PIG Mag 90

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Mensile. Numero 90, Marzo 2011

Italia €5 - U.K. £6,50 - France €8 - Germany €9,30 Spain €8 - Greece €7,70 - Finland €8,50 - Malta €5,36 Japan ¥2.250 - Austria €8,90 - Portugal €6,40

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Š 2010 Spookshow Deluxe, Ltd.

P: Joe Hammeke

The sidestripe is a wave Tony skates in his own very special way. Trujillo is Vans Skateboarding.

Hellbilly mayhem is horrific yet perfect for Vans x Rob Zombie, Holiday 2010.

The fabric of cold weather style through five decades of Vans winter seasons for Holiday 2010.

A movement. A way of thinking. A reason for being. Vans, the original since 1966.


Š 2010 Vans, Inc.


Puma x Undftd. Interview with Eddie Cruz sul numero di Aprile

PIG Mag 90, Marzo 2011 Publishers: Daniel & Simon Beckerman

Management Editor in Chief, Creative Director: Simon Beckerman Executive Editor: Valentina Barzaghi Assistant Creative Director: Piotr Niepsuj

Editorial Music: Giacomo De Poli (Depolique) Fashion: Fabiana Fierotti Cinema: Valentina Barzaghi

Advertising adv@pigmag.com Human Resources Barbara Simonetti Victoria Ebner Contributors for this issue Marco Braggion, Michela Biasibetti, Yara De Nicola, Federica Baldino, Sara Kollhof, Rebecca Larsson, Adrianna Glaviano, Giulia Tetamo, Claudia Casarosa, Silvia Bergomi, Alice Coloriti, Livia Satriano, Coley Brown, Irwin Barbé, James McLoughlin, René Fietzek, Luca Massaro (stagista). Special Thanks Bianca Beckerman, Caterina Napolitani, Piera Mammini, Giancarlo Biagi, Matteo Convenevole, Daniel Sansavini, Enrico De Candia.

Design, Art and New Media: Giovanni Cervi Design: Maria Cristina Bastante

Edizioni B-arts S.r.l. www.b-arts.com

Books: Rujana Rebernjak

Direzione, Redazione e Amministrazione Ripa di Porta Ticinese, 21 - 20143 Milano. Tel: +39 02.36.55.90.90 - Fax: 02.36.55.90.99

Videogames: Janusz Daga

Contributing Editors Sean Michael Beolchini: Contributing Editor

PIG Magazine: Copyright ©2002 Edizioni B-Arts S.r.l. Autorizzazione del Tribunale di Milano n° 453 del 19.07.2001

Distribuzione per l’Italia SO.DI.P. “Angelo Patuzzi” S.p.A. Via Bettola 18 - 20092 Cinisello Balsamo (MI). Tel: +39 02.66.03.01 Fax: +39 02.66.03.03.20 Distribuzione per l’estero S.I.E.S. S.r.l. Via Bettola, 18 20092 Cinisello Balsamo (MI). Tel. 02.66.03.04.00 - Fax 02.66. 03.02.69 - sies@siesnet.it PIG all’estero Grecia, Finlandia, Singapore, Spagna, Inghilterra, Brasile, Hong Kong, Giappone, Turchia, Germania. PIG è presente anche nei seguenti DIESEL Store Berlino, Londra, Parigi, Tokyo, Milano, Roma e Treviso. PIG Magazine è edita da B-arts editore s.r.l. Tutti i diritti sono riservati. Manoscritti, dattiloscritti, articoli, disegni non si restituiscono anche se non pubblicati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta in alcun modo, senza l’autorizzazione scritta preventiva da parte dell’Editore. Gli Autori e l’Editore non potranno in alcun caso essere responsabili per incidenti o conseguenti danni che derivino o siano causati dall’uso improprio delle informazioni contenute. Le immagini sono copyright © dei rispettivi proprietari. Prezzo del numero 5 Euro. L’Editore si riserva la facoltà di modificare il prezzo nel corso della pubblicazione, se costretto da mutate condizioni di mercato.

Ilaria Norsa: Contributing Fashion Editor Gaetano Scippa: Contributing Music Editor Marco Lombardo: Contributing Music Editor

Magazine Layout: Stefania Di Bello

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Sviluppo foto Speed Photo, via Imbriani 55/A - 20158 Milano Stampa: Officine Grafiche DeAgostini S.p.A. Corso della Vittoria 91 - 28100 Novara (Italy). Tel: +39 0321.42.21 Fax: +39 0321.42.22.46

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MILANO MONZA NOLA ORIO TORINO


Sommario

Interviste:

64: Verdena

70: Midnight Juggernauts

60: Shimmy Marcus

78: Girls Foto di copertina di Yara De Nicola

74: Nicolas Jaar

Interviste

Moda:

Street Files:

56: Adam Kimmel

96: Livia

48: Bread & Butter Berlin

Foto di Piotr Niepsuj

Foto di RenĂŠ Fietzek

Regulars 12: Bands Around: Aeroplane e Japhanter 20: Shop: Occhi 21: Publisher: Manufactory for Garbage Publications 22: Design: When functions follow forms 26: PIG Files 28: Moda News 36: Fashion: Taxi Driver 38: Photographer of the Month: Bobby Doherty 108: Musica 114: Cinema 118: Books and So 122: Whaleless 126: Videogames

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Bands Around

Foto di Piotr Niepsuj

Aeroplane Carousel @ Tunnel, Milano Nome? Vito De Luca. Età? 28. Da dove vieni? Belgio. Cos'hai nelle tasche? Il mio cellulare, 4 Euro, Frisk. Qual è il tuo vizio segreto? Comprare le sneakers. Qual è l'artista-la band più sorprendente d'oggi? Kanye West. Di chi sei la reincarnazione? Nessuno. Che poster avevi nella tua camera quando eri un teenager? Ritorno al futuro e Michael Jackson. Ci dici il nome di un artista o di una canzone italiana? Artista: Lucio Battisti; canzone: Ti Sento.

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Bands Around

Foto di Piotr Niepsuj. Special thanks: Enrico De Candia

Japhanter London Loves @ Plastic, Milano Nome? Ian Vanek. Età? Sconosciuta. Da dove vieni? Stato di Washington. Cos’hai nelle tasche? Pietre magiche, un’agendina e il passaporto. Qual è il tuo vizio segreto? Il pericolo, ferirmi da solo, graffiti. Qual è l’artista-la band più sorprendente d’oggi? P.S. Eliot, Cerebral Ballzy. Di chi sei la reincarnazione? Il mio bisnonno Vanek. Che poster avevi nella tua camera quando eri un teenager? I quadri di Mondrian. Ci dici il nome di un artista o di una canzone italiana? Il vecchio hardcore italiano è fantastico (Battalion of Saints).

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Nome? Matt Reilly. Età? 30. Da dove vieni? New York. Cos'hai nelle tasche? Due monete portafortuna e una pietra magica. Qual è il tuo vizio segreto? Mangiare schifezze. Qual è l'artista-la band più sorprendente d'oggi? Un nuovo gruppo che si chiama Puppies And The Art Of Dan Graham. Di chi sei la reincarnazione? Una vecchia puttana. Che poster avevi nella tua camera quando eri un teenager? Minor Threat. Ci dici il nome di un artista o di una canzone italiana? Trouble vs Glue.



Fart uno spazio dedicato al sacro fuoco dell’arte

Di Giovanni Cervi (verbavolant@pigmag.com)

Matteo Donini Mi sono sempre chiesto cosa muova le persone che stanno nel mondo dell’arte. Gli artisti è facile, si sa, è il sacro fuoco che li divora. Ma tutti quelli che ci stanno intorno? Galleristi, curatori, critici, agitatori… cosa li spinge? Fart questo mese intervista Matteo “The Don” Donini, street art collector e gallerista. Come ti sei avvicinato al mondo della Street Art? Il primo avvicinamento con il fenomeno è avvenuto a Londra, nel 1996. Durante gli anni successivi, con Bo130 e Microbo come ciceroni, ho potuto approfondire il tema, entrando poco a poco in contatto con gli artisti... è diventata poi una grande passione. Quante ne hai da raccontare (di storie folli e strane)? Più che di storie strane potrei raccontare di tanti eventi, mostre ed incontri che ho fatto e visto da allora. La cosa più interessante è stata l’aver seguito l'evoluzione della tecnica e dello stile nel corso di tanti anni insieme agli artisti, da vicino. Gli aneddoti più divertenti sono legati più al legame che unisce l'arte al mercato dell'arte, a tutto il circo di persone che ci gravitano intorno. Mi ricordo quando nel 2007 mia sorella, collezionista, mi chiese se conoscessi un certo Bunksy,

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Benksy, che aveva venduto una tela a 250 mila pounds, mi chiedeva: “Ma chi è questo qui? Da dove esce?” Perché la scelta di aprire una galleria? La galleria è stato un piccolo sogno divenuto realtà. Avendo iniziato come semplice collezionista, l'idea di poter curare i miei show aprendo un mio spazio dedicato, invitare gli artisti che più ti piacevano era decisamente un progetto che tenevo nel cassetto. Gli stessi artisti, data la situazione di completa confusione e ignoranza riguardo al tema “graffiti”, mi hanno sempre sostenuto ed incoraggiato a fare il passo. Dopo tre anni devo dire che ne è valsa la pena. La street art si divide tra prima di Banksy e dopo Banksy, come vedi tu il futuro dell'arte urbana? Direi più che la Street Art esiste da molto prima del fenomeno Banksy, ma che attra-

verso il suo lavoro lui abbia contribuito a rendere la Street Art un nuovo e solido movimento artistico, riconosciuto dal mercato istituzionale dell'arte, con ormai grandi artisti celebrati e quotazioni alle stelle. Che differenze noti tra il mondo italiano e quello estero? In italia c'è ancora molta confusione riguardo al tema, si tende come al solito a strumentalizzare e generalizzare. Penso però che si stia finalmente andando in una buona direzione. Il mercato e l'interesse per la Street Art inizia a crescere anche qui. Penso che in altri paesi europei come Francia, Germania e Inghilterra ci sia una situazione più florida, più informazione, sostegno al fenomeno da parte di gallerie, sponsor privati, musei, comuni. Non parliamo degli Stati Uniti dove il fenomeno è diventato molto importante. www.thedongallery.com



Brett Simpson wearing the Jameson 2 Eco featuring a natural canvas upper, shoe laces made from recycled plastic bottles, and an outsole containing recycled bike tires and rubber gloves. etnies.com facebook.com/etnies www.bluedistribution.com


For every pair of Jameson 2 Eco shoes sold, etnies will plant a tree in Costa Rica’s rainforest to help curb global warming. Much of the earth’s rainforests have been destroyed for farming over the last 80 years, and etnies is going to help reverse deforestation one pair of shoes at a time.


Shop

Intervista ad Anna Polydorou di Federica Baldino

Occhi Occhi è il nostro primo shop based in Atene, dedicato alla moda e al design greco e internazionale. Molto interessante per chi è alla ricerca di realtà differenti. Ciao Anna, come va? Benissimo. Sei tu la proprietaria di Occhi? Si si, ho creato io tutto questo. Chi sono i tuoi clienti? Non ho una clientela tipo. I miei clienti variano dal funky a giovani professionisti (architetti, designer, artisti, ecc...), donne di 60 anni che vogliono qualcosa di bizzarro da indossare. Ah, dimenticavo. I miei clienti stranieri che lasciano le loro mail in modo da far parte della mia newsletter. E poi si può sempre ordinare su Facebook. Perchè dovremmo entrare nel tuo negozio? Abiti e accessori hanno un carattere tutto

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loro, sono facili da indossare e talvolta i clienti danno una mano a creare i loro abiti. Ho sentito che una tua cliente una volta ha avuto problemi all'aereoporto dopo aver acquistato una borsa nel tuo negozio... Ah ah ah! Aveva acquistato la Guardian Angel bag di Vleiger & Vandam che ha all'interno la sagoma di una pistola; si è recata all'aereoporto di Roma per rientrare ad Atene è passata per i controlli di sicurezza. Non volevano lasciarla più andar via, pensavano fosse vera. Parlaci di Euangelia... Euangelia è una designer greca che produce solo pezzi unici che si possono indossare in mille modi diversi grazie a materiali come ferro, seta, plastica che permettono di mo-

dificare la natura dell'abito.Tutto ispirato al peridodo rinascimentale. Cosa sai dirmi su gli ultimi eventi che hai organizzato? Occhi organizza mostre personali e collettive. Questo Natale abbiamo fatto una festa "Splash Red", tanto vino rosso, rigoroso dress code e soprattutto la presentazione della nuova collezione di Euangelia. Poi c'è stata la Splash White con articoli per la casa Flytox di Eric et Elena (lampade, portacandele, vasi ecc...), solo alcolici bianchi ovviamente. Occhi 28 str Sarri, 10553 Atene, Grecia www.occhi.biz


Publisher

Intervista di Rujana Rebernjak

Manufactory for Garbage Publications Manufactory for Garbage Publications è un progetto che nasce dall’intuizione di due ragazzi che, osservando una montagna di rifiuti e oggetti indesiderati, hanno capito che vi si nascondevano delle storie che dovevano essere raccontate. Com’è nata l’idea di questo progetto? Durante una passeggiata in una delle strade della città abbiamo notato che c’era lo “Sperrmüll” - il giorno in cui le persone possono svuotare le proprie cantine dalle cose di cui non hanno più bisogno. Frugando tra i vecchi mobili e qualche oggetto rotto, abbiamo trovato i rifiuti di una vecchia tipografia - una quantità enorme di carta e alcuni libri pubblicitari degli anni ‘70. A quel punto abbiamo deciso non solo di collezionare le cose curiose che trovavamo, ma anche di condividerle tramite una serie di pubblicazioni.

Cosa trattano le pubblicazioni uscite finora? Che materiali avete usato? La pubblicazione “Human Perspectives” parla della vita in generale in un modo molto astratto e fotografico. La zine “Zum Geleit” invece consiste di una serie di immagini ingrandite di giovani uomini che fanno una specie di body-work. Usiamo soltanto i materiali trovati, dalle immagini fino alla carta sulla quale vengono stampate. E’ interessante che i materiali che usiamo passano una tripla selezione: la prima è fatta dalle persone che buttano le loro cose. Rovistando tra le pile di rifiuti noi

scegliamo cosa portare via e cosa lasciare. E la terza selezione la facciamo a casa: una volta visto tutto il materiale decidiamo cosa usare, quali elementi evidenziare. Qual è il vostro interesse principale nel creare questo progetto? Ci emoziona molto l’idea che alcune persone apprezzino quello che abbiamo creato dalle cose alle quali, altre persone, non attribuivano nessun valore. Come si evolverà questo progetto, essendo legato all’evento annuale di “Sperrmüll” ? Perchè dovrebbe essere legato ad esso? I rifiuti si possono trovare dappertutto, e ciò non cambierà mai. Non abbiamo uno schema preciso di cose che pubblicheremo in futuro, dipende tutto da cIò che riusciremo a recuperare in giro. Perchè usare la spazzatura piuttosto che altro materiale trovato per esempio in internet, prassi che usano molti artisti e designer oggi? La grande differenza sta nel fatto che questi materiali hanno lasciato il circolo commerciale. Vengono considerati inutili. Questo sembra un buon punto iniziale per costruire una narrazione. Cosa ne pensate dell’editoria indipendente oggi? Essere redattori, designers, stampatori e editori in una persona permette di avere una libertà enorme, ma allo stesso tempo pone il rischio di un fallimento completo. Ci piace questo gioco. Potete consigliare un libro? Abbiamo trovato il libro Der Leitfaden der Zoologie, ripubblicato nel 1912 per la 34esima volta, che spiega tramite parole e immagini il lato zoologico del mondo in cui viviamo. L’abbiamo usato per le nostre pubblicazioni - è bello vedere come questi libri acquisiscono una nuova vita. www.einervonunsbeiden.dew

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Design

Intervista di Mariacristina Bastante (kikka@pigmag.com)

"Domestic animals", termosifone

“Three living objects”, mobili multifunzione

When functions follow forms Forma e funzione sono gli estremi del design. Un po’ come dire l’etica e l’estetica. Poi c’è chi riesce a giocarci e ci sorprende con progetti in cui forma e funzione s’intrecciano perfettamente. Così fa Guus Van Leuween, designer olandese, alle prese con un kit di sopravvivenza quotidiana, stoviglie che s’incastrano, mobili trasformisti e animali domestici per riscaldare casa… Descriviti, in tre parole… Un pensatore, idealista e analitico. Quanti anni hai? 27 Dove vivi adesso? Eindhoven, nei Paesi Bassi. Com’è il tuo studio? E’ uno studio di progettazione e realizzazione. La parte manuale è importante nel mio lavoro. Cerco di bilanciare il lato dello scultore con quello del designer. Costruisco tut-

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to da solo per quanto mi è possible, usando materiali naturali, inclusi i metalli. Pensi che il design debba essere per forza utile? Questa è una domanda difficile. Che cosa è utile? L’arte è utile? Si potrebbe dire di no, ma d’altro canto un’opera d’arte si guarda, da emozioni, se ne parla e così via… in un certo modo, voglio dire, un’opera d’arte è utile. Penso che l’utilità non sia necessariamente un confine tra arte e design.

Certo il design dev’essere utile, ma questo non vuol dire che debba essere un utensile. Credo che la differenza tra design e arte si formi nel momento in cui inizia il processo creativo. Se si sta facendo qualcosa per qualcun altro o per se stessi. Voglio dire che un buon designer dev’essere estremamente consapevole che alla fine di tutto c’è un’altra persona che utilizzerà quel prodotto… E questo è il motivo per cui molto spesso propendo per l’arte. Alcuni miei pro-


getti li ho fatti perchè avevo bisogno di farli, senza sapere perchè o per chi. C’è qualcosa che ti ispira? Le cose più importanti sono la storia, la natura, i materiali, la fisica. Poi il modo in cui le persone farebbero le cose se non avessero gli strumenti di cui disponiamo adesso. Ad esempio, come le persone riscalderebbero la loro casa? Come si curerebbero? Si parla molto di Dutch design, di Droog e della Accademia di Eindhoven. Che ne pensi? Il design olandese si può riassumere in un unico “movimento”? Molti olandesi hanno un tipo di attitudine, un tipo di carattere che è determinato anche dalla cultura del nostro paese. Questo ha funzionato bene, combinato con una scuola di design che gode di un’ottima reputazione internazionale, dove la maggior parte dei giovani designer ha studiato, probabilmente imparando un po’ tutti le stesse cose. Ma non direi che si tratta di un movimento. Ci sono moltissimi designer olandesi che vanno ognuno per la propria strada. E se non fossi diventato un designer che lavoro avresti fatto? Probabilmente mi sarei buttato sul lato tecnico del design. Qualcosa tipo ingegnere meccanico. Finiti i miei studi in design avevo provato a frequentare part time la Facoltà di Inge-

“Connected”, stoviglie componibili

gneria Meccanica, ma la mia matematica era tragica, dopo sette anni di studi non scientifici! Tra i progetti che hai già realizzato qual è quello a cui sei più legato? Si tratta sempre dell’ultimo pezzo che ho realizzato, forse perchè è ancora fresco nella mente. In questo caso è una serie di mobili multifunzionali. Three Living Objects che in realtà racchiudono nove funzioni. C’è una sedia che diventa tavolo e mensola, c’è una sorta di panca, che diventa tavolo e una lampada che diventa candelabro e appendiabiti. L’idea è che si possa avere una casa “flessibile” in cui per organizzare una festa uno non debba comprare mobili che poi non sa dove riporre. Il design è minimale, non volevo fare oggetti che apparissero molto complicati. Ogni funzione è indipendente dall’altra. E’ stato come comporre un puzzle e penso di averlo fatto bene. Sono abbastanza fiero del risultato. Ci racconti qualcosa dei tuoi Domestic Animals? E’ un tipico esempio di come ho usato la storia per fare del design contemporaneo. Mi sono ispirato agli uomini primitivi che vivevano vicino ai loro animali, scaldandosi con il loro tepore. I Domestic Animals sono radiatori a forma di animali collegati al sistema di riscaldamento centrale. Sono fatti

con un unico tubo che inizia e termina nella coda. L’idea è di creare dei termosifoni che attraggano le persone verso il calore, in alternativa al fatto di “portare” il calore alle persone. Trovo molto interessanti i tuoi progetti Connected e Herbkit. Si tratta di oggetti differenti, ma accomunati da forme semplici e compatte… Herbkit l’ho fatto per soddisfare un mio bisogno interno… Sono sempre stato affascinato dalle guide per la sopravvivenza: dicono molto su come prevenire le malattie, ma nulla su come curarsi. Così mi sono ispirato a quando le persone fabbricavano le medicine con le erbe… Molto di questo sapere è andato perduto. Ho fatto una ricerca e costruito questo kit in cui si trovano tutti gli strumenti per prepare le proprie medicine a partire dalle erbe, ricette incluse. E’ una scatola di primo soccorso, piccola e compatta. Connected è un set di stoviglie nato da uno studio sulle serie. Volevo creare una serie in cui ogni pezzo fosse letteralmente connesso all’altro. Le forme nascono proprio dalla funzione e da questa idea che avevo avuto. Sebbene non sia stato disegnato per essere davvero funzionale è piuttosto maneggevole, ad esempio per un barbeque o per un buffet. Qualche volta è la funzione a seguire la forma. www.gewoonguus.nl

“Herbkit” kit di sopravvivenza

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Nintendo 3DS PIG Magazine for Nintendo 3DS Intervista alla nuova console Nintendo di Janusz Daga. Foto di Piotr Niepsuj

Immagini 3D senza occhiali? Appena sceso dall’aereo che da Kyoto lo porta a Milano, PIG va a pizzicare il nuovo nato in casa Nintendo. La console che grazie ad una tecnologia top-secret ci fa vedere in tre dimensioni ma senza bisogno di occhialetti. Avete presente gli ologrammi di Star Wars? Ci siamo arrivati davvero. Dopo una lunga attesa riusciamo finalmente a svelare i segreti del gioiello tecnologico più atteso dell’anno che siamo sicuri, cambierà per sempre le regole del mercato e sposterà in avanti le lancette del tempo e dello spazio. C’è chi parla di quarta dimensione, chi di quinta… noi facciamo qualche domanda per capire quali sorprese ci ha portato dai suoi viaggi! Come ti chiami? Nintendo 3DS Di dove sei? Kyoto, Giappone. Quanti anni hai? Sono giovanissimo. Nemmeno un mese. Cos’hai nelle tasche? Ovviamente un Nintendo 3DS. Qual è il tuo vizio segreto? Appena ho un minuto libero, stacco da tutto e mi diverto. Sbaglio o ci siamo già visti? Impossibile, sono appena arrivato! Come sei arrivato? E’ una storia lunga. La mia famiglia ha una lunga tradizione nel campo dei videogiochi e da sempre abbiamo creato personaggi e inventato cose quando tutto sembrava ormai visto e sperimentato. Le nostre invenzioni hanno fatto lunghi viaggi e conquistato il loro spazio nel mondo, abbiamo sempre avuto uno spirito libero. Questa volta però ho deciso di partire da solo, anche per cambiare le mie prospettive. Amo viaggiare, sono piccolo e mi puoi portare dappertutto. Forse anche per questa mia voglia di avventura non mi sono mai posto dei limiti. Bastano una t-shirt e un paio di jeans e io mi adatto alla perfezione. Sono un peso piuma. Ti puoi descrivere in due parole? Sono un tipo tranquillo ma so come sorprendere gli altri. Mi piace inventare cose nuove, vedere il mondo con prospettive diverse e inesplorate e sono sempre in movimento. Sono giapponese ma mi muovo bene anche per le strade di Milano, adesso però non chiedetemi di giocare insieme a Pachinko perché questo non lo sopporterei. E “kanpai” lo diciamo quando facciamo un

brindisi. Però adesso basta con le domande sul Giappone! Ci hanno detto che hai la passione per la fotografia in 3D, ci spieghi cos’è? Durante i miei viaggi fotografo sempre tutto, ma da oggi mi porto sempre in tasca due fotocamere digitali con una speciale tecnologia 3D che permette di ottenere effetti incredibili. Riesco anche a fare montaggio e post-produzione. Sono abbastanza bravo con queste cose, uso le tecnologie più avanzate in modo facile e intuitivo. Non per vantarmi ma posso fare un sacco di cose. Tutto tecnologia e niente svago? Al contrario, nei momenti di relax so essere il compagno perfetto: insieme possiamo giocare, allenarci, dipingere, inventare, scrivere, connetterci e scaricare news. Basta decidere e io ho sempre qualche bella idea per passare il tempo in modo divertente e creativo. E poi non ti ho ancora detto che quando giochi, le immagini che vedi sono in 3D. Ma allora ci vogliono gli occhiali del cinema! Beep Beep Richie! Niente occhiali! Niente complicati sistemi o stupidi occhialini da indossare. Anche perché sono scomodi e non sai mai dove metterli, specialmente se sei in viaggio. Ti basta accendermi per capire che è una novità pazzesca. E’ top-secret! Ci puoi raccontare il segreto? Metti insieme una coda di Pokémon e un baffo di Super Mario… Capito. Non lo sapremo mai. Se ve lo dico poi tutti tenteranno di copiarmi, inventare una cosa come questa non è mica facile!

Cosa ti piace del mondo di oggi? Mi piace quasi tutto, sono molto curioso e cerco sempre di fare più esperienze possibili. Come ti dicevo la fotografia è una passione, ma anche la musica e i videogames mi piacciono. Conosco tantissime lingue diverse e mi capita di parlare con un sacco di gente durante i miei viaggi. Forse è proprio questo che mi piace di più del mondo oggi, la possibilità di scambiare opinioni con tante persone, trovare argomenti comuni e condividere le cose divertendosi. Una volta era più difficile, adesso invece c’è questa nuova modalità Street Pass e mi sono fatto una marea di nuovi amici. Ce la puoi raccontare almeno questa? E’ semplice, mi puoi tenere in tasca, anche spento. Io mi connetto automaticamente alle altre console presenti nella stessa zona e ci scambio due parole o gioco con loro. Questo può essere divertente per conoscere nuove persone, scaricare bonus particolari e informazioni utili. Non do mai nulla per scontato e può sempre capitare qualche sorpresa. Hai presente la scatola di cioccolatini di Forrest Gump? Ma ci si potrà connettere anche con il Wi-Fi? Si, si chiama SpotPass. Avvicinandomi a qualunque hot spot Wi-Fi mi connetto e faccio tutto il lavoro da solo: scarico classifiche, dati per i tuoi giochi, nuovi software gratuiti e mille altre sorprese. Siamo solo all’inizio ma ci sono un milione di cose da fare se mi porti in giro. Adesso che ci hai scattato un sacco di foto, possiamo fartene una noi? Ok, mi metto in posa? www.nintendo-3ds.it

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PIG files

Di Giovanni Cervi

Branch shelf

Art by Wee Flowers

Era da un po’ che la mia ossessione per le librerie non trovava sfogo. Per fortuna mi è giunta voce di questa libreria dell’architetto Olivier Dolle, che segna una sorta di ritorno a casa della carta: albero era e albero sarà. Dinamica, stilosa, raffinata e colta. Quale posto migliore per custodire i nostri tesori letterari? www.olivier-dolle.com

Tea Time

Double feature

The New English è un brand di ceramisti inglesi che vogliono svecchiare le nostre tavole. Piatti, tazzine e accessori vari per il rito del tea time delle cinque trasportati nel mondo dell’arte contemporanea più pop. La nuova linea li vede affiancati dalla Strychnin Gallery con una collezione limitata realizzata dai migliori artisti del neopop. Da gustare con gli occhi! www.thenewenglish. co.uk - www.strychnin.com

Questo è il sogno proibito di tutti i designer e architetti: una lampada che è anche light box. Oltre a essere funzionale per illuminare, la si può usare come piano retroilluminato per disegnare. Dalla Svezia con funzionalità. www.hommin.com

The bridge garden New Italian Blood si occupa da anni di architettura e di promuovere giovani e qualità. Uno dei loro ultimi concorsi si basava su riletture di un ponte tra gli appennini calabresi; è stato vinto dai francesi Philippe Rizzotti, Vermet Tanguy, Manal Rachdi e Samuel Nageotte con l’incredibile idea di un ponte giardino, rispettoso della natura e del paesaggio. Ashes to ashes, green to green. www.newitalianblood.com

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Dream bigger Un’utopia che sta diventando realtà. Molti creativi di ogni campo hanno fantasticato nei secoli di trasformare i deserti in foreste, sembra che ora il momento sia giunto: Norvegia e Giordania hanno compiuto gli step necessari e ora il progetto Sahara Forest Project sta per aver la posa della prima pietra. Una titanica centrale di produzione di energia sostenibile figlia della collaborazione di menti illuminate sparse per il mondo. www.seawatergreenhouse.com - www.exploration-architecture.com - www.maxfordham.com

Bubble bubble Le trasparenze saranno il trend dell’anno. Ecco un’altra stanza, stavolta semovente da cui ammirare ciò che ci circonda senza limiti pur stando isolati. Forse ci si sente invisibili, magari stuzzica fantasie voyeristiche, probabilmente è l’idea di limpidezza e sterilità che è vincente. Basta che non esploda come nel famoso videogioco... www.bubbletree.fr

Full immersion Forse ispirata al Capitano Nemo, oppure ai Pirati dei Caraibi.. la selvaggia inventiva del designer Maximo Riera si scontra con l’oscuro abisso che è nel profondo del nostro ego. Octopus Chair è la prima seduta di una serie dedicata agli animali, un oscuro scrutare sott’acqua per ammirare la bellezza della natura in totale comodità. Un abisso di relax. www.maximoriera.com

Toolbox Le pulsazioni delle città sono sempre irregolari, seguono la costante mutazione urbana, che ha un ritmo tutto suo. L’architetto Caterina Tiazzoldi cerca di seguirne l’impulso con questo progetto modulare di condivisione di spazi lavorativi. Un meta_ufficio che guarda al futuro offrendo servizi a poco e coordinati. L’impressione è che Torino abbia sempre un piede nel domani.. www.toolboxoffice.it - www.tiazzoldi.org

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Feature on Designer: Martin Lamothe www.martinlamothe.es - Intervista ad Elena Martin di Fabiana Fierotti

Martin Lamothe, brand dal cuore spagnolo nato nel 2007, è alla sua terza collezione, swing e retro. Ciao Elena, come stai oggi? Oggi piuttosto stressata, tre settimane alla sfilata, sai cosa intendo. Da dove vieni e quanti anni hai? Vengo da Barcellona, Spagna. Ho 31 anni, quasi 32! Parlaci dei tuoi studi. Ho studiato moda alla BA a Barcellona e poi ho seguito un Master in Fashion Design al Central Saint Martins College a Londra. Ho anche partecipato a qualche corso di design per tessuti e stampe digitali. Perché hai deciso di trasferirti da Barcellona a Londra? Cioè, lì c’è molta competizione! Era il mio sogno! E poi Barcellona era troppo piccola e per nulla avanti , non potevo sopportarlo! Dovevo farlo! Immagina, i miei insegnanti dicevano che i miei colori non erano abbastanza mediterranei... ha, ha, ha! Puoi crederci? Chi

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è che vuole i colori mediterranei! Tra l’altro cosa vorrà dire colori mediterranei? Ha, ha! Alla fine Il tuo brand, Martin Lamothe, è nato nel 2007. Perché hai scelto questo nome e come sei riuscita a entrare così velocemente nell’industria della moda? Beh, non è stato così veloce. La cosa giusta è stata il finire i master a 21 anni, molto presto. Il nome del brand deriva da un misto tra il mio cognome e uno che ho sempre amato, Lamothe. In più ero sicura di volere un nome composto che rappresentasse tutti quelli che hanno da sempre collaborato con il brand. Odiavo l’idea di usare il mio nome quando quello che volevo creare era una storia, un universo, non il mio nome al di sopra di tutto. Ci descrivi la tua collezione ss11?

Swing, retro... Molto musicale e jazz: mandarino, arancia, cielo e fragola… L.A., Venice Beach. Qualche anticipazione sulla collezione aw11? Est, grano, ottone, gomma e lana. Descrivi la tua estetica in tre parole. Eccentrica, intellettuale, romantica. Se potessi cambiare città ora, quale sceglieresti? Ancora Londra, sempre Londra. Se no New York, New York! Una città tanto splendida da essere stata nominata in un attimo. Il viaggio dei tuoi sogni? Adesso Africa o Nepal, l’Himalaya. In realtà, il top sarebbe la Luna. Dove possiamo trovare i tuoi capi a Milano? Dovrete aspettare ancora un poco. Ora sono aperta a nuovi mercati e spero di arrivare abbastanza presto anche da voi.


Blog of the Month: Miss Moss www.missmoss.co.za - Intervista a Diana Moss di Fabiana Fierotti

Diana è semplicemente un mito. Il suo blog, Miss Moss, è un concetrato di estetica, gusto impeccabile e ricerca perfetto. Lo amerete proprio come noi. Cara Diana, come stai? Ho caldo! Sono passate le 20.00 e ci sono ancora circa 30 gradi fuori. L’estate in Sud Africa è roba seria. Che piani hai per la serata? Ho appena fatto la doccia dopo una lunga passeggiata con i miei cani, e mi sto bevendo una birra ghiacciata, provando a finire qualche lavoro prima di andare a letto. Quando hai aperto il tuo blog? Ho aperto il blog circa due anni fa, fondamentalmente per catalogare alcune cose e condividere ciò che trovavo online – invece di piazzarle inutilmente sul mio computer e scordarle poco dopo. Ho una memoria terribile e ho bisogno di tenere una sorta di “diario” delle cose da cui traggo ispirazione. E’ come se fosse un album che puoi conservare come un teenager, soprattutto per quanto riguardo l’aspetto grafico. Da dove trai ispirazione esattamente? Gli argomenti che mi interessano di più sono il vintage effimero, l’arte, il design, le illustrazioni, la moda e la fotografia, ogni cosa che è piacevole alla vista e ha una storia interessante da raccontare. Mi attirano anche le cose che

hanno senso dell’umorismo e non si prendono troppo sul serio... A volte condivido la mia passione per la musica (fare mixtapes è uno dei miei passatempi preferiti), e sono conosciuta per i post di immagini carine di gatti. Hai un lavoro? Com’è la tua giornata tipo? Lavoro come graphic designer nell’ufficio di comunicazioni di uno studio di architettura. Mi siedo davanti al computer dalle 8 di mattina fino alle 17.30 e lavoro su tutto, dal sito web ai materiali stampati. Faccio anche qualche lavoro freelance per sostenere la mia inclinazione allo shopping online e la buona birra. Il tuo immaginario è molto interessante. Come lo definiresti? A volte il solo vedere una foto particolare può ispirarmi, sia per l’atmosfera che crea o forse è giusto uno schema di colori che trovo affascinante. Penso che se dovessi scegliere una parola sarebbe “sentimentale”. Ti consideri una persona “contemporanea” ? Non potrei vivere senza alcune cose del presente (internet, iPod, 30 rock) ma mi identifico con un certo sistema di valori delle epoche

passate, specialmente il fatto che le cose non erano così usa e getta allora. Odio vivere in una cultura dello spreco che celebra e riverisce le cose mediocri – come le star dei reality televisivi. Qual è la tua epoca preferita? Perché? Gli anni settanta, sicuramente! Se dovessi vestirmi seguendo un’epoca specifica, indosserei pantaloni a vita alta, a zampa d’elefante e scarpe con le zeppe, tutta la vita! Per mia fortuna gli anni settanta stanno tornando di moda proprio ora. Ciò avviene anche nella musica, amo il funk e la disco – non riesco a pensare a una musica migliore da ballare. Hai un sogno? Sogno di avere una casa tutta mia un giorno e poter dipingere di ogni colore le pareti e appendere tutte le immagini che voglio, senza che un proprietario me lo impedisca. Qual è l’ultimo posto in cui sei stata? All’estero, Parigi. Nelle vicinanze, il supermarket. Ora dicci quello che vuoi. Sono felice di sapere che PIG significa “People In Groove” e non è un magazine sui maiali. Aahahahahahaha. Mitica.

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Andrea Incontri “Credo che il vero lusso sia nell’attesa, nei suoni, nella leggerezza, all’aperto”. Queste parole dicono più di mille recensioni. Andrea Incontri crede molto in quello che fa e ci racconta le sue borse attraverso immagini da leggere mediante il suo pensiero. Gestualità e oggetto si uniscono, per far sì che ciò che importa è l’utilizzo, il consumo; soltanto in questo modo un semplice corpo inanimato, come le borse in questo caso, può diventare altro da sè. Una collezione senza tempo dalle linee pulite e morbide, con l’utilizzo dei migliori materiali. www.andreaincontri.com F.F.

Vestire Consapevole Questo è il motto del brand Marvielab, che si pone come obiettivo un abbigliamento noseason. Attraverso la scomposizione di capi di abbigliamento classici, si arriva a forme nuove che rendono l’individuo protagonista. E’ come se indossando un vestito noi trovassimo il nostro habitat e il vestito la propria personalità. wwww. marvielab.com F.F. 30 PIG MAGAZINE

Ck One No, non il profumo. Stavolta Clavin Klein Fragrances, insieme a Coty Prestige e Warnaco, lancia una linea concentrata su jeans, intimo e costumi da bagno che prenderà il nome, nonchè il mood, dalla famosa fragranza, un must degli anni ’90. L’estetica essenziale è il marchio di fabbrica. www.calvinklein. com F.F.


Maison Michel Un “cast” d’eccezione per il lookbook di presentazione della stagione ss11 di Maison Michel. Nelle immagini potete ammirare Ashley Smith,Tanga Moreau e Karolina Kurkova, ma c’è molto, molto di più. L’estetica eccentrica dell’art director Laetitia Crahay si conferma tale, con una collezione di copricapo (perchè no, non sono solo cappelli) che oltre ad avere un grande sense of humor, dona un’aria scanzonata, dalla strana eleganza. www.michel-paris.com F.F.

Olga Vilshenko Direttamente dai monti Urali, una nuova designer debutta nel mondo della moda con una collezione dal sapore 60’s. Olga Vilshenko ha imparato tutto dalla mamma, che durante il regime comunista si concedeva il vezzo di creare abiti per tutta la famiglia che non fossero omologati a quelli tristi e tutti uguali che si trovavano nei negozi. Oggi, viaggiando tra Londra e Mosca, la designer promuove la propria collezione, un misto di freschezza e modernità, con un tocco retro. www.vilshenko.com F.F.

Milk from a Thistle Ennesimo brand based in Australia (prima o poi bisognerà pure farci un saltino, a questo punto). Milk from a Thistle è la creatura della designer Danielle Atkinson, che dopo un inizio nel mondo della musica indie, ha preferito donarsi alla passione per la moda. La collezione ss11 è tutta concentrata sulle stampe e su forme comode e femminili. www. milkfromathistle.portableshops.com F.F.

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Opposite cultures Abbiamo parlato recentemente di Karla Špetić e lo rifacciamo voltentieri, perchè una collezione come questa necessita di essere premiata con le giuste parole. "Centre" si concentra sulla giustapposizione tra due culture diverse, facendole convergere in una. Sihlouette maschili si incontrano con forme fluide e femminee, sui toni del deserto e delle strade australiane. Sentirete ancora parlare di lei. www.karlaspetic.com F.F.

Fred Perry did it again Fred Perry, simboleggiato dalla corona di alloro più famosa del mondo, ci delizia con una collezione che sfiora la perfezione e che vede un sodalizio con Richard Nicoll tutto all’insegna degli anni ‘50. L’aria da teddy girls si respira a pieni polmoni grazie a uno styling accurato che rimanda anche ad atmosfere pseudo-edwardiane (vedi i capelli), nonchè alle sottoculture inglesi. Un gentile schiaffo al conservatorismo, con stile. www.fredperry. com F.F.

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We still love Roksanda! E la sua collezione aw11, stay tuned! www.roksandailincic.com


I said menswear!

Di Michela Biasibetti

Let it be snow Scozzese di nascita, dopo aver commissionato a Ryan McGinley le due ultime campagne pubblicitarie, il brand ha investito sul fotografo svizzero Walter Pfeiffer (trovete la sua intervista sul prossimo numero) per la realizzazione della S/S 2011 e A/W 2011/2012. La collaborazione ha inoltre visto la nascita di “Let it Be Snow”, cortometraggio realizzato per la presentazione della collezione uomo. In un momento in cui i contenuti video stanno affascinando il mondo moda, Pringle of Scotland ha fatto decisamente la mossa giusta affidando il tutto ad un’icona dell’underground anni ‘70. www.pringlescotland.com

Sandqvist Svedese, con base a Stoccolma, Sandqvist è un brand di borse fondato dai fratelli Anton e Daniel. L'ultima collezione, presentata a Berlino e Copenhagen, si ispira ad un mondo passato, dove gli oggetti sono legati alla funzionalità. La collezione, realizzata in canvas e pelle, è caratterizzata da un design semplice e colori basici. Una linea costruita sui toni del blu, rosso, marrone e nero. Potete acquistarla sul sito web o dagli oltre sessanta rivenditori in Europa. www.sandqvist.net

Limited edition d’arte Vault by Vans rilancia un modello classico, la Sk8 Hi Th Lx, lasciando la rivisitazione della scarpa all'artista giapponese Taka Hayashi, vicino alla cultura skate dal 1983, anno dal quale la California è diventata il suo paese d'adozione. In edizione limitata, in pelle e tela, disponibile nei monomarca Vans. www.vans.it

Baron Wells Baron Wells è un brand newyorkese fondato nel 2010. Inserito nello stesso anno nei dieci nuovi marchi da tenere d'occhio secondo Monocle di Tyler Brulè, la linea punta su capi da tagli e colori basici, ponendo attenzione ai materiali utilizzati e alla qualità dell'industria artigiana. www.baron-wells.com

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Foto di Mara Corsino

Nostalgia della sintesi Per la s/s 2011 February crea una linea dalle forme minimali e tagli netti, che conduce alla sintesi delle forme geometriche. Capi nelle sfumature dell'azzurro, marrone e bianco, con l'intento di trasmettere un tocco nostalgico, che rimanda ad una realtà assente, non tangibile. www.february.it

Dandy Exhibit Il Nordiska Museet di Stoccolma, museo di storia più rilevante di tutta la Svezia, ospita una exhibition sulla figura, l'estetica e lo stile di vita dietro la filosofia del dandy. In mostra fino al primo maggio. www.nordiskamuseet.se

La geometria del legno La Maison Martin Margiela realizza una collezione sulla base della figura geometrica del rettangolo. Per la linea "11" gli accessori sono realizzati in legno o stampati per crearne lo stesso effetto. Portafogli, ciondoli e anelli che richiamano alla natura. www. maisonmartinmargiela.com

Rebel Youth

Tre classici per i runner Per la collezione P/E 2011Nike Sportswear pensa ai runner e decide, tramite la V-Series, di riproporre tre classici. Ogni scarpa, mantenuta la forma originale, viene rivisitata e attualizzata da nuove metodologie di lavoro, che la rendono qualitativamente innovativa. www.nike.com

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Una raccolta di immagini scattate dal fotografo Karlheins Weinberger, rappresentanti la giovane classe operaia svizzera degli anni '50 e '60, conosciuta come Verlausten. Edito da Rizzoli, il libro mette a fuoco l'ispirazione derivante dall'immaginario della cultura pop americana. www.rizzoliusa.com



Taxi Driver

Fashion

Di Fabiana Fierotti

Vintage Rochas

Vintage

Vintage

Marc Jacobs

D&G

Simone El Rana

Jean Michel Cazabat

Les Nereides

Rebecca Taylor

Diesel Black Gold Pierre Hardy

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Mulberry

Dannijo

Nina Ricci


Chanel

Super

Nina Ricci

AurĂŠlie Bidermann

Marc Jacobs

Christian Loboutin

Giles

Loewe

Marc Jacobs

Prada

Dannijo

M Missoni

Tory Burch

Betty Jackson

Anya Hidmarch 37


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Photographer of the Month: Bobby Doherty www.bobbydoherty.net - A cura di Sean Michael Beolchini

Guardo le foto di Bobby e sorrido. Fresche. Il giovane newyorchese vede cose che molti si perdono, e la cosa che più apprezzo è l’armonia che questi momenti semplici, ma intimi, mi trasmettono. Certamente indotto dall’occhio dotato di giovane artista, Bobby Doherty al momento studia alla School of Visual Arts di NY. Le sue tonalità morbide, ma ingegnose, sono espresse anche attraverso i layout online, con i quali presenta la sua fotografia. Trovo interessante vedere come il lavoro di una persona evolva nel corso del tempo e delle sue esperienze, e Bobby è uno di quelli che bisogna seguire. Come ti chiami? Bobby Doherty. Di dove sei? Sono originario di Brewster, New York. Dove vivi? Al momento vivo a Brooklyn, New York. Perché hai deciso di vivere a Brooklyn? Non è molto lontano dalla mia scuola. E’ meno costoso di altri posti in città. Non è un luogo che fa paura. Se ti potessi trasferire ora, dove andresti? Non ho quasi mai lasciato lo stato di New York, mi piacerebbe provare il Northwest americano per un po’. Ci campi con la fotografia? Neanche un po’. Quindi come ci riesci? Prestiti per studenti ah ah. Qual è stato il tuo primo lavoro pagato? Ho fatto l’assistente di studio per un orribile fotografo da matrimonio nella città in cui sono cresciuto. Avrò avuto 14 anni. Era dannatamente il peggiore. Non avevo la patente allora, e lui mi faceva guidare e fare commissioni per sé, come andare a prendere i suoi figli a scuola e cose del genere. Era sposato e aveva una relazione con un’altra donna sposata. Mi faceva aerografare foto che le aveva fatto nuda, sul suo cellulare, aggiungerci degli effetti scintillanti, stamparle e inviarle alla donna con la quale aveva la relazione. Era un disastro. Quanti anni hai? Ho 21 anni. Quanti te ne senti? Questo varia soprattutto a seconda del clima. Quando hai iniziato a fotografare e perché? Ho iniziato a fare foto ossessivamente

quando avevo 10 o 11 anni, mi ricordo solo che cercavo una macchina fotografica. Mio nonno era un fotografo piuttosto importante e penso che il mio obiettivo fosse solo di essere più simile a lui. Ho letto che studi alla School of Visual Arts. Molti artisti dicono che nelle scuole d’arte dovresti imparare tutte le tecniche e la storia dell’arte, ma poi quando è tempo di lavorare, bisogna dimenticarsi di tutto per creare qualcosa di unico. Cosa ne pensi? Pensi che il sistema delle scuole artistiche imponga troppa influenza sul tuo lavoro? Penso che questa affermazione sia vera in un certo senso, ma non è come se chiunque potesse abbandonare completamente tutto ciò a cui si è esposto per creare qualcosa che sia interamente originale. Penso che molti artisti della mia età si agitino per la sfida di fare qualcosa che sia unico per il loro tempo - qualcosa che il mondo intero non abbia mai visto prima. E’ ridicolo. Non sono sicuro che il sistema delle scuole artistiche sia responsabile per qualcuno di questi, ma penso sia necessario lasciarsi influenzare per creare qualcosa che sia vero rispetto ai propri interessi. Come è cambiato il tuo lavoro da quando hai iniziato? E’ strano. Penso che le mie foto cambieranno sempre. Sono (ero) solito fotografare molto di più le persone; sto cercando di ritornare a quello. Come descriveresti il tuo modo di fotografare? Cute ‘n’ Fresh. Si tratta più di estetica o del senso delle cose? Probabilmente dipende da te. Qual è la tua big picture?

Non ne ho idea. Hai detto che la tua preferita è quella della mela, vada per quella. Cosa altera la tua percezione? L’erba. Cosa ami della fotografia oggi? Tutte le cose scherzose. Cosa non ti piace della fotografia oggi? Questa estetica point & shoot scattata da ubriachi. Stai facendo da assistente a qualcuno in questo periodo? Sono in stage a Vice Magazine da Agosto e darò il mio contributo quando posso per qualche servizio fotografico per il magazine. Qual è la lezione più importante che hai imparato facendo l’assistente? Non si può lasciare che il carattere merdoso di una persona rovini il servizio per tutti. Chi è la persona che più ammiri? Il personaggio che Frances McDormand interpreta nel film del 1996, Fargo. Che tipo di macchina fotografica usi? Una Nikon F3. E’ un fottuto mattone. Penso che ci siano pochissime macchine fotografiche 35mm che possano competere con la merda a cui ho sottoposto la mia negli ultimi quattro anni. Che macchina vorresti usare? Penso di essere praticamente pronto per passare completamente al digitale. Sono stanco di scansionare pellicole. Chi ti piacerebbe scattare in topless? Questa è la domanda più difficile. Vorrei fotografare un apicoltore in topless che si tocca i capezzoli insieme a un botanico, sempre in topless. Maschi o femmine. Chi dovrebbe essere il nostro prossimo fotografo del mese? Matthieu Lavanchy. Quale sarà il tuo prossimo scatto? Qualcosa di davvero molto serio. 39


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SMEG S.p.A. Tel. 0522 8211 www.smeg50style.com

Frigoriferi FAB28R


Nome? Tisa Sencur. Età? 23. Di dove sei? Slovenia. Cos'hai mangiato ieri a pranzo? Felafel. Tre parole per descrivere Berlino con i tuoi occhi? Sexy, retro e cheap. Chi ha lo stand migliore al BBB? Non saprei, non ho ancora visto. Qual è il tuo progetto? Divertirmi e fare belle foto. Qual è il modo migliore per sconfiggere i postumi di una sbronza? Un lungo bagno e un bloody mary. Hai un sito web? flickr.com/tisasencur

Bread & Butter Street Files - Berlin. Foto di René Fietzek - www.renefietzek.com

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Nome? Thibault Kunz. Età? 22. Di dove sei? Parigi. Cos'hai mangiato ieri a pranzo? Tante porcherie. Tre parole per descrivere Berlino con i tuoi occhi? Vedrò. Chi ha lo stand migliore al BBB? WAD Magazine. Qual è il tuo progetto? Visitare il Berghain. Qual è il modo migliore per sconfiggere i postumi di una sbronza? Aspirina, succo d'arancia e dormire. Hai un sito web? maisonclothes.com

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Nome? Jordi Sarrate Mollib. Età? 39. Di dove sei? Barcellona. Cos'hai mangiato ieri a pranzo? Riso asiatico con pollo. Tre parole per descrivere Berlino con i tuoi occhi? Alexanderplatz, freddo. Chi ha lo stand migliore al BBB? Nudie Jeans. Qual è il tuo progetto? Apprezzare il mio lavoro. Qual è il modo migliore per sconfiggere i postumi di una sbronza? Meditazione.

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Nome? Michaela Korte. Età? 28. Di dove sei? Stoccarda, Germania. Cos'hai mangiato ieri a pranzo? Cucina afroamericana. Tre parole per descrivere Berlino con i tuoi occhi? Rumorosa, grande, bella. Chi ha lo stand migliore al BBB? Minimum. Qual è il tuo progetto? Apprezzare il mio lavoro. Qual è il modo migliore per sconfiggere i postumi di una sbronza? Red Bull. Hai un sito web? geschwisterliebeshop.de

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Nome? Lucas Carine. Età? 21. Di dove sei? Parigi. Cos'hai mangiato ieri a pranzo? Zuppa di funghi. Tre parole per descrivere Berlino con i tuoi occhi? Mi sto divertendo. Chi ha lo stand migliore al BBB? WAD Magazine. Qual è il tuo progetto? Party. Qual è il modo migliore per sconfiggere i postumi di una sbronza? Bere. Hai un sito web? maisonclothes.com

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Nome? Matthias Knelter. Età? 28. Di dove sei? Germania. Cos'hai mangiato ieri a pranzo? Hamburger. Tre parole per descrivere Berlino con i tuoi occhi? Aperta, creativa, nuova. Chi ha lo stand migliore al BBB? Diesel. Qual è il tuo progetto? Fare il modello di copertina per PIG. Qual è il modo migliore per sconfiggere i postumi di una sbronza? Riuscirci.

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Nome? Carolin Berger. Età? 27. Di dove sei? Jena, Germania. Cos'hai mangiato ieri a pranzo? Cioccolato e caramelle.Tre parole per descrivere Berlino con i tuoi occhi? Povera, bella e sexy. Chi ha lo stand migliore al BBB? Fred Perry. Qual è il tuo progetto? Divertirmi. Qual è il modo migliore per sconfiggere i postumi di una sbronza? Una buona colazione e giocare alla Wii.

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Nome? Regina Bott. Età? 29. Di dove sei? Germania. Cos'hai mangiato ieri a pranzo? Hamburger. Tre parole per descrivere Berlino con i tuoi occhi? Urbana, cool, individuale. Qual è il tuo progetto? Tutto. Qual è il modo migliore per sconfiggere i postumi di una sbronza? Bere.

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Adam Kimmel Intervista di Fabiana Fierotti. Foto di Coley Brown

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Da tempo cercavamo di intervistare Adam Kimmel, menswear designer newyorkese sempre più in vista nella scena internazionale. Finalmente ci siamo riusciti. Adam è ciò che noi definiremmo il designer per eccellezza, almeno per ciò che riguarda la moda maschile. Il suo gusto è esseziale, molto studiato e ponderato e affonda le proprie radici nel workwear. La sua nuova collezione è interamente ispirata alla serie cult Twin Peaks, un vero colpo di genio; non solo, l’intero concept è stato costruito fianco a fianco con il pittore e scultore Dan Attoe, fondatore della corrente artistica Paintallica. Abbiamo parlato dell’ultima, graditissima e voluta collaborazione con Carhartt e della sua famiglia. Kimmel è sposato con l’attrice e modella LeeLee Sobieski, dalla quale ha avuto una splendida bambina, Louisianna Ray, che si diverte a chiamarlo “ba ba”. In generale, siamo davanti a un uomo che sa esattamente quello che vuole e si circonda solo della gente più stimolante: Dan Colen, Aaron Bondaroff, Gerard Malaga e persino Dennis Hopper. Da lui possiamo aspettarci davvero tutto, tranne l’eccesso. E ci piace proprio per questo. 57


Ciao Adam, come stai? Molto bene, grazie. Che piani hai per la giornata? Oggi sto realizzando la collezione ss12. Ho già cominciato con la prossima stagione. Quanti anni hai? 31. Dove sei stato lo scorso weekend? Lo scorso weekend ero qui a NY con mia moglie e mia figlia. Qual è la tua giornata tipo? Mi sveglio alle 7 tutte le mattine e passo del tempo con mia figlia. Poi faccio colazione e arrivo in ufficio alle 10. Sei nato e cresciuto a NY, una cosa piuttosto rara, no? Come ci si sente a essere un newyorchese puro? Hai mai pensato di trasferirti? Sogno sempre di trasferirmi, ma per qualche motivo la qualità della vita qui è eccellente ed è impossibile abbandonarla. Se non avessi motivi di lavoro mi trasferirei in qualche posto tranquillo come il Wyoming. Hai qualche ricordo particolare riguardo alla tua infanzia da raccontarci? Tutti i giorni dopo scuola ho passato il mio pomeriggio a Central Park. Qual è la cosa più pericolosa che hai fatto durante la tua adolescenza? I miei amici si mettevano nei guai più di me. Sono sempre stato a contatto con il pericolo ma di solito mi controllavo per evitare le sciocchezze. Ma quando hai 12 anni a New York e giochi a biliardo in una sala piena di fumo come quella dove andavo sulla 86esima strada, i guai riescono sempre a trovarti. Avevi uno show televisivo preferito? Mi piaceva molto Knight Rider e A-Team. Intorno ai 10 anni, guardavo anche The Wonder Years. Hai studiato Architettura; perché alla fine hai scelto la moda? Sentivo di avere qualcosa di più importante da esprimere con i vestiti. Quello che potevo offrire allora nel campo dell’architettura era parziale. I miei gusti si stavano ancora evolvendo. In realtà, i miei gusti si stanno evolvendo ancora, ma ora sono fondati su una base solida. Hai fondato il tuo brand nel 2002, com’è accaduto il tutto? Ho incontrato Joe Serino, l’ex presidente del menswear Calvin Klein. Mi ha portato in Italia e presentato a sarti e modellisti. Ho vissuto lì per 6 mesi, studiando il mestiere e allo stesso tempo mettendo insieme una piccola collezione di un paio di pezzi. Ho portato i vestiti a Parigi mentre si svolgeva la fashion week e Sarah di Colette ha comprato la collezione, che consisteva principalmente di tute. E’ stato un ottimo momento per me.

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Sei circondato da un gruppo di amici ben assortito: Dan Colen, Aaron Bondaroff, Gerard Malaga.. come li hai conosciuti? Ho incontrato la maggior parte di questi artisti tramite il mio caro amico Neville Wakefield. Neville è l’artista degli artisti- a parte il fatto che è un curatore. Hai anche usato come modello Dennis Hopper (sfortunatamente da poco scomparso). Come è stato incontrarlo? Doveva essere una persona straordinariamente interessante... Dennis era - e ancora è- uno dei miei eroi. Mi ha aiutato a riunire le ispirazioni per la mia collezione ss2007 presentandomi a suoi amici artisti e lasciandomi usare circa 500 fogli di contatti delle sue fotografie personali degli anni 60. Dennis è un’eterna fonte di ispirazione per me. E continuerà ad esserlo per le generazioni a venire. Le tue collezioni sono sempre molto studiate. Amo il tuo immaginario e il tuo approccio all’abbigliamento maschile. Come definiresti la tua estetica? La mia estetica è la fusione del cool americano con la disinvolta eleganza artigianale italiana. Per me la qualità e il comfort vengono prima di tutto. Ma la cosa più impressionante è che i tuoi vestiti sono veramente fatti per gli uomini. Intendo dire che vediamo sempre molti brand di menswear fare il contrario di quello che dovrebbero fare: contribuire al miglioramento della figura maschile. Con un’atmosfera contemporanea e molta semplicità, le tue collezioni sono realizzate per chiunque sia abbastanza anticonvenzionale per indossarle... O abbastanza convenzionale. Penso che a volte i negozi scelgano di comprare i pezzi più particolari della mia collezione che possano attrarre i clienti anticonvenzionali. Accade piuttosto spesso anche che un negozio finisca per comprare i pezzi più tradizionali. Ma in nessuno caso cambia il mio approccio al design: ogni vestito, a suo modo, dovrebbe essere unico nel suo genere. L’ispirazione per la tua collezione aw11 viene da Twin Peaks. Semplicemente geniale. E inoltre, viene da Dan Attoe, un pittore e scultore con uno stile molto singolare. Come ti è venuto in mente? Mi sono innamorato del mondo di Dan. E’ l’uomo più figo tra gli uomini, oltre che un eroe underground. Amo anche i suoi dipinti. Ho sempre voluto fare una collezione ispirata al Northwest Pacifico. Non avevo semplicemente trovato il giusto modo per esprimerlo in maniera che i miei contemporanei la capissero completamente - fino a che ho incontrato Dan.

Com’è stata la sfilata a Parigi? Un momento splendido. E’ stato fantastico avere Dan là, e mi è piaciuto mostrare il breve corto che avevo realizzato per la presentazione. Sappiamo della tua passione per il workwear e di recente hai collaborato con Carhartt. Com’è andato il tutto e come siete arrivati a questo sodalizio? In realtà, Barneys è venuto da noi con l’idea. Hanno detto a me e a Carhartt che se avessimo collaborato per una collezione insieme, avrebbero fatto un ordine. Ero incredibilmente eccitato di incontrare il team di designer di un brand che ho amato fin da bambino. Carhartt è ricco dell’energia e dell’integrità che ho sempre immaginato avesse. Non so se ti piace parlare della tua vita privata, ma vorrei chiederti del tuo matrimonio. Adoro tua moglie, LeeLee Sobieski. Puoi dirci come vi siete incontrati, o meglio, com’è stato il vostro primo appuntamento? Il nostro primo incontro è stato 5 anni fa ad una cena. Non ci stavamo simpatici. Poi un paio di anni dopo è scattato tutto. Hai anche una figlia, Louisianna Ray. Come ci si sente a essere padre? E’ fantastico! Sta proprio iniziando a dire “da da”. Ma di solito mi chiama “ba ba”. Se c’è davvero un’altra vita ad aspettarci quando moriremo, saresti un uomo o una donna? Uomo. E che lavoro faresti? Farei questo lavoro ancora una volta. Mi piacerebbe anche fare il regista. C’è qualcosa nel mondo che davvero ti affascina? Le persone sono la cosa più affascinante in questo mondo. Hai un film o un regista preferito? Amo Tarantino. E amo i film di Kubrick e Woody Allen. Ti piace la musica? Scommetto di sì... Amo la musica! Ma dal momento che la musica influenza il mio design ogni tanto, non posso ancora rivelarvi nulla. Preferisci dolce o salato? Salato. Puoi suggerirci qualcosa di davvero unico da fare a NY durante il periodo primaverile? Quando arriva la primavera, è bello mangiare fuori al ristorante. E il migliore negozio vintage? What Goes Around Comes Around. Il tuo prossimo viaggio? Mi piacerebbe molto fare surf a Puerto Rico. www.adamkimmel.com


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Shimmy Marcus Shimmy Marcus è un regista di Dublino che è approdato quest’anno al Torino Film Festival con un film su cui più o meno ha lavorato per undici anni: “SoulBoy”, pellicola ambientata nel 1974 all’epoca del Northern Soul, fenomeno musicale che ebbe un grande seguito, ma poco conosciuto ai più. Shimmy ha studiato Economia, ma poi la sua passione per il cinema ha avuto la meglio: il suo primo corto arrivò un po’ in ritardo con i “tempi cinematografici”, ovvero quando aveva già 32 anni, ma la sua carriera da allora è in continua ascesa, tra videoclip, corto-lungometraggi. Spirito iperattivo, appena finita la promozione di “SoulBoy”, è tornato sul set per dedicarsi a un nuovo lungometraggio... ovviamente d’ispirazione musicale. Intervista di Valentina Barzaghi. Foto di James McLoughlin Ciao Shimmy! Piacere di conoscerti! Inizia subito a dirmi qualcosa di te... Sono di Windmill Lane, Dublino, Irlanda e sto finendo il mio nuovo film Good Cake Bad Cake - The Story of LIR. E’ un documentario su una band irlandese incredibile che negli anni ‘90 avrebbe potuto avere un enorme richiamo, ma come moltissime band al mondo, alla fine non ci è riuscita. Qual è stata la prima cosa che hai pensato quando ti sei alzato stamattina? Sarò in grado di fare la doccia? Ci sono carenze idriche in Irlanda per il freddo. I vecchi tubi che sono nel terreno si sono incrinati ed ora il paese è troppo povero per pensare di sistemarli. Descriviti in poche parole. Rilassato, preoccupato, pigro, maniaco del lavoro, felice, triste. Qual è la cosa migliore di essere Shimmy Marcus? Che ogni giorno è diverso. E la cosa peggiore? Soffro di calcoli renali. Per chi non li ha mai avuti, posso dire che è come avere un coltello che ti pugnala ripetutamente la schiena. Una volta ho avuto un attacco mentre stavo lavorando a Los Angeles. Il medico che mi curava aveva avuto di recente un episodio simile, mentre guidava in autostrada. Si era dovuto fermare perché pensava di essere stato colpito da un proiettile. Credimi, cazzo fa male! In che tipo di ambiente sei cresciuto? Ho avuto la grossa fortuna di crescere di fianco ad un parco molto grande dove potevo scappare quando volevo. C’erano un piccolo lago, campi da tennis e alcuni grandi alberi dove ci si poteva arrampicare, nascondersi e fumare le sigarette. Qual è il tuo ricordo più bello di quando eri piccolo e andavi al cinema? La prima volta che sono andato al cinema ho visto Chitty Chitty Bang Bang. Questa esperienza non mi ha mai abbandonato. Era un posto in cui i sogni potevano diventare realtà, in technicolour. Il suono delle risate, degli applausi, della musica: è stato un momento

fondamentale della mia vita. Il connubio tra musica e immagini, fantasia ed emozione... Penso che non avessi avuto niente di simile a quell’esperienza prima di allora. Quando hai iniziato a girare? Ho cominciato al college. Avevo iniziato a studiare Economia e Commercio ed era così noioso, che per un esame avevo deciso di divertirmi realizzando un video sull’utilizzo dei telefoni nelle aziende. Era veramente amatoriale. Poi mi sono trasferito in un altro college dove ho cominciato a studiare pubblicità. Qui era tutto più interessante, ma era gestito da dinosauri con idee così innovative che avrebbero essere potute tranquillamente evitate. Qui avevo realizzato un commercial usando fotogrammi registrati off air. E’ stato un po’ meglio rispetto al primo tentativo! Dopodiché ho iniziato a fare film home-made quando avevo 26 anni. Erano documentari stupidi, che avevano come soggetto famiglia e amici. Diciamo che non ho fatto il mio primo e vero cortometraggio fino all’età di 32 anni, quindi mi posso ritenere un tantino in ritardo sui tempi del cinema. Anche se ho iniziato a fare film a tarda età però, il cinema è da sempre la mia passione più grande. Quindi nessuna scuola... No, ho imparato tutto soltanto facendolo. Ma quindi la tua carriera vera e propria in ambito cinematografico com’è cominciata? Era il Natale del 1994. Ero così annoiato dai film che davano in tv che ho deciso di sviluppare la sceneggiatura per un mio lavoro, per uccidere la noia. Così l’ho scritto in due settimane, a mano. Pochi mesi dopo l’ho inviata ad un produttore e lui l’ha accettata subito. Mi disse però che prima avrei dovuto fare un corto per imparare come si fa del cinema... beh, il resto poi è storia! Cinque cose che dovrei sapere su SoulBoy: 1) E’ il primo film mai realizzato sul Northern Soul; 2) Tutta la fantastica musica che ci trovi è quella dell’originale Northern Soul anni ‘60-’70; 3) Il protagonista, Martin Compston, si è rotto il piede due giorni prima dell’inizio delle riprese a furia di ballare durante le prove; 4) Dalla pri-

ma bozza dello script alla Premiere sono passati undici anni; 5) Non è una storia vera, ma il club usato come set è realmente esistito. Ti ricordi com’è nata l’idea per il film? Lo scrittore Jeff Williams ha letto un libro sul Northern Soul e ha avuto l’idea di scrivere qualcosa. Poi il tutto si è sviluppato in una sceneggiatura e dopo un paio di bozze il produttore Christine Alderson mi ha contattato. Questo accadeva nel 2003! Abbiamo fatto una lunga strada prima di ottenere il risultato finale. Quali son state le più grosse difficoltà a girare un film come questo? La più grande difficoltà, come in tutti i film, è riuscire a raccogliere il denaro, specialmente quando il tuo obiettivo è fare un film girato in un determinato periodo con la musica originale di quegli anni. Ci sono voluti molti anni prima di raccogliere abbastanza per girare. Per non contare che poi ci sono stati problemi con la disponibilità di locations, attori, troupe, tutto quello insomma che è normale nella lavorazione di un film. Inoltre una delle attrici si è ammalata e quindi mentre giravamo abbiamo dovuto riprogrammare tutta la tabella di marcia. Ho amato i titolo di coda, una sorta di piccolo documentario utile anche per capire il gran lavoro fatto. Mi dici quanto tempo ti ci è voluto per la ricostruzione di posti, dresscode, coreografie e per la ricerca musicale...? Un lavoraccio davvero... Abbiamo davvero speso degli anni per le ricerche del film. La grande sfida è stata soprattutto trovare una location e una posizione che potessero sembrare quelle originali del Wigan Casino, dove è ambientato il film. Quando abbiamo trovato il Kings Hall a Stoke on Trent, abbiamo fatto i sopralluoghi della zona e trovato tutte le altre locations in modo che avesse un senso girare tutto il film a Stoke. Abbiamo creato una piccola fabbrica d’abbigliamento per realizzare la grande quantità di costumi per i ballerini e le comparse. La popolazione locale ci ha donato molti oggetti personali che abbiamo utilizzando nel film con l’intento di ricreare l’autentica scena anni ‘70. Abbiamo parlato con quante più persone pos-

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sibili che furono abituali frequentatori del Casino negli anni ‘70, così come con molti dei DJ che suonavano lì. Non c’era penuria di opinioni e gente che si è offerta per aiutarci nella ricerca e così lo scenario del Northern Soul si è fatto chiaro. Non tutto, ma la maggior parte! In un’intervista che ho letto, hai detto “The Film is about the Northern Soul which was the forerunner of the rave”... Ho sempre amato la musica soul, ma non ero in grado di riconoscerne la differenza fino a quando non ho cominciato a vedere le compilation di Northern Soul nei negozi di dischi. Poi ho iniziato a studiare il fenomeno in maniera più dettagliata una volta che mi è stata sottoposta la sceneggiatura. Per un periodo ero stato coinvolto nella cultura rave della fine anni ‘80-inizi ‘90. Pensavamo di aver inventato la ruota, facendo viaggi in bus per tutto il paese, correndo su e giù per locali dove ascoltare musica dance per tutta la notte, andando al largo con tette e anfetamine. Non avevamo realizzato che la comunità Northern Soul faceva la stessa cosa vent’anni prima, ma con musica e danze migliori! Come hai lavorato con gli attori? A causa delle loro diverse pianificazioni e le loro richieste di tempo, abbiamo avuto pochissimo a disposizione per provare. Abbiamo lavorato in silenzio e velocemente su uno sviluppo che fosse davvero chiaro dei personaggi, cosa avrebbero potuto dire e cosa no, o fare, in ogni situazione. Con questa conoscenza è diventato più facile conoscere che linea doveva seguire in ogni situazione. Tutti gli attori hanno esigenze diverse. Alcuni hanno bisogno di poca preparazione e preferiscono scivolare immediatamente nel personaggio, altri vogliono più tempo e quindi il mio lavoro era capire questa cosa e cercare di dar loro ciò di cui avevano bisogno. Com’è stato lavorare con Martin Compston? Lui si è davvero appassionato. Non appena si è trasferito a Stoke, dove giravamo, lui è entrato nell’accento locale e non ha desistito fino a quando non ci era dentro alla perfezione. Ha provato le parti di danza costantemente. Forse troppo! E’ sempre pieno di idee e cerca di ottenere tutto dal set come nella vita reale. Se non è vero, non lo sente e se non cade, non può giocare. Mi racconteresti qualcosa sulla colonna sonora del film? E’ composta da tutti quelli che furono gli artisti originali e popolari della scena del Northern Soul di quel tempo. Capolavori persi e tesori nascosti dell’anima del Nord America, che sono bizzarramente venuti a contatto con quelle inglesi. Questi artisti non fecero molto successo in patria, ma finirono per diventare stelle in Inghilterra. Questo dimostra quanto la musica possa viaggiare... Che musica ascoltavi alle superiori e al college? Ho cominciato la Scuola Superiore nel 1978, quindi mi posso ricordare un sacco di cose sui Beatles o gli Stones alla radio: un momento fantastico di scoperta di musica “popolare”. 62 PIG MAGAZINE

Questa, ramificata pochi anni dopo, divenne Bowie, Dylan, The Doors, AC/DC, Neil Young. Ci sono molte band nate contemporaneamente con il mio arrivo al college. Sono stato molto deluso dalla musica degli anni ‘80 e così ho accolto con favore quella dei ‘90: Nirvana, Smashing Pumpkins, Radiohead. Poi man mano è diventato sempre più una merda, con l’eccezione dell’hip-hop, un mirabile connubio di ritmi e grande destrezza lirica. La musica, come i film, non è più così buona dagli anni ‘70. O forse sono solo io che divento stilisticamente troppo vecchio! Hai diretto video per Fun Lovin’ Criminals, Snow Patrol, Skin... Quale ti ricordi con più piacere? Probabilmente il video per gli Snow Patrol. Era una sorta di film “behind the scenes” mentre stavano registrando l’album Eyes Open. Avevo conosciuto la band pochi anni prima e stavano registrando nel mio studio preferito, “Grouse Lodge”. Un ambiente bellissimo, con tanta bella gente, mentre vedevo la magia compiersi. Ero affascinato dal processo, dal lavoro ed essere in grado di girare tutto questo con una magnifica colonna sonora fu speciale. Se potessi scegliere un artista-band per cui girare un videoclip, chi sceglieresti? The Rolling Stones. Le loro facce sono così interessanti. Ogni pezzo della loro storia è inciso su quei volti. Il loro modo di muoversi e come interagiscono poi così drammatico. Sono così invidioso che Martin Scorsese abbia diretto Shine A Light. Secondo te qual è il miglior video musicale di sempre? Ognuno ha un obiettivo diverso. La Casa Discografica vuole qualcosa che li aiuti a vendere. La band vuole qualcosa che li faccia apparire algidi, o che rappresenti al meglio la loro estetica. Il regista vuole usare la musica solo come colonna sonora delle immagini. Qualche volta preferisco la semplicità, tipo Nothing Compares To You di Sinead O’Connor o Cry di Goodley and Cream. Bohemian Rapsody e Sledgehammer furono entrambi straordinari quando uscirono. Chris Cunningham e Michel Gondry furono entrambi pionieristici con il loro incredibile modo di fare video. Chi sono i registi (o gli artisti) che ti hanno influenzato di più? Non saprei... Sono troppo vicino al mio lavoro per trovare influenze dirette e tendo ad utilizzarne diverse a seconda del tipo di storia che voglio raccontare. Sono cresciuto ammirando Scorsese, Coppola, Chaplin e Woody Allen, per poi scoprire Peckinpah, Fellini, Huston, Lean, Polanski, Kubrick, Lumet. Ho divorato un gran numero di film durante il periodo di crescita. Durante i miei vent’anni avrei guardato anche tre film al giorno. In questo secolo ho ammirato i lavori di P.T. Anderson, Noé, fratelli Dardenne, Zhang Yimou tra i tanti. Fare un bel film è difficile. Figurati a farne uno straordinario... SoulBoy non è solo un film sulla musica, ma anche sull’amore. Qual è la tua idea di amore?

L’amore è uno stato irrazionale della mente che altera il nostro comportamento e la nostra personalità, e non sempre al meglio. E’ la cosa più potente al mondo e, a volte, emotivamente la più appagante. Ci paralizza, ci rende ciechi, ci distrugge e ci completa. E’ un enigma. Non lo comprendiamo pienamente, ma è una ricerca affascinante. Che camera hai usato per il film? Abbiamo deciso di girare in Super 16 mm. Visto che era un film ambientato negli anni ‘70 ho voluto che la grana fosse reale, che fosse un film vero, con una struttura ricca. Quale stato d’animo ti rende più creativo? L’insoddisfazione. Di solito accade quando c’è un problema e devo spingere me stesso ad essere creativo per trovare una soluzione. O quando scrivo: ho bisogno di solitudine, di solito lo faccio a tarda notte, con musica in sottofondo. Il momento della tua carriera fino ad oggi? Probabilmente la vittoria del Miramax Script Writing Award per la mia prima sceneggiatura, Hadrush. Era una promessa di qualcosa di grande e mi diede ottimismo. Sei felice? Sono filosofico. Mi accennavi qualcosa del tuo prossimo film Good Cake Bad Cake sui LIR... Sì è su questa band di Dublino, i LIR, che sognava di conquistare il mondo della musica, per poi vedere le loro speranza rese vane da una moltitudine di disastri e tragedie. A differenza di migliaia di “storie di successo” raccontate nei documentari musicali, questa è l’altra faccia della medaglia, la storia che inevitabilmente accade alla maggior parte delle bands. Hai qualche rimpianto lavorativo? Non ho rimpianti sul passato. Posso guardare con disappunto alcuni lavori, ma non rimpiango nulla. Ho imparato più dai fallimenti che dai successi. Ti consideri un filmmaker “indipendente”? Non lavoro per uno studio, un network TV o una compagnia cinematografica. Penso che tecnicamente questo mi renda un filmmaker indipendente. Come ti vedi tra dieci anni? Questa professione è così imprevedibile, non so dove sarò tra due anni! In dieci spero che mi sarò costruito una reputazione che mi renderà facile trovare script meravigliosi e attori straordinari che vorranno lavorare con me. Chi vorresti intervistare se facessi il mio lavoro per un giorno? Te. Ahahah. Perché? Perché così potresti capire quanto è surreale rispondere ad alcune tue domande (ride). La domanda che nessuno ti ha mai fatto, ma a cui ti piacerebbe rispondere. Sei stato totalmente onesto nell’intervista? E la risposta sarebbe. Ovviamente no. Cosa farai dopo questa intervista? Prenderò una pillola per il mal di testa. www.soulboythefilm.com


“Era il Natale del 1994. Ero così annoiato dai film che davano in tv che ho deciso di sviluppare la sceneggiatura per un mio lavoro, per uccidere la noia. Così l’ho scritto in due settimane, a mano. Pochi mesi dopo l’ho inviata ad un produttore e lui l’ha accettata subito. Mi disse però che prima avrei dovuto fare un corto per imparare come si fa del cinema...” 63


Verdena E’ strano, abituati ad avere a che fare con gruppi neonati o quasi, intervistare gente che suona insieme da quasi una vita. Alberto, Roberta e Luca, poco più di novant’anni in tre, sono i Verdena. Probabilmente li conoscerete già: sono italiani, arrivano da Bergamo e hanno esordito addirittura alla fine degli anni novanta. Dopo un silenzio di tre anni a fine gennaio hanno pubblicato il loro nuovo album. Non avevamo mai dedicato spazio prima di oggi ai Verdena, a parte una PIGlist firmata da Alberto nel lontano 2006, probabilmente perché pur stimandoli e riconoscendo il talento, c’era qualcosa che ci separava, Ad annullare la distanza ci ha pensato “Wow”, uno dei pochi dischi italiani che non suona come tale, uno dei pochi che “suona”, ma di questo parliamo nel dettaglio a pagina 110. Abbiamo incontrato Alberto, mente e voce, e Roberta, basso della band in una delle sere più fredde dell’anno, approfittando di uno dei loro momenti liberi del loro doppio tour (live e promozionale, considerando l’esordio al secondo posto in classifica alle spalle della Gianna nazionale). Ragazzi seri e ambiziosi - tanto da dare alle stampe un doppio di ventisette brani dopo una lunga assenza e da preparare una scaletta ad hoc per ogni concerto - ma anche semplici, disponibili e ancora un po’ bambini, stando alla tensione che ancora oggi li accompagna poco prima di salire sul palco.

Intervista di Depolique. Foto di Sean Michael Beolchini

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“I dischi di prima è come se appartenessero alla mia gioventù. Non so se si tratta di crescita, maturità o semplicemente di una strada diversa”.

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tà. Possiamo dire che i parti sono stati due,

A quante interviste siamo arrivati oggi?

prima canzone che abbiamo scritto, è lei che

Roberta: Questa è la sesta e se hai dietro il

ha dato il via a tutto e per quello l'abbiamo

non solo Wow? Quanto e come ti ha influen-

cellulare, Alberto, a minuti ti dovrebbero chia-

scelta come primo estratto. Da lì in poi è ve-

zato diventare padre?

mare per l'ultima della giornata.

nuto il resto, non mi ricordo neanche come.

A: E' una cosa molto strana avere un figlio…

Considerato che si dice che siete persone

Passavamo giornate divisi tra studio e casa, di

Ti proietta in un mondo nuovo, ti cambia l'esi-

schive e riservate, è una cosa che vi piace

giorno suonavamo e la sera riascoltavo tutto.

stenza.

fare o lo vedete più com un sacrificio, qual-

Niente di particolarmente interessante, ho

E' un amore in più; è simile a quello che provi

cosa che fa parte del "gioco"?

passato tre anni in studio, non ci sono momenti

per una ragazza, una che ami molto. Ma è

Alberto: Mi piace fare interviste, in fondo si

salienti, a parte il fatto che ho avuto un figlio…

qualcosa di ben più grande, grandissimo.

tratta di parlare di sé e della propria musica.

Ho saputo però che avete avuto anche un

C'è uno stacco netto tra il prima e il dopo.

La trovo una cosa rilassante. Ecco, magari non

bell'incidente di percorso, se non sbaglio un

Sicuramente è una cosa che ti fa crescere, ma-

siamo proprio bravissimi a rispondere.

hard disc che si è rotto?

turare. Non saprei dirti come e dove, magari

Come vivete tutta questa attenzione che vi

A: Questo è successo alla fine. Abbiamo perso

col tempo lo capirò, ma sicuramente mi ha

sta piovendo addosso? Vi era già successo?

i mix finali, un disastro.

influenzato.

Ve lo aspettavate?

Abbiamo registrato tutto su bobina, però riem-

Tra l'altro a lui piacciono i Nirvana.

A: No, in maniera così massiccia no. Poi magari

pivamo tutto, occupavamo tutte le ventiquattro

Quando avrai un figlio ne riparliamo.

tra un mese è tutto finito.

tracce e non c'era più neanche una per fare le

A proposito di maturità… Un termine che è

Sapevamo che ci stavano aspettando, ma non

voci.

facile accostare al nuovo disco.

pensavamo in questi termini.

Così abbiamo dovuto fare un mix definitivo e

Non vi chiedo se vi sentiate maturi ma imma-

Il numero delle persone che sono venute ai no-

portarlo su un altro nastro e fare le voci. Per poi

gino che qualcosa in voi sia cambiato…

stri ultimi concerti è pazzesco rispetto ai nostri

alla fine assemblarle sul computer.

A: E' cambiato con Requiem; abbiamo fatto un

soliti numeri. C'è proprio una fetta di pubblico

Quella roba lì è andata: le voci, tutto il lavoro

salto ma non saprei dirti dove.

nuova, diversa.

sulle voci l'abbiamo perso. Praticamente quello

I dischi di prima è come se appartenessero alla

R: Restando fermi così tanto… Due dubbi sul

a cui avevo lavorato quest'estate.

mia gioventù.

fatto che la gente stia ad aspettarti ti vengono.

A quel punto sono scoppiato a piangere, sono

Non so se si tratta di crescita, maturità o sem-

A: Con tutti i demo belli di gruppi nuovi che

andato a casa, mi sono messo a letto e non ho

plicemente di una strada diversa.

mi arrivano a un certo punto ho pensato: "se

più voluto rialzarmi per un po'.

Come avete fatto a resistere insieme tutti

aspettiamo ancora un po' ci mandano a fare in

A parte che mi è venuta una febbre terribile.

questi anni?

culo…"

Fortunatamente due giorni prima che si rom-

Come ogni storia anche la vostra avrà avuto i

Pensavate che la gente si fosse dimenticata

pesse l'hard disc avevo passato i mix, non le

suoi alti e bassi...

dei Verdena?

voci separate dalla base, su un altro computer.

A e R: (ridono) Beh, certo! Anche l'altro ieri.

R: Solo nell'ultimo periodo abbiamo comincia-

Non so perché l'ho fatto, ma ci ha salvato, non

R: Con gli anni si è creato un rapporto molto

to a farci certe domande, perché prima erava-

sai che caga mi sono preso.

solido; è come se fossimo tre fratelli. Come fai

mo completamente assorbiti dal disco. Fino

C'è qualcosa di nuovo, qualcosa che è cam-

a mollare tuo fratello?

all'uscita dell'album le uniche persone da cui

biato nell'approccio a questo disco?

Siamo una famiglia. Prima di mollarla ci pensi

avevamo avuto feedback erano i nostri amici e

A: La novità è il piano, uno strumento che non

bene.

i discografici. Nessuno dei quali aveva inizial-

conoscevo.

A: Tra l'altro il batterista è veramente mio

mente reagito in maniera entusiasta.

Non ci avevo mai provato, ma un bel giorno mi

fratello.

A: "Ragazzi, è un po' che non esce un disco,

ci sono seduto davanti e mi sono trovato pro-

Per cosa discutete?

mi sa che se andiamo avanti così si dimentica-

prio bene. Sono uscite cose che con la chitarra

R: Per cazzate. Cose che non c'entrano con la

no tutti di voi" ci hanno detto un giorno alla

non avrei mai pensato. E' stata una fonte d'ispi-

persona…

Universal...

razione importante anche per le linee vocali.

A: Per cosa abbiamo scazzato l'ultima volta?

Con noi che eravamo distrutti dalla fatica di

Ha portato molta melodia.

R: Una per il merchandising, una per il concer-

lavorare ad un doppio album.

Mi ricordo che quando uscì Elephant dei

to saltato…

Quand'è che avete deciso di fare un doppio

White Stripes si disse un po' la stessa cosa:

A: Ah, si. Luca voleva incendiare il locale…

LP?

è un album più melodico perché scritto al

R: E' saltata una data all'ultimissimo per motivi

A: C'erano un sacco di idee, così abbiamo de-

pianoforte.

indipendenti dalla nostra volontà; avevamo già

ciso di registrare tutto.

A Jack White non posso chiederlo… Cosa ti

montato strumenti e tutto… E Luca non riusci-

E anche scelto praticamente tutto. Ad un certo

ha spinto a sederti al pianoforte?

va a farsene una ragione.

punto però ci hanno detto che il grande capo

A: Il rigetto per la chitarra penso. Erano ormai

Vi piace ancora suonare dal vivo?

non era d'accordo, così abbiamo provato a

tanti dischi ed EP che scrivevo solo con la

A: Si, ma c'è sempre più da cagarsi addosso.

mettere tutto su un unico disco, venticinque

chitarra. Così mi sono detto: "adesso suono il

Dobbiamo prendere i tranquillanti ancora un

pezzi… Ma era una legnata devastante. Diviso

piano".

po'… Andiamo proprio in ansia.

in due parti da quaranta minuti, l'album guada-

R: Probabilmente avevamo bisogno di nuovi

Una volta saliti sul palco, basta, passa tutto. Ma

gna una certa leggerezza…

stimoli. Nel corso degli anni abbiamo sempre

prima la situazione è disastrosa.

Una leggerezza virtuale.

aggiunto nuovi strumenti, prima un rhodes, poi

R: Se non altro rispetto al tour precedente il

Abbiamo insistito così tanto, spiegando le no-

il mellotron…

Luca non vomita più….

stre ragioni, che alla fine ce l'abbiamo fatta.

Ma non ci puoi costruire un disco attorno a

Oggi addirittura peggio che agli esordi?

Com'è nato Wow? Come avete trascorso i

quei suoni.

A: Peggiora con il passare degli anni, è terri-

tre anni che l'hanno preceduto?

A: Gli Strokes hanno scritto un pezzo solo voce

bile.

A: Siamo partiti da Razzi Arpia Inferno e Fiam-

e mellotron… (Ask Me Anything, ndr)

Due ore prima del concerto è impossibile par-

me, il singolo che ha anticipato il disco. E' la

Torniamo un attimo indietro, alla tua paterni-

lare con noi.

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R: Quest'ansia l'abbiamo attaccata anche a

pollaio è rimasto poco: soffitto, pareti… C'è

chiuderanno e la musica arriverà direttamente

Omid, il ragazzo che sta facendo questo tour

ancora un pezzo di legno dove un tempo ap-

agli utenti.

con noi.

pendevano le galline.

A quel punto si potrà contare soltanto sui

Se dico grunge qual è la prima cosa che vi

So che la musica è la vostra unica e vera

live, come più o meno del resto noi abbiamo

viene in mente?

passione, ma a parte quello c'è qualcos'altro

sempre fatto. E' sempre stata l'unica fonte di

A: I Pearl Jam… A me il grunge non è mai pia-

che vi piace fare?

guadagno.

ciuto, mi piacevano solo i Nirvana.

A: Se proprio devo lasciare perdere la musi-

Avete lavorato con musicisti tra i più impor-

E adesso cosa vi piace?

ca… Vado a pescare.

tanti della scena musicale italiana (penso

A: I Grizzly Bear - bei cori, begli arrangiamenti

Me ne sto lì, a guardare il galleggiante e aspet-

a Canali, Pagani, Manuel Agnelli) per poi

-, MGMT, Arcade Fire…

tare che vada giù.

scegliere di lavorare in autonomia per Wow.

R: Io ho comprato tre dischi quest'anno: Arca-

E' come un anestetico. Ma capita rarissima-

Avevate semplicemente voglia di mettervi

de Fire, MGMT e Chemical Brothers.

mente.

alla prova o può essere considerata una cer-

A: Bello Chemical Brothers.

R: Contrariamente a lui a me piace chiacchiera-

te insofferenza per il lavoro fatto da chi vi ha

E dei vostri colleghi italiani?

re. Ho bisogno di coltivare le amicizie, sentire

affiancato?

R: Solo gruppi bergamaschi…

l'affetto e del sostegno delle persone vicine.

R: Più che insofferenza nei confronti delle per-

A: I grandi nomi secondo me si stanno un po'

E poi mi piace andare al cinema.

sone, direi verso il risultato.

ripetendo, ma nell'underground ci sono un sac-

Roberta visto che ogni tanto fai la DJ a tem-

A: Non eravamo molto soddisfatti dei suoni

co di gruppi che spaccano, che cercano di fare

po perso… Mi verrebbe da chiedervi se ave-

degli altri dischi, ma non tanto per "colpa" dei

qualcosa di nuovo; per lo meno a Bergamo.

te mai pensato a dei remix per i vostri brani?

produttori quanto dei fonici, così abbiamo scel-

Spread, Torquemada e altri.

A: Ogni tanto qualche nostro fan se ne esce

to di pensare a tutto noi. Per esempio Giorgio

Ascoltando Wow più volte mi sono venuti

fuori con delle stranezze…

Canali ha tutto un suo metodo nel fare i suoni

in mente gli MGMT, soprattutto in relazione

R: Qualche anno fa, all'epoca del secondo

che può andare bene per tante cose, non per

alla voce.

disco, mi sona intrufolata nel camerino dei

i Verdena. Il lavoro di Luca, il batterista, usciva

A: Credo siano i Flaming Lips che accomunano

Chemical Brothers e gliene ho lasciato una

molto sminuito mentre secondo me andrebbe

entrambi. Magari anche Daniel Johnston.

copia, dicendogli se volevano fare un remix di

valorizzato. Poi c'era la voce troppo alta.

Pensa che abbiamo intitolato un pezzo, Mi-

Starless…

Anche per il secondo disco non ero molto

glioramento, in onore degli MGMT, perché

A: Che sfigata...

soddisfatto.

ha un ritmo che ce li ricordava. Inizialmente il

Se vi invitassero a Sanremo?

Morris è stato bravo, ma non era quello che

brano si chiamava proprio MGMT. Li abbiamo

A: Si potrebbe anche fare, ma non credo ce lo

volevo.

conosciuti a Londra in occasione di un concer-

chiederanno mai; più che altro per una questio-

R: Sempre la batteria… Infatti se noti da lì in

to, quando ancora non erano famosi, e siamo

ne di testi.

poi la batteria viene fuori.

diventati amici.

Beh ma prima o poi lo chiedono a tutti…

A: Il terzo disco ha segnato il nostro primo

Più avanti ci hanno chiesto di aprire un altro

A: Ai Litfiba non l'hanno mai chiesto. O forse

approccio al mixer; e secondo me io e Davide

paio di date quando ormai erano delle star.

l'han fatto e gli hanno risposto di no.

siamo stati fin troppo puliti.

Miglioramento tra l'altro, insieme a Razzi

A me piace fare tutto. Preferirei sicuramente

Credo che sia da Requiem in poi che Luca co-

Arpia Inferno e Fiamme, è la mia preferita.

Sanremo ad Amici o X-Factor, perché almeno lì

mincia ad avere i suoni giusti. D'altra parte in

Qual è la storia di questo brano?

si suona. In verità andrei anche lì… (ridono)

sala prove senti solo lui…

A: Stavo suonando l'organo, non il piano. E' un

Beh adesso che siete secondi in classifica po-

Alla fine se sai bene quello che vuoi è sempre

po' la solita storia, sai quando ti esce qualcosa

trebbero anche chiedervelo

meglio lavorare da solo, piuttosto che affidarsi

di interessante, continui a suonarlo e mano a

A: In classifica rimaniamo solo questa settima-

a persone che non riescono a capirti fino in

mano prende forma?

na...

fondo.

La cosa interessante è il testo, perché ha cam-

R: Si, perché nessuno- né i discografici né i

Dev'essere una tortura risentirsi e non essere

biato il pezzo: l'ho scritto cercando di seguire

negozianti - pensava che avremmo venduto

contenti però…

la fonetica inglese.

tanto, così hanno stampato pochissime copie e

A: Beh no, Solo Un Grande Sasso mi piace,

Tra l'altro mi sembra che il giro di basso ricordi

adesso sono esaurite.

dai, anche perché è stato registrato alle Offi-

un hit dei Level 42 se non sbaglio.

A: Ora che le ristampano…

cine Meccaniche che sono uno grandissimo

Come mai Wow?

Che rapporto avete con i vostri fan?

studio.

A: Intanto è un palindromo, come Aoxomoxoa

A: Buono direi. Sono molto fedeli e fiduciosi,

Il primo no, c'è questa voce fuori… Anche per-

dei Grateful Dead.

non mi sembra di averne persi molti per strada

ché noi dal vivo non siamo così.

Cercavamo un titolo più corto del solito, che

col passare dei dischi.

Adesso la voce la tengo come piace a me.

"rimbalzasse" un po' da Requiem.

Sono persone davvero molto attente a quello

Sono proprio soddisfatto degli ultimi dischi.

E' un nome che ha ormai tre anni, è stato Luca

che facciamo, e di conseguenza possono esse-

Anche se mai completamente.

a venire fuori con Wow.

re anche ipercritici.

Quindi escludi di lavorare con altri in futuro?

Io ero nel mio periodo Brian Wilson e mi pia-

R: Io ho notato anche un certo riciclo negli

A: Fonici sicuramente no, magari qualche pro-

ceva l'idea di un titolo alla “Smile”, corto e

ultimi anni. Nuove generazioni, dai fratelli mag-

duttore…

arzillo.

giori ai fratelli minori.

Neanche se si presentasse l'occasione di

Ma questo studio-pollaio dove registrate?

Cosa pensate di queste rivoluzioni che stan-

lavorare con Dave Friedman (MGMT, Flaming

A: E' uno stanzino piccolissimo, in uno paesino

no attraversando il mondo della musica? Par-

Lips, Mercury Rev…)?

dell'alta bergamasca.

lo di internet e nuovi media, della crisi della

R: Magari… Se hai la sua mail gli mandiamo il

Ci siamo entrati quando eravamo piccoli ed

discografia…

disco.

è rimasto sempre lui. Non siamo mai riusciti

A: E' qualcosa di inevitabile. Penso che nel

A: Si, magari… Però lui è un fonico.

a sbarazzarcene perché suona benissimo. Del

giro di qualche anno le case discografiche

E se poi i suoni dovessero non piacermi?!

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Midnight Juggernauts Intervista di Marco Braggion. Foto di Piotr Niepsuj 70 PIG MAGAZINE


Tre ragazzi australiani con un passato dance si proiettano nel cosmic synth pop con l’album “The Crystal Axis”, uscito sulla loro label Siberia. Ne viene fuori un lavoro che sbanca e ci porta visioni e caleidoscopi futuribili in salse oniriche: ascoltando Andy, Vincent e Daniel è quasi come entrare in un vecchio film degli anni Settanta, con quei colori pastello/sepia che sfumano la visione in qualcosa di sfuggente. La loro missione è di farci atterrare su nuovi pianeti. Il loro calderone magico è speziato anche con ricordi anni Ottanta, psichedelia, rock e melodie catchy che miscelano la lezione degli amici e vicini Empire of the Sun e Cut Copy. Stringersi attorno a un fuoco, guardare la marea che sale e attendere l’alba. L’energia dei Midnight Juggernauts è pronta per traghettarci su nuovi lidi sonici a base di tastierine e quattro quarti magnetici. Abbiamo parlato con Andy, il chitarrista della band, di ritorno dalle scorribande sui palchi di mezzo mondo.

Ciao come state? Stiamo bene, grazie. Puoi presentare i membri del gruppo? Chi siete, da dove venite e cosa suonate? Andy 'Streetcrimes' Szekeres è alle chitarre, Vincenzi Vendetta canta e suona le tastiere e Daniel Stricker è alla batteria. Siamo di Melbourne, Australia, anche se Daniel in realtà viene da Sydney. Ho letto che Daniel si è aggiunto dopo che la band era già formata (nel 2006). Dove l'avete incontrato? Nei primi tempi avevamo amici da altre band che ci davano una mano con la batteria. Abbiamo incontrato Daniel poi, quando siamo passati per Sydney. Dove vivete? Sono appena ritornato in Australia dopo aver vissuto praticamente nove mesi in hotel dall'altra parte del mondo. Mi sto ancora riadattando. Daniel vive ancora a Sydney, così per vederci prendiamo molti aerei. Nel futuro probabilmente ci trasferiremo, ma stiamo ancora pensando a dove andare. Perché avete iniziato a suonare in un gruppo? Ci è sempre piaciuto suonare, già da quando eravamo bambini, così ci è sembrato naturale proseguire quel sentiero. A scuola bazzicavamo diversi grupppi durante i fine settimana. Abbiamo continuato a fare quello che ci piace. Perché avete scelto quel nome? Ho letto che la parola Juggernaut deriva da un'antica divinità indiana... vi interessate di mistica indiana? Beh, siamo da sempre interessati alle strane storie dell'antichità. Abbiamo scelto la parola Juggernaut perché ci sembrava una parola enorme, su scala epica, una forza che non puoi fermare. Ci piaceva anche perché non è molto popolare e così non avremmo dovuto cambiare il nome del gruppo se ci fosse arrivata una lettera da un altro gruppo chiamato Juggernauts dall'Alaska. Il vostro suono è influenzato principalmente dalla Gran Bretagna e da suoni electro. Cosa ne pensate degli altri gruppi electro australiani come Cut Copy, Presets e Empire of the Sun? Le nostre influenze sono abbastanza estese, vanno da Philip Glass a Jeff Lynne ai Pink Floyd. Siamo amici di molti act australiani, in-

clusi quelli che hai citato. Uno dei nostri primi tour è stato proprio con i Cut Copy ed è bello vedere che vanno forti in molti stati al di fuori dell'Australia. Ho letto che avete aperto anche i concerti di Nick Cave. È vero? Vi piace lo stesso anche se non fate rock dark acustico? Non abbiamo mai aperto i suoi concerti. Abbiamo suonato in tantissimi festival in cui c'era anche lui. Una volta abbiamo suonato proprio immediatamente prima del suo nuovo gruppo (i Grinderman, ndr). Nel backstage qualche volta abbiamo passato un po' di tempo con i suoi musicisti, in particolare con Warren Ellis, che suona sia nei Grinderman che nei Dirty Three. Una volta a Parigi ci siamo incontrati con Warren, che ci aveva lasciato il suo numero e ci aveva pure invitato a cena. Abbiamo sempre tentato di chiedergli di suonare il violino in una delle nostre tracce, ma non abbiamo mai avuto il coraggio di farlo. Siamo sempre stati dei fan di Cave e dei suoi gruppi ed è sempre stato interessante seguire le traiettorie delle loro carriere musicali fuori dall'Australia. Penso che la Melbourne in cui Nick Cave è cresciuto qualche decina di anni fa sia decisamente diversa dalla Melbourne di oggi. Avete un'educazione musicale formale? Mi sono avvicinato alla musica quando ho iniziato a suonare il violino a sette anni. Alla fine mi sono ritrovato pure in un quartetto d'archi che suonava ai matrimoni e in altre occasioni del genere. Poi alle superiori, quell'esperienza musicale si è modificata nel suonare la chitarra in band incasinate. La nostra educazione viene dalla strada, ahah. Ascoltando il vostro ultimo album, mi sembra che siate influenzati in gran parte dagli anni Ottanta, in particolare dal suono degli Ultravox. Vi piacciono? Sì, mi piacciono, come pure molte altre band di quell'epoca, anche se probabilmente non siamo così 'Ottanta' come lo sono molti dei gruppi che suonano con i sintetizzatori. Non siamo sempre consci del fatto che suoniamo con un gusto che si espande in più stili ed ere musicali. Vi sentite una band 'retrofuturistica'? Mi piacciono molto i suoni delle decadi passate, come i Moog e gli Arp (due tipi di sintetizzatori analogici, ndr), che spesso sono usati per interpretare il suono del futuro. Quei

synth sono molto evocativi, i loro suoni hanno un carattere particolare. È probabilmente per questo che mi piacciono molto il film horror e di fantascienza degli anni Settanta. Le colonne sonore di quei lungometraggi usano le stesse palette sonore evocative. Cosa significa la parola spazio per voi? Lo spazio è un concetto interessante e suggestivo. Ci piacciono il suo immaginario ed il suo mistero. È bello anche vederlo stampato nei poster. Vi piacciono i film di fantascienza? Avete dei favoriti? Sì. Quando ero ragazzo capitava che andassi a maratone di 24 ore di film sci-fi. Stavi seduto nella sala per una giornata intera e guardavi un flusso costante di film, da Il pianeta proibito a La cosa, da Aliens a Barbarella, etc. Il mio film preferito resta comunque 2001: Odissea nello spazio, che è ovviamente un classico. Vi piace di più Guerre Stellari o Star Trek? Guerre Stellari. Ma è da più di dieci anni che non rivedo gli episodi. Non ho visto gli ultimi 3, non mi interessano. Perché avete chiamato il disco The Crystal Axis? Un'estate abbiamo portato gli strumenti e la nostra attrezzatura su una casa al mare e ci siamo messi a provare senza avere pressioni di alcun tipo. Avremmo potuto rimanere anni in quel posto, scrivendo solo musica; alla fine abbiamo deciso che c'è un momento in cui l'album deve cristallizzarsi e diventare reale. Il titolo è basato su quell'idea. Come si è evoluto il vostro suono dal primo album Dystopia? Quel disco era più 'indie dance'-y. Adesso proiettate invece le vostre anime nello spazio... Ci piace l'idea che ogni album abbia personalità differenti, così per questo disco volevamo un'energia diversa. Non è dancey come il debutto. Siamo comunque riusciti a suonare con stati d'animo e idee nuove. Ho letto che avete pubblicato l'album sulla vostra etichetta personale (Siberia). Avete intenzione di pubblicare il lavoro di altri artisti? Stiamo iniziando a stampare dischi di generi musicali diversi. Abbiamo fatto uscire il vinile degli Djanimals e di un tizio surreale che risponde al nome di Kirin J Callinan. Dovrebbe uscire qualcos'altro a breve.

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L'ingegnere del suono che ha curato l'album è Chris Moore (TV On the Radio, Yeasayer, etc.). Com'è stato lavorare con lui? Ha cambiato il vostro suono? È stata un'esperienza divertente introdurre qualcuno di nuovo nel mix. Inizialmente era strano lasciar fare a lui, ma il suo lavoro ha significato molto, perché ci siamo scontrati con nuove idee, tecniche e incidenti che hanno creato un animale diverso da com'era stato concepito all'inizio. Ho letto che avete postato in rete un indirizzo russo falso cui mandare demo. È vero? Che cosa è successo dopo quel post? Avete pensato di far uscire musica di altri artisti? Sì, è vero. Abbiamo ricevuto parecchi demo da artisti russi. Ce n'è qualcuno di buono, così abbiamo pensato di pubblicare una compilation di strana musica russa nel futuro prossimo. Sapete che c'è un album di una band italiana che si chiama Siberia? Il gruppo (ora defunto) si chiamava Diaframma. Li conoscete? No, non lo sapevo, ma vado subito a cercarli in rete. Abbiamo usato il nome Siberia perché quella parte del mondo ci ha sempre intrigato molto. Una terra stupenda, fredda e ai confini del mondo. Un giorno ci andrò. Ascoltando il disco ho sentito anche una connessione con David Bowie (in particolare con il periodo di Ziggy Stardust). Cosa ne pensi? Non l'ho fatto apposta, ma sono d'accordo. Sono un suo fan da sempre. Penso che gli artisti come Bowie che hanno attraversato periodi diversi nella loro carriera, siano interessanti. La stampa inglese vi ha paragonato a Cut Copy, MGMT e Presets. Pensate che il vostro sound si possa collocare in una scena synth pop ben definita? Capisco che possiamo essere catalogati con quelle band, anche se il nostro suono è sempre stato abbastanza vario e possibilmente destinato a un più ampio ventaglio di generi e stili. Gli artisti non sanno mai come classificare bene la loro musica. Into the Galaxy è stata una hot hit. Siete stanchi di suonarla o di ascoltarla? Qualche volta è difficile suonare sempre le stesse canzoni, ma se ci sono energia e atmosfera sul palco, puoi stare sicuro che questi ingredienti ti galvanizzino la performance. Quindi sì, mi piace ancora suonarla. Parlando di gruppi europei, mi sembra che ci sia anche un legame con il sound Ed Banger e con l'entourage di Pedro Winter. Vi piace il suono 'french touch'? È stato bello costruire un legame con quei ragazzi. Abbiamo suonato il nostro primo tour in Nord America con i Justice e ci siamo divertiti tantissimo. Li vedo come un duo artisticocreativo che va oltre la musica; loro sono un act da guardare, non solo da ascoltare. Qual era la vostra dance hit preferita degli anni Novanta? Per me è probabilmente Gypsy Woman di Crystal Waters. Penso sia proprio del 1990 (in realtà è del '91, ndr). Quel gruppo mi ricorda Ricki Lake (un'attrice e conduttrice americana famo72 PIG MAGAZINE

sa per il ruolo di protagonista nel film Grasso è bello di John Waters del 1988, ndr). Avete visto Tron: Legacy? Vi è piaciuta la colonna sonora dei Daft Punk? Vi piacciono i Daft? Sì, l'ho visto in 3D IMAX e poi ho giocato con un frisbee Tron nell'atrio della sala per un'ora. Mi piacciono molto i Daft Punk e pure la loro colonna sonora. Mi ha impressionato come siano riusciti ad entrare così tanto nel film. Vi piace fare i DJ? Ogni tanto ci siamo messi dietro la consolle per divertirci. Fa bene ogni tanto viaggiare in aereo con solo qualche disco, senza portarsi così tanti bagagli e strumenti. Ho letto che siete amici di Erol Alkan. Vi piacciono le sue produzioni? In realtà siamo solo twitter-amici con Erol. Nella scena ci conosciamo un po' tutti, dato che suoniamo negli stessi festival o eventi. Ora che siamo tornati in Australia comunichiamo con il mondo con meno di 140 caratteri. Quali sono i produttori e DJ che vi piacciono di più? Sono troppi. I primi che mi vengono in mente sono Giorgio Moroder, Cerrone e i Portishead, ma la lista potrebbe essere molto più lunga... In qualche modo suonate anche progressivi. Vi sentite vicini ai synth dei Supertramp? Ci sono anche un po' di suoni prog nelle nostre produzioni. Stavo proprio ascoltando i Supertramp l'altra sera, tornando a casa in macchina. Mi piace il suono dei loro pianoforti elettronici. Hanno dei sintetizzatori con una personalità forte. Vi piace prendere parte al 'making-of' dei videoclip delle vostre canzoni? Ci piace essere coinvolti in tutti gli aspetti che riguardano il gruppo, siano essi il design del merchandizing, della cover art degli album, i video clip, etc. Quando non avevamo soldi per pagarceli, i video ce li facevamo da soli. Ci piace ampliare i nostri orizzonti anche oltre il mero campo musicale. Ho visto che avete fatto un film con Cara Sticker. Ci potete dire qualcosa di quell'esperienza? Com'è stato lavorare con lei? Quando l'avete conosciuta? Siamo amici di molti artisti australiani così ci piace coinvolgerli nei nostri progetti e vedere cosa ne esce. Anche se è fotografa, Cara ha fatto anche un po' di video. Ci ha detto che voleva fare un pezzo sperimentale per noi, così l'abbiamo lasciata fare quello che preferiva. Penso che faremo ancora dei pezzi così strani nel futuro. Ho visto anche il video con i Krozm (Into the Galaxy). Come vi siete incontrati? È da un po' di anni che siamo amici con i ragazzi dei Krozm. Sono un bel collettivo pieno di idee. Mi piacerebbe che facessero un lungometraggio. Mi ricordo che hanno diretto uno dei nostri primi video (per Shadows, ndr) con un budget limitato. Quel video è ancora uno dei miei preferiti. Quali sono i vostri piani per il 2011? Ci siamo un po' rintanati in casa a scrivere e

registrare il disco nuovo, che uscirà a fine anno. Sono sicuro che più in là riprenderemo a viaggiare. Mi piacerebbe ritornare in Europa per farmi un po' di ferie... Ho letto che nel cassetto avete parecchie B-sides. Le raccoglierete in un album prossimamente? Penso che le pubblicheremo quest'anno, ma il disco nuovo sarà di sole tracce originali. Stiamo scrivendo i pezzi e prima di tutto vogliamo far uscire quelli. L'anno scorso avete fatto un tour negli Stati Uniti. Com'erano gli americani? C'è differenza tra il pubblico (USA vs. Europa vs. Australia)? Ci è piaciuto suonare negli States. Il pubblico era caloroso e ci siamo sempre divertiti. Le folle che mi piacciono di più restano comunque i Giapponesi. Quando suoni là, sembra che siano veramente tutti appassionati alla tua musica e nel contempo si comportano tutti in maniera esemplare. C'è una grande atmosfera. In particolare al festival Fuji Rock. Come vi sentite quando state fuori dall'Australia per così tanto tempo? Vi trasferirete in Europa? Mi è sempre piaciuto viaggiare, quindi mi piace essere 'on the road'. Probabilmente ci trasferiremo in Europa, se non altro per evitare tutti quei lunghissimi voli; è più facile lavorare e andare in tour se vivi da quella parte del mondo. Nel 2008 abbiamo preso un appartamento a Parigi e mi è piaciuto molto. Se vivi in Australia non puoi volare a Barcelona per il weekend. Mi piace comunque l'atmosfera che c'è qui da noi. Stiamo ancora decidendo. Pensi che il mondo finirà nel 2012? Secondo Hollywood certamente. E ti dico di più. Finirà il giorno del mio compleanno, il 21 dicembre. Speriamo non succeda! Che poster avevi nella tua stanza quando eri ragazzino? Avevo molti poster di film, come Die Hard, Ritorno al futuro e Total Recall. Avevo anche il poster del Fantastico mondo di Oz, ma quando sono diventato adolescente l'ho tolto e l'ho sostituito con qualche altro film, che avesse Chevy Chase (un famoso attore comico americano, ndr) nel cast. Qual è stato il miglior palco su cui avete suonato? Mi piace suonare in posti esotici come il Fuji Rock nella foresta giapponese, a Coachella nel deserto californiano o a Glastonbury nel fango. Quello che preferisco è però il Calvi on the Rocks in Corsica, perché è un posto ideale, su una spiaggia del Mediterraneo. Abbiamo suonato lì un sabato sera e poi ci siamo fermati una settimana per entrare nell'atmosfera. Belle giornate. Cosa stai ascoltando ora? Elliot Smith, il nuovo disco dei Cut Copy e i T. Rex. Hai una top hit personale del 2010? Qualcosa di australiano. Per il 2010 mi è piaciuta Lucidity dei Tame Impala. E per il 2011 Need You Now dei Cut Copy.


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Nicolas Jaar Per Nicolas Jaar l’obiettivo del suono contaminato, un problema per quei produttori che cercano di raggiungerlo in modo artificioso, nemmeno si pone. Cresciuto in una famiglia di artisti tra Cile e Stati Uniti, questo ventenne dal sangue misto assorbe fin da piccolo il minimalismo di Satie e Cage, così come le sezioni ritmiche di jazz e afro beat. Ancora adolescente e affetto da una leggera forma di sinestesia, rimane folgorato da “Thé Au Harem D’Archimède” di Villalobos, ascolto che lo spinge a comporre musica. Una sorta di post-house adulta e raffinata, seppur di difficile collocazione, che etichette come Wolf + Lamb e Circus Company non si lasciano sfuggire. Il risultato sono quasi una decina tra singoli ed EP in soli quattro anni, e il suo primo album, “Space is Only Noise”, che lascia a bocca aperta. Un disco rarefatto, ma al tempo stesso ricco di pathos, che emoziona, fa viaggiare e persino ballare sotto i 100 bpm. Blues romantico, dice lui. Intervista di Gaetano Scippa. Foto di Irwin Barbé

Sarebbe carino capire qualcosa delle tue radici. Americane, cilene, francesi, arabe. Quale di queste prevale nella tua personalità? Entrambi i miei genitori sono nati in Cile, dove ho vissuto per circa otto anni. Mia

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madre è per metà francese, mentre la famiglia di mio padre è palestinese. Io sono nato a New York e ho trascorso gran parte della mia vita qui negli Stati Uniti. Credo che la mia personalità rifletta questa confusa combinazione.

Quante lingue parli? Nel tuo ultimo album si sente molto francese… Parlo fluentemente spagnolo, francese e inglese. Ho studiato al Lycée Français di Santiago e New York, per cui la mia istruzione è stata in grande parte in francese. Parlo


spagnolo con i miei genitori e inglese con gli amici. Com’è stato crescere a Santiago del Cile e trascorrere l’adolescenza a NY? Sono città diverse, con culture diverse. Ho vissuto a Santiago senza un padre,

perché i miei genitori si sono separati quando avevo un anno. Quindi ho un ricordo strano del tempo trascorso in Cile, come se vivessi sott’acqua. Venire a NY è stata una rivelazione su chi fossi realmente, sulla mia identità, perché ho plasmato me stesso per

la prima volta attraverso gli occhi di mio padre. A Santiago ero un pessimo studente, andavo male a scuola, sparavo solo bugie e trascorrevo le giornate a cazzeggiare, aspettando che mia madre facesse ritorno. Quando sono arrivato a NY, invece, ho capito di voler realizzare qualcosa nella vita e in quattro anni ho trovato la musica come mezzo ideale. Il fatto di essere figlio d’arte condiziona il tuo interesse per la musica? Ovviamente. Mio padre ed io parliamo tutto il tempo sul significato di quello che facciamo. Io amo la sua arte, mi rende molto orgoglioso di essere suo figlio. Mia madre è una donna eccezionale, con un enorme potere che non posso spiegare senza paragonarla a una specie di stella o a un oggetto celeste. Qual è il primo aspetto della musica che cattura la tua attenzione? Cerco sempre di valutare la musica senza pregiudizi. Per esempio, sebbene io non possa proprio entusiasmarmi del nuovo pezzo di Justin Bieber, sono sicuro che il suo ascolto sarà istruttivo dal punto di vista del sound design per via dei fantastici studi di registrazione utilizzati. Ogni volta che ascolto una canzone cerco di ricordarmi del fatto che abbia un potenziale in grado di insegnarmi qualcosa. Conosci o apprezzi altri produttori di musica elettronica cileni come Villalobos, Aguayo e Luciano? Non li conosco di persona. Rispetto tremendamente la musica di Ricardo. Come sei entrato in contatto con certi autori di musica ritenuta più intellettuale, dalla classica contemporanea all’ethio-jazz (John Cage, Erik Satie, Mulatu Astatke per citarne alcuni)? Sono stati i miei genitori ad aiutarmi a scoprire tutto ciò. Questi autori cambiano la tua definizione di musica se davvero ci entri dentro. Ne sono stato coinvolto fin da piccolo. Mia madre mi ha fatto conoscere Satie e Cage mentre mio padre ha colto il mio interesse per la musica africana. Sono stato molto fortunato ad avere intorno persone incredibili che mi hanno mostrato la strada. Cosa rispondesti a chi giudica la tua musica troppo concettuale, specie per la pista da ballo? Beh, a dire la verità io sono più interessato ai sentimenti e alle emozioni che ai concetti. Ma io credo nelle emozioni complesse. Per esempio, quando la tua mente ti dice qualcosa e il tuo cuore il contrario, quel sentimento di separazione interna non è “concettuale”. Tutti abbiamo provato questa sensazione, ma è un tipo di sentimento ancora incredibilmente complesso. E’ cio che

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sto cercando di raggiungere attraverso la musica e forse questo processo coinvolge i concetti, ma mi auguro davvero che il risultato sia emotivamente onesto per l’ascoltatore. Dici che tutte le persone che vanno nei club hanno il cuore spezzato. Ne sei proprio sicuro? Ce l’abbiamo tutti, in un modo o nell’altro. Ciò che ci spinge a voler andare in un club ha qualcosa a che fare con il tentativo di riempire una mancanza che abbiamo dentro. Quando suono per gli altri cerco di pensare al fatto che la musica possa essere versata in quello spazio vuoto. L’oscurità e la malinconica sono spesso stati d’animo che un adolescente cerca nella musica, come il dark, lo shoegaze o l’attuale witch-house. Anche per te sono così importanti, pur mascherati da suoni più raffinati e complessi? E’ solo quello che mi esce fuori, blues romantico credo... L’EP Marks and Angles suggerirebbe che ti interessi di filosofia ed economia. Cosa stai studiando alla Brown University? Studio Letterature Comparate, un mix di teoria, filosofia e letteratura. E’ incoraggiante scoprire come un giovane artista elettronico possa produrre suoni così maturi. La tua età ti ha mai limitato o causato pregiudizi? In realtà è utilizzata come strumento di marketing, il che è un po’ frustrante. Ma l’intero sistema è tarato su questo genere di informazioni per trarne profitto, per cui non ne sono sorpreso. L’attenzione intorno a te cresce di giorno in giorno. Sei pronto per il successo? La tua vita è cambiata sotto pressione? La mia vita ha subìto pochi cambiamenti dal momento che vivo negli Stati Uniti dove le persone non sono interessate più di tanto alla musica elettronica. Le pressioni su di me stanno crescendo, è vero, ma non è necessariamente una brutta cosa. Innanzitutto nessuno mi ha mai detto che fare musica sarebbe stato facile. Per citare un tuo pezzo: non credi nell’hype? Dal mio punto di vista sto solo cercando di fare musica, di realizzare un prodotto onesto. A che età hai iniziato a fare musica? Quando avevo 14 anni, utilizzando un software chiamato Reason. Qual è il primo strumento che ha imparato a suonare? Ho fatto dei corsi di pianoforte a circa quattro o cinque anni, ma non mi divertivo a imparare a suonare. Mi sentivo troppo convenzionale. Questo è stato un po’ prima di cominciare a usare Reason. Non è facile e a volte noioso trovare

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definizioni. Ma nel tuo caso è interessante sapere con quali termini definiresti la tua musica… Soffro di una lieve forma di sinestesia, credo, quindi di solito quando faccio musica cerco di formare una coerente sfocatura dei colori. Cerco anche di conferire alla mia musica delle qualità naturali, come legno, acqua, ecc. Ma non so quali parole possano essere utilizzate per descriverla. Beatport ha messo alcune mie canzoni sotto il tag “tech-house”, che ho trovato molto divertente. La mia traccia WOUH è “chill-out” per Beatport e “hip-hop” per iTunes. Queste parole aiutano a classificare i generi, ma fanno un cattivo servizio alla creatività perché le persone vi si attaccano come se fossero confini reali. La musica dance è normalmente vista come un’esplosione di ritmi e beat. Stai deliberatamente remando contro? Mi piacerebbe essere esplosivo. No, non sto remando contro alcuna corrente. Sto solo cercando di continuare a fare ciò che mi viene naturale. Puoi descrivere le reazioni in pista da ballo quando rallenti fino a 100 o anche 70 bpm? Nella maggior parte dei luoghi in cui ho suonato ha funzionato. A Tel Aviv la gente aveva le mani in aria durante i momenti a 70 bpm! Stessa cosa a San Francisco. Ciò mi fa credere che si possa continuare in questa direzione. Wolf + Lamb e Circus Company, due etichette a confronto. Wolf + Lamb è la prima label con cui abbia mai lavorato. E’ il motivo per cui chiunque conosce il mio nome. La Circus Company mi ha contattato dopo l’uscita di The Student EP per Wolf + Lamb, e tra l’altro io sono un grande fan di dOP e Noze. Dopo 3 anni, W + L e Circus Company sono la mia famiglia, e al momento le uniche due etichette con cui sono interessato a lavorare. Quando hai avuto l’idea di avviare una tua etichetta e perché? Come sta andando la Clown & Sunset? Quando ho realizzato di avere più di 100 tracce che né W + L né Circus avrebbero pubblicato. Ho pensato che fosse il momento di farlo io stesso. Clown & Sunset sta andando benissimo, la raccolta Inès è andata esaurita in sole due settimane. La strada che ho intenzione di percorrere per imballare musica nel 2011 è da matti! Il titolo Space is Only Noise ha un significato particolare? Sì, naturalmente. Ha molto a che fare con la copertina dell’album, che mi vede tra Berlino Est e Ovest nel 1990. Sono in questo spazio intermezzo.

E’ come il concetto di rumore, nel quale si concentra contemporaneamente il tutto e il niente. Che legami ha questo tuo primo album con la musica hip-hop? Io amo l’hip hop, ci sono cresciuto. Sono sempre stato influenzato da Dilla, Madlib e altri. Stai cercando di sperimentare di più con la tua voce (Keep Me There ecc.)?


Più invecchio e più mi sento a mio agio con la mia voce, anche se è molto difficile ed è uno sforzo continuo. Come sei arrivato ai due brani più ritmati, Space is Only Noise if You Can See e Variations? Credo di aver iniziato Variations su un treno e di aver completato il brano con l’aggiunta di un beat poco prima che l’album fosse pronto. Space is Only Noise if You Can See, invece, è

stato fatto al ritorno dal mio primo tour, in cui ho cominciato ad ascoltare i New Order. Fai ancora registrazioni sul campo? Sì, ma meno di prima. Ora sono più interessato a creare da me i suoni. Stai crescendo in fretta e la laurea si avvicina. Dopo The Student possiamo aspettarci un EP The Teacher? Haha, forse!

Come sei entrato in contatto con Nikita Quasim e Soul Keita? Con quali artisti vorresti lavorare nel prossimo futuro? Ho incontrato Nikita e Soul al confine tra Stati Uniti e Messico durante una gita scolastica. Per ora sono i miei unici possibili collaboratori per il futuro. Cosa ne pensi di James Blake, Francesco Tristano, Thievery Corporation? Preferisco non rispondere a questa domanda.

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Top L’ARCA DE L’AVIA, slip DIESEL, calze LACOSTE

Rebecca: top AMERICAN APPAREL Adrianna: shorts DIESEL Giulia: reggiseno AMERICAN APPAREL, shorts PAUL SMITH

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Girls Photographer: YARA DE NICOLA Stylist: FABIANA FIEROTTI Assistant Stylist: SARA KOLLHOF Models: REBECCA LARSSON, ADRIANNA GLAVIANO, GIULIA TETAMO, CLAUDIA CASAROSA

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Calzini CALZEDONIA

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Rebecca: total look PAUL SMITH

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Top L’ARCA DE L’AVIA, slip DIESEL, calze LACOSTE Adrianna: total look DIESEL

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Adrianna: costume PAM

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Top L’ARCA DE L’AVIA, slip DIESEL, calze LACOSTE Rebecca e Adrianna: t shirts DEAD MEAT

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Top L’ARCA DE L’AVIA, slip DIESEL, calze LACOSTE

Rebecca: completino STELLA MC CARTNEY

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Adrianna: top PAUL SMITH, culottes AMERICAN APPAREL

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Top L’ARCA DE L’AVIA, slip DIESEL, calze LACOSTE

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Rebecca: top RVCA, Adrianna: maxi t shirt MARIOS, Giulia: abito vintage Claudia: camicia WRANGLER

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Adrianna: vestitino vintage Claudia: vestitino RVCA, cardigan model’s own

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Top L’ARCA DE L’AVIA, slip DIESEL, calze LACOSTE

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Giulia: Felpa OBEY, culottes AMERICAN APPAREL Claudia: Top PAGANO, body AMERICAN APPAREL

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Top L’ARCA DE L’AVIA, slip DIESEL, calze LACOSTE Adrianna: shorts DIESEL Rebecca: top AMERICAN APPAREL Giulia: top AMERICAN APPAREL, shorts PAUL SMITH Claudia: shorts OBEY

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Cardigan FRANKLIN & MARSHALL, t-shirt TOMMY HILFIGER, culotte stylist own, calze CALZEDONIA

Livia Photographer: PIOTR NIEPSUJ Styling: SILVIA BERGOMI Hair & Make Up: ALICE COLORITI Model: LIVIA SATRIANO Shoot Assistance: LUCA MASSARO Special Thanks: DANIEL SANSAVINI

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T-shirt GONZALO, calze CALZEDONIA

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Tuta da ginnastica FRANKLIN & MARSHALL

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Jacket CARHARTT, parigine CALZEDONIA

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Cardigan WASTELAND, costume STUSSY, calze CALZEDONIA

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Tuta Golf da vintage ginnastica MAX FRANKLIN MARA, anelli & MARSHALL, CAVALLI E NASTRI, pantaloni leggings 55DSL 55DSL

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Cardigan WASTELAND, costume STUSSY, calze CALZEDONIA, stivali OPENING CEREMONY

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104 PIG MAGAZINE


Cardigan FRANKLIN & MARSHALL, t-shirt TOMMY HILFIGER, culotte stylist own, calze CALZEDONIA, scarpe VANS

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Pullover stylist own, pantaloni Y-3

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(Hercules & Love Affair) all’indomani dell’uscita di Blue Songs, secondo album del gruppo.

Foto di Matteo Montanari

PIG list:

La PIG list di marzo arriva direttamente da NYC e l’ha preparate per noi Mr. Andrew Butler

Andrew Butler (Hercules & Love Affair) 1.Cabaret Voltaire - Sensoria Mi piace questa canzone perchè ha un beat electro figo, voci spettrali e ripetitive un sacco di synth in delay, come la maggior parte dei pezzi dei Cabaret Voltaire. 2.Godflesh - Slavestate Completamente influenzati dai Cabaret Voltaire: l'acid house incontra il metal. Bridge inquietante, voce brutale e video super cool. Ho una loro maglietta con un’ immagine del clip sopra. 3.Neil Young - We R In Control Synth rock paranoico da grande fratello direttamente dal suo periodo sperimentale. Ha studiato il vocoder come modo per comunicare con il figlio autistico. 4.Connie - Rock Me La canzone definitiva per fare breakdance che nessuno conosce ma dovrebbe. Quando la ascolti perchè ti sembra di saperla alla perfezione. 5.Cocteau Twins - Heaven Or Las Vegas Appartiene all'ultimo periodo, ma si tratta di shoegaze all'ennesima potenza. Sembrano due ragazze magre che cantano come pappagalli, invece è la voce folle e selvaggia di Elizabeth Frazer.

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6.Norman Connors - Romantic Journey Un pezzo davvero commovente che parla di un uomo la cui donna è sempre al suo fianco. Sulla copertina dell'LP c'è lui che la sta portando a fare un giro sul suo jet privato. Il 12 pollici dev'essere rarissimo. 7.Psyche - Unveiling The Secret Deathrock californiano in salsa di synth. Fecero anche una cover di Goodbye Horses… Da questo pezzo Joris Voorn ha rubato un sample e ha tirato fuori un mega hit. L'idea però era venuta prima a me. 8.Area 10 feat MK - Get it right (MK Mix) Una delle prime release di MK. Beats minimal, una linea di basso super e quel classico suono di sax atonale e terribilmente digitale. 9.Godley & Creme - I Pity Inanimate Objects Ex membri dei 10cc che armeggiano con un modulatore di frequenza vocale sopra una bella linea di chitarra. Puro e semplice pop d'avanguardia. 10.Rinder & Lewis - Willie And The Hand Jive Acid disco per ragazzini, un boogie in maggiore direttamente dalla crew della Cocomotion.


Musica Album del mese

Di Gaetano Scippa

Bibio - Mind Bokeh (Warp) Sono bastati due minuti scarsi di sample diffuso in rete per creare scompiglio e farlo entrare già nelle classifiche di fine anno come miglior disco del 2011. Se per molti Bibio, il beatmaker delle Midlands occidentali, è un nome ancora poco conosciuto, la sua arte elettronica – personalissimo miscuglio di ritmi wonky, melodie folk e musiche black – in realtà potrebbe suonare familiare essendo ampiamente utilizzata in pubblicità. Il sesto lavoro in studio di Stephen Wilkinson, seguito ancor più convincente di Ambivalence Avenue rispetto al quale i suoni ammiccanti prevalgono su quelli pastorali, merita la nostra attenzione per l’allegro potenziale pop (le strofe di Anything New e K Is For Kelson) e radiofo-

nico (l’andamento funky di Light Seep) che emana, arrivando a sfiorare discutibili punte commerciali (il riff di chitarra che spinge Take Off Your Shirt). Mind Bokeh (dal gergo fotografico derivato dal vocabolo giapponese "boke" che significa "sfocatura"), così intitolato da Bibio perché “interessato all’effetto di confusione mentale attraverso la meditazione, la chimica o altro”, è tutt’altro che un coacervo casuale di idee. E’ un impasto lo-fi dalle sfumature seducenti, da cui però emergono con chiarezza e fluttuano in tutto il loro splendore ricordi lontani, immagini riverberate e proiezioni dal subconscio. Una menzione speciale va a Wake Up!, traccia che scardina resistenze come Candylane di Gonjasufi (pezzo remi-

xato dallo stesso Bibio), e al cuore pulsante di Saint Christopher, la fine del viaggio, o forse solo l’inizio.

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Musica Album del mese

Di Depolique, Marco Lombardo e Gaetano Scippa

Verdena - Wow (Universal)

Guardare Sanremo e pensare ai Verdena. Extraterrestri nel panorama musicale italiano: escono su major da una vita, ma sono più indie di tutti quelli che ne fanno un manifesto. Una contraddizione via l’altra; d’altronde, fossero nati altrove, probabilmente sarebbero rockstar, da queste parti invece dopo più di dieci anni sono “solo” sulla buona strada. Avanti così, continuiamo a masticare (negr) amaro. I Verdena non stiamo a raccontarveli qui, tantomeno tutte e ventisette le nuove canzoni che fanno di Wow il loro miglior disco. Un lavoro che riconcilia con tante cose, a cominciare dalle chitarre. Avevo quasi perso la speranza. D.

Puro Instinct - Headbangers in Ecstasy (Mexican Summer) Le sorelle Piper e Skylar Kaplan avevano attirato la nostra attenzione all’epoca del loro singolo d’esordio quando ancora si facevano chiamare Pearl Harbor. Qui l’indie rock spruzzato di new wave delle prime uscite si stratifica ed esplode come un palloncino pieno di coriandoli colorati. Fanno capolino i Fleetwood Mac e i Cocteau Twins, a tratti addirittura le Hole, e complice Ariel Pink, nel brano manifesto Stilyagi, il duo di Los Angeles entra nell’olimpo di quel dream pop venato di soft-rock che ultimamente riempie gli hard-disk dei musicofili globali. Istinto puro per la melodia. M.L.

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Young Galaxy - Shapeshifting (Paper Bag) Misconosciuta indie band canadese cerca giovane produttore di talento per risollevarne le anonime sorti. Dan Lissvik degli Studio risponde. Ed è subito miracolo. Il cambiamento di forma evocato sin dal titolo del disco è radicale. Infatti la cifra stilistica del deus ex-machina svedese è ovunque. Nelle ritmiche dinoccolate, nei contrappunti delle chitarre, in quelle andature malinconiche che immaginano il sud del mondo, mentre fuori dallo studio la neve ricopre tutto silenziosamente. The Knife, Eurythmics e New Order si riflettono in uno specchio di citazioni. Il bruco è diventato farfalla. M.L.

Casa Del Mirto - 1979 (Mashhh! Records) In fondo il fenomeno glow-fi/chillwave un po’ ci appartiene. Difficile non trovare nei vari Washed Out e Neon Indian di turno i residui analogici della nostra Italo-Disco. E così il nuovo disco del trentino Marco Ricci, aka Casa Del Mirto, non fa altro che chiudere un cerchio, riportando in Italia quelle intuizioni che nel Midwest americano hanno trovato nuova linfa. 1979 è un disco di genere nei suoi continui rimandi a un’estetica ben definita, ma non per questo trascurabile. Al contrario. Ci troviamo di fronte a una delle massime espressioni dell’ondata ipnagogica. E lo scriviamo orgogliosi. E’ made in Italy. M.L.

Forest - S/t (Service Records) Una delle nostre etichette svedesi preferite mancava all’appello ormai da troppo tempo. Ora la pausa di riflessione è finalmente terminata. La Service è tornata in scena con un altro dei suoi colpi da novanta: i Forest. Dalle foto della cartella stampa sembrerebbero l’ennesimo gruppo black metal scandinavo poi ascolti le otto tracce del disco e vieni catapultato in una distesa di sintetizzatori psichedelici e voci sussurrate. Il risultato è straniante. Come se Burzum improvvisamente si fosse messo a registrare cover degli Animal Collective, sotto l’effetto di sonniferi per cavalli. Folk music per il girone dei dannati. M.L.

Tim Hecker - Ravedeath, 1972 (Kranky) Pochi artisti sanno incunearsi tra melodia, dissonanze e droni, e avere un impatto fisico e mentale come Tim Hecker in questo suo settimo (capo)lavoro. Registrato in una chiesa di Reykjavik con l’utilizzo di un organo a canne, Ravedeath regala momenti epici di ambient strutturata. L’opener The Piano Drop, un requiem arpeggiato da rave senza battito, riprende il curioso concetto della copertina: il lancio di un pianoforte nei primi anni ’70 da parte di studenti del MIT. Come rimanere indifferenti alla sacralità di un pezzo come In The Fog, e non inchinarsi alla solennità di Hatred Of Music? Se Dio esiste, si chiama Tim Hecker. G.S.


Discodeine - s/t (DIRTY) Dopo essere passati a lungo inosservati a scapito dei cugini di Ed Banger, Kitsunè e Institubes - nonostante il grande lavoro fatto con la DIRTY e la lunga eco di re-edit - i francesi Pilooski e Pentile firmano il primo album a nome Discodeine. Mentre gli altri tagliavano beats con l’accetta loro si trastullavano con Morricone e quando i nipotini dei Daft Punk riempivano gli stadi, loro stampavano vinili in duecento esemplari. Disco raffinata e futuristica, citazioni colte e ospiti selezionatissimi - da Jarvis Cocker a Matias Aguayo - e il gioco è fatto. Come dicevamo: per pochi, non per tutti. D.

FaltyDL - You Stand Uncertain (Planet Mu) Secondo album per FaltyDL che, a dispetto del proprio sound molto inglese, arriva da New York. Dopo un debutto spezzato e sincopato, questa volta Lustman smanetta con fluidità su suoni polverosi che guardano oltreoceano. Non ancora smaltita la sbornia di Burial (titletrack), inserisce per la prima volta cantanti come Lily McKenzie (il 2-step esotico di Brazil) e Anneka (già con Ital Tek e Starkey), strizza un occhio all’house più o meno witch (The Pacifist) e lega il garage di A Guy Called Gerald all’afrojazz e all’hip-hop newyorkese (Open Space). E’ tutto buono, titola un pezzo. Se così non è, poco ci manca. G.S.

Dumbo Gets Mad - Elephants At The Door (Bad Panda) Comincia come un disco degli MGMT per poi assumere le sembianze di una sofisticata colonna sonora d’altri tempi, il debutto casalingo di Dumbo Gets Mad, one man project di casa nostra. Un flashback sfuocato dai colori accessi, come una polaroid dimenticata che prende vita. Tra psichedelia e melodie sixties che non lasciano indifferenti, un trip nostalgico negli anni settanta e certi rigurgiti eighties cari ad Ariel Pink. Confezione retrofuturista e una certa leggerezza drogata - come l’esperienza allucinata di Dumbo nel capolavoro Disney, che dà il titolo al progetto - fanno il resto. Cominciamo bene. D.

Rainbow Arabia - Boys And Diamonds (Kompakt) Dal new rave alla chill wave, dai brividi ai tropici, partendo da Los Angeles a cavallo dell’arcobaleno. Un interrail planetario, etnico ed elettrico, Trance Europe Express e poi transiberiana; scalo in Medio Oriente e poi giù nel Continente (nero). E’ il “pop del quarto mondo” quello di Tiffany e Danny Preston, turisti del suono e coppia a tempo pieno. Raccogliendo suoni da ogni dove e strumenti secondo il metodo Cocorosie, il trasformismo è all’ordine del giorno. Così T si sveglia Alice Glass, si veste da M.I.A e fa il verso a Karin Dreijer, il tutto nel giro di mezz’ora. D.

Stateless - Matilda (Ninja Tune) La band di Leeds torna alla carica con un disco dal parto travagliato. Dopo aver collaborato con DJ Shadow, gli Stateless si sono affidati alle cure pesanti del produttore di Björk e Prodigy, Damian Taylor. Lo sforzo di combinare scrittura ed elettronica in chiave trip è evidente, tanto che le associazioni – dai Radiohead a Timbaland – si sprecano. Il cantato di Chris James è efficace, ma spesso schiacciato dalla programmazione a martello di Kidkanevil (il singolo Ariel), quando basta un quartetto d’archi (Ballad of NGB) o semplicemente meno stucco affinché funzioni (Miles To Go e il duetto con Shara Worden, I’m On Fire). G.S.

Lucy - Wordplay for Working Bees (Stroboscopic Artefacts) Dietro questo moniker apparentemente femminile si cela la dedizione del DJ e produttore siciliano Luca Mortellaro, ennesimo espatriato doc a Berlino. E’ qui, dopo una parentesi parigina, che il nostro ha stabilito le fondamenta dell’etichetta elettronica Stroboscopic Artefacts (Xhin, Perc, Pfirter). Lucy sperimenta sulle percezioni dell’ascoltatore e cerca nuove strade oblique per la techno, affogando il 4/4 soprattutto nel dub “compresso”, nelle stratificazioni dell’IDM, nell’ambient e nei droni. Un lavoro granitico e intelligente che merita più ascolti per essere apprezzato in pieno. G.S.

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Musica Varie

Di Depolique, Marco Lombardo e Gaetano Scippa

Tame Impala - Why Won’t You Make Up Your Mind? (Erol Alkan Rework Edit) (Modular) EP Erol torna ad armeggiare con le chitarre. Dopo il discomix per MGMT ecco un rework d’altri tempi. Semplice ed efficace: un successo. D.

Bullion - You Drive Me to Plastic 12“ (Young Turks) La facilità con cui Nathan Jenkins mette insieme beat diversi è disarmante. Nove-tracce-in-una ad incastro hip hop tra percussioni esotiche, Laurie Anderson, retro funk, krautismi e chincaglierie

Jessie Ware And Sampha - Valentine (Young Turks) 7” Con un vinile a forma di cuore e un titolo tale non poteva che uscire a San Valentino. Un duetto tra pop e nuovo soul vietatissimo ai diabetici. E’ scattato il colpo di fulmine. D.

sintetiche da ballare. G.S.

Beat Connection - Silver Screen (Tender Age) Jordan Koplowitz e Reed Juenger importano il pop balearico dei TTA a Seattle e immaginano nuove spiagge interstellari. Con tanto di astronauti in costume da bagno. M.L.

Com Truise - Cyanide Sisters (Ghostly International) EP Come dei Boards Of Canada in versione chillwave, in grado di destreggiarsi tra dubstep autorigenerante e arpeggi funk matematici. Robot music dal New Jersey. M.L.

XXXY - You Always Start It/Ordinary Things (Ten Thousand Yen) 10” Rupert Taylor ci regala un gioiello di Uk Garage evoluto e destrutturato: voci pitchate, synth 8 bit, ritmiche aliene. Da manuale. M.L.

Julio Bashmore - Batty Knee Dance EP (3024) Martyn ci ha visto giusto e per rilanciare la sua etichetta punta su Matthew Walker. L’808 ultra sincopata della titletrack, la danza cosmica di Ribble To Amazon e la fiaba disco Grand National formano un perfetto triangolo d’ascolto. G.S.

Austra - Beat And The Pulse (Domino) EP Tra Glasser, Gigolo Records e Zola Jesus sta Katie Stelmanis, leader del trio canadese Austra. Dark is the new loud. D.

Port-Royal - 2000-2010: The Golden Age of Consumerism 2xCD (n5MD) I P-R celebrano 10 anni di attività con una doppia raccolta di rarità (tra cui Kraken EP) e remix. Una retrospettiva imprescindibile per capire l’evoluzione di un’ottima band in sospeso tra IDM e post-rock. G.S.

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Film del mese

Di Valentina Barzaghi

The Kids Are All Right Di Lisa Cholodenko (ITA. I Ragazzi Stanno Bene). Una coppia lesbica di mezza età vive felice, è profondamente innamorata e ha allevato alla perfezione due figli che ormai sono adolescenti, Joni e Laser. Quando Joni compie diciotto anni, decide che è arrivato il momento giusto per mettersi alla ricerca del padre che non ha mai conosciuto. Si rivolge quindi alla banca del seme e scopre che l'uomo con cui spartisce il patrimonio genetico è un aitante dongiovanni di nome Paul (Mark Ruffalo) che gestisce un ristorante biologico vicino a Los Angeles. Non rimane che svelarlo alle madri e introdurlo in famiglia, scatenando però una serie di imprevisti inattesi. The Kids Are All Right è un bel film romantico, che unisce amabilmente commedia e dramma. Da una trama classica, come quella del figlio che si mette alla ricerca del genitore mai conosciuto, Lisa Cholodenko ne riesce a tirar fuori una storia originale,

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supportata anche da un cast davvero eccezionale. Nella parte delle genitrici omosessuali troviamo infatti Julianne Moore e Annette Bening (con un inedito taglio di capelli super corto); in quello dei figli Mia Wasikowska (reduce dal "successo" dell'Alice di Burton) e il forse meno noto Josh Hutcherson (Un Ponte per Terabithia); mentre in quello del padre in provetta un Mark Ruffalo in forma davvero smagliante. Non bisogna pensare che la regista abbia deciso di mettere in scena questo film solo per quella che potrebbe essere la tematica più evidente, ma forse per questo la più superficiale: mostrare allo spettatore come anche in una famiglia omosessuale ci sia armonia e come i figli crescano in un ambiente domestico forse più sano di molti altri dichiarati istituzionalmente "tradizionali". Al contrario la Cholodenko si fa delle domande e cerca visivamente di darsi delle risposte, innescando un meccanismo che

porterà proprio quella coppia così solida ad uscire dal seminato (che poi è quello che generalmente succede a tutte le coppie, ma in questo caso le problematiche saranno altre - non vi sto a svelare, anche se il trailer dice già troppo...). Con qualche situazione divertente (quasi da gag), ma nulla che possa ridicolizzare o svalutare l'argomento trattato, The Kids Are All Right è un film di dialoghi e situazioni, mai forzati, mai esagerati, che ha le sue basi in una profonda costruzione dei suoi personaggi. Forse la sorpresa più grande alle nominations nell'edizione degli Oscar di quest'anno (il film infatti è stato candidato per Miglior Film, Miglior Sceneggiatura Originale - Lisa Cholodenko & Stuart Blumberg, Annette Bening - Attrice Protagonista, Mark Ruffalo - Attore Non Protagonista): non sappiamo se si porterà a casa qualcosa, ma già il fatto che un film "più piccolo" come questo ci sia arrivato, ci rende felici.


Cinema

The Fighter Di David O. Russell. Due fratelli, due figure celebri nel mondo della box: Micky Ward (Mark Wahlberg) e Dicky Eklund (Christian Bale). Il primo, il più piccolo dei due, è quello che si è avvicinato allo sport per spirito d'emulazione verso il più grande, che invece ora lo allena, attaccandosi disperatamente ai ricordi per dare un senso alla propria esistenza fatta di crack e di successi solo inseguiti, ma mai raggiunti. Il film di Russell è una storia di amicizia, dipendenza affettiva e familiare forte, una storia che rende giustizia ai film sulla box (sport spesso bistrattato), ma anche un racconto profondo di cosa implichi l'amore fraterno. Wahlberg e Bale, perfetti nei rispettivi ruoli, ci regalano una splendida interpretazione, mentre il regista Russell ci mostra, dirigendoli con maestria, come fare un film su uno sport così fisico e maschile, possa in verità avere un'anima pur rimanendo adrenalico. Una pellicola che parla di vittoria a 360°, splendidamente scritta, che non si disperde nel cercare di rendere eroi i suoi personaggi, ma che li inchioda alla realtà, che coinvolge ed emoziona. L'ultima volta che mi poteva succedere al cinema una cosa simile con la box (mi accadde anni dopo, ma non è la stessa cosa che "esserci") sarebbe stato il 1976 con Rocky. Grazie al cielo, c'è sempre una prima volta!

Frozen Di Adam Green. Per fortuna a Marzo non è consuetudine andare a fare una settimana bianca, perché se per caso vi capitasse di imbattervi nel film di Green prima di partire e siete facilmente suscettibili, probabilmente la voglia vi passerebbe... La storia: due amici di vecchia data accompagnati dalla fidanzata di uno dei due partono per un weekend sciistico. Decisi a sfruttare al meglio la loro vacanza chiedono al tecnico di seggiovia un’ultima corsa, nonostante l’impianto stia chiudendo. Morale: viene calcolato un tempo di blocco inferiore rispetto a quello che i tre ci avrebbero impiegato per scendere, facendoli rimanere a penzoloni nel vuoto... ma è domenica e gli impianti non riapriranno fino al venerdì seguente. Thriller dall’ambientazione statica, dinamico però nel giocare con la psicologia dei personaggi, in cui ci si interroga sulla difficoltà di compiere delle scelte. Ovviamente in questo caso per arrivare a compiere qualcosa di impensabile (e anche inguardabile a momenti... e non sono uno stomaco debole) e assolutamente fuori dalle righe. Frozen è destinato a diventare un mini cult di genere.

Never Let Me Go Di Mark Romanek. Il regista di videoclip (e purtroppo di One Our Photo) Mark Romanek, ci incanta con un film di fantascienza che parla di clonazione. Tratto dall’omonimo libro di Kazuo Ishiguro, racconta la storia di alcuni ragazzi che vengono messi al mondo e cresciuti per essere dei “ricambi d’organi”. I protagonisti sembrano vivere in un limbo molto vicino al mondo reale, ma di cui non conosciamo l’esistenza, sebbene trascorrano l’infanzia e vengano educati in un luogo molto simile ad un college inglese, per poi scoprire la verità sul proprio destino. Persi nella splendida fotografia di Adam Kimmel, ci abbandoniamo all’adattamento per il grande schermo scritto da Alex Garland, che decide di approfondire il presente dei ragazzi, sorvolando un po’ di più sul loro passato, e diretto con delicatezza da Romanek, che alla riflessione sociale preferisce invece la componente umana, raccontandoci da vicino le emozioni dei suoi protagonisti. Keira Knightely, Carey Mulligan e Andrew Garfield ovviamente fanno del loro, offrendo una magnifica interpretazione, tra commozione composta e rigore, con marcate connotazioni dark. 115


Cinema

Di Valentina Barzaghi

Sucker Punch Di Zack Snyder. Il bravo Snyder questa volta si diletta non solo alla regia, ma lo troviamo anche in produzione e sceneggiatura. Il regista, parlandone mentre il progetto prendeva vita, lo aveva definito “una sorta di Alice in Wonderland”... sì, ma con tanto di mitragliatrici, draghi e sex-violence-hard-core. La storia, che sembra sospesa tra il The Ward di Carpenter e le atmosfere di Sin City di Rodriguez, racconta la storia della giovane e biondissima Baby Doll (Emily Browning) che viene fatta rinchiudere dal malvagio patrigno in una clinica psichiatrica con il fine di farla lobotomizzare. Per sopravvivere al trattamento, la ragazza si crea un mondo parallelo che condivide con le quattro compagne di stanza, in cui come in un videogames dovrà riuscire a recuperare cinque oggetti prima che un uomo malvagio le farà male. Tra una miriade di effetti speciali mozzafiato e mirabolanti coreografie, Sucker Punch diverte e intrattiene, regalandoci forse l’opera più personale del regista, che comunque rimane fedele ai lavori precedenti proponendo la sua ormai famosa veste comics-violenta.

Bus Palladium Di Christopher Thompson. Cinque ragazzi, amici tra loro: sono i componenti dei Lust, un gruppo rock di belle speranze che finalmente sembra aver trovato la strada per il successo. Tra due di loro, forse l’anima del gruppo, scatta rivalità quando si innamorano della stessa ragazza (una bellissima Elisa Sednaoui in veste groupie), che però si mette con lo spavaldo frontman, a discapito del timido e taciturno chitarrista. Tra tour e sala prove, Thompson racconta un film che parla di musica, ma soprattutto di affetti. Una pellicola che ci narra una storia già vista, ma lo fa con grazia e fascino: diciamo che alla parte maschile piaceranno taglio e atmosfere, mentre alla parte femminile più che altro piaceranno loro. La fotografia di Rémy Chevrin si sposa perfettamente con la patina da dare a quegli anni (il film è ambientato nel 1985) e i protagonisti sono bravi a far strabordare la pellicola di quella sensualità che sia il periodo sia il genere musicale hanno reso un must. Per ottenere un film davvero speciale, forse ci sarebbero voluti un po’ meno cliché, ma Bus Palladium non ha le pretese di essere una pellicola memorabile, quanto un piccolo e affascinante film, e in questo centra il suo obiettivo.

Rango Di Gore Verbinski. Il regista di The Ring e della saga dei Pirati dei Caraibi, questa volta si cimenta con l’animazione. Un camaleonte domestico di nome - appunto - Rango, è - come lo ha definito il regista stesso - una sorta di “attore in cerca di pubblico”, che vive disorientato tra l’incontro poco amichevole con altre creature come lui e oggetti inanimati a cui dà un nome. Rango mette in scena la sua esistenza, per poi inaspettatamente dover cambiare palcoscenico e confrontarsi con la vita vera. Nella versione in lingua originale, il piccolo e simpatico Rango è interpretato da un ormai compagno di lavoro fidato per Verbinski, Johnny Depp, mentre alla sceneggiatura troviamo un nome noto come John Logan (che per Scorsese ha scritto The Aviator e il prossimo, Hugo Cabret - mentre per Ridley Scott ha lavorato a Il Gladiatore). Un progetto che per qualità d’immagine e tecniche di computer grafica, tra cui particolare attenzione viene data alla definizione di espressioni e movimenti, potrà competere con ormai giganti di settore. Fra l’altro, non ci viene difficile fare un immediato parallelismo mentale, soprattutto per abbigliamento e temperamento, del simpatico camaleonte con un personaggio caro alla filmografia di Depp, ovvero il Raoul Duke di Paura e Delirio a Las Vegas.

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Animal Kingdom

Di David Michôd. Animal Kingdom è stato presentato Fuori Concorso all’ultimo Festival di Roma, è il vincitore del Premio della Giuria nella scorsa edizione del Sundance FF ed ora si è anche aggiudicato una vetrina durante la notte degli Oscar grazie alla incredibile interpretazione di Jackie Weaver nel ruolo dell’implacabile madre di famiglia. Torbida storia familiare, la pellicola è incentrata principalmente sul giovane J, che conosciamo seduto su un divano accanto alla madre morta d’overdose. Taciturno e bonaccione, J viene “adottato” dalla nonna materna e dai suoi quattro figli maschi: malviventi non di primo pelo, che la donna ama e giustifica sopra ogni cosa, in un rapporto morboso, che rasenta il complesso d’Edipo. David Michôd, al suo primo lungometraggio (prima aveva lavorato più che altro in sceneggiatura e regia di corti), firma un’opera impressionante nella sua complessità, una storia di affetti ed istinto animale, di violenza fisica e psicologia, che scandisce nel ribaltamento continuo delle situazioni e nei dialoghi. Ogni personaggio ha un suo carattere definito e un suo ruolo preciso in quella piccola società che è la famiglia: Joel è il capro espiatorio, Darren è il debole, Pope è il burattinaio, Craig è il braccio del burattinaio. E J? J deve ancora trovare il suo posto, decidere se vuole farne parte e in che modo (bellissimo il monologo sul “bush” che gli fa il poliziotto interpretato da Guy Pearce). E il finale è strepitoso... ve lo garantisco!La trama vi terrà inchiodati allo schermo, ma ancora di più lo farà la costruzione-messa in scena dei personaggi, umani nel su essere torvi, ma anche inquietanti per lo stesso motivo. Michôd li segue lentamente, non dimentico del suo passato da reporter d’inchiesta sulla criminalità a Melbourne, e firma un’opera di fiction con alcuni aspetti molto simili a un documentario, un’interpretazione sul “regno” umano (animale). Animal Kingdom si è guadagnato la prima posizione nei miei Best del 2010. Michôd ci ha messo all’incirca otto anni per avere tra le mani la sceneggiatura che lui riteneva definitiva e il motivo lo capiamo guardando il suo gioiello. Un film davvero pazzesco. E’ stato quindi un piacere ed un onore riuscire a intervistare David in concomitanza con l’uscita del dvd del film (l’intervista nelle pagine seguenti), che troverete anche nell’edizione Blue Ray, ricco di contenuti speciali come Interviste, Making Of e Photogallery. Da avere nella propria cineteca domestica assolutamente! www.cghv.it

Noi Credevamo Di Mario Martone. Un film ambizioso e potente quello di Martone, che ci catapulta nel Risorgimento italiano , offrendocene un quadro crudo, complesso e umano. Protagonisti sono tre fratelli, Domenico, Angelo e Salvatore, amici fin da bambini, diversi per indole, ma accomunati dallo stesso senso patriottico. Questo li porterà ad unirsi a La Giovine Italia di Mazzini, ma a causa delle loro differenti estrazioni sociali, ben presto le loro strade si divideranno. Il film è composto di quattro parti e vede l'interpretazione di alcuni tra i grandi nomi del nostro cinema: Lo Cascio, Servillo, Zingaretti, Inaudi... Una storia grande, ma raccontata senza troppa sfarzosità, perché Martone alle scene epiche (poche sono le scene corali di battaglia) preferisce lo sviluppo verbale. Una pellicola che riesce ad unire con abilità sia i tratti salienti dell'affresco storico, sia quelli della saga familiare, andando a scavare nella nostra memoria ed inconscio. E proprio su quest'ultimo punto è poi curioso indagare, perché chi si aspetta di vedere uno di quei classiconi in stile Il Gattopardo rimarrà deluso nel fruire un film più semplice nella sua messa in scena: d'altronde quel modo di fare cinema ormai è mutato, tant'è che il regista alla sceneggiatura ha assoldato Giancarlo De Cataldo (Romanzo Criminale), ma forse anche il nostro Paese lo è, nel suo attaccamento alla storia e nel suo senso civico e patriottico. www.01distribution.it 117


Dvd

Di Valentina Barzaghi

David Michôd David Michôd ha 38 anni ed è il regista di "Animal Kingdom", film più che amato da queste parti (anzi, personalmente il più amato di questo 2010 appena concluso). Inutile dire l'onore e il piacere provato ad intervistare David, in una telefonica Italia-Australia, in concomitanza con l'uscita italiana del dvd del film (alla pagina precedente). Io emozionatissima, lui un po' meno dopo la marea di interviste già fatte, ma gentilissimo e simpatico, con ancora la paura di dire qualcosa di sbagliato ai giornalisti. David, che con "Animal Kingdom" ha firmato la sua opera prima (lungometraggio), è già un caso, visto che è raro vedere un esordiente australiano che arriva addirittura a camminare sul tappeto rosso durante la notte degli Academy Awards, grazie alla candidatura di Jackie Weaver come Miglior Attrice Non Protagonista. Sembra che la domanda che gli facciano di più sia quella sui suoi progetti futuri - possiamo capire perché, tant'è che pure noi non ci siamo esentati curiosi -, ma al momento preferisce non proferirne parola. Ciao David! E' un piacere parlare con te. Quanti anni hai? Ciao! 38 Quante interviste hai già fatto in questi giorni? In tutta la mia vita mi avranno intervistato circa dieci volte prima di Animal Kingdom, ma da Gennaio, dopo la presentazione al Sundance Film Festival, circa settecento. Descriviti in poche parole. Mmmh. Ah ah. Questa è una buona domanda, mi piace. Lasciamici pensare... Penso di essere un tipo simpatico e all’antica. Perché hai scelto di fare lo scrittore-il regista? Posso dirti il motivo per cui sono entrambe le cose, non solo uno... Fin da quando ero

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piccolo avevo una vivida immaginazione e mi piaceva molto scrivere storie, mi piaceva essere un osservatore, quel periodo del processo quando sono da solo, nella mia stanza, sognando e pensando alla vita e trasformando questi miei pensieri in storie; ma poi stare da solo mi faceva impazzire e ho iniziato ad amare il fatto di stare con le persone, ed è questo che mi piace dell’essere regista: mi piace essere circondato da persone e costruire quella socialità intensa che è dirigere un film. Qual è il ricordo migliore di quando eri un bambino e andavi al cinema? Il mio primo ricordo mi viene da Star Wars, il secondo film che ho visto e ha completa-

mente sconvolto la mia mente di bambino di 5 anni. In quel periodo ero ossessionato da Star Wars. Sapevo a memoria ogni dialogo e li recitavo a scuola con i miei amici. È stata in questo senso la mia prima esperienza memorabile che riguardasse il cinema. Un’altra che mi viene in mente è di quando ho guardato Grease 2, avrò avuto 10 anni. Ero pazzamente innamorato di Michelle Pfeiffer. Quante delle tue esperienze personali ci sono in Animal Kingdom? Direi abbastanza. Cioè, non sono nato in una famiglia di criminali o cresciuto come un ladro o uno spacciatore di droga. Animal Kingdom è il risultato della mia osservazione della mia famiglia, di quella di altri, di amici,


di ex-fidanzate... Insomma ho raccolto un po’ di queste diverse esperienze e le ho inserite in questo pericoloso e nascosto contesto di criminalità. Ho letto che Animal Kingdom racconta la Melbourne degli anni ottanta. Puoi raccontarmi qualcosa a proposito? Beh sì ho scelto di ambientarlo negli anni ’80 perché sono sicuramente molto affascinato da quel periodo, dall'attività di queste gang di criminali. Credo che quel che stava accadendo a Melbourne fosse in qualche modo simile a ciò che avveniva, magari in forme diverse, anche in altre parti del mondo. Ad ogni modo... Negli anni ’80 in Australia, le rapine a mano armata e il traffico di droga erano i principali interessi delle bande criminali. Poi con la fine degli anni ’80 le rapine a mano armata hanno iniziato a diminuire, in parte per l’evolversi delle misure di sicurezza e delle tecnologie, e in parte perché è cambiato il modo in cui la gente effettua i pagamenti. Adesso le persone non si portano più dietro grosse somme di denaro contante. A Melbourne la situazione in quegli anni era davvero particolare, perché questa guerra continua che andava avanti tra bande criminali e polizia era molto intensa, più che nelle altre parti dell’Australia. Tutto questo è culminato in un evento che si può vedere in Animal Kingdom: la vendetta a sangue freddo, indistinta, con l’uccisione di alcuni giovani poliziotti da parte di una banda criminale. E quando è accaduto è stato davvero una cosa importante, un attacco netto all’establishment che ha scioccato Melbourne. La polizia era così arrabbiata. Da quel momento, alla metà degli anni '90 fino ai giorni nostri c’è stata una continua guerra di territorio tra le gang per spaccio di droga. Ho letto che hai scritto il film in otto anni. La cosa che più mi ha impressionato è l’ansia che la storia trasmette. Come ci hai lavorato in sceneggiatura? E’ divertente, quando ho iniziato a scrivere Animal Kingdom non sapevo davvero con cosa avessi a che fare, avevo appena finito la scuola.. e non sapevo come scrivere una sceneggiatura. Quindi ho semplicemente iniziato a scrivere e la prima difficoltà stava nel fatto che non c’era il senso di una struttura per la storia o del dramma. Ho solo iniziato a scrivere… Ma quando la mia scrittura è migliorata, maturata, ho iniziato a lavorare su cosa volessi raccontare... Fare un film su una banda in declino. Mi sembra che nel tuo film i personaggi femminili siano più forti e decisi di quelli maschili, anche se sono tutti personaggi secondari (fatta eccezione per quello della madre). Qual è il motivo di questa scelta? Penso di essere d’accordo. Quello che penso

è che i personaggi femminili siano molto più consapevoli di come il pericolo non sia una stupidaggine. Gli uomini della storia sono come spinti dall’ego e dal testosterone, mentre sembra che le donne siano la voce della ragione dietro di loro, come per evidenziare che le vite di questi uomini sono insostenibili e che lo fanno solo per scalare vari gradi di successo. Sono due mondi diversi. La mamma della ragazza, che non ha nessun tipo di controllo su questo mondo, non ne fa parte, comunque vede molto chiaramente che è pericoloso, così come la moglie di Joel può vedere distintamente che la vita che stanno conducendo avrà un finale negativo. Poi, ovviamente, la donna più forte è quella interpretata da Jackie Weaver, ma la sua è una paura diversa da quella degli altri personaggi femminili. Nonostante questo però, anche il carattere più ingenuo nel film è quello di una donna, cioè quello della ragazza di J - così come lo è J -, che invece non ha idea in che cosa si sta cacciando. Ti saresti mai aspettato la nomination agli Academy Awards per Jacki Weaver? Ah ah, no. Ma quando fai un film in Australia non ti aspetti mai un premio. Attori australiani vengono nominati all’Oscar, ma di solito, anzi sempre, quando recitano in film americani... L’ultima volta che c’è stata una nomination per un attore in film australiani è stata per Geoffrey Rush in Shine (negli anni novanta). E’ una cosa inusuale, perciò non me l’aspettavo proprio e puoi immaginarti la mia eccitazione. Andrai con lei alla cerimonia? Sì, penso di sì… Jacki è tornata proprio oggi dall’America e dice che è andato tutto bene. Quando avrò finito di parlare con te, andrò da lei a guardare la tv e ad ubriacarci. Cos’hai imparato sulle pistole lavorando ad Animal Kingdom? Questa è una domanda originale. In Australia non abbiamo armerie disponibili... Normalmente la gente qui non è a contatto con le pistole. Non ho mai tenuto una pistola in mano o sparato; quando incominci ad avere a che fare con le armi, la cosa può diventare abbastanza intossicante. Mi ricordo che un responsabile delle armi è venuto sul set per farmi vedere le pistole che i personaggi avrebbero usato, mi sono fermato a parlare con lui che poi mi ha portato fuori e ha aperto il baule della sua macchina dove c’erano solo pistole e c'era qualcosa di esilarante in tutto questo. All'inizio ho pensato "Cosa vuol dire che sono così affascinato dalle pistole? Cosa significa questo della mia personalità? C'è qualcosa in me che è attratto dalla violenza?", ma poi ho realizzato che no, questo tipo di violenza rivolta verso le persone, per me esiste solo nei film. Quindi, quando

questo responsabile delle armi ha aperto il suo baule e mi ha fatto vedere le pistole, io stavo guardando al cinema, ai potenti props cinematografici e c'era davvero qualcosa di incredibile in questo. Che sensazioni hai provato la prima volta che hai visto il tuo film al cinema? Qual è la cosa che più ti spaventava prima della proiezione? Mentre montavamo il film, lo facevamo vedere di continuo ad amici, altri registi o persone che semplicemnte sapevamo dovessero vederlo per darci una loro opinione. Odiavo questa cosa ogni volta: farlo vedere mentre lo stavamo montando era davvero orribile. Ma ogni volta la gente mi diceva che lo apprezzava e mi dava consigli su cosa elaborare, su cosa avrei dovuto cambiare, ma tutti mi dicevano di amarlo. Poi c'è stato il Sundance e lì ho fatto vedere per la prima volta il film ad un pubblico di sconosciuti e quella proiezione è stata incredibile. Ero talmente nervoso prima; lo ero principalmente perché se vai in un posto come il Sundance o qualsiasi grande prima proiezione, sei circondato da distributori, agenti, responsabili che ti innervosiscono. Tutto questo stress non ha nulla a che fare col film... Ma quando la proiezione è iniziata e mi sono accorto che stavo guardando il mio film, davanti a un vero pubblico, per la prima volta... Ho iniziato a piangere quando ho visto il titolo del film perché ci ho lavorato così a lungo... Finalmente ero riuscito ad arrivare lì, al Sundance e stavo guardando il mio film. Che progetti hai per il futuro? Ah ah, sto ridendo perché questa è la prima domanda che mi fai alla quale ho già risposto in altre interviste. Sto parlando molto di nuovi progetti ma non c’è ancora niente di definitivo. Se la tua vita fosse un’immagine quale useresti per la tua? Un’ immagine di un uomo che combatte solo. Chi ti piacerebbe intervistare se facessi il mio lavoro per un giorno? Perché? Non saprei... Credo John Frusciante o Harmony Korine... Se la tua vita fosse un film chi sarebbe il regista? Harmony Korine. Una cosa che ti piacerebbe fare, ma non hai il talento per farla? Trovare dell’erba. Una domanda che nessuno ti ha fatto ma alla quale ti piacerebbe rispondere? Secondo te come dovrebbero comportarsi le persone? E la risposta sarebbe? Con compassione. Grazie del tuo tempo! No problem. E’ stato un piacere!

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Books and So

Di Rujana Rebernjak

Holy Crap Quasi mi verrebbe da non scriverne niente. E vi assicuro che non vi perdereste nulla, perché la mia solita pappardella in questo caso non è veramente necessaria. Appena aperto questo libro, dal titolo che in realtà svela poco, si scopre il geniale intuito dell'autore nel collezionare i cartelli posti davanti alle chiese americane nel desiderio di portarsi a casa più anime perse possibili. Tra centinaia di bacheche improbabili, ci

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sono quelle intimidatorie, quelle compassionevoli, ma anche alcune attente al linguaggio giovanile ed alle nuove tecnologie; tutte fanno capire quanto sia disperata la ricerca del potere da parte della Chiesa, nel tentativo di impaurire il popolo capitalista usando il linguaggio che gli è sicuramente noto: vi accorgerete che la somiglianza con gli slogan pubblicitari non è trascurabile. Pubblicato nel 2010 e già diventato una rari-

tà, Holy Crap è veramente un libro speciale; per usare le parole dell'autore – praticamente un testamento tutto nuovo. Titolo: Holy Crap Autore: Rob Pruitt Casa editrice: 38th Street Publishers Anno: 2010 Prezzo: 30 euro www.38street.com


Atlas of Transformation Duecento voci spiegate in 800 pagine. Detto così sembra un librone universitario che fa venire il mal di testa senza nemmeno averlo aperto. Nonostante la frase iniziale sia vera, Atlas of Transformation non è così. Questo almanacco di evoluzione politica, economica e culturale dei paesi europei non è soltanto un discorso impegnato sullo

sviluppo dell'est europeo, contiene anche voci come amore, legalità, anarchia che collegano queste realtà con la realtà quotidiana di tutti noi. E per sembrare un po' meno noioso, include anche una serie di illustrazioni, diagrammi e mappe che fanno capire come tutti questi termini in realtà hanno a che fare con soltanto cinque aspetti

della vita umana. Titolo: Atlas of Transformation Autore: AAVV Casa editrice: JRP Ringier Anno: 2010 Prezzo: 32 euro www.jrp-ringier.com

The Book of Paper Circondati quotidianamente da migliaia di cose che distraggono la nostra attenzione, ed essendo troppo viziati e abituati a darle per scontato, spesso non ci accorgiamo del loro valore. La collana The Book of... cerca di prendere in esame i materiali ai quali, troppo abituati alla loro presenza, non attribuiamo nessuna importanza.

The Book of Paper, il primo di questa serie di libri, esplora la carta come se fosse un materiale mai visto, rivelando attraverso una serie di creazioni scultoree l'espressività e il valore estetico della carta, il più versatile dei materiali che popolano la nostra esistenza quotidiana. Un'opera celebrativa, ma anche rivelatrice delle potenzialità creative non

solo della carta ma anche dell'artigianato stesso. Titolo: The Book of Paper Autore: Oliver Helfrich, Antje Peters Casa editrice: Post Editions Anno: 2010 Prezzo: 22,50 euro www.post-editions.com

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Whaleless

A Cura di Giovanni Cervi. Contatti e info: verbavolant@pigmag.com

Un mondo senza balene. Inquinamento e pratiche di pesca insostenibili stanno mettendo a serio rischio la sopravvivenza dei grandi cetacei. Questo è uno spazio dedicato a chiunque voglia esprimere la propria indignazione, rabbia, vergogna, incredulità, preoccupazione… con ogni mezzo espressivo, dall’illustrazione alla canzone, dall’animazione alla fotografia e oltre. Visitate i siti internet www.whaleless.com e www. myspace.com/whaleless per ulteriori informazioni e per visionare la gallery dei lavori giunti fino ad ora. Be creative, save a whale.

Pier Paolo Quaglia Hai mai visto una balena? No, non ho mai visto una balena dal vero! Credo che sia un’esperienza unica: il confronto con una forza vitale così enorme ed antica deve essere schiacciante. Sono incredibili gli spazi geografici che la balena gestisce per vivere e trovo quella sua lentezza (forse erroneamente percepita nei filmati) la prova di un’origine quasi divina. La balena e la sua voce. Un lampo di futuro, un sonar che percorre un corpo che ha saputo sfidare il tempo. Il suo mistero sta nella scelta evolutiva che dalla terra l’ha portata al mare. Che rapporto hai col mare? Sono nato e vivo in una città marina: posso sentire il suo respiro tutte le notti prima di addormentarmi. Mi accorgo che c’è solo quando vado via! Esiste per sottrazione. Ne sento la mancanza più per un’abitudine visiva di orizzonte che per tutto quello che può rap-

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presentare. Amo il mare d’inverno, quando è rabbioso perchè ne percepisco la potenza e l’inganno. Se tu potessi scegliere di trasformarti in un abitante marino, quale sceglieresti? E perché? Non saprei. Sicuramente in quello che si bagna meno! Il rapporto che ho col mare è praticamente visivo e faccio del mio meglio perchè rimanga tale. Qual è il tuo elemento preferito tra aria, acqua, terra e fuoco? Perché? La terra, senza indugio. La terra che conserva la traccia della nostra esistenza e sa far nascere la vita. La terra che sfida semplicemente con la sua immobilità il tempo e tutto il resto. La terra immobile perchè tutto il movimento è chiuso in lei stessa. La terra che è quella che vedi e quando la tocchi ne hai la conferma. Come hai realizzato questa balena?

La foto di questa bambina che nuota aggrappata al dorso di una piccola balena è stata scattata di notte con l’i-phone alla televisione. Tutte le immagini fotografiche di questo periodo sono fatte in questo modo. Impossessarsi di immagini che durano la frazione di un secondo è incredibile. Quasi per magia riesci a fissare la contaminazione di due immagini che si sovrappongono, l’attimo di un grido e la malinconia di un movimento. Cerco di riscattare con l’arte un momento passivo, una tecnologia invasiva di cui purtroppo subisco totalmente la seduzione.La televisione spara immagini ed io le fotografo: è una sorta di duello immaginario! A cosa stai lavorando ora? In questo momento sto lavorando ad una serie di tavole sugli angeli. Vorrei rappresentare situazioni così leggere da avere la forza di volare. www.pierpaoloquaglia.com


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THE

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Videogames

Di Janusz Daga (jan@pigmag.com)

PIG’s Most Played. Holly si allena tirando i rigori. Benji si allena parando i rigori... Inazuma Eleven _ Nintendo DS Uscito per DS questo piccolo capolavoro firmato da quei geniacci di Level 5. E’ il primo capitolo –in Giappone siamo già al terzo- della famosissima serie calcistico-RPG che ha conquistato anche quelli che come noi di calcio capiscono poco o niente. Il nostro uomo è Mark Evans,capitano dello sgangherato club Raimon, una sgangherata squadra di ragazzini a caccia di vittorie. In puro stile Holly & Benji, il gioco alterna fasi di esplorazione ai momenti della partita di calcio vera e propria, con tanto di cartoni animati e scene spettacolari. Palla di fuoco, Tiro del drago, Dribbling Rovente sono solo alcune delle strabilianti tecniche a disposizione dei nostri giocatori. Se avete amato il cartone, non potrete non esaltarvi fin dai primi minuti di gioco. Con più di 1000 personaggi giocabili, ognuno con le sue caratteristiche e mosse segrete, Inazuma Eleven ha già vinto la PIG Champions League. Se vi piace il calcio spettacolo, volete sentirvi come Oliver Atton e non vi da fastidio essere dribblati da un giocatore-vampiro questo è il momento giusto per divertirvi sul serio. The Smurfs' Village _ iPhone Ancora di cartoni e ancora di anni ’80 stiamo parlando, ma proprio non è possibile non scaricare il villaggio dei Puffi di Capcom. Oltretutto è gratis e come sempre più spesso accade si basa sulla regola dei “micro pagamenti” per cui sarete liberi di comprare per (non)pochi euro quello di cui proprio sentite la mancanza. Il gioco è semplice: costruisci case per i puffi, coltiva frutta e ortaggi e ottieni in cambio monete e lamponi per poter costruire altre cose e ampliare il villaggio. Moltissimi sono gli oggetti a pagamento, difficile resistere alla casa di puffetta o a quella del puffo forzuto… e al cespuglio di fiori… ma sono scelte. Volendo

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si può impiantare una coltivazione intensiva di carote per mettere da parte abbastanza denari, ma ci vuole una marea di tempo. Il gioco è una droga, se Farmville vi ha preso, i Puffi non saranno da meno. Procuratevi una carta prepagata, mettete in carica l’iPhone che stasera c’è da raccogliere il radicchio! LittleBigPlanet 2 _ Sony PS3 Sackboy vive. Arrivato l’attesissimo sequel del gioco che più di tutti abbiamo amato su PS3. Una vera icona per tutti gli amanti dei platform bidimensionali, anche se in questo caso, parlare di due dimensioni è a dir poco riduttivo. Come spiegarvelo? Se non lo avete mai giocato forse è arrivato il momento di prendere confidenza con il piccolo pupazzo di stoffa, proprio ora che quelli di Media Molecole Studios hanno aggiunto una serie di “special feature” davvero gustose come il volo nel miele, la cavalcata su coniglio impazzito, la carica del topo destriero. Quello di LBP è un mondo fatto di grafica e materiali, architetture e fisica quantistica. Qualcuno lo definirebbe geniale, ma non è un po’ poco? Disney Epic Mickey _ Nintendo Wii Tim Burton direbbe che “spacca”. Di fatto, Epic Mickey non è il solito giochino Disney come tutti ci potevamo aspettare. Già in top alle classifiche su Wii, questo strano Action-platform-RPG non è particolarmente innovativo, ma colpisce per i dettagli delle atmosfere, i bellissimi personaggi e la grafica molto curata. L’azione si basa tutta sull’utilizzo del pennello magico, ma il vero divertimento arriva quando ci troviamo a ripercorrere schemi legati ai cartoon d’epoca che hanno reso grandi i personaggi Disney. Mary Blair ha poi disegnato tutte le scene “cut” e solo per quelle varrebbe la pena di giocarselo tutto.



Di Janusz Daga (jan@pigmag.com)

"Ernest Gary Gygax (1938 – 2008)"

Videogames

“When you play it, it makes you happy! Like a… dragon!” Tirate un dado e spegnete l’iPhone. Arriva l’inversione di tendenza dei games digitali! In principio era il nerd. Quello dei Simpson che gestisce il negozio di fumetti, maglietta lisa e sudata con l’aria di chi ha bevuto troppe Diet Cola davanti alla TV. Era lui il prototipo del giocatore di ruolo, il frequentatore di fumose taverne dove i dadi scorrono a fiumi e le mappe di D&D sono piene di briciole. Negli anni ’80 il pomeriggio perfetto era composto da un caricamento C64-Amiga e una partitella a Dungeons & Dragons con gli amici. Poi i ruoli si sono lentamente invertiti fino a mandare definitivamente in soffitta le scatole di cartone e i manuali da 600 pagine di Merp. Magari quelli nati un pochino dopo, pensano che gli RPG siano semplicemente un modo per classificare i videogames sulla Playstation, ma non è così. Gli RPG nascono dalla mente di un signore chiamato Jacob Levi negli anni ’30

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e sviluppati alla grande da due amici: Gygax ed Arneson. Per anni, questo tipo di gioco, insieme a quello di strategia militare sono stati protagonisti di lunghe giornate invernali, pomeriggi domenicali e ipotetiche ferie per malattia. Sempre in scatola, sempre con noiosissimi manuali da studiare e sempre capaci di riunire intorno ad un tavolo un gruppo di amici affamati. Con l’evoluzione tecnologica e l’avvento dei videogames nel mercato di massa, questo tipo di giochi si sono velocemente spostati sul terreno digitale, stimolando la fantasia dei nuovi geni della Silicon Valley che in breve tempo hanno saputo migliorarne le performance grafiche e strutturali. Ecco che l’uscita di D&D su dischetto cambia improvvisamente le regole del gioco. Basta con i manuali da studiare, con le persone da organizzare e con

il coprifuoco da rispettare. Ognuno di noi, nella sua cameretta poteva passare tranquillamente una giornata intera davanti allo schermo vivendo in prima persona le stesse avventure che si era sempre dovuto sforzare di interpretare. L’epoca dell’immaginazione stava finendo e iniziava quella della visualizzazione. Schede grafiche e processori mandavano in pensione i Master –il tizio che durante le partite doveva raccontare a voce la storia a tutti i giocatori- e le vecchie pedine venivano rimpiazzate da pixel e schermate a 256 colori. Vista la velocità con la quale venivano prodotti RPG e strategici su console e computer, si è pensato che nel giro di pochi anni il mercato dei Board Game e RPG si sarebbe estinto come i grossi dinosauri a collo lungo. Qualcuno nutriva speranze per i wargames con le miniature da dipingere,


fosse nient’altro che il gioco era una scusa per dipingere in santa pace. Altri, dopo l’avvento di Magic the Gathering e le sue risme di carte collezionabili hanno pensato che quello poteva essere il futuro. Ma durò fino a quando anche quel tipo di gioco fu digitalizzato e rivenduto con successo sotto forma di Bit. Nel 2011 abbiamo tutti pensato che fosse finita, i negozi specializzati sono andati chiudendo e i grassi giocatori di D&D sono stati sostituiti da barbuti skateboarder che con il loro portatile combattevano online per il loro Guerriero del 40° livello su WOW. E invece no. Le scatole ad alto contenuto cartaceo fanno di nuovo capolino e dimostrano come non solo i Board Games non sono morti, ma anche che esiste un pubblico che probabilmente ne ha le tasche

piene di stare davanti ad un monitor. Nasce così quella che sembra essere un’inversione di tendenza. In un mondo digitale resiste il forte bisogno di socializzare davanti ad una confezione di biscotti surgelati e birra! Ci sono sempre stati –Civilization ha da poco stampato la nuova edizione in scatola- ma ultimamente ne stanno arrivando anche dal mondo Apple. Nascono così i giochi in scatola di Plant vs Zombies completo di 120 carte -2/4 giocatori- e quello di Smallworld con tanto di piano di gioco e accessori. Il tutto in pura cellulosa. Entrambi i giochi sono direttamente ispirati ai loro omonimi digitali, ne riprendono la grafica e il sistema di gioco. Sono identici in tutto e per tutto, ma non si possono caricare su iPhone. Noi riceviamo e pubblichiamo questa curiosa

tendenza, spesso gli stessi fanatici del videogame vanno poi alla ricerca della versione da tavolo. Probabilmente malgrado tutti gli sforzi per connettere, collegare, condividere e avvicinare i giocatori, c’è ancora il bisogno del dado da 20 in mano, della discussione tra il mago e l’elfo guerriero per quella freccia tirata a caso, della carta per uscire di prigione che alza il testosterone del vincitore dello sfidone “capodanno 2011” a Monopoli. E poi possiamo anche dire che tutti quegli stupidi giochi in scatola dove uno deve disegnare o mimare ci hanno veramente rotto le p****. Se volete farvi una cultura sulle scatole e su quello che potete proporre domenica prossima agli amici, accendete l’iPhone e cercate sul web. A volte ritornano!

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