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COVER STORY
from PINK BASKET N.02
by Pink Basket
Cover story di Alice Pedrazzi
IL PIVOT DEL FUTURO?
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“LE RESPONSABILITÀ AUMENTANO E L’HO SENTITO”. INTERVISTA CON OLBIS FUTO ANDRÈ, IL PIVOT NON ANCORA VENTENNE CHE GIÀ CI HA FATTO SOGNARE IN MAGLIA AZZURRA. ORA IL GRANDE BALZO A SCHIO PER CRESCERE ANCORA. E’ LEI IL CENTRO CHE STAVAMO ASPETTANDO?
Ci salveranno le ventenni. Ed i loro sorrisi illuminanti. Olbis Futo Andrè, 20 anni ancora non li ha compiuti, eppure già da qualche tempo illumina le speranze del nostro basket: per tutti è il pivot che non abbiamo mai avuto. A lei ci aggrappiamo per sognare un futuro in cui, all’ombra dei cristalli, sapremo alzare la voce. Olbis è nata da genitori angolani, prima di 4 fratelli, a Castel San Pietro Terme, una manciata di chilometri da Bologna, il 25 dicembre del 1998. Così Basket City e tutto il basket italiano hanno ricevuto un regalo prezioso: 190 cm di gentilezza profonda e semplicità autentica, racchiusi in un pivot dall’atletismo non comune. Ma il futuro, con lei, è già presente. Dopo aver fatto le giovanili tra Pontevecchio e la Libertas Bologna, ha esordito in serie A a Battipaglia e quest’anno è approdata a Schio, dove ad accoglierla ci sono i tanti trofei della realtà più vincente del basket femminile nostrano dell’ultimo decennio. In mezzo, nel novembre del 2017, l’esordio con la maglia della Nazionale A, subito da protagonista, perché bruciare le tappe sembra, per lei, un’operazione di ordinaria amministrazione. Eppure, al basket, non c’è arrivata da predestinata.
Olbis, con la palla a spicchi, fu amore a prima vista?
Proprio no – risponde con un sorriso che si percepisce anche al di là della cornetta telefonica -. Anzi: a basket non volevo giocare. Avevo provato durante la scuola elementare, ma non mi piaceva: troppe regole, troppo difficili. Non le capivo!
Chi ti ha convinta?
In seconda media, venne a scuola un istruttore di basket di Pontevecchio ed io riprovai a giocare durante le ore di educazione fisica. Poi, dopo quelle lezioni, mi chiese di andare a provare nella sua squadra. Ma non ne volevo sapere. Allora domandò il numero di telefono dei miei genitori e cercò di convincere loro. I miei mi dissero di andare a vedere, almeno qualche volta: mi sono ritrovata così a giocare il mio primo campionato. Era l’under 13.
Da lì non hai più smesso, correndo veloce da un traguardo all’altro: trofei nei campionati giovanili, esordio in serie A ed in nazionale... Qual è l’allenatore che, nei tuoi primi anni, ti ha insegnato di più?
Credo di aver preso qualcosa da ognuno. All’inizio, a Pontevecchio, da Moris Masetti, poi Matteo Lolli nelle giovanili della Fortitudo Rosa e Maurizio Scanzani che a Bologna guidava la prima squadra, con cui spesso mi allenavo. Poi a Battipaglia, con Massimo Riga, ho fatto un altro salto di qualità.
Ed oggi, che le regole le hai imparate, che cos’è per te il basket?
Una passione e, ormai, uno stile di vita. Oggi non potrei pensare ad una vita senza gli allenamenti, che scandiscono il ritmo delle mie giornate. E’ un grande impegno ma anche un grande divertimento: alla fine faccio ciò che mi piace. E spero, in futuro, che possa diventare anche una professione vera.
Ancora non la senti tale?
Quest’anno forse per la prima volta sì, molto più degli altri anni. Probabilmente perché non ho più i campionati giovanili.
E forse anche perché durante l’estate hai fatto un altro grande balzo, approdando in una squadra che per la storia recente della pallacanestro italiana significa molto. Com’è stato l’impatto con Schio?
All’inizio, non lo posso negare, avevo un po’ di timore, un po’ di paura. Ma di quella buona, quella generata dalla tensione di giocare con lo scudetto cucito sul petto. Le responsabilità aumentano e l’ho sentito.
Hai vissuto un periodo di adattamento, per entrare pienamente nei meccanismi tecnici e mentali di questa Schio 4.0?
Probabilmente il fatto che il gruppo fosse fortemente rinnovato, ha facilitato l’inserimento di tutte noi arrivate con il mercato estivo. Non mi sono dovuta inserire in un gruppo già formato nella sua totalità, con equilibri già ben consolidati. I tanti cambiamenti fatti nel roster durante l’estate, credo che da un lato abbiano agevolato il processo di inserimento di ognuna di noi, perché abbiamo creato tutte insieme una nuova armonia.
Pierre Vincent è il tuo primo allenatore non italiano?
Sì. E ciò che mi ha colpito di lui, rispetto a tutti gli altri allenatori avuti fino a questo momento, è il suo essere calmissimo. E’ davvero molto compassato: ancora non l’ho mai sentito urlare. Da un punto di vista tecnico, ho notato che giochiamo molto di più, durante gli allenamenti. La parte dedicata al gioco è cresciuta esponenzialmente rispetto a quella dedicata ad esercizi di fondamentali o di tecnica individuale.
A proposito di tecnica individuale: su quali aspetti ti stai concentrando maggiormente in questo momento?
Sul gioco spalle a canestro, sulla capacità di prendere posizione in mezzo all’area e di utilizzare e far valere il mio fisico. Credo che questo sia un aspetto del mio gioco su cui devo lavorare molto, per crescere.
Qual è invece la tua migliore caratteristica?
Mi sento forte e sicura a rimbalzo. Lì so che posso fare bene. Mentre sul tiro, ad esempio, so di dover investire ancora molte ore di allenamento.
Eppure, quasi un anno fa, l’11 novembre del 2017, quando hai esordito con la Nazionale A nella gara contro la Macedonia, sei stata interprete di una partita molto solida non soltanto a rimbalzo (12) ma anche al tiro (10 punti), debuttando con una doppia-doppia: non male per chi dice che sul tiro si sta ancora attrezzando...
Quella è stata una emozione fortissima. Durante il raduno, speravo solo di poter essere convocata, di restare con il gruppo. Poi, qualche giorno prima della partita di Skopje, Marco (Crespi, ndr), mi ha detto che sarei entrata in quintetto. Io? Sinceramente non ci ho creduto, perché – mi sono detta – alla fine cambierà idea.
Ed invece?
Invece era tutto vero. Sono entrata nelle prime cinque e per i primi due minuti mi sentivo su un altro pianeta, non capivo nulla. L’emozione, in quel caso, è stata davvero forte. Poi il coach mi ha dato cambio ed in panchina mi ha parlato, facendomi comprendere che, davvero, lui crede in me. Così sono rientrata sul parquet sentendo la sua fiducia e quella delle mie compagne: mi sono sbloccata di minuto in minuto.
Cos’è per te oggi, che in questo anno di presenze ne hai collezionate 9, segnando 74 punti, la maglia azzurra?
Una emozione, una grande sorpresa, una enorme soddisfazione.
Fino a dove si spinge il sogno sportivo di Olbis?
Sono molto realista, mi piace vivere giorno per giorno, pensare più al presente che al futuro: penso di voler arrivare al massimo, senza sapere e forse nemmeno immaginare, quale sia questo massimo. Però, certo, credo che il sogno di ogni atleta, e quindi anche il mio, sia quello di indossare la maglia della Nazionale, magari per giocare qualche partita importante, dove - perché no - in ballo c’è una medaglia…
Proprio come in questi giorni ha fatto un’altra splendida quasi ventenne, Paola Egonu, indossando la maglia azzurra del volley. Con quest’altra ventenne di belle speranze per lo sport italiano, Olbis Futo Andrè ha molto in comune. L’anno ed il mese di nascita: dicembre 1998; l’altezza: centimetro più centimetro meno lambiscono entrambe quell’1,90tanto raro fra le nostre sportive; un atletismo fuori dal comune, unsorriso contagioso ed origini lontane (angolane quelle della “nostra Olbis, nigeriane quelle di Paola) che non annebbiano, ma anziaccentuano, l’orgoglio con cui vestono l’Azzurro.
Sono tante le cose che ti accomunano alla pallavolista Egonu, neo-medaglia d’argento iridata,ma la nostra pallacanestro potrà arrivare a giocarsi una finale mondiale come quella disputata qualche giorno fa dalle amiche-nemiche del volley?
Sarebbe bellissimo, ma per raggiungere questi risultati, non servono solo qualità tecniche, occorre tanto cuore e, perché no, anche quel pizzico di fortuna che forse un po’ è mancata negli ultimi anni alla pallacanestro femminile, pensando, ad esempio, all’ultimo Europeo. Oggi però la Nazionale è un bel gruppo, si respira un clima sereno tra staff e giocatrici e questa è certamente un’ottima condizione di partenza.
Eppure, indubbiamente, il basket fatica a tenere il passo di altri sport, come la pallavolo ad esempio, in termini di risultati… Ma tutti noi pensiamo che, nonostante tutto, il mondo dei canestri abbia qualcosa in più rispetto al volley. Concordi?
Senza dubbio: la pallacanestro è uno sport dove c’è il contatto fisico. E questo fa tutta la differenza del mondo. La pallavolo è molto più statica, noi ci dobbiamo guadagnare ogni centimetro in una lotta corpo a corpo faticosa, spossante, ma appassionante.
Chi è Olbis fuori dal campo?
Una studentessa al secondo anno di economia aziendale, che sta studiando anche per fare l’esame per la patente, perché ancora non l’ho presa… Se mi guardo fuori dal basket, da grande, mi vedo commercialista o impegnata in un ruolo aziendale dove i numeri devono quadrare… Da sempre, infatti, preferisco molto di più le cifre alle parole.
Una grande qualità, da mostrare anche sul campo, per chi, col proprio gioco interno, deve far convergere geometrie, sogni ed aspettative di un movimento che vuole gioire con e per atlete di questa genuinità. Ci salveranno - l’avevamo detto - le (quasi) ventenni. Quelle come Olbis Futo Andrè, che hanno le idee chiare sul parquet, che profumano di umiltà fuori e che iniziano una intervista dicendo: “Innanzitutto, grazie mille!”. Grazie a te, Olbis. Ti aspettavamo.