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LIBERO ARBITR(I)O

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LA FOTO DEL MESE

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IL BASKET VISTO DA UN MARZIANO di Linda Ronzoni

LIBERO ARBITR(I)O

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Un po’ mamma, un po’ Dio. Come una mamma severa cerca di mettere pace tra i figli litigiosi; come un Dio implacabile decide le sorti, infliggendo punizioni, elargendo benevolenza, quasi sempre rendendosi odioso solo in virtù del fatto che si erge al di sopra di ogni altro potere. Decide insindacabilmente. Non ci sarà un ricorso, un appello. Sentenza definitiva, secca.

Una roba più unica che rara nella nostra vita terrena, no?

Le confessioni di un arbitro. Se mai scrivessi un libro mi piacerebbe scrivere degli arbitri, mi piacerebbe entrare nei meandri reconditi della psiche di questi individui che volontariamente decidono di fare una cosa che li esporrà a insulti, minacce, a volte addirittura aggressioni fisiche. Perché? gli chiederei incredula.

Per me è una di quelle robe incredibili e impensabili, forse perché il ruolo di decisore infallibile, giudice inappellabile, non lo reggerei mai, troppa responsabilità, avrei dubbi amletici continui, fallo o non fallo questo è il problema; e poi mi metterei lì a bordo campo a esporre le mie ragioni e a sentire quelle degli altri, tipo gruppo di terapia, senza arrivare da nessuna parte. Partita sospesa per divergenze emotive.

E poi l’arbitro, almeno sulla carta, è fuori dai giochi, non partecipa, non suda, non lotta, non soffre, rimane indifferente alle sorti della competizione e io invece arbitrariamente comincerei a entrare in empatia con la giocatrice più scarsa, con quella che non le entra niente ma niente e forse qualche fallo a suo favore, per mandarla in lunetta, lo fischierei. Per poi stare lì con sguardo finto-impassibile a lanciarle la palla per i tiri liberi e tifare dentro di me: dai dai dai che un canestro lo metti!

Che poi se sei Dio, mi sono detta dalla tribuna guardando l’ennesima partita, devi avere un decoro, un’eleganza come dio comanda, non è che puoi avere il pantalone di lycra stretto, che ti tira da tutte le parti, che manco riesci a correre o così lungo che finisce sotto le scarpe e sembra che ci inciampi a ogni corsa su e giù per il campo. Possibile che gli arbitri non abbiano una mamma che gli sistemi l’orlo, una fidanzata o un amico hipster che li consigli per la taglia giusta?

Ma forse l’arbitro fa l’arbitro per non essere mai giudicato, nemmeno da me in tribuna che non ho di meglio da fare, e quindi si tiene i calzoni troppo aderenti o lunghi, libero e felice, tanto nessuno lo potrà cogliere in fallo. Perlomeno non finché starà in campo, giudice supremo.

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