermi: amo le parole - diventa improvvisamente più reale, tangibile e umana. E perde parte del suo fascino Hai una canzone dell'estate, o un disco che hai ascoltato molto nell'ultimo periodo? La musica che ascolto a casa di solito è quella di Bille Holiday, Django Reinhardt, Nat King Cole, il vecchio jazz, Bing Crosby...
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Booka Shade
Foto di Piotr Niepsuj
E’ passato ormai un lustro dall’exploit dei Booka Shade. Correva l’anno 2005 quando pezzi come “Body Language” (anthem a otto mani con gli amici e colleghi M.A.N.D.Y.) e “Mandarine Girl” furoreggiavano nei club di tutto il mondo, preparando la strada a “Movements”, il secondogenito, disco in grado di convincere pubblico e critica, qualificandosi come disco “epocale”, capace di trovare consensi un po’ ovunque, nella terra di mezzo ai confini con la house, techno ed electro. Walter Merziger e Arno Kammermeier non si sono mai seduti sugli allori e hanno continuato a macinare remix, dischi - anche come discografici con la loro Get Physical - e live set come quello che li vede protagonisti al Sonar. Guarda caso cinque anni dopo la prima volta. Mi sono sempre chiesto quale fosse il significato del vostro nome… Arno: E' un nome inventato, non ha un significato particolare. Risale al 1993/94; all'epoca facevamo un sacco di produzioni house. Prima di allora avevamo fatto parte di una pop band e l'idea di restare dietro le quinte e non sulla scena, producendo e licenziando musica usando nomi ogni volta diversi ci attirava molto. Quasi ogni settimana cose nostre su etichette inglesi, olandesi e belga. Un giorno, sfogliando una rivista di musica alla ricerca di un nome, siamo incappati in un'intervista a Booker T, il bluesman. Così l'abbiamo modificato. Poi è toccato a shadow diventerà shade… Suonava bene ed eravamo convinti fosse un nome che poteva rimanere impresso in mente. Mi raccontate com'è nato More? Walter: L'idea è nata durante il tour del disco precedente, The Sun & Neon Light. Pensavamo fosse ora di tornare sul dancefloor dopo un lavoro più umorale come quello. Abbiamo ricominciato a fare dj set per provare a riprendere confidenza con sonorità più ballabili e così è stato: tutte le canzoni nuove hanno dei beat dance veri e propri insieme alle tipiche melodie e armonie targate Booka Shade. Dico canzoni piuttosto che tracce proprio perché hanno un carattere più melodico rispetto ai lavori degli altri DJ. Dopo circa quindici o sedici mesi di lavoro ci siamo trovati con cinquanta brani nuovi, praticamente due album. Avevamo sempre detto di volere più emozioni, più beats e più tutto… Quindi l'abbiamo chiamato More. E' semplice, puro e carino, io sono un fan dei titoli corti; così ci siamo detti: "perché no?! ". Come vedete la scena dance internazionale oggi rispetto all'uscita di Memento? W: Credo che sia cambiata molte volte da allora. Il pubblico, i ragazzi, oggi hanno altro per la testa. Hanno preso piede il new rave ed altri generi che combinano electro e rock. C'è anche molto più alcool in giro mi sembra; le droghe, come al solito, sono dappertutto.
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C'è voglia di una soddisfazione più rapida, immediata: la gente esce e vuole divertirsi, ma vuol tutto subito, in due o tre ore, per poi tornare a causa esausta e prepararsi per il lavoro o la scuola che li attende il giorno dopo. E' un grande cambiamento. Siamo appena tornati da Ibiza e abbiamo visto come anche là siano cambiate le cose: la minimal è un po' fuori moda e ci sono molte più serate con dj rumorosi. Se davvero vuoi far muovere la gente oggi devi arrivare subito al dunque, non è un buon momento per i pezzi lunghi. Quando suoniamo ai festival possiamo sembrare dei dinosauri - lo dico in modo positivo - ma probabilmente siamo noi gli "alternativi". D'altra parte cerchiamo di instaurare un contatto con le persone, vogliamo trasmettere alla gente la nostra voglia di fare qualcosa di grande per loro e per la serata. E' da lì che scaturisce la nostra energia; è così che possiamo competere con i dj più "rumorosi". Vi ho visto suonare live a Berlino, nel 2005, prima dei Röyksopp... W: Davvero?! E' stato uno dei nostri primi set… Pensa che abbiamo avuto anche un po' di problemi con loro: non solo avevamo lo stesso set up (batterie ed elettronica), ma riscuotevamo troppo successo e talvolta vendevamo anche più cd: ci hanno quasi cacciato dal tour! Comunque siamo in ottimi rapporti e fan uno dell'altro. Suonate insieme da più di vent'anni, come avete fatto a resistere tanto tempo? A e W: Non ne abbbiamo idea! (ridono) A: Ne parlavamo proprio l'altro giorno. Credo che il nostro modo di lavorare si incastri bene. E' basato sul rispetto reciproco ma anche sulla divisione dei ruoli. All'inizio lavoravamo entrambi molto in studio, adesso questo aspetto lo cura maggiormente Walter, è lui la forza creativa del duo, è lui che conosce meglio i software e che tira fuori le prime idee. Io mi occupo più della parte organizzativa e dei contatti, delle interviste e dei dj set. Ogni pomeriggio poi ci troviamo e discutiamo, ascoltiamo quello su cui stiamo lavorando, condividiamo le nostre visioni. Ci
piace confrontarci e coinvolgere anche degli estranei nel nostro lavoro. Frugando nella vostra discografia ho trovato un pezzo a nome Degeneration chiamato Una Musica Senza Ritmo… W: Risale a tanto tanto tempo fa, sarà stato il '90, al periodo in cui ho letto il primo articolo sulla techno, che raccontava quello che succedeva in Inghilterra: la musica acid, i parties, la gente che andava fuori di testa…Suonavamo in una band, una sorta di gruppo pop elettronico, ma pur sempre un gruppo, non avevomo la musica dance in testa. Alcuni amici che vivevano al confine con la Francia cominciarono a dirci che le cose stavano cambiando, i grandi hit cominciavano a lasciare il posto a una musica sempre più strumentale, la star era diventata il dj, che ti guidava nella notte, e che avremmo dovuto vedere tutto questo. Così siamo andati insieme a vedere e poi in studio a strimpellare un po'. Loro hanno tirato fuori gli accordi di una vecchia canzone, noi abbiamo preso le voci di un brano della band e abbiamo cominciato a lavorarci finchè un po' per caso non è venuta fuori Una Musica Senza Ritmo, la nostra prima traccia techno dance. Una cosa un po' trance. Dopo poco siamo partiti in tour, quando un giorno ci chiamano dicendo: "guardate che c'è la R&S che vuole pubblicare il pezzo, in tutto il mondo"… Io non sapevo neanche cosa fosse la R&S, che fosse una delle più grandi etichette techno. Non avevo la minima idea di quello che succedesse nell'universo della musica da club. Figurati che quando abbiamo cominciato come Booka Shade, nel 2004, non conoscevo non sapevo nulla di Ibiza, e neanche del Sonar, pur lavorando nell'ambiente della musica elettronica. Tutto quello che sappiamo l'abbiamo imparato grazie alla pratica e dalle persone che ci circondano. Oggi ovviamente siamo più informati. Qual è la vostra canzone dell’estate? A: Di solito d'estate ascolto molta musica reggae… Forse l’album dei Gorillaz. W: Io sto ascoltando parecchio l’ultimo lp di Caribou.
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2020Soundsystem
Foto di Piotr Niepsuj
Nome tra i meno reclamizzati tra le band che propongono musica dance live quello dei 2020Soundsystem è sempre rimasto dietro a quello dei più noti e quasi omonimi LCD Soundsytem, ma anche dei Soulwax, Hot Chip e !!!. Nato da un’idea di Ralph Lawson, DJ tra i più apprezzati del Regno Unito da oltre vent’anni e boss della 2020Vision, il gruppo nasce dalla volontà di portare sul palco sonorità da club e di trovare un alternativa al classico, statico dj set. E’ così che messi insieme vari compagni d’etichetta, da cui prende a prestito anche il nome, cominciano a lavorare a lunghe jam session, a cavallo tra deep house e disco che col tempo prendono forma fino a farsi “canzoni”. Un percorso inverso rispetto alle correnti degli ultimi anni, per un progetto che qui al Sonar di Barcellona, diversi anni fa, ha vissuto una tappa fondamentale della propria carriera. Come (e perché) é nato e da chi è composto il progetto 2020Soundsystem? Ralph: E' nato principalmente dalla voglia di suonare musica dance dal vivo. Pur facendone parte ero davvero stufo del mondo dei dj set; ero alla ricerca di una nuova sfida, così ho cominciato a lavorare a un album mixato chiamato Stars of 33 uscito poi su Fat City con un batterista chiamato Dubble D. L'idea era quella di mixare vecchi pezzi degli anni '70, come ad esempio cose di Larry Young, con cose recenti, trovando un modo nuovo di mettere insieme il tutto. Così abbiamo deciso di introdurre un una batteria live nei vari passaggi, da una traccia alla batteria e dalla batteria alla traccia dopo. Quasi contemporaneamente avevo ricevuto un demo da una band di due ragazzi argentini, Fernando (che siede qui con me) e Julian, che si erano trasferiti in UK, i Silver City. Mi è piaciuto subito, e considerando che loro suonavano prevalentemente tastiere e noi eravamo un dj e un batterista… E' nato tutto così. Com'era questo demo? Fernando: Una specie di disco molto groovy a base di grosse linee di basso e synth molto profondi. Come mai hai scelto il nome 2020 Vision per la tua label e poi per la band? R: Non so se anche in Italia sia così, ma quando vai a fare l'esame della vista in Inghilterra la "capacità" di ogni occhio viene misurata in ventesimi: venti ventesimi è la perfezione. Volevamo applicare questo concetto alla musica. Mi piaceva l'idea di considerare la musica come un tutt'uno piuttosto che servirmi di svariate e noiose categorie e generi musicali. Volevo concentrarmi su qualcosa di più grande e mi sembrava un nome perfetto per un'etichetta, quindi in principio l'ho usato così. Poi dal momento che tutti gli artisti facevano parte anche nella scuderia della label ci siamo chiamati 2020 Soundsystem. Contrariamente alle altre band che suonano musica dance - elettronica (penso ad esempio a Soulwax e LCD Soundsystem) il vostro
progetto ha fatto il percorso opposto, siete parti dalla dance per arrivare ad una band… Come mai è così raro? R: Non saprei. Hai ragione, ci sono diversi act oggi che suonano musica dance live ma che hanno compiuto il percorso inverso: dal rock alla dance. In un certo senso è stato così anche noi però: Julian e Fernando facevano parte di una band e io stesso da ragazzo ero un fanatico del punk. Ho cominciato questo progetto perché non trovavo in giro show che mi entusiasmassero, così ho provato a pensarci da solo. Forse all'epoca era un'idea nuova, oggi non saprei. In ogni caso mi sento più simile ai Soulwax che agli LCD Soundsystem, loro sono ancora una band che si ferma alla fine di ogni canzone. Nite Versions invece è mixato ed è presentato così anche dal vivo. Credo però che il nostro stile sia ancora più vicino alla dance e alla house. Oggi tra l'altro sono molti i musicisti che si reinventano come DJ per arrotondare… R: Si, è vero. Pensa che Peter Hook (Joy Division / New Order) quando suona non ha neanche le cuffie e non cambia i cd; è lì che smanetta coi filtri e balla tutto preso… Eppure le canzoni cambiano… C'era gente che diceva di conoscere il cd mixato che stava suonando. Vedere un tuo eroe che finge di fare il DJ quando ha bisogno di soldi è un po' triste. Un'altra cosa che vi caratterizza è che non cominciate da delle canzoni, ma da lunghe jam session? F: Abbiamo iniziato così, semplicemente improvvisando, anche davanti a grandi audience. Poi con il tempo abbiamo cominciato a dare una forma a queste improvvisazioni e a scrivere delle vere e proprio canzoni, pur mantenendo una prospettiva più vicina ad un DJ set. Chi sono gli artisti (io ne ho citati due) che ritenete più vicini al vostro modo di lavorare? R: Mmm… In Inghilterra sicuramente i The Bays, anche se improvvisano molto più di noi. Negli States ce ne sono diverse, ma hanno un
background diverso dal nostro, più rock. F: C'è una band underground argentina che si chiama Manta Raya. Loro però sono un po' punk. Avete suonato al Sonar cinque anni fa; un concerto fondamentale per la vostra carriera e per il vostro modo di lavorare. Cos'è cambiato da allora? Che effetto fa tornare sullo stesso palco nel 2010? R: Mi sembra sia passata una vita… E' un onore tornare ad esibirsi in un festival così importante. Rispetto ad allora, abbiamo rotto qualcosa del nostro equipaggiamento e l'abbiamo sostituito… A parte gli scherzi, adesso abbiamo un batterista onstage - prima solo beats e percussioni - un tastierista che ci accompagna per la prima volta e due lp in più, quindi molto più materiale. Ho letto che la prima versione di Falling aveva dei guest vocalist, come mai poi ci avete ripensato e avete deciso di fare tutto da soli? Una scelta curiosa considerando i trend di oggi… R: Stavamo sperimentando con alcuni ospiti, si, provando nuove soluzioni. Ma alla fine non eravamo soddisfatti, così abbiamo preferito affidare tutto a Fernando, che ha un bella voce e uno stile particolare. Anche per creare qualcosa di più omogeneo. Immagino che suonare come DJ dopo l'esperienza 2020soundsytem possa apparire riduttivo… R: No, adesso mi piace di più di prima. Ho imparato tante cose suonando con i 2020, soprattutto a lavorare con gli strumenti. Prima ero semplicemente un dj, andavo più ad intuito, ora ho una maggiore conoscenza musicale e posso sfruttarla anche durante i miei set. Probabilmente sono più bravo di qualche hanno fa. Qual è la vostra canzone dell'estate? R: Penso che sia ancora la nostra Sliding Away. E' uscita l'anno scorso ma secondo me è un pezzo perfetto per l'estate. F: Un pezzo che mi piace davvero tanto ultimamente è il remix di Tensnake di What If You Wanted More, un pezzo di Jake Island.
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Fuck Buttons I Fuck Buttons nascono a Bristol, a cavallo della prima metà del decennio, per mano di Andrew Hung e Benjamin John Power, all’epoca compagni di corso in una scuola d’arte. Cominciano ad ammassare strumenti elettronici di ogni sorta: tastierine Casio, karaoke Fisher Price e quant’altro possa essere utile alla causa. Ne nasce uno tsunami elettrico, figlio delle influenze del duo - da Aphex ai Mogwai - che da subito miete consensi, come dimostra l’accoglienza riservata a “Street Horrrsing”, l’esordio divenuto in breve tempo disco di culto. Col tempo il suono comincia ad affinarsi e il rumore si apre a ritmi e melodia. Tarot Sport, uscito nel 2009 e prodotto da un big come Andrew Weatherall, è più commestibile e raggiunge orecchie insospettabili, catapultando il duo tra i big dell’avanguardia elettronica. Foto di Sean Michael Beolchini. Special thanks to: Gaetano Scippa E' la prima volta a Barcellona? Benjamin: No, abbiamo suonato al Primavera Sound Festival poco tempo fa. E anche l'anno scorso abbiamo suonato in un club. Come siete entrati in contatto con Andrew Weatherall? B: Ci siamo conosciuti ai tempi del nostro primo album, si occupò di un remix di uno dei brani. Sentendolo ci siamo accorti di come avesse colto i vari aspetti e strati del nostro suono e quello che cercavamo di ottenere. In quel momento abbiamo deciso che ci sarebbe piaciuto lavorare insieme e penso che sia stata un'ottima scelta perché è stata una bella esperienza lavorare insieme. Quanto ha contribuito il suo lavoro al risultato finale? Andrew: Il suo apporto è stato sicuramente rilevante, anche se ovviamente la musica l'abbiamo scritta noi. Immagina tre persone in una stanza che condividono delle idee e discutono sulle diverse maniere di articolare la visione originaria da cui siamo partiti. B: Come dice Andy è stato molto importante averlo lì con noi, poter ascoltare le sue idee; soprattutto dal punto di vista della consistenza del suono. Vi aspettavate un tale exploit per Tarot Sport? A: No B: A dire il vero non è una cosa a cui prestiamo molta attenzione. Tendenzialmente non leggiamo quello che la stampa scrive di noi, quindi in teoria è come se non fosse successo niente. Da dove prendete ispirazione per i vostri suoni? A: Fondamentalmente ci piace suonare con tutto quello che troviamo in giro. E' dai vari strumenti che arriva l'ispirazione Siete stati spesso paragonati ad artisti
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come Mogwai ed Aphex Twin, trovate che ci sia un link tra loro e voi? A: E' difficile trovare delle similitudini tra la tua musica e quella degli altri, soprattutto se sono tirati in ballo artisti come Mogwai e Aphex. Sono paragoni che lasciamo ai giornalisti. Melodia o rumore? B: Sono due cose completamente diverse. E' difficile esprimere una preferenza. Meglio far uscire di testa (Street Horrrsing) o far ballare (Tarot Sport) la gente? B: Entrambe credo. Penso siano due cose collegate. La seconda è una reazione alla prima. A: Si, vero. La maggior parte delle volte che ballo è perché quello che ascolto mi dà alla testa. Quanto è importante per i Fuck Buttons l'amicizia tra Ben e Andy? Sia dal punto di vista artistico che umano... B: Molto importante: è l'essenza della nostra musica. C'è qualche strumento (un synth, un pedale…), all'interno del vostro equipaggiamento, di cui non potreste davvero fare a meno? A: In realtà nessuno, non siamo molto attaccati al nostro equipaggiamento. Anche perché cambia in continuazione. Ci piace sempre guardare avanti, sperimentare e provare cose nuove; per fare questo non devi fossilizzarti su un determinato set-up. Avete girato molto per portare dal vivo Tarot Sport; quali sono stati i momenti migliori di questo tour? A: Il Primavera è stato grandioso; ma più in generale suonare in Spagna è sempre una gran cosa. B: Non riesco a pensare a momenti "peggiori". In maniera un po' banale potrei dire che
ogni data è diversa, ha la sua storia. Dopo gli anni d'oro del trip hop i riflettori su Bristol si sono un po' spenti. Cosa potete dirci della attuale scena musicale cittadina? B: E' un po' che non stiamo più a Bristol. Però posso dirti che si tratta di una città con tanti musicisti e numerose band. Nonostante non sia più al centro dell'attenzione come negli anni passati rimane una città molto creativa. A: Si è una città molto fertile dal punto di vista artistico. Credo anche perché si trova su una via di trasporto molto importante che collega Londra al nord del paese, quindi c'è un gran via vai. B: Ci sono anche delle ottime scuole d'arte da quelle parti. State già lavorando al prossimo album? B: Siamo ancora molto impegnati con le date dal vivo. Diciamo che per ora ci stiamo solamente pensando, ma non abbiamo ancora dato il via alle danze... Avete un disco dell'estate, o qualcosa che vi è piaciuto molto nell'ultimo periodo? B: Sicuramente The Bug, l'abbiamo ascoltato davvero tanto mentre eravamo in tour. A: Il nuovo album di Caribou è molto bello B: Anche Black Meteoric Star, il progetto di Gavin Russom, è davvero interessante. Gavin era ieri sul palco con gli LCD Soundsystem… B: Abbiamo sentito… Purtroppo ci siamo persi lo show. Però l'abbiamo visto fare una live performance al Museum Of Modern Art a New York. C'erano dei visual molto interessanti che potevi vedere con degli occhialini 3D che distribuivano. Davvero di grande ispirazione.
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NEIL BARRETT
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Isabelle, Anu & Anna Photographer: YARA DE NICOLA Styling: ILARIA NORSA Assnt styling: FABIANA FIEROTTI Hair&make-up: SARA GERACI @ Orea Malia’ Models: ELLA @ Ice Models, ISABELLE ROCHA CUTRIM @ Women Direct, ANU KOSKI @ Women e ANNA V. @ Fashion Models
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VIVIENNE WESTWOOD RED LABEL
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SERGIO ZAMBON, occhiali Sunettes
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MARIOS
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SESSUN
Shorts WRANGLER, cintura CHANEL, bikini WESC, occhiali RETROSUPERFUTURE, orologio
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D&G
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STELLA MCCARTNEY
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MARIOS
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MISS SIXTY
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M MISSONI, borsa vintage
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NEIL BARRETT
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STUSSY
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RVCA
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DIESEL BLACK GOLD ft. Ugo Cacciatori
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MILA SCHON
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MM6 MAISON MARTIN MARGIELA, occhiali Sunettes
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SEE BY CHLOE, occhiali vintage
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PIG list:
A soli ventun’anni Nika Rosa Danilova, in arte Zola Jesus, è già un personaggio di culto, merito del fascino dark della sua musica tanto semplice quanto contagiosa. Nell’attesa di conoscerla meglio, ecco la sua playlist.
Zola Jesus Yma Sumac - The Forest Creatures The Monks - Monk Time Else Marie Pade - Symphonie Magnetophique Serge Gainsbourg - Melody Conrad Schnitzler - Electrocon 11 Robyn - With Every Heartbeat Patty Waters - Song Of The One Luigi Nono - Un Volto, E Del Mare Mauthausen Orchestra - They Never Learn Z-Party - nThorns
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Musica Album del mese
Di Depolique e Marco Lombardo
Gold Panda - Lucky Shiner (Notown Recordings/ Ghostly International) Un nome improbabile, Derwin Panda, trasformato dal ventottenne londinese in Gold Panda, una passione irrefrenabile per il Giappone, dove ha vissuto per un anno, e un’ossessione per i b-movies e i mercatini dell’usato. Questo il background che il nuovo fenomeno british rivela come punto di partenza per la creazione di Lucky Shiner, album d’esordio anticipato da una lunga serie di eps e remix (Bloc Party, Marina and the Diamonds, Simiam Mobile Disco e Little Boots, tra gli altri). Uno dei dischi più attesi dell’anno oltremanica, grazie al supporto della lungimirante Bbc radio e al febbrile lavorio discografico che ha visto impegnato Derwin negli ultimi mesi. Lucky Shiner affascina subito e ci proietta in universo sonoro in fondo già conosciuto ma che pochi sinora erano riusciti a rendere più intrigante. Siamo nei territori minimali della techno di The Field, nel post hip-hop di J Dilla, nei turbinii pastorali di Minotaur Shock e Boards Of Canada, filtrati con una lucidità che solo Four Tet ha mostrato di recente. Abbiamo di fronte un nuovo prodigio? M.L.
Houses - All Night (Lefse Records) Concepito nel senso quasi letterale del termine da Dexter e Megan, coppia anche nella vita, All Night nasce dalla voglia di fuggire, ritirarsi, rifugiarsi dove c’è poco o niente, dove il progresso e le sue complicazioni non sono arrivate, cercando di ricominciare, lontano da tutto, dai vizi, dai comfort ma anche dai fondamentali della civiltà moderna come luce e gas. Scritto da Dexter in una sorta di esilio volontario alle Hawaii, con e per la sua ragazza, scivola via sornione e leggero, a cavallo tra ambient, pop ed elettronica, in poco più di mezz’ora tra luci e ombre, brividi e sospiri. All Night nasce inseguendo un sogno, a Papaikou, e muore nelle orecchie, come la schiuma delle onde che splende e poi svanisce in un istante nel palmo di una mano. Ma lascia il profumo dell’aria pulita e la voglia di partire. D.
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Musica Album del mese
Di Depolique, Marco Lombardo, Gaetano Scippa e Marco Braggion
Arcade Fire - The Suburbs (Merge) Ricordare il 2010 con un album da lasciare sul lettore per un loop indefinito che cresce ad ogni ascolto e non si ferma. Gli Arcade Fire in piena visione adult vivono una fortissima liaison con la tradizione del rock di Springsteen e della produzione pompata di Dravs (Coldplay + Eno) rivedendo il quadro del folk con gli occhiali di Phil Spector. Un nuovo wall of sound folk che descrive il mutamento provinciale e individualistico del post 9/11. Il buio oltre la siepe di questi anni è tutto qui. Ascoltiamoli per conoscerci meglio. Indispensabile disco dell’anno. M.B.
Maximum Balloon - S/T (Interscope) Dave Sitek, polistrumentista e produttore dei Tv On The Radio, dopo il successo planetario dell’ultimo album degli Yeah Yeah Yeahs, nel quale era impegnato in cabina di regia, torna a far parlare di sé con il suo primo progetto solista. In Maximum Balloon si circonda di star del mondo indie (Karen O, Theophilus London, Little Dragon, Holly Miranda e i compagni nei TVOTR) e da libero sfogo alle sue pulsioni dancefloor, dimostrando ancora una volta la stoffa di artigiano del suono. Tra elettro pop e funk futuribile, Sitek incastra un’altra perla, e le sue quotazioni salgono alle stelle. M.L.
Darkstar - North (Hyperdub) Chi ha amato Aidy’s Girl Is A Computer o le prime uscite di Darkstar, trio costituito da James Young, Aiden Whalley e il cantante neo acquisito James Buttery, può dormire sonni tranquilli. Innanzitutto perché North, pur non avendo nulla in comune col dubstep, è un bel disco elettropop prodotto con cura maniacale. Poi perché il suo ascolto ideale è in cuffia, nella propria camera da letto. A sognare, ripensare, soffrire per qualcosa che si è appena vissuto. Un album malinconico e acromatico che parte dall’elettronica anni ’70 e dalla prima wave britannica – da Carpenter agli Human League omaggiati nella cover Gold – ma guarda al futuro. G.S.
Deerhunter - Halcyon Digest (4AD) Torna a pochi mesi di distanza dall’ultimo affascinante Atlas Sound l’iperattivo Bradford Cox, autore di culto baciato dal dono di un songwriting delicato e da una fervida visionarietà. Lo dimostra la coltre di passione che abbraccia i Deerhunter, spessa quanto i fumi che la loro musica è in grado di a sollevare. Un nebbia che stordisce e ammalia da cui emergono ballate anestetizzate dall’incedere sonnambulare, rumorose distorsioni dal sapore sixties e euforiche accelerazioni. Inevitabile farsi contagiare e rimanere invischiati in questa ragnatela di canzoni stanche. D.
Superpitcher - Kilimanjaro (Kompakt) In dieci anni di attività Aksel Schaufler ha contribuito a forgiare quel suono elettronico caldo, quasi pop, tipico dell’etichetta di Colonia. Un album, alcuni remix strepitosi – M83 e Dntel – e molto djing hanno preparato il terreno per il suo secondo immaginifico LP. Un lavoro dance in senso lato, dove sfumature, suoni concreti, voci e arrangiamenti acustici vivacizzano il ritmo dei pezzi, a partire dal dub onirico di Voodoo. Provate l’irresistibile groove di Rabbits In A Hurry, abbandonatevi alle febbre dionisiaca di Friday Night e attendete, sereni, che il livello di mercurio scenda nella ballata conclusiva. G.S.
Shit Robot - From The Cradle To The Rave (DFA) Parte integrante della storia DFA ormai da una decina anni, Marcus Lambkin, confeziona, sull’asse Dublino-New York, un disco cucito addosso al suono della sua etichetta, raccogliendone voci, suoni e traiettorie. In veste di Shit Robot ci delizia con produzioni club oriented affidate a una carrellata di super ospiti: James Murphy e Nancy Whang degli Lcd Soundsystem, Alexis Taylor degli Hot Chip, Planningtorock e Juan Maclean. Con un cast del genere si va sul sicuro, e infatti: disco music come se piovesse. Non importa se avete dimenticato l’ombrello. M.L.
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Glasser - Ring (Matador) Una one woman orchestra, così ama definere se stessa e il progetto Glasser Cameron Mesirow, ultima tra le nuove eroine cresciute alla scuola di Bjork. Dopo Bat For Lashes e Fever Ray ecco un’altra donzella alle prese con la sperimentazione. Ring muove dalla tradizione - canzoni folk e percussioni tribali - per farsi astratto, lievitando, o meglio, allargandosi in centri concentrici grazie agli arrangiamenti orchestrali e ai numerosi e complementari livelli vocali. Come le onde, o gli anelli che seguono un sasso nell’acqua. Anelli, appunto. D.
Hurts - Happiness (RCA) Anticipato dal successo radiofonico dei singoli Wonderful Life e Better Than Love, arriva il disco d’esordio degli Hurts. Patinatissimo, al punto di rendercelo istintivamente un po’ antipatico, il duo di Manchester si appresta così a fare il suo ingresso nel mainstream che conta. D’altronde meglio loro in classifica che un qualunque David Guetta di turno. Detto questo, il disco rimane una piacevole ma sfacciata rincorsa alla vetta delle charts, con ballate strappamutande degne di un Festivalbar d’inizio anni novanta e alcuni sonori capitomboli sulla via della Depeche-emulazione. Ci si aspettava di più. M.L.
How To Dress Well - Love Remains (Lefse Records) Tom Krell, in arte How To Dress Well, è un songwriter a dir poco prolifico, capace di pubblicare nell’arco di un anno sette Ep in free download sul suo blog. Love Remains raccoglie il meglio di quelle registrazioni, riproposte in una veste 2.0, senza però abbandonare la grana polverosa delle versioni originali. Un ritorno alla bassa fedeltà come intransigenza artistica, che Tom manipola per raccontare le sue storie d’amore virandole su insoliti canoni R&B, spogli di qualsiasi infrastruttura patinata. La versione lo-fi di un Bon Iver in pellegrinaggio soul. M.L.
Salem - King Night (Iamsound) Fiori del male, magnetici e disturbanti, i Salem rilasciano spore sonore dal 2008, sotto forma di singoli introvabili, ep in edizione limitata e criptici video arty. Droga, nichilismo e un nuovo sottogenere pronto per l’uso -la witch-housesono le coordinate dell’hype che accompagna il disco d’esordio del trio di Traverse City, Michigan. King Night è una creatura sfocata che si sorregge sulle ritmiche hip-hop di una 808 ferina e si sviluppa tra sbavature gothic, rapping informe e strati di rumore angelico. Immaginatevi un incrocio tra Fever Ray, Lil’Wayne e i My Bloody Valentine. Impossibile? M.L.
Rusko - O.M.G.! (Mad Decent) Cresciuto tra rave e soundsystem di Leeds, Chris Mercer si è trasferito a Londra dove, insieme all’amico Caspa, ha prodotto i più pesanti bassi-wobble che il dubstep abbia mai visto. Al contempo ha sdoganato il genere nel mainstream, dal mix live del Fabric al giro Diplo-Switch-M.I.A. fino a collaborare con Britney Spears. Grande versatilità e capacità, però, non sempre sono sinonimi di qualità. O.M.G! è un disco esuberante e nel complesso divertente, con alcuni episodi di spicco (Hold On, Kumon Kumon, Got Da Groove), ma così ruffiano da provocare un senso di disturbo ad ascolti ripetuti. Usare con cautela. G.S.
Gonjasufi - The Caliph’s Tea Party (Warp) La Warp, che ha colto in Gonjasufi una miniera di ispirazione e forse anche d’oro, non era sazia. Per fortuna: dando A Sufi And A Killer in mano ad artisti di spessore ha prodotto un album “altro” che spacca. Se la titletrack di Broadcast & The Focus Group rende allucinante DednD, Mark Pritchard trasforma Ancestors in un episodio epico da spaghetti western del futuro, immaginando Sergio Leone come un suo antenato. Candylane subisce da Bibio un trattamento hyperfunk senza essere privata del suo sapore vintage, mentre She’s Gone di Oneohtrix Point Never viene rallentata con un growling disperato. G.S.
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Musica Varie
Di Depolique, Marco Lombardo e Gaetano Scippa
Cassius - The Rawkers (Ed Banger) EP
Steve Mason - Am I Just A Man Remixes
Model 500 – OFI / Huesca (R&S) 12”
Istituzione della dance d’Oltralpe, Cassius pas-
(Domino) 12”
Il primo singolo di Model 500 in 11 anni è un
sano a fare visita all’amico Busy P e sono fuochi
Ci vogliono Alexis Taylor in libera uscita dagli
evento. Insieme a Mike Banks di UR, ma con
d’artificio. Via a briglia sciolta, come in preda a
Hot Chip e soprattutto i bentornati Studio a
l’arrivo anche di DJ Skurge e Mark Taylor, Juan
un’indigestione da french touch, rigurgitando
rivitalizzare il folk depresso dell’ex leader della
Atkins esplora un altro angolo di Detroit. Ed è
pezzettoni rave, soul e anche indie. D.
Beta Band. Un bagno in acido dub e poi via ad
già un classico. G.S.
asciugarsi al sole delle Baleari. D.
Grinderman - Heathen Child (Andrew
Summer Camp - Young (Moshi Moshi) EP
Tropics - Soft Vision (Planet Mu) EP
Weatherall Remixes) (Mute) Bonus tracks
Piccola perla dream-pop di stampo 80’s per il
Chris Ward, ventidue anni, è l’unico artefice del
Nick Cave, maltrattato da Weatherall, prende le
duo londinese formato da Elizabeth Sankey e
progetto Tropics e di questo ep delizioso: una
sembianze di Alan Vega e Heathen Child si tinge
Jeremy Warmsley. Che sia in realtà la colonna
risposta alla chillwave americana senza dimenti-
ancor più di nero, trasformandosi in un numero
sonora di un inedito film di John Hughes? M.L.
care le nuove sperimentazioni dubsteb. M.L.
Peverelist & Hyetal – The Hum / rrrr (Punch
AAVV - Italo! House! Now! (Gomma)
AAVV – Ninja Tune XX Box Set (Ninja Tune)
Drunk) 12”
Compilation
Vent’anni di onorata carriera per Coldcut e soci
Il veterano Peverelist è ormai una certezza con la
Una mini compilation targata Gomma giusto per
con un box da avere: 6 cd con inediti di Cinema-
sua ritmica post-jungle, ma la sorpresa è Hyetal
ricordare che, in materia di disco e dintorni, ov-
tic Orchestra, Prefuse 73, Orb e altri, una raccol-
che aggiunge synth caleidoscopici all’ascensio-
viamente anche gli italiani possono dire la loro.
ta esclusiva di 7”, poster, adesivi e un libro sulla
ne di The Hum. rrrr, invece, suona più oscura e
Bottin, Ajello, Cécile e compagnia bella; dite
genealogia della label. G.S.
straniante. G.S. 112 PIG MAGAZINE
che abbiamo una scena? D.
post punk velenoso che serpeggia malignamente per sette minuti. D.
www.pigradio.com
Film del mese
Di Valentina Barzaghi
Buried Di Rodrigo Cortés (ITA - Sepolto). Vi avevo parlato di questo film già qualche mese fa, in quel post Sundance FF che lo decantava come una pellicola destinata a diventare cult. Ci ero andata con i piedi di piombo, ma dopo averlo visto posso confermare: Buried è una bomba! Il regista Rodrigo Cortés ha 36 anni e firma un lavoro difficilissimo, anche se nato con l'intento di "realizzare un film con il minor budget possibile". In effetti Buried ha un protagonista e un'unica ambientazione: una cassa in cui questi è sepolto vivo. Unici mezzi a sua disposizione: un cellulare, uno zippo, una torcia, una matita e un fiaschetto con del liquore. Il film si apre con un minuto circa di nero (e già qui...), sotto cui sentiamo dei respiri affannosi. Poi ad un tratto la luce dell'accendino illumina un occhio terrorizzato. Ci siamo. Adesso rimane solo da costruire come quell'uomo sia finito lì dentro e cosa può fare per uscire. Buried poggia su due elementi principalmente: una buona sceneggiatura e dei
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buoni movimenti di camera, tutti realizzati in uno spazio ridottissimo (e solo in un caso viene usata un'inquadratura "artificiale", con una ripresa dall'alto che mostra una profondità non reale della cassa). Attraverso le telefonate che l'uomo sepolto, Paul (Ryan Reynolds), fa capiamo: che si trova in Iraq, che è un autotrasportatore, che è stato preso in ostaggio in seguito ad un'imboscata, che i suoi rapitori lo stanno usando per chiedere un riscatto al governo U.S.A. e per questo lo hanno sepolto con i mezzi necessari perché questi possa comunicare con i suoi soccorritori. Da una parte Paul si troverà a trattare con iracheni che lui chiama generalizzando "terroristi" e dall'altra con il suo governo che sembra non affannarsi per voler trovare una soluzione al suo problema, ma piuttosto che stia tentando in ogni modo che non trapeli nulla del suo caso. Chi ha torto e chi ragione? Chi è il vero carnefice? Paul è un uomo come tanti, uno che si trova catapultato in Iraq perché ha
bisogno di un lavoro, non per ideali politici, con una moglie e un figlio da mantenere e che lo aspettano; i suoi rapitori erano persone comuni prima dell'avvento delle truppe americane, con famiglie dilaniate dal conflitto e che cercano vendetta per ciò che non si sanno spiegare. Insomma, entrambi sono sia cause che vittime di quanto sta accadendo, ma solo di riflesso, perché i "reali signori della guerra" sono al telefono a cercare di uscirne puliti. Dopo tanti film che ci hanno raccontato il conflitto in Iraq, attraverso una storia, ma non centrando veramente il nocciolo spinoso della questione (l'assurdità di questa guerra d'interessi, di cui molti meccanismi e orrori sono stati insabbiati), un regista spagnolo pressoché sconosciuto lo racconta da 3 metri sottoterra. Il risultato è una pellicola scioccante, claustrofobica, intensa, minimale (nessun effetto speciale), vera, drammatica, che non perde mai di ritmo. Uscirete con gli occhi sbarrati e pietrificati, ma ne vale la pena...
Recensioni
Despicable Me Di Pierre Coffin, Chris Renaud, Sergio Pablos (ITA - Cattivissimo Me). In un piccolo e ordinatissimo quartiere residenziale americano vive il cattivissimo Groo. Mentre tutte le case intorno a lui sono belle e colorate da fiori, la sua è squallida e nera. D'altronde Groo ama solo tutto ciò che è deplorevole e nel suo nascondiglio segreto, aiutato da una truppa di piccoli aiutanti color canarino, sta progettando il colpo più grosso che
l'umanità abbia mai subito: vuole rubare la Luna. E' disposto a tutto per raggiungere il suo obiettivo, ma non sa che il destino gli ha riservato un colpo basso, mettendo sulla sua strada le tenaci gemelline Margo, Edith e Agnes. I lavori di animazione devono spesso portare sulle spalle il peso del confronto con i capolavori di casa Pixar, ma così nessuno potrebbe reggere... Despicable Me è una storia divertente e ben realizzata,
che avrà molto piglio soprattutto sul pubblico più giovane (un po' di mesi fa, dopo l'uscita di Dragon Trainer, avevo accennato che la Universal Pictures - reparto animazione - sembrava finalmente essersi ritagliata una specifica fetta di mercato - in direzione favole originali - e questo film conferma che stanno proseguendo sulla giusta strada), divertendo però moltissimo anche i più grandi.
Wall Street: Money Never Sleeps di Oliver Stone (ITA - Wall Street: Il Denaro Non Dorme Mai). Uno dei registi più contestati e controversi di Hollywood, Oliver Stone, scava nel suo passato cinematografico per percorrere una strada narrativa a lui cara: quella del male. E' il 2001 quando Gordon Gekko esce dal carcere: è un uomo solo. Sua figlia, che lo accusa della morte del fratello, si rifiuta di vederlo e ha una relazione con Jake Moore, che lavora in borsa protetto dall'anziano Louis Zabel ed è impe-
gnato in un progetto a favore dell'energia pulita. Gekko era stato rinchiuso per frode a Wall Street e nel 2008 pubblica le sue memorie corredate da una serie di constatazioni e teorie sulla finanza. Quando Zabel si suicida per essere stato tagliato fuori dal mercato, Jake si avvicina a Gekko il cui obiettivo è di riguadagnarsi la stima perduta della figlia. Oliver Stone inscena un suo classico "dramma dei conflitti": libertà-potere, Mercato-Stato, padre-figlio (Jake a tutti gli
effetti cerca una "figura paterna" di riferimento per il suo lavoro)... Ma non solo... Segue anche la via della denuncia, quella a lui tanto cara, nonostante non abbia mai amato definirsi "regista politico". Un buon blockbusterone, che ha il pregio di resuscitare un suo vecchio personaggio per costruire una pellicola interessante. Certo, L'Oliver Stone di JFK o di Natural Born Killers ci ha abbandonato da un po' (ed è un peccato...), ma poteva andare molto peggio...
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Circuito Off 2010 L'edizione di quest'anno è stata davvero... wow! Abbiamo ballato con Gaspar Noé, ci siamo divertiti con Ace Norton e Max Hattler della Partizan e abbiamo anche fatto i turisti a Venezia durante la giornata che ha preceduto il Closing Party alla spiaggia Blue Moon al Lido. Di Valentina Barzaghi. Foto di Sean Michael Beolchini
Un inedito Gaspar Noé balla scatenato al party d’apertura, organizzato col White Trash di Berlino.
Pubblico alla proiezione a Ca’ Foscari del Focus on Partizan. 116 PIG MAGAZINE
Ace Norton e Piotr. Non trovate una certa somiglianza? Una delle tante barche che Sean vorrebbe guidare a Venezia.
Depo, Ale, Simon e Chiara sul taxi che li ha portati al Lido per la festa.
Simon e Depo durante il Closing Party.
Il Pecador (al Lido). Il panino “Te Spiego” (pancetta, uovo, formaggio...) è un’emozione rara. 117
Libri
Di Marco Velardi
Science Poems Quando metti arte e scienza insieme può succedere di tutto, ed è forse questa l’intenzione di Anni Poulakka e Jenna Sutela, le due giovani finlandesi dietro il think tank OK Do, in questo caso publisher e curatore del progetto Science Poems. Il volume, impaginato impeccabilmente dallo duo Åh, è una raccolta di esperienze a spasso per mondi conosciuti e sconosciuti come astronomia,
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biologia, chimica, fisica e scienze varie, che non si dichiara esaustivo, ma più come un work-in-progress e source book di esperimenti personali. In effetti, sarebbe difficile credere che un piccolo volume così possa saziare tutti gli appetiti in un colpo solo, specialmente con una ricetta di un gelato molecolare al the verde che prevede l’uso di nitrogeno liquido a -156°C. Non mi resta
altro che augurarvi buona fortuna quando lo proverete a casa vostra. www.ok-do.eu Titolo: Science Poems Autore: Anni Poulakka, Jenna Sutela Casa editrice: OK DO Anno: 2010 Dimensioni: 16,5 x 22,8 cm Prezzo: 20 €
A Book of Spoons Incontrare Jasper Morrison per la prima volta è stato spontaneo e inaspettato, oserei dire del tutto normale, o addirittura, se volessimo rendergli omaggio, Super Normale. La stessa naturalezza e spontaneità di cui è fatto il suo design, e di cui non manca la sua genuina ossessione nel collezionare oggetti e utensili di uso quotidiano, per renderli,
come se già non fossero, icone di un design senza nome. A Book of Spoons è una piccola gemma, pubblicata nel 1997 in una piccola edizione di 3,000 copie, ma ancora oggi rintracciabile sul mercato abbastanza facilmente. Una serie di immagini in bianco e nero, anonime, su cui fermarsi a riflettere e magari anche rivalutare l’idea di farsi una
propria collezione prima o poi, cercando il bello in ciò che abbiamo intorno a noi ogni giorno. www.jaspermorrison.com Titolo: A Book of Spoons Autore: Jasper Morrison Casa editrice: Imschoot Uitgevers Anno: 1997 Dimensioni: 15 x 21 cm - Prezzo: 20 €
potenza. Un workshop, o meglio dire un parco giochi di 3 settimane, senza regole e dentro un museo, con torri di legno da cui lanciarsi, una montagna di cuscini per battaglie senza fine, seghetti e martelli per costruire quel che volete, secchi di vernice da rovesciarsi addosso, e chissà quant’altro. Le immagini che accompagnano i testi di Pallen Nielsen e Lars Bang Larsen vi faranno sognare per un bel po’, e la prossima volta
che verrete a conoscenza dell’ennesimo insipido workshop, anche voi forse diventerete un po’ nostalgici. www.macba.cat Titolo: The Model - A Model for a Qualitative Society Autore: Bartomeu Marí, Lars Bang Larsen e Palle Nielsen Casa editrice: MACBA Anno: 2010 Dimensioni: 13 x 19,5 cm - Prezzo: 24 €
The Model Vi capiterà spesso di chiedervi come sarebbe stato vivere nel 1968? Magari anche no, ma da oggi avrete un motivo in più. Almeno così è stato per me dopo aver scoperto Modellen, tradotto per chi non mastica lo Svedese, The Model, di Palle Nielsen. Immaginatevi uno di quei tanti workshop per bambini, che oggi tutte le istituzioni museali organizzano per cercare di fidelizzare una clientela per anni a venire, ma all’ennesima
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Whaleless
A Cura di Giovanni Cervi. Contatti e info: verbavolant@pigmag.com
Un mondo senza balene. Inquinamento e pratiche di pesca insostenibili stanno mettendo a serio rischio la sopravvivenza dei grandi cetacei. Questo è uno spazio dedicato a chiunque voglia esprimere la propria indignazione, rabbia, vergogna, incredulità, preoccupazione… con ogni mezzo espressivo, dall’illustrazione alla canzone, dall’animazione alla fotografia e oltre. Visitate i siti internet www.whaleless.com e www.myspace.com/whaleless per ulteriori informazioni e per visionare la gallery dei lavori giunti fino ad ora. Be creative, save a whale.
Stato fuori
Courtesy of collezione Herzum
www.ariannacarossa.com - Opera di Arianna Carossa
Hai mai visto una balena? Si, ho visto una belena viva a pochi metri da me durante una vacanza in barca a vela. Che rapporto hai col mare? Il mare è per me un fatto, un dato. Che ci sia il mare all’orizzonte è un’abitudine alla quale è difficile rinunciare perché il mare per me è l’orizzonte. Se tu potessi scegliere di trasformarti in un abitante marino, quale sceglieresti? E perché? In un pinguino, non solo perché è vestito, ma perché percorre centinaia di km, mi piace l’idea che ci sia l’oltre. Qual è il tuo elemento preferito tra aria, acqua, terra e fuoco? Perché? Mi piace l’aria perché non la vedi ma c’è. Ne vedi
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solo gli effetti. Pensi che l'arte sia fine a se stessa o che debba avere un messaggio o un riflesso su chi guarda? Ritengo l’arte un linguaggio. Si possono dire molte molte cose attraverso essa, ma spesso, essendo un linguaggio specialistico, il messaggio può riverberarsi all’interno solo di chi ha gli strumenti per entrare in comunicazione con essa. Come descriveresti il mondo nel quale viviamo? Descriverei il mondo all’interno del quale vivo un mondo narciso. E come lo immagini tra 20 anni? Più narciso ancora. Il narciso vive in un deserto di sentimenti e di scarsa empatia. Un’unica visione quella del presente, mai uno
sguardo dietro per prevedere il dopo. Ci dici qualche parola da associare al tuo modo di fare arte? Parola. Incantesimo. Ginocchia. Come hai realizzato questa balena? Ghiaia. Mi piaceva l’idea che ad una balena morta messa nel sacco potesse fare da contraltare il brulicare della materia, apparentemente morta come la roccia ma visivamante viva. A cosa stai lavorando ora? Sto realizzando tre installazioni di grosso formato. Il tema in tutti e tre i casi è l’imprevisto all’interno del pensiero circolare. Hai un sogno/incubo ricorrente? Si… Ultimamente sogno di non muovermi volutamente.
PIG Waves
A Cura di Giovanni Cervi. Contatti e info: verbavolant@pigmag.com
Pig Waves è un flusso di immagini e parole che segue una parola chiave: Artic. Un viaggio tra I ghiacci del nord e il cinema della fine del mondo.
“Al Polo Nord non nevica più”. 122 PIG MAGAZINE
www.frostbiten.se - “There is something hunting in the night”.
www.youtube.com/watch?v=ckyiMJXpV98 - “La paura che avvelena l’atmosfera”.
www.youtube.com/watch?v=CuPCGf3hVVQ - “Antidepressivo nel bianco”.
www.youtube.com/watch?v=u94EM7RAkZ8 - “Cosa si nasconde dentro a un Mammuth?”.
www.youtube.com/watch?v=ouZkkIsLiNg - “L’uomo è il posto più caldo dove riposarsi”. 123
Videogames
Di Janusz Daga (jan@pigmag.com)
PIG’s Most Played. Apple punta tutto sugli anni ‘80 e noi li amiamo per questo. Kane & Lynch 2: Dog Days (xbox360 _ PS3) Chiaro omaggio al regista Michael Man, questo titolo segna il ritorno dei due Bad Boyz più cattivi del pianeta. Telecamera a mano, immagini pixelate, luci virate, degrado urbano e una Shanghai coperta di fango e pallottole. Il sistema di gioco è il classico sparatutto-copertura Gears of War, malgrado non sia una novità fa il suo dovere. Per iniziare la giornata con una bella scia di cadaveri. Metroid: Other M (Nintendo Wii) Abituatevi al sistema di controllo perché ne vale la pena. I ragazzi di Retro Studios e quelli del Team Ninja hanno dato vita a quello che probabilmente è uno dei migliori titoli Metroid sinora pubblicati. Il passato di Samus Aran sarà messo in gioco per un’avventura piena di sorprese e migliorata anche tecnicamente (finalmente i checkpoint!!!). Graficamente notevole, si posiziona subito sotto Mario Galaxy 2 nelle nostre preferenze su Wii. Valkyria Chronicles II (Sony PSP) Avventura/RPG strategico ambientato nel 1937. Esattamente due anni dopo gli eventi di Valkyria Chronicles: è la storia di un gruppo
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di cadetti dell'Accademia Militare Gallian impegnati a sedare le rivolte scoppiate dopo la fine della guerra. Il gioco è uno strategico a turni con una bella storia e una divertentissima parte dedicata ai combattimenti. Grafica migliorata, possibilità di sviluppare e personalizzare armi e truppe, moltissime missioni e personaggi da scoprire. PSP torna a far parlare di se. Fire Power - on rush (iPhone) Praticamente il “Metal Slug dei cieli”: lo sparatutto orizzontale che ci riporta agli anni ’90 quando i cabinati riempivano le sale giochi. Gli sprite sono un vero godimento per gli occhi, i livelli sono piuttosto difficili e i nemici danno parecchio filo da torcere -c’è anche da dire che i controlli su touch-screen non sono precisissimi-. Se amate il genere, è Over the Top! Super Mega Worm (iPhone) Altro piccolo capolavoro “pixeloso” anni ’80 da caricare assolutamente sulle vostre mele. La missione è quella di sterminare la razza umana pilotando un mega-verme distruttore. Gustosissimo delirio post-Godzilla.
Nuovi poteNZiameNti
Gioco cooperativo
Trasformati per la prima volta in Mario Nuvola
Nuove maGiche GaLassie
Gioca con un amico o con un membro della tua famiglia!
iL ritorNo Di Yoshi
La piĂš potente alleanza intergalattica!
Ti aspettano mondi pazzeschi da esplorare...
LaNciati NeLLo spaZio coN mario e Yoshi!
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