Mensile. Numero 92, Maggio 2011
Italia €5 - U.K. £6,50 - France €8 - Germany €9,30 Spain €8 - Greece €7,70 - Finland €8,50 - Malta €5,36 Japan ¥2.250 - Austria €8,90 - Portugal €6,40
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DIESEL ISLAND’S BORDER WALL PREVENTS ILLEGAL IMMIGRANTS FROM WALKING INTO OUR TERRITORY. (They’ll have to jump in, instead.)
Land of the Stupid, home of the Brave.
We are creating a new and better nation. Join the movement and become a citizen at diesel.com
OGNI PAIO DI SCARPE RACCONTA LA PROPRIA STORIA.
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© 2011 Vans, Inc.
Fuorisalone 2011: sforzo, energia, passione, dedizione, riflessione, ricerca, fatica e lavoro... questo per noi è design. (ma quel giorno non sapevamo che cavolo di foto mettere...)
PIG Mag 92, Maggio 2011 Publishers: Daniel & Simon Beckerman
Management Editor in Chief, Creative Director: Simon Beckerman Executive Editor: Valentina Barzaghi Assistant Creative Director: Piotr Niepsuj
Editorial Music: Giacomo De Poli (Depolique) Fashion: Fabiana Fierotti Cinema: Valentina Barzaghi Design, Art and New Media: Giovanni Cervi Design: Maria Cristina Bastante
Advertising adv@pigmag.com Human Resources Barbara Simonetti Victoria Ebner Contributors for this issue Marina Pierri, Michela Biasibetti, Luca Campri, Thais Bretas, Paolo Soffiatti, Giada Schillaci, James Pearson-Howes, Kuba Dabrowski, Paul Herbst, Giulia Maria Tantussi, Yashica T4, Francesco Saraó, Chantal Garduno, Pedro Ramos, Jake Green, Richard Choi, Susan Surface, Justo Arosemena, Sofia Ortiz, Jinju Lee, Matthew Grubb, Matthew Booth, Felix R. Cid, Terttu Uibopuu, Doron Langberg, Luca Massaro (stagista). Special Thanks Bianca Beckerman, Caterina Napolitani, Piera Mammini, Giancarlo Biagi, Matteo Convenevole, Matthew Grubb Terttu Uibopuu, studenti di YSoA (Yale School of Art), Jinju Lee.
Books: Rujana Rebernjak Videogames: Janusz Daga
Contributing Editors Sean Michael Beolchini: Contributing Editor Ilaria Norsa: Contributing Fashion Editor Gaetano Scippa: Contributing Music Editor Marco Lombardo: Contributing Music Editor
Magazine Layout: Stefania Di Bello
6 PIG MAGAZINE
Edizioni B-arts S.r.l. www.b-arts.com Direzione, Redazione e Amministrazione Ripa di Porta Ticinese, 21 - 20143 Milano. Tel: +39 02.36.55.90.90 - Fax: 02.36.55.90.99 PIG Magazine: Copyright ©2002 Edizioni B-Arts S.r.l. Autorizzazione del Tribunale di Milano n° 453 del 19.07.2001 Sviluppo foto Speed Photo, via Imbriani 55/A - 20158 Milano Stampa: Officine Grafiche DeAgostini S.p.A. Corso della Vittoria 91 - 28100 Novara (Italy). Tel: +39 0321.42.21 Fax: +39 0321.42.22.46
Distribuzione per l’Italia SO.DI.P. “Angelo Patuzzi” S.p.A. Via Bettola 18 - 20092 Cinisello Balsamo (MI). Tel: +39 02.66.03.01 Fax: +39 02.66.03.03.20 Distribuzione per l’estero S.I.E.S. S.r.l. Via Bettola, 18 20092 Cinisello Balsamo (MI). Tel. 02.66.03.04.00 - Fax 02.66. 03.02.69 - sies@siesnet.it
PIG all’estero Grecia, Finlandia, Singapore, Spagna, Inghilterra, Brasile, Hong Kong, Giappone, Turchia, Germania. PIG è presente anche nei seguenti DIESEL Store Berlino, Londra, Parigi, Tokyo, Milano, Roma e Treviso.
PIG Magazine è edita da B-arts editore s.r.l. Tutti i diritti sono riservati. Manoscritti, dattiloscritti, articoli, disegni non si restituiscono anche se non pubblicati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta in alcun modo, senza l’autorizzazione scritta preventiva da parte dell’Editore. Gli Autori e l’Editore non potranno in alcun caso essere responsabili per incidenti o conseguenti danni che derivino o siano causati dall’uso improprio delle informazioni contenute. Le immagini sono copyright © dei rispettivi proprietari. Prezzo del numero 5 Euro. L’Editore si riserva la facoltà di modificare il prezzo nel corso della pubblicazione, se costretto da mutate condizioni di mercato.
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Sommario
Interviste:
74: Hype Williams
68: Alexander
80: Tensnake
56: Hixsept / JSBJ / AA - JE Foto di copertina di Sean Michael Beolchini
62: Ben Briand
Street Files:
Moda:
84: Giada
98: Yesterday...
50: PA/PER VIEW Art Book Fair
Foto di Luca Campri
Foto di Richard Choi
Bruxelles. Foto di Francesco Saraó in collaborazione con Chantal Garduno
Regulars
10: Bands Around: Lucky Dragons - The Battles 15: Shop: Sociètè Anonyme 18: Publisher: Duke Press 20: Design: La forza della natura 22: PIG Files 26: Moda News 38: Fashion: Colour Palette 40: Photographer of the Month: Sasha Kurmaz 110: Musica 116: Cinema 122: Books and So 124: Videogames
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Bands Around
Foto di Piotr Niepsuj
Battles Elita Festival @ Teatro Franco Parenti, Milano. Special thanks: EASTPAK Nome? John D. Stanier Jr. Età? 42. Da dove vieni? Brooklyn. Cos’hai nelle tasche? Un accendino Sonar Tokyo, un pacchetto di Gauloises “bionde”, un iPhone, 3,50 euro e un portafoglio. Qual è il tuo vizio segreto? Lottare con le mie convinzioni nella doccia tutte le mattine. Qual è l’artista / la band più sorprendente oggi? Kraftwerk, Iron Maiden. Di chi sei la reincarnazione? Il re della Thailandia. Che poster avevi nella tua camera quando eri un teenager? Search for Animal Chin. Ci dici il nome di un artista o di una canzone italiana? Goblin, Negazione, Indigesti, Raw Power!
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Nome? Ian Williams. Età? 26. Da dove vieni? Pittsburgh. Cos’hai nelle tasche? Telefoni. Qual è il tuo vizio segreto? Radiazione. Qual è l’artista / la band più sorprendente oggi? Battles. Di chi sei la reincarnazione? Il Papa (San Pietro). Che poster avevi nella tua camera quando eri un teenager? Charged GBH. Ci dici il nome di un artista o di una canzone italiana? Uzeda.
Nome? David Konopka. Età? 34. Da dove vieni? Brooklyn, NY. Cos’hai nelle tasche? Un portafoglio con euro, dollari e yen (non molti), un cellulare e chewing gum. Qual è il tuo vizio segreto? Strappo la pelle dalle punte delle mie dita a volte (so che suona disgustoso). Qual è l’artista / la band più sorprendente oggi? Justin Bieber. Di chi sei la reincarnazione? Alexy Brodovitch. Che poster avevi nella tua camera quando eri un teenager? Michael Jordan, Don Mattingly, Ricky Henderson, Sean Kemp e Domonique Wilkins. Ci dici il nome di un artista o di una canzone italiana? Goblin! Ennio Morricone! Andrea Bocelli, Asia/ Dario Argento.
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Bands Around
Foto di Piotr Niepsuj
Lucky Dragons Audiovisiva @ Acquario Civico, Milano Nome? Luke Fischbeck. Età? 33. Da dove vieni? Los Angeles. Cos’hai nelle tasche? Una macchina fotografica. Qual è il tuo vizio segreto? Dimenticare cose. Qual è l’artista-la band più sorprendente d’oggi? Crazy Band. Di chi sei la reincarnazione? William James? Che poster avevi nella tua camera quando eri un teenager? Stations of the Crass dei Crass. Ci dici il nome di un artista o di una canzone italiana? We’ll always be together in electric dreams di Giorgio Moroder.
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OPEN
THE
POSSIBILITIES
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1 part Disaronno 1 teaspoon of sugar half lemon squeezed and crushed ice
Fart uno spazio dedicato al sacro fuoco dell’arte
Di Giovanni Cervi (verbavolant@pigmag.com)
Ludiko Mi sono sempre chiesto cosa muova le persone che stanno nel mondo dell’arte. Gli artisti è facile, si sa, è il sacro fuoco che li divora. Ma tutti quelli che ci stanno intorno? Galleristi, curatori, critici, agitatori… cosa li spinge? Fart questo mese intervista i Ludiko, astri nascenti nel mondo del gioco e promotori di residenze d’artista. Parlatemi delle origini di CARS. C.A.R.S. - Cusio Artist Residency Space - nasce nel 2010 come spazio residenza per artisti italiani professionisti con pratica di studio. Si tratta di un progetto no-profit promosso da Ludiko in collaborazione con MarsMilano (Milan Artist Run Space) che offre agli artisti un alloggio più uno spazio di lavoro nei locali di un ex-fonderia ad Omegna sul Lago d'Orta. Contestualmente organizziamo anche due mostre collettive di arte contemporanea che vedono protagonista il lavoro e le ricerche sviluppate in loco dagli artisti. Che si fa invece nella residenza Play³? Da quest'anno il nostro energy space, oltre ai residenti di CARS, accoglie anche la Residenza Play³ rivolta a toy designers, graphic designers, ricercatori e players multidisciplinari che abbiano desiderio di sviluppare un proprio progetto in cui il gioco sia parte costituente e significante...a playful space for very playful
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people. Quanto pensate possa influire il lago nell'arte? Il lago è un elemento riflessivo ed estremamente efficace nel canalizzare le energie creative al riparo dall'inquinamento "urbano"... Rumori, tensioni, false relazioni. Il lago è il nostro liquido amniotico. Il lago a volte sembra immobile, impossibile da smuovere... Lì riversiamo i nostri dubbi, le nostre agitazioni affinchè si plachino. Il fiume Strona scorre invece a fianco del nostro studio/residenza, lì accadono sempre cose Strane. Il fiume è la nostra sorgente. Il fiume è impossibile da fermare... Lì riversiamo le nostre idee, le nostre visioni affinchè vadano oltre e arrivino lontano... Voi siete tra arte visiva e arte “ludika”, come mai pensate che in questi anni gli adulti tornino sempre di più a giocare (tra console e pupazzetti varie e nostalgie infantili)? Si tratta di un naturale e necessario meccani-
smo di compensazione ... Da piccoli si smette di giocare presto per voler diventare grandi prima, da grandi si vuole ricominciare a giocare per poter ritornare bambini. Questo processo "regressivo" è anche sì amplificato dalla qualità del giocare che caratterizza l'esperienza ludicoinfantile moderna. Come sostiene J. Huizinga “l’essere umano non è solo homo sapiens e homo faber ma anche HOMO LUDENS” e come tale caratterizzato da una naturale tendenza a riscoprire il gioco come strumento e scenario di relazione ed espressione. Cosa avete in testa? Miss Paka aka Francesca Mendolia: “occhiali blu e bel ciuffo all'insù e Wonderland degli Hermanos Inglesos”. Ludiko Boy aka Andrea Ruschetti: “Quanto manca al giorno in cui incontrerò Cesare Ragazzi? Poco” www.ludiko.it/open-call www.carsomegna.com
Shop
Intervista di Giulia Maria Tantussi
Sociètè Anonyme All’angolo tra via Niccolini e via della Mattonaia a Firenze, c’è uno spazio che fa del piacere dell’ispirazione, una cordiale filosofia. Sociètè Anonyme nasce dall’equilibrio bilanciatissimo di reminescenze passate e sentimento avanguardistico e crea, attraverso un collage di esperienze, un’atmosfera in divenire in cui la curiosità si rende imperativo categorico. Ciao Massimiliano, come stai?
sperimentazione, senza i freni e le paure di
Io credo che per innovare veramente, il segreto
Tutto bene, grazie!
oggi. Mi colpì un locale su Kastanienallee nel
sia annoiarsi.
Come è nato Sociètè Anonyme?
quartiere di Prenzelauer Berg fatto di divani
Progetti per cui hai un occhio di riguardo?
Dunque,il percorso inizia nei primi anni ‘90
buttati sulla strada alla meglio, dove da bere
Il nostro spazio confina con uno studio di
con un’azienda di tessuti e la voglia di veico-
davano solo vino e spuma italiana. La gente
architettura-co-working platforms che si chiama
lare l’esperienza nella creazione di una linea
era bellissima, vestita meravigliosamente e li-
22A22. Insieme diventano un unico spazio di
di abbigliamento. Dalla combinazione tra la
bera, e capii che volevo portare almeno un po’
340mq che cerchiamo di sfruttare per organiz-
passione e gli studi in fashion marketing nasce
di quella atmosfera a casa.
zare feste a cadenza quasi mensile. Si presen-
nel ‘99 il marchio Sociètè Anonyme e successi-
E quale musica?
tano insieme nuovi desingners, nuovi prodotti,
vamente il progetto di un concept store che si
Direi qualcosa di Sakamoto.
si espongono installazioni o mostre nell'abito
realizza nel 2006.Il nome riprende il progetto
Una sfumatura?
artistico.
nato nel lontano 1920 per mano di artisti come
Ti potrei dire il colore che mi fa impazzire in
Avendo disponibilità illimitate, cosa vorresti
Duchamp, Man Ray e Dreier.
questo momento, il verde bottiglia!
fare tra queste mura?
Quale città/quartiere associeresti a questo
Che messaggio cerchi di dare a chi entra qua
Farei un grande Atelier, con macchine da
store?
dentro?
cucito ovunque; un posto dove sviluppare la
Di sicuro quartieri come Shoreditch a Londra,
Sicuramente di non aver paura a tirar fuori la
passione che ho da sempre per i tessuti e la
Williamsburg a Brooklyn, ma soprattutto Ber-
propria, unica, personalità.
buona sartoria.
lino. Proprio a Berlino devo l’ispirazione per
Considerato che oggi, con i nuovi media,
www.societeanonyme.it
creare Sociètè Anonyme: mi trovavo là in pieno
tutti hanno il mondo a portata di mano, qual
Via Niccolini, 3/f - ang. Via della Mattonaia
fermento eighties, nel decennio che ha visto
è il vero motore che sta dietro alla scoperta
24/a/b/c/d
raggiungere i massimi livelli nel campo della
di cose nuove?
Firenze
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Publisher
Intervista di Rujana Rebernjak. Foto di Yashica T4
Duke Press Da quando le ho viste per la prima volta, le pubblicazioni di Duke Press mi hanno sorpreso per la qualità di stampa. Vedendo lo studio pieno di inchiostri serigrafici, macchine risograph, e altre meraviglie di stampa il loro trucco è stato svelato. Com’è nata la Duke Press? Fondare una casa editrice all’epoca era un passo naturale per entrambi perché stavamo già producendo qualche pubblicazione personale, ma c’era il desiderio di allargare lo spettro per aprirci alla collaborazione con altre persone. Questa è stata la base che ci ha permesso di approcciare i progettisti che entrambi ammiriamo. I primi libri che avete pubblicato erano tutti libri illustrati; questa è una direzione
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che avete scelto di prendere? Siccome la prima serie di libri che abbiamo prodotto era illustrata, c’era la volontà di espandere il repertorio collaborando a vari progetti che si occupano di fotografia, arte, letteratura etc. Se dovessimo definire la nostra metodologia, sarebbe un mix di idee, soggetti e stili proposti attraverso una varietà di processi di produzione. Quanto pensate sia importante il modo in cui viene prodotto un libro?
Tenere in considerazione il processo produttivo di un artwork è incredibilmente importante, anche se spesso tralasciato. Quando il processo è fedele all’opera che viene prodotta e vice-versa questo emerge sempre. Quali sono stati i vostri ultimi progetti? Le nostre ultime pubblicazioni sono la seconda edizione di “Rain Day” di Hannah Waldron e il primo libro fotografico, “Imitation of Lives” di Judith Erwes. Cosa ne pensate dell’editoria indipendente e di come si sta sviluppando oggi? L’editoria nel senso più ampio è stata in crisi da un po’ di tempo, per cui questo momento di crescita, secondo noi, è molto positivo. Spero che questa enfasi continui e diventi sempre più attenta alla produzione di lavori creativi in contrasto all’esercito di riviste luccicanti e libri mal concepiti che costituiscono la maggior parte dell’industria. Cosa ne pensate della digitalizzazione che il mondo dell’editoria sta affrontando ultimamente? Per quanto ci piacciono le nuove tecnologie, il libro rimane un oggetto tattile dove ogni dettaglio dato dalla stampa contribuisce all’esperienza che l’utente ottiene. L’idea di trasferire un artwork realizzato a mano su un altro mezzo e cercare di riprodurre l’interazione fisica del libro stampato sembra solo una novità e nient’altro. Si tratta autenticità. Qual è l’importanza delle piccole edizioni nell’editoria indipendente oggi? Secondo voi è un fattore strategico di prestigio oppure solo un fattore economico legato alle possibilità di produzione? Noi di solito lavoriamo con le piccole edizioni perché questo ci permette di applicare vari sistemi di produzione che su una scala più vasta risulterebbero troppo costosi; significa soprattutto essere più liberi. Se avreste la possibilità di pubblicare qualsiasi libro al mondo, quale sarebbe? Abbiamo dovuto pensare molto prima di rispondere a questa domanda. Ci piacerebbe pubblicare la collezione completa dei pittogrammi realizzati ad incisione di Gerd Arntz. www.dukepress.co.uk
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Design
Intervista a Floris Wubben di Mariacristina Bastante (kikka@pigmag.com)
N.3 Bench, chaiselongue
La forza della natura Naturale o artificiale? Floris Wubben, olandese, non ha dubbi, lui sceglie la natura. O è la natura a scegliere lui? Date un’occhiata ai suoi progetti, catturano lo sguardo semplicemente. Mescolano alberi e polimeri, fiori e luce, legno, ferro e morbido feltro. E la funzionalità? C’è, ma viene dopo. Dimmi qualcosa di te. Descriviti in tre parole. Sono un intraprendente, un sognatore e un costruttore. Quanti anni hai? 27. Da dove vieni? Dove vivi adesso? Vengo dalla parte ovest dei Paesi Bassi, da una città che si chiama Naaldwijk. Attualmente vivo a ‘s-Hertogenbosch. Anche il mio studio si trova lì. Com’è il tuo studio? Non lo limiterei allo spazio in cui lavoro a ‘sHertogenbosch. Vedo il mondo intero come il mio studio. Lo spazio in cui lavoro è solo il luogo dove ogni cosa si assembla all’altra. Quando vuoi essere davvero un designer sai che è un lavoro 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Allora che cos’è il design per te? E’ la mia vita. Devo essere creativo anche per rilassarmi nel tempo libero. Pensi che il design debba essere utile? Dipende dal tipo di obbiettivo che si propone quel progetto. Alcune cose che ho creato per delle gallerie non dovevano essere utili. Da
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quel punto di vista considero la funzionalità una limitazione nel processo creativo. Ma quando devo progettare per un’azienda, ergonomia e funzionalità sono necessariamente degli aspetti importanti. Quali sono le tue fonti di ispirazione? L’ispirazione più importante viene dai “materiali”. Quando trasformo o combino in qualche modo i materiali, mi viene sempre in mente qualcosa di nuovo: è il corso naturale del processo creativo. Considero la sfida di scegliere tra materiali differenti un aspetto importante del design. Con l’uso di combinazioni o applicazioni non comuni cerco di diminuire i “pregiudizi”, di dare ai materiali una nuova vita. Un’altra fonte importante è la “Natura”. Nei miei progetti faccio in modo che il design e la natura “cooperino” in una nuova armonia. L’una s’appoggia all’altra, hanno bisogno l’una dell’atra dare forma ad un intero progetto. Di conseguenza la natura e le sue particolarità hanno un’influenza costante su quello che faccio. Quando lavoro mi sforzo di guardarla
da una prospettiva differente e di utilizzarla in un modo inedito. D’altra parte provo a limitare l’intervento umano, a prendere la natura così, esattamente come ci è data. Chi guarda un certo progetto vede un pezzo di natura trasformato in un utensile, senza che si sia perso il rispetto per esso. Si parla molto di “Dutch design”. Da olandese che cosa ne pensi? E’ davvero qualcosa di simile ad un “movimento”? Ogni paese ha certamente il suo stile. Il Dutch design è sul crinale, tra il pratico e il visionario. Non penso però che sia un movimento, è più che altro una visione comune. E se non fossi stato un designer, che cosa avresti fatto? L’artigiano, mi piace costruire le cose. Tra i progetti che hai realizzato ce ne è uno che ami in modo speciale? Ora la “N. 3 Bench”. Mi piace il contrasto tra i materiali. Quando ho pensato a questo oggetto l’ho preso come un grosso esperimento. E’ il risultato dell’unione tra “Upside Down” e “Viennetta Chair”. E’ stato un lungo processo
creativo. A proposito dell’Upside Down Chair: la trovo davvero fantastica! E’un pezzo unico? L’ho creata più o meno due anni fa. L’idea di base era ottenere le zampe di una poltrona dai rami di un salice. Visto che è un prodotto “naturale” ognuna di esse diventa un pezzo unico. Il mio studio ha creato una nuova Upside Down per una galleria di New York. L’albero utilizzato era molto più grande di quello preso per
la prima versione, così ho creato una chaise loungue. Completamente differente rispetto alla prima. Alcuni dei tuoi progetti sembrano delle sculture, hanno un fortissimo impatto visivo. Che ne pensi? Mi piace lavorare su progetti che abbiano una forte componente visuale piuttosto che funzionale. Mi interessano le arti visive, ma non le considero una fonte d’ispirazione. Progetti come
Upside Down e N. 3 Bench sono attraenti per le molte aziende. Credo che siano loro ad aver bisogno di questo! Sembra che tu preferisca le curve e le forme morbide, organiche. Perchè? Si tratta di una decisione, guidata dai materiali. In astratto non preferisco questo tipo di forme, ma i miei materiali sì. Quando lavori molto con I materiali naturali è quasi una scelta automatica! www.floriswubben.nl
Ply Felt, sofà per due persone
Viennetta Chair
Upside Down Chair
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PIG files
Di Giovanni Cervi
Virgin abyss Dopo lo spazio interstellare, la Virgin si appresta a conquistare anche gli abissi oceanici. L’avventura degna del capitano Nemo prevede la realizzazione di speciali sottomarini destinati a non essere schiacciati dalla pressione degli 11km di acqua sulla testa quando si è sul fondo della Fossa delle Marianne. Preparatevi ad un tête-à-tête con l’architeutis dux e altre meraviglie sommerse. www.virginoceanic.com
Ruin Academy
Oil houses
Taipei 2010. Un team di professori e studenti locali e finlandesi hanno deciso di trasformare un palazzo abbandonato in un esperimento eco sociale. Come si comporta la natura quando si reimpossessa delle rovine umane? Tra 21/12/2012 e Ballard, intrigante il risvolto artistico e la riflessione che sorge spontanea sulla nostra transeità. ruinacademy.blogspot.com
La rivista/portale per l’architettura Evolo si conferma sempre più il punto di riferimento per i giovani architetti. Questa piattaforma petrolifera trasformata in un piccolo quartiere è un sogno per me da molto molto tempo. Hurrà per Ku Yee Kee e Hor Sue-Wern, i giovani malesiani che l’hanno progettata per un concorso sui grattacieli, e per il loro meraviglioso rendering. www.evolo.us
Dynamic revolution Revolution è una piccola fotocamera che non ha bisogno di caricabatterie. Il giovane Carl McGreavy ha pensato di metterci una serie di ingranaggi che funzionano da dinamo: in pratica si infila un dito nell’anello e si fa ruotare, e poi si scatta! L’era del finger food è terminata, welcome all’era del finger shoot! www.coroflot.com/carlmcgreavy
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Floating sofà Philippe Nigro è una costante nei raduni di design enthusiasts. Per Conforty ha realizzato questo divano in sospensione, un po’ ragnatela e un po’ nuvola, appeso a una struttura in metallo sembra fluttuare nello spazio, come i monoliti del seguito di Odissea nello Spazio. www.philippenigro.com
Coffee to read Dalla Thailandia ecco il tavolo da caffè per tutti i magazine maniacs. Le riviste diventano il piano ideale per appoggiare tazzine e piattini, incastrate in fogli di metallo diventano una superficie ideale e mutante per conservare i migliori magazine in circolazione, PIG in testa. Attenzione a non rovesciare nulla però! www.coroflot.com/bluedot
Urban bikerz Le biciclette sono sempre più un accessorio di tendenza oltre che un importante mezzo di trasporto urbano, soprattutto per le collezioni primavera/ estate. Supportiamo i prodotti italiani di alta qualità, come questi bicicli handmade a Fano da Anonima Cicli in technicolor panavision. www.anonimacicli.it
Tsunami Yasutaka Yoshimura Architects Inc. hanno riciclato un loro vecchio progetto e stanno pianificando di usare dei container come temporary houses per i tantissimi senzatetto giapponesi vittime dello tsunami dell’11 marzo scorso. Questo è il link dove si possono fare donazioni: exc.ysmr.com/join/ - ysmr.com
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EASTPAK ft. Antoine Peters PIG Magazine for EASTPAK Intervista di Fabiana Fierotti. Foto di Piotr Niepsuj
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Durante la settimana del Salone del Mobile di Milano, EASTPAK ha presentato la sua ultima collaborazione con Antoine Peters, giovane designer olandese: una limited edition di 100 zaini e borse dalle grafiche bidimensionali, in black & white. Durante l’evento al Teatro Parenti, i giovani designers della città hanno preso parte ad un workshop, per mettere alla prova la loro creatività, personalizzando proprio dei pezzi della collezione messi a disposizione da EASTPAK. Noi di PIG abbiamo voluto documentare questa giornata, facendo anche una chiacchierata con il caro Antoine...
Chi sei, cosa fai, da dove vieni? Sono Antoine Peters, gestisco un brand di moda, che ha il mio stesso nome e sede ad Amsterdam. Si tratta di un marchio piuttosto giovane, fondato nel 2006. Il mio scopo è suscitare un piccolo sorriso. Sei piuttosto giovane no? Quanti anni hai? 30. Sembri più giovane... Ti avrei dato non più di 25 anni. Che tipo di studi hai fatto? Ho studiato all'Art Academy di Arnhem, poi ho seguito per due anni un Master al Fashion Institute. Qual è il tuo approccio alla moda? Per me la moda si basa sull'ottimismo, sul sorriso, come ti dicevo prima. E soprattutto sulla sorpresa, come quando noti qualcuno in giro, perché stravagante, colorato o semplicemente bello. Molto interessante. Adesso sei alle prese con una collaborazione con EASTPAK. Qual è stato il punto di partenza? E' stata una cosa abbastanza naturale. Ho fatto questa collezione "The world is flat" basandomi sulla "piattezza" e sugli strati, concentrandomi sulla bidimensionalità delle cose. Ho creato dei prodotti da colorare. Vedi questo divano dove siamo seduti? Chiediamo alle persone di colorarlo a loro modo e metterci un po' di amore. Ecco perché il bianco e nero... Esatto. Poi ho scelto di disegnare delle donne, delle pin-up; ci potevano essere scimmie, elefanti, non so... Ma l'idea è che queste donne siano riempite con il colore, per passare dalla bidimensionalità al 3D. Poi ho scelto in particolare bianco, perché normalmente non mi piace l'uso del nero... Parliamo della tua collezione SS11. Di cosa si tratta? Si. La "piattezza" è il concetto di base. Sono molto interessato ai diversi modi di presentare la moda. Il video è uno dei media che trovo più interessanti. Trovo ispirazione nella cultura pop e cosa c'è di più pop di un video pop? E mentre ci pensavo, guardavo anche MTV e la versione olandese di MTV e vedevo tutti questi video di Lady Gaga e di Beyoncè. E' come una sfilata di moda che vedi in tv con vestiti di designers. Perciò ho pensato di fare il mio video pop, interamente, dalla canzone alla produzione, e ho cantato proprio io. E' passato in tv per un mese e mezzo. E' interessante come modo di presentazione. Alcune persone avranno visto la presentazione del
prodotto senza neanche rendersene conto. Questo era il concetto, poi ho lavorato sulla collezione stessa e su questa idea di "piattezza", del trasformare il 2D in 3D, dalla "piattezza" alla colorazione, con un'attenta cura ai dettagli. Hai un designer preferito in questo periodo? Non faccio molta attenzione agli altri designer... Mi faccio ispirare da ciò che mi circonda. Ad esempio, la mia ragazza è una graphic designer e mi aiuta molto. Se non fossi un designer che cosa ti piace-
rebbe fare? Ahah, difficile rispondere. Farei il musicista o il calciatore. Mi piaceva molto giocare a calcio, ma non ero abbastanza bravo. Giocavo a calcio con mio padre quando ero piccola... Io gioco ancora a volte, in una vera squadra! Gioco fin da quando ero piccolo! E sai suonare anche qualche strumento? So suonare un po' la chitarra... www.antoinepeters.com www.eastpak.com
Ecco i creativi all’opera: i ragazzi dello IED mostrano le loro creazioni ad Antoine Peters, durante il workshop al Teatro Parenti.
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Feature on Designer: Maarten Van Der Horst www.maartenvanderhorst.com - Intervista di Fabiana Fierotti
Maarten è una delle ultime creature della Central Saint Martins. La sua collezione aw11 è ispirata al tema dell’evasione, mediante pattern che ricordano le Hawaii. Niente male come inizio. Ciao Maarten, come va oggi?
Julie Verhoeven).
Il tema centrale in tutto il mio lavoro è l’eva-
Sono in Germania, mi sto godendo la mia
Come descriveresti la tua esperienza alla
sione, sia che avvenga attraverso un design di
libertà, il clima incredibile, ho appena battuto
Central Saint Martins?
vestiti estivi ispirati alle camicie hawaiane, o
mio padre in due partite a scacchi e ora mi sto
E’ stata dura e faticosa. Ma l’edificio a Charing
ispirandomi dai travestiti, come il mio idolo Di-
gustando un pezzo di torta tedesca con mia
Cross Road è ottimo per lavorarci e fare ricerca
vine, che sfuggiva alla realtà vestendosi come
nonna.
nella libreria.
qualcun’altro. Tutto gira intorno all’evasione.
Quanti anni hai?
Hai avuto dei feedback positivi dalla tua pri-
Qualche anticipazione riguardo alla ss12?
28 o 21.
ma sfilata?
Sono molto esaltato per la nuova collezione!!!
Da dove vieni?
Molti! E’ stato davvero travolgente! Il mio se-
Segue nuove strade per evadere dalla realtà
Olanda e mi sono diplomato ad Arnhem.
dere si deve ancora riprendere da tutti i calci
beige!! Libertà!
Perché hai scelto Londra?
di incoraggiamento, ma laurearsi alla Central
Qual è il tuo sogno oggi?
Sono andato a Londra per fare il Master alla
Saint Martins con la mia collezione personale,
Aprire il mio studio personale, sviluppare stam-
Central Saint Martins, perché avevo bisogno di
presentando le mie idee alla stampa è molto
pe e tessuti e al momento sto iniziando a fare
qualcuno che mi smuovesse e c’era solo una
stato emozionante.
mobili. Comunque sono un fashion designer,
persona che poteva farlo: Louise Wilson. Poi,
Qual è la principale ispirazione per la colle-
quindi mi concentro sulla prossima collezione!
uno dei miei idoli personali fa il tutor lì (l’artista
zione aw11?
Ma questo è il mio sogno o obiettivo.
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Blog of the Month: Amateur Couture www.amateurcouture.com - Intervista di Fabiana Fierotti
Questo mese continuiamo sul filone dei blog a metà tra l’arte e la moda. E’ la volta di Amateur Couture, nato nel 2010 per celebrare appunto questo sodalizio. Come ti chiami? M. Fay. Età? 31. Di dove sei? Dove vivi? Des Moines, Iowa, fino a Las Vegas, poi a Santa Barbara e ritorno. Che lavoro fai? Blogger. Quando hai lanciato Amateur Couture? Ho lanciato Amateur Couture nel febbraio 2010. Qual è lo scopo del tuo blog? Si è evoluto in un blog che celebra la connessione tra arte e moda, spesso nel senso più letterale. Puoi descrivere la tua estetica in 3 parole? Semplice, veloce e divertente.
Qual è la tua collezione ss11 preferita? La mia collezione ss11 preferita penso sia Jil Sander. Amo il nuovo approccio minimalista. Hai mai visto una maglietta bianca così bella? Nel tempo, Sonia Rykiel è la mia preferita di sempre. Il suo design cattura il mio attuale "look du jour". Semplici maglie con palettes indossabili e quell'aspetto anni 40-passando-per-i-70. E che trend pensi avrà successo nella stagione aw11? Il trend che più mi entusiasma per la stagione aw11 è maxi-gonne abbinate con maglioni pesanti (visti con Tracy Reese e Max Azria). Sobrio e super-comodo. Oh, e anche i pois. Bisogna amare i pois!
Parliamo di arte. Hai un artista vivente preferito? Irana Douer. E un artista del passato? Marc Chagall. Pensi che il graphic design possa diventare una sorta d'arte in futuro? L'arte è magia quando smuove ricordi o emozioni. Sento una connessione reale tra i due campi. Qual è la tua canzone preferita in questo periodo? Puoi trovare su blog me che ballo Born This Way di Lady Gaga, mi mette di buon umore. La top 5 del 2011? In forte rotazione: Yeah Yeah Yeahs, Tegan and Sara, PJ Harvey, Band of Horses e Empire of the Sun. 27
Lazy Oaf Lazy Oaf basa la sua estetica essenzialmente su stampe e grafiche dal gusto Pop. E' nato nel 2001 da un'idea di Gemma Shiel; pensate che a quei tempi aveva solo un banchetto dove vendeva t shirt, in un mercatino di East London. Da allora ha fatto molta strada, tanto che oggi si contano più di 150 punti vendita in tutto il mondo. Ma se volete avere un'ampia scelta vi consigliamo il negozio di Soho, aperto nel 2004. www.lazyoaf.co.uk F.F.
Jericho Nonostante Sienna Miller non sia uno dei nostri personaggi preferiti, dobbiamo ammettere che con questa nuova collezione di Twenty8Twelve, ispirata all'album Don Juan's Reckless Daughter di Joni Mitchell, ha acquistato qualche punto. L'aspetto fotografico poi ricorda molto il film Paris, Texas di Wim Wenders. Altro punto a favore. Vediamo cosa accadrà nella prossima stagione... www.twenty8twelve.com F.F.
Future Sentiments Basta una t-shirt a veicolare una voglia di creatività gentile. Se poi arriva da uno scenario in parte ancora esotico come la Lituania, il poco si arricchisce della bellezza della scoperta: Future Sentiments si fonda in uno studio di architetti, vive di entusiasmo senza essere soffocato dall’ambizione. www.futuresentiments.com di Giulia Maria Tantussi
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We likey... Questi occhiali dal design futuristico di www.slowandsteadywinstherace. com F.F.
Anna Karina Wannabe Ecco un'anticipazione alla prossima stagione aw11. Abbiamo scelto Peter Jensen perchè si è ispirato a una delle donne più affascinanti del secolo scorso: l'attrice simbolo della Nouvelle Vague, nonchè moglie di Jean-Luc Godard, Anna Karina. Vi ricorderete sicuramente il film Une femme est une femme, da cui l'intera collezione trae spunto, per un risultato 60's impeccabile. Da comprare. Tutta. www.peterjensen.co.uk F.F.
Heaven Tanudiredja Nel viaggio da Bali, terra d'origine, al Belgio, luogo di consacrazione, Heaven Tanudiredja è diventato un Poeta dei gioielli. Racconta di immaginari esotici cucendo una ad una storie fatte di colori e trasparenze, raccogliendo materiali apparentemente inconciliabili, unendo leggerezza e spirito barocco nello stesso, prezioso, racconto. Visionario e spirituale, è riuscito a ritagliarsi un posto tra le personalità della Royal Academie of Fine Arts con la pazienza degli artigiani di un tempo. www.heaventanudiredja.be G.M.T.
70’s Riviera E' la prima volta che parliamo di French Connection su PIG. E lo facciamo più che volentieri, visto che l'ispirazione della nuova collezione ss11 richiama tutta un'epoca a noi molto cara: gli anni '70. Gli anni '70 parigini, ma anche quelli delle spiagge del sud della Francia, con un pizzico di preppy britannico. www.frenchconnection.com F.F.
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Saskia Diez Saskia Diez ha iniziato la sua carriera nel mondo del design di gioielli partendo dagli studi in design industriale. Giocando con la tradizione e con la semplicità delle forme, la designer entra nel mondo della gioielleria, proiettandosi verso una modernità poetica. Gli elementi di ispirazione vanno dalle persone, ai vestiti, ai materiali, soffermandosi sui dettagli più piccoli che ci circondano nella vita di ogni giorno. Il risultato è elegante ed estremamente femminile. www.saskia-diez.com F.F.
Jackie Js Lee
Rodarte: States Of Matter Nel mondo delle sorrelle Mulleavy, le menti del progetto Rodarte, ci sono in primo luogo le atmosfere dei paesaggi Californiani. Solo oggi, la celebrazione diviene reciproca: Con Rodarte: States of Matter la California restituisce il favore alle due giovani artiste che hanno fatto dell’uso espressivo dei materiali, il loro marchio di fabbrica. Fino a Giugno la personale sulle creazioni del duo sarà esposta al MOCA, museo di arte contemporanea di Los Angeles. www.rodarte.net G.M.T. 30 PIG MAGAZINE
Jackie Lee viene dalla Corea del Sud. Ha preso il proprio bagaglio di esperienza visiva e l’ha trasportato in quella che da molti viene considerata la mecca della Londra creativa, la famigerata Central St Martins school of art. Qui, ha scelto la via del rigore, forte di un’esperienza con i tagli d’autore, disegnando una femminilità sobria ed androgina, tipica di una forma mentis dai caratteri estremo orientali. www.jsleelondon.com G.M.T.
Photo by Porsche Cars North America
Porsche, 1970 I fans di Steve McQueen con alto potere d'acquisto stiano pronti: la RM Auction, casa d'asta di macchine da collezione, mette in vendita la famosa Porsche 911S degli anni '70 appartenuta all'attore e comparsa nel film cult hollywoodiano Le Mans. Potete aggiudicarvela a partire da Agosto, in California. www.rmauctions.com di Michela Biasibetti
Puma Whirlwind Classic Qualche volta ci viene voglia di lasciare a casa il prodotto speciale, la collaborazione con il designer del momento e indossare un prodotto più semplice, un originale. Whirlwind Classic è la riedizione di una scarpa da corsa degli anni 80 e, come si usava allora, è fatta con il nylon, materiale rivoluzionario e leggerissimo. www.puma.com
Gas D-Shirts OhWow presenta... David Benjamin Sherry nella sua prima mostra a Los Angeles; intitolata Form Forming Formation, si focalizza sullo studio recente dell'artista riguardante geometria, scienza, colori, materia e il processo di cambiamento. Se vi trovate a Los Angeles o passate di lì fateci un salto, fino al 27 maggio. www.davidbenjaminsherry.com www.oh-wow.com M.B.
Al Fuorisalone di Milano, siamo andati a dare un’occhiata alla capsule collection di T-shirt di Gas, nata in occasione della mostra Graphic Design Worlds alla Triennale di Milano. Invitando alcuni creativi a realizzare delle grafiche per l’occasione, Gas ha messo in atto un vero e proprio dialogo tra vari settori creativi. Noi abbiamo scelto la creazione di Tommaso Garner, graphic designer impegnato in vari progetti, tra cui la casa editrice e rivista d’arte Kaleidoscope. www.gasjeans.it F.F.
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Something in between E' il titolo dell'ultimo libro di Sergej Vutuc, edito dalla casa editrice d'arte Snoeck, in collaborazione con Carhartt / Work in Progress. Si tratta di una raccolta di 70 illustrazioni in bianco e nero, digitalizzate da stampe fatte a mano che Vutuc ha poi riprodotto su carta bianca opaca. Suggestivo e "in between". www.carhartt.com F.F.
Backpack Californiani Da oltreoceano, il brand based in San Francisco Joshu + Vela, propone una linea di backpack in canvas e pelle; l'ispirazione viene dal movimento Khadi, attraverso il quale è avvenuta la reintroduzione della pratica artigiana in India. Pezzi semplici realizzati per acquisire bellezza con il tempo. www. joshuvela.com M.B.
Vans Vault Derby Non c’è proprio nulla da fare, Vans ultimamente non sbaglia un colpo. Il modello Derby della collezione Vans Vault è tutto ciò che vi servirà per essere casual e anche eleganti quando serve. Proprio dei piccoli Lords in gita domenicale. www.vans.eu F.F.
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Neü Sex Sasha Grey, attrice legata al mondo del porno, ha rilasciato, edito da Vice, un libro-documentario di immagini intercalato da scritti personali. “Documentare me stessa è diventata quasi una necessità”. Il materiale, raccolto tra il 2006 e il 2009, mostra l’energia che scaturisce dal suo spirito. neusex.viceland.com M.B.
SUNLENS BY
Polos
PIG Magazine per Nike Sportswear - www.nike.com Di Piotr Niepsuj. Foto di Piotr Niepsuj e Luca Campri. Special Thanks: Valentina Barzaghi
I designers di Nike, rilanciando la loro GS Polo, si sono chiesti come si possa migliorare un pezzo di abbigliamento già bello per la sua semplicità. Hanno dunque deciso di adattare a donne e uomini un fit diverso, usando tessuti di qualità e aggiungendo un paio di dettagli che diano comfort durante il caldo estivo. Noi di PIG abbiamo pensato a chi farle indossare. Le polo, diciamoci la verità, stanno bene un po’ a tutti, ma essendo il nostro sguardo sempre rivolto ai giovani talentuosi, abbiamo scelto cinque promettenti creativi che ci piacciono. Li abbiamo incontrati e intervistati grazie a Nike.
Oisìn Orlandi www.oisinorlandy.com Come ti chiami? Oisìn Orlandi. Quanti anni hai? 23. Perché ti senti giovane? Perchè lo sono. Che professione vorresti mettere sotto al tuo nome sul tuo biglietto da visita? Sarebbe bello bastasse il nome! Cosa fai di preciso? Grafica editoriale e illustrazione. Cosa volevi fare da piccola? Fino ai dieci anni la stilista, poi l'attrice o la designer industriale. Dove trovi le idee? Partendo dal presupposto che le idee sono dappertutto, le localizzo soprattutto su internet, per questioni di tempo e possibilità. A che ora ti svegli al mattino? 6:30 Lavori nel weekend? Spesso sì. E’ vero che la vita di un creativo è una bomba? Non proprio, però fa figo perchè esiste questa visione molto romantica per cui certi lavori sono più affascinanti di altri. Cosa ti piace fare nel tempo libero? Drogarmi di telefilm in streaming. I tuoi obiettivi professionali nei prossimi 5 anni? Diventare molto più brava, il resto spero venga di conseguenza. Cos'è per te il successo? Riconoscimento professionale. La cosa più bella che ti hanno mai detto? Mi piace quando mia sorella si vanta delle mie piccole cose con le amiche. Sei felice? Spesso. Cosa farai quest’estate? Lavoro, studio, laurea e lavoro. 34 PIG MAGAZINE
Enrico Grigoletti www.contemporarystandard.com Come ti chiami? Enrico Grigoletti. Quanti anni hai? 31. Perché ti senti giovane? Visti i miei bioritmi e la mia attività sociale direi che mi sento tutt'altro che giovane. Che professione vorresti mettere sotto al tuo nome sul tuo biglietto da visita? Vice PRESIDENT alla Pierce & Pierce. Cosa fai di preciso? Mi occupo di contenuti in qualità di responsabile editoriale per due media online: contemporarystandard.com e themodernsafari.com. Inoltre sono partner di un'agenzia creativa che va sotto il nome di Studio Fantastico. Cosa volevi fare da pic-
colo? Il medico. Dove trovi le idee? Dai miei feed RSS, dalla mia ragazza e da Diego Soprana. A che ora ti svegli al mattino? 08:10. Lavori nel weekend? Purtroppo sì. E’ vero che la vita di un creativo è una bomba? Anche quella del ricco ereditiero non deve essere male. Riuscire, però, a pagare le bollette facendo qualcosa che ti piace con il completo controllo creativo rimane comunque una soddisfazione. Cosa ti piace fare nel tempo libero? Mi obbligo ad uscire di casa. Se non me lo imponessi probabilmente rimarrei dietro la
tastiera ad oltranza. Curiosare nei mercatini, passare tempo di qualità con la mia ragazza e con gli amici. I tuoi obiettivi professionali nei prossimi 5 anni? Il mio studio associato di consulting. Cos'è per te il successo? Raggiungere i propri obiettivi prima del previsto. La cosa più bella che ti hanno mai detto? "Ma tu sei un cantante famoso?". Sei felice? Assolutamente sì. Cosa farai quest’estate? Settimana di fuoco a Berlino per i tradeshow e poi probabilmente un po' di relax sulle spiagge di Kabak. 35
Pietro Cocco www.pietroc.com Come ti chiami? Pietro Cocco. Quanti anni hai? 24. Perché ti senti giovane? Perchè so usare internet. Che professione vorresti mettere sotto al tuo nome sul tuo biglietto da visita? Globe-Trotter. Cosa fai di preciso? Lavoro con la fotografia e il video. Cosa volevi fare da piccolo? Il pilota di rally. Dove trovi le idee? Da qualsiasi fonte, basta filtrare l’utile. Le costanti a cui tengo di più sono il cinema e la pittura surrealista. A che ora ti svegli al mattino? Relativa-
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mente tardi, lavoro meglio di notte. Lavori nel weekend? In base alle necessità, non c’è distinzione tra giorni lavorativi e festivi. E’ vero che la vita di un creativo è una bomba? Si, quello che fai è quello che hai scelto di fare, se ti lamenti hai sbagliato qualcosa. Cosa ti piace fare nel tempo libero? Mangiare al ristorante peruviano è nella mia Top List. I tuoi obiettivi professionali nei prossimi 5 anni? E’ una domanda troppo a lungo termine,
sicuramente girare dei videoclip e ricevere commissioni che mi portino a muovermi il più possibile per il globo. Cos’è per te il successo? Per citare una massima che mi diverte: “Il successo è la fortuna di essere frainteso da alcune persone influenti”. La cosa più bella che ti hanno mai detto? Dei complimenti ricevuti da persone che stimo. Sei felice? Quando viaggio. Cosa farai quest’estate? Non lo so ancora, mi attira l’Est Europa.
Elena Mora Giovanni Marchi www.tinaa.org Come vi chiamate? Elena Mora e Giovanni Marchi. Quanti anni avete? EM: 27, GM: 28 Perché vi sentite giovani? GM: Se sei nato dopo il 1980 sei giovane, se sei nato dopo il 1990 sei giovanissimo. Funziona a decadi. Che professione vorreste mettere sotto al vostro nome sul tuo biglietto da visita? GM: Designer non mi dispiace. Cosa fate di preciso? GM: Mi occupo di graphic design per la stampa, per l’editoria digitale e di visual identity. Sono cofondatore di Tinaa insieme alla mia amica Elena e realizziamo lavori su commissione ma anche progetti indipendenti. EM: Io mi occupo di progetti editoriali per Mousse Magazine, e porto avanti il progetto Tinaa insieme a Giovanni. Cosa volevate fare da piccoli? EM: La giornalista, e non mi dispiacerebbe tuttora. GM: Mi sarebbe piaciuto fare l’architetto, ma anche il pallavolista. Per il primo ho cambiato idea negli anni, per il secondo sono basso... Dove trovate le idee? EM: Nei momenti in cui riesco a lasciare libera la mente, quindi andando in bicicletta, specialmente di sera. Se poi capita che l’ipod mi delizi con una dei miei pezzi preferiti ancora meglio! GM: Non credo esista un posto dove si possano trovare le idee, magari ci fosse! Può capitare di avere spunti interessanti ovunque, ma quello che conta è il metodo di rielaborazione. A che ora vi svegliate al mattino? EM: Non prima delle 9:00. GM: L’orario può variare dalle 7:15 alle 10:15 ma è sempre e comunque troppo presto. Lavorate nel weekend? EM: Non così spesso da potermene lamentare. E’ vero che la vita di un creativo è una bomba? EM: E’ una bomba se è quello che si vuole fare. Cosa vi piace fare nel tempo libero? EM: Vedere posti nuovi o in alternativa godermi luoghi familiari. I vostri obiettivi professionali nei prossimi 5 anni? EM: Riuscire a lavorare di più all’estero e non solo stando davanti a un computer. Cos’è per te il successo? GM: Essere totalmente soddisfatto di quello che si fa, il riconoscimento degli altri è importante, ma assolutamente secondario. La cosa più bella che vi hanno mai detto? EM: Nelle mie sfide culinarie, che faccio un risotto da paura! Siete felici? EM: Ma si dai. GM: Credo nella media. Cosa farete quest’estate? EM: Sud Africa, a “caccia” di leoni e pinguini! GM: Laos e Cambogia, spero che la pioggia mi risparmi!
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Colour Palette
Doo.ri
Acne
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Salvatore Ferragamo
Fendi
Charles Anastase
Osman
Fashion
Fendi
Christopher Kane
Di Fabiana Fierotti
Christopher Kane
Prada
Paul & Joe
Charles Anastase
Costume National
3.1 Phillip Lim
Acne
Costume National
Prada
Maison Martin Margiela
Erdem
Derek Lam
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Photographer of the Month: Sasha Kurmaz homer.org.ua - A cura di Sean Michael Beolchini
Come ti chiami? Ciao, mi chiamo Sasha Kurmaz. Di dove sei? Vengo dall’Europa dell’Est. Kiev, Ucraina. Dove vivi? Sono nato nel 1986 a Kiev, subito dopo il disastro di Chernobyl, quando l’Ucraina era parte dell’Unione Sovietica.
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Ci campi con la fotografia? Al momento, la fotografia per me è solo un hobby. Quindi come ci riesci? Sono un designer in formazione. I soldi me li porta il graphic design. Quando hai iniziato a fotografare e perché?
Ho iniziato a fotografare nel 2000, quando ho iniziato a fare graffiti per strada. All’epoca, la fotografia era per me solo “fissaggio” dei miei lavori, disegni sui treni, tunnel, muri.. Un approccio serio alla fotografia come sfera separata di espressione personale è iniziato 3 anni fa. Si tratta più di estetica o del senso delle
Sasha, come il suo paese, ha un cuore rivoluzionario. L’Ucraina ha da sempre giocato un ruolo importante nella storia dell’uomo, anche se spesso dietro le quinte. Formatasi nel IX secolo, era tra le forze dominanti del mondo, per poi soccombere alla mano del popolo più e più volte nel corso dei secoli, a causa di numerose battaglie cruente. Ha poi creato l’Unione Sovietica. Ha costruito il più grande aereo della storia: l’Antonov AN-225. Ha fondato l’UN. E’ sede del più grande disastro nucleare fino ad oggi. E si conferma come il più grande paese del continente Europeo. Sasha è un tipo stravagante, basta guardare le foto. Non c’è bisogno di leggere le parole. Per vari motivi, per cui potete o meno essere d’accordo, non abbiamo potuto pubblicare le foto più forti di Sasha, ma ne abbiamo pubblicato una selezione più soft. Sul suo sito e Flickr però potete trovare gli scatti che meglio lo definiscono.
cose? Estetica e senso delle cose allo stesso tempo. Ora sono più serio riguardo a quello che faccio. Per me la fotografia è uno degli strumenti magici di base della stessa conoscenza. Come descriveresti il tuo modo di fotografare? Qual è la tua big picture?
Le mie foto rispecchiano completamente la mia vita, i miei interessi, i miei hobby, i miei amici, il mio tempo. Le foto sono l’ambiente del metafisico. Non usiamo mai parole assolutamente corrette che esprimano il significato e il contenuto di cosa e come sentire, percepire, esperire. La fotografia ci dà l’opportunità di fare esperienza del tempo.
Cosa altera la tua percezione? Per me molte cose incidono, variando dalla musica che ascolto, i film, fino all’umore del giorno. Sono molto sensibile alle parole come “glande del pene nudo”. Quello che puoi vedere nelle mie fotografie, molto spesso è un riflesso di quello che sta accadendo dentro di me.
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Cosa non ti piace della fotografia oggi? Odio la fotografia “morta”, patinata, fashion chic. Non mi piacciono le immagini artificiali e con molto photoshop. Sono contro il vecchio snobismo e il conservatorismo. Dico: “Yes!”- young and screaming! Cosa ami della fotografia oggi?
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Le foto o ogni immagine grafica simboleggiano qualcosa di significativo che richiede per la sua individuazione l’uso del secondo strato di percezione - il subconscio. Come in ogni arte, apprezzo la sincerità nella foto. Per me è molto importante, l’integrità dell’artista e del suo lavoro, solo in questo
caso nelle foto c’è magia. Segui qualche regola? Se sì quali? Seguo la voce del mio cuore. Ascolto la mia voce interiore. Non sono in possesso di nessun segreto tecnico speciale di scatto. Chi sono i tuoi fotografi preferiti? A oggi, mi piacciono i lavori di: William
Eggleston, Alessandro Zuek Simonetti, Ren Hang, Jaap Scheeren. Che tipo di macchina fotografica usi? Sto usando macchine economiche ma affidabili come la Olympus mju-2 e la Pentax Espio. Che macchina vorresti usare? Spero che tra poco potrò comprare una
Contax T3. Chi ti piacerebbe scattare in topless? Ho fotografato molti amici in topless. Per me è una cosa usuale. Ma se intendi chi, tra le celebrità, vorrei scattare in topless, allora direi le tette della regina di Inghilterra. Chi dovrebbe essere il nostro prossimo fotografo del mese?
Ti consiglio di fare attenzione alle immagini di Maxim Chatsky. Quale sarà il tuo prossimo scatto? Ora lavoro sulle sculture e sulle installazioni che includono le mie foto. Per me ora non si tratta solo di buone foto, voglio continuare la storia nella fotografia su un livello differente.
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Street Files: PA/PER VIEW Art Book Fair Durante il primo weekend di aprile, a Bruxelles, si è svolta la terza edizione di PA/PER VIEW - la fiera dell’editoria indipendente. Quest’anno l’evento ha ospitato 33 case editrici da tutto il mondo, tanti libri e ancora più persone. Ecco alcune di quelle che abbiamo incontrato.
Bruxelles. Foto di Francesco Saraó in collaborazione con Chantal Garduno
Nome? Aurime Aleksandraviciute. Quanti anni hai? 24. Di dove sei? Lituania. Cosa fai? Gallerista. Se fossi un frutto, che frutto saresti? Mela. Qual è l'ultimo libro che hai comprato? Roald Dahl, Uncle Oswald. Compreresti un iPad? No. Che canzone canti sotto la doccia? In realtà non canto sotto la doccia. Qual è il tuo progetto? Un grosso progetto, ma ha troppi dettagli (il piano è più lungo di due righe).
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Nome? Jonas Zakaitis. Quanti anni hai? 27. Di dove sei? Bruxelles. Cosa fai? Editore indipendente. Se fossi un frutto, che frutto saresti? Avocado. Qual è l'ultimo libro che hai comprato? Collected Poems di William Carlos Williams. Compreresti un iPad? Sì. Che canzone canti sotto la doccia? Haula Nahila (fischiando). Qual è il tuo progetto? Diventare ricco, famoso e artista (e indietro) Http://www. simonedoller.ch
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Nome? Jonny. Quanti anni hai? 25. Di dove sei? Londra. Cosa fai? Studente.Se fossi un frutto, che frutto saresti? Kiwi. Qual è l'ultimo libro che hai comprato? Le Chef-d'œuvre inconnu di Balzac. Compreresti un iPad? Ora. Che canzone canti sotto la doccia? Carmen di Bizet. Qual è il tuo progetto? Essere felice. Http:// www.? A volte.
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Nome? Belou Elina. Quanti anni hai? 22. Di dove sei? Francia. Cosa fai? Studente (fotografia). Se fossi un frutto, che frutto saresti? Lampone. Qual è l'ultimo libro che hai comprato? Andrè Gide, De l'influence en littérature. Compreresti un iPad? No. Che canzone canti sotto la doccia? Bee Gees. Qual è il tuo progetto? Un piede davanti all'altro. Http:// www.? elinabelou.com
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Nome? Camille Buiatti. Quanti anni hai? 21. Di dove sei? Francia. Cosa fai? Graphic design. Se fossi un frutto, che frutto saresti? Limone. Qual è l'ultimo libro che hai comprato? Les Mondes de l'Art di Howard S. Becker. Compreresti un iPad? Se cosa? Che canzone canti sotto la doccia? Hyperballad di Bjork Qual è il tuo progetto? Andare. Http://www.? cargocollective.com/camillebuiatti
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Nome? Rein De Wilde. Quanti anni hai? 27. Di dove sei? Bruxelles. Cosa fai? Filosofia e fotografia. Se fossi un frutto, che frutto saresti? Pesca. Qual è l'ultimo libro che hai comprato? Schopenhauer, Something about the art of writing. Compreresti un iPad? No. Che canzone canti sotto la doccia? Daniel Johnston. Qual è il tuo progetto? Non ho progetti. Http://www.? wildedieren.be
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Nome? Grunwald Vincent. Quanti anni hai? 26. Di dove sei? Berlino. Cosa fai? Editore, artista. Se fossi un frutto, che frutto saresti? Pera. Qual è l'ultimo libro che hai comprato? Molto tempo fa, fammi pensare. Gentrifizierung in prenzlauer berg. Compreresti un iPad? No, sono allergico ai prodotti apple. Che canzone canti sotto la doccia? (Copkilla), Unser Haus... Ton Steine Scherben. Qual è il tuo progetto? Tornare a Berlino. Http://www.? akvberlin.com
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Nome? Morgann. Quanti anni hai? X. Di dove sei? Non lo so ancora. Cosa fai? Faccio arte. Se fossi un frutto, che frutto saresti? Avocado. Qual è l'ultimo libro che hai comprato? Selezioni artistiche, La Nausea di Sartre, Che cos'è il contemporaneo di Agamben. Compreresti un iPad? Non me ne frega niente. Che canzone canti sotto la doccia? My Funny Valentine. Qual è il tuo progetto? Crescere. Http://www? Non ancora.
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Hixsept / JSBJ / AA - JE Spiegare in poche parole chi sono e cosa fanno Aurélien Arbet e Jérémie Egry non è impresa da poco. Potremmo cominciare col dire che se la creatività è una dote naturale, loro ce l’hanno di certo. Il loro primo progetto, “Hixsept”, nasce nel 1999: dall’idea di sviluppare una fanzine sui graffiti, finiscono col creare la loro prima t shirt. “Je Suis Une Bande De Jeunes” nasce nel 2007 come progetto editoriale incentrato sulla fotografia e sui giovani fotografi emergenti. “AA-JE” può essere definito il “contenitore” di tutti questi progetti. Ma oltre i fatti, questi ragazzi mostrano una conoscenza del mondo a cui appartengono, che a loro piace definire “naive”, ma che noi consideriamo piuttosto consapevole e mirata a una sorta di rivincita del mondo dei giovani in generale, per cui nutrono una sincera e forte fiducia. Se davvero le cose dovessero andare come sperano, sentiremo molto parlare di ognuno dei loro progetti in futuro. Per il momento, il loro sogno è “rimanere giovani”.
Intervista ad Aurélien Arbet e Jérémie Egry di Fabiana Fierotti, Rujana Rebernjak e Giovanni Cervi. Foto di Sean Michael Beolchini e Romain B. James
Ciao ragazzi, come state? Tutto ok, grazie. Dove vi trovate in questo momento? AA: Brooklyn JE: Parigi. Quali sono i vostri progetti per la giornata? Giornata regolare, lavoriamo insieme, parlando su skype per pianificare il nostro lavoro. Come sempre lavoriamo sui nostri vari progetti - qualche nuova serie di immagini per dei magazine e per noi, una nuova collezione per Hixsept, e un nuovo libro per JSBJ. Dove siete nati? Entrambi a Grenoble. Da Grenoble verso dove? Qual è il vostro più grande sogno artistico? Realizzare progetti in paesi inaspettati, per esempio fuori dalle grandi città famose. Come vi siete incontrati? Essendo entrambi originari di una cittadina
nella periferia di Grenoble, vivendo nello stesso quartiere e facendo entrambi graffiti, è abbastanza naturale che abbiamo iniziato a frequentarci. Era il 1995. Come avete iniziato con Hixsept? Era il 1999, la nostra idea era quella di fare un fanzine di graffiti, ma alla fine abbiamo cambiato il progetto facendo una t-shirt. Da questo punto di partenza abbiamo lanciato Hixsept. Vi abbiamo intervistato nel 2007, cos'è cambiato da allora? Ci siamo entrambi trasferiti, io vivevo a Lione e Jérémie a Barcellona. Hixsept ha seguito il suo processo di evoluzione, il brand è molto cambiato negli ultimi anni e siamo molto contenti della direzione che sta prendendo. Piccole collezioni, prodotti di maggior qualità, tutti realizzati in Europa e un'ottima distribuzione. Che altro... Abbiamo finito il nostro libro Like Lipstick Traces, libro sui graffiti per
cui abbiamo mandato delle Polaroid con le pellicole a 13 writer di tutto il mondo e abbiamo dato loro 2 anni per rappresentare la loro vita quotidiana. Il risultato è un libro di più di 600 polaroid inedite e uniche. E' stato fantastico arrivare a quel punto in cui un progetto di cinque anni diventa realtà. Dal 2007, abbiamo iniziato il progetto JSBJ, su fotografia e editoria. Da quel momento abbiamo avuto un riscontro molto positivo, sembra essere un progetto fondamentale, tutti sono curiosi a riguardo e dà spazio a una nuova generazione di fotografi. Vi occupate di moda, fotografia ed editoria, in che campo vi sentite più a vostro agio? Pensiamo di essere adatti soprattutto a trovare idee o concept in generale, di cui ci serviamo in modi differenti, a volte attraverso la moda, a volte con immagini e libri. Mettete quindi insieme differenti campi creativi... Vi piaccio i confini o il pensare
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per schemi? Noi proveniamo dai confini, non abbiamo mai approfondito nessuno di questi campi. Facendo tutti questi progetti, siamo molto naive su quello che facciamo ed è questo
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che ci rende liberi di sperimentare e ci dà un occhio e un punto di vista speciale. A che tipo di mondo fate riferimento quando create il vostro progetto artistico?
La vita di tutti i giorni, il mondo intorno a noi, la realtà! Cosa fate o dove andate quando cercate disperatamente ispirazione? Viaggiare è la cosa migliore da fare, sco-
prire nuovi posti, città, campagne, angoli nascosti. Puoi raccontarci un po' del processo di creazione di un vostro lavoro? Parliamo molto tra di noi, proviamo a rac-
cogliere più idee possibili, selezioniamo qualche immagine di riferimento dalla nostra sensibilità personale, troviamo un buon nome e facciamo la parte di realizzazione del lavoro. A questo punto a volte funziona
come pensavamo, a volte non funziona e a volte abbiamo anche sorprese positive. Quali sono le vostre principali fonti d'ispirazione? Graffiti, i giovani, la vita quotidiana, negozi di seconda mano, mercatini delle pulci, internet a caso, i titoli delle canzoni. Quali sono i vostri altri mezzi d'espressione? Quando e come li applicate? Lavoriamo molto come direttori artistici e applichiamo questo approccio in ogni tipo di progetto, abbiamo realizzato qualche campagna pubblicitaria, video ed altri progetti. Per esempio al momento stiamo lavorando su un progetto legato alla trasformazione di container in habitat, stiamo lavorando sull'intera immagine del brand e l'identità grafica del progetto. Quali sono stati i vostri ultimi progetti? Abbiamo appena finito una nuova serie di immagini per Urban Outfitters, abbiamo realizzato la nostra collezione primaveraestate con Hixsept, e stampato un catalogo e tre nuovi "blue zines" per JSBS. Qual è il progetto a cui siete particolarmente interessati? Il libro Bruit de Fond (Background Noise) è uno dei progetti più interessanti che abbiamo fatto. Questo libro si concentra sul concetto di collegamento tra elementi sonori e visuali. Attraverso questo progetto abbiamo incontrato moltissimi nuovi fotografi (ci sono 46 persone coinvolte) quindi è stato molto interessante interagire con tutti loro. In più abbiamo avuto la possibilità di esporre il libro in posti davvero straordinari quando l'abbiamo pubblicato - come Le Bal e Dashwood Books. L'abbiamo anche esposto alla New York Art Book Fair. Queste sono tutte cose che non avevamo mai fatto prima. Quindi partecipate a molti saloni? Pensate che sia un buon modo per mostrare i progetti al pubblico o è solo un'occasione rivolta a chi è già appassionato a questo campo? Paradossalmente la maggior parte della nostra attività promozionale avviene su Internet. Inoltre proviamo a partecipare a più fiere editoriali possibili: è sempre un'ottima occasione per mostrare i nostri lavori e incontrare nuove persone, per spiegare cosa stiamo facendo e interagire con fotografi, altri editori e collezionisti. Molte persone conoscono i nostri libri attraverso Internet ma partecipando alla fiere tutti possono vederli e toccarli realmente, è molto diverso. Come è iniziato il vostro progetto edito-
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“Il lavoro di un curatore è di selezionare le immagini per quello scopo. Comunque, proviamo davvero a scegliere persone giovani. Penso si tratti della nostra sensibilità personale e del nostro occhio. Proviamo ad unire il tutto. Molto spesso ci dicono che le nostre immagini riflettono un senso di tristezza e malinconia. Per noi non è nostalgia e non lo consideriamo una cosa negativa, penso sia semplicemente una caratteristica della nostra generazione ”. riale Je Suis une Bande de Jeunes? Siamo in tre per JSBJ, Nicolas Poillot è il terzo. Abbiamo sempre fatto fotografia e siamo da sempre appassionati di Artbook. E' stata una cosa abbastanza naturale lanciare il progetto; all'inizio l'idea era di mostrarlo su Internet. Abbiamo iniziato pubblicando i portfolio e dopo un po' abbiamo
I vostri libri appaiono sempre allo stesso modo, quanto è importante per voi il graphic design e il modo in cui il libro si presenta? Solo i nostri Blue’ zine sono uguali, ma per tutti gli altri proviamo a cambiare il layout. Il graphic design è molto importante per noi anche se cerchiamo di stare sul semplice
i lavori. Se potessi pubblicare qualsiasi cosa al mondo, quale sarebbe? Penso che sarebbe grandioso fare un grande libro che possa raccogliere i lavori di tutti gli editori indipendenti che lavorano oggi. Penso a ragazzi come Hassla Books, Gottlund Verlag, Capricious, Morell Books,
cominciato con piccole 'zine con le nostre foto. A quel punto abbiamo pensato che sarebbe stato carino fare edizioni più ampie e aprire il progetto ad altri fotografi. L'idea era quella di dare spazio a giovani fotografi per mostrare il loro lavoro. Che tipo di lavoro fotografico provate a promuovere con Je Suis une Bande de Jeunes? Come scegliete con quali fotografi lavorare? Seguiamo sempre i nostri sentimenti e impressioni personali. Spesso abbiamo un soggetto specifico per ogni libro, quindi l'idea è di stampare immagini che rappresentino davvero quel soggetto. Il lavoro di un curatore è di selezionare le immagini per quello scopo. Comunque, proviamo davvero a scegliere persone giovani. Penso si tratti della nostra sensibilità personale e del nostro occhio. Proviamo ad unire il tutto. Molto spesso ci dicono che le nostre immagini riflettono un senso di tristezza e malinconia. Per noi non è nostalgia e non lo consideriamo una cosa negativa, penso sia semplicemente una caratteristica della nostra generazione. Qual è la vostra connessione al bianco e nero? Fotocopie, Peace&Love, Mallarmè, Lewis Baltz, Malevitch, Dead Man, Piccioni, Louis Malle... Come vengono stampati i vostri libri? Dipende dal progetto... La nostra edizione più piccola è una stampa laser, xerox o risografia e tutte le edizioni più grandi sono offset. La maggior parte dei nostri libri è stampata in Francia.
e minimale. Dato che pubblichiamo solo fotografia, non aggiungiamo troppi artifici grafici per lasciare spazio alle immagini. La parte importante per quello è l'editing e la semplicità del layout. Perché avete deciso di lavorare solo su piccole edizioni? Volevamo occuparci di qualcosa tra libri e arte. Proviamo a fare libri che siano davvero edizioni limitate così che abbiano un valore che sia vicino agli oggetti d'arte. Inoltre è più facile da gestire, a livello finanziario e di spedizioni. E' importante il processo di stampa per ottenere un buon risultato, in particolare quando i libri sono legati alla fotografia? E' un aspetto essenziale, proviamo a essere presenti durante il processo di stampa il più possibile. Chi sono i vostri punti di riferimento in fotografia? Tra i giovani: Alec Soth, Ryan McGinley, Tim Barberm, Vivian Sassen, Yann Gross, Audrey Corregan, Marten Lange, Jason Nocito, David Benjamin Sherry, Kate Steciw, Hanna Liden, Charles Negre. Tra i meno giovani: Wolfgang Tillmans, Roe Ethridge, Larry Clark, William Eggleton, Stephen Shore, Luigi Ghirri, Raymond Depardon, John Divola, Rineke Dijkstra, Santiago Sierra, JH Engstrom, Peter Fischli, David Weiss. Cosa ne pensate dell'editoria indipendente e del modo in cui si sta diffondendo ultimamente? Ci sono molti nuovi progetti editoriali che stanno nascendo. E' grandioso che molte persone usino ancora carta e libri come medium per mostrare
Nieves, Farewell, Torpedo, J&L, The Holster, Swill Children e molti altri. Preferite lavorare come autori o editori/ curatori? Ci piace fare entrambe le cose. Dipende dal progetto: a volte curiamo progetti in cui le nostre immagini non sarebbero la giusta risposta e a volte risulta logico integrare il nostro lavoro, ma non ci sono regole! E' ormai parte della nostra generazione in cui non ci sono schemi, proviamo a sperimentare in campi differenti e per il momento non ci siamo specializzati in nessuno in particolare. Fare libri nel terzo millennio è un passo verso il futuro o un passo verso il passato? Un passo verso il futuro di sicuro, le tecniche di stampa, gli strumenti e la diffusione sono diverse e appartengono alla nostra epoca. Quali sono le vostre aspettative per il futuro? Ci piacerebbe molto ottenere il nostro spazio personale dove mostrare tutti i nostri progetti e creare una connessione tra tutte le idee. Avete dei programmi per l'estate? AA: Ho in programma di godermi NYC e dintorni e di andare in Canada per qualche giorno. JE: Godermi la mia prima estate a Parigi. Credete alla fine del mondo? No, siamo troppo pragmatici per crederci. Il vostro sogno? Rimanere giovani. www.aa-je.com www.hixsept.com www.jesuisunebandedejeunes.com www.likelipsticktraces.com
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Ben Briand Ben Briand, filmmaker australiano di ottime speranze, mi ha conquistato al primo sguardo. No, io e Ben non ci siamo mai incontrati di persona, ma quello che emerge dai suoi lavori video mi affascina come è successo poche volte da quando ho iniziato a fare questo lavoro. Delicato e controverso, attaccato alla realtà nella narrazione di sentimenti semplici ma d’ispirazione onirica, con una messa in scena che rompe il fiato e commuove, Ben è autore di un cortometraggio cliccatissimo in rete, “Apricot”, di una dolcezza e poesia disarmante, oltre che di “Some Static Started”. Lo abbiamo raggiunto proprio durante la fase di scrittura di quello che sarà il suo primo lungometraggio, di cui al momento si dice soddisfatto. E a vedere i lavori che ha fatto fino ad oggi, non possiamo che essere sicuri che sarà una delle promesse che un cinema australiano in continua e perfetta evoluzione, sfornerà a breve, stupendoci un’altra volta in originalità e linguaggio. Intervista di Valentina Barzaghi. Foto di Pedro Ramos
Ciao Ben! Come stai? Cosa stavi facendo prima di questa intervista? Ciao! Stavo navigando su Borders, leggendo magazines che non posso permettermi di comprare. Quanti anni hai? 31. Puoi descriverti in poche parole? Creatore di immagini, Pesci, uomo che ha bisogno di dormire di più. Qual è la cosa migliore dell’essere Ben Briand? La mia fidanzata e mia figlia che mi sostengono. Le due migliori donne della mia vita. E la cosa peggiore? Il mio bisogno che il mondo sia simmetrico. Sei felice? Sì. Specialmente quando tutto è simmetrico. Puoi dirci come è iniziata la tua carriera nel cinema? Ho iniziato a recitare da molto giovane, ma durante la mia adolescenza mi sono interessato maggiormente alla creazione del mondo in cui erano gli attori a farne parte. Quando avevo 15 anni ho scoperto il mondo del cinema cult e ne ero ossessionato. Nouvelle Vague, Dalì, Bunuel... Non ho mai frequentato una scuola di cinema. Non l’ho mai desiderato. Pensavo che qualcuno mi avrebbe detto che quello che stavo facendo era sbagliato. Ho frequentato una scuola
d’arte e studiato storia dell’arte, scultura, fotografia, video, etc. E’ stato molto più interessante che studiare solamente cinema. Che tipo di studenti eri? Ho passato molto tempo nel reparto artistico. Mi sedevo sulla stessa panchina da dove mi limitavo a osservare tutti gli altri studenti sul prato. Mi piacevano i ragazzi con cui andavo a scuola, ma non sono mai stato veramente uno di loro! Immagino fossi un tipo solitario! Perché sei un regista-fotografo? Mi piace muovermi tra esperienze differenti e squadre di diverse dimensioni. Fare un film a volte richiede una squadra di dieci persone, altre volte di cento - per qualche commercials. Può essere necessario molto tempo per trasformare alcune idee in un’immagine finale. Trovo che la fotografia possa essere una buona strada per vivere facilmente il momento creativo. In che ambiente sei cresciuto? Nei bassifondi di Sidney. Era strano: la mia casa era circondata da droga, crimine e
educazione perché ogni cosa estrema mi interessava ed era disponibile in quel formato, dato che non potevo entrare al cinema. A 7 anni i film che avevo visto di più erano Robocop, Nightmare on Elm Street e Sid & Nancy. Consumavo queste cassette ogni weekend. Puoi darmi una tua definizione di Cinema? Il Cinema è la vita che passa come in un sogno, sebbene tu sia sveglio. Mi piace che a volte le cose siano chiare e altre volte confuse, come nella vita. Amo il cinema artigianale, che esprima un punto di vista. Puoi parlarci di come inizia il processo di sceneggiatura? Con che idea inizi un lavoro? Inizia con uno stato d’animo. E’ un sentimento. Raccolgo le idee riguardo all’atmosfera del film per prima cosa e poi i suoni, gli spazi e le trame iniziano a venire insieme. Una volta che capisco che mondo il film rappresenterà, i personaggi allora lo abitano molto velocemente. E’ come stabilire i confini e le regole di un gioco per poi
prostitute, e io avevo una borsa di studio per una scuola d’elite. Quindi i giorni erano molto diversi dalle notti. Qual è il tuo miglior ricordo di quando da piccolo andavi al cinema? In realtà tutti i miei ricordi migliori mi vengono dall’home video! Il VHS è stato la mia
lasciare i giocatori correre per il prato. Inizio sempre con le mie idee personali, qualsiasi cosa sulla quale io stia fantasticando in quel momento. Puoi dirmi come è nata l’idea di Apricot? C’è una connessione con qualcosa delle tua vita personale? Non voglio essere
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impicciona, ma penso che sia il corto più bello e intimo che io abbia visto ultimamente; ti lascia senza fiato ma è allo stesso tempo una storia semplice. Molti dei personaggi dei miei lavori cercano la loro identità o almeno cercano di capire qualcosa di importante per loro. La scoperta di se stessi è un’idea così universale, specialmente la scoperta di quei primi sentimenti d’amore, desiderio e intimità. Apricot non è autobiografico, ma forse rappresenta come avrei voluto scoprire l’amore! Volevo provare a fare un film in cui ci fosse davvero poca azione, ma in cui le piccole cose che accadono, significassero davvero molto. Perché oggi quasi tutti i registi sono anche sceneggiatori? Pensi che sia un fatto positivo o negativo? Tutti i registi per me più interessanti hanno la propria unica voce. Proprio come artisti eccezionali come Francis Bacon, Edward Hopper o Bill Henson, essi esprimono qualcosa di veramente personale per loro. Penso che sia interessante quando i registi fanno conoscere al mondo come sono, quindi scrivono la miglior storia per la propria regia. Quel primo e secondo film dà alle persone la possibilità di riflettere su di loro e sul loro lavoro. Mi piacerebbe molto collaborare alla scrittura con altre persone con idee simili alle mie. Tutti i grandi l’hanno fatto: Kubrick, Scorsese, Lynch... La tua carriera di filmmaker è costruita su una serie di apprezzati cortometraggi e mi chiedevo se puoi parlare a un giovane filmmaker che vuole diventare regista. Quanto è importante realizzare cortometraggi? Pensi che qualcuno che non ha mai seguito una scuola di cinema o usato una cinepresa possa fare del cinema? Come in ogni mestiere, penso sia importante partire dalle piccole cose e poi lavorare su progetti più ampi. Amo i lavori d’arte commerciale, i video musicali e i cortometraggi, perché permettono di fare pratica su ogni sorta di grande abilità. Ho imparato anche quello che non mi piace. Non c’è dubbio che non vorrei scoprire molte di quelle cose nel mio primo lungometraggio. Qualcuno una volta mi ha detto di continuare a realizzare, fin quando arrivassi ad un buon lavoro, provando a farlo il più a lungo possibile. Sono un regista completamente autodidatta. Ho imparato a conoscere le cineprese, i software di editing, gli strumenti di classificazione, tutto. Penso che se riesci ad ascoltare quella voce dentro di te e fidarti, sia meglio di ogni scuola di cinema. Come organizzi il tuo lavoro sul set?
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Uso sempre lo storyboard. Anche se non le seguo, è utile avere una mappa di come affronterai la giornata. Dover fare film e pubblicità è un grande regalo per un regista. Il fatto che ci siano trenta persone per filmare qualcosa, solo perché un giorno ho avuto un’idea è una grossa responsabilità e non voglio far perdere tempo a nessuno. Ho letto che trai ispirazione anche dalla musica (ascoltando Mike Patton e Nick Cave). Che genere di musica ascolti? Sono sempre ispirato dalla musica. La maggior parte delle idee per i miei film mi vengono dall’ascolto di compositori e mu-
sicisti. In particolare Patton e Cave, perché sanno creare suoni violenti in alcuni brani e strazianti ninnananne in altri; mi piace molto questo contrasto. Amo una gran varietà di musica, dal death metal d’avanguardia come Fantomas, al mainstream, pop ben fatto, The Kills, Fever Ray; Grinderman ha delle ottime trame, The Mess Hall e The Preachers sono i miei gruppi australiani preferiti. Se dovessi scegliere un’artista-band per un videoclip, chi sceglieresti? Mike Patton. Quanto tempo lasci all’improvvisazione
durante le riprese? Provo sempre ad usare un sano mix di approccio pianificato e improvvisazione. L’organizzazione (soggetto e sceneggiatura) guida l’attore o la cinepresa verso il cuore dell’idea, una volta lì, è un bel posto dove stare, quindi perché non esplorarlo per un po’! Come lavori sulla fotografia dei tuoi film? Scelgo location che abbiano le giuste trame di luce. Se la luce si riflette in un modo che evoca lo stato d’animo che sto cercando, allora inizio a cercare di catturarlo o attraverso fotogrammi o solo in conversazione con
il cameraman. Nei tuoi cortometraggi di solito racconti una storia attraverso un personaggio che parla mentre scorrono le immagini. Perché questa scelta? Non ti piacciono i dialoghi? Amo i dialoghi, ma mi affascina giocare col tempo. E’ una delle qualità del cinema. E’ un modo per esplorare il passato, il presente e il futuro di un personaggio allo stesso momento. Si crea una tensione per lo spettatore perché a volte quello che vedi nel passato non corrisponde a quanto si dice nel presente. Guardando i tuoi lavori, sento che ci sia
qualcosa della tua personalità. In più, il tuo approccio alla psicologia e all’indagine psicologica dei personaggi è affrontata in modo profondo. Cosa pensi riguardo alla psicologia? Se non fossi un regista, avrei studiato psicologia. A mio parere, sono fondamentalmente la stessa cosa: un’interpretazione e un’esplorazione del comportamento umano. Questo è il motivo per cui amo così tanto i film misteriosi. Bisogna decostruire gli eventi che portano al comportamento di un personaggio o di un evento. Hai un qualche incubo ricorrente? No. I sogni non danno forma al mio lavoro. Ogni giorno per me la vita è molto più astratta rispetto allo stato onirico. Ma mi piace la struttura del sogno. Penso che assomigli molto ai film. Quali sono le maggiori difficoltà dell’essere regista? L’equilibrio tra il guadagnarsi da vivere ed essere veri con la propria visione. La solita lotta dell’artista. Puoi raccontarci il tuo giorno tipo quando non sei sul set? Al momento sto scrivendo il mio lungometraggio. Mi sveglio, passo del tempo con mia figlia per un’ora e le preparo la colazione. Poi vado nel mio ufficio di scrittura, prendo un succo e poi faccio la mia meditazione. Una volta fatto tutto questo, le scene iniziano a fluire. E’ un momento davvero incredibile quando ti accorgi che qualcosa improvvisamente prende forma e il film funziona. Se dovessi rappresentare la tua vita d’oggi usando solo un’immagine, quale sceglieresti? Esteriormente punto su un quadro di Edward Hopper. Ma interiormente direi più L’Urlo di Munch. Scherzo! Quali sono i registi che ti ispirano maggiormente? Ogni regista che abbia un forte controllo sulla sua arte e qualcosa da dire. Anche se non mi piacciono i loro film, trovo comunque molto interessante questa combinazione. Chi è la miglior persona che hai incontrato durante il tuo lavoro? Cate Blanchett. Un mito personale? Mike Patton (di nuovo). Per lui tutto ruota intorno alla musica. Cosa hai imparato riguardo all’amore leggendo libri e guardando film? Molto poco. Comunque, Essay’s in Love di Alain de Botton è tutto ciò che bisogna
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”La scoperta di se stessi è un’idea così universale, specialmente la scoperta di quei primi sentimenti d’amore, desiderio e intimità. Apricot non è autobiografico, ma forse rappresenta come avrei voluto scoprire l’amore!”. leggere. Quanto le persone pensano che l’amore sia quello che vedono nei film? Quanto può essere pericoloso? Qual è la tua scena d’amore preferita di tutti i tempi? Ha! Molto pericoloso. Ci sono molte persone che hanno un’idea distorta dell’amore. Il romanticismo nel cinema è una cosa molto pericolosa quando cerchi di esprimere i tuoi sentimenti per qualcuno. Molte persone lo usano come punto di riferimento. La miglior scena d’amore? Forse quando in Lost in Translation le tocca le gambe o la scena di sesso in True Romance, perché devi credere che questi personaggi si incontrino e s’innamorino nei primi dieci minuti del film. Anche la scena di sesso alla fine di Lost Highway è incredibilmente pericolosa e sensuale allo stesso tempo. La traccia musicale, Song To The Siren è perfetta per questa scena. Puoi dirmi la tua personale idea sull’amore? Autenticità tra due persone. L’ultimo libro che hai letto e hai pensato che potesse essere una bella storia per un film. Non leggo fiction. La trovo molto lenta perché il mio pensiero inizia a trasformarla in un film con luci e guardaroba, quindi tendo a leggere molta non fiction. Sto leggendo la biografia di Keith Richards al momento. Quell’uomo potrebbe tranquillamente essere il protagonista di una trilogia. Cosa ti spaventa di più al mondo? Spazi chiusi con altre persone. Non sai mai cosa faranno le persone. Le persone normali mi terrorizzano. Puoi dirci il nome di un regista che dovrebbe smettere di fare film? Nessuno mai dovrebbe smettere di fare quello che ama. Fin quando non danneggia davvero qualcuno. Due dei miei film preferiti dello scorso anno (Animal Kingdom di David Michod e The Loved Ones di Sean Byrne) sono australiani. C’è una sorta di “new wave australiana”? Mi sembra come se qualcosa stesse avvenendo qui negli ultimi 3 o 4 anni. C’è certamente un movimento di registi che sta venendo fuori, che vuole realizzare lavori
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con standard internazionali. David Michod è un ragazzo molto talentuoso. Il suo cortometraggio Crossbow è uno dei miei preferiti perché ha affrontato rischi interessanti e ha avuto buoni risultati. Justin Kurzel è un’altra persona brillante e intelligente. Il suo film Snowtown sarà distribuito più avanti quest’anno. Questi sono registi audaci, con una voce unica. Puoi descrivermi cosa hai provato la prima volta che hai guardato un tuo film al cinema? E’ come guardare un bambino correre allo stato selvaggio. A quel punto, sei fuori controllo. Speravo solo di essere maturato nel miglior modo possibile. Quando ho visto Apricot con 3000 persone, alla fine del film c’è stato un lieve movimento e pensavo non fosse piaciuto, ma ho poi scoperto che la maggior parte delle persone erano semplicemente commosse o addirittura stavano piangendo, quindi alla fine è stato efficace. Un viaggio che ti piacerebbe fare? La Route 66 con un iPod caricato. (Clichè!) Qual è il tuo posto segreto? In macchina. Amo guidare da solo senza una meta precisa. Usi i social network per la promozione dei tuoi film? Hai un iPad? Non ho ancora un iPad (sono povero) ma certamente uso Vimeo, Facebook, etc. per entrare in contatto con il mio pubblico. I miei fan sono skater e surfer, siti di moda, blogger e studenti di fotografia. Passano molto tempo online, quindi questo è il modo migliore per raggiungerli. Cosa ne pensi della “rivoluzione tecnologica”? E’ fantastico. Crea democrazia in arte, ma allo stesso tempo separerà quelli che hanno talento da quelli che non ne hanno. Amo fare riprese in digitale e l’ho sempre amato. Posso creare quel carattere informale e lo stato d’animo di cui ho bisogno con le migliori prestazioni. Quale pensi possa essere il futuro del cinema? Film più specializzati per mercati più specializzati. Così il contenuto potrebbe risultare più oscuro, ma ci sarà più scelta. La cosa grandiosa è che il pubblico avrà il potere,
non solo un gruppo di individui al comando. Quindi sarà più difficile mostrare merda alle persone, perché si limiteranno a spegnere. Puoi accorgertene guardando quello che è accaduto in tv durante gli ultimi dieci anni con Mad Men, Sopranos, ecc. Progetti futuri? Il mio lungometraggio è il mio prossimo grande passo. Al momento è così emozionante. Penso al film ogni ora della mia giornata, anche quando lavoro su molti altri progetti. E’ come un piccolo mondo al quale ritorno di tanto in tanto e mi stuzzica il pensiero. Non vedo l’ora di vedere che inizi a materializzarsi. Una cosa che ti piacerebbe fare, ma non hai il talento per farla? Ha! Suonare la chitarra, specialmente dopo aver guardato It Might Get Loud. Dove ti vedi tra 10 anni? Starò facendo il mio terzo film. Chi ti piacerebbe intervistare se facessi il mio lavoro per un giorno? Perché? Hmmm. Intervisterei registi che recitano anche nei loro film. Trovo la cosa affascinante e penso ci sia qualcosa di filosofico in questo, ma non ho ancora capito di cosa si tratti. Cosa odi di più nelle interviste dei giornalisti? “Cosa ti ispira?” - la domanda più stupida del mondo. Una domanda che nessuno ti ha mai fatto ma a cui ti piacerebbe rispondere? Qual è il rapporto con un tuo lavoro dopo che l’hai finito? E’ lo stesso di quando lo stai realizzando? E la risposta sarebbe.. Risposta: No. Sento internamente il lavoro mentre lo sto realizzando, perché posso ancora modificare il risultato. Una volta finito, è come una ex fidanzata. Qualcuno a cui ero molto interessato, ma che ora non mi interessa più. Cosa farai dopo questa intervista? Scriverò le domande della mia intervista per una video installazione. Girerò domani. Una parte di questo è un’intervista. L’altra parte è uno studio in slow motion riguardo a un performer nel mezzo della sua esecuzione. www.benbriand.com
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Alexander Intervista di Depolique. Foto di James Pearson-Howes
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Alex Ebert nasce poco più di trent’anni fa in California da una famiglia di artisti; la madre è attrice, mentre il padre musicologo e psicoterapeuta. Fin da bambino sviluppa una passione per la musica, probabilmente per osmosi dagli ascolti del padre. Dylan, Johny Cash, i grandi cantautori americani; il conflitto generazionale lo spinge verso l’hip hop. O forse no. Fatto sta che il suo primo pezzo è proprio un rap. Dopo le classiche esperienze musicali liceali, a cavallo del terzo millennio, Alex forma gli Ima Robot, gruppo tra rock ed elettronica che riesce a guadagnarsi un’ottima visibilità e un discreto seguito, anche grazie a un contratto con una major, poi rotto in tribunale. Il successo, anche se solo accarezzato, e gli eccessi di una “bella vita” losangelina a base di eccessi e connessi lo portano sull’orlo del precipizio; così Alex decide di lasciare tutto, isolarsi e intraprendere un percorso di disintossicazione, durante il quale si rifugia dietro lo pseudonimo di Edward Sharpe, un alter ego creato per ricominciare, una figura messianica lontana anni luce dal vecchio Alex. E’ in questo periodo che incontra Jade Castrinos, una giovane cantautrice con cui comincia una relazione artistica e sentimentale. Poco dopo i due si uniscono ai The Masses, un collettivo che mette insieme una serie di creativi appartenenti al mondo dell’arte, dal cinema alla musica, tra cui il compianto Heath Ledger. Qui nascono Edward Sharpe & The Magnetic Zeros, un supergruppo di oltre dieci elementi che comincia a girare gli States su un vecchio scuolabus riscuotendo un successo crescente. Nell’estate del 2009 esce il primo album, “Up From Below”, un classico che più classico non si può, un omaggio al folk, al rock e alla psichedelia nell’era della rivoluzione digitale. Il nostro preferito della stagione, tra l’altro. A quasi due anni di distanza, Edward diventa Alexander per scrivere il suo primo album solista.
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Ciao Alex, come stai? Che cosa stai facendo in questi giorni? Ciao, qui tutto bene! In questo momento mi trovo in Cile, sono su un bus pubblico che viaggia da Valparaiso a Santiago… Senti, puoi dirci che cosa ti ha portato a pubblicare un disco solista? Amo registrare nella mia stanza, da solo; ma ero stanco di fermarmi a quello step, a dei demo da ri-registrare in un secondo momento. Quando si registra una canzone per la prima volta succede qualcosa di davvero unico, magico, e non volevo andasse perso. Per me si è trattato anche di una sorta rito di passaggio: ho suonato io tutti gli strumenti, ho deciso di mettermi alla prova per capire se potevo considerarmi un vero e proprio musicista, non un semplice autore che canta. Senza dimenticare che per me è stata una cosa estremamente divertente. Puoi raccontarci come e dove è nato Alexander? L’ho registrato prevalentemente nella mia camera a Echo Park, tutto eccetto l’ultima canzone, che ha visto la luce in una stanza d’albergo a Philadelphia. Stavo scrivendo tanto negli ultimi tempi, brani che avevano bisogno di essere registrati il prima possibile, ma sapevo che ci sarebbe voluto diverso tempo prima che Edward Sharpe fosse pronto per tornare in studio. Puoi dirti soddisfatto di com’è venuto? Si, amo queste canzoni. Il missaggio è stato molto impegnativo, ha richiesto molte ore, ma ne è valsa la pena. Che cosa ascoltavi quando scrivevi Alexander? Bob Dylan, Paul Simon, Sam Cooke, musica folk africana e Ariel Pink’s Haunted Graffiti. Che effetto fa passare da una band di oltre dieci elementi a ritrovarsi solo nella propria stanza con la chitarra in braccio? E’ grandioso. Entrambe le cose sono infinitamente divertenti. A che età hai scritto la tua prima canzone? Te la ricordi? Se non sbaglio a otto anni. Era un pezzo rap. E’ vero che avresti voluto diventare un rapper da piccolo? Ti piace ancora questo genere di musica? Sì. Mi piace ancora il rap che ascoltavo quando ero piccolo. Ultimamente però quasi nulla mi colpisce. Ora i rapper si prendono troppo sul serio, passano il tempo a ripetere quanto pensano di essere bravi senza spiegare come mai si sentano così fighi. I NWA sapevano raccontare storie, coinvolgere l’ascoltatore. Anche Biggie lo sapeva fare, ma Biggie riusciva anche a non prendersi troppo sul serio, era tanto sicuro di sè da essere in grado di ammiccare e sorridere una volta ogni tanto. Oggi sono un po’ tutte finte confessioni di storie che gli autori non hanno mai neanche vissuto.
Da quant’è che non esce un pezzo come Passin Me By di Pharcyde? O come They Reminisce Over You di Pete Rock e CL Smooth. Mi pare ne sia passato un po’ troppo tempo… Da quanto tempo è che la gente non sente qualcosa del genere? Nasci con Alex per diventare Edward (Sharpe) e adesso ti ritroviamo nelle vesti di Alexander: ha tutta l’aria di essere un percorso, possiamo definirle tre fasi diverse? Se si cosa ci puoi raccontare di ognuna di queste? Amico, che dire… Se questo è un percorso... Ancora non vedo la fine! Dalla distruzione alla disperata fiducia nell’amore e poi alla costruzione, fino ad oggi: una grande campo aperto davanti ai miei occhi… Quando saprò la risposta, sarò felice di risponderti. Quando abbiamo letto di un tuo esordio solista ci siamo preoccupati che l’avventura di Edward Sharpe & The Magnetic Zeros potesse essere arrivata al capolinea, invece sembra che non sia così, giusto? Quali sono i vostri programmi futuri? Edward Sharpe & The Magnetic Zeros sono vivi e vegeti! Lo saranno a lungo e spero per sempre; è la nostra grande famiglia musicale. Stiamo registrando un album in questi giorni. Penso che ci sarà una data anche in Italia quest’estate! Mi sono sempre chiesto quale fosse il significato di “Magnetic Zeros”. Mi puoi aiutare? Beh è una sorta di formula matematica che mi è venuta in mente; una forma di addizione in cui lo zero è magnetico… Non so quale sia l’applicazione ma la descriverei come un’addizione gravitazionale. Come sono andati i concerti di marzo a Londra? Ho saputo che di mezzo c’era Kevin Spacey; che ruolo ha avuto in questo evento? Straordinariamente bene! Beh, Kevin non c’era, ma i tunnel erano in parte il suo spazio e ci è stato di grandissimo aiuto. Sei mai stato in India? No, ma non vedo l’ora di andarci. Ti piace viaggiare? Dove vivi oggi? Potendo scegliere, in quale posto al mondo ti piacerebbe fermarti per un po’ di tempo? Si, infatti vivo viaggiando. La trovo una cosa magnifica. Ora ho una casa a Echo Park, Los Angeles. Dovessi scegliere di fermarmi un po’? Probabilmente a Città Del Messico oppure a Valparaiso, qui in Cile. Come stanno le cose invece per quanto riguarda gli Ima Robot? Com’è stato tornare a suonare insieme dopo tanto tempo? Il vostro disco d’esordio è stato uno dei
primi di cui ho parlato quando ho iniziato a scrivere di musica.. Tu pensa… E’ fantastico sentirtelo dire… Le cose vanno bene con Ima. Purtroppo riusciamo a trovarci solo nei ritagli di tempo e ci diamo da fare. Sento che uscirà un ottimo album di Ima in futuro. Secondo noi Home è una delle canzoni più belle degli ultimi dieci anni, l’abbiamo eletta pezzo dell’anno nel 2009. Ogni volta che la ascoltiamo però non possiamo fare a meno di pensare al rapporto tra te e Jade. Questo è gossip puro, ma in Italia ne andiamo ghiotti: come stanno le cose tra voi due? Cosa posso dirti.. Quello che c’è da sapere è che quando abbiamo scritto questa canzone eravamo semplici amici, amanti si, ma spiritualmente, non sessualmente. Poi siamo diventati una “coppia”, come si dice, ma al momento siamo solo una coppia di pazzi, compagni, partner di vita… In questi giorni abbiamo capito che Home è una canzone sull’immortale relazione tra te e il resto della creazione. Uno è sempre a casa. one is always Home. Qual è la prima canzone che ricordi nitidamente? Stand By Me di Ben E. King. Ricordi invece il primo disco che hai comprato? Il primo dei Run DMC, Tougher Than Leather. E l’ultimo? L’ultimo potrebbe essere stato il mio album, così per divertimento... Chi è l’artista musicale più sorprendente in circolazione oggi? Sono costantemente sorpreso dal fatto che i Radiohead continuino a motivarmi ad ascoltare i loro album recenti... Chi sono tra i tuoi “colleghi” songwriters di oggi, quelli che stimi maggiormente? Ariel Pink, Jade, Nico, Aaron, tutta la band insomma, Devendra Banhart, Soko… Soko è sorprendente. Dai a Soko una chitarra ed è inevitabile piangere. Anche He’s My Brother She’s My Sister scrivono delle ottime canzoni.. Anche Fool’s Gold. Amo le loro canzoni. E tra quelli di ieri? Paul Simon, David Bowie, John Lennon e Bob Dylan. Quando si fa un po’ di ricerca su Edward Sharpe & The Magnetic Zeros salta fuori il nome del compianto Heath Ledger; l’hai conosciuto? Un uomo straordinario. Un vero supporter della band. Avendo degli attori in famiglia e vista la passione per i video; hai mai pensato di cimentarti con la recitazione? Sì, in realtà sì. E potrei fare qualcosa di nuovo
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presto. Ho letto che i tuoi genitori sono persone molto creative, che ruolo hanno avuto nella tua formazione artistica? Che rapporto hai oggi con loro? Ah, sono persone fantastiche. Mia madre in particolare mi è stata davvero di grande supporto, per fortuna. Quando mi stavo lasciando andare a causa del mio disinteresse per la scuola, mio ho padre non si è preoccupato un granché, probabilmente perché reputava la cosa non grave. Mia madre invece ha fatto di tutto per cercare di stimolarmi, e quando ha scoperto che mi ero innamorato di City Lights (Le Luci Della Città) di Charlie Chaplin, ha capito che sarebbe andato tutto bene. A quel punto mi ha iscritto a una classe extrascolastica di film e regia. Mio padre era un grande appassionato di musica, ne ascoltava in continuazione. E molta di questa senza dubbio è penetrata in me. Sono entrambe persone di grandissimo supporto per quello che faccio. Come occupi il tuo tempo libero, quali sono i tuoi hobbies? Amo scrivere canzoni, a parte quello mi piace preparare pasti e pensare. Qual è la prima cosa che hai pensato quando hai saputo della scomparsa di Michael Jackson? Ho provato un immenso sentimento di immobilità, mentre cercavo di abituarmi ad un nuovo mondo senza Michael. Credi nell’oroscopo? Fino a un certo punto. Penso che in un modo o nell’altro siamo tutti collegati: la luna, le stelle e i pianeti. Quindi quando uno di questi si muove, scientificamente parlando, questa azione ha per forza di cose un effetto su di noi. Questo è il motivo per cui bisogna prestare attenzione a queste cose. In ogni caso trovo le generalizzazioni stereotipate tipiche dell’oroscopo davvero sbagliate. Pensi che il mondo finirà nel 2012 o che succederà qualcosa di particolarmente significativo? Vedo che i tempi stanno cambiando. Quello che sento è che le nostre abilità psichiche si svilupperanno significativamente; e ciò potrebbe risultare spiacevole per qualcuno. La verità avrà un ruolo sempre maggiore nelle nostre vite rispetto al passato. Non so dire se questo accadrà esattamente nel 2012, presumibilmente la cosa richiederà un periodo più lungo. Sei mai stato in Italia? Ho visto che arriverete per un concerto a fine agosto, sono in molti ad aspettarvi... Sì! Ci sono già stato e siamo davvero felici di venire a suonare. Abbiamo già anche controllato su una mappa per vedere dove fosse esattamente il posto dove suoneremo. 73
Hype Williams East London, intenti nebulosi e vicende rocambolesche. Il collettivo artistico degli Hype Williams nasce da un misterioso “passaggio di consegne”. Tale Denna Frances, personaggio che ancora oggi non si sa se esista realmente e presunta mente di tutto ciò, avrebbe consegnato nelle braccia di Dean Blunt e Inga Copeland il brief per costituire il duo musicale. Quando entriamo al Toilet di Milano per l’Hundebiss night sprofondiamo nell’incertezza. Gli Hype Williams, che di solito non rilasciano interviste, hanno pure perso il treno dalla Francia e la loro performance è a rischio. Quando arrivano, in ritardo, non c’è tempo per il soundcheck. A fine serata parliamo con Dean, artista genuino e appassionato dall’animo gentile e dal linguaggio tutt’altro che costruito. Il suo racconto svela aspetti curiosi e surreali della loro vita, fugando (quasi) ogni dubbio sulla bontà del progetto HW. L’ha capito anche Steve Goodman dell’Hyperdub, che li ha opzionati per il seguito dell’album “One Nation”, riuscitissimo flusso di ritmi sconnessi, tastiere liquide e voci registrate su nastro che oscillano tra hip hop, chillwave e pop ipnagogico.
Confermate che il vostro nome, come si dice in giro, deriva dall’omonimo regista di video hip hop (LL Cool J, Wu-Tang Clan, Missy Elliott, Busta Rhymes)? Non c’è alcun rapporto diretto con lui o interesse nell’omonimia. La gente spara cazzate. Prima di chiamarci Hype Williams avevamo un nome persino peggiore di questo. E’ successo che stavo guardando Mtv con Denna, un altro membro di questo progetto (che non è qui oggi) e ad un certo punto lei ha nominato Hype Williams perché stavano
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passando un suo videoclip. A me non piace quel regista, né mi interessano le cose che fa. Però sai com’è, quando stai cercando il nome per un progetto e non sai come chiamarlo… A distanza di due anni mi sono pentito e avrei voluto cambiarlo, ma ormai era troppo tardi. Dunque non l’abbiamo scelto appositamente, ma agli occhi della gente sembra così perché allora non eravamo conosciuti e nessuno ci faceva caso mentre adesso gli si dà fin troppa importanza. Come vi siete conosciuti tu e Inga?
Mi è stata suggerita sempre da Denna, colei che mi ha consegnato il progetto HW senza però darmi ulteriori specifiche. Inga è una ragazza russa che ho conosciuto e sposato per corrispondenza. Conosci quel genere di servizio, no? Affinché il contratto fosse possibile e soprattutto legale bisognava giustificare in qualche modo “l’acquisto” e così ho dovuto insegnarle a suonare alcune canzoni. L’ho “ordinata” nel 2008, lei è arrivata in Inghilterra ed è diventata parte integrante del progetto.
Intervista di Gaetano Scippa. Foto di Kuba Dabrowski
E’ stata un’operazione puramente artistica o di natura anche sentimentale? Entrambe, penso. Arte e vita sono la stessa cosa, non credi? Quelli che vivono in un mondo falso la chiamano arte, quindi forse anche il nostro matrimonio è un progetto artistico. Avete sempre avuto ambizioni artistiche? No, io fino a poco tempo fa ero un pugile quasi professionista. Mi facevano combattere contro gli arabi, ma ho smesso da quando
ho perso un incontro e sono stato messo al tappeto. Adesso dedico la maggior parte del mio tempo in studio a fare musica e nell’arte, mentre Inga lavora in un negozio di armi a Berlino e la sera, dopo il lavoro, mi raggiunge e mi porta da mangiare il pollo. Questa è la nostra routine quotidiana. Meglio non farvi arrabbiare dunque. Esatto (ride, ndr). In realtà è lei (Inga, ndr) la più pericolosa dei due, i miei pugni si sono un po’ arruginiti.
Dalla vostra musica sembrano emergere frammenti d’infanzia, ricordi. Dove siete cresciuti? Inga in Estonia, io a Hackney, quartiere a nordest di Londra, dove ho fatto molte cose cattive. Poi a un certo punto ho smesso di farle, ma non ricordo nemmeno quando e perché. Non credo che ogni forma d’arte debba avere un suo eguale. La differenza tra un artista e una persona normale è che l’artista è una spugna che assorbe qualsiasi espe-
rienza. Anzi, più che una spugna direi un prisma, un caleidoscopio che assorbe una luce e la riflette in mille modi diversi. Ho vissuto molte vite differenti, e ognuna di queste si è riflessa in modo non intenzionale nella mia musica. Non penso che emerga qualcosa del tipo: “voglio fare questo, quest’altro o quello”, ma che venga fuori qualcosa e basta. Qualsiasi tentativo di riprodurre uno stile piuttosto che un altro si è rivelato una vera merda, quindi alla fine facciamo quel che facciamo.
Ammetti di aver provato a seguire qualche stile in particolare? Sì, quand’ero più giovane e suonavo nei gruppi tutti si ispiravano a qualcuno, anche se per la verità io non amo seguire la stessa musica per troppo tempo. Non so risponderti, forse potrò farlo da vecchio. Al momento vivo l’attimo e la mia musica suona come suona. E’ il risultato del fatto che ascolto moltissima roba, più o meno valida, ma anche che mi interesso all’arte e mi piacciono altre cose.
A sentirvi e vedervi sul palco sembra ci sia un’intesa speciale tra di voi. Non si direbbe che vi conoscete solo da due anni. Come riuscite a mettere insieme trascorsi così diversi? Siamo due persone completamente diverse, opposte, eppure in qualche modo inspiegabile i nostri background insieme funzionano. Abbiamo trovato una fessura tra gli opposti. Per esempio lei sa lavorare agli arrangiamenti, sa suonare le tastiere mentre io al massimo schiaccio solo i tasti neri e mi va bene
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così. E’ questo il segreto, se fai in questo modo non puoi sbagliarti. A proposito di alchimia, cosa intendete quando parlate di “mystical shit”? Ah sì, intendi il pezzo “Karen Hates The Forest” dove lei canta “Six six six I’m gonna do it”? Le persone sono ossessionate e spaventate dalla magia, ma al tempo stesso non ci capiscono un cazzo. Ciò che conta per me è il quotidiano: trovo spunti più interessanti dalle cose noiose ma tangibili di ogni giorno rispetto a quelle spirituali. “Mystical shit is mystical shit”. Questo, almeno per me, è il suo significato. Fanculo la foresta, datemi la città. Parlando di città, come mai vi siete trasfe-
riti a Berlino? Perché ho bisogno di sistemarmi in un posto dove non conosco nessuno. A Londra ho conosciuto troppa gente, scopato con troppe ragazze, mi sono procurato troppi guai e ricevuto troppe legnate in testa. Devo stare in un luogo in cui la gente non voglia ammazzarmi, capisci. Penso che Berlino, almeno per ora, da questo punto di vista sia una città sicura per me. Oddio, un paio di tizi sono venuti lo stesso a cercarmi da Londra… Sai, non voglio distrazioni, ma solo dedicarmi alla creatività, stare in studio, fare musica, film, scolpire, qualsiasi cosa. Non siamo musicisti, ma artisti. La musica è soltanto una parte di ciò che facciamo,
anche se ultimamente le nostre registrazioni stanno uscendo in fretta. L’appartamento di Berlino in cui viviamo con Denna (che crea ogni progetto) è spazioso, ospita uno studio dove lavoriamo. Mi piace l’arte del tuxedo: sto riproducendo la cover di “Tv Party” dei Black Flag con dei tuxedo in volpe, ma non sta venendo benissimo. Una delle volpi è troppo grassa e la devo smagrire. Mi hanno chiesto di farne una mostra a Dubai, ma non credo di volerci andare. Non eseguo lavori da mostrare, ma per il gusto di farli. Delle esibizioni e spedizioni se ne occupa Denna, io penso solo a creare. E’ la città la tua principale fonte d’ispirazione?
No, (Glenn) Danzig, Danzig, Danzig è Dio! E’ lui l’ispirazione di ogni cosa. E’ la stessa risposta che darebbe Lars Ulrich dei Metallica. Ma certo (si entusiasma, ndr)! Conservo ancora una delle mie foto preferite con Glenn Danzig e James Hatfield insieme, da paura. Dal metal al pop ipnagogico. Cosa pensi di quest’ultimo come genere? Cos’è l’hypnagogic pop? Mi piacerebbe tanto saperlo e che qualcuno me lo spiegasse, così potrei dare una risposta. Conosco il
significato e l’origine del termine, ma non ho idea di come possa essere associato alla musica. La cosa divertente è che ci definiscono pionieri di questo genere. Penso comunque che sia stato coniato da David Keenan di The Wire, un tipo in gamba. Non so che musica sia, non ascolto alcun tipo di musica quindi non riesco nemmeno a immaginarla. Non conosci Sam Meringue (Matrix Metals)? Nemmeno James Ferraro? Ho ascoltato solo un pezzo di James Ferraro e l’ho trovato figo, molto Los Angeles. Da
quanto ho capito è un suono che arriva dagli Stati Uniti, una terra che in ogni caso non mi appartiene. A pensarci bene, anche la musica di Burial, di Nick Drake o degli Everything But The Girl potrebbe essere considerata H-pop. Dipende da chi sei e da come ti rapporti alla musica. Cosa mi dici di Wiley? Penso sia un genio, ed è per questo che molti dei pezzi di One Nation sono tratti dai suoi testi (Your Girl Smells Chung When She Wears Dior ad esempio, ndr). Wiley è uno
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degli artisti migliori che abbia mai visto negli ultimi vent’anni. E’ una persona limpida e senza filtri: dice ciò che vuol dire e fa quello che intende fare. Non mi piace tutto quello che ha pubblicato, ma lo rispetto enormemente come artista e ne apprezzo le intenzioni pure. Mi piace il suo modo di rappare, ma non cerco di imitarlo. Il mio MCing è totalmente diverso. Come mai molte vostre tracce sono senza titolo? Non ce l’hanno e basta. Non c’è una spiegazione, non hanno un nome così come non esistono le categorie di giusto e sbagliato. La gente dovrebbe liberarsi della convinzione che debba esserci per forza una struttura
in ogni cosa. Cos’è per te la libertà? Poter scegliere di non navigare su Internet, di non leggere blog né recensioni. Fanculo Internet. Cos’hai contro Internet? In realtà non ce l’ho con Internet, ma con quelle persone che arrivano in un ambiente dove credono di poter dire tutto quello che vogliono pretendendo che la gente li ascolti. Nell’antichità esistevano solo pochi uomini saggi in grado di dare consigli, gli oracoli. Non sono contro la libera espressione, ma adesso pare che tutti abbiano la verità infusa e parlano contemporaneamente. Molti dovrebbero chiudere la bocca. Se prima tre
persone parlavano e milioni le ascoltavano, oggi sono milioni quelle che parlano e quindi non si è più in grado di ascoltare. Ognuno dovrebbe assumere il ruolo che gli compete, gli ascoltatori come ascoltatori e gli artisti come artisti. Bisogna staccarsi da Internet e dal caos, per rigenerarsi. Se per ipotesi oggi potessimo tornare indietro come allora, chi secondo te dovrebbe ricoprire il ruolo dell’oracolo (a parte Glenn Danzig)? Non lo so, però qualcuno dovrebbe assumersi questa responsabilità perché non possono farlo tutti. Circolano troppe idiozie, nessuno ha una propria opinione perché sommerso da quelle degli altri. Ecco per-
ché bisogna staccarsi dall’omologazione, ritrovare la saggezza, cercare idee solide, essere liberi di pensiero e di azione. Anche col rischio di sbagliare, bisogna provare a fare delle scelte autonome altrimenti si è persi per sempre. E’ per questo che non faccio molte interviste, sono un po’ irritabile. Dovrebbe farle Inga, che è più intelligente di me (sorride, ndr). Non ci credo. Qual è il vero motivo per cui non vi fate intervistare? Perché non c’è niente di cui parlare. Prefe-
risco parlare attraverso la musica, il lavoro, la cosa più onesta che esista. Se facciamo conversazione, probabilmente l’85 per cento delle cose che ti dico sono bugie. Se ascolti l’album, invece, capisci che è onesto al cento per cento. Allora parliamo della vostra musica. Come fate a comporla e produrla? Non usiamo programmi al computer perché non li sappiamo usare. Ad essere onesti Inga sa come si fa, ma io non ho la pazienza di seguirla. Preferisco registrare su nastro,
come ho sempre fatto. Registriamo e mixiamo tutto su un Tascam Portastudio otto tracce a cassetta. Certo, rimane il fruscio di fondo e forse dovremmo usare nastri più puliti, perché più ci registriamo sopra e più si sentono peggio quando li riversiamo al computer. Ma questo è il nostro processo e non intendiamo cambiarlo, nemmeno per il prossimo disco su Hyperdub. Gli manderemo le registrazioni così come verranno, e sono sicuro che a Kode9 piaceranno. Al di là del discorso prettamente musicale, Steve
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Goodman è una persona straordinariamente intelligente. Come avete conosciuto Kode9? Ci ha chiesto di mandargli dei pezzi via mail. Poi ci siamo incontrati a una serata Hyperdub a Berlino e abbiamo pensato di fare 78 PIG MAGAZINE
qualcosa insieme. Abbiamo ricevuto diverse offerte da label più grosse, ma abbiamo sempre rifiutato. Non ci interessa vendere dischi, né farci sopra dei soldi. Inoltre non penso che la nostra roba possa essere capita e apprezzata dalle 20mila persone a cui la
manderebbe la Domino. Quindi perché non restare su un’etichetta che apprezziamo e che capisce ciò che facciamo? Per l’Hyperdub siamo una scommessa, essendo molto diversi dal resto delle loro produzioni. Dimostrano coraggio e apertura, non prendendoci
troppo sul serio. C’è già chi ci scrive insultandoci per questa scelta… Perché non volete vendere dischi? Voler fare musica per se stessi invece che per gli altri non è una scelta egoistica. Non è nemmeno una scelta. Io semplicemente
sento che non saprei cos’altro fare al di fuori dell’arte. Forse tornerei a fare il pugile e perderei altri incontri. E’ chiaro che sono felice se oggi guadagno abbastanza da potermi permettere di continuare a fare questo lavoro.
Riuscite a campare di musica? Per qualche strana ragione sì, ci riusciamo. Quello che facciamo ci rende più di quanto ci costi realizzarlo. E’ piacevole, anche se l’hype è una stronzata: ogni cosa ha i suoi momenti alti e bassi, quindi meglio non farci caso. Avete altri progetti a parte Hype Williams? Ho fatto un album che dovrebbe uscire a breve con un gruppo tutto al femminile, le Danity Kaned (Danity Kane è un gruppo di sole donne nato da un format tv americano, ma non garantiamo sulla veridicità dell’informazione, ndr). Sono fighe, con le espressioni da consumatrici di metamfetamine. Inga, invece, ha scritto un libro di cucina. E’ importante mantenere uno stato mentale alterato per produrre musica e arte? Dipende da cosa intendi per “mente alterata”, dove si trova la tua testa. A mio parere un manager che si spacca di lavoro tutta la settimana deve avere la mente alterata. Per raggiungere certi livelli nella società in cui viviamo possono essere coinvolti molti elementi esterni, ma in che misura è un fatto privato. Per me che non vivo da straight edge l’erba è come il cibo, fa parte della mia vita. Kevin Martin (The Bug, King Midas Sound) dev’essere un esperto: mi ha detto che il nostro album precedente sapeva di erba, questo qui di coca, e si aspetta che il prossimo sappia di crack (risata, ndr). Uno stato di semicoscienza si percepisce dall’ascolto di “One Nation”… Eh già, l’abbiamo registrato a Tottenham in due giorni ed eravamo effettivamente in uno stato semicosciente, dopo aver assunto pillole in quantità. Qual è il tuo cibo preferito? Crack! Crack! Crack! Crack fritto, crack arrosto, crack sauté. Qual è stato il tuo miglior concerto? Odio suonare in giro, questo è il nostro ultimo tour. Il miglior concerto è stato quando ho suonato per mia madre e il suo nuovo marito mentre facevano l’amore. E’ stato intenso, emozionante. Come ti vedi tra dieci anni? Non mi piace indulgere al presente, figuriamoci al futuro. Forse sarò morto. L’anno prossimo è il 2012: saremo tutti morti. Allora ci credi? Non odiavi la mistica? Non credo in queste cose. Credo solo nel racconto della Rivelazione nella Bibbia, la migliore storia mai scritta. Spero sul serio che si avveri. Questa generazione è rovinata e deve finire. Ecco perché non voglio avere figli. Solo il mio gatto, Gigi, che odia le donne. Io invece amo le donne. Sono fantastiche.
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Tensnake Marco Niemerski, in arte Tensnake, è l’autore di uno degli anthem della passata stagione musicale. Quella “Coma Cat” che con la sua melodia solare ed estiva ha conquistato prima i più sofisticati club underground, grazie all’intuizione della Permanent Vacation, label attivissima in ambito Nu-Disco, per poi invadere le big room delle discoteche di tutto il mondo, complice l’interessamento e la ristampa della Defected, multinazionale del dancefloor che gli ha aperto le porte di Ibiza e dei circuiti mainstream. Il produttore tedesco però, nonostante il successo, non ha perso la sua identità di perfezionista del suono e da circa un anno prepara il ritorno sulle scene deciso a stupire un pubblico sempre più vasto con una carrellata di nuove tracce. Lo abbiamo incontrato reduce da una febbrile session di registrazione a Londra, di cui attendiamo con ansia i primi risultati previsti per la fine di maggio 2011. In cantiere infatti c’è un box set in edizione limitata su Vinyl Factory che vedrà la partecipazione esclusiva di Jas Show dei Simiam Mobile Disco e di Lone, talento d’oltremanica autore dello splendido “Emerald Fantasy Tracks”. Tra disco, house, pop e nuovi suoni elettronici Tensnake si candida così a un ruolo da protagonista anche quest’anno. Lo sguardo rivolto verso la pista da ballo e il cuore che pulsa per i grandi classici del passato, da Arthur Russell a Larry Levan, passando per la New Wave e l’indie anni novanta. Intervista di Marco Lombardo. Foto di Paul Herbst Da un dj di Amburgo ti aspetteresti le solite macchinazioni techno, minimali ed asciutte. Cassa dritta, qualche inserimento glitch, un accenno di melodia e pedalare. Non certo il suono caldo e avvolgente di una steel drum pronta a disegnare un motivetto appiccicoso e istantaneo, in grado di rimanerti in testa per giorni dopo il primo ascolto. Il tutto supportato da un impianto ritmico figlio di una nuova evoluzione della migliore disco music mescolata alla house degli anni novanta. Coma cat, il brano che ha reso famoso Marco Niemerski invece è un’autentica rivelazione. Un gioiello crossover che supera le categorie per incagliarsi nell’inconscio degli ascoltatori, candidandosi di diritto al ruolo di classico moderno negli anni a venire. La punta dell’iceberg di un talento che ancora non ha espresso tutto il suo reale potenziale e che lascia intravedere enormi margini di crescita, soprattuto in territori pop oriented. Non parlategli di NuDisco però. Tensnake non ama le etichette,
specialmente quelle create ad hoc dagli addetti ai lavori. Dopo mesi trascorsi dietro le console dell’intero pianeta, duranti i quali si è guadagnato la fama di autentico party boy, è pronto a tornare sulle scene con un bagaglio di nuove influenze e nuove contaminazioni. Riuscirà a sorprenderci ancora una volta? Ciao Marco come stai? Benissimo grazie! Sono appena tornato da un mese di vacanza. Mi sono riposato e ho messo da parte un bel po’ di energia per i prossimi show, in attesa della stagione dei festival ormai imminente. Dove ti trovi in questo momento? Sono a Londra. Sto registrando una nuova traccia e mixando il master del mio prossimo singolo, Something about you, che verrà pubblicato alla fine di maggio. Inizialmente farà parte di un box set in edizione limitata su Vinyl Factory. Il packaging è stato disegnato dai ragazzi di Droog, una compagnia
di creativi olandesi davvero fenomenale, hanno fatto un lavoro stupendo. Ho coinvolto nel progetto Lone (all’anagrafe l’inglese Matt Cutler, autore dell’acclamato Emerald Fantasy Track) e Jas Show dei Simiam Mobile Disco, che hanno rieditato con me tutte le tracce. La release si chiamerà Tensnake Live +. Bisognerà essere veloci per accaparrarsela perché ne stamperemo solo mille copie nel mondo. Siete avvisati… Presentati ai lettori di PIG. Raccontaci un po’ di te e della tua storia… Con piacere! Ho trentadue anni, sono nato e cresciuto ad Amburgo, in Germania. Prima di diventare un produttore musicale ho sbarcato il lunario facendo una miriade di cose diverse. Ho lavorato presso una compagnia di promoter, poi sono passato ad una agenzia pubblicitaria. Nel 2005 ho fondato un’etichetta discografica con i miei amici Stephan Lorenz e Maik Pallasch (la Mirau, http://miraumusik.com/) e subito dopo ho iniziato a produrre con il moniker Tensnake.
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“All’epoca della mia prima band, durante gli anni delle superiori, la musica era una scusa per fare colpo sulle ragazze il più possibile. In fondo non ci interessava granché. Era più che altro un modo per aumentare le possibilità di essere notati in un mercato terribilmente competitivo: il cortile della scuola”. All’inizio la musica era solo un hobby. Ci sono voluti parecchi anni per affinare una tecnica che mi soddisfacesse e creare un suono nel quale potessi riconoscermi pienamente. Ho pubblicato con etichette come Running Back, Mule, Defected e Permanent Vacation. E da allora ho anche fatto qualche remix per alcuni artisti di rilievo: Foals, Junior Boys, Goldfrapp, Scissor Sisters, Aloe Blacc e di recente anche Hercules & Love Affair. Ho remixato il loro ultimo singolo, My House. Cosa ti ha spinto a dar vita al progetto Tensnake? (Ride) Beh… All’epoca della mia prima band, durante gli anni delle superiori, la musica era una scusa per fare colpo sulle ragazze il più possibile. In fondo non ci interessava granché. Era più che altro un modo per aumentare le possibilità di essere notati in un mercato terribilmente competitivo: il cortile della scuola. Anche se alla fine non mi ha mai aiutato molto. Comunque alcuni anni dopo mi sono addentrato nel mondo della produzione e ho scoperto che poteva essere il canale perfetto per esprimere le mie emozioni. Non importava se fossero tristi o felici. Spendere intere giornate all’ascolto di un loop mi faceva raggiungere uno stato quasi meditativo. Ho iniziato a comprare vinili nel ’92. Soprattutto materiale house da Chicago, New York, Detroit, che mi influenza ancora oggi. E’ stato come scoprire un nuovo universo sonoro che poi è entrato nel mio dna. Perché il nome Tensnake? Come ti è venuto in mente? Qual è il suo significato? Me lo sono inventato dal nulla. Letteralmente è solo l’invenzione di una parola di cui mi piaceva il suono, senza alcun significato profondo. Ero alla ricerca di un qualcosa di unico, fresco e inusuale. Mi è sembrata la scelta perfetta. Un nome immediato, facile da ricordare, che dopo qualche giorno mi è rimasto appiccicato addosso. Come descriveresti la tua musica a chi non l’ha mai ascoltata prima? Sono sempre in difficoltà quando arriva questo momento. Credo sia un qualcosa
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che mischia diversi generi nell’ambito dell’elettronica. Un mix di emozioni diverse che si realizzano solo nel momento effettivo della composizione. Non c’è mai nulla di premeditato in quello che faccio. Non sono alla ricerca di uno zeitgeist estetico o di uno stile preciso. Voglio sperimentare, provare soluzioni differenti, senza pormi alcun paletto. Non credo che la mia musica possa essere definita disco music, come ultimamente stanno facendo in molti. Il mio intento è quello di scrivere tracce che possano durare nel tempo, al di là delle mode passeggere. Qualcosa che la gente possa apprezzare e ascoltare con curiosità anche tra decenni. Mi piacerebbe poter dire di aver raggiunto un suono senza tempo e di aver forgiato un’estetica originale, nonostante i paragoni. Quali sono gli artisti che hanno influenzato l’immaginario di Tensnake? Sono sempre stato un fan della musica costruita su grandi melodie e dei classici in generale, di ogni epoca e genere. La disco music più tradizionale, il soul, il boogie e il pop degli anni ottanta, come i Talk Talk e tutto ciò che ci sta in mezzo. Sono ossessionato da tutte le produzioni su 12” di Larry Levan. Mi piacciono anche molte cose indie anni novanta e la new wave inglese del decennio precedente. Per quanto riguarda invece l’attualità trovo di grande ispirazione i vari Caribou, Four Tet, Joy Orbison e Lone, di cui sono un estimatore sfegatato. C’è qualche artista in particolare con cui senti di condividere la stessa visione? La mia anima gemella dal punto di vista musicale è Gerd Janson della Running Back Records. Ha pubblicato sulla sua etichetta alcune delle tracce di Tensnake: Holding Back My Love e In The End. Condividiamo lo stesso gusto estetico e lo stesso approccio artistico. Cosa che vale anche per i Tiger And Woods, una band che ha appena messo sotto contratto. La loro musica è pazzesca e pubblicheranno presto un album, sempre su Running Back Records. Si chiamerà Through The Green. Segnati questo nome, ne sentirai parlare parecchio nei prossimi mesi.
Ti aspettavi il successo di Coma Cat, il brano che ha letteralmente invaso i dancefloor di tutto il mondo nel 2010? Ci speravo ma non potevo immaginare tutto quello che è venuto dopo. E’ il pezzo che mi ha permesso di fare un salto di visibilità. Sapevo che aveva le possibilità di arrivare a pubblici molto diversi. Lo puoi ascoltare in un club e farti trascinare, così come lo si può apprezzare a casa o in macchina, in tutto relax. E’ istantaneo, immediato e anche il resto dell’ep è molto accessibile. Cosa stai ascoltando in questo periodo? Ci consigli qualche disco? Sto consumando 93 Million Miles di Africa Hitech, House Of Balloons dei The Weeknd, l’ultimo di Lone, Machine Dreams dei Little Dragon e qualsiasi cosa abbia registrato Arthur Russell. Artisti con cui ti piacerebbe collaborare? Ce ne sono un bel po’ e spero nelle prossime settimane di riuscire a coinvolgere qualcuno di loro come ospite nel mio album di debutto. Per scaramanzia non mi sbilancio a fare nomi, sarà una sorpresa. Voglio mantenere il mistero. Stai lavorando a qualche nuovo remix in questo momento? Sto ultimando un remix per Mark E. Ha un suono molto diverso dal classico stile Tensnake. La gente ne rimarrà abbastanza sconvolta credo. Poi mi dedicherò anima e corpo alle mie produzioni e cercherò di ultimare il mio disco di debutto. Ci lavoro ormai da parecchio tempo e mi piacerebbe riuscire a pubblicarlo entro la fine dell’anno. L’ultimo disco che hai comprato? Keep The Fire di Kenny Loggins, una perla del 1979. Se potessi viaggiare indietro nel tempo in quale periodo storico ti piacerebbe vivere? Mi affascina molto l’immaginario edonistico della Berlino degli anni venti. Un periodo estremamente creativo. E non mi dispiacerebbe aver vissuto l’autentica disco-era al Paradise Garage. Cosa ti fa ridere? Il mondo dell’industria discografica!
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Giada Photographer: LUCA CAMPRI Stylist: FABIANA FIEROTTI Assistant Stylist: MICHELA BIASIBETTI Make up: THAIS BRETAS @ Atomo Management Hair: PAOLO SOFFIATTI Model: GIADA SCHILLACI @ MP Management
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Anelli UGO CACCIATORI e MARIA FRANCESCA PEPE
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Top e cintura vintage, shorts RVCA, scarpe DR. MARTENS
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Camicia e shorts CK ONE, cappellino FEBRUARY, top VINCE, cintura vintage
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Top vintage BEYOND RETRO, shorts DIESEL BLACK GOLD
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Vestito KSUBI
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Vestito KSUBI, scarpe DR. MARTENS
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Tutina ILARIA NISTRI, gonna MISS SIXTY, collana vintage SHARRA PAGANO
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Top PAUL SMITH, fuseaux PUMA BY HUSSEIN CHALAYAN, scarpe DR. MARTENS
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Salopette CALVIN KLEIN JEANS, top vintage
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Giacca RAF BY RAF SIMONS, top VINCE, shorts KSUBI, scarpe DR. MARTENS,occhiali vintage
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Abitino PAUL BY PAUL SMITH, scarpe DR. MARTENS
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Mutandine CK ONE, anelli UGO CACCIATORI, MARIA FRANCESCA PEPE, SIMONE EL RANA
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Yesterday... T-SHIRT SPECIAL Photo: RICHARD CHOI (www.richardchoi.com) Models: JUSTO AROSEMENA, SOFIA ORTIZ, JINJU LEE, MATTHEW GRUBB, MATTHEW BOOTH, FELIX R. CID, TERTTU UIBOPUU, DORON LANGBERG, SUSAN SURFACE. Special thanks: Matthew Grubb e Terttu Uibopuu (per aver organizzato la festa), studenti di YSoA (Yale School of Art) per aver partecipato, Jinju Lee (per tutto).
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PIG List:
La playlist di questo mese l’ha redatta e raccontata a PIG l’artista britannica trapiantata a Berlino Janine Rostron, in arte Planningtorock, in uscita col nuovo disco “W” su DFA in questi giorni.
Planningtorock 1. Etta James - Something’s got a hold on me “Amo la voce di Etta James e la sua presenza sul palco. E’ un tale personaggio, soprattutto in questa canzone, in cui canta con improvvisazioni incredibili all’inizio.” 2. Anne Clark - Our Darkness “Penso sia molto difficile parlare/cantare di politica e Anne Clark è straordinaria in questa canzone: grande intensità e passione e il suo messaggio è ancora oggi attuale”. 3. Ann Steel - My Time “Ann Steel ha una delle voci più originali ed uniche che io abbia mai sentito. La amo.” 4. Oni Ayhun - OAR-004-A “Questa è la mia canzone preferita di Oni Ayhun. Amo quei duri suoni metallici.” 5. Creep - Days “Bella canzone dei miei amici Creep. Farò un featuring in una canzone del loro prossimo album”. 6. Tune Yards - Bizness “Amo la voce di Merril Garbus. Così appassionata e stranamente androgina. Questo brano è brillante anche musicalmente.” 7. Bill Nelson - Do Your Dream In Colour “Questo ragazzo ha un sacco di musica alle spalle. Questa è personalmente la mia preferita. Ha un tempo molto particolare e amo il sassofono”. 8. Light Asylum - Dark Allies “Questa è la mia canzone preferita tra quelle di questa band. Amo la voce e la forza coinvolgente della canzone”. 9. Soap & Skin - Janitor of Lunacy “Anja Plaschg è una grande cantautrice e la sua voce e la pronuncia del testo in questa canzone sono incredibilmente interessanti”. 10. Roxymore - Lonelyritournelle (Demo) “Hermione Frank alias Roxymore sta facendo dell’ottima musica elettronica. Questo è uno dei suoi demo e spero che pubblichi presto la sua musica”.
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Di Gaetano Scippa
Foto di Jake Green
Musica Album del mese
James Pants - s/t (Stones Throw) Perseverare diabolicum est. Ma nel caso di James Singleton, meglio noto come James Pants, anche la fortuna deve aver giocato un ruolo importante. Nel ’99, invece che presentarsi con la sua bella al ballo scolastico di fine anno, preferisce assistere – vestito di tutto punto – a un djset texano di Peanut Butter Wolf, boss della Stones Throw. Tra i due scoppia l’amicizia, fanno shopping di dischi e qualche anno dopo James diventa stagista per la sua etichetta preferita. Ma il vero “benvenuto” arriva nel 2008 con la firma per la label californiana e il meritato successo del primo album. Il batterista, anzi polistrumentista, conquista la scena frullando campionamenti e beats anni ’80, fino a sporcare il boogie lascivo degli esordi con il frastuono di chitarre. Il suo terzo lavoro non
solo conferma questa tendenza, ma mostra ottimi livelli di forma canzone. E’ pop caleidoscopico figlio dei suoi tempi, tra riverberi wave-ipnagogici (Screams of Passion), revivalismo kraut (Beta, Strange Girl) o entrambi insieme (A Little Bit Closer), più qualche arrangiamento surreale d’ispirazione lynchiana. Se Darlin’ è come sentire i Suicide baciati da Phil Spector, Strange Girl spoglia i Jesus & Mary Chain della dannazione e degli abiti, portandoli alle Baleari. Shoegazing ammiccato e dream pop fluttuante (Incantation, Dreamboat) fanno emergere le voci di questo disco, tra cui quella della moglie Kathleen (a cui è dedicata la sensuale traccia omonima) e della cantante catalana Lucrecia Dalt, già collaudata alla RBMA e qui impreziosita in un paio di occasioni: il
synth-pop di Clouds Over the Pacific col suo coro da canticchiare al chiaro di luna (“Is this true?”), come del resto tutto il disco, è destinato a far breccia anche tra gli ascoltatori più romantici e gotici in circolazione.
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Musica Album del mese
Di Depolique, Marco Lombardo e Gaetano Scippa.
Shine 2009 - Realism (Cascine) A sentire i dischi dell’ultima decade, viene da pensare che gli scandinavi facciano grandi sogni: spiagge lontane e la musica di anni che non ritorneranno, soprattutto. D’altronde è al freddo che si dorme bene, e si pensa meglio. Sami e Mikko vengono da Helsinki, Finlandia. Non l’ennesimo duo svedese; tantomeno norvegese. Un nome che congela un’istante ed è già vintage. Come il capo di un brand che riemerge da una bancarella con tutti i suoi ricordi, così è la loro musica: dance pop e nostalgia, drum machine e malinconica leggerezza, sospiri e stile. Dei Sant Etienne calati dal Nord o più semplicemente figli degli anni ottanta. Niente di nuovo per chi c’era, si potrebbe anche dire, ma fatto a regola d’arte. D.
Africa Hitech - 93 Million Miles (Warp) Anticipato dall’EP Hitecherous, quest’album unisce le forze di un peso massimo dell’elettronica come Mark Pritchard (Global Communication, Harmonic 313) con quelle di Steve Spacek, che apporta la sua esperienza in campo hip hop, soul e dancehall. Undici pezzi dai bassi aggressivi, loop martellanti, spigoli dubstep, innesti 8 bit e quant’altro possa lanciare in un’altra galassia le radici della musica black. Come chiarisce Out In The Streets, manifesto (im)possibile di una Giamaica regnata dai Kraftwerk. C’è spazio per tribalismi (Spirit, Cyclic Sun) e tregua tecnologica (Our Luv, Don’t Fight It), ma un nuovo afrofuturismo è già in atto. G.S.
Jamie Woon - Mirrorwriting (Polydor) Quando il songwriting tradizionale, da soul singer bianco, incontra i nuovi suoni made in uk… Jamie poteva finire nel dimenticatoio di qualche triste pub londinese, dove ci si sfida sul palco per una cena e una pinta di birra. E invece, grazie alla folgorazione sulla via di Burial e Ramadanman, freschi amichetti di merende notturne a base di subwoofer e ritmiche post, il gioco è diventato estremamente interessante. Il territorio è quello del pop in odore di chart, sensuale e avvolgente. Asciugate Timbaland da ogni manierismo trance, aggiungetegli l’eleganza sintetica di Fever Ray. Qua e là, lasciatevi addirittura inebriare dal fantasma di William Orbit, periodo “stato di grazia”/fine anni ’90. Con qualche forzatura potremmo quasi definirlo AOD: dubstep per adulti. M.L.
The Weeknd - House Of Balloons (Self-Released) Il nuovo R&B che avanza, rompe gli argini e invade l’immaginario indie. House Of Balloons, album in free download mascherato da mixtape, è tutto questo. Da Toronto, Canada, al resto del mondo. Il tempo di un paio di canzoni su You Tube: Loft Music e What You Want. E il miracolo dell’hype si compie di nuovo. Abel Tesfaye alla voce. Doc McKinney e Illangelo in fase di produzione. Tra le mani la mappa semiotica dell’evoluzione di un genere. Da Drake a Kanye West, passando per The Dream, R.Kelly, Beach House, sino ad arrivare a Burial, James Blake o gli Avalanches. Sensualità e malinconia. La festa è iniziata. Speriamo non duri solo un weekend. M.L.
Tiger & Woods - Through The Green (Running Back) Su Larry Tiger e David Woods le notizie sono poche. Per quel che ne sappiamo, potrebbero anche essere anche i nostri vicini di casa. D’altronde il mistero si è rivelato componente fondamentale, basta vedere la sfilza di artisti mascherati, fumettati e cartonati balzati agli onori della cronaca… Leggenda vuole si incontrino in un negozio di dischi, dove duellano per un vinile sconosciuto che stremati sono costretti a dividersi. Dagli esperimenti su quell’esemplare più unico che raro, sorta di preziosissima talea, nasce il loro sodalizio. E’ la scintilla che fa scoppiare l’incendio; da lì in poi edit su re-edit, roba per intenditori, tanto che forse neanche loro sanno più distinguere gli originali dai nati col sangue blu. Disco, house e grooves irresistibili. I due mettono in mostra una cultura musicale invidiabile e capacità sopra la norma. Il tutto, senza metterci la faccia. D.
Prefuse 73 - The Only She Chapters (Warp) Per il suo settimo (concept) album in studio, Guillermo Scott Herren si focalizza unicamente su voci femminili ritenute da lui meritevoli di attenzione. E non ha certo torto, dato il risultato a tratti davvero godibile. Uscito a testa alta dalle destrutturazioni glitch-hop e metabolizzate le atmosfere di Savath & Savalas, Herren intraprende un nuovo approccio produttivo e compositivo per crogiolarsi nella psichedelia ambient-folk, insieme ad artiste come Shara Worden di My Brightest Diamond, all’ultima Trish Keenan dei Broadcast (RIP) e alla celebrata Zola Jesus. Un viaggio agrodolce a tinte rosa per molti, ma non per tutti. G.S.
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Fleet Foxes - Helplessness Blues (Bella Union) Dopo un’attesa durata tre anni torna sulle scene il gruppo di Seattle che aveva entusiasmato critica e pubblico con l’omonimo esordio del 2008. Helplessness Blues gravita ancora una volta su coordinate folk pop, ricche di vocalismi armonici e sfumature psichedeliche. Il risultato è un upgrade graduale, con maggiori innesti country da un lato, grazie alle trame di una chitarra slide sempre più presente, e un’accentuata propensione prog, che dilata le pause e lascia spazio a nuove soluzioni ritmiche e melodiche. Tra un tour di supporto a Joanna Newsom e varie crisi creative, Robin Pecknold, la penna della band americana, ha dichiarato di aver scritto questo disco ispirandosi ad Astral Weeks di Van Morrisson. L’allievo è sulla buona strada per raggiungere il maestro. M.L.
Mark E - Stone Breaker (Spectral Sound) Dopo aver girovagato a lungo per etichette culto tra i disco-fili come Running Back, Internatjonal, Endless Flight, Golf Channel e la sua Merc, il produttore e DJ britannico lascia il 12” per il primo LP. Nato a Wolverhampton, ma cresciuto ad apnea e house music a Birmingham negli anni novanta, Mark ha probabilmente aspettato un “tremito nella forza” della scena techno inglese, per rompere gli indugi. Stone Breaker non è solo un omaggio al suo primo amore che non suona assolutamente revival, ma molto di più. Fatto tesoro dell’arte del re-edit, esercitata in tempi non sospetti, E costruisce un disco unico e moderno. Acido, ipnotico, incalzante e al tempo stesso fresco, epico e leggero. Da Chicago ad Ibiza e ritorno. D’altronde con un tale cognome… D.
In Flagranti - Worse For Wear (Codek) Difficile scegliere tra la loro disco torbida e le donnine desnude che da sempre accompagnano la loro comunicazione visiva. E’ la formula con cui Sasa Crnobrnja e Alex Gloor, maestri nell’arte del riciclo, hanno costruito il loro successo, ritagliandosi una fedele fan base tra gli appassionati di dance colta e tra i più noti colleghi. Ed è proprio dal recupero e dalla passione per i flea market che i due si propongono programmaticamente di ripartire con questo terzo WFW, lasciandosi alle spalle ,”Tu quoque!”, l’immaginario porno-chic. Figure a parte, la loro terza fatica discografica segna una svolta, apprezzabile, e suona inaspettatamente più tranquilla, per non dire affaticata. Come se dopo lunghe nottate passate tra dirty grooves e prestazioni maiuscole, i due grandi amatori avessero bisogno un po’ di rifiatare. Sogni d’oro. D.
Planningtorock - W (DFA) Janine Rostron è la polistrumentista inglese, residente a Berlino, che si cela dietro il progetto Planningtorock. Collaboratrice dei The Knife nell’opera d’ispirazione darwiniana Tomorrow in a year, Janine ha mutuato dal duo svedese il gusto teatrale della messa in scena e una lucidità sonora che mancava nelle sue precedenti prove discografiche. Complice Christoffer Berg, produttore dei fratelli Dreijer, al banco del mixer, W sfoggia un universo estetico personalissimo, in bilico tra sperimentazione elettronica e manierismo classico. Dove i ghirigori barocchi incontrano il fantasma di Arthur Russell, si spingono verso minimalismi kraut per poi sciogliersi sulle calde melodie di un sassofono alieno. Il tutto restando nei canoni postmoderni imposti dalla DFA negli ultimi anni. Sorpresa. M.L.
Gang Gang Dance - Eye Contact (4AD) I GGD provocano sempre reazioni estreme, tra chi li sostiene alla follia e chi ne è nauseato. Di fatto il camaleontico collettivo di Brooklyn in dieci anni non sembra aver perso un colpo, anzi, si è ispessito fino a raggiungere un livello di accessibilità d’ascolto quanto meno equilibrato con la propria essenza arty. Gli undici minuti lisergici di Glass Jar da soli varrebbero l’acquisto del disco, con il loro irresistibile crescendo sintetico e percussivo. I pezzi sono sempre carichi di tensione emotiva, sintetizzatori e bassi esplosivi (la bombastica MindKilla), effetti maestosi al limite del grottesco, ma a noi piacciono così. G.S.
J Rocc - Some Old Rock Stuf (Stones Throw) Emerso negli anni ‘90 per aver co-fondato il collettivo dei Beat Junkies, oltre a essere un “turntablista” coi fiocchi J Rocc è anche colui che ha accompagnato gli ultimi set di Jaylib, Madlib e Dilla assieme. SORS è il suo primo disco di hip hop strumentale, “non un mixtape né un djset e nemmeno una raccolta di beats” come recitano le note, ma un concentrato di anthem ritmici tra musica street, disco-dance, passione latina e rock fumoso dei Seventies. Tecnica da manuale e intrattenimento puro anche in un secondo CD a sorpresa con dieci brevi tracce che non hanno nulla di geniale, ma sono altrettanto piacevoli da ascoltare. G.S.
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Musica Varie
Di Depolique, Marco Lombardo e Gaetano Scippa
Taragana Pyjarama - s/t (Fools House) EP Sogno di una notte di mezza estate sul Mar Baltico. Nathan Fake su un treno ad alta velocità destinazione Baleari. O se preferite un tuffo nella neve dopo una lunga sauna. La sensazione è quella. D.
Teengirl Fantasy - Cheaters Remixes (Hivern Discs) 12” Teengirl Fantasy - Cheaters Remixes (Hivern Discs) 12” Rilettura in chiave moderna della più classica Chicago house, must della stagione passata, Cheaters resuscita tra le braccia catalana della Hivern. Talabot ai massimi livelli ci regala il primo grande pezzo dell’estate. D.
Burial - Street Halo (Hyperdub) 12”
Deadboy - Here (Numbers) EP Dopo il remix di Fireworks di Drake, ecco Deadboy alle prese con tre nuove perle. Wish you were here è pura estasi disco-house, Here 4 U puro genio broken, Aint Gonna Lie garage dal futuro. Più vivo che mai. M.L.
Todd Terje - Ragysh (Running Back) 12” Noto per i suoi memorabili re-edit, il norvegese Todd Terje rompe un silenzio lungo un lustro con quattro pezzi per la Running Back di Gerd Janson. Cool, ipnotico e senza mai alzare la voce. Come abbiamo resistito senza? D.
Trust - Candy Walls (Sacred Bones) 7” Erotomania e algide melodie pop, minimal wave e oscurità assortite, techno marziale e pensieri glaciali. Robert Alfons e Maya Postepski, canadesi, proprio normali non sono. M.L.
Talk - Big Deal (Moshi Moshi Records) 7” Kacey Underwood e Alice Costeloe. Un ragazzo americano e una tipa inglese. Pop da camera da letto. Di quello acustico e in bassa fedeltà. Smells like teen spirit. M.L.
Addison Groove - It’s Got Me/Minutes of Funk (3024) 12” Nuovo singolo in attesa del disco di debutto per Addison Groove, anche conosciuto come Headhunter. La 808 del bristoliano Tony Williams spara due infallibili cartucce tra juke di Chicago, house e dubstep. G.S.
Tommy Tempa - The Quixotic (Somethinksounds) EP Escursione di oltre ventidue minuti per questo mini album di Tommy Tempa, producer e polistrumentista di Hackney, in sette tracce elettroniche non convenzionali, stratificate, campionate, percussive e organiche. G.S.
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Dopo il sodalizio con Thom Yorke e Four Tet, Burial sorprende con un nuovo EP che dovrebbe anticipare il suo terzo album. Se le due tracce del lato B sono “solo” buone, la titletrack è una bomba a cassa dritta dirompente ed emotivamente lacerante. G.S.
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Film del mese
Di Valentina Barzaghi
The Tree of Life Di Terrence Malick. Malick è uno di quei registi che si ama alla follia o si odia, ma di cui non si può mettere in discussione il talento dietro alla macchina da presa nel saper costruire un film mozzafiato e perfetto a 360° nella sua veste tecnica e artistica. Di The Tree of Life si mormora ormai da tempo immemore: molti festival pensavano di averlo nella rosa dei titoli all'occhiello, ma la postproduzione infinita, causa il noto perfezionismo del regista, ne ha sempre rimandato l'uscita. Non ci stupisce dunque pensare che l'editing del film sia stato affidato a cinque differenti montatori, ognuno dei quali ha apportato il suo personalissimo punto di vista e di ritmo alla storia: Hank Corwin (La Leggenda di Bagger Vance, L'Uomo che Sussurrava ai Cavalli, Natural Born Killers), Jay Rabinowitz (The Limits of Control e Dead Man di Jarmusch; Requiem for a Dream e L'albero della Vita di Aronofsky), Daniel Rezende (I Diari della Motocicletta, Tropa De
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Elite), Billy Weber (Top Gun, La Sottile Linea Rossa) e Mark Yoshikawa (Lymelife). Il film è costruito a tappe e muove le fila da una storia familiare che poi va a coinvolgere diverse generazioni della stessa. Il protagonista principale è Jack, che conosciamo bambino. La sua attrazione per il mondo e la vita gli fa guardare tutto con occhi pieni di stupore. Il suo “antagonista” è il padre, interpretato da un sempre impeccabile Brad Pitt, che invece tenta di infondergli il concetto che al mondo deve sempre mettere se stesso di fronte a tutto e tutti, mentre la madre (Jessica Chastain) è il suo occhio rivolto al lato più intimo dell'animo umano. Ben presto però Jack scoprirà che la vita non è solo quella ricca di bellezze che il suo sguardo fanciullesco gli trasmetteva: si ammala. Un salto avanti nel tempo e lo troviamo cresciuto (nelle vesti di Sean Penn), cagionevole, che finalmente riesce a dare un senso alle parole del padre e al suo vero significato. The Tree of Life è tut-
to quello che potreste aspettarvi da un film del regista: ha una fotografia mozzafiato (di Emmanuel Lubezki – Burn After Reading, I Figli degli Uomini, Il Mistero di Sleepy Hollow), una narrazione profonda che racchiude una riflessione e un'investigazione sull'uomo e sul suo rapporto con la natura, un mondo in cui gli esseri umani rimangono ad osservare e farsi trasportare dagli eventi, in una sorta di concretizzazione visiva della filosofia pascaliana (“L'uomo non è che una canna, la più fragile della natura, ma è una canna che pensa”), a cui però arriva quasi a togliere l'elemento intelletivo nel momento in cui la completa fusione con quello naturale arriva quando si impara semplicemente a vivere. Ogni pellicola di Malick è godimento per gli appassionati di cinema, una piccola enciclopedia. Per gli altri sarà magari un'esperienza un po' provante, ma che a posteriori vi lascerà molto emotivamente.
Cinema
Restless Di Gus Van Sant. Dopo Milk, Van Sant torna al suo primo amore: l'esplorazione dell'età adolescenziale. Questa volta lo fa con una storia, inizialmente scritta per un palcoscenico teatrale dal giovane autore Jason Lew (la piece Of Winter and Water Birds), che racconta l'incontro tra due sedicenni e delle loro esistenze alle prese con l'amore e la loro attrazione per la morte. Restless si muove su due sentimenti agli antipodi e Van Sant non si dimentica di altalenare di continuo la messa in scena tra parti più candide e altre che invece finiscono per richiamare tonalità tra le più dark che conosciamo. Per il suo ritorno dietro la macchina da presa sceglie un cast sia tecnico che artistico di alto livello e che dimostra la sua bravura, Mia Wasikowska e Henry Hopper su tutti. Alle musiche troviamo un incredibile talento come Danny Elfman (il compositore storico di Burton per spiegarci in breve), alla fotografia Harris Savides (Lo Stravagante Mondo di Greenberg, Somewhere, Milk, Zodiac) mentre al montaggio Elliot Graham (21, Milk, X-Men 2). Adorando Van Sant, non posso che essere felice di questo ritorno.
Paul Di Gregg Mottola. Ci sono cavolate e cavolate: quelle che rimangono tali e quelle che è un piacere vedere, perché non solo intrattengono e divertono, ma sono anche ben realizzate, avendo quindi “ragione d’essere” (definite film). Paul, opera ultima del regista di film molto apprezzati da queste parti come Adventureland e Superbad, è la storia di un alieno (doppiato da Seth Rogen) che fugge da una base militare segreta. Nel tentativo di allontanarsi il più possibile, salta a bordo di un camper guidato da Graeme e Clive (rispettivamente interpretati da Simon Pegg e Nick Frost, di nuovo insieme dopo lo strepitoso Hot Fuzz) e da qui inizia un escalation di fortuite disgrazie. Rapiranno per sbaglio una donna e il padre incarognito inizierà a pedinarli, mentre allo stesso tempo anche i federali si sono messi sulle loro tracce. Sfigati e divertentissimi, i due amici hanno però un obiettivo: riuscire a riportare il loro nuovo piccolo amico alla nave madre. Tra commedia e sci-fi, un altro bersaglio al centro per Mottola.
Hanna Di Joe Wright. Nell’era in cui le donne stanno diventando più forti e di carisma degli uomini (e nell’ultimo periodo tra Kick Ass, Sucker Punch e Il Grinta ne abbiamo avuto una prova più che evidente), anche Joe Wright porta sulla scena la sua eroina, meno comics e più mitologica, ma in un film sempre dalle connotazioni action-thriller. L’adolescente e biondissima Hanna (Saoirse Ronan) è un’adolescente con la forze e l’intelligenza di uno stratega militare, ereditata dal padre (Bana), ex agente della CIA, che l’ha cresciuta in Svezia in lande desolate e tempranti e l’ha resa una perfetta assassina. Mandata dal genitore in missione in Europa, affronterà una serie di situazioni che faranno emergere la sua natura e rivelazioni su se stessa. La fama della colonna sonora di Hanna precede, come era stato per Tron (che portava la firma dei Daft Punk), quella del film: questa volta sono stati i Chemical Brothers a cimentarsi nel difficile compito di musicare una pellicola. Un film che promette di diventare un piccolo cult.
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Dvd
Di Valentina Barzaghi
Kill Me Please
Di Olias Barco. “Un giorno il suicidio sarà un diritto dell’uomo, scritto nero su bianco nella Costituzione”. E’ su questa teoria che poggia il discusso film di Barco, approdato in anteprima nel nostro paese allo scorso Festival di Venezia. Kill Me Please è la storia di una clinica sui generis, un posto in cui viene applicata l’eutanasia nel modo più indolore possibile: il paziente ha modo di esprimere e vivere il suo ultimo desiderio. Quello che sarebbe stato un normale suicidio, per definizione violento, diventa quindi un atto che si veste in un certo modo di dignità umana. Tanto che per entrare nella clinica c’è una vera e propria selezione: sono ammesse solo le persone che hanno delle reali motivazioni per sentire così impellente l’esigenza di abbandonare la vita, come un malato terminale o a chi, una malattia trascinata nel corso degli anni, l’esistenza la sta rubando lentamente e in maniera logorante. Olias Barco mette in scena una pellicola in bianco e nero, che si muove tra le tinte della commedia e quelle del dramma-thriller, in una escalation di violenza e morte. Una storia e una rappresentazione che non stonerebbero nemmeno su un palco teatrale, in cui i personaggi diverrebbero perfette maschere tragicomiche dell’esistenza umana, in cui il lato grottesco delle loro storie sta nel fatto che non hanno potuto vivere tranquillamente e ora non possono nemmeno morire felici. La morale comune – quella religiosa – è contro il suicidio e quindi noi tutti spettattori capiamo la sofferenza dei protagonisti: il loro lato più codardo che non gli permette di fare da sé, il loro voler essere felici un’ultima volta, il loro sapere “come sarà” e che non proveranno dolore perché ci sarà qualcuno che li assisterà. Kill Me Please è una pellicola coraggiosa, che smorza con i toni della commedia, un tema parecchio discusso e su cui probabilmente non si verrà mai a capo: il libero arbitrio riguardo la propria morte, quando comunque questa sta per sopraggiungere. Un film piccolo e inaspettato che con una storia abbastanza surreale, offre allo spettatore un punto di vista diverso e condivisibile sul tema eutanasia. www.cghv.it
Blindness Di Fernando Meirelles. Annunciata più volte l'uscita, in verità questo film in sala non l'abbiamo mai potuto vedere. Storia strana quella di Blindness, che fra l'altro ha un cast davvero super: Julianne Moore, Mark Ruffalo, Gael Garcia Bernal, Danny Glover... e molti altri. Se il titolo non vi dice nulla, è un vero peccato, infatti Blindness è tratto dall'omonimo capolavoro letterario del Premio Nobel Jose Saramago. Il film (come il libro) inizia con un uomo che a semaforo verde, non riparte con la sua macchina provocando isterismo nel traffico. In un primo momento non capiamo cosa stia succedendo, ma poi ci viene svelato il mistero: l'uomo è diventato improvvisamente cieco. Davanti ai suoi occhi una luce bianca come il latte non gli permette di vedere più nulla. L'uomo va quindi a farsi controllare da un medico che il giorno successivo si sveglia cieco, così come tutte le persone che gli sono venute in contatto, in una progressiva infezione “a domino”: l'epidemia si espande a macchia d'olio e ora spetta al governo capire come fronteggiarla. Gli infetti vengono rinchiusi in una sorta di ospedale con grosse precarietà igieniche e alimentari. Qui si farà internare anche la moglie del medico, unica tra tutti però a vedere ancora. Meirelles è un regista molto attento all'indagine delle dinamiche umane, soprattutto a quelle che si instaurano in uno stato di precarietà dell'essere (suoi sono City of God e The Costant Gardner): in Blindness inscena, così come lo voleva la narrazione cartacea (che però era più asettica e meno fisica rispetto al suo corrispettivo cinematografico), un dramma in cui il rapporto fortedebole viene messo in scena in tutte le sue sfaccettature, in un crescendo di violenza, e che racconta come l'uomo, privato di tutti quei vincoli che la vita “normale” gli impone, messo in gabbia con i suoi simili, diventa lui stesso un animale, perdendo quella dignità che proprio dagli animali lo differenzia. Meirelles è stato bravo a lavorare su una materia letteraria così difficile e “sacra”, tralasciando troppi simbolismi che lo avrebbero appesantito: non perfetto, ma comunque un film da vedere (magari prima leggete il romanzo però, da bravi).
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News
25° Festival Mix: Milano, 25 - 31 Maggio.
La cornice è sempre la stessa, il Teatro Strehler di Milano, la qualità dei prodotti selezionati pure. Al 25° anniversario dalla sua nascita, il festival Mix si dimostra ancora una volta una delle realtà cinematografiche più interessanti del capoluogo meneghino. Il motto di quest'anno è “Rebel, Rebel”, dal glamour David Bowie, per sottolineare il desiderio di ribellione giovanile e per esprimere appieno, tipico di quest'età, la propria creatività e individualità. Un po' di numeri: ogni anno il festival richiama almeno trentamila persone e vengono proiettati circa cento titoli. Ospite d'onore di quest'anno sarà il giovanissimo Xavier Dolan, regista molto amato da queste parti, che proietterà in esclusiva italiana il suo Les Amours Imaginaires (lo avevamo conosciuto artisticamente proprio al Festival Mix con J'ai Tué ma Mère), che non vediamo l'ora di incontrare. Ma non solo: scopritore di talenti emergenti, il festival porterà in Italia piccoli gioielli che non avrete altra possibilità di vedere in sala come Sasha di Dennis Todorovic e il documentario acclamato al Sundance We Were Here di David Weissman, racconto complesso e interessante sugli anni in cui l'AIDS incominciò a dilagare nella comunità gay di San Francisco. Come in ogni festival che si rispetti ovviamente ci sarà anche il concorso che andrà a premiare il Miglior Documentario, Miglior Cortometraggio e Miglior Lungometraggio. Insomma, tante eslusive per gli amanti del buon cinema fresco e indipendente, oltre che premesse sicure di divertimento e una ventata d'allegria che invaderà Milano. www.festivalmixmilano.com
14° Cinemambiente: Torino, 31 Maggio-5 Giugno. Appuntamento a cui siamo affezionati e che ogni anno ci fa piacere ricordare è quello del torinese Cinemambiente, il più importante festival a tematica ambientale. Per questa edizione la kermesse avrà un presidente di giuria d'eccezione: Michael Cimino, regista riconosciuto internazionalmente e autore di cult quali Il Cacciatore e I Cancelli di Dio. Sarà suo il compito di scegliere i vincitori nelle sezioni Concorso Internazionale Documentari, Concorso Documentari Italiani, Concorso Internazionale Cortometraggi. Oltre ai film in gara, potrete vedere molto altro tra Focus tematici e retrospettive. Il 5 Giugno sarà una giornata importante per il festival perché è la data in cui si festeggia il WED (World Environment Day), la giornata mondiale dell'ambiente voluta dall' UNEP (United Nations Environment Programme). Inutile dire che in un'epoca come la nostra e mai come in questo periodo, sia bello e opportuno essere sensibilizzati su tematiche di carattere ambientale: è giusto imparare per comprendere e comprendere per progredire nel migliore dei modi possibili sia per il genere umano, sia per tutto ciò che lo circonda. Visto che i mezzi di comunicazione standard troppo spesso lo segregano a informazione d'approfondimento e non a informazione necessaria, se siete interessati è il posto giusto in cui andare a scoprire di più. Spero che ci portino tanti studenti di tutte le età. www.cinemambiente.it
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Serial Box
Di Marina Pierri
Il cuore dei Misfits Con sole sei puntate a stagione, non vi sto a nascondere che l’inglesissimo Misfits sia stata – e sia – tra le mie serie tv preferite, forse, di sempre. E lo è perché nonostante la trama semplicissima (degli adolescenti improvvisamente dotati di superpoteri) ha sempre avuto al servizio un cast stratosferico, capace di restituire una quantità di sfumature ed emozioni niente meno che raro per una produzione così piccola. Purtroppo però pare che in questi giorni lo show stia subendo un vero e proprio attacco al cuore, dato che è emerso che il protagonista Robert Sheehan, l’insicuro e spaccone capo della gang Nathan, non ritornerà per la terza stagione. In caso non sappiate di cosa parlo, recuperate i tredici episodi: vi troverete a preferire che avessero gettato a terra tutta la baracca. Ma chissà, magari arriva una smentita.
I segreti di… Seattle Sempre in tema di plot sottili fino alla banalità, è bello ricordare quel che diceva Godard: “il luogo da cui prendi qualcosa è meno importante del luogo in cui porti qualcosa”. Così, mezzo mondo è stato disposto a chiudere un occhio di fronte al palese richiamo a Twin Peaks posto da The Killing, remake americano di una serie danese che indaga la morte di una ragazzina e vicende correlate. Niente di più lineare: un viaggio in una città (Seattle), delle piste, la scoperta progressiva degli intrighi che hanno portato al fattaccio. Promettente o deludente, a seconda di come la vediate, ma lo show finora sta raccogliendo consensi e la serie rischia, in un panorama - a dire il vero - piuttosto desolato, di essere l’orbo nella terra dei ciechi. D’altro canto, siamo solo al terzo episodio: vediamo che succede.
PIG consiglia:
Community Un “community college” negli Stati Uniti è una scuola tutt’altro che prestigiosa, dove di solito finiscono – assieme agli alunni regolari – adulti che vogliono cominciare daccapo e umanità varia piuttosto colorata. Con questo setting e in sordina, o quasi, Community è diventata una serie di culto. È un frullato dei film di John Hughes (pensate a “Ferris Bueller’s Day Off” o a “Breakfast Club”) combinato a una parodia dei college/high school drama, ma buttateci dentro una massa indefinita di richiami alla cultura pop di ieri e oggi e avrete un’idea. Pensate che uno degli ultimi episodi era interamente dedicato a Tarantino e lo speciale natalizio era realizzato in claymation: non quello che ci si aspetterebbe da una sitcom normale, insomma. Da una eccezionale, invece, si. Ed è questo l’aggettivo che le si addice.
120 PIG MAGAZINE
Books and So
Di Rujana Rebernjak
Folk Archive: Contemporary Popular Art from the Uk Ad osservare i libri d'arte spesso mi trovo a disagio. Essendo una designer ho il sentore di inferiorità rispetto all'autorevole campo dell'Arte. Ultimamente però sto sviluppando una certa affinità che parte da episodi marginali che difficilmente potranno essere ritrovati in una biennale del contemporaneo. Uno di questi episodi è costituito dal libro Folk Archive, una collezione di arte popolare del Regno Unito, risultato di una ricerca
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durata sette anni. L'arte popolare, in questo caso, è intesa sia come fenomeno di espressione creativa tanto familiare che può toccare e coinvolgere tutti, sia come ciò che allo stesso tempo sorprende per la profondità di pensiero ed azioni, per la vastità di rango sociale che tocca e per l'impatto della sua espansione; tanto forte che potrebbe dare una piccola lezione a quello che viene autoritariamente chiamato 'Arte', che il contatto
diretto, l'emozione semplice, a volte non riesce proprio a raggiungere. Titolo: Folk Archive: Contemporary Popular Art from the UK Autore: Jeremy Deller, Alan Kane Casa editrice: Book Works Anno: 2008 Prezzo: 17 euro www.bookworks.org.uk
Six Years: Dematerialization of the Art Object 1966 -1972 Che l'arte e la sua critica non siano una scienza inconfutabile è ben chiaro. Allora perché questo libro sia stato criticato per la sua 'inesattezza terminologica e storiografica' non me lo spiego. D’altro canto però, di arte non sono un’esperta, per cui non mi addentrerò troppo su questo tema. Le mie osservazioni sono puramente personali, di sensazioni,
pensieri ed emozioni private, come lo è il libro di Lucy Lippard. Six Years propone una visione dichiaratamente personale dell'arte tra il 1966 ed il 1972, ricostruita attraverso una lista cronologica di eventi, libri, mostre, progetti, il più possibile autentici. L'intento è più documentaristico che apertamente critico, nel tentativo di costruire una storia diretta ed esplicita di cosa fossero quegli
anni per chi li avesse vissuti. Titolo: Six Years: Dematerialization of the Art Object 1966-1972 Autore: Lucy R. Lippard Casa editrice: University of California Press Anno: 1997 (2. edizione) Prezzo: 19 euro www.ucpress.edu
Everything that Can Happen in a Day Quante cose possono succedere in un giorno? Moltissime. Soprattutto se siamo noi a metterle in moto. David Horvitz è il mio idolo da quando ho scoperto il suo sito - una miniera di fantastiche idee alle quali avrei voluto pensare io. A partire dai suoi pezzi "Studio Rental" fino alla borsa di studio da un dollaro, sono tutti
progetti che cercano di coinvolgere le persone più disparate nel processo creativo di cui spesso si ha paura. Everything that Can Happen in a Day dà la possibilità a molti di liberarsi da questa angoscia creativa proponendo delle soluzioni "fai da te". Una serie di buoni propositi che cercano di risvegliare la "possibilità della possibilità".
Titolo: Everything that Can Happen in a Day Autore: David Horvitz Casa editrice: Mark Batty Publisher Anno: 2010 Prezzo: 25 euro www.markbattypublisher.com
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Videogames
Di Janusz Daga (jan@pigmag.com)
PIG’s Most Played. Aspettando la serie tivù ispirata al Re degli Humungus, spariamoci una bella corsa sul Quad dello zio Max! MotorStorm: Apocalypse _ PS3 Moto da corsa e chopper modificati, quad e buggie, supercar e pezzi d’epoca, rimorchi e camion arrugginiti. Questi sono solo alcuni dei veicoli da provare nell’ultimo capitolo della corsa più sporca del mondo. Ambientata in una San Francisco devastata da esplosioni e terremoti, sposta i limiti della giocabilità su ruote lasciando ben poco all’immaginazione. Tra palazzi che crollano e ponti parzialmente distrutti la grafica rincorre la velocità dei tracciati e il numero di poligoni presenti sullo schermo. Ci sono così tante cose che si muovono o saltano in aria che spesso taglierete il traguardo tirando un sospiro di sollievo non sapendo bene dove ne perchè siete riusciti ad arrivare in fondo al percorso. Dimenticate i settaggi millimetrici e la scia nei rettilinei, Apocalypse metterà a dura prova i vosti Pad! Dream Trigger 3D _ 3DS Qualcuno si ricorda di Rez su Dreamcast? Grafica e effetti sonori lavorano benissimo, creando forme e colori degni di un concerto dei Daft Punk, per il resto il gameplay è piuttosto particolare dato che l’interazione del touch-screen con lo schermo superiore è stata immaginata come una sorta di sonar a pixel che definisce le aree da colpire. Senza l’effetto tridimensionale del 3DS questo gioco non meriterebbe tanta attenzione, ma con questa “piccola” aggiunta si conferma una primizia di stagione.
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Super Street Fighter IV _ 3DS Se avete un 3DS non potete certo farvi mancare il picchiaduro più figo in circolazione. La versione portatile non ha nulla da invidiare alle versioni su console da casa, anzi. Vi diciamo subito che sono presenti tutti i 35 personaggi con i loro set di mosse, costumi e stage. Con la modalità Street Pass potrete far combattere -in automatico- la vostra squadra di lottatori contro quelle degli avversari, guadagnando così punti in classifica e premi speciali. A questo, aggiungiamo che giocherete in 3D a 60 FPS, roba da veri nerd! Difficile immaginare una conversione migliore. Mortal Kombat _ xbox360 Va bene, non è sporco e cattivo come quello originale, ma questo reamake ha le carte in regola per entrare nell’olimpo dei Top seller. In vetta alle classifiche di gradimento da settimane, riprende tutti gli elementi del grande classico che ci ha insegnato come staccare teste e sparare fulmini dagli occhi. Ci sono tutti i personaggi mitici, da Raiden a Johnny Cage, da Scorpion a Reptile. Violenza over the top per quello che si definisce come un punto fermo nell’universo dei picchiaduro. Hot Springs Story _ iPhone Gli autori di Game Dev Story -il simulatore di software house- ci allietano con un’altra geniale produzione. Il primo simulatore gestionale di terme al mondo. L’influenza anni ‘80 è pixelosamente retrò: tra acque termali, balsami alle erbe, vapori profumati e asciugamani firmati, Hot Spring raggiunge una profondità e un dettaglio di gioco sorprendenti.
I FUNZIONI SPECIAL Nintendo 3DS Immagine 2D di un gioco
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più famoso di tutti i Il gioco di combattimento della nuova console. rmi sche i sugl a tempi arriv o al lottatore ti dietr da ale visu Una nuova e prospettiva! tant ecci ed ita ned offrirà un’i Nintendo 3DS Immagine 2D di un gioco
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35 PERSONAGGI DISPONIBILI!
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WWW.NINTENDO-3DS.IT Nintendo 3DS is a trademark of Nintendo. © 2011 Nintendo.
Videogames
Di Janusz Daga (jan@pigmag.com)
Come diceva John Wayne: “Un giorno senza sangue è come un giorno senza sole”. Non ci lasciamo impressionare facilmente, ma Crysis 2 viene da un altro pianeta! Basta fare un salto al negozio sotto casa per capire che questi ultimi due mesi sono stati pieni zeppi di uscite importanti. Anche troppo per le tasche di chi come noi viaggia a pane e aringhe! Tra i tanti titoli, uno in particolare ha risvegliato la nostra voglia di tirare tardi davanti alla TV con patatine e birra gelata. E’ arrivato anche su console uno dei giochi più attesi di sempre: Crysis 2. Nato dopo un’attesa che ci è sembrata interminabile, ha prodotto chiacchiere da bar, gossip televisivo, blog e filmati a non finire, lanciando Crytek –sono quelli che lo hanno sviluppato- nell’olimpo delle software house più famose del globo. Finalmente il multipiattaforma ha permesso anche a noi “Playstation Dipendenti” (sinora il gioco girava solo su PC ora lo si può provare anche su PS3 e
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Xbox360) di gustare tutte le meravigliose ambientazioni e provare le futuristiche nanotute, con una grafica e una giocabilità che hanno dell’incredibile. Non vorrei utilizzare troppe volte questo termine per definire il gioco, ma davvero l’uso dei superlativi qui si spreca. Iniziamo a dire che l’ambientazione colpisce subito per il suo impatto emotivo su nostri poveri occhi stanchi, una New York del 2023 totalmente devastata da un potente attacco alieno che ha ridotto i celebri edifici in cumuli di macerie fumanti. Dimenticate COD, lasciate a casa WoW, l’incredibile il numero di poligoni presenti sullo schermo, le texture spalmate ovunque e i favolosi effetti di luce in tempo reale rendono l’atmosfera di gioco qualcosa di assolutamente unico e indimenticabile. Gli svilup-
patori hanno voluto segnare un punto nel gradino tecnologico degli FPS cercando di non deludere tutti i fans che avevano bene in mente quante foglie e piante tropicali fossero riusciti a renderizzare nei precedenti capitoli. Certo qui l’atmosfera è più cupa, più claustrofobica, niente spiagge dorate e nemmeno tavole apparecchiate con ananas e cocco, ma poter girare liberamente in una NYC così ricca di dettagli fa presto dimenticare le glorie passate. La storia è semplice e molti lineare: c’è una minaccia aliena, c’è un supereroe dotato di una super tuta protettiva ad alta tecnologia, ci sono i soldati cattivi e c’è un’unica possibilità di salvare il mondo dalla catastrofe virale. Anche se dal punto di vista della struttura non hanno fatto un gran lavoro, bisogna dire che la parte tattica la-
sciata al giocatore è molto sviluppata e ben bilanciata. Pochi filmati di storia e menate sentimentali alla giapponese e più strategia di gioco. Roba da veri duri che da un lato abbassa la pressione del sangue mentre dall’altro permette una rilettura dei singoli capitoli adottando strategie e approcci differenti per superare un determinato ostacolo. Per aiutarci in questo difficile compito, la nanotuta adotta un efficace sistema di individuazione di obiettivi e punti di interesse. Una specie di super visore tattico che segnala il modo migliore per eliminare un problema. Di questo tipo di tecnologie la tuta è riccamente dotata: visori termici, aumento della resistenza, invisibilità alla Predator. Tutte possibilità che ci vengono offerte per non perdere la calma quando un elicottero ci spara dall’alto mentre una ventina di soldati incazzati fanno fuoco verso la nostra posizione. Perchè l’Ai non è ai massimi livelli ma ci sa fare con il mitra e non sarà
così facile superare le difese nemiche e i punti di controllo. I comandi per tutti questi giocattoli sono piuttosto intuitivi e facili da usare, altro punto a favore di Crytek, visto che spesso bisogna penare per ricordasi tutte le combinazioni di tasti e sottotasti sul Pad. Dopo una paio di minuti sarete a vostro agio nella tuta, pronti a tirare il collo a qualche alieno. Basta pochissimo e si è subito dentro. Lanciati in un tunnel di flashback e colpi di scena che non ci fanno dimenticare però per cosa stiamo faticando: un bel colpo alla testa e una granata tra i bidoni di carburante. E’ così che ogni nemico se ne dovrebbe andare al creatore! Perchè Crysis 2 non fa compromessi, è costruito apposta per lasciarci a bocca aperta ad ogni giro d’angolo. Non è importante la varietà di nemici che incontrerete –per la verità piuttosto scarsa- ne la storia vi farà piangere o ridere, quello che conta è la libertà e la velocità di gioco, il poter maneggiare le armi con natu-
ralezza ed efficacia. Tutte qualità che questo capolavoro padroneggia ai massimi livelli, portandovi in una zona di gioco che da anni non eravamo più stati in grado di esplorare. Vogliamo anche metterci che la colonna sonora l’ha scritta Hans Zimmer –quello del Gladiatore per intenderci- e direi che da quel punto di vista non si può lamentare nessuno. Aggiungo che anche il multiplayer è stato sviluppato a dovere, sia dal punto di vista della tattica che da quello della profondità di gioco, tutte cose che ormai si danno per scontate e che qui sono state cotte a puntino. Pochi consigli ma buoni: prima godetevi la storia in single player, dieci ore di puro godimento. Assaporate ogni situazione prendendo le decisioni come dei veri PRO. Quando ne avete abbastanza, attaccate il cavo di rete e dateci dentro nel multiplayer. Sarete pronti per mostrare a tutti il valore della vostra nanotuta. O forse inizierete comunemente a sukkare.
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