Porco mondo spostato

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PORCO MONDO ‐ I ricordi del Noce. Ritmi, storie, memorie di territorio

PORCO MONDO

Regione Basilicata, Delibera n°1187 del 23 giugno 2009 – Legge n° 1 del 12 gennaio 2000

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Fatto da Giuseppe Di Fazio, per l’Auser Volontariato di Lauria, Capofila del partenariato via caduti 7 settembre 43 0973 629049 Lauria (PZ) via rocco scotellaro n°117 0973628495 Lauria (PZ) auservolontariato@alice.it

Stampa della Tipografia MPM Lauria (PZ), febbraio 2010 Progetti Innovativi, Regione Basilicata Legge n° 1 del 12 gennaio 2009 Delibera n°1187 del 23 giugno 2009

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INDICE pagina ________________________________________________________

Presentazione ...................................................................................

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U’ purcidd, introduzione ...................................................................

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Porco mondo ....................................................................................

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La dimensione ottimale … del maiale................................................

30

Le Norme ..........................................................................................

31

Le regole della cura ..........................................................................

32

Il sacrificio .......................................................................................

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Il rituale ...........................................................................................

41

Il progetto ........................................................................................

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Il Laboratorio ...................................................................................

49

La mappa del maiale .........................................................................

50

Gli utilizzi .........................................................................................

56

Il maiale nelle Enciclopedie ..............................................................

60

Il maiale, oggi ..................................................................................

90

Conclusioni .......................................................................................

95

Riferimenti ....................................................................................... 100

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Presentazione Con Delibera n°1187 23 giugno 2009 la Regione Basilicata ha approvato un piccolo finanziamento (n°17 dell’Elenco C) all’Auser Volontariato di Lauria, come Capofila del Progetto “I Ricordi del Noce, ritmi, storie, memorie di territorio”. Il Progetto rispondeva al Bando di cui alla Legge Regionale del 12 gennaio 2000 n°1, articolo 13: Fondo per l’attuazione della Legge Quadro sul Volontariato e della relativa normativa regionale. Il gruppo di Associazioni, tutte dell’area Lagonegrese, da qualche anno hanno avviato un sistema di partecipazione condivisa che intende produrre attività di ricerca ed incontri “di territorio”. Il sistema ogni volta che se ne ravvisa l’opportunità, intende partecipare anche a Bandi pubblici che, in congenialità con le attività avviate insieme, consentano di ottenere risorse, pur limitate, per sostenere le spese di incontri, pubblicazioni, eventuali modeste attrezzature. Le risorse sono destinate a coinvolgere la Comunità ed a rendere pubblici i risultati delle attività, perché ne rimanga traccia, insieme alle memorie recuperate. Il Partenariato che ha proposto il Progetto comprende Associazioni: Auser di Lauria, Auser di Rivello, Noi e gli altri di Nemoli, Associazione Mustea du Sud di Lauria Associazione Rossa Primavera di Lauria

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Associazione culturale Erasmo di Lauria

Ma anche gruppi che si interessano dell’informazione, del rafforzamento del senso di identità dell’area e della promozione del territorio : Gruppo Locale Allba di Lauria Periodico “Il Sirino” di Nemoli

ed Enti pubblici che hanno inteso supportare l’iniziativa : Comune di Lauria Comune di Rivello Comune di Nemoli Comunità Montana del Lagonegrese

Le risorse messe a disposizione dell Regione sono inferiori a quelle richieste, ma si è deciso di realizzare comunque il Progetto, ritenendo di dover avviare l’esplorazione delle Memorie e di documentarle prima che vadano perdute. L’attività di collaborazione vuole esprime infatti attraverso la realizzazione congiunta di interventi che hanno il fine di far incontrare la gente ed aiutarla ad evidenziare le abitudini sociali consolidate nella Memoria collettiva. Tradizioni, linguaggi e valori comuni che se non espressi e registrati rischiano di essere dimenticati. Sempre, insieme alle Memorie, c’è il rischio che si perda qualcosa del legame con il passato, e questo pericolo appare in tutta la sua gravità soprattutto in un momento storico speciale come questo. Momento che vede le nuove generazioni spargersi dovunque all’esterno, slegati dalla cultura di origine, disorientati da un disinteresse che interpretano come mancanza di solide radici culturali.

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È sempre più urgente recuperare perciò tutto quello che una Comunità può interpretare come “vissuto” collettivo, cioè l'insieme delle tracce del passato. Quelle informazioni sulla propria cultura che la Comunità elabora e trasmette da una generazione alla successiva, e delle quali esprime consapevolezza. L’insieme delle informazioni, rielaborate continuamente e in un certo senso “digerite”, rappresentano il legame della “Storia” con i materiali della propria storia locale, e con i contenuti delle proprie tradizioni. E rappresentano, anche, la Memoria collettiva. Sono fondamento e insieme espressione dell'identità stessa della Comunità, in modo più o meno consapevole. Sono la rappresentazione di tutta la sua storia, dalla recente alla più antica, e può arrivare fino alle origini (storiche e mitiche) del gruppo sociale. In quanto espressione dell'identità, la Memoria collettiva richiama e rafforza i valori e le norme intrinsecamente legati al patrimonio culturale della Comunità. Il Progetto è in sintonia con la Missione stessa dell’Auser, alla quale quest’ultima assolve anche attraverso l’attività del Laboratorio di Comunità, in riferimento a quanto previsto dal Piano Sociale di Zona per il Lagonegrese. Nelle attività del Laboratorio di Comunità la Memoria collettiva passa attraverso le storie personali, attraverso le biografie, attraverso i “luoghi” collettivi, ripercorrendo le esperienze delle gioie ed anche delle piccole e grandi battaglie personali, e allargandosi alle Feste, al matrimonio,

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alla maternità, ai propri lutti, al lavoro, ai riti della vita contadina. Tutti noi siamo “produttori” di Memoria, e di Memoria di grande qualità. Non abbiamo però consapevolezza di tanta ricchezza, e questa non diventa mai risorsa. Soprattutto quando questa, nella sua dimensione collettiva, esprime capacità e culture che sono sedimentate nel tempo, e che possono ancora rappresentare ricchezza per tutti. L’esperienza di territorio ha consentito all’Auser, insieme alle Associazioni con le quali ha condiviso le recenti esperienze, di analizzare una dimensione ampia del ricordo, e di sollecitarne l’evidenza attraverso la sperimentazione dell’incontro, strumento di indagine più congeniale alla sensibilità popolare. L’idea è quella di avviare con questa occasione una piccola serie di pubblicazioni che dovranno contenere raccolte ragionate di notizie su argomenti tipici della tradizione rurale, così come sono ricordati dalla gente che partecipa al gioco dei Ricordi. Giusy Gazaneo Responsabile del Laboratorio di Comunità - Auser Lauria

“Suillum pecus donatum ab natura dicunt ad epulandum”

Dicono che il suino ci sia stato dato dalla natura per godere la vita Varrone - De re rustica

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U’purcidd Introduzione, Materiale e Metodi, Risultati, Discussione e Bibliografia

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INTRODUZIONE Il Progetto propone l’esplorazione e la messa in evidenza del Capitale sociale tradizionale della Valle del Noce, al fine di realizzare una rete di riferimento per lo studio ed il trasferimento delle tradizioni locali. L’organizzazione delle tracce storiche della conoscenza collettiva è stata realizzata attraverso incontri/eventi che si sono tenuti in locali presso le Sedi delle Associazioni partners, utilizzando attrezzature, materiali e personale volontario. Si intende avviare l’esplorazione delle connessioni delle consuetudini sociali con arti e mestieri tipici locali le occasioni saranno pertanto di riferimento anche per la trasmissione di saperi e di sapori, Si è riproposta la consuetudine di affiancare, nella esperienza collettiva, anche alcune delle prelibatezze tradizionali (assaggi di pietanze e bevande tradizionalmente collegati agli eventi sociali, feste religiose e popolari). Pur dovendolo modulare in forma ridotta, non si è voluto rinunciare alla redazione del Documento finale di sintesi, previsto nel Progetto iniziale. Questo è stato inteso però, sulla base dell’interesse che l’attuazione del progetto stesso ha suscitato, come avvio di una piccola serie editoriale che, partendo dalla necessità di registrare ricordi, memorie e riti tradizionali, potrà di fatto

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costituire la base per successivi studi e ricerche, anche specialistiche, che avranno modo di continuare l’investigazione avviata arricchendola con contributi nel tempo. Il contesto territoriale e sociale è stato indagato come un manuale nel quale sono sedimentate le buone pratiche che la cultura locale, nel tempo, ha selezionato e nelle quali ancora si riconosce. È apparso subito evidente come il cibo e la cucina offrivano gli strumenti per arrivare più in fretta al cuore delle tradizioni, in quanto più direttamente sono ancora oggi legate alle abitudini originarie, e resistono anche alle sollecitazioni della più spinta voglia di globalizzazione. Sedimentate nel tempo, le pratiche sono ancora attualissime, come se costituissero la strumentazione di una vera e propria macchina del tempo, capace di far tornare indietro il gastronauta, l’esploratore del gusto, come lo ha felicemente descritto il giornalista Davide Paolini sul Corriere della Sera di qualche anno fa. Ma anche capace di offrire preziose indicazioni a chiunque sia semplicemente curioso di riscoprire, attraverso le ragioni dell’alimentazione, la cultura locale e le sapienze della gastronomia locale tradizionale. Il rito della cucina appare all’inizio semplice e povero, ma ben presto mostra le sue radici antiche e gloriose, e spesso anche nei nomi delle pietanze conserva riferimenti a popoli antichi, anche del lontano Oriente.

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È il caso delle minestre e delle zuppe, nelle quali è spesso presente l’eredità dei monaci greco-orientali che intorno all’Anno Mille si stabilirono qui da noi. Gente speciale che vi rimase per circa trecento anni e che furono protagonisti di una colonizzazione che oggi chiameremmo “dolce”. Ospiti graditi, in cambio dell’accoglienza insegnarono ai nostri avi i segreti delle erbe e delle coltivazioni sofisticate, studiate per millenni sugli altipiani e nelle pianure del Medio Oriente. O come i Greci, che trovarono qui le paste fatte in casa, stupiti dagli strascinati, che chiamarono forse “strigile preptos” e cioè raschiati con le dita, termine poi storpiato in “strangula privit”, e oggi italianizzato in “strangola preti” o, in altre parti d’Italia “strozza preti”, con allusione a qualche previtello rubicondo che si auspica vittima dell’ingordigia. O come i Romani, che scoprirono in lucania la tecnica di insaccare le carni, segreto che consentì alle Legioni romane di arrivare fino ai confini del mondo di allora, in quanto assicurava loro un alimento conservabile, perfettamente imballato e trasportabile dovunque con facilità. Per comprendere che il maiale è stato sempre un alimento essenziale alla sussistenza, è sufficiente ricordare che nel Medioevo esso era un bene inalienabile e pertanto non soggetto ad ipoteca.

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Chi rubava durissime.

un

maiale

veniva

punito

con

sanzioni

Nel Medioevo non si facevano incrociare tra loro i maiali e, a causa della mancanza dell'ingrassamento forzato, il peso della bestia andava al massimo da 30-40 a 70-73 chili, inferiore di almeno tre volte alla stazza dei maiali di oggi. Avevano anche un aspetto assai diverso. Venivano allevati in spazi dove potevano muoversi molto, rimanendo perciò magri e snellì, con zampe lunghe e sottili. Abbastanza simili ai loro antenati, i cinghiali, con i quali spesso si accoppiavano. Per questo, nella letteratura dell'epoca, i cinghiali venivano chiamati Porci silvestres o Porci singulares (da cui il francese sanglier e l'italiano cinghiale). Ma qual è la differenza tra i maiali medioevali e quelli dei giorni nostri? Al di là del fatto che allora i porci venivano nutriti a ghiande e frutti del sottobosco, mentre oggi sono onnivori, basta osservare i dipinti del XIII secolo per scorgere le maggiori differenze con le razze attuali. La testa era più grande e lunga, il grifo appuntito e non a tappo, le orecchie corte ed erette, le setole dritte sulla schiena. Dal muso emergevano i canini che, a differenza di quanto avviene oggi per renderli innocui, non venivano tagliati.

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Le miniature e gli affreschi mostrano soprattutto bestie di colore scuro, rosso o nerastro, che sembrano prevalere accanto a quelle dal pelo chiaro. Anche la macellazione era differente. Nel Medioevo raramente i maiali venivano macellati entro il primo anno di vita, come accade adesso. Più frequentemente invece tra il primo e il secondo, ma addirittura anche nel terzo e nel quarto anno. Nel dopoguerra tante di queste ricchezze sono state di fatto ripudiate dai nostri genitori, in quanto ricordavano gli anni della povertà e del bisogno. Era forte la voglia di allontanare il ricordo della miseria che avevano appena conosciuto. Hanno spesso rifiutato anche il solo pensiero di tutto quello che c’era prima, e hanno inseguito volentieri l’idea di modernità che passava attraverso il miraggio dell’America e delle novità che portavano gli Americani vincitori. Tante cose buone sono state dimenticate, attraverso una vera e propria rimozione collettiva. Tra le tante, contiamo anche la sparizione, in pratica, del maiale nero. Il più buono, il nostro, che abbiamo tradito per sostituirlo a quello di pelle più chiara, importato da altri posti e da altre culture, ma che sembrava “più pulito” e perciò forse più moderno, “più civile”.

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“...e se da millenni il maiale si può considerare il miglior amico dell’uomo, l’uomo è il peggiore per il maiale” George Orwell

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“….. Dobbiamo abbatterlo, perché se ha un virus potrebbe contagiare gli altri cavalli !” Il porco, che aveva sentito, si precipitò ad avvisare l’amico cavallo: “ Forza, il veterinario sta arrivando, alzati, ora o mai più! “ Alzati subito, dai …..!!!” Il cavallo con un sussulto raccolse tutte le forze rimaste, si alzò, e si mise a correre. Miracolo...! - gridò il contadino – bisogna festeggiare, AMMAZZIAMO IL PORCO!

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Il Maiale non ha ghiandole sudorifere. Perciò, mentre noi siamo in grado di abbassare la temperatura corporea se fa caldo semplicemente producendo sudore, il maiale non può farlo. È costretto perciò a cercare refrigerio dovunque ci sia dell’umido. Non è sporco per sua natura, quindi, ma perché deve fare di necessità virtù, visto che chi lo alleva lo costringe in luoghi dove il maiale trova disponibili solo pozze di fango, per resistere al caldo. È il primo pregiudizio da sfatare, per un animale che deve il suo destino al fatto che ha tutto di buono, e del quale ogni sua parte è utilizzabile, ad uso del padrone. Perfino le setole, usate per i pennelli. Perfino le unghie, che i nostri nonni passavano sulle lame appena affilate per preservarle dalla ruggine. L’altro pregiudizio è che sia… un porco. Niente di più falso, se si riflette sul fatto che in genere si tratta di un castrato, e che pertanto poverino al sesso non ci pensa nemmeno. In effetti una volta non era né sporco e né … maiale! Per gli antichi era anzi una vittima sacrificale per le grandi occasioni, e si immolava alla Dea Maia, tra incensi, rispetto e sentita spiritualità. I romani devono al maiale la loro fortuna imperiale, dato che grazie alle provviste portatili (e quindi anche a noi lucani, inventori degli insaccati) riuscivano a spostare interi eserciti così lontano da Roma.

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E gli erano riconoscenti, tanto che perfino i grandi scrittori della tradizione romana hanno contribuito alla diffusione di una conoscenza rispettosa del maiale e dei migliori utilizzi in cucina e in tante altre attività artigianali, tanto da scoprire una quantità notevoli di possibili usi di ogni sua parte: “…del maiale non si butta via niente….” Apicio nel suo “De re coquinaria”, (Affari di cucina) scriveva addirittura l’apologo del maiale, usandone le parti anche in modo spregiudicato, tra gli ingredienti dei suoi politteli, cioè dei suoi piatti prelibati: “.… poppe di scrofa ( o lisce o ripiene di pepe, di cardi, di ricci salati, di salsa di pesce) oppure vulve sterili, cotenne, costolette e zampini ripieni di pepe, salsa di pesce e vino condito …” La letteratura romana ha numerosissimi riferimenti al maiale: consigli sul modo di allevarlo e nutrirlo, informazioni sulle caratteristiche della carne e istruzioni su come lavorarla. Lucio Giunio Moderato Colummella, nei primi decenni dopo Cristo scrisse un trattato, il “De re rustica”, in dodici volumi, trattato che è la maggiore fonte della nostra conoscenza sull'agricoltura praticata dai romani. Vi scrisse anche un bel ritratto del maiale, con un rigore scientifico che dimostra come fosse a quel tempo importante e perciò degna di studio rigoroso la cura del maiale:

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“…..C'è la convinzione che i nati assomiglino più facilmente al padre che alla madre; pertanto nel maschio si ricercano precise qualità fisiche: "di conformazione quadrata piuttosto che lunga e tondeggiante, di ventre basso, di cosce larghe e non di gambe o zoccoli allungati, di collo ampio e pieno di ghiandole, di grugno corto e schiacciato". E visto che i requisiti del concepimento sono fondamentali nella prospettiva di un gregge florido, si consigliano nientemeno quei maschi che mostrano di essere "salacissimi quando montano” Soprattutto i dettagli utili alla gestione della produttività del porcile hanno il rigore di informazione scientifica: “….Sedici settimane di gestazione fanno maturare una nidiata che può andare dai 6 ai 22 piccoli; il tutto si compie con straordinaria puntualità, se non vi sono cause impreviste. Le femmine sono eccellenti se dotate di corpo molto allungato e per il resto simili ai maschi; questi sono in grado di generare dall'età di un anno fino ai quattro anni; le scrofe possono partorire fino a due volte l'anno da un anno fino ai sette; la cosa più conveniente è che sia fecondata nel mese di febbraio, dopo quattro mesi di gravidanza, partorire nel quinto, quando già le erbe sono più consistenti, affinchè ai porcellini tocchi la sicura maturità del latte e, quando avranno cessato di essere alimentati dalle mammelle, possano nutrirsi di stoppie e di altri semi che cadono dai baccelli". I maiali all’epoca avevano caratteristiche fisiche ben diverse da quelle di oggi, essendo sostanzialmente ancora animali selvatici, e perciò erano molto simili a cinghiali.

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Avevano il corpo piu’ piccolo e snello, le setole lunghe, il groppo più alto, il muso allungato con canini prominenti e affilati, le ossa robuste e il codino dritto. La carne di maiale costituiva la principale fonte di nutrimento, e in pratica era l’unico animale che veniva apprezzato esclusivamente per questo. Veniva insomma allevato soltanto per mangiarlo, mentre i bovini, le capre e i polli erano allevati anche per altri scopi, oltre che per la loro carne. I Romani sono stati probabilmente i primi a sfruttare ogni parte del maiale. Interiora, musetto, orecchie, zampetti, e cotenna erano consumati freschi, mentre altre parti finivano sulle tavole sotto forma di salumi dalle varie stagionature. Oltre alle mammelle e alla vulva, considerate a quel tempo vere e proprie delizie gastronomiche, all’apice delle preferenze degli antichi Romani si piazzava la carne della coscia, dalle quale si otteneva anche allora il prosciutto. Catone nel “De agricoltura” e Columella nel “De re rustica” riportavano metodi di stagionatura del prosciutto molto simili agli attuali. Conosciamo i nomi degli insaccati che allora erano i più diffusi: circellus, ....... una piccola salsiccia, pendulus, ....... salame di grandi dimensioni, insaccato nell’intestino cieco, hilla, .............. salame sottile insaccato nell’intestino tenue,

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tucettum, .......salsiccia insaporita da bacche di mirto.

Ridotta in lucaniche affumicate, la carne era in grado di durare a lungo, e forniva pertanto un ottimo ed energetico sostentamento anche nelle lunghe e distanti campagne militari che l’esercito romano conduceva da un confine all’altro del vasto Impero. La lucanica (dal nome del luogo d’origine, in quanto i Romani l’avevano conosciuta qui da noi, in Lucania) era fatta di pezzi di carne e di grasso uniti a spezie dolci, pepe, cumino, santoreggia, ruta, pinoli, prezzemolo, poi sospesa al fumo d’un camino. Nel I secolo Avanti Cristo fu proprio Marco Terenzio Varrone, con una associazione per noi usuale ma che forse allora fu realizzata per la prima volta al mondo, che identificò i salumi con il loro luogo di origine. Come se fosse un prodotto DOC, oppure di origine geografica certificata, come si direbbe oggi. Anticipò insomma di millenni le nostre certificazioni sull’attribuzione di una produzione collettiva, come noi abbiamo imparato a fare solo di recente, per proteggerne il valore dalle contraffazioni. E dire che la Regione Basilicata continua ancora oggi, dopo duemila anni, questa battaglia, attraverso la promozione, proposta di recente, dei Cinque Distretti del salume lucano. Un altro tentativo insomma, e solo il più recente, di associare consuetudini e prodotti locali a modelli territoriali

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originali e non riproducibili, dei quali siamo ancora costretti a difendere il valore sui mercati internazionali. Nel libro “De lingua Latina” Varrone scriveva dunque del salame come di ”…una salsiccia… chiamata dai soldati di Roma luganica perché l’hanno imparata a fare dai Lucani..”. Va detto che i salumi forse non entrarono mai nel cerchio delle prelibatezze dei banchetti sontuosi, visto che non sono mai citati nei menu descritti da Petronio, o da altri famosi cronisti del gossip di allora. Ma certo costituirono, insieme al pesce affumicato e al sale, il bagaglio di sopravvivenza dell’esercito romano, che così riusciva a realizzare le campagne militari alle incredibili distanze di allora contando sulla propria capacità di autosufficienza alimentare. Potremmo dire perciò che il salame rappresentò un elemento logistico importante, in riferimento alla organizzazione degli approvvigionamenti delle Legioni. Il salame lucano fu, allora, un fattore altamente strategico che contribuì addirittura al successo militare e…. alla costruzione dell’Impero Romano? Del resto la gastronomia della Roma repubblicana era piena di gusto e sostanza, ma semplice nella preparazione. In età imperiale, invece, subì i benefici influssi della più raffinata tradizione culinaria ellenica, e divenne elegante e sofisticata.

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Il maiale diventò il protagonista di fantasiose ed elaborate preparazioni gastronomiche, destinate a soddisfare sia gli occhi che il palato. Preparazioni che erano ben descritte in uno dei più famosi trattati culinari del passato, il “De re coquinaria” di Marco Gaio Apicio, che è considerato uno dei primi gastronomi della storia. Nel manuale di Apicio, che riporta una infinità di gusti molto lontani dai nostri, e che forse difficilmente riusciremmo a condividere, per quanto sono pieni zeppi di spezie e di sapori forti, c’e’ tuttavia anche tutto un mondo di prelibatezze e di leccornie: • gran varietà di arrosti, lessi e stufati speziati, • lardo bollito nell’aneto e animelle e spalla cotta di porcellino abbinati a cedri, rose, albicocche, • polpette di fegato in agrodolce e combinazione di carne, pesce e frutta chiamati minutal (una sorta di fricassea), Ci sono poi descritti complicati timballi di pancetta e piselli e, per il trionfo della tavola, porcellino intero farcito di ogni ben di Dio. Ovviamente il privilegio di gustare queste pietanze era sempre e solo di pochi ricchi. Sulle tavole contadine comparivano sporadicamente budella, sanguinacci, frattaglie, cotiche o pezzi di prosciutto affumicato.

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Nel Medioevo invece il maiale diventò protagonista di tutte le tavole, da quelle ricche dei signori a quelle dei meno fortunati. Fu per secoli l’alimento base della dieta, tanto che gli addetti all’allevamento del maiale superarono di gran lunga tutte le altre tipologie di allevatori. In seguito l’alimentazione diventò più varia, ma è in questo periodo che si consolidò l’abitudine all’uccisione rituale, che si è tramandata fino ai nostri giorni. Il giorno del sacrificio diventò un giorno di festa, dovendosi avvalere di tutte le competenze possibili, e dovendo tenere conto necessariamente delle presenza di più persone, che, date le distanze e la consistenza sparsa dei casolari, magari non si frequentavano quotidianamente. L’occasione per incontrarsi si trasformò presto in un rituale festoso, e inaugurò anche le abitudini allo scambio reciproco dei servizi, avendo tutti, prima o poi, necessità di uccidere il maiale per uso familiare. Poiché erano necessarie più persone che lavorassero in contemporanea, per tener fermo l’animale, ben presto si comprese che ciascuno dei presenti avrebbe potuto avere compiti precisi, per diminuire sempre più il rischio degli sprechi per le lavorazioni delle carni, e raccoglierne con competenza e in fretta tutte le utilità possibili. Si confrontarono spesso abitudini e piccoli trucchi imparati per ottimizzare le varie fasi, si precisarono le forme e i materiali degli attrezzi, si snellirono e si migliorarono le procedure. Poiché le lavorazioni si rivelarono soggette alle differenze dei microclimi locali, si capì che in ogni luogo c’erano regole

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precise da seguire per ognuna delle condizioni di clima e di umidità. In alcuni posti il grado di umidità richiedeva più o meno salatura, in altri erano le spezie a garantire dal rischio di irrancidimento, in altri ancora l’asciugatura o l’affumicatura potevano fare la differenza. E siccome bastava allontanarsi di poco perché cambiassero le condizioni, i vari prodotti un po’ alla volta rivelavano piccoli segreti o strategie, e richiedevano un layout, un procedimento di lavorazione diverso. Diverse si consolidavano anche le forme e i sapori. Passate di bocca in bocca, tramandate e migliorate un po’ ogni volta, le lavorazioni divennero infatti caratteristiche di un determinato posto, e magari diverse da posti che si trovavano anche vicini. Ancora oggi, proprio in virtù di questo processo di sbaglia e correggi, di affinamento continuo delle procedure, basta spostarsi di poco per avere salumi apparentemente simili, ma fondamentalmente diversi, tra Lauria, Nemoli, Trecchina, Castelluccio, e così via. Per alcune Contrade la combinazione di capacità e di condizioni ottimali migliorò a tal punto la produzione, che questa diventò riferimento per quantità e per qualità, nel circondario. E nel periodo dell’anno nella quale quella particolare lavorazione risultava ottimale, per quell’anno, e in quel luogo, si poteva utilizzare per stabilire il valore e quindi anche il prezzo, determinando in sostanza lo standard per tutti i paesi intorno.

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Ancora oggi, ad esempio, nella fiera di San Giuseppe a Castelluccio Inferiore si dà luogo al Lialò, all’asta pubblica, cioè, che serve a determinare il prezzo dei salumi. Prezzo che diventerà il riferimento per i salumi prodotti in quel determinato anno. Durante il Rinascimento il maiale “partecipava” a banchetti ancora più sontuosi, a banchetti di palazzo, e ne costituiva a tutti gli effetti la portata principale. Ma le nuove spezie, le nuove pietanze rese disponibili con la scoperta del Nuovo Mondo portarono ad una varietà tale, ed a preparazioni tanto più economiche, che cambiò un po’ alla volta anche la dieta dei poveri. D’altra parte le carni fresche dovevano essere consumate subito, per evitarne il degrado, e c’era sempre il rischio che i salumi andassero a male, nonostante la oramai raffinata conoscenza raggiunta nelle lavorazioni. Probabilmente cominciò a sembrare sempre più conveniente puntare su tecniche e pietanze realizzabili con quanto era disponibile sul momento, in qualunque parte dell’anno ci si trovasse. Forse il gusto e le abitudini si orientarono perciò un po’ di più alle minestre, ai ragù, ad una dieta più complessa, più diversificata. E soprattutto ad una dieta riproducibile durante tutto l’anno.

che

fosse

facilmente

Naturalmente si continuò ad onorare il maiale sulle tavole riccamente imbandite, e comunque la possibilità di mantenere un maiale costituì ancora una risorsa importante.

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Ma a cambiare un po’ le abitudini contribuirono anche cause per cosi dire “etniche”. La fascia del clima temperato aveva cominciato a spostarsi più al nord, e molte popolazioni avevano ripreso a salire la penisola, provenendo dall’Africa e dall’Oriente. Tra questi molti erano musulmani, o ebrei. Per entrambe queste popolazioni il maiale non era per niente ai primi posti, anzi, motivi religiosi, e forse di igiene alimentare, ne impedivano addirittura il consumo. E inoltre con il clima più caldo si resisteva di più agli stenti, per cui alla fine arrivava più gente e ne moriva di meno. E il maiale alla fine aveva bisogno di notevoli energie e mangiava continuamente, e oltre tutto non faceva latte o lana come le pecore. E un po’ alla volta diventò un lusso. In più, il Profeta Maometto aveva già dettato regole di culto rigorose, rigide norme di comportamento anche in campo alimentare, e aveva scomunicato il maiale. E la combinazione di tutte queste cose trasformò quest’ultimo in peccato, in porco, in bestia immonda. CANCELLARE SE RIPETUTO DUE VOLTE ! Concetto che piacque subito a un’enorme quantità di gente, che era risentita contro chi il maiale poteva ancora permettersi di allevarlo.

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Insomma la situazione si tinse anche di rivendicazioni “politiche” e sociali, e intanto cresceva il forse anche un forte senso di rivalsa popolare, di chi stava male e Magari a questa gente non sembrava vero di poter accomunare il maiale al peccato, visto che era un lusso, e così andò a finire che il maiale fu declassato a carne di seconda scelta. Ci volle il peperoncino arrivato dalle Americhe, per vivacizzare un po’ la preparazione dei salumi. Passato il momento storico avverso, bisognava però recuperare cultura, conoscenze ed economie sperimentate. Nel settecento già si sentiva la necessità di rivalutarlo, il maiale, tant’era caduto in basso, e l’Abate Giuseppe Ferrari si senti obbligato a scrivere addirittura un Elogio del Porco, firmandosi “Triginto Bistonio, Accademico Ducale de’ dissonanti di Modena”. Il testo è disponibile in ristampa di qualche anno fa, con presentazione che ne fece a suo tempo Enzo Tortora: … parlo di te, mio rispettabil porco, onor de la quadrupede famiglia, benché di fuori impastricciato e sporco, che tu vivi alla buona, e senza briglia di moda, e servitù, che tanto annoia; l’usanza tua di libertate è figlia; e Plinio insegna, che un calor da boia sempre t’investe, ond’è, che poi ti piace Nel pantano smorzar si crudel noia…. …… e Plinio insegnò, che di sapori avaro

non sei, e che valenti professori cendieci in le tue carni ne trovaro!

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E si è andati avanti, nel tempo, con altri tentativi di riscatto del porco. C’è perfino chi ha rischiato l’accusa di blasfemo e di eretico con libretti dal titolo “Vita, morte e miracoli del Beato Porco”. E che dire dell’episodio del riscatto di Rivello, che da feudo si trasformò in paese libero grazie ad un Accordo che impegnava al pagamento non solo in denaro, ma anche in salumi, e per un bel numero di anni! L’Accordo era un vero e proprio contratto, sottoscritto nel 1719, dal feudatario locale, Oronzio Pinelli Ravaschiero, Principe di Belmonte. A fronte della libertà, con il contratto la Città di Rivello si impegnava a pagare 55.000 ducati e “…. insieme, cantara quattro di salami d’ogni bontà e perfezione, mercantibili e ricettibili .…”,

da consegnare al Principe ogni anno nel mese di marzo. Fu proprio il porco, in quella occasione, l’unità di misura per la libertà dell’intero paese! Nel 1837 Ippolito Cavalcanti, calabrese e Duca di Buonvicino, nobile della Corte di Napoli con l'hobby della cucina, scrisse un trattato che ancora oggi è un testo di studio negli Istituti per la ristorazione, dal titolo di “Cucina teorico pratica”. Discendente del famoso Guido, amico di Dante Alighieri, per Cavalcanti, filosofo della cucina, il gusto della tavola non nasceva con la necessità del mangiare, ma con il piacere del dettaglio e

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del condimento, della conoscenza, della manipolazione sapiente degli ingredienti, dello stare insieme. Perciò scriveva : “ … dove il fuoco è ancora sacro la parola cibo è sconosciuta, e al suo posto si usa il dialetto cucinatu, che dà contemporaneamente l’idea della casa, del calore, dei pasti corroboranti consumati a un desco ove i vincoli familiari quotidianamente si rinsaldano…” Ippolito partecipava attivamente alla vita di Corte, ma era anche appassionato cultore delle ricette e dei prodotti calabresi, che scendeva spesso a recuperare nella sua Calabria. Tra le ricette di casa sua, scritte in napoletano per i napoletani, a lui dobbiamo se sono arrivate fino a noi pietanze che altrimenti sarebbero andate perdute. Tra queste, fa naturalmente la sua bella figura il maiale, come in questa ricetta di Menèsta mmaritata : “…. Miétti a vóllere rint’a na marmitta doie rotola de carne de vacca, na bella iallina, nu ruotolo nfra verrinia, presutto e vuccularo de puorco, scummarraie, e po nge miétti miezu ruotolo de lardo pisato. Quanno tutta la carne s’è ccotta, nne la liévi e la miétti rint’a n’atu Commodo cu acqua caura pe farla sta ncáuro;

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po passa lu broro pe dint’a lu scolamaccaruni e torna a mettere lu broro rint’a la marmitta e quanno volle nge miétti na bella menesta de cappucce, turzelle, na scarulella, e nu poco de vasenicola; la farraie còcere bona, e po me sapraie a ddìcere che menesta acconcia stommaco ca te mangi.” E oggi ? Si prova ancora a sostenerlo, il maiale. Con mezzi raffinati e finalità commerciali, scomodando come al solito cultura e gastronomia insieme. Puntando sull’attenzione alle culture locali che negli ultimi anni è stata con tanta insistenza sollecitata attraverso tutti i Media, e che perfino autorevoli intellettuali promuovono come “gastrocultura”. Già un bel po’ di anni fa lo scrittore Italo Calvino ha coniato una espressione che fa capire come un territorio possa essere compreso davvero, e in maniera diretta, anche soltanto attraverso la cucina locale: “Mangiare il territorio” È una espressione che sintetizza bene la voglia di conoscenza che spinge alla perlustrazione sempre più appassionati di geografia alimentare, disposti a spostarsi sul territorio per una esigenza di conoscenza, ma anche di piacere conviviale.

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Appartengono ad un “turismo gentile”, che cerca il contatto con la cultura locale, con le tradizioni di qualità, con le pietanze genuine. Hanno voglia di sentirsi ospiti, e forse anche complici, più che turisti. E sono capaci di innamorarsi dei motivi per cui ogni prodotto ha una sua manualità, diversa dalle altre, affinata con tecniche artigianali che si sono adeguate ai luoghi, ai tempi, alle tecnologie, alle condizioni ambientali, alla necessità di relazioni e di salute, di sopravvivenza. Sono visitatori che si muovono per interessi culturali, e che possono permettersi di venire in vacanza in ogni periodo dell’anno. Visitatori dunque che non sono schiavi della necessità di muoversi soltanto d’estate. E che non hanno problemi a spostarsi su tutto il territorio. Che possono aiutarci insomma a risolvere il problema delle presenze turistiche, per ora limitate solo alla stagione del mare e alle spiagge. Sono turisti che possono spalmarsi lungo tutti i mesi, e possono portare ricchezza fin dentro le case e su tutto il territorio. In molti lo hanno ormai capito, e si organizzano per attirare i curiosi delle meraviglie locali, del cucinato a chilometro zero, come si dice oggi, dei rituali crudi e sapienti della cultura contadina. Come dimostra anche l’articolo pubblicato nel 15 Gennaio di quest’anno su www.laculturadelcibo.it, nel quale si invitava a partecipare ad una cena durante la quale, per

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trenta euro, si sarebbe poteva condiviso l’antico e sempre attuale mistero esistenziale, di una vita che viene sacrificata per consentire che un’altra vita continui. Articolo che vale la pena di riportare per intero: “ PORCO CORPO. LA FILOSOFIA DEL MAIALE: STORIA E CULTURA NELLA GASTRONOMIA IN TALIA ”, a cura del Professor Hermas Ercoli.

Dove termina l’area del maiale, termina la cultura occidentale. Il porco, grande animale totemico, è la metafora della nostra civiltà. Condannato nella morale pubblica ed isolato nei ricettari di cucina, il porco acquisisce punti altrove. Diventa tema di suggestione letteraria! Sul versante letterario la rivincita del maiale sarà piena. Nessun prodotto alimentare, escludendo forse il vino che è una bevanda, ha avuto tante appassionate descrizioni. Una produzione sterminata e continua nel tempo ha tessuto in versi od in prosa l’elogio del porco. Un’involontaria macchina propagandistica che ha avuto un enorme potere promozionale. Ogni autore che si rispetti ne ha parlato con ammirazione. Tutti nella letteratura italiana, anche se con fugaci frammenti, hanno trattato del porco in un modo o nell’altro. Lo stesso risarcimento viene nelle arti, dove troviamo migliaia di immagini del maiale che vanno dalle sculture medioevali alle illustrazioni grafiche del Novecento, dalle miniature gotiche ai soprammobili ottocenteschi. Il maiale costringe la nostra cultura allo straniamento brechtiano della realtà che produce il suo contrario. Oggi il trionfo del porco si scioglie in un tragico paradosso: il suo bene coincide con la sua fine! La bestia, demolita nelle carni, risorge a nuova vita nella fallica salciccia, stendardo emblematico della società occidentale.

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Chi è il maiale? La metafora del primato della cultura sulla natura! CENA DEGUSTAZIONE dopo la conferenza al Palazzo Persichetti con il Prof. Evio Hermas Ercoli presso l’Osteria “I BEATI PAOLI” via Cavour,105 – Corridonia (MC) (dalla Redazione ''La Cultura del Cibo'' redazione@laculturadelcibo.it 15 Gennaio 2010)

La dimensione ottimale … del maiale In generale, la produzione industriale del maiale comporta problemi non facili da risolvere. Soprattutto, è delicata la preservazione quando il numero degli esemplari è notevole.

da

malattie

Oltre al rischio per la qualità del materiale genetico, difficilmente controllabile se importato, vi è insomma quello di malattie e infezioni che fuori da ogni rigoroso controllo, sono in grado di minacciare per contagio l’intera produzione locale. Per questo motivo la cura del singolo maiale, o al massimo di pochi esemplari, è stata da sempre preferita rispetto alle grandi quantità, e questa circostanza lo ha eletto di fatto ad animale “di casa”. La convivenza ha comportato l’affinamento delle tecniche di cura e la sperimentazione di tutte le possibili opportunità di utilizzo, il che lo ha fatto diventare un animale che rende ottimamente, per quanto riguarda il consumo familiare. E forse proprio anche grazie a questa sua vicinanza all’uomo (e si potrebbe quasi dire grazie all’appartenenza alla famiglia), il maiale è uno degli animali che più è stato oggetto di sperimentazioni nel quotidiano, e che più è stato descritto in ogni suo aspetto.

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La letteratura classica è ricca di tecniche e di consigli utili al miglior utilizzo possibile, ed anche insigni letterati si sono lasciati prendere dalla voglia di seminare buoni consigli. In un ambito che certamente trovava tantissimi lettori interessati, forse a più di uno scrittore non sarà sembrato vero di poter entrare in tutte le case attraverso una passepartout così ben accolto. Visto oltretutto che in passato la maggioranza della popolazione, e perciò anche la maggioranza dei potenziali lettori, era agricola e teneva maiali in casa. È interessante notare come la cultura delle cure fosse praticamente di dominio pubblico, e come praticamente tutti i nostri antenati fossero esperti. Un bel maiale grasso era un gran salvadanaio a cui nessuno poteva rinunciare. Del resto ancora oggi è un simbolo che viene usato per indicare risparmio e investimento oculato. In passato da questa simbiosi tra familiarità e utilità derivava la logica conseguenza che il padrone costringeva il maiale ad una dieta di cibi considerati “sani“ e che in realtà erano semplicemente quasi simili al proprio consumo alimentare. Il granone, la crusca e la farina di ghiande, infatti, si usavano anche per impastare il pane fatto in casa. E naturalmente non si tralasciava nessuna regola per ricavare il massimo possibile dall’… inquilino.

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Insomma, da animale dei boschi, il maiale fu praticamente costretto a cambiare dieta e abitudini.

Le Norme Per l'Unione Europea e per l’Asl ASL e secondo norme, regolamenti e leggi vigenti, il maiale in casa non si può fare come si faceva una volta. La macellazione a domicilio è ancora possibile, e anche se in pratica ogni ASL ha le sue regole, si possono, in generale, macellare uno o due suini all'anno per le necessità di una famiglia, vale a dire sufficienti alle sole esigenze di autoconsumo. La prassi da seguire in genere comprende la comunicazione all'ASL, da farsi alcuni giorni prima della macellazione, e l’effettuazione di un versamento. Un veterinario preleva nell’occasione un pezzo di muscolo, lo porta in laboratorio, di solito un istituto zoo-profilattico, e si effettuano i dovuti controlli. Le parti di scarto del maiale sono poche, anche oggi del maiale non si butta via nulla, e comunque per quanto riguarda lo smaltimento va sentita l’ASL, in quanto in alcune Regioni è previsto un servizio di ritiro degli scarti. Bisogna naturalmente ricorrere ad ambienti puliti, con buona pace dei locali di una volta, che erano dispense con ottimi alimenti, ma in pratica senza alcuna idoneità igienica. Vi sono Presìdi Slow Food che sostengono la conservazione di alcune vecchie prassi, in nome di un patrimonio di grande qualità alimentare, magari anche chiudendo gli occhi di fronte a qualche conseguente diminuzione di livello, in materia di igiene.

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Ma anche questi appassionati di archeo-gastronomia fanno fatica a proporre il maiale come prodotto di nicchia. C’è poi la consapevolezza che si può sempre disobbedire, anche se si è a norma HACCP. Sappiamo che, in riferimento alla garanzia delle norme, più queste sono rigide e dettagliate, tanto più hanno buchi. E, nello stesso tempo, la produzione di insaccati è ancora tanta e i controlli non sempre sono facili e veloci. Si trovano ancora, insomma, e almeno nei nostri territori, prodotti fatti in casa. Un po’ per rispondere a una richiesta “cittadina” che è disposta a spendere di più pur di avere l’illusione della qualità di una volta, un po’ per autoconsumo, e, alla fine, anche un po’ per voglia di mantenere vive le proprie tradizioni.

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Le regole della cura La “nurserie”

Al momento del parto la scrofa veniva messa in un recinto separato, per evitare che gli altri maiali ammazzassero la cucciolata. I maialini, da sei a sette, restavano con la madre per quindici giorni sostenendosi con il latte e con il siero materno, mentre alla madre veniva dato nutrimento in abbondanza. Il trogolo doveva essere sempre provvisto di cibo. Dopo quindici giorni tre o quattro dei maialini potevano essere venduti come porchette (prima le femmine, insomma). Altri venivano ingrassati con brodaglie varie, granone, fave, ghiande, erbe raccolte, frutta e, almeno due volte al giorno, bevevano acqua mista a crusca. A due mesi erano messi al pascolo nella campagna. Sarebbero stati tutti castrati dopo sei mesi, tranne qualcuno che veniva destinato alla riproduzione. L'ingrasso

Nell'acquistare i capi di bestiame ogni contadino si regolava in base alla raccolta del granone e in base alla quantità di ghiande che si producevano nei dintorni. La compravendita perciò si faceva sempre a fine agosto, periodo nel quale queste quantità si potevano stimare.

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I maiali comprati erano in genere quelli tra il secondo e il terzo anno, in quanto avrebbero dato il massimo peso al momento della macellazione, anche se è noto che il sapore migliore il maiale lo dà intorno ai 14 mesi. E anche se il maiale potrebbe avere “un’aspettativa di vita”, come si dice oggi, fino a 12 anni. Tra settembre ed ottobre tutte le mattine i maiali si portavano a pascere, evitando di lasciarli troppo sotto il sole e nelle ore più calde, per via della loro caratteristica difficoltà di regolazione della temperatura interna, dovuta alla impossibilità di produrre sudore per controllarla. Bisognava rifornirli di acqua abbondante due volte al giorno, mescolata a crusca, zucche o ortaglia marcita e vinaccioli. L'ingrasso vero e proprio cominciava a novembre, sia nel porcile che nei boschi. Il maiale, si sa, si nutre di ghiande, bulbi e radici che raccoglie grufolando, smovendo cioè il terreno con il grugno, e per avere una buona resa. Ogni maiale doveva avere perciò almeno 10 tomoli di terreno (circa 20 metri quadri), e questa misura poteva influire sulla quantità di maiali che si decideva di curare. Dentro il porcile il nutrimento consisteva in fave, bucce di farro, segale, ghiande, granone in semi e polenta di granone. La tipologia contadina delle abitazioni di campagna, ma spesso anche nei paesi, e fino a pochi decenni fa, consentiva di addossare il porcile ( a’zimma ) lungo il muro esterno del locale adibito a cucina, in modo da tenerlo caldo

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con il calore che il muro assorbiva dalle fornacette e dal camino. Era abbastanza frequente anche una apertura nel muro, alle spalle del fuoco, e “dentro” il camino. Questa comunicazione consentiva di passare al maiale parte delle rimanenza del pasto o della sua preparazione, evitando di dover uscire al freddo per portarlo dall’esterno, ed evitando di sprecare qualunque residuo. Del resto un po’ di brace nel camino rimaneva sempre accesa, anche di notte, e questo garantiva che il maiale non approfittasse dell’apertura per passare all’interno della casa. Le condizioni di igiene che ne derivavano si possono naturalmente immaginare, e furono più volte evidenziate in occasione di ispezioni da parte di veterinari e funzionari governativi. Solo di recente questa pratica appare scomparsa, anche nelle nostre civili contrade. Qualche decennio fa ancora se ne vedevano in certe case dei Centri urbani della Valle e sulle montagne. Trovandosi praticamente a convivere per molti famiglia, il maiale diventava quasi di casa, e personificato attraverso l’attribuzione di nomi magari in diminutivo: Rosetta, Ninetta, Puzzola,

mesi con la spesso era di persona, ecc..

Soprattutto per i bambini, per i quali questa presenza alla fine sarebbe diventata familiare, doveva essere difficile accettarne l’improvvisa scomparsa. E il momento arrivava comunque, puntuale e inesorabile.

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E si ripeteva immutabile negli anni, con tutta la suggestione dell’incontro e, sempre, con la drammaticità della tragedia, la necessità del bisogno, la razionalità dei preparativi, la solennità del rituale che doveva nascondere, quest’ultimo, in qualche modo, la ipocrisia del tradimento. E forse al pari di certi riti sacri tradizionali il momento assumeva anche i toni dello spettacolo.

Il sacrificio Tanto più con quel trambusto violento e sanguinoso, tra le grida della bestia e la festa degli uccisori. Che serviva forse, quest’ultima, anche a stordire un poco la coscienza di un tradimento che era stato coltivato per tutto il tempo della convivenza. Eppure molto spesso, arrivati a una età utile, anche i ragazzi più grandicelli venivano coinvolti nel rito stesso dell’uccisione, naturalmente in ruoli marginali. Li aiutava forse a costruire la confidenza con l’idea che la morte del maiale fosse utile alla sopravvivenza e perciò necessaria. Intanto il coinvolgimento immetteva forza lavoro nell’operazione, con quella disinvolta e laica praticità del mondo contadino, nel quale ognuno, per quello che poteva, doveva contribuire al fabbisogno del gruppo. Anche all'uccisione del maiale dovevano partecipare tutti, dal più piccolo che reggeva la coda del maiale, alla più vecchia che sminuzzava la carne per le salcicce. Quasi come in “10 piccoli indiani ” il film di Hitchcock nel quale tutti prendono parte all’uccisione, in maniera che il rituale di gruppo diminuisca, in un certo senso, la

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responsabilità del singolo, e che unisca tutti nella complicità del delitto. Il mondo rurale è del resto fatto dell’insieme di riti meticolosi, dai significati più vari, con operazioni fortemente simboliche che in parte si ripetono oramai in maniera automatica, senza più la consapevolezza del loro senso più proprio. Ma sempre conservate, e che si dimostrano utili per una evenienza considerata improbabile, e che improvvisamente invece rivela la ragione per la quale l’operazione era stata selezionata, attraverso gesti e contro-operazioni, in millenni di sbaglia-e-correggi. Gesti e rimedi che sono depositati in quel cassetto degli attrezzi che è la cultura contadina, e che preparano ad affrontare le evenienze improvvise. Di quelle che sono frequenti e che possono sempre verificarsi durante un’operazione così delicata e complessa come la macellazione del maiale, evento dal quale poteva dipendere addirittura la sopravvivenza del gruppo familiare. E che comunque poteva fare la differenza tra campare bene o campare male per il resto dell’anno. Ma il rituale serviva anche, in fondo, a tenere impegnati, a distrarre dal pensare alle cose da fare. E in fondo i gesti sicuri, il ruolo che ciascuno svolgeva con la sapienza dell’abitudine, il saper fare che si indovinava nei visi decisi, la successione ad orologeria delle fasi e l’uso accorto della strumentazione preparata con cura, tutto insieme conferiva all’operazione il tono di una fredda sequenza chirurgica o, meglio ancora, di una celebrazione sacra.

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Un nuovo e antico sacrificio alla Dea Maia, ripetuto immutabile per millenni, e fino a pochi decenni fa ancora normale nei nostri casolari di campagna. E forse chi lo fa ancora, sfidando le difficoltà normative, in fondo, anche se inconsapevolmente, ubbidisce a un comando ancestrale, un ricordo che è rimasto stampato nel Dna della gente. Il rito comincia in realtà già nel momento dell’acquisto. Continua nelle iterazioni quotidiane che fino a dicembre o a gennaio preparano la vittima sacrificale con tutte le fasi tipiche interiorizzate dalla Memoria collettiva. Anche nella scelta dei tempi niente è casuale: • il freddo dell’inverno aiuta a conservare la carne del maiale, • la necessità di lasciare acceso un fuoco l’essiccazione e la maturazione dei prodotti,

aiuta

• la fase di maturazione parte in tempo per garantire che si completi esattamente nel periodo in cui serve un approvvigionamento che il rigore dell’inverno non consente di avere disponibile diversamente, essendo la natura in gran parte in letargo, • la stessa necessità di tenere il fuoco acceso per ripararsi dal freddo consente di avere allo stesso costo anche l’acqua bollente che l’ammorbidisce e che aiuta nelle lavorazioni, a cominciare dal togliere le setole e la peluria.

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Il rituale Quando si entra nel porcile il maiale sembra quasi capire che quel giorno sarà lui il protagonista del dramma che si sta celebrando. Grugnisce, protesta, resiste agli uomini che lo legano e lo trascinano fuori. I suoi lamenti sembrano grida disperate, anche se intorno al trambusto si cerca di dare un tono gioioso, le donne

mostrano una allegria strana, quasi per sdrammatizzare. Vola qualche battuta sugli uomini, allusioni suggerite da qualche movimento goffo che gli scatti improvvisi del maiale costringono a fare. Risatine nervose, mentre in realtà si sta attenti a che l’animale sia tenuto ben saldo, e che non si rovini strisciando o che rimanga ferito. Sembra davvero che ognuno sappia che cosa fare, si ripetono gesti uguali conosciuti da sempre. Nessuno ha bisogno che gli si dica cosa fare.

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Per ogni movimento brusco dell’animale, per ogni imprevisto, l’abitudine ai ruoli ha tramandato la rispettiva contromossa. Il peso del maiale, la sua corporatura robusta non è un problema serio, per i quattro, cinque uomini coordinati tra loro. Poche parole, piuttosto monosillabi. Si arriva al posto preparato per il sacrificio. L’animale viene ribaltato su un lato, adagiato su un tavolone di legno. Legato con corde doppie, le zampe vengono fermate ben strette. Uno degli uomini è il più esperto, conosce bene l’anatomia del maiale e sa come evitare che fuoriesca sangue, o che questo si riversi negli organi interni, e ne renda difficile l’utilizzo. Calcola bene posizioni e distanze, adatta i suoi gesti allo ”scannatur”, il coltello dalla lama stretta e affilata lunga circa 40 cm. Quando tutti tengono il maiale ben fermo, quando lui stesso è ben sicuro sul da farsi, solleva per un attimo la testa, il coltello già posizionato al punto giusto,:

“a salute..”

“…add’u va ! ”

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Lo scambio di auguri suona un po’ fuori luogo, buono al più per un brindisi, e ha quasi il senso di una formula magica, o scaramantica. Il lavoro che dovrà farsi sulle carni dipenderà in effetti tutto dal suo gesto, che si rivela poi sicuro, e preciso.

Nemmeno una goccia di sangue, il maiale non si muove più. Anche ora i gesti sono coordinati, si sciolgono le funi che tenevano fermo l’animale, le donne hanno preparato a fianco secchi pieni d’acqua bollente, sono pronte a far la spola con il fuoco che ne riscalda altri. Tocca agli uomini provvedere alla pulizia del pelo, e i coltelli affilati cominciano a radere nelle parti del mantello in cui viene versata l’acqua calda. Una volta le setole si mettevano da parte per realizzare pennelli per gli imbianchini, e per i pittori.

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Oggi si usano per questi prodotti sintetici, ma c’è ancora chi preferisce la morbidità del pelo naturale. Vengono estratti anche gli zoccoli, che una volta servivano per fare ditali, e che, passati su una lama, la preservavano dalla ruggine. Stupisce sempre l’operazione.

di

più

il

tono

distaccato

di

tutta

Ancora gesti precisi, misurati, sapienti, coordinati, silenziosi. Una precisione quasi chirurgica. Con una competenza asettica che spoglia dalla sensazione del dramma, e dalla crudeltà sacrificale. Ben presto il lavoro è finito. Il maiale è caricato su un asse con le ruote e avvicinato al portico. A una trave è già pronta una catena di metallo legata a un legno sagomato. La catena viene tirata su dopo aver assicurato il legno alle zampe del maiale, facendolo passare dentro asole che vengono ricavate tra i tendini, e il maiale viene issato a testa in giù. La testa è la prima ad essere separata dal tronco. Infilano un’arancia nella bocca del maiale. Non è affatto una semplice superstizione, spiegano.

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Serve a mantenere aperte le fauci prima che si irrigidiscano e rendano difficili le successive operazioni di pulizia. Il maiale è pronto per essere diviso nei vari tagli. Dopo aver separato la testa dal tronco, si provvede a preparare per i primi quattro grandi pezzi, i cosiddetti “quarti” del maiale. Aperta la carcassa, inizia il prelievo delle parti interne. Mano a mano, i pezzi vengono passati alle donne, il cui ruolo è quello di prepararli per le successive operazioni. Gli intestini vengono puliti e gli organi selezionati. Alcune frattaglie vengono arrostite nell’incavo di vecchie tegole, gli embrici ( l‘irmc ), poggiati tra le braci, e costituiscono intanto un primo assaggio, anche questo dal sapore scaramantico.

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Le carni vengono messe in recipienti nei quali aspetteranno qualche giorno, prima di essere lavorate e trasformate in insaccati. Bisognerà incontrarsi di nuovo, in genere almeno dopo tre giorni, per dar modo che avvenga una opportuna frollatura. Sarà in quella occasione che le donne insaccheranno salsicce e salumi. Dovranno tagliare a “punta di coltello”, come si faceva una volta, dovranno impastare, salare, spingere la carne nel budello. Dovranno legarla confezionando sacchetti di 12-18 cm se è carne più bianca, da salame. Oppure se è carne rossa, da salsiccia, formeranno sottili cilindri di 3-4 centimetri di diametro, lunghi più o meno 80100 cm, da piegare in due ed appendere legando i capi opposti. Dopo essere stato eviscerato, il maiale va diviso nelle porzioni che hanno diverso utilizzo, e bisogna sapere come tagliare nella successione e nel verso giusto. Ogni pezzo ha un suo sapore, un suo destino, e sarà oggetto di una particolare lavorazione. Il sangue viene raccolto in secchi, prima che si rapprenda, e servirà per preparare il sanguinaccio. I visceri saranno usati come contenitori degli insaccati. Il Maiale è ripulito, sventrato, fatto a pezzi. Giudiziosamente, perché tutto abbia il taglio opportuno, e conservi intatta e per intera la sua propria utilità.

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Gli uomini hanno ora la tranquillità giusta per parlare, sono rilassati, le fasi importanti sono state eseguite a perfezione. È il momento per rilassarsi, per scambiarsi opinioni o esperienze sul modo di procedere e sui ricordi di quando da ragazzi hanno imparato l’arte dagli anziani. Ora il lavoro è routine. Ora “Adesso potrebbe continuare qualunque macellaio”, si lasciano scappare con un pizzico di superbia. Sorridono, quasi consapevoli di avere dentro più di mille anni di storia. Sono orgogliosi, in fondo, di essere ancora capaci di fare come è stato loro insegnato tanti anni fa. Forse solo un po’ dispiaciuti che i ragazzi di oggi non siano li per poter passare loro il testimone. Anche le donne, adesso, partecipano alla selezione, e il clima diventa sempre più quello di una festa. I diversi pezzi di carne appaiono finalmente e sempre di più come i tesori che costituiscono la vera eredità del povero maiale. L’uccisione è andata bene, e probabilmente ci sarà salame di buona qualità. “Cu pigli’e’si’nsura s’accuntenta nu jurn, cu’accid’nu’purc s’ta bbun’pe’n’ann” “Tria su l’fest’ principali: Pasca, Natal’e quann’ s'accid’u’maiali”.

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Il progetto Paesaggio, ambiente, storia, archeologia, capacità sociale, prodotti tipici, tutti insieme, costituiscono il Capitale territoriale locale. Ciascuno dalla propria angolazione racconta la cultura locale, la sapienza costruita in millenni e che si è sedimentata in quella risorsa preziosa che è la tradizione. Le abitudini gastronomiche, il particolare rapporto che si costruisce tra i prodotti locali, il clima, le esperienze autonome o acquisite durante le varie colonizzazioni o le invasioni subite, forma un particolarissimo sistema di conoscenze. Sistema che si può ritenere, in fondo, come una grande opera d’arte collettiva, apparentemente uguale eppure diversa in ogni parte del territorio. Non a caso il turismo più maturo, quello che è anche il più appetibile perché è rispettoso delle abitudini locali e perché porta occasioni di ricchezza diffusa, è curioso di emozioni, di conoscenze dirette, è sensibile alle storie e alla disponibilità ospitale. Naturalmente il cibo è solo una delle opportunità, e deve fare alleanze intelligenti con altri aspetti del patrimonio locale, ma ne è certo l’aspetto più accattivante. Un territorio si attraversa mangiando, e a tavola si è più disponibili ad ascoltare le storie e i racconti che hanno il fascino giusto. La gastronomia locale rappresenta perciò un vero “giacimento culturale”, tanto per fare riferimento a alla

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definizione introdotta qualche anno fa dalla Legge Ronkey per i Beni culturali. Il cibo è un potente “medium”, un mezzo, cioè, di comunicazione. Un mezzo di comunicazione, cioè, che, oltre ad essere una occasione di piacere e di convivialità, grazie al suo potere straordinario consente di conoscere, in modo immediato e ..… viscerale, la cultura e la storia delle gente. Affinchè questo potente mezzo di comunicazione possa ancora raccontare le capacità del territorio, vale la pena di riscoprire gli antichi rituali ancora oggi patrimonio di chi li ha imparati dalle nonne, e di chi è ancora disponibile ad insegnarli a sua volta ai giovanissimi. Il Progetto si è proposto di evidenziare la dimensione di una sapienza che è sotterranea, ma che che viene a galla ogni volta che una occasione è riconosciuta, dalla gente della Valle, come appartenente alla cultura condivisa. E allora spuntano fuori i ricordi del Noce, i ritmi, le storie, le memorie di territorio. Anche se il filo che lega la gente alla propria storia è sempre più sottile, ed è proprio la gente, ad essere sempre di meno. Negli ultimi decenni l’esodo dalla Valle, mai cessato dagli inizi del secolo scorso, e pur diminuito nelle quantità, ha di fatto assunto dimensioni sociali e qualità preoccupanti, in quanto mette a rischio la permanenza stessa dei caratteri tradizionali locali. È un esodo che interessa infatti i giovani scolarizzati, che partono per non tornare più.

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Questi non trovano più le occasioni di lavoro che possono consentire loro di per rimanere. Ma non riconoscono nemmeno più all’area la capacità di riferimenti culturali forti e di livello tale da costituire una valida alternativa alle suggestioni della società “globalizzata”. Non ne riconoscono i caratteri di identità, e sono convinti di non partecipare ad alcuna forma di cultura per la quale valga la pena di restare. Sono orfani di una storia e di una tradizione che invece è ricca e complessa, ma che è stata per molto tempo negata o travisata. Il Progetto assume perciò la necessità di ricostruire le ragioni del riferimento alle proprie radici, e sceglie di utilizzare, gli strumenti più diretti e immediati, in modo da interesse e reazione provocare nell’immediato “partecipata”,. La scelta è di quelle capaci di rivolgersi alla naturalità più genuina del contesto sociale ed in qualche modo allo stesso “dna” dei residenti. Del resto il contesto locale si va facendo sempre più multiculturale, grazie alla presenza di un sempre maggiore numero di immigrati. Separato dalle aspirazioni dei giovani, il ruolo della conservazione dei caratteri autentici del territorio non sembra avere più valore. Invece di arricchire il Capitale sociale locale, la nuova consuetudine alle frequentazioni esterne, e la voglia di lasciarsi andare alle sollecitazioni “globali” dei Media, si

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sovrappongono banalmente alle radici locali, diminuendone il valore. La Memoria collettiva rischia perciò di deteriorarsi in localismi, campanili o in inopportune chiusure al forestiero e al diverso in genere. Deve essere invece preservata, in quanto contiene in sé i caratteri e la dimensione locale della Qualità della vita. È una componente fondamentale dello sviluppo, perché : - è il riferimento per la riproduzione “sociale” di alcuni valori fondamentali, - grazie alla recente attenzione alle identità locali può aiutare ad attrarre risorse umane ed economiche, - adeguatamente valorizzata, può creare valore aggiunto e promuovere occupazione giovane, dignitosa ed orgogliosa delle proprie tradizioni. ---------------------------------------------------------------

Il Laboratorio Gli incontri di condivisione delle differenze alimentari tra i paesi della Valle del Noce sono stati frequentati, ogni volta che si rivelava possibile, anche dai ragazzi. L’intento dichiarato era quello di realizzare ancora una volta la continuità tradizionale tra le esperienze di più generazioni. Come una volta, la frequentazione reciproca tra le diverse età doveva consentire il trasferimento delle conoscenze, esaltando l’aspetto giocoso degli incontri e la sorpresa connessa alla possibilità di partecipare direttamente alle varie lavorazioni.

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Come del resto era consuetudine anche nel passato. E, ancora una volta, lo stesso meccanismo di condivisione delle cose dei grandi ha funzionato di nuovo. I ragazzi sono sembrati davvero interessati, liberi di manipolare ingredienti e strumentazioni sotto la guida attenta e consapevole delle anziane. E si è ripetuto il gioco delle domande, delle curiosità, delle risposte un po’ saccenti delle nonne. Nei primi incontri sono state protagoniste casalinghe, poi le sfoglie fatte a mano.

le

torte

I ragazzi avvisavano in famiglia di non cucinare paste acquistate, quel giorno avrebbero pensato loro a portare ruccul’ o strascinat’ per il pranzo. E uscivano dal Laboratorio con il vassoietto bello zeppo di pasta fatta con le loro mani. Poi hanno fatto i cannaricul’, i picchiutl’ e le ros’e’ catarr’. Quando, per chiudere, è toccato ai salumi, un’intera serata è stata dedicata alle lavorazioni, poi alla preparazione della cena, paste fatte in casa comprese, come per una vera conclusione … magistrale. Alla cena hanno partecipato le famiglie dei ragazzi, mamme, papà ed anche qualche nonno.

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Questi ultimi riuniti al tavolo della briscola come ai bei tempi. Non è stata solamente scenografia. I ragazzi hanno mescolata la carne insieme ai grandi, hanno salato, hanno pesato, hanno insaccato, hanno punzecchiato i salumi. Certo, per assaggiarle dovranno aspettare che maturino, ma è sicuro che sarà anche quella una occasione di festa. Intanto avranno modo di ripensare a com’e fatto davvero un maiale, ricordando come tutte le sue parti …. non nascono nei supermarket.

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La mappa del maiale 1. Testa 2. Gola o Guanciale 3. Lardo 4. Coppa 5. Lombo o lonza 6. Costine 7. Spalla 8. Zampino 9. Pancetta 10. Filetto 11. Culatello, o carrè

12. Coscia, prosciutto

La testa (1) Si divide in tre parti (magro, ossa e grasso) viene utilizzata in parte per la consumazione umana ed in parte per la produzione di farine proteiche per uso zootecnico. Neppure le orecchie e lingua vengono buttate.

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Il guanciale (2)

È costituito da grasso di copertura che va dalla testa alla spalla, e da residui muscolari di collo e guance. Si usa per il salame crudo, tiene bene la cottura e viene utilizzato macinato, come ingrediente principale di cotechino e zampone. Il lardo (3)

Appena sotto la cotenna, è il primo strato di grasso che si trova lungo tutta la schiena del maiale. Va dalla testa alla coda, e lateralmente arriva fino alla pancetta (9). Diviso in grossi pezzi, si strofina a mano con il sale su ognuno dei lati e si conserva in un recipiente pressandolo con un peso, perché il sale vi penetri più profondamente. Dopo un mese circa i pezzi vengono appesi in cucina esponendoli al fumo. Sono già utilizzabili come condimento, anche se chi ne ha di riserva lo lascia stagionare per almeno sei mesi perché si migliori la qualità. Si può consumare anche crudo, affettato. La coppa (4)

Tra le spalle, appena sotto la testa. E' quella che si chiamia anche capocollo, ed è un taglio particolarmente saporito in quanto è molto carnoso, ma con gustose infiltrazioni di grasso. Si pulisce perfettamente di ogni osso e si toglie il grasso, si divide in due o tre parti e si mette in salamoia.

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Si affumica e si conserva al freddo. Si tratta di un taglio molto versatile in cucina. Tagliato a fette sottili è ottimo cotto alla griglia (o anche con un semplice tegame antiaderente), mentre tagliato a pezzettoni può essere bollito come spezzatino. Può essere cucinato intero arrosto oppure in umido. Il Lombo (5)

È il taglio più pregiato, in quanto composto dal filetto e dal lombo. E' detto anche carrè, àrista e, se disossato, lonza. Dalla lombata si ricavano le braciole, e le costolette. È particolarmente indicata per gli arrosti e per i brasati, e oltre che in brasciole e costolette e cotta ai ferri, può anche finire in padella o alla griglia. Costine (6)

Sono chiamate anche puntine e rappresentano il taglio più economico. Vengono dal petto, sono molto saporite, La spalla (7)

È ricca di carne, ma è leggermente fibrosa. E' molto saporita se cotta arrosto o tagliata a pezzetti per lo spezzatino. È insieme alle costine tra i tagli più economici del maiale. Se ne ottiene anche il "prosciutto cotto di spalla". Si suddivide in due parti: la fesa e il muscolo.

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La prima, più pregiata e tenera, viene usata per la produzione del salame crudo. La seconda, più dura, viene utilizzato per la preparazione di prodotti che richiedono cottura (cotechino, salame cotto, e, oggi, mortadella e würstel). Lo Zampino (8) – Pied’ i purc

Costituisce una parte meno conservabile del maiale, e pertanto va mangiato di preferenza nel periodo della sua uccisione. A Lauria, condito con aceto, è tradizionalmente dedicato alla Festa di Sant’Antonio, e il 13 giugno viene offerto ai fedeli in quantità industriali. La pancetta (9)

È la parte più vicina al ventre. Si prepara ugualmente col sale, si ripone in salamoia e poi si affumica. Si conserva in un luogo ventilato riparato dai raggi del sole e si utilizza come affettato o cotto nelle minestre per insaporirle. È molto grassa e quindi saporitissima, è ideale da cuocere fresca alla griglia. Ma è come salume che si esprime al meglio. Ha numerosi impieghi in cucina, tanto da conferire sapore a centinaia di ricette della cucina italiana, come ad esempio la mitica pasta alla carbonara o anche all’amatriciana. Il Filetto (10)

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Si trova lungo la parte centrale della colonna vertebrale, ed è la parte più tenera del maiale, in quanto i muscoli che sostengono gli organi interni non sono utilizzati per la locomozione, perciò non sono fibrosi. Il Culatello (11)

È la parte migliore del prosciutto, senz’osso, è molto saporito. Viene lavorata senza insaccarla, la sua forma consente di fare fette tutte uguali, dall’inizio alla fine. I prosciutti (12)

Si ricavano dalla coscia. Hanno bisogno di accurato cospargimento di sale e di una lunga fase di maturazione. Per la salatura sono trattati come il lardo, ma con attenzione al microclima locale, in quanto mentre nei luoghi caldi si mette assai sale, in quelli freddi se ne richiede di meno. Freschi possono essere cucinati in vari modi, sono ottimi cucinati interi, arrosto. La parte terminale della zampa è lo stinco, che si consuma intero o arrosto, ma dopo lunga cottura. La sugna

La sugna, dalla quale deriva lo strutto, si estrae con l'ebollizione del grasso di deposito delle costole, è presente intorno ai reni e nella pancia intorno al bacino, Deve essere ben conservata altrimenti diventa rancida e inacidisce.

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La cotenna - cotica

E' la pelle del maiale, e viene ripulita e raschiata dalle setole. È ottima bollita a piccoli tranci, anche con spezie e fagioli. Macinata, è uno degli ingredienti del cotechino o dello zampone; L'eccedenza viene trasformata in gelatina animale. Generalmente, gli involucri per gli zamponi si ricavano anche dalla cotenna che ricopre la spalla. Ossi, coda, unghie

Oggi aziende specializzate li trasformano in farine per uso zootecnico. Setole

Un tempo venivano vendute a industrie che producevano pennelli e spazzole. Oggi vengono trasformate anch’esse in farine per uso zootecnico. Le setole non bruciano, non si possono tritare, non si decompongono: la trasformazione avviene attraverso un processo di idrolisi, che ne smembra le fibre proteiche con forti scariche elettriche in acqua e sali.

Gli utilizzi Le salcicce, le soppressate, le cervellate

Si fanno tutte allo stesso modo, nelle ultime però si mette poco sale e si condiscono con aromi perché vanno mangiate fresche.

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Nelle prime due c'è una differenza nel modo di tritare la carne e nel mescolarla con più o meno grasso. Si trita e si asperge anche con vino, si mescola a mano, e con vigore, con pepe, sale e finocchietto. Le donne lo fanno tutte insieme, lavorando mucchi di carne per garantire che il risultato sia uniforme. Si lascia riposare per qualche ora, poi con un imbuto si inserisce nelle budella (più larghe per la soppressata). Le budella riempite vengono legate con lo spago alle estremità e lungo il cilindro, strozzandolo e formando corti pezzi che potranno poi consumarsi staccandoli dal resto. Con i denti di una forchetta viene poi bucato parti, per consentirne la traspirazione una volta che in più sarà lasciato appeso ad essiccare. È importante saper valutare i tempi di questa fase: le donne più esperte segnalano che se rimane appeso troppo tempo, diventa troppo duro ! I cotechini

Fatti come le salsicce ma composti con avanzi di cotenne, grasso, membrane non utilizzate, e poi farciti con semi di finocchio e pepe. Vanno utilizzati cotti in acqua bollente. I sanguinacci

La loro bontà dipende dalle spezie e dalle altre sostanze che si mischiano al sangue: pinoli, noci, zucchero, latte, pistacchi, confetture e cioccolate. Una volta si immettevano nel budello e si facevano bollire. Non si conservavano più di una settimana.

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Oggi con il sanguinaccio si fanno ottimi dolci. Gli intestini.

Quelli avanzati si puliscono per bene e si confezionano con sale, pepe, semi di finocchio e anice; poi s'intrecciano con cura per essere affumicati e seccati. Le parole

Durante l’attuazione del Progetto ci si è imbattuti in alcuni termini dialettali ma ancora usuali nelle nostre campagne, che rivelano una origine, per così’ dire, “nobile”. Meriterebbero, insieme a tante altre, una attenzione specifica perché se ne riconosca il contributo delle diverse culture che il territorio ha ospitato, nel tempo: Ammuccià:

Nascondere. Dal francese “mucher”, nascondere. francese “casserole”. Bucchinòtt’: Forme di rame per pasticcini detti bucchinotti perché da mangiare in un sol boccone. Caudàra: Caldaia. Dal Latino dal “calidaria”. Grande pentola in rame Caccavèdda: Pentola. Dal Greco “kàkkabos”. Caràff’: Caraffa. Unità di misura corrispondente a litri 0,727, quasi tre quarti di litro. Dall’ Arabo “garràfa”. Cassaròla: Casseruola. Tegame alto con manico. Casseruola, dal Càntaru: Tazza, recipiente. Dal Greco kantharos. Catuiu: Grotta, cantina, stalla e scantinato. Cuppino: Mestolo. Dal Latino coppa, utensile per bere. Gratìglia: Graticola. Guallera: Ernia inquinale. Dall’arabo A’ddara. Laghenaturo. Laganaturo, mattarello. Dal Greco “laganon” e Latino “laganum”, focaccia distesa, stesa. Lancedda: Brocca di terracotta per l’acqua, con due manici contrapposti in strisce di cotto Màdia. Dal Latino “mactra”, greco “maktra”.

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Pignata:

Recipiente in terracotta con due impugnature verticali a nastro, ravvicinate. Pisaturo: Pestello. Dal verbo “pisá”, pestare. Mappine: Stracci, strofinacci per la pulizia. Dal Latino “mappa”, tovagliolo. Misale Tovaglia Muciulià Gesto ripetuto dei bambini nell’accarezzare gli animali domestici. Muccaturu: Fazzoletto. Dal francese mouchuare Mummula: Recipiente in cotto. Mustacciulu: Dolce natalizio di farina, zucchero e mandorle. Il nome deriva dal Latino “mustàceus”, cioè simile al mosto. Torta nuziale a base di mandorle, fichi secchi, zucchero e poca farina. Pappagorgia. Dal Latino “buccula”, gola. Ràsula: Raschietto per pulire la madia. Rutu: Teglia a bordi verticali per la cottura delle torte. Scannaturu Coltello sacrificale. Scióre: Farina. Dal Latino “flos”. I romani distinguevano tre tipi di farina: - La farina grossa (cibarium), - la media (sivigo) - la finissima (flos), fiore. Senale: Grembiule. Spara: Strofinaccio per asciugare le stoviglie. Si usava anche, arrotolato, per equilibrare i pesi da portare sulla testa. Sparagno: Risparmio, economia. Dal tedesco Sparen, risparmiare Stiavuccu: Tovagliolo a forma quadrata nel quale veniva avvolta la colazione del contadino. Staccio: Setaccio. Dal Latino “saetacium” da “saeta”. Suriciu: Topo. Dal francese Souris. Tiàna: Tegami. Dal Greco “tegánion”. Tièlla: Teglia, padella. Dal Latino “patella”, per aferesi, “tella”. Tinaglia Pinza per strappare l’unghia del maiale.

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Tripud’: Vacile: Verrinìa: Vucculàro: Zimma

Treppiedi. Appoggio a pentole e teglie sulla brace. Dal Greco “tripus+podos”, tre+piede. Vassoio , contenitore largo e con l’orlo basso. Si tratta di carne di maiale seccata, la vulva o anche la mammella. Sottomento del maiale, quello che per gli uomini è detto pappagorgia. Porcile. Dal tedesco “zimmer” ricovero, camera, stanza.

Il maiale nelle Enciclopedie Alimentazione

L'antico Egitto

Scrive Erodoto (II, 47): "Ritengono gli Egiziani che il maiale sia una bestia immonda; e se uno passando sfiora un maiale, subito, così vestito, va a tuffarsi nel fiume." Nonostante fosse considerato una bestia maiale veniva consumato frequentemente. Ambùrbio

impura,

il

Enciclopedia generale

ambùrbio sm. [dal latino amburbĭum]. Processione attorno alle mura della città di Roma: aveva carattere espiatorio, si teneva ordinariamente il 15 di febbraio (festa dei Lupercali) e si offriva agli dei il sacrificio di un maiale. Arista

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àrista sf. [sec. XIV; etimologia ignota].

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Schiena e lombo del maiale macellato. Cotto al forno o allo spiedo, insaporito con aglio e rosmarino, è tipica specialità della cucina toscana. Viene consumato caldo o più comunemente freddo Bacon

Enciclopedia generale

bacon s. inglese usato in italiano come sm. Ventresca di maiale sottoposta a salatura e affumicatura. Nei Paesi anglosassoni è molto diffusa l'abitudine di mangiare il bacon con le uova come prima colazione. Biancostato

Enciclopedia generale

biancostato sm. lombardo [da bianco+costato, perché il pezzo è cartilaginoso e ricco di parti grasse]. Spuntatura di maiale e di bue. Biróldo

Enciclopedia generale

biróldo sm. [sec. XV; etim. incerta]. Sorta di salame o sanguinaccio, speziato e aromatizzato, preparato col sangue di maiale. Tipica specialità toscana, si presenta con una grande varietà di tipi e assume anche i nomi locali di mallegato, buristo, bilordo, ecc Bondiòla

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con la carne ricavata dal collo del maiale e stagionata non molto a lungo, per lo più entro un budello ricavato dall'intestino del maiale stesso.

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È di gusto sapido, intenso, caratteristico. Braciòla

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(lett. braciuòla), sf. [sec. XVI; da brace]. 1) Nome di due preparazioni culinarie completamente differenti l'una dall'altra. Nell'Italia settentrionale è una costata o lombatina di maiale, che può essere cotta sulla brace o passata in padella. Nell'Italia meridionale, invece, è una specie di grosso involtino, detto anche braciolone, costituito da una larga fetta di polpa di manzo arrotolata intorno a un trito di vari ingredienti. 2) Fig. scherzosamente, ferita, specialmente provocata nel radersi il viso. Busécchia

Enciclopedia generale

sf. (o busécchio, sm.) [sec. XIV; affine a busecca]. 1) Budello animale in cui viene insaccata la carne di maiale per fare salsicce. 2) Al pl., intestini, budella. 3) Ant., borsa; anche tasca. Nella loc. fig. figliare alle busecchie, adescare. Capocòllo o capicòllo

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capocòllo o capicòllo sm. (pl. capicòlli) [capo-+collo]. Nome di salumi prodotti in diverse regioni italiane.

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In Emilia è sinonimo di coppa o di bondiola; nelle regioni del Mezzogiorno è invece un insaccato preparato con la carne della regione dorsale del maiale vicino al collo. Ben stagionato. Carbonata

Enciclopedia generale

carbonata sf. [sec. XIV; da carbone (chimica)]. 1) Mucchio di carbone. 2) Carne di maiale salata e arrostita sulla brace o fritta in padella. Carnesécca

carnesécca sf. toscano Pancetta di maiale salata.

Enciclopedia generale

[sec.

Carré

XIV;

da

carne+secco].

Enciclopedia generale

sm. francese (propr., quadrato) usato in italiano con alcuni significati specifici. 1) Nella terminologia della moda, è sinonimo di sprone. 2) La lombata di animali macellati: carré di vitello, di maiale, ecc. 3) Combinazione propria del gioco della roulette, consistente in una giocata di quattro numeri fatta con un solo gettone. 4) Come agg.: pan carré, pane tagliato a fette quadrate, sinonimo di pane in cassetta. Cervellata

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cervellata sf. [sec. XVI; da cervello]. Salsiccia, grossa in vari Paesi europei, media o sottile nell'Italia meridionale, a base di carne di maiale, un tempo preparata con carne mista a cervella, donde il nome. È una specialità antichissima e tradizionale.

čevapčići

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čevapčići specialità iugoslava, diffusa anche nelle zone di Trieste e Gorizia. Il čevapčići è costituito di polpette o salsicce fatte con parti uguali di carne di manzo, maiale e agnello, aromatizzate con spezie forti, cotte alla griglia o in padella e servite con cipolla cruda affettata. Chorizo

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chorizo sm. spagnolo (propr. salsicciotto). Salame di origine spagnola, fatto con carne di maiale, talvolta con altre carni, aromatizzato con peperoncino rosso e aglio. Si consuma crudo o arrostito e costituisce un ingrediente della paella. Ciacco

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ciacco sm. e agg. ant. (pl. -chi) [sec. XIV; etim. incerta]. 1) Sm., maiale, porco: “parolacce da ciacco” (Faldella). 2) Agg., sporco, sudicio, ripugnante: “sucida, ciacca, rancida” (Caro)

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Cicerchiata

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cicerchiata sf. [da cicerchia]. Piatto a base di cicerchie e di frattaglie di maiale e/o di agnello, un tempo popolare in alcune regioni del Mezzogiorno. Nell'uso corrente, dolce a base di palline di pasta fritte e legate con miele. Ciorbă

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tipica minestra romena, composta da diverse verdure mescolate con carne di pollo e salsa di pomodoro, aromatizzata poi con erbe. Esistono diverse varianti della ricetta base e, a seconda della regione o della località, la ciorba diventa di agnello, di vitello, di maiale oppure di sole verdure. È costume prepararne in una certa quantità, di cui una parte viene servita subito, calda, e l'altra conservata, per poterla consumare fredda. Còppa

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sf. [sec. XIV; da còppa (o cóppa), per la forma]. 1) Ant. e regionale, nuca, parte posteriore del collo: “Sovra le spalle, dietro dalla coppa / con l'ali aperte gli giacea un draco” (Dante). 2) Nome di due tipi di salumi. La coppa dell'Italia settentrionale è in genere un salume compatto, fatto con la parte dorsale del maiale vicina al collo, salata e opportunamente stagionata.

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La coppa delle regioni centro-meridionale è invece un salume composto di varie parti della testa e del muso del maiale, con cotenne e spezie, cui vengono talvolta aggiunti aromatizzanti e dolcificanti come scorza d'arancia, pinoli e mandorle. Insaccata e pressata, è, a differenza della precedente, di pronto consumo. Cotechino

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cotechino sm. [sec. XIX; da cotica]. Insaccato di carne di maiale tritata finemente insieme con cotenne e quindi racchiusa in un budello non molto spesso. Gustosa e rinomatissima specialità emiliana, il cotechino è confezionato, tra l'altro, anche in Lombardia (Cremona) e in Piemonte (Cocconato) Còtica o cótica

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sf. (pl. -che) [sec. XIII; latino tardo cutĭca, buccia d'un frutto, da cutis, pelle]. 1) Cotenna del maiale privarla delle setole.

opportunamente

trattata

per

Nell'Italia meridionale, e assai di più in quella centrale, le cotiche sono la base di numerose, popolari specialità, fra cui i fagioli con le cotiche, tradizionale piatto romanesco. 2) Per estensione e scherzoso, pelle d'uomo. Anche fig.: aver la coscienza con tanto di cotica. 3) Strato superficiale di un prato o di un pascolo, costituito dalle piante erbacee che vi crescono, inclusi le radici e il terriccio che queste ultime trattengono.

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Coratèlla o coradèlla

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coratèlla o coradèlla sf. [sec. XVI; dim. di corata]. Corata di agnello, di capretto, di maiale e di animali piccoli (lepri, conigli, uccelli, ecc.). Tradizionali nella gastronomia dell'Italia..., alla cacciatora, in spiedini, ecc.: “s'avviò per andar a mangiare la coradella calda di maiale (Tombari). Culatèllo

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culatèllo sm. [da culo]. Salume ricavato dalla carne della parte posteriore del maiale, non tritata, ma insaccata a grossi pezzi e stagionata. È molto pregiato, data la scarsa produzione accentrata in poche località emiliane. Crépinette

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crépinette sf. francese (propr., salsiccia schiacciata). Salsiccia piccola e piatta, a base di carne macinata di maiale o di agnello, di tartufo e di farcia ben saporita. Si consuma cotta in padella, accompagnata da vino bianco. Fegatèllo

al

forno

o

grigliata,

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fegatèllo sm. [sec. XV; da fegato]. Pezzo di fegato di maiale avvolto in una reticella, sempre di maiale, aromatizzato con l'alloro e cotto su appositi spiedini.

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Finocchióna

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finocchióna sf. tosc. [da finocchio]. Tipico salame toscano a base di carne di maiale piuttosto grassa e aromatizzata con semi di finocchio, donde il nome. Frugolare

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frugolare v. intr. (ind. pr. frùgolo; aus. avere) [sec. XV; iterativo di frugare]. 1) Andar frugando qua e là. 2) Del maiale, raspare per terra col grugno. Grifare

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grifare v. tr. ant. [sec. XIV; da grifo (sostantivo)]. Detto del maiale, ficcare il grifo nel trogolo per mangiare il pastone; fig., godere animalescamente. Grufare

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grufare v. intr. ant. [sec. XV; da grifo (sostantivo) incrociato con grugnire]. Del maiale o di altri animali, stare col muso per terra alla ricerca di cibo; grufolare. Anche tr., togliere, sottrarre. Grufolare

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grufolare v. intr. (ind. pr. grùfolo; aus. avere) [sec. XV; iterativo di grufare]. Razzolare col grifo, grugnendo in cerca di cibo, detto del maiale, del cinghiale e simili; per estensione anche di altri animali.

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Spregiativo, di persona, mangiare in modo animalesco, con ingordigia; fig., non comune. Grugnito

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grugnito sm. [sec. XVII; latino grunnītus-us]. Verso tipico del maiale e del cinghiale; per estensione anche di altri animali. Fig., suono indistinto emesso da persona adirata o scontenta; brontolio sordo: “Lo tirò via con uno strappo alla manica e un grugnito rabbioso” (Pirandello) sostantivo maschile) Il verso del maiale • Brontolio incomprensibile: rispose con un grugnito. Grugno

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grugno sm. [sec. XIV; da grugnire]. Il muso del maiale, del cinghiale e, meno comune, di altri animali. Per estensione, scherzoso e spregiativo, il viso di una persona: pulisciti il grugno, rompere il grugno a qualcuno; fare, tenere il grugno, fare, tenere il broncio, il muso. Guanciale

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sm. [sec. XIV; da guancia]. 1) Cuscino, in particolare quello che si pone sul letto per appoggiarvi la testa; dormire tra due guanciali, fig., stare tranquillo sull'esito di qualche cosa, non avere preoccupazioni. 2) Nelle armature antiche, ciascuna delle due appendici dell'elmo che coprivano e difendevano le guance.

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3) Nell'attrezzatura navale, elemento di protezione posto in punti soggetti allo sfregamento di cavi di manovra. 4) Reg., parte del lardo ricavata dalle guance del maiale. Particolarmente saporita, è apprezzata nell'Italia centromeridionale. Nella cucina romanesca è ingrediente fondamentale degli spaghetti all'amatriciana e delle fave col guanciale. Immóndo

Enciclopedia generale

immóndo agg. [sec. XIII; dal latino immundus]. 1) Sporco, sozzo in modo tale da essere repellente. Fig., corrotto, turpe: vizi immondi. 2) Contaminato, impuro; animali immondi, quelli (per esempio il maiale) che secondo la legge mosaica non si possono né toccare né mangiare senza contaminarsi. Insaccare

Enciclopedia generale

v. tr. (ind. pr. insacco-chi) [sec. XIV; da in-2+sacco]. 1) Mettere in un sacco, nei sacchi: insaccare il grano. Per estensione, mettere carne di maiale tritata e opportunamente preparata nei budelli per farne salami, salsicce, ecc. 2) Fig.: A) familiarmente, mangiare, trangugiare con avidità. B) Vestire con abiti troppo larghi e goffi, infagottare (anche rifl.). C) Ammassare persone o cose in uno spazio troppo angusto; stipare; anche rifl.: ci siamo insaccati tutti nella

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sala. In particolare, insaccare il nemico, chiuderlo in una sacca. 3) Rifl. fig., cadere pesantemente, come un sacco, quasi rattrappendosi per l'urto. Del sole, nascondersi dietro le nuvole. In marina, gonfiarsi, detto delle vele quadre allorché il vento agisce sulla loro faccia prodiera. Lardo

Enciclopedia generale

lardo sm. [sec. XIV; latino larĭdum, carne suina salata]. 1) Strato adiposo sottocutaneo del maiale; la parte di tale adipe conservata mediante salatura e affumicatura e usata come condimento: uova al lardo; fig.: essere una palla di lardo, molto grasso; proverbio: “Tanto va la gatta al lardo..” Lardo

Enciclopedia Canale Medicina

grasso alimentare derivato dal grasso di copertura (deposito sottocutaneo) del maiale, e precisamente dalle zone superiori della spalla, del dorso, dei fianchi. Oltre a una grande percentuale di grassi saturi, il lardo contiene piccole quantità di acqua e proteine. È indicato, grazie alla sua stabilità al calore, per cotture lente (per esempio, minestroni). Per la presenza di acidi grassi saturi è sconsigliato il suo consumo in soggetti con colesterolomia elevata Lómbo

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lómbo sm. [sec. XIV; lat. lumbus].

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1) Ciascuna delle due regioni muscolari addominali del corpo umano, poste dorsalmente ai lati della colonna vertebrale all'altezza dei reni. Per estens., i fianchi... l., essere di famiglia nobile. 2) Taglio di carne analogo alla lombata, rif. in genere al maiale. Lónza

Enciclopedia generale

lónza (gastronomia) sf. [sec. XVI; dal fr. longe, lombata, forse da una voce celtica londia]. Lombata di animali macellati, per lo più di suini; anche il salame, pregiato e saporito, preparato in varie regioni italiane con la lombata disossata del maiale, salata e in genere abbondantemente pepata Lugànica o lugànega

Enciclopedia generale

lugànica o lugànega (anche lucànica), sf. [sec. XVI; lat. lucanĭca, (salsiccia) della Lucania]. Salsiccia lunga e sottile di carne di maiale finemente tritata e impastata con poco grasso. È una rinomata specialità di Monza e in genere lombarda, anche se il nome rivela un'origine lucana. Maialata

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sf. [sec. XIX; da maiale]. Azione sconcia e volgare. Maiale

L'antico Egitto

Discendente da una specie di cinghiale selvatico, il maiale era presente in Egitto sin dalla preistoria.

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Nelle raffigurazioni (piuttosto rare) dell'Antico Regno (2700-2195 a.C.) come nel geroglifico che lo ritrae, il maiale è rappresentato con setole irte sulla schiena, zampe sottili e muso allungato, tratti che ne denotano il recente addomesticamento. Probabilmente in seguito alla sua voracità, alla sua sporcizia e alla sua natura selvatica, il maiale era associato a Seth, dio del caos, e per questo era considerato un animale impuro. Ciononostante l'allevamento del maiale doveva essere assai diffuso a giudicare dal ritrovamento di numerosi recinti con resti di scheletro dell'animale in prossimità di centri abitati (come nel caso del villaggio di Deir el – Medina). D'altro canto sappiamo che migliaia di maiali facevano parte della proprietà di numerosi templi. La carne dell'animale, nonostante non compaia mai nelle liste di offerte divine, era regolarmente consumata sulle tavole di ricchi e poveri. In una versione del Mito dell'occhio di Horo, si narra come Seth, sotto le sembianze di un grande maiale nero, ingoi periodicamente la luna. In un altro racconto mitologico si dice che la Grande Scrofa celeste divori all'alba i suoi piccoli, le stelle, per poi rigenerarli nelle ore notturne. Discendente da una specie di cinghiale selvatico, il maiale era presente in Egitto sin dalla preistoria. Nelle raffigurazioni (piuttosto rare) dell'Antico Regno (2700-2195 a.C.) come nel geroglifico che lo ritrae, il maiale è rappresentato con setole lunghe.

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Maiale

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sm. [sec. XIV; dal latino maiālis]. 1) Animale domestico derivato da specie selvatiche, tra cui il cinghiale, e allevato dall'uomo da circa seimila anni (vedi suino); porco. In particolare, il maschio castrato e ingrassato. Per estensione, la carne dell'animale macellato. La carne di maiale è di colore l'abbondante presenza di grasso.

molto

pallido

per

Nonostante i pregiudizi in proposito (che sfociano talvolta in divieti religiosi, per esempio presso ebrei e musulmani) il maiale ha una carne molto gustosa e nutriente, discretamente digeribile, e basta avere l'accorgimento di cuocerla a lungo, per eliminare le eventuali larve di parassiti in esso contenute. Per migliorarne la digeribilità la produzione si orienta all'allevamento del cosiddetto “maiale magro” o “magrone”. I tagli che si consumano freschi sono la lonza o lombata, l'arista, il carré, le puntine, le costine, ecc. Anche la testa, i piedini, le orecchie, il muso, le interiora, i fegatelli, ecc. trovano impiego gastronomico. Molte parti del maiale (per esempio le cosce) sono alla base dei più apprezzati insaccati. 2) Fig. (f. popolare -a), persona eccessivamente ingorda o sporca o anche di costumi estremamente rilassati e corrotti. 3) Nomignolo caratteristico di uno dei più noti mezzi d'assalto impiegati dalla Marina italiana nella seconda guerra mondiale per attaccare il naviglio nemico nei porti.

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Si trattava di un grosso siluro pilotato, lungo 5,70 m, che recava a prora una carica di ca. 300 kg di alto esplosivo, distaccabile per essere fissata alla carena della nave da attaccare. L'equipaggio, composto da 2 uomini, poteva tentare il rientro con lo stesso apparecchio, munito di motore elettrico e di un'autonomia di 10 ore. Il tipo maggiormente usato fu denominato SLC (Siluro a lenta corsa). Tra le azioni più famose compiute dagli SLC è da ricordare il riuscito attacco alla base di Alessandria d'Egitto (1941).

Maiale

Dizionario dei bambini

Sacro a Maia : Il maiale è un animale molto discusso. Per la Bibbia è una bestia immonda, che rappresenta nel suo sozzo aspetto lo spirito maligno, il Diavolo. Secondo Matteo (VIII, 31) Cristo concede ai diavoli di uscire dal corpo di due indemoniati per assumere le fattezze di due porci. Nella tradizione cristiana il maiale rappresenta la lussuria, la tentazione dei sensi (e sempre accanto all'eremita sant'Antonio, che lo ha però domato), l'ingordigia (col suo grifo razzola tra i rifiuti e mangia tutto), l'avarizia ('diverte solo il giorno in cui muore', dice san Bernardo), la sporcizia, la stupidità, l'indocilità, ecc. I maomettani non possono mangiare carne di maiale, animale immondo (forse il divieto è dettato anche da

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ragioni igieniche, trattandosi deteriorabile nei Paesi caldi).

di

carne

facilmente

Eppure questa povera bestia così malfamata è tutt'altro che avara: è l'unica che da tutto di sé; neppure un briciolo del suo corpo va perduto: offre carne prelibata, salumi gustosi, ecc.; con le setole si fanno i pennelli, con le unghie ricchi concimi; perfino i denti venivano una volta utilizzati per farne raschietti, che gli scrivani usavano per cancellare le pergamene. Ingratitudine umana! Ma non è così per tutti. Il suo nome stesso ce lo dice: maiale(m) infatti è un aggettivo latino che vuol dire 'sacro a Maia', la dea che personificava in Roma il risveglio della natura in primavera. A Maia infatti era dedicato il mese più bello dell'anno, il mese di maggio, maiu(m) mense(m) ( = il mese sacro a Maia). Maiale e maggio vogliono dunque dire la stessa cosa. A Roma il maiale aveva un posto di prestigio: fu proprio una scrofa che allattava i suoi piccoli sulle rive del Tevere a indicare a Enea il luogo dove doveva sorgere Roma; col sacrificio di un maiale si concludevano le paci, si stringevano patti familiari, si propiziavano divinità agresti; col suo grasso negli sponsali si ungevano le imposte della nuova casa per allontanare il maleficio; nel rito della lustratio, quando si purificava il bimbo e gli si metteva il nome, gli si appendeva al collo l'immancabile porcellino d'argento; i legionari lo portavano nelle loro insegne. Maialésco

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maialésco agg. (pl. m. -chi) [da maiale].

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Da maiale, specialmente in senso fig.; sudicio, sconcio. Marrano

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marrano sm. [sec. XV; dallo spagnolo marrano, propr. porco, dall'arabo muharram, cosa proibita, essendo la carne di maiale vietata ai musulmani]. 1) Termine ingiurioso usato in Spagna per indicare un ebreo o un musulmano convertito, solo in apparenza, alla fede cristiana in occasione della legge. XIX; da maiale]. Azione sconcia e volgare. Migliàccio

Enciclopedia generale

sm. [sec. XIV; lat. miliacĭus (da milĭum, miglio (botanica)), che originariamente indicò prob. un “pasticcio di miglio”]. 1) Nome di vari dolci italiani, comuni soprattutto in Toscana, Marche, Emilia-Romagna, a base di sangue di maiale insaporito e aromatizzato con vari ingredienti. È anche sin. di sanguinaccio. Il m. napoletano è invece una torta salata a base di grano, cacio e ciccioli di maiale. 2) Fig., massa di metallo fuso che raffreddandosi si rapprende. Mortadèlla

Enciclopedia generale

mortadèlla sf. [sec. XVI; lat. murtātum, salume condito con mirto, da myrtus o murtus, mirto...; la m. abruzzese, assai più piccola e dura, formata di un fine impasto di grasso e magro di maiale..., in cui al fegato di maiale,

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triturato e impastato con aggiunta di vino (Barolo o altri vini corposi Niffo o nifo

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niffo o nifo sm. ant. [sec. XIV; dal basso ted. nif, becco]. Muso di animale, in partic. quello del maiale e del bue. Onnìvoro

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onnìvoro agg. [sec. XVII; dal latino omnivŏrus]. Di animale che si nutre tanto di sostanze di origine vegetale quanto di sostanze di origine animale. Tali sono per esempio la carpa, l'anatra, il maiale, l'orso Paella

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paella sf. sp. (propr. padella). Tipico piatto spagnolo (specialmente p. alla valenzana, da Valencia, dove è nata questa specialità) diffuso in molte varianti. Generalmente a una base di riso insaporito allo zafferano si uniscono pezzi di pollo, di maiale o di manzo; frutti di mare, gamberi, trance di pesce e verdure varie. Pancétta

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sf. [sec. XVIII; dim. di pancia]. 1) Piccola pancia prominente: la p. dei quarant'anni. 2) Taglio di carne di maiale, per lo più ricavato dal ventre dell'animale, salato e conservato.

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Sono in commercio tipi di p. molto grassa, che servono esclusivamente come condimento, e tipi grassi e magri, che si possono anche consumare al naturale. Particolarmente apprezzata, fra questi, è la p. arrotolata. Pestaròla

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pestaròla sf. [sec. XVII; da pestare]. Sorta di arnese per pestare e triturare specialmente di maiale, per farne poi salsicce. Porchétta

la

carne,

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sf. [sec. XV; da porco]. Maiale giovane cotto al forno intero, parzialmente disossato; viene infilato su un palo e condito con finocchi selvatici, rosmarino, aglio, sale, pepe, noce moscata. Spesso durante la cottura si pone sotto l'animale una teglia contenente le sue frattaglie, che verranno cotte e condite dal sugo che sgocciola dalla porchetta. Piatto tipico di tutte le feste, sagre, mercati, è comune nelle Marche, nell'Umbria, nel Lazio e in qualche zona della Toscana e dell'Abruzzo. Pòrco

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sm. (pl. -ci) [sec. XIII; lat. porcus]. 1) Maiale e, per estens., la carne dell'animale macellato: un allevamento di p.; un piatto a base di porco. In loc. estens. e fig.: mangiare come un p., smodatamente, con grande avidità; essere grasso come un p., molto grasso; sudicio come un p., di persona molto

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sporca; dare, gettare le perle ai p., dare, offrire cose pregiate o preziose a chi non è in grado di apprezzarle; piede di p., leva dalla forma simile alla zampa di maiale usata spec. per scassinare. 2) Persona molto sporca; più spesso, persona moralmente sudicia, che fa o dice cose disoneste, riprovevoli, oscene: solo un p. come lui poteva giocarmi un simile imbroglio. 3) Con valore di agg., indecente, schifoso, insopportabile; siamo costretti a fare ogni giorno questa p. vita; fare i propri p. comodi, quello che più ci aggrada, senza tenere in alcun conto le esigenze altrui. Freq. in esclamazioni di rabbia, disappunto, impazienza e sim.: p. miseria!; p. cane! Rosticciana

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rosticciana sf. [sec. XIX; da rostire]. Costola di maiale che si cuoce in genere sulla griglia o in padella. Salame

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sm. [sec. XVII; da sale]. 1) Insaccato di carne suina (meno apprezzato è il salame di carne suina e bovina mista, così come, per quanto saporito ed eccellente, il salame di carne equina), di forma allungata, racchiuso entro un budello e stagionato. § Si prepara tritando la carne di dorso, lombi e spalle del maiale che viene poi impastata con grasso, sale macinato e spezie.

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Dopo 24 ore, si insacca in budelli per mezzo di macchine insaccatrici, cui segue l'essiccamento in ambienti a 20-22 ºC per 30-40 ore e la stagionatura a temperatura costante (10 ºC) e a umidità regolata (85% ca.) per periodi da uno a sei mesi secondo il tipo e le dimensioni. Servito crudo, tagliato a fette, è uno fra gli antipasti più gustosi. Vi sono anche dei tipi di salame da cuocere. Note specialità italiane sono il salame di Felino (Parma), il salame detto di Milano (a occhiature di grasso molto piccole), il salame di Fabriano (a occhiature più grandi), la finocchiona toscana, il salame di Secondigliano (Napoli), piccantissimo per l'aggiunta di peperoncino rosso. In talune zone (Ferrara, Lomellina) si prepara un salame d'oca, d'origine ebraica, assai gustoso. All'estero sono particolarmente stimati il salame ungherese, di gusto finissimo, i salami all'aglio provenzali, i salami affumicati tedeschi e austriaci. 2) Fig., persona sciocca, goffa, impacciata: non star lì come un salame!; ha fatto la figura del salame. Salamèlla

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salamèlla sf. [da salame]. Insaccato di carne di maiale, in genere piuttosto piccolo. Differisce dal salame perché viene consumato fresco e non stagionato, a consistenza ancora morbida. Salsìccia

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(popolare salcìccia), sf. (pl.-ce) [sec. XIV; latino tardo salsicĭa, neutro pl. sostantivato dell'agg. salsicĭus, condito con sale, da salsus, salato]. Preparazione a base di carne fresca in genere di maiale (ma le salsicce di cavallo e di asino sono, almeno in alcune regioni, anche molto apprezzate), macinata più o meno grossolanamente insieme con un po' di grasso e spesso con parte delle frattaglie dell'animale, racchiusa entro budelli dello stesso. Le salsicce si consumano in genere fresche, passate in padella o alla griglia, sole o accompagnate da polenta, risotto, ecc. Esistono anche tipi che si consumano stagionati come le tradizionali salsiccette secche della Toscana meridionale, spesso a base di carne di cinghiale. Molto apprezzate in alcune regioni le salsicce di fegato, dal sapore intenso, fortemente aromatizzate. Per altri tipi particolari di salsiccia, per esempio luganighe, würstel, sanguinacci, vedi alle rispettive voci. Nel linguaggio comune, iperb.: far salsicce di qualcuno, farlo a pezzi, ridurlo a mal partito. Salume

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sm. [sec Ciascuno dei due gruppi di conserve di origine animale ottenute per salatura e stagionatura ma che si differenziano nettamente per gli ingredienti di base. Il primo gruppo, infatti, è costituito da parti intere di animali, per esempio prosciutti, coppe, spalle, pancette e culatelli, tutti di pura carne di maiale; il secondo gruppo è formato da salami, mortadelle, salsicce che possono essere sia di pura carne suina sia di maiale e di bovino.

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. XVI; da sale]. È usato per lo più al pl.: negozio di salumi. Sant’Antonio abate

Enciclopedia del Cristianesimo

Monaco e santo (Egitto ca 251 - ca 356); festa: 17 gennaio. Considerato "padre dei monaci" (anche se storicamente non fu il primo monaco), Antonio rappresenta per la Chiesa di ogni tempo un simbolo di radicale obbedienza al Vangelo. Antonio cercò di vivere nel deserto egiziano quella radicalità cristiana che sembrava affievolirsi nella Chiesa. Fu presto seguito e imitato da numerosissimi discepoli. La biografia di Antonio, redatta dall'amico Anastasio, vescovo di Alessandria, e definita da Gergorio Nazianzeno "regola di vita monastica sotto forma di racconto", divenne fonte ispiratrice sia per il monachesimo orientale sia per quello occidentale. La rappresentazione di Antonio con un maiale nasce in epoca medievale in seguito alla tradizione, instauratasi in ogni villaggio, di nutrire collettivamente un maiale che era poi offerto ai monaci antoniani, i quali gestivano una specie di ospedale per i poveri. Sopprèssa

Enciclopedia generale

sopprèssa (anche soppressata o soprassata), sf. [sec. XIX; da soppressare]. Nome comune a vari tipi... solamente un gustoso e grosso salame di carne magra di maiale abbondantemente

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speziata e stagionata... e altre parti gelatinose e cartilaginose del maiale, stagionato sotto pesi per brevissimo tempo Spuntatùra

Enciclopedia generale

sf. [sec. XIV; da spuntare1]. 1) Atto ed effetto dello spuntare: spuntatura di un coltello. In particolare: A) in agraria, sinonimo di cimatura. B) In metallurgia, operazione di asportazione delle parti terminali di un semilavorato che permette di eliminare la parte alta e la parte bassa del lingotto, che sono in generale sede di particolari difetti. 2) La parte spuntata. In particolare: A) trinciato per pipa ottenuto con le punte tagliate via dai sigari. B) Taglio di carne bovina ricavato dal fianco con le costole dell'animale; le spuntature di maiale sono invece le costole vere e proprie, con un po' di carne attaccata, molto saporite, cucinate alla griglia o in salsa e servite spesso con la polenta Strùtto

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strùtto sm. [sec. XVII; propr., pp. di struggere]. Grasso per uso di cucina, ottenuto facendo struggere a caldo le parti adipose del maiale. Strutto

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sm. [sec. XVII; propr., pp. di struggere]. Grasso per uso di cucina, ottenuto facendo struggere a caldo le parti adipose del maiale. È composto di acidi grassi prevalentemente saturi: per questa ragione tende ad accrescere il tasso di colesterolo nel sangue. Da ricordare che nella nostra alimentazione è presente spesso in forma nascosta: il pane all'olio e i grissini, per esempio, sono conditi con lo strutto, per cui se ne consiglia un consumo moderato nei soggetti predisposti o affetti da malattie cardiovascolari, o comunque con alti tassi di colesterolo Strutto

Enciclopedìa Generale

sm. [sec. XIV; latino larĭdum, carne suina salata]. 1) Strato adiposo sottocutaneo del maiale; la parte di tale adipe conservata mediante salatura e affumicatura e usata come condimento: uova al lardo; fig.: essere una palla di lardo, molto grasso; proverbio: “Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino”, chi insiste troppo nel commettere azioni illecite finisce col rimetterci. 2) Toscano,

strutto

Stufàto

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sm. [sec. XVIII; pp. di stufare]. Preparazione a base di carne tagliata a pezzi più o meno grandi (ma non troppo piccoli, altrimenti si ottiene lo spezzatino), poi, previa o meno marinatura in vino aromatizzato, fatta cuocere a lungo in una pentola coperta,

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a fuoco lento, con vari condimenti e aromi, fra cui sono di rito certe verdure (cipolle, sedano, carota). In Italia si prepara principalmente con carne bovina, ma sono apprezzati anche gli stufati di agnello, maiale, montone ecc. Si usa spesso anche il diminutivo stufatino. Sùgna

Enciclopedia generale

sùgna sf. [sec. XIV; latino axungĭa, da axis, asse+ungĕre, ungere]. Il grasso di minor pregio del maiale dal quale si estrae lo strutto; è costituita dai depositi interni. Anche il grasso fuso ricavato direttamente da tali parti, non utilizzabile per l'alimentazione. Suovetaurìlia

Enciclopedia generale

suovetaurìlia s. neutro pl. latino usato in italiano come sm. (da sus, maiale; ovis, pecora; taurus, toro). Sacrificio solenne presso gli antichi Romani per il quale si adoperavano tutte le specie...) era quella di far compiere un giro alle tre vittime, il maiale, il montone e il toro, prima del sacrificio. Suini

Enciclopedia Canale Scienze e Tecniche

sottofamiglia di mammiferi artiodattili, con corporatura massiccia, zampe robuste e corte con quattro dita, delle quali solo le mediane toccano il suolo. Vi appartengono il cinghiale e le varie razze di maiale domestico.

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Il capo, conico e tozzo, termina con un grugno mobile sul quale si aprono le narici; i canini inferiori formano zanne (più lunghe nei maschi) usate come arma e mantenute affilate dal continuo sfregamento contro i canini superiori. La colorazione del pelo, raso e ispido, varia da rosa a grigio brunastro a seconda delle razze. Onnivori e molto prolifici, i suini hanno abitudini notturne e, allo stato selvatico, vivono in gruppi familiari composti dalle femmine con i piccoli e dai maschi giovani. Eccellenti nuotatori, i suini amano rotolarsi nel fango per ripararsi dal caldo e dai parassiti. I Cinesi furono i primi ad allevare i suini ca 5800 anni fa; da allora sono state selezionate numerose razze con caratteristiche diverse a seconda dei prodotti che forniscono (carne, grasso e, secondariamente, setole e cuoio). Suino

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agg. e sm. [sec. XVIII; dal latino tardo suīnus, da sus suis, maiale]. 1) Agg., di maiale: carne suina. 2) Sm., animale domestico (Sus scropha domesticus) della famiglia Suidi, caratterizzato da forme generalmente tozze e taglia e peso variabili secondo le razze. I suini, detti anche maiali , sono artiodattili con stomaco semplice, onnivori, con dentatura costituita da 44 elementi, testa subconica e muso piuttosto allungato terminante con un caratteristico disco in cui si aprono le narici.

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Le zampe sono provviste di 4 dita, di cui due centrali più grandi che poggiano a terra e sostengono il peso del corpo e due laterali rudimentali e poste più in alto. La pelle, molto robusta, può essere nuda o ricoperta di setole più o meno rade; la coda è corta e termina con un fiocchetto di crini. Il maschio (verro) è atto alla riproduzione verso gli 8-10 mesi, mentre la femmina (scrofa), che possiede da 5 a 8 paia di mammelle, raggiunge la maturità sessuale a un'età di 10-12 mesi; la gestazione oscilla tra 105 e 125 giorni e il numero dei nati può variare da 4 o 5 a più di 15. La rapidità di accrescimento dei suinetti è notevole: infatti, da un peso alla nascita di ca. 1 kg possono raggiungere, nello spazio di un anno, pesi largamente superiori al quintale. Zootecnia

Derivato da numerose specie selvatiche tra cui il cinghiale, il suino viveva allo stato domestico già alla fine del Neolitico ed è comunemente accettata l'ipotesi che il suo allevamento si sia diffuso a partire dalla Cina intorno al 4000 a. C. Nei sec. XVIII e XIX si sono effettuati i primi incroci tra suini europei e suini asiatici, che a poco a poco hanno portato alle razze selezionate. I suini sono tra gli animali domestici più diffusi nel mondo e i motivi di tale diffusione sono da ricercare nell'elevata prolificità, nella forte resa di carne e grasso (di facile conservazione sotto forma di salumi, prosciutti e lardo) e nella loro notevole capacità di utilizzare gli alimenti.

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I sistemi di allevamento praticati sono sostanzialmente tre: brado, semibrado e stallino. Il primo, ormai poco diffuso e non molto vantaggioso dal punto di vista economico, sussiste nelle zone più arretrate ed è adatto soprattutto per scrofe e magroni, i quali vivono sempre all'aperto e si cibano quasi esclusivamente di ciò che trovano nel pascolo e nel sottobosco. Il sistema semibrado, particolarmente adatto per scrofe, lattonzoli (20-40 kg di peso) e magroni (40-70 kg), prevede per gli animali lunghi periodi di pascolo alternati con brevi permanenze nelle porcilaie e alimentazione integrata con idonee quantità di insilati. Il sistema stallino, che è il più diffuso e quello generalmente adottato dagli allevamenti industriali, consiste nel tenere i suini costantemente al chiuso nelle porcilaie, dando loro eventualmente la possibilità di trascorrere alcune ore in appositi recinti adiacenti e alimentandoli esclusivamente con prodotti secchi o sottoprodotti delle industrie molitorie e lattiero-casearie. Dal punto di vista zootecnico, per la classificazione delle razze si usano generalmente i caratteri anatomici dello scheletro e, soprattutto, il profilo fronto-nasale, le proporzioni della testa, le dimensioni e il portamento delle orecchie. In rapporto a tali caratteri anatomico-somatici, i suini si possono dividere in tre tipi fondamentali: rettilineo, concavo e ultraconcavo. Al tipo rettilineo o subconcavo, con profilo diritto, testa allungata, orecchie portate orizzontalmente, dorso diritto,

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estremità lunghe e sottili, appartengono animali rustici di peso non elevato e con carne magra e saporita. Al tipo concavo, caratterizzato da testa lunga a profilo concavo, orecchie molto sviluppate e pendenti, corpo depresso lateralmente con arti robusti e corti, appartengono animali di grande mole buoni produttori di grasso e carne. Il tipo ultraconcavo, con testa corta, profilo concavo molto accentuato, orecchie corte e diritte e corpo dalle forme arrotondate, comprende soggetti assai precoci con una notevole attitudine a produrre grasso. Raggruppando invece le razze per attitudini, si possono distinguere razze da carne, comprendenti attualmente suini caratterizzati da notevole tendenza all'ingrasso ma con forme corporee slanciate e spessore del lardo e della pancetta inferiore a quello che si riscontrava in suini allevati alcuni anni fa, e razze da bacon, con animali dalla spiccata attitudine a produrre masse muscolari piuttosto che parti adipose. Per quanto riguarda l'alimentazione, essa varia secondo lo scopo per il quale l'animale viene allevato. Così, i suini da riproduzione e le razze da bacon necessitano di una dieta ricca di proteine che favorisca lo sviluppo senza portare a formazione di grasso superfluo, mentre i suini da carne vengono alimentati secondo un ciclo di tre fasi: quella dei lattonzoli, con alimenti ricchi di proteine, sali minerali e vitamine; quella dei magroni, con alimenti grossolani a medio livello nutritivo che favoriscono lo sviluppo dello scheletro, dell'apparato digerente e dei muscoli; quella dell'ingrasso vero e proprio, con farina, crusca, siero di latte ecc.

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Al termine di questa fase il soggetto raggiunge il peso di 150-170 kg e viene utilizzato per la produzione di salami e prosciutti. Oltre all'alimentazione, sono fondamentali le attenzioni igienico-sanitarie, in quanto i suini sono soggetti a varie malattie, fra cui la peste, il mal rossino, la tubercolosi, il carbonchio, l'afta epizootica ecc. Sus

Enciclopedia generale

Sus genere di Artiodattili della famiglia Suidi, comprendente quattro specie diffuse in Europa, Africa settentrionale e Asia. La specie principale è il cinghiale, da cui deriva il maiale domestico. Le altre specie sono Sus barbatus del Borneo, Sumatra e isole vicine, Sus verrucosus di Giava. Tròia

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sf. [sec. XIV; latino tardo troia, forse da (porcus) troianus, (maiale) farcito (come il cavallo di Troia)]. Femmina del maiale, scrofa, specialmente quella destinata alla riproduzione. Fig. spregiativo, donna di malaffare, prostituta. Ventrésca

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ventrésca sf. [sec. XIV; da ventre].

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1) Parte del tonno ricavata dal ventre dell'animale, di cui è il taglio più pregiato. Si consuma fresca, ma soprattutto sott'olio. 2) In alcune regioni italiane, pancetta di maiale. Vescìca

Enciclopedia generale

La vescica del maiale o dei bovini ripulita e seccata, usata specialmente in passato per insaccarvi lo strutto. Fig.: vender vesciche, persona vana e boriosa.

chiacchiere;

Zampétto

vescica

gonfiata,

Enciclopedia generale

zampétto sm. [sec. XIV; dim. di zampa]. Piccola zampa. In particolare, zampa lessata di animali da macello (specialmente vitello, maiale, agnello Zampóne

Enciclopedìa Generale

sm. [accr. di zampa]. 1) Grossa zampa. 2) Specialità della cucina italiana, in particolare emiliana. La cotenna delle zampe del maiale viene riempita da un trito formato dalla carne stessa dell'animale, con grasso, cotenna, orecchie, musetto, nervetti. Lo zampone si fa bollire a lungo (ma oggi si consumano anche zamponi precotti), poi si serve con lenticchie o purea di patate, tagliato a fette.

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Il maiale, oggi Si riporta un esempio di come in altre zone d’Italia valorizzino oggi il proprio patrimonio … maialesco. Come dovremmo imparare a fare anche noi. Quando avremo raggiunto anche noi, naturalmente, la consapevolezza del fatto che anche la gastronomia, in quanto sedimentazione, nel tempo, delle capacità locali, è patrimonio di conoscenza e di suggestioni. E che, in quanto tale, può essere una vera e propria opera d’arte collettiva, da valorizzare perché sia elemento di identità e, perché no, di economia. Se il maiale va al museo...

Articoli - Magazine

L'Italia, non si finirà mai di decantarne le bellezze. In fondo il nostro è il Belpaese, terra di tradizioni culturali e artistiche millenarie. Ma oltre a essere bella, la buona, buona da mangiare.

penisola italiana è anche

Dalle Alpi all'Etna, la ricchezza dei prodotti della terra, il clima e la sapienza artigiana hanno creato nel tempo gusti e sapori unici, invidiati da tutto il mondo. E il mangiar bene qui è di casa. Ogni regione ha le sue specialità e tra pesce, carne, ortaggi e cereali non c'è che l'imbarazzo della scelta. La tradizione enogastronomia, poi, si raccoglie attorno al piacere e alla qualità del buon cibo e chiunque la può trovare ogni giorno a tavola.

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Ma in questa terra lambita dal mare, l'incontro con il gusto si può anche incontrare in un museo. È il caso di sua maestà il prosciutto, che grazie all'iniziativa della provincia di Parma, di Giampaolo Mora, Presidente dell'Associazione Musei del Cibo, di Alessandro Utini, Presidente del Consorzio del Prosciutto di Parma e di Mario Schianchi, Presidente della Strada del Prosciutto e dei Vini dei Colli di Parma diventa oggetto-culto da ammirare, oltre che da mangiare. Dopo il parmigiano, che ha fatto da apripista del progetto Musei del gusto, anche il famosissimo salume diventa protagonista ufficiale della cultura culinaria italiana. E le ragioni dell'iniziativa sono davvero molte, a cominciare dalla bontà del sapore, quel gusto dolce-salato che a Mario Soldati ricordava la vetta della felicità. Ma nell'Ex Foro Boario di Langhirano, sede degli spazi museali, è soprattutto la cultura e la tradizione artigiana tramandata di generazione in generazione a fare da protagonista. Una sapienza che ha saputo fare della lavorazione della carne suina, un prodotto unico di gran lunga migliore rispetto a prodotti simili di ogni altra parte del Paese. Nella terra fertile delimitata dal letto del Po e dalle pendici appenniniche, tra le valli dell'Enza e dello Stirane si alleva il maiale da sempre. Un tempo le grandi distese boscose di quercie fornivano il nutrimento dei maiali, golosi di ghiande e una fonte di sostentamento per le popolazioni celtiche che vi si erano insediate, mettendo a punto le tecniche di conservazioni delle saporite carni.

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Una pratica fiorita grazie alle particolari caratteristiche del territorio: i venti marini asciutti e depurati dai folti boschi, per la stagionatura delle carni lavorate e insaccate; il sale termale ricco di zolfo raccolto nelle acque di Salsomaggiore e Lesignano, per insaporirle dolcemente; infine le nebbie dense e umide della pianura per una stagionatura morbida di spalle e culatte. Il risultato è letteralmente sulla bocca di tutti. Questa terra vanta salumi d'eccellenza, oltre al prosciutto crudo di Parma si può solleticare il palato anche con il culatello di Zibello, il salame Felino e la spalla di San Secondo… chi non ne ha assaporato una fetta? A questo patrimonio per i golosi, alla sua storia e al valore culturale che possiede è dedicato il Museo del Prosciutto e dei Salumi parmigiani. Ecco perché a Langhirano i visitatori troveranno anche una galleria di opere pittoriche nelle quali il prosciutto ha messo lo zampino. Si chiama Natura morta con prosciutto e, tra gli altri, si possono ammirare quadri di Pieter Brügel il vecchio, Paul Gauguin, Edouard Manet. Un perfetto connubio di delizie da mangiare anche con gli occhi. Museo del prosciutto e dei salumi

ex Foro Boario, Langhirano, Parma

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Conclusioni Si è avviato un percorso di esplorazione e di messa in evidenza del Capitale sociale tradizionale della Valle del Noce. Una iniziativa che può essere finalizzata alla realizzazione di una rete di riferimento per lo studio ed il trasferimento delle capacità locali. Gli incontri/eventi hanno dimostrato di essere lo strumento ideale mettere in evidenza le tracce storiche della conoscenza collettiva. Si sono tenuti nei locali messi a disposizioni dalle Associazioni partners, e se ne sono utilizzate attrezzature, materiali e personale volontario. E le capacità di coinvolgimento, grazie alla rispettiva presenza “dentro” il tessuto sociale locale. Le Associazioni hanno ospitato anche attività di studio e di diffusione di balli e ritmi tradizionali, in connessione sia con gli eventi quotidiani che con le ricorrenze religiose e popolari, esplorandone le connessioni con le consuetudini sociali, e con arti e mestieri tipici locali. Le occasioni sono state pertanto di riferimento anche per la trasmissione di saperi e di sapori. È stata riproposta infatti la consuetudine di affiancare, nell’esperienza collettiva, anche alcune delle prelibatezze tradizionali. Sono stati riproposti gli assaggi di pietanze che sono tradizionalmente collegate alle espressioni collettive sperimentando anche la disponibilità dei ragazzi al trasferimento delle conoscenze e delle pratiche di preparazione degli alimenti e dei dolci locali.

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Con questo scopo il progetto ha riprodotto, nei vari paesi della Valle che hanno partecipato al partenariato, le occasioni tradizionali di incontro tra le diverse età. Proponendo la realizzazione di pietanze tradizionali insieme ai ragazzi, con l’intenzione di riprodurre i rituali del trasferimento delle conoscenze, tra festa e necessità sociale. Si è privilegiato, per la sua esemplarità e per la complessità di significati sociali che contiene,---il rito del maiale, dall’ammazzamento alla lavorazione. E se ne è verificata, da una parte,: • la persistenza dei gesti antichi degli anziani, a volte inconsapevoli, quasi automatici, ma sempre sicuri, precisi, e, dall’altra, • la curiosità dei ragazzi, che pure sembrano naturalmente disposti a recepirne i significati, consapevoli di una ineluttabilità che fa loro accettare il martirio dell’animale come una necessità. Ogni gesto appare naturale, come un rituale che conserva ancora qualcosa di sacro, del sacrificio, appunto, e che non sembra neppure appartenere al passato, essendosi conservato vivo, nella memoria collettiva, per millenni. I partners sono stati disponibili a costruire una rete di riferimento per la raccolta, l’esperienza diretta, l’immagazzinamento ed il riordino integrato dei dati. Questa disponibilità ha consentita la realizzazione del documento finale di sintesi.

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Documento che si spera non rimarrà negli archivi delle Associazioni, e che è destinato, anche con fondi propri, ad essere consegnato a Scuole ed Amministrazioni pubbliche. O anche ad operatori privati che saranno disponibili a farne strumento di promozione sia della sapienza di Valle che delle capacità locali che sono in grado, queste ultime, di costituire un nuovo motivo di visita per l’intera area. Il Documento potrà costituire inoltre anche la base per successivi studi e ricerche, anche specialistiche, che avranno modo di continuare l’investigazione avviata arricchendola con contributi nel tempo. A questo scopo è stato strutturato in modo da consentire approfondimenti ordinati, e per primi gli stessi partners si proporranno, anche attraverso le rispettive normali attività, per garantirne la continuità. Attraverso il Documento si propone il proseguimento dell’indagine in relazione al contesto territoriale e sociale. Contesto da intendersi come un vero e proprio manuale, nel quale sono sedimentate le buone pratiche che la cultura locale, nel tempo, ha selezionate tra quelle di “successo”. Il Documento quindi ha l’ambizione di proporsi come prototipo. Da migliorare, naturalmente. Ma che già ora individua un percorso che le Associazioni Partners intendono esportare come ripetibile in contesti similari. Che esse stesse riproporranno nell’ambito della loro quotidiana attività, e nella esperienza delle prossime condivisioni di Progetti di animazione territoriale, come oramai consuetudine consolidata.

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Tutti i codici di trasmissione delle esperienze, loro stessi sapienza sperimentata, potranno essere oggetto di indagine, nel prosieguo, attraverso le tecniche di volta in volta più congeniali : • raccolta orale e scritta, • eventi – laboratorio di musica e canto popolare • avvio di ricerche specialistiche • riferimenti bibliografici • seminari di studi Ogni volta si avrà cura documentarne gli esiti, anche in relazione alla possibilità di ricostruire insieme il senso di appartenenza e di identità di Valle.

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Riferimenti

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Sitografia www.ilmaiale.it

Sito amatoriale sulla cultura del maiale

www.alberghierogramsci.it

Da sa terra a sa mesa

www.archeologiadelgusto.com Archeologi appassionati di enograstronomia www.museodelgosto.it

Associazione amici del gusto

www.agricoltura.regionelazio.it Comunicazione ed educazione alimentare www.italianodoc.com

Saper il Sapore –incontri di gusto

www.laportadeltempo.com

Food: archeologia dei sapori

www.sapere.it

Enciclopedie

Bibliografia Il maiale, la gloriosa vittima – Vincenzo Orlandi Gli elogi del Porco, Capitoli berneschi di Triginto Bistonio ‐ P.A. e Accademico Ducale de’ dissonanti di Modena Anno 1761 Il Maiale, Patrimonio dell’Umanità ‐ I.P.S.S.A.R. “Angelo Berti” sede Associata di Soave

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