Pizza e Pasta Italiana

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n°9 ottobre‘12


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pizza e pasta italiana

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SOMMARIO

34 6 edItoRIale

di Giampiero Rorato

8 PRIMa PaGIna a cura di Patrizio Carrer

10 BaCHeCa

a cura di Patrizio Carrer

sPeCIale PoModoRo

— Il Pomodoro, la storia dell'ortaggio di Gianandrea Rorato

12 aPP eVolUtIon — Una questione di orientamento

38 sCHede teCnICHe n. 03. La Salsa di pomodoro del pizzaiolo di Graziano Bertuzzo

n. 04. La conservazione degli alimenti

14 — Salviamo il turismo italiano di Giampiero Rorato

22 Il RIstoRante del Mese

— La Locanda di Alia di Giampiero Rorato

40

Il pomodoro di Corbara di Caterina Orlandi

— La ricetta dello Chef Alfonso Caputo


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42 Il PIZZaIolo

76 l'anGolo

— Pino Ferraro

— Primitivo di Manduria Doc 2004 — Barolo Dogc 2007 — Colli Orientali del Friuli Doc

del Mese

di Caterina Orlandi

del VIno

80 Il BaR — Il Cognac

46

— Arthemia — Rinaldi Superforni

118 sCadenZIaRIo FIsCale

— La ristorazione riscopra il suo ruolo. Nei ristoranti si entra non per essere sbalorditi ma per mangiare.

a cura di C.O.

di Nives Piva

— Shitake di Gianluca Rorato

98 sCIenZa

dell’alIMentaZIone

— La dieta tisanoreica

§ 13 —Il pane nella terra di Omero

114 noVItÀ dalle aZIende

86 QUestIone dI GUsto

— “Napping” e pizze “de luxe”

52 la stoRIa del Pane

112 CeRCasI - oFFResI

115 FIeRe

92 Il FUnGo

di Giampiero Rorato

— Ottobre, il mese del Giropizza!

di Gianandrea Rorato

Food desIGn

con motodriver, pizzerielavanderia, pizzerielibreria o gastroenoshop “Km 0”, e un kit per far da sé, ma con l’alta qualità dei maestri pizzaioli.

108 Giropizza

Dott.ssa Marisa Cammarano, Biologa Nutrizionista

104 CoMPetIZIonI — Pecorino Romano

125 –130 sCUola ItalIana PIZZaIolI

— Tutti i corsi

106

di Giampiero Rorato

per neo pizzaioli in Italia e all’estero.

ENGLISH TEXT 120

58 Il dolCe — Gli straordinari Curabiè triestini di Giovanna Allegra

–122

64 sCUola dI

PanIFICaZIone

— Il pane del Sindaco di Simona Lauri

70 Il VIno — L’Orcia: una piccola Doc con grandi vini di Virgilio Pronzati

neW! — A Roma per la 15ª edizione, 29-30 ottobre

— All texts with the blue asterisk are translated into English in the abstract start from page 106.


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pizza e pasta italiana

Editoriale

I

di Giampiero Rorato

l mondo è da sempre – e soprattutto dalla seconda metà del secolo scorso - in veloce evoluzione, per cui cambiano anche le esigenze dei cittadini, le strutture sociali, i partiti, i modi della produzione, i valori culturali. In questi ultimi decenni, e sempre di più, i giovani programmano la loro vita diversamente dai loro genitori, amano esperienze diverse, si spostano nel mondo con più facilità e meno preoccupazioni e di tutto questo è necessario che le generazioni meno giovani riescano non solo a prenderne atto, ma, senza tutto accettare e permettere, a capirne le motivazioni, anche per evitare pericolosi conflitti generazionali (si pensi al mondo dell’immigrazione), l’emarginazione, lo sfruttamento. Ma alcune cose permangono e, anzi, diventano sempre più importanti, come la sicurezza personale e collettiva, la casa, l’alimentazione, la multicultura, la legalità, la partecipazione alle decisioni politiche, la solidarietà, il volontariato, il reciproco rispetto, ecc. Questa rivista si occupa principalmente di temi alimentari e gastronomici e, rivedendo cosa

PIZZA E PASTA ITALIANA Mensile di Pizza, Pasta, Enogastronomia e Cultura edito da PIZZA NEW S.p.A. Autorizzazione Tribunale di Venezia n. 1019 del 02/04/1990 Anno XXIII - n. 8 Settembre 2012 Spedizione in abbonamento postale - 45% D.C.I. PD - Tassa pagata / Taxe-perçue DIRETTORE EDITORIALE Massimo Puggina DIRETTORE RESPONSABILE Giampiero Rorato SEGRETARIA DI REDAZIONE Caterina Orlandi PUBBLICITÀ Manuela Pelosin, Patrizio Carrer RESPONSABILE PROGETTO David Mandolin REDAZIONE 30021 CAORLE (Venezia) via Sansonessa, 49 Tel. 0421/ 212348 - Fax 0421/81007 E-mail: redazione@pizzaepastaitaliana.it www.pizzaepastaitaliana.it

è cambiato negli ultimi decenni, ha maturato la convinzione che ci sia in atto una forte e irreversibile tendenza verso un’alimentazione sempre più sana e sicura, sia in casa che fuori casa, quindi verso la scelta di prodotti agroalimentari seri, igienicamente sicuri, meglio se del proprio territorio. Le aziende italiana di trasformazione dei prodotti agroalimentari sono diventate molto attente ed esigenti nelle scelte, per cui nei ristoranti e nelle pizzerie italiane si può entrare, generalmente, in tutta tranquillità. In quale modo i prodotti vengono trasformati dipende poi dal cuoco e dal pizzaiolo e da qui nascono le diversità tra i ristoranti, tra le pizzerie. Come il lettore sa, questa Rivista è da sempre fortemente impegnata a presentare il meglio -operatori del settore, prodotti, ristoranti, pizzerie – e continuerà a farlo, collaborando in tal modo a quella educazione alimentare che oggi è sempre più necessaria, indispensabile per vivere bene e in salute. — www.giampierororato.blogspot.com

Progetto Grafico Manuel Rigo e Paola Dus —Mediagraf Lab In copertina illustrazione di Enrico Salvador Stampa MEDIAGRAF spa Noventa (Pd) Comitato tecnico e redazionale Maurice Abboudi (Gran Bretagna), Giovanna Allegra, Marisa Cammarano, Patrizio Carrer, Dino Ciccone (U.S.A.), Elsa Emanuela Cugola, Giuseppe Dell’Aquila, Tony Gemignani (U.S.A.), Emilio Giacometti, Vinciane Giangiulio, Sari Innanen (Finlandia), David Mandolin, Gianandrea Rorato, Gianluca Rorato, Evelyne Slomon, Evandro Taddei, Federica Zanata. Affiliazioni internazionali Jim Winship (Pizza & Pasta Association, Inghilterra) Pete La Chapelle (N.A.P.O. - Pizza Today, U.S.A.), P.M.Q. Steve Green (U.S.A.) Abbie Jarman (Pizza, U.S.A.) Hidenao Takahashi (Pan World Inc., Giappone)

Kazuko Nagamoto (ICT, Giappone) Takeshi Tanaka (Quattro Stagioni, Giappone) Drew McCarthy (Canadian Pizza Magazine, Canada) Roberto Bresciani (Pizza y Restauration, Spagna), Sara Cipolletti (Buongiorno Italia)

ASSOCIATO ALL’UNIONE ITALIANA STAMPA PERIODICA PER LA PUBBLICITÀ SULLE RIVISTE ITALIA Pizza e Pasta Italiana SPAGNA RRR Revista de Restauración Rapida, Pizza y Restauración U.S.A. Pizza Today, Pizza, P.M.Q. Steve Green INGHILTERRA Pizza, Pasta & Italian Food GERMANIA Buongiorno Italia – TEL 0421.83148 - FAX 0421.81007


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PRIMA PAGINA a cura di Patrizio Carrer

Etichetta, dal 2014 si cambia BarIlla punta sulla ristorazione in USa

B

arilla punta sulla pasta e progetta di sbarcare negli Usa con una catena di ristoranti. La notizia è stata resa nota a settembre dal Wall Street Journal e rilancia il colosso italiano nel mercato nordamericano. La compagnia vuole rifarsi del pigro andamento della domanda europea concentrandosi sulla pasta in tutte le sue declinazioni a livello globale. Per fare questo, la compagnia spera di aumentare la propria visibilita' negli Stati Uniti col lancio di una nuova catena di ristoranti col marchio Barilla, secondo quanto spiegato dallo stesso presidente Guido Barilla. ''La maggior parte degli americani mangia pasta, ma non molto spesso - ha detto -. C'e' senza dubbio del potenziale per un'espansione negli Stati Uniti''. Allo stesso tempo la compagnia si sta liberando di marchi che esulano dal core business.

I

l 13 dicembre 2011 è entrato in vigore il Regolamento 1169/2011 che si applicherà a partire dal 13 dicembre 2014 e che stabilisce requisiti supplementari in tema di etichettatura con lo scopo di aiutare i consumatori a compiere scelte più consapevoli, con un occhio di riguardo anche per la salute. Novità sugli allergeni – che devono essere indicati anche nel caso di alimenti non preimballati – e sulla trasparenza delle etichette che non devono trarre in inganno il consumatore suggerendo proprietà o caratteristiche non proprie dell’alimento. Sarà richiesta maggiore chiarezza e comprensibilità sull’etichetta, indicando anche il contenuto nutritivo ed energetico (sono esclusi i cibi freschi e le spezie). Infine sarà obbligatorio indicare anche il paese d’origine – qualora la sua omissione tragga in inganno il consumatore – e verrà applicata a tutti i cibi, sia freschi che lavorati.

I costi della frutta straniera sulle tavole italiane

U

n' indagine della Coldiretti ha calcolato che un chilo di albicocche australiane viaggia per oltre 16mila km, brucia 9,4 chili di petrolio e libera 29,3 chili di anidride carbonica. Tra i prodotti poco sostenibili troviamo anche le angurie del Brasile, le more del Messico, gli asparagi del Perù, albicocche australiane, ciliegie e pesche cilene e mirtilli argentini. Ecco il podio della top ten dei cibi stranieri che inquinano le nostre tavole, sprecando energia e contribuendo all'emissione di gas ad effetto serra a causa dei lunghi trasporti che subiscono per arrivare in Italia. Gli italiani però, segnala Coldiretti, non tradiscono le origini puntando sui cibi a km zero con una spesa estiva in quasi mille appuntamenti quotidiani che ha superato il miliardo di euro, in quasi 18mila appuntamenti su tutto il paese, fra spacci aziendali, chioschi, bancarelle, sagre e mercati.


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LA NOSTRA BACHECA a cura di Patrizio Carrer

Erfurt

accoglie le Olimpiadi dei Cuochi

Pizza sì, ma

all’acqua

termale

Dal 5 al 10 ottobre parte la sfida più golosa del mondo: 35 paesi in gara tra fornelli, mestoli e tegami. Menù a base di carne, pesce, verdura e quant’altro, per i campioni della cucina non conoscono confini. L’Italia si presenta con 16 assi dell’arte culinaria e con l’obbiettivo di salire sul gradino più alto del podio. www.olympiade-der-koche.de

È questo infatti l’ingrediente chiave della “termalpizza”, un impasto con farina, lievito e acqua salsobromoiodica, proveniente dal sottosuolo delle Terme di Fratta (FC). Se le proprietà dell’acqua termale sono fuori questione, termalpizza è stata apprezzata dai clienti del Gran Hotel Terme della Fratta, dove è nata la curiosa ricetta.

Copenhagen, capitale

dell’alta cucina.

Il primo

museo al mondo dedicato tutto alla pizza A Philadelphia, negli Stati Uniti, da un'idea di un ex studente di cinema, il ventisettenne Brian Dwyer, collezionista record di gadget, strumenti e attrezzature legate alla pizza. Il museo, che si chiamerà "Pizza Brain", nell'elegante quartiere di Fishtown a nord di Philadelphia e vedrà esposti non solo utensili e libri di ricette, ma anche fumetti, video, dischi e vinili tutti rigorosamente dedicati alla pizza.

14 stelle Michelin, per la capitale gastronomica del Nord Europa, che quest’anno vanta nella famosa guida culinaria numerosi riconoscimenti. Un successo motivato dalla qualità ma anche dall’accoglienza e dalla capacità di reinventare uno stile giovane, fresco e lontano dai clichè.

Torna a Bolzano, “autoctoni, che passione!” La rassegna dedicata alle etichette italiane di vignaioli e aziende vinicole. Sei categorie in gara, miglior vino rosso, vino bianco, vino dolce, vino rosato, migliori bollicine e il premio speciale Terroir. L’appuntamento è per il prossimo 22 ottobre alla fiera di Bolzano.

Vendemmia

2012 Calano le quantità ma aumenta la qualità. Secondo la Confederazione Italiana Agricoltori l’andamento climatico dell’estate, soleggiato e scarso di precipitazioni, ha determinato un aumento qualitativo delle uve nostrane a discapito però delle quantità, che la prolungata siccità ha notevolmente ridotto.


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Rotazione di 90° Ove segnalato, per ottenere maggiori informazioni su ciò che state visualizzando.

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Tablet in verticale: In questa modalità si potrà consultare la rivista pagina per pagina, questo consente di avere i testi della pagina a dimensioni sufficientemente grandi da garantire una buona lettura anche senza zoom

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Salviamo il turismo italiano, un bene pubblico da valorizzare e rilanciare Insipienza, disorganizzazione, incuria, incapacità, insufficienti finanziamenti e pochi progetti di rilancio sono alla base del calo del turismo in Italia di Giampiero Rorato

U

n settimanale online (Oliovinopeperoncino) ha recentemente denunciato la riprovevole situazione degli alberghi del Lido di Comacchio “antichi e nell’arredamento e nei servizi igienici, laddove oltretutto l’aria condizionata è considerata benefit a parte, ovvero a pagamento”, aggiungendo che, da una visita di giornalisti del settimanale, è risultato che “i comportamenti sono tipici di quelle pensioni a gestione familiare che si vedono nei vecchi film in bianco e nero, rimaste ancora con la mentalità di quando c’era il boom economico e la gente andava al mare per un mese.” Il triste fenomeno dell’arretratezza delle strutture, mai o assai poco innovate, di servizi igienici non più


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pizza e pasta italiana

accettabili, della scarsa educazione, per non dire della scarsa o nulla professionalità di titolari e/o personale, di una cucina molto alla buona se non approssimativa, il tutto unito a un progressivo aumento dei costi, non è caratteristica esclusiva degli alberghi denunciati dal direttore del periodico citato, poiché analoghe situazioni si trovano in altre parti d’Italia, pur in mezzo a realtà di alta e altissima qualità. Ci sono poi città, anche città d’arte, scarsamente curate, dove la pulizia del territorio pubblico lascia molto a desiderare; dove la segnaletica è spesso insufficiente; dove alle persone diversamente abili è impedito di visitare centri storici o anche solo monumenti importanti, essendo impossibile parcheggiare nelle vicinanze. E il problema dei parcheggi interessa molte città e cittadine, mentre altre si sono dotate nel corso degli anni di idonei e funzionali parcheggi sotterranei anche vicinissimi al cuore della città, con grande soddisfazione dei turisti (e non solo di loro).

I giornali hanno poi riportato quanto è successo a luglio in una spiaggia ligure, dove a una signora incinta, sedutasi per qualche istante su un seggiolino nella parte pubblica dell’arenile, è stato intimato di alzarsi e allontanarsi subito, mentre chi aveva nell’area retrostante in gestione all’albergo il proprio ombrellone, poteva comodamente farlo. Recita, a tal riguardo, la legge vigente (una norma della finanziaria 2007): È imposto “l’obbligo per i titolari delle concessioni di consentire il libero e gratuito accesso e transito per il raggiungimento della battigia antistante l’area ricompresa nella concessione, anche al fine della balneazione”. Cosa significa “anche”? Una persona normale e di buon senso direbbe: “ciò che normalmente si fa in una spiaggia: stendere un telo, prendere il sole, costruire castelli di sabbia, lanciarsi la palla, ecc.”, Invece cosa succede? Ci sono delle ordinanze locali, in netto contrasto con la legge, che proibiscono in quei 5 metri di battigia legalmente


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libera di aprire ombrelloni, porre sedie a sdraio e accessori simili. Delle ordinanze locali aggiungono poi un “eccetera”, in modo da lasciare liberi la polizia locale e i bagnini di reparto, con funzioni di “polizia balneare”, di intervenire e multare a piacimento. Credo non serva continuare, ma l’elenco degli eccetera, come delle restrizioni della battigia da 5 a 3 metri, sarebbe lungo (vedasi Corriere della Sera del 19 luglio u.s. pag. 21). Spulciando altri quotidiani e riviste di notizie simili a queste se ne sono lette e se ne leggono tante, in verità davvero troppe e poi noi italiani pretenderemmo che, in questa situazione e con queste normative locali, spesso, anche se non sempre, assurde, il turismo in Italia torni a essere il nostro fiore all’occhiello, un’attrazione irrinunciabile per milioni di stranieri, spinti ad arrivare nel nostro Paese dalla nostra “signorile” ospitalità, dalla nostra “perfetta” organizzazione, dai tantissimi tesori archeologici e artistici, dalla straordinaria bellezza di tante nostre città, da una cucina fra le migliori al mondo. Perché è vero: l’Italia è il Paese più ricco in assoluto di beni archeologici e artistici, ha stupende città d’arte, litorali da sogno, le montagne più affascinanti d’Europa, una cucina che non teme confronti, ma tutto ciò non basta per alimentare un turismo capa-

ce di incidere davvero sull’economia. Le persone più agiate trovano senza difficoltà alberghi e ristoranti da sogno, ma il turismo popolare (che è la parte in assoluto più rilevante, quella che incide positivamente sui bilanci), i gruppi che arrivano da altri Paesi d’Europa, dalle Americhe, dall’Oriente cosa trovano come ospitalità? Anche costoro esigono e giustamente alberghi all’altezza dei tempi, personale poliglotta, servizi di livello internazionale. Ecco il vero grande problema (assieme a quello dei costi). Accanto ad alberghi fra i migliori al mondo ce ne sono tanti bisognosi di interventi radicali nelle strutture, nell’organizzazione e nella qualità del personale. Del pari, accanto a numerosi ristoranti di altissimo prestigio internazionale, ampiamente meritato, ce ne sono tanti, troppi, dove le strutture ricordano gli anni ’60 del secolo scorso, dove la cucina è banale, il servizio alla buona, l’igiene non all’altezza, dove non si parla nessuna lingua straniera. Eppure siamo tutti convinti che il turismo è una straordinaria e irrinunciabile risorsa per l’Italia, capace di dare occupazione sia diretta che indotta a decine di migliaia di giovani ora magari senza lavoro e ai tantissimi diplomati delle scuole turistico-alberghiere (scuole da aggiornare nelle finalità e nei program-


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mi), di salvaguardare i bilanci di tante famiglie, di aiutare l’economia nazionale, oltre a quello dei comuni. Sembra quasi che il turismo sia qualcosa che faccia perdere tempo ai pubblici amministratori – non ovunque s’intende, essendoci anche situazioni lodevoli –; che non meriti un deciso impegno delle istituzioni, ad ogni livello; che non necessiti di adeguati finanziamenti per crescere; che sia un tema da lasciare alle Pro Loco e al volontariato di paese. Viene da pensare che, forse, chi ne ha la responsabilità (non tutti, s’intende) non abbia ancora le idee chiare – come non c’erano idee chiare e men che meno adeguati progetti negli anni precedenti – non disponga ancora di seri progetti di rilancio; forse non sa da che parte iniziare e cosa finanziare. Ci permettiamo di consigliare un azzeramento dei cosiddetti esperti che hanno fin qui operato – i risultati negativi sono sotto gli occhi di tutti – e si cominci a valorizzare non le

tessere di partito o le amicizie personali ma le capacità vere, le competenze dimostrate, i progetti più intelligenti. L’Italia ha tutti i titoli per tornare a essere la capitale mondiale del turismo, come lo è stata in passato, perché ciò che abbiamo da offrire ai turisti di tutto il mondo sono tesori che solo l’Italia possiede e sono di grandissimo valore, fonte vera di benessere per il nostro Paese.

di Giampiero Rorato



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IL RISTORANTE DEL MESE

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Lo Chef Patron Gaetano Alia

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a i l A In Calabria c’è un tempio dell’alta gastronomia che onora la cucina italiana e mediterranea

La Locanda di Alia Via Jetticelle, 51 Castrovillari (CS) Chiuso domenica sera www.alia.it


di Giampiero Rorato

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n questo mese siamo in Calabria e precisamente a Castrovillari, in provincia di Cosenza, per incontrare uno dei ristoranti più famosi d’Italia: La Locanda di Alia. Chi arriva da lontano (l’autostrada Salerno-Reggio Calabria ha un casello lì vicino) è subito colpito dalle caratteristiche di questa cittadina che sorge in un avvallamento naturale denominato “Conca del Re”, costeggiata dal fiume Coscile, a 362 metri d’altitudine ed è il centro più grande del Parco nazionale del Pollino. La città è circondata dall’Appennino Lucano, con a nord il monte Pollino, alto 2248 metri ed è quasi equidistante dal mar Ionio e dal Tirreno. Castrovillari è divisa in due parti separate dal Ponte della Catena: la città vecchia è caratterizzata da piccole viuzze e costruzioni molto caratteristiche. Vi si trovano la Basilica minore di San Giuliano, il Protoconvento Francescano, il Castello Aragonese e, su una altura, il santuario della Madonna del Castello. Nella piazza antistante il santuario, un cannone e un allarme antiaereo ricordano la guerra; l’allarme suona tutti i giorni a mezzogiorno a perenne ricordo delle vittime dei bombardamenti del 1943. All’interno del Protoconvento Francescano si trova il rinnovato Teatro Sybaris, che ospita alcune importanti manifestazioni teatrali. La parte nuova, detta “Casale”, molto più estesa rispetto alla precedente, si sviluppa su di un pianoro denominato “Piano dei peri”, ed è costituita da larghe vie ortogonali che ricordano l’urbanizzazione ottocentesca. In questa città posta nel Nord della Calabria, c’è il più importante ristorante dell’intera regione, di sicuro uno dei più interessanti del panorama italiano, La Locanda di Alia, che ha aperto le porte nel lontano 1952, quando Antonio Alia, fino ad allora sarto artigiano, decise, con la moglie signora Lucia, casalinga e amante della buona cucina, di aprire una propria


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pizza e pasta italiana

RISTORANTE DEL MESE trattoria. All’inizio s’ingegnarono con la cucina di casa e la sala ristorante era una stanza con pochi tavoli, dove si fermavano camionisti e rari passanti. In zona c’era abbondanza di ottima materia prima e Lucia faceva entrare in cucina solo il meglio del meglio, per cui quella trattoria di paese si fece ben presto un nome in tutto il circondario, aumentando via via la propria clientela. Intanto crescevano i figli Pinuccio e Gaetano, che giorno dopo giorno fecero propria la scelta qualitativa dei loro genitori e, mentre il nome del locale si diffondeva in aree sempre più vaste, continuarono puntigliosamente a scegliere solo prodotti di alta e sicura qualità, migliorando pure l’ambiente e la qualità dell’accoglienza, che non ha comunque mai perso quella familiarità che tanto piace ai clienti. Come dice il nome, La Locanda di Alia è anche ottimo albergo e il complesso è curatissimo, moderno, all’altezza dell’hotelerie internazionale, immerso nel verde, tranquillo e riposante. Per capire il ristorante di Pinuccio e Gaetano Alia basta scorrere la carta dei piatti e si scopre innanzi tutto che i prodotti locali e stagionali sono al primo posto, perché questa è una cucina fortemente radicata sul territorio, emblema vero e, nel contempo, signorile, della cucina calabrese. Gaetano Alia esige, per quanto possibile, prodotti locali o comunque calabresi, sia di terra che di mare. Ci si lasci dire: la Calabria è purtroppo chiacchierata per cose che nulla hanno a vedere con la ristorazione, purtroppo molto appetite dalla curiosità generale (sperando che quei tristi fenomeni siano sempre meno e possano scomparire), mentre la ristorazione meriterebbe ben più alta considerazione e noi, da queste pagine, desideriamo far conoscere ai nostri tanti lettori la straordinarietà di una cucina del territorio che, grazie a Pinuccio e Gaetano Alia, s’è elevata a livelli internazionali. Chi si siede a queste tavola trova gli ortaggi degli orti locali, la ben nota nduja di Spilinga, l’agnello e il maiale nero di Calabria, il pesce spada e gli altri pesci del Mediterraneo, il pecorino di Campotenese, il Caciocavallo Dop, ecc., il tutto tradotti in patti pienamente appaganti, accompagnati da ottimi vini. Gaetano è un vero maestro nel far godere ai suoi clienti i prodotti calabresi in piatti sì radicati nella tradizione più vera e più seria, ma ingentiliti, affinati, eleganti e leggeri, freschi e soddisfacenti.

Come ebbe a scrivere il “The New York Times”, “qui la semplicità è scelta autentica per una raffinata cucina mediterranea, rara nel Sud a questi livelli”, cui si aggiunge il pregio di essere straordinaria per gusti e sapori, frutto di una non comune cultura che non è solo gastronomica, poiché esprime un grande amore per la storia e la tradizione di questa terra non ancora sufficientemente conosciuta e apprezzata, sicuramente meritevole di essere molto più amata. Di fronte a una cucina come questa ci si chiede quale sia il segreto di una così alta qualità, ma non è facile rispondere, perché le colonne su cui poggia un ristorante come La Locanda di Alia sono tante. C’è, come già detto, la scelta di materie prime di alta qualità, le migliori offerte dal mercato e pazientemente cercate dai fratelli Alia; c’è una professionalità seria, concreta, matura che si traduce in piatti di alti equilibri di gusti e sapori, riconoscibili, leggibili, mai barocchi, non costruiti per scioccare, perché le emozioni devono nascere dalla qualità, dagli equilibri, dalla bontà del piatto; c’è la voglia di valorizzare e promuovere la regionalità, come dovrebbe essere sempre (fatta qualche rara eccezione, quando la cucina è espressione del cuoco e non del territorio); c’è, infine, un’eleganza mediterranea che affascina chi siede a questi tavoli. Così dovrebbe essere in tutti i grandi ristoranti, così è inn questa straordinaria cucina di Alia, una delle migliori d’Italia, felicemente immersa nel Parco del Pollino.

di Giampiero Rorato


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RISTORANTE DEL MESE Ricetta per 4 persone:

Filetto di Baccalà di Norvegia marinato, su crema di peperoni Ingredienti: 400 g di filetto di baccalà norvegese 100 g di olio extravergine di olive carolea Un mazzetto di finocchio selvatico , alloro, bucce di limone, erba cedrina, un mazzetto di prezzemolo 500 g di peperoni rossi carnosi 30 g di panna fresca

Preparazione: Fa cuocere il baccalà a vapore e poi sfoglialo. Ponilo in una terrina, condisci con olio, il mazzetto di odori e il prezzemolo, quindi coprilo con la pellicola e lascialo riposare.

Fa arrostire i peperoni, privali dei semi e spellali perfettamente. Passa i peperoni in un mixer e falli ridurre a crema. Aggiungi delicatamente la panna e lavorala per bene.

Impiatta nappando i piatti con la crema di peperoni. Disponi sulla crema di peperoni le sfoglie di baccalà. Condisci con un filo di olio e manda in tavola.


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RISTORANTE DEL MESE

Candele con il ragù piccante di nduja di Spilinga e pecorino del pollino Ingredienti:

Preparazione:

400 g di candele 600 g di pomodori San Marzano freschi,pelati e tagliati a cubetti 4 cucchiai di olio extravergine 1 spicchio d’aglio, basilico e prezzemolo le falde di due peperoni piccoli, tondi e verdi 40 g di pecorino del Pollino a scaglie sottili 80 g di nduja (insaccato tipico calabrese) pochissimo sale.

In una padella bassa di alluminio, prepara la salsa mettendo insieme l’olio, i cubetti di pomodoro, l’aglio, i peperoni, il basilico e pochissimo sale. Fa cuocere per circa 15 minuti, quindi aggiungi la nduja, amalgama bene e continua la cottura per altri 3 minuti. Nel frattempo fa cuocere la pasta come d’abitudine, scolala, riponila nella padella e falla saltare per bene. Servi con una spolverata di pecorino di Crotone e di prezzemolo.

Il matrimonio tra il pomodoro e la nduja ormai, grazie alla nostra intuizione, è diventato un classico nella nostra regione, che prima utilizzava questo insaccato solo per spalmarlo sul pane



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RISTORANTE DEL MESE Ricetta per 4 persone:

Luccio su crema di Cicerchie Ingredienti: 800 g di Luccio di mare 500 g di Cicerchie 1 spicchio di aglio 1 cipolla di Tropea 1 pomodoro San Marzano, 100 g di olio di olive extravergine Un mazzetto guarnito di odori. Fiori di lavanda 2 grammi

Preparazione: Sfiletta un luccio di mare, privalo della pelle e fallo cuocere a vapore profumando l’acqua con metà mazzetto guarnito.

Fa cuocere anche le cicerchie al vapore.

In una pentola scalda l’olio con l’aglio e la cipolla, unisci le cicerchie e un mestolo di acqua calda o di brodo. Ultima la cottura, quindi passa le cicerchie al mixer per ottenere una crema.

Ancora nel mixer frulla il pomodoro con un po’ di olio.

Prepara l’olio alla lavanda facendo macerare i fiori di lavanda nello stesso per qualche ora.

Disponi sul fondo del piatto la crema di cicerchie con qualche goccia di pomodoro, sopra i filetti di luccio e condisci con l’olio profumato


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RISTORANTE DEL MESE

I fichi al cioccolato Ingredienti: 12 fichi freschi varietà dottato 150 g di cioccolato bianco in polvere 50 g di latte un rametto di menta fresca liquore di anice, un cucchiaino 8 gherigli di noci 10 mandorle tostate una manciata di diavoletti (zuccherini colorati) un po’ di povere di cannella e di chiodi di garofano. 1 arancia per grattugiarne la scorza.

Preparazione: In un pentolino riscalda il latte con il cioccolato, la menta e l’anice.

Lascia la menta in infusione per 10/15 minuti, poi toglila.

Taglia i fichi con armonia, lasciando la buccia.

Nappa con il cioccolato caldo i piatti, quindi disponivi sopra i fichi spolvera con cannella e chiodi di garofano e, in ultimo, i coriandoli di zucchero.

Manda in tavola con una grattugiata di scorza d’arancia.



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il Pomodoro di Gianandrea Rorato

Il successo di questa straordinaria solanacea ebbe inizio verso la metà dell’800 ed esplose con la Pizza Margherita, nata a Napoli nel 1889 seconda parte

I

l mese scorso abbiamo raccontato l’arrivo del pomodoro in Spagna, avvenuto nel 1523, ad opera di Hernàn Cortéz, il conquistatore del Messico. Trent’anni dopo, il pomodoro viene meglio conosciuto grazie all’opera di un gesuita spagnolo Josè de Acosta, il quale, tornato da un lungo viaggio in Perù, annotò nelle sue “Historie naturali e morali” che gli indios coltivavano ed erano ghiotti di una strana sorta di grossa uva che presentava acini sugosissimi: li chiamavano tomate e oltre ad essere belli “alla vista”, erano anche molto rinfrescanti e più piacevoli da mangiare a morsi rispetto al peperoncino, ragion per cui propose di coltivarli in Europa non solo per bellezza ma per mangiarli. La proposta di padre Josè non fu accolta bene, anzi suscitò scalpore: mangiare quelle bacche rosse così enormi, aventi il colore del fuoco come quello dell’Inferno non era una cosa desiderabile. Così pen-


speciale pomodoro

sarono quanti avevano letto le Historie di padre Acosta. Merita ricordare che in quel tempo era consuetudine mangiare alimenti di color bianco, proprio perché il cibo bianco era considerato simbolo di purezza per l’organismo; al massimo si accettavano i cibi ricchi di cannella, mandorle, miele e acqua di rose e di arancia, secondo la tradizione introdotta in Spagna dagli Arabi e in altre parti d’Europa dai commercianti veneziani. Così, i primi esemplari di pomodori introdotti dalla Spagna nel Vicereame di Napoli, nel 1544 rimasero una semplice curiosità botanica; data la loro forma piccolina (simili a quelli che ancora oggi chiamiamo ciliegini), vennero appunto classificati come licopersicum cerasiforme, praticamente considerati grosse ciliegie. Dovettero trascorrere ancora quasi due secoli prima che venissero scoperte le virtù di queste grosse bacche rosse, anche perché, nel frattempo, gli

studiosi le avevano trascurate se non addirittura disprezzate. Scrive Costanzo Felici (1525-1585) nel 1568: “Pomo d’oro, così detto volgarmente dal suo intenso colore, ovvero pomo del Perù, da ghiottoni et avidi di cose nuove è desiderato et ancora fritto nella padella, ma al mio gusto è più presto bello che buono.” E il medico e botanico francese Jaques Dalechamps (1513-1588), scrivendo la “Historia generalis plantarum”, ne sconsiglia l’uso: “Queste mele, come del resto tutta la pianta, raffreddano il corpo, quantunque meno della mandragora; perciò è pericoloso farne uso. Ciononostante alcuni le mangiano cotte con olio, sale e pepe. Danno al corpo poco nutrimento e quel poco cattivo e corrotto.” E alla fine del 600 lo svizzero Zwinger annota come una stranezza il fatto che in Italia ci sia chi si nutre di pomodoro, benché sia un alimento che definisce “malsano”. In Francia, qualcuno, come

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abbiamo ricordato il mese scorso, l’aveva considerato “afrodisiaco” (pomme d’amour), ma non era assolutamente vero; ma forse questa fu uno dei motivi che spinsero gli italiani a convertirsi all’ottimo ortaggio, anche se con molta cautela visto che ancora il 29 maggio 1787 Wolfang Goethe, nel diario del suo viaggio in Italia, raccontava aver mangiato a Napoli zuppe di pesce, polpi e maccheroni, deliziosi sì ma tutti ancora rigorosamente cucinati in bianco, senza la minima traccia di pomodoro. E arriviamo al 1839, quando il napoletano Ippolito Cavalcanti, Duca di Buonvicino, che aveva pubblicato un volume intitolato Cucina teorico-pratica, diede alle stampe un volumetto dal titolo significativo: Sauza di pommadore ammature (salsa di pomodoro maturo), in cui per la prima volta compare la ricetta della salsa di pomodoro. Il nobiluomo napoletano suggeriva di mettere la


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SPECIALE POMODORO salsa di pomodoro “ncopp’a la carne, ncoppa li pulle, ncoppa lo pesce, ncoppa l’ova”, ‘ncoppa ovunque tranne che sulla pasta. Ma fu il popolo napoletano che, pratico e affamato, volle per primo farne la prova, mettendo la pummarola sul cibo che consumava di più perché nutriente e poco costoso: maccheroni e pizza. E, da allora, la salsa di pomodoro conquistò le cucine di Napoli e del Sud Italia, arrivando alcuni decenni dopo nelle regioni del Nord, all’inizio del Novecento. Ma perché al Nord si coltivasse il pomodoro fu necessario attendere non solo l’inizio del nuovo secolo, ma addirittura la conclusione della prima guerra mondiale. E nelle province più settentrionali il pomodoro iniziò ad essere coltivato negli orti domestici addirittura dopo la seconda guerra mondiale, vale a dire ad iniziare dalla metà del secolo scorso. Intanto, dalla metà dell’Ottocento

dall’America giunsero in Europa nuove varietà di pomodori, dai frutti più grandi di quelli prima coltivati in Italia e i nuovi arrivi avevano nomi anglosassoni: Liwingston, Duke of York, Perfection, Champion, Mikade. Anche in Italia si iniziò a realizzare in modo scientifico selezioni e incroci e nacquero in tal modo il Genovese, il Riccio di Parma, il Rosso costoluto, il Riccio romagnolo, il Sanmarzano, il Roma e altre varietà e ancor attualmente arrivano dall’America nuove varietà e altre, ma poche, vengono realizzate in appositi centri produttivi italiani. Sta di fatto che, da quando Raffaele Esposito, titolare della Pizzeria Brandi di Napoli, preparò nel 1889 la Pizza Margherita in onore della regina d’Italia, il pomodoro e la sua salsa hanno conosciuto un crescente successo. E così, dopo aver avuto tante difficoltà nel farsi accettare dagli italiani, il pomodoro è diventato uno dei simboli della gastronomia italiana.


le aziende si raccontano

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una storia lunga 50 anni.

L

a Coppola S.p.A, con sede a Scafati, è un’azienda conserviera presente nel settore agroalimentare ormai da 50 anni; è nel 1960, infatti, che Domenico Coppola dà inizio alla lunga e consolidata storia della Coppola S.p.A., riuscendo negli anni a fare dell’azienda una delle più affidabili ed accreditate dell’intero comparto. La chiave del successo è tutta nella costante dedizione a quest’attività da parte dei suoi titolari, oggi alla seconda generazione, e nella scelta di diversificare la propria produzione, specializzandosi in due settori, quello del pomodoro e quello della frutta, da agricoltura convenzionale e, soprattutto, da agricoltura biologica. Non solo, dunque, pomodori pelati, passata e polpa di pomodoro, filetti, pomodorini di collina e polpe speciali per pizza, ma anche frutta trasformata in semilavorati per le più importanti aziende europee produttrici di Baby Food, Succhi e Confetture di Frutta. Produzioni diverse, tutte programmate all’insegna di una politica per la qualità che l’azienda segue da sempre e che nel tempo si è concretizzata nelle più importanti certificazioni: ISO 9001, ISO 14001, IFS, BRC, BIO, DEMETER, KOSHER. Tuttavia la cultura per la qualità non è dettata solo dalle norme di sistema, seguite con rigore, ma scaturisce da una “vision” aziendale

che ha tra i suoi primi obiettivi quello di continuare a proporre sul mercato prodotti di qualità, nel pieno rispetto della salute del consumatore e dell’ambiente. Ciò viene garantito attraverso un’accurata selezione delle zone di provenienza, un monito-

raggio costante delle materie prime, e controlli continui in tutte le fasi della lavorazione e del confezionamento, in modo da poter assicurare la consegna solo di prodotti di “prima

scelta”. La Coppola utilizza per le sue produzioni pomodoro e frutta esclusivamente italiani, provenienti prevalentemente dall’area meridionale, la più vocata, per le favorevoli condizioni climatiche e la fertilità dei suoi campi, alla produzione agricola, mirando da sempre alla valorizzazione del prodotto tipico. Qualità e Specializzazione, ma anche innovazione, ampia possibilità di scelta ed esclusività come la produzione in “bags” che, con la Pomizza, una polpa di pomodoro nata per la pizza, ma ideale per la preparazione di qualsiasi piatto, ha aperto la strada ad altri prodotti esclusivi come: il “Pelatone”, una delicatissima polpa realizzata solo con pomodori lunghi pelati; i Cubetti di Pomodorini,

ottimi per bruschette, pizze e sughi freschi; la Passata di Pomodorini, e tante altre novità da scoprire e assaggiare. La Coppola è un’azienda viva, gestita da imprenditori dinamici, attenti anche a problematiche che vanno oltre la vita quotidiana dell’impresa. E’ infatti con lo stesso impegno che sostiene attivamente. da tanti anni, l’associazione Trame Africane Onlus (www.trameafricane.org) che, attraverso il Machaka Project, sta realizzando una serie di iniziative finalizzate ad aiutare persone che vivono in situazioni di estremo disagio, in particolare nella regione del Meru (Kenya), a riprendere in mano il proprio destino. Passione, costanza e nuove idee, nel lavoro come nel sociale, sono per l’azienda gli strumenti fondamentali per proiettarsi con ottimismo nel prossimo futuro con un solo obiettivo: “lavorare divertendosi”.


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Scheda Tecnica

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— LA SALSA DI POMODORO DEL MAESTRO PIZZAIOLO DI GRAZIANO BERTUZZO

Il pomodoro è un ingrediente fondamentale in pizzeria e, più precisamente, la salsa di pomodoro, da quando, nella seconda metà dell’800, si cominciò ad impiegarla a Napoli per preparare le pizze. Da allora la pizza e, con essa, la salsa di pomodoro ha conquistato tutto il meridione d’Italia, poi il Nord Italia e, nel contempo, l’Europa e tutti quei Paesi extraeuropei, a cominciare dagli USA, dove sono arrivati

SOPRA

Il maestro Graziano Bertuzzo mentre stende il pomodoro A DESTRA

Alcuni vasi di pomodoro appena conditi e messi a macerare

i pizzaioli della Campania. I pizzaioli operano davanti ai forni impiegando soprattutto salsa di pomodoro o anche pomodori pelati, che verranno preventivamente lavorati con l’aggiunta di spezie. La pizza classica esige una salsa a bassa percentuale di acqua e questa risulta abbastanza densa alla vista e ciò per una questioni di praticità. Usando questa salsa, infatti, essa non sborda dal disco di pasta e non dà problemi in fase di cottura. Diversa è la caratteristica della salsa per la pizza in teglia. In questo caso si lavora con una salsa più liquida, dal momento che non presenta problemi di fuoriuscita dalla teglia e il tempo di cottura è più lungo rispetto alla pizza classica e il fatto che la salsa sia abbastanza liquida aiuta a far sì che non si bruci. Abbiamo detto che la salsa va salata ed aromatizzata ed in pizzeria si usano quindi: sale, basilico, origano ed olio extravergine d’oliva. Ricordiamo che migliore è l’olio extravergine (e l’italiano è il migliore) più buona e gradevole risulterà la pizza. Infine un consiglio ai pizzaioli: poiché la salsa di pomodoro ha un alto valore di acidità essa va preparata almeno 24 ore prima dell’utilizzo, in modo da darle la giusta macerazione e eliminare il retrogusto acido.


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Scheda Tecnica

04

— LA CONSERVAZIONE DEGLI ALIMENTI

Il motivo per cui gli alimenti si alterano e si trasformano è legato a cause biologiche e fisico-chimiche. Le cause biologiche, di gran lunga le più importanti, riguardano la presenza dei microrganismi, rappresentati sia da batteri, muffe e lieviti presenti nell’ambiente, che dagli enzimi contenuti negli alimenti stessi. Tra le cause di tipo fisico-chimico riveste molta importanza l’ossigeno che irrancidisce i grassi, inattiva le vitamine e insieme agli enzimi fa imbrunire i succhi vegetali di frutta e verdura. La luce ed i raggi ultravioletti causano alterazioni di grassi e proteine. Il calore esterno provoca la disidratazione degli alimenti e accelera le reazioni chimiche nonché la riproduzione dei microrganismi.

Nei secoli passati la conservazione degli alimentari rappresentava il maggior problema da risolvere.

Le tecniche di conservazione utilizzate fin dall’antichità, come l’affumicamento, l’essiccamento e la salagione, fanno parte del nostro patrimonio gustativo e certi alimenti come i salumi o il baccalà vengono trattati ancor oggi con questi metodi per ragioni gastronomiche e non soltanto igieniche. La conservazione dei cibi viene rivoluzionata, nell’ottocento, con l’arrivo delle tecniche di sterilizzazione e di refrigerazione. Nel secolo scorso, vennero poi introdotti altri processi come la surgelazione, la liofilizzazione e l’irraggiamento; negli ultimi decenni si sono inserite nuove tecnologie, rese possibili dallo sviluppo della ricerca nel campo dei materiali per i contenitori, come la conservazione sottovuoto e il confezionamento in contenitori asettici. Essiccamento: è un processo che parte dall’osservazione degli eventi naturali e porta alla completa disidratazione di un alimento facendo evaporare buona parte dell’acqua in esso contenuta. Salagione: si basa sull’effetto di disidratazione che il sale provoca sulle cellule dell’alimento, sulla riduzione dello sviluppo dei microrganismi e sulla produzione di ioni cloruro che sono nocivi per i batteri. Affumicamento: il metodo, che ha origini dai popoli dell’Europa Centrosettentrionale , consiste nel sottoporre gli alimenti all’azione del fumo e del calore derivante dalla combustione lenta e incompleta (senza fiamma) di legni particolari, soprattutto faggio, quercia e castano. Uso dell’aceto: la tecnica della conservazione “sott’aceto” è usata soprattutto per vegetali (solitamente precotti) e pesci (in genere fritti o arrostiti); in casa si fanno le giardiniere e si conservano le verdure sottoaceto. Uso dello zucchero: il metodo è applicato soprattutto per la conservazione della frutta (canditi, confetture, gelatine). La presenza di zucchero in concentrazione tra il 50 e il 60% diminuisce il contenuto di acqua libera ostacolando in maniera determinata lo sviluppo di microrganismi.

Uso dell’olio: privando il prodotto da conservare (funghi, carciofi, ortaggi vari) del contatto con l’aria e chiudendo ermeticamente il contenitore, il sistema permette il mantenimento delle loro caratteristiche naturali. Fermentazione: il processo comprende tutti i metodi biologici che utilizzano la fermentazione naturale ad opera di microrganismi come lieviti e batteri. Esempi tipici di conservazione per fermentazione sono vino, formaggi, yogurt e birra. Refrigerazione e Congelamento: il freddo agisce determinando il rallentamento dei processi vitali dei microrganismi: nel caso del congelamento, esso sottrae anche l’acqua che ne può accelerare lo sviluppo. Il ricorso al freddo è stato largamente usato fin dai tempi più remoti con ghiaccio o neve pressata, conservati in grotte naturali. La refrigerazione consiste nel sottoporre un alimento a temperatura tra 0° e 6-7°C. Il congelamento consiste nel portare l’alimento a temperatura di almeno -18°C. Le tecniche moderne iniziano ad essere sviluppate alla fine del Settecento. Appertizzazione: il metodo prende il nome da Nicolas Appert (1750-1841), un venditore di dolci, francese poi diventano produrre di conserve alimentari. Il metodo perfezionato è attualmente chiamato “sterilizzazione classica” e consiste nel porre l’alimento da conservare in un recipiente ermetico, che poi viene portato a temperatura elevata in modo da distruggere i microrganismi contaminati. Sterilizzazione: consiste nel riscaldare l’alimento ad alte temperature (maggiori di 100°C) per brevi periodi di tempo. Il processo comporta l’eliminazione o l’inattivazione dei microrganismi e degli enzimi presenti, in grado di produrre modificazioni indesiderate.

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SPECIALE POMODORO

I pomodorini di Corbara I piccoli e gustosi

di Caterina Orlandi

Corbarino sono uno degli emblemi della ricca e qualificata produzione agroalimentare salernitana

C

orbara, in comune di Salerno, è conosciuta come “la città del pomodorini Corbarino”, ed è molto interessante conoscere questo straordinario ecotipo che arricchisce il panorama della straordinaria produzione italiana di pomodori. Quello prodotto a Corbara è ormai noto col nome di Corbarino, per le sue dimensioni abbastanza contenute e, fresco o trasformato, si contraddistingue per caratteristiche organolettiche e qualitative tipiche. Il Corbarino nasce da piante ad accrescimento indeterminato e da bacche piccole di forma prevalentemente “allungata a pera”, dallo spiccato sapore agrodolce. Alla tipologia Corbarino sono assimilati diversi biotipi, la cui selezione è stata curata nel corso degli anni, dagli stessi agricoltori della zona. Questi vari biotipi, con molta probabilità, derivano da vecchie varietà da conserva, coltivate in zona. L’area di origine del Corbarino è quella delle pendici dei monti Lattari, sia sul versante costiero (Costiera amalfitana, Penisola sorrentina) sia sul versante interno (confine sud della valle del Sarno), dove si trova il comune di Corbara e sulle cui colline è stato sempre tradizional-

mente coltivato. Fino a poco tempo fa, il Corbarino era coltivato quasi esclusivamente in zone collinari, senza alcun sussidio irriguo; le produzioni erano destinate prevalentemente ai mercati locali per il consumo fresco o per la produzione artigianale di conserve o come pomodori da serbo, conservati a grappolo per il consumo invernale. L’alta qualità di questo pomodoro ne ha fatto aumentare la domanda, anche al di fuori dell’ambito regionale, con un accresciuto interesse da parte di trasformatori locali e ciò ha determinato un notevole sviluppo della coltivazione anche in aree di pianura, dove si ottengono produzioni più elevate. Va aggiunto che questo pomodoro italiano è prodotto e conservato secondo le severe regole igienico-sanitarie italiane e anche sotto questo profilo offre si consumatori la massima garanzia. Questo, in sintesi, il prodotto impiegato da Alfonso Caputo, il ben noto chef della Taverna del Capitano di Marina del Cantone di Massa Lubrense (Napoli), uno dei templi della grande cucina italiana, per preparare il suo piatto di vermicelli, di cui diamo la ricetta e la foto.


speciale pomodoro

ricetta per

4 persone

Vermicelli trafilati in casa ai frutti di mare, pomodorini di Corbara e prezzemolo

SOPRA

Pomodoro di Corbara NELLA PAGINA A FIANCO

Lo chef Alfonso Caputo della Taverna del Capitano a Massalubrense

Ingredienti:

Preparazione:

300 g di vermicelli 800 g di frutti di mare misti 150 g di pomodorini di Corbara 50 g di prezzemolo olio extravergine d’oliva, aglio, peperoncino.

Prepara in una padella calda olio, aglio e peperoncino, fa rosolare e aggiungi i frutti di mare e i pomodorini, quindi copri. Dopo alcuni minuti sguscia i frutti di mare. Porta l’acqua a ebollizione, sala e fa cuocere i vermicelli.

Prepara in una padella i frutti di mare sgusciati e i pomodorini; scola i vermicelli molto al dente, versali nella padella, aggiungi un filo d’olio extravergine d’oliva e fa amalgamare fino a ottenere una salsa molto densa. Guarnisci alla fine con prezzemolo tritato, quindi manda in tavola.

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IL PIZZAIOLO DEL MESE

Pino Ferraro

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a scelta di lavorare nel settore della ristorazione e nella pizza è maturata tardi, durante il servizio militare, quando ebbe l’incarico di responsabile della mensa ufficiali. Conclusa la ferma militare e tornato a casa, in Campania, sua terra d’origine, Pino Ferraro si è trasferito quasi subito a Sassuolo, in provincia di Reggio Emilia, per iniziare a lavorare nel mondo della ristorazione, dapprima come barista in un ristorante pizzeria, poi un amico gli propone di aprire assieme una pizzeria ed eccoli entrambi a Modena. La loro nuova pizzeria funziona bene, così decidono di aprirne un’altra all’Abetone. “Il giorno dell'inaugurazione del nuovo locale – ci dice Pino – essendo mancato all’improvviso il pizzaiolo, mi sono trovato a dovermi improvvisare tale, col mio socio che mi dettava gli ingredienti per l'impasto per telefono. Una bella sfacchinata ma alla fine della serata ero riuscito a servire 60 pizze e soprattutto a cuocerle correttamente in un forno a legna, cosa non proprio semplice.” È stata un’esperienza dura, ma in quell’occasione Pino ha capito che poteva farcela, per cui da quel momento si è dedicato completamente al mondo della pizza. Dopo tre anni all’Abetone decide di mettersi in proprio, per sentirsi responsabile in toto del suo lavoro e così – è l’anno 1984 – si trasferisce in Toscana, a Orbetello, dove apre una piccola pizzeria d'asporto. “Ben presto il mio locale ottenne un grande consenso da parte della clientela del posto – ci dice Pino - e in questa mia prima attività gestita interamente da me, potei esprimere al meglio la mia capacità creativa e fui uno dei primi pizzaioli che sul finire degli anni '80 inizi anni '90 introdusse il servizio a domicilio, effettuato con un mitico califfo rosso.”

Dopo Orbetello, Pino Ferraro apre un nuovo e più grande locale a Follonica, non più solo d'asporto ma con il servizio ai tavoli, denominato “Pino Pizza”.

sotto Una realizzazione di Pino Ferraro.


pino ferraro - il pizzaiolo del mese

sotto Rocca Sillana Pomarance (PI)

Siamo agli inizi degli anni '90 e la pizzeria di Pino conosce un buon successo sia a Follonica che nelle zone limitrofe e ben presto si comincia a parlare di lui anche oltre la provincia di Grosseto, per la qualitĂ e le nuove tipologie delle sue pizze. Nel 1998 partecipa al “Giro pizza d'Italiaâ€? e si classifica primo con una pizza che poi metterĂ in Carta col nome di "Giro pizza" (crema di tartufo, mozzarella, salsiccia, porcini, rucola e scaglie di parmigiano).

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Ormai Pino aveva acquisito una vasta esperienza, s’era confrontato con numerosi altri pizzaioli e ritenne di aver raggiunto un buon livello professionale per cui decise di trasmettere ad altri quello che aveva imparato e cosĂŹ iniziò a insegnare a fare le pizze, dapprima alla scuola di formazione di Firenze, quindi entrò nello staff della Scuola Italiana Pizzaioli di cui fa tutt’ora parte. Da allora ha insegnato in molti corsi di formazione, ha collaborato a diversi avviamenti di locali ed è intervenuto in diverse edizioni del Campionato Mondiale della Pizza, anche come giudice di gara. Pino Ferraro è andato anche in Russia, a San Pietroburgo, in un hotel a 5 stelle per insegnare ai pizzaioli locali come si fanno le pizze e in tutti questi anni ha sempre avuto molte soddisfazioni con le sue pizze, perchĂŠ si è sempre distinto per la produzione di pizze di qualitĂ â€œCredo che sia stata questa – ci dice - la mia carta vincente, il mio continuo aggiornamento accompagnato da creativitĂ e professionalitĂ , perchĂŠ saper fare le pizze oggi è un’arte, è un mestiere che lo devi sentire dentro e deve appassionarti e, come per ogni lavoro, non si può improvvisare.â€? Attualmente Pino Ferraro, che si sente ormai toscano, è a Pomarance, un piccolo paesino vicino Volterra, dove, dopo aver collaborato all’avviamento del locale, è rimasto per dare supporto al gestore e in poco tempo la pizzeria ha conquistato la clientela del posto.

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pizza e pasta italiana

IL PIZZAIOLO DEL MESE

La pizza qui presentata si chiama “Terra Mia” Ecco gli ingredienti impiegati da Pino Ferraro per realizzare la pizza che qui presentiamo: Mozzarella fior di latte Fonduta pecorino Cipolla toscana Salsiccia di cinghiale Scorza di limone grattugiata Naturalmente ogni pizzaiolo ha una sua tecnica di preparazione della pizza, sa dosare correttamente le quantità dei singoli ingredienti, in modo da ottenere una pizza equilibrata, gustosa, appetitosa, tale che chi l’assaggia la richieda nuovamente.

di Caterina Orlandi



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Con motodriver, pizzerie-lavanderia, pizzerie-libreria o gastroenoshop “Km 0”, e un kit per far da sé, ma con l’alta qualità dei maestri pizzaioli

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l mondo della pizzeria si sta velocemente evolvendo e già ci sono locali altamente prestigiosi e la tendenza in atto, come questa Rivista ha mostrato in precedenza con numerosi articoli, punta verso locali esteticamente belli, molto funzionali, capaci di attrarre anche i vip. Oltre ad essere di intelligente modernità nel design, nel materiale impiegato, nei colori, nella funzionalità, le pizzerie del futuro dovranno essere polifunzionali, quindi “pizzeria-ristorante”, di alta qualità in entrambi gli aspetti, ma anche “gastroenoshop”, dove si mangia e si beve bene – c’è una carta dei piatti, una delle pizze e una delle bevande – e dove si possono degustare e acquistare vini; c’è addirittura la “pizzeria-libreria”, che altro non è che una moderna e accogliente pizzeria con accanto degli scaffali di libri in genere di cucina e di vini che si possono acquistare. Questa Rivista è anch’essa proiettata verso il futuro e, in collaborazione con Poli. design – Consorzio del Politecnico di Milano che ha attivato un corso per architetti e designer in “Food Experience Design – Design per l’innovazione di spazi e locali pizzeria”, desideriamo con nostri lettori aprire un ampia finestra sul futuro, anche precorrendo i tempi, ma offrendo idee, spunti, progetti per chi desidera rinnovare il proprio locale o chi ha in progetto di aprirne uno di nuovo. “Anche in questo settore il design, la tendenza all’evoluzione estetica e funzionale in atto in tutti gli ambiti della ristorazione, oltre allo stimolo a ripensare il format in senso multi—continua a pag. 48

“D” di 6Fuori (Progetto di Maria Letizia Gatti, Stefano Oglietti, Rosario Sorbo, Serena Tibaldi, Giangaspare Mingione, Cristina Zuccarello) D, come “Design”, è un Pizza Lounge Restaurant situato a Milano tra quartieri dell’arte (Brera), della moda (Montenapoleone), della produttività (Piazza della Repubblica) e della cultura (via Palestro) e si rivolge ad una clientela con una potenzialmente elevata capacità di spesa. Il lusso, nei bar o ristoranti tradizionali, si esprime normalmente attraverso canoni di eccellenza nel cibo, nelle bevande e nell’ambiente. La pizza esprime invece italianità, genuinità e semplicità, ma qui si propone in un insolito binomio Pizza&Lusso, che abbina questi valori all’amore per le moto, stile di vita in


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Ingresso

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tendenza che riassume lusso, ma accessibile, tradizione italiana, elevata specializzazione ed eccellenza. Il locale si rivolge sia a chi è appassionato di moto, un mezzo molto dinamico che bisogna amare nelle linee, nel rumore, nella filosofia, sia a chi desidera solamente respirare un’atmosfera particolare. Lusso è comodità, ricchezza e personalizzazione dei servizi, e la pizza di D è un alimento che sa farsi amare, che traduce la tradizione culinaria italiana in un “campione” del mondo, grazie all’offerta di un caleidoscopio di ingredienti di alta qualità e massima personalizzazione: la pizza può essere bassa, alta, soffice, o croccante, e può essere gustata a pranzo, all’aperitivo, a cena o dopocena. D offre ai suoi clienti il MotoTaxi che li va a prendere a casa o che consegna a domicilio catering di alta qualità oppure un servizio


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pizza e pasta italiana

FOOD DESIGN funzionale, stanno iniziando a delineare direzioni significative di innovazione. – spiega Nicola R.Ticozzi, direttore dei corsi Design Experience di POLI.design – Come altri spazi della ristorazione, bar, locali, e ristoranti, anche le pizzerie stanno cercando nuove soluzioni, sia dal punto di vista della proposta al pubblico che della progettazione degli spazi: le vediamo ampliarsi nelle funzioni e includere zone lounge, cocktail bar o aree di vendita, ma, come evidenziano i concept dei progettisti selezionati che hanno partecipato al corso, hanno potenzialità molto più ampie e commercialmente esplorabili.” “Le pizzerie sono legate ad una fortissima tradizione, dove scalzare lo stereotipo è molto difficile – approfondisce Gianpietro Sacchi, docente e coordinatore del corso – È per queste ragioni un settore dove i progettisti non hanno ancora espresso il massimo e dove è possibile dire, e fare, qualcosa di innovativo. I progetti elaborati nell’ambito del corso sono ottimi esempi di idee concretamente realizzabili che potrebbero positivamente stimolare il mercato, e questo è anche il risultato dei contributi in termini di know how e di rapporto con la realtà produttiva e del mercato dati dalle aziende Sponsor Accademici, un contributo di esperienza e competenze che per i progettisti è davvero determinante.” “Anche fuori d’Italia si sono ormai accorti che l’Italian Style nel food è molto più evoluto e interessante dell’immagine tradizionale ‘pizza e mandolino’, come dimostrano i nuovi ristoranti italiani nel mondo - osserva Carlo Meo, sociologo dei consumi – Questo corso va nella direzione di rinnovare gli stereotipi, ed è molto importante, oltre che difficile, perché è un processo fondamentale per il successo di un locale. I locali che funzionano sono quelli che partono da un’idea che possa essere declinata poi coerentemente all’interno del locale. L’interior design costituisce una parte del successo, e la qualità del prodotto alimentare è l’altro aspetto assolutamente fondamentale.” Iniziamo dunque da questo mese a presentare dei progetti che la redazione ha ritenuto molto interessanti e che possono risultare utili anche ai nostri lettori. Potranno risultare anche scioccanti, ma sappiamo che il futuro non conosce né barriere né pregiudizi e invita ad essere aperti al nuovo, anche se può sembrare più ideale che realistico, ma ciò che oggi può anche sembrare utopia domani è realtà. di Giampiero Rorato in questa pagina

Reception e zona Bar

di car parking. Un assistente personale segue ogni tavolo guidando gli ospiti attraverso il locale e i diversi tipi di pizza e di ricette, proponendo i giusti abbinamenti con vini italiani selezionati. Il Vestiaire offre agli ospiti motociclisti, ristoro, custodia ed una scelta selezionata ed esclusiva di prodotti personalizzati. Formale o informale, all’aperitivo o a cena, ognuno può gustare la pizza come preferisce: su sedie o su divani, su tavoli monoblocco in ardesia, su bassi tavolini o servi mutio, su tovagliette in maglia metallica, stoviglie o… con le mani. Guarniture di alta qualità permettono di fare il giro del mondo dei sapori, ma sempre e solo freschi e di stagione. Il dehor è uno spazio “en plein air” riservato ad eventi. Dalla strada vetrine nere ed opache incuriosiscono e si aprono su un mondo colorato, nero, rosso, bianco. Un inserto rosso su pavimento bianco lucido guida all’aperitivo o al tavolo. Il ristorante evoca un palazzo nobile con una sequenza di porte che incornicia letteralmente un percorso, ricco, verso l’estasi del gusto. Bagni dotati di ogni comfort offrono la possibilità di rinfrescarsi in totale relax ed eleganza. Luce teatrale a scomparsa totale, per la primadonna, la pizza, stemperata da familiari lampadari glamour.



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La straordinaria storia del Pane

XIII IL PANE NELLA TERRA DI OMERO

di Giampiero Rorato

Oltre al mito che ricorda il viaggio di Giasone e degli Argonauti alla ricerca del Vello d’Oro, anche l’Iliade, il grande poema che racconta l’ultima parte della guerra combattuta dai Greci contro i Troiani, ci informa del valore sia reale che simbolico del pane

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uando si parla di pane diventa naturale abbinarlo al vino: questi due prodotti sono infatti le colonne portanti dell’alimentazione umana nel mondo occidentale ed entrambi hanno dato origine, specialmente presso i Greci, a miti e leggende, cioè a racconti fantastici che tuttavia contengono assai spesso precise indicazioni storiche. In diversi miti, così come nei poemi omerici, il pane entra di prepotenza ed ecco allora le storie di Giasone e degli Argonauti e l’epico racconto della guerra di Troia che testimoniano l’enorme necessità di grano che avevano gli Achei. Il mito di Giasone, che narra la conquista da parte dell’eroe greco del Vello d’oro (la pelle d’oro d’un montone custodita da un drago nella lontana Colchide, il Caucaso d’oggi), significa la conquista del


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STORIA DEL PANE 2 di 3 frumento da parte degli Achei (i Greci del tempo) nelle lontane pianure della Romania, dell’Ucraina e della Georgia, affacciate sul mar Nero. Infatti il Vello d’oro che Giasone doveva conquistare altro non erano che le immense distese di spighe di grano maturo che si trovavano nelle lontane pianure raggiungibili allora solo da impavidi marinai, capaci di affrontare e superare ogni nascosto pericolo. Il grano che giungeva in Grecia proveniva dalle coste del mar Nero e le navi che lo trasportavano dovevano passare per lo stretto dei Dardanelli e affrontare le correnti avverse che arrivavano dal Mar Nero attraverso il Bosforo. Gli stretti, poi, erano dominati dalla potente città di Ilio, più nota col nome di Troia, che costituiva per il commercio dei Greci un costante pericolo. Troia, infatti, era città fortificata e ben armata e poteva intercettare con facilità le navi greche e quindi bloccare gli approvvigionamenti di grano, indispensabili per gli Achei. Per costoro la guerra contro Ilio fu una necessità vitale e non il frutto di una vendetta. La penisola greca, in gran parte brulla e montuosa, era infatti più adatta agli ulivi e alle viti che alla coltivazione del grano e gli Achei erano costretti a procurarsi quest’ultimo in terre lontane. La guerra di Troia scoppiò dunque perché gli Achei avevano grande necessità di reperire il grano per

procurarsi il pane e non perché, come racconta il poema omerico, Paride rapì Elena, moglie di Menelao, re di Sparta. Ma anche se il racconto omerico si dipana più volentieri sulle indicazioni del mito che sulla cruda verità storica, i riferimenti alla quotidianità, agli atti di culto, alle azioni di guerra e alla vita familiare di Greci e Troiani sono specchio fedele della realtà, come confermano gli storici greci. Merita quindi leggere – come avveniva in passato nelle nostre scuole - i due celebri poemi omerici, l’Iliade e l’Odissea, anche per trovarvi quei quadri di vita reale che interessano il nostro racconto. Omero, nel secondo libro dell’Iliade, nel parlare del banchetto dei capi achei, menziona per due volte i chicchi d’orzo che servivano per il rito propiziatorio. Nel nono libro si legge che Achille fa offrire da Patroclo all’ambasceria costituita da Aiace, Ulisse e Fenice arrosti squisiti, vino e pane. «Quando ebbe arrostito, passato nei piatti la carne Patroclo prese il pane, lo distribuì sulla tavola in bei canestri....». Il banchetto che Achille aveva fatto preparare per i suoi ospiti era quanto di più abbondante si possa immaginare: spiedi enormi preparati con «una spalla di pecora, una di capra grassa, una schiena di porco


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STORIA DEL PANE 3 di 3

Gli araldi in disparte sotto una quercia preparavano il pasto, e ucciso un gran bue, lo imbandivano; le donne versavano, pranzo dei mietitori, molta farina bianca.»

bavoso, fiorente di grasso», ciononostante pone in tavola «bei canestri» di pane, quasi a sottolineare la sacralità dell’incontro. Splendida è poi, nel diciottesimo libro, la descrizione dello scudo di Achille, una cui parte è dedicata alla mietitura. «Vi pose ancora un terreno regale; qui mietitori mietevano, falci taglienti avevano tra mano; i mannelli, alcuni sul solco cadevano, fitti, per terra, altri i legatori stringevano con legami di paglia; v’erano tre legatori, in piedi; ma dietro fanciulli, spigolando, portando le spighe a bracciate, le davano continuamente. Il re fra costoro, in silenzio, tenendo lo scettro, stava sul solco, godendo in cuore.

Sembra il racconto della mietitura di qualche decennio fa nella campagna italiana, una vicenda ripetuta da millenni, nel nome del pane, di quel pane che le donne preparavano, con «molta farina bianca» per gli affamati mietitori. Anche nell’Odissea si trovano riferimenti al pane e Ulisse, con il cuore ricolmo di nostalgia per una patria che non riusciva a raggiungere, ricorda con vanto d’essere innanzi tutto un re contadino. Nessuno, diceva, lo superava nel mietere il grano. Sarebbe ritornato, certo, nella sua Itaca, ma intanto lì, come si legge nel ventesimo libro, i Proci imperversavano attentando a Penelope, obbligata a preparare loro quotidianamente arrosti succulenti e gran quantità di pane.



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IL DOLCE 1 di 3

Gli straordinari

urabiè triestini

Un dolcetto antichissimo, nato in Grecia, presente nella Roma imperiale, quindi a Costantinopoli e diffuso dai Turchi in tutti i Balcani e ďŹ no in Ungheria DI GIOVANNA ALLEGRA



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IL DOLCE 2 di 3

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a storia dei dolci più antichi e tradizionali esistenti in Italia si perde spesso nella notte dei tempi. L’origine di molti viene indicata nell’area mediterranea e addirittura araba (soprattutto in Sicilia e nel Sud Italia), spagnola (in Sardegna), genericamente mitteleuropea (nell’area triveneta) o anche francese (nel Nordovest). Naturalmente ci sono tantissimi dolci e biscotti italianissimi, ancora ancorati nella terra d’origine (i “baicoli” a Venezia) o emigrati e diffusisi in altre aree (panettoni, crostoli o cenci, ecc.). In questo mese desidero presentare un dolcetto straordinario che mi ha fatto conoscere una giovane e stimata ristoratrice triestina, Elisa Puzzer, che mi ha felicemente aperto una finestra su una storia davvero affascinante. Il dolcetto si chiama “Curabiè” e, nel presentarlo Mady Fast, la più seria studiosa di gastronomia triestina, (I Dolci a Trieste, Ed. Italo Svevo, Trieste, 1989), ha scritto:“Il dolcetto, come altre pietanze che si consumano a Trieste, porta un nome che, primitivamente greco [Kurabiédhes], è diventato turco. È indubbio che, data la ricchezza di mandorle e di profumate erbe greche, le prime confezioni a base di miele e mandorle siano nate nella civilissima Gracia. Passate in seguito alla Roma conquistatrice e quindi alla corte di Costantinopoli, si guadagnarono la fama di raffinatezze orientali.” Nella loro lunga storia – dalla Grecia preromana alla Roma imperiale e quindi a Costantinopoli – questi dolcetti si sono via via evoluti, subendo delle variazioni non proprio secondarie, soprattutto a Costan-

tinopoli, dapprima, dal 330 d.C. al 1453, sede dell’Impero romano d’Oriente, quindi capitale del grande impero ottomano (decaduto nel 1922). Si presume che il primo incontro dei triestini con i curabiè sia avvenuto dopo il Mille, quando iniziarono i commerci tra Venezia e Costantinopoli, ma la loro acquisizione nella città giuliana, quasi diventando un dolcetto locale, sembra sia avvenuto quando Costantinopoli divenne sede dei sultani ottomani e, più precisamente, quando Maometto il Conquistatore, presa la città sul Bosforo, diede immediato inizio alla conquista dei Balcani. In poco meno di un secolo, nel 1526, i Turchi giunsero addirittura in Ungheria, dove rimasero fino al 1683. È probabile che nelle ricche salmerie che seguivano l’esercito turco, oltre alle scorte di viveri – in gran parte trafugati ai poveri abitanti durante i lenti passaggi lungo i Balcani – ci fossero cuochi e pasticceri al servizio, questi ultimi, soprattutto del Gran Visir e dei Pascià che guidavano l’immenso esercito, facendo conoscere nelle lunghe soste le delizie turche anche ai signorotti che comandavano i territori attraversati. A Trieste molti dolci attuali sono considerati genericamente mitteleuropei e più precisamente di origine asburgica, basti citare, per limitarci solo a qualche esempio, i Buchtel, i Colac e gli gnocchi di susini boemi; i Chifel, i Vanillenkipferin, i Cuguluf, la Dobostorte, la Linzertorte e la Sachertorte austriaci; le Palacinche e la Rigojancsi ungheresi. È dunque realistico pensare che attraverso queste lunghe strade percorse dagli eserciti turchi siano arrivati a Trieste, oltre allo strudel (evoluzione ungherese della

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Il Golfo di Trieste



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IL DOLCE 3 di 3

baclava greca e poi turca), anche i curabiè. Oggi nella bellissima città di Trieste, ricca di storia e di cultura e vero punto d’incontro e di unione fra l’Europa dell’Ovest, i Balcani e l’Europa dell’Est, gli antichi dolci levantini e mitteleuropei hanno conosciuto una nuova evoluzione, adattandosi ai gusti dei nuovi consumatori e, in molti casi, come per i curabiè, migliorando e diventando ancor più godibili, come quello che presentiamo, realizzato dalla pasticceria Penso di Trieste, che, per i nostri lettori, ci ha gentilmente dato in esclusiva la sua ricetta. regione settentrionale, il Piemonte, sono partite delle ricette verso altri lidi, con grande gioia di chi le ha ricevute. La ricetta che presentiamo in questo mese ci è stata data da un personaggio molto conosciuto fra i gastronomi e i gourmet italiani: Giuseppe Capano. Molto consultato il suo blog: giuseppe-capano. cucina-naturale.it; come il suo sito web: www.cucinaesalute.com, e noi siamo lieti di poter proporre ai nostri lettori una modernissima e interessante evoluzione del dolcetto di Tortona, realizzato dal nostro esperto all’insegna della cucina salutistica, con un’attenzione particolare ai prodotti piemontesi. In questo caso ci piace sottolineare come, rispetto al passato, ci sia una crescente attenzione per i problemi connessi a una sana alimentazione anche se di strada da percorrere ce n’è ancora molta. Mangiare bene significa alimentarsi in modo da stare bene, non assumere calorie superflue, grassi nocivi ed ecco che intelligenti operatori gastronomici, come Giuseppe Capano, stanno sperimentando piatti e dolci in linea con le più attuali ricerche dietetiche, vale a dire con le indicazioni degli esperti che ci aiutano a star lontani da medici e farmacie. La cultura alimentare moderna non è quella dei sifoni, delle spume, delle fantasiosità di certi cuochi anche stellati e ampiamente decantati da certi media (nessuna preoccupazione: è la moda!), ma quella che ci garantisce il piacere e le emozioni della tavola nel rispetto della salute. E il dolcetto realizzato da Giuseppe Capano che presentiamo in questo mese è rispettoso di questo sano principio, per cui lo si può tranquillamente godere senza alcun problema.

Ricetta dei Curabiè

Ingredienti per 8 persone 100 g di zucchero di canna a velo 200 g di burro fresco di panna 8. tuorli di uova fresche 300 g di farina w 180 7 g di fior di sale di Pirano Mezzo limone biologico della costiera amalfitana Mezza arancia biologica di Sicilia 1 stecca di vaniglia del Madagascar

Preparazione Impasta con la foglia il burro pomata, aggiungi lo zucchero e lascia amalgamare al meglio. Aggiungi le uova, la vaniglia, le seste di limone e arancia e, dopo qualche minuto, il sale e la farina. Impasta a lungo con cura e poni in frigo per riprendere l’impasto dopo un’ora. Taglia la pasta a pezzetti dandole la caratteristica forma a mezzaluna, quindi inforna per 7 minuti a 210 gradi.



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Alcune considerazioni sulla proposta d’un Sindaco del Trevigiano che intende installare nel suo comune un distributore automatico di pane a 1,5 euro il kg

Un esempio di distributore di pane.

IL PANE DEL SINDACO di Simona Lauri

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accio riferimento all’articolo pubblicato sulla Tribuna di Treviso il 12 agosto scorso, intitolato Il Pane del Sindaco e da tecnico panificatore mi permetto qualche semplice considerazione sull’iniziativa del sindaco trevigiano, che è anche senatore della Repubblica. Innanzitutto, ritengo l’iniziativa un pochino offensiva per l’intera categoria di seri e onesti panificatori artigianali che combattono ogni giorno per la sopravvivenza delle loro stesse aziende. Lievita quasi ogni stagione, giusto per restare in tema, il prezzo del grano, le tasse, l’IVA, i cosiddetti costi fissi, mentre i consumi di pane pro capite calano e gli stessi panificatori hanno serie difficoltà a far sopravvivere le loro aziende. A favore della sua iniziativa, il sindaco si auspica una sinergia con i panificatori artigiani, ma come si fa a parlare di collaborazione e/o sinergia a una tale proposta, quando il pane ver-

rebbe venduto nei distributori automatici sette giorni su sette a 1,5 euro/Kg per cui per legge di mercato lo si deve acquistare a un prezzo inferiore, a meno della cosiddetta “perdita”? E’ verissimo, stiamo attraversando un gravissimo periodo di crisi economica per tutte le famiglie e le aziende italiane, ma ritengo che non sia questo il modo per risollevare un’economia locale artigiana già abbastanza compromessa. È vero: la gente non ha soldi per pagare le bollette, l’IMU, le tasse, ma così facendo non si aiutano certo le piccole imprese artigiane. L’affermazione poi del Sindaco: “Se non sarà possibile, la sinergia con i panificatori mi rivolgerò alla Grande Distribuzione per avere pane di qualità a metà prezzo” penso non meriti commenti, anzi la ritengo abbastanza offensiva perché tra le righe sta dicendo che i panificatori artigiani non solo non fanno pane di qualità ma sono dei ladri.



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pizza e pasta italiana

SCUOLA DI PANIFICAZIONE 2 di 4

Giusto per restare in tema, anche l’impresa artigiana ha il costo del personale, del trasporto, delle materie prime, del gas, dell’energia elettrica ecc., non solo, ma a sua volta mantiene delle famiglie. Per fare un semplice esempio e per rispondere anche a chi afferma che sul prezzo finale del prodotto incide solo il prezzo della farina beh… il prezzo di quella farina mediamente si aggira tra i 0,50 – 0,6 euro/Kg con punte di vendita della stessa, da parte di qualche Molino, comprese tra 1,0 – 1,5 – 1,8 euro/Kg, senza dimenticare che chi afferma ciò sembra non abbia la benché minima idea di che cosa voglia dire lavorare e gestire un panificio artigianale. Se vogliamo parlare seriamente di qualità, caro senatore, allora dobbiamo iniziare a fare leggi che tutelino la tracciabilità e la provenienza dei grani e quindi la salute dei consumatori oltre ad incentivare le produzioni di materie prime a km zero. Vendere il pane fresco a 1,5 euro/Kg non è sinonimo di qualità anzi… esattamente il contrario! La qualità si fa partendo da materie prime certificate di qualità italiane e non importate magari, per convenienza, dai Paesi dell’Est Europa e/o Paesi asiatici senza tracciabilità dei grani, con scarsi

per non dire nulli controlli igienici, chimici, fitosanitari sia delle sostanze usate nei trattamenti in campo sia sulle derrate tali quali. Non vorrei formulare ipotesi peggiori come per esempio il pane precotto o surgelato importato dalla Croazia, Moldavia, Romania, Cina ecc. venduto per prodotto fresco, senza alcun controllo legislativo igienico–sanitario nei paesi d’origine, durante il trasporto, quando arriva, ecc. Evidentemente si hanno delle idee un pochino confuse sul significato di “qualità”, ma penso che il consumatore sia molto più consapevole, attento e scrupoloso sul reale significato e sappia benissimo quali siano gli attuali prezzi sul territorio italiano delle materie prime. Personalmente ritengo che non si possa neanche parlare di concorrenza sleale perché non esiste concorrenza là dove non esiste qualità intesa come mancanza di professionalità, tracciabilità, rispetto delle leggi italiane, delle tradizioni dei prodotti tipici locali e “consapevolezza” di sicurezza per il consumatore. Se vogliamo aiutare le tantissime famiglie in difficoltà, penso ci siano altri modi più dignitosi, meno umilianti e soprattutto più sicuri. A questo scopo, per esempio, sono convinta che nessun


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SCUOLA DI PANIFICAZIONE 3 di 4

Pane confezionato con lievito madre

Molino italiano si rifiuti di donare qualche quintale di farina, nessuna azienda di donare qualche kilo delle rispettive materie prime, un capannone dismesso magari già del Comune, gestito e messo a norma a spese del Comune stesso, con attrezzature di seconda/terza mano, in comodato d’u-

so gratuito e nessun panificatore a turno si rifiuterebbe di panificare gratuitamente tale farina per fare dell’ottimo pane di qualità italiano certificato da donare gratuitamente a chi purtroppo con la poca pensione rimasta, è costretto a chiedere un pasto caldo alla mensa della Caritas. Non si faccia finta di fare carità a danno di altri, ma si trattino tutte le persone con la dignità e il rispetto che meritano. Mi si permetta un’ultima considerazione generica: non si usi la disperazione e la povertà altrui a soli fini di campagna elettorale, ma, cari politici, rimboccatevi seriamente le maniche affinché la nostra economia possa riprendersi il più rapidamente possibile e le persone riavere la dignità perduta.

di Simona Lauri Tecnico panificatore GD – Federazione Italiana Panificatori Pasticceri ed Affini Presidente LadyPizza Federazione Italiana Pizzaioli nel Mondo



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pizza e pasta italiana

L’Orcia una piccola Doc con granDi vini la zona Di proDuzione

Nota sin dall’antichità per l’esclusivo paesaggio, tutelata dall’Unesco e meta crescente di turisti nostrani e non, la Val d’Orcia produce ottimi vini, pregiati extravergini ed altre ghiottonerie come i preziosi tartufo bianco e zafferano, nonché irrinunciabili salumi e formaggi. Parlando dei vini, la zona di produzione dell’Orcia Doc comprende 13 suggestivi comuni di cui totalmente Buonconvento, Castiglione d’Orcia, Pienza, Radicofani, San Giovanni d’Asso, San Quirico d’Orcia, Trequanda e, in parte, Abbadia San Salvatore, Chianciano Terme, Montalcino, San Casciano dei Bagni, Sarteano e Torrita di Siena in provincia di Siena.

di Virgilio Pronzati



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IL VINO 2 di 3

i vini Ai tre vini Orcia Doc: Bianco, Rosso e Vin Santo si è aggiunto oggi l’ Orcia Sangiovese “Riserva” . Un vino complesso e di grande affinamento, che deve essere sottoposto ad un invecchiamento non inferiore a 30 mesi, di cui almeno 24 in botti di legno di rovere. La qualifica Riserva sarà data anche all’Orcia Rosso sottoposto a un invecchiamento non inferiore a 18 mesi, di cui almeno 12 in botti di legno di rovere. Il Bianco è prodotto con trebbiano toscano per almeno il 50%, e da vitigni raccomandati/autorizzati a bacca bianca non aromatici per l’altra metà. Mentre per l’Orcia Rosso le uve che lo compongono sono il sangiovese per almeno il 60% e da altre uve non aromatiche raccomandate/autorizzate dalla Regione per il 40%, di cui massimo il 10% bianche.

Per l’Orcia Rosso: sangiovese minimo 60% e il restante 40% di uve rosse non aromatiche. Per l’Orcia Sangiovese: sangiovese minimo 90% e il 10% di uve canaiolo nero, colorino, ciliegiolo, foglia tonda e malvasia nera. Senz’altro seria e concreta la resa d’uve per ettaro voluta ad 80 quintali. La stessa resa dei più grandi vini italiani. Il Vin Santo è prodotto con trebbiano toscano e da vitigni raccomandati/autorizzati a bacca bianca non aromatici per l’altra metà. Le uve devono essere sottoposte ad appassimento naturale ed ammostate tra il 1° dicembre ed il 31 marzo dell’anno successivo, e il vino deve essere invecchiato almeno 3 anni nei tradizionali caratelli. A discrezione del produttore, è previsto anche l’Orcia Novello. Con la Doc Orcia Sangiovese Riserva ci sarà una maggiore caratterizzazione del vino, tenendo conto delle diverse caratteristiche pedoclimatiche della zona. Non a caso alcuni produttori facendo già l’Orcia Rosso con solo sangiovese, hanno trovato ampi consensi sia in Italia che all’estero. Pochi ma validi tipi di vino che, sebbene originati da vitigni diversi, sono caratterizzati da fattori pedoclimatici particolari (terreni ricchi di sostanze minerali ed escursioni termiche tra il giorno e la notte), che conferiscono profumi fruttati e freschezza al Bianco, intensità di colore, bouquet e struttura al Rosso, e velluto e sapidità al Vin Santo. Oltre che ideali in cucina, gli Orcia Doc si abbinano al meglio sia con i piatti tipici del territorio che con altri similari della cucina nazionale.



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IL VINO 3 di 3

la Doc orcia in cifre Ora la superficie dei vigneti iscritti all’Albo della Doc Orcia e di 400 ettari, di cui 90 di viticoltori associati al Consorzio. Dagli ultimi dati, risulta che le uve prodotte dagli associati al Consorzio sono circa 5.200 quintali. Mentre le bottiglie prodotte, sono passate dalle 160 mila nel 2008, alle attuali 250.000. In questo momento le aziende aderenti al Consorzio sono 40, di cui 30 imbottigliatori.

a destra

I vigneti Orcia DOC sotto

Donella Vanetti presidente del Cosnorzio del Vino Orcia Doc

valorizzazione Dell’orcia Doc A Donella Vannetti l’onore e l’onere di portare la bandiera dell’Orcia Doc. Dinamica imprenditrice agricola e presidente del Consorzio del Vino Orcia Doc, la Vannetti ha le idee chiare su cosa è necessario fare. Basti pensare che se la Doc Orcia ha compiuto solo 12 anni il 14 febbraio del 2012, i vini Orcia hanno già conquistato un loro mercato. Un risultato d’assoluto rilievo, poiché la Doc Orcia si trova tra quelle più blasonate del Brunello di Montalcino e di Vino Nobile di Montepulciano. In comune hanno, anche se di cloni diversi, il sangiovese. Un vitigno che, presente da alcuni secoli in queste zone, è ormai in perfetta simbiosi col territorio. Ma il merito di avere cre-

duto nelle risorse del territorio ed iniziato la valorizzazione del vino, spetta ad alcuni produttori di San Quirico d’Orcia. Dalla loro tenace operosità, nacquero nel 2000 la Doc Orcia e insieme, il Consorzio del Vino Orcia, presieduto sin dall’inizio da Donella Vannetti. Dopo soli pochi anni, nel 2005, Donella Vannetti realizza un evento importante per l’Orcia Doc, chiamandolo “Divin Orcia”. Annuale manifestazione itinerante tra tutti i comuni della zona di produzione. Un evento che richiama giornalisti specializzati da tutta Italia. In queste kermesse enologiche-culturali, ogni paese toccato, mette in mostra i propri tesori enogastronomici, nonché paesaggio, siti e dimore storiche e tradizioni.


Approved Event


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L’ Angolo del Vino a cura di Virgilio Pronzati

Primitivo di Manduria Doc 2004 Il Sava della Vinicola Savese snc Figli Gaetano Pichierri Via Ippolito Prato 3 - 74028 Sava (TA)

CATEGORIA Rosso dolce. Vitigno: Primitivo. Bottiglia: 75 cl. Alcol: 16° Tot. 19%. Lotto: 73331. Bottiglia n° 4.789. Prezzo medio in enoteca: euro 19,00. Conservazione: nella cantina, in posizione coricata su ripiani adibiti ai vini rossi di mediolungo affinamento, ad una temperatura compresa tra i 12 e i 14°C. Tempo di consumo: ancora 3-4 anni. Evoluzione: quasi pronto. Già di buona armonia. Servizio: mescere a 18° C in grandi calici con stelo medio. Abbinamento: mustazzoli, castagnaccio, tarallucci, pere al forno con cioccolato, Pecorino pugliese piccante e stagionato. ESAME ORGANOLETTICO Limpidezza: limpido. Colore: rubino carico con orlo porpora. Profumo: molto intenso, persistente, fine, ampio e complesso, con netti sentori fruttati, balsamici e speziati di confettura di lampone e mirtillo, ciliegia e marasca sciroppate, erbe di montagna ed aromatiche, cioccolato, pepe nero e noce moscata. Sapore: dolce, molto caldo, leggermente astringente, di gran corpo e persistenza, con gradevole fondo amarognolo. Al retrogusto: vena dolce e tannica, e note fruttata, balsamica e speziata.

CONSIDERAZIONI Ottimo. Ottenuto da scelte uve omonime di vitigni dell’età media di oltre 35 anni con resa per ettaro di circa 45 quintali, impiantati nel comune di Sava e in altri vicini. Vinificazione: le uve leggermente appassite sulla pianta e pigiadiraspate, fermentano in botti d’acciaio inox a temperatura controllata. Poi il vino matura in gran parte per tutto l’anno in tini vetrificati e interrati, mentre una parte matura in botti di rovere e giare in terracotta. Segue la stabilizzazione a freddo e l’imbottigliamento.

ASPETTO Limpidezza 5. Colore 5. — PROFUMO Intensità 5. Persistenza 5. Finezza 4. Armonia 5. — SAPORE Persistenza 5. Pienezza 5. Sapidità 3. Acidità/morbidezza 4. Armonia 4. — GRADIMENTO Eccellente 5. PUNTEGGIO TOTALE

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L’ANGOLO DEL VINO

Barolo Docg 2007 Casa Vinicola Casetta F.lli Via Castellero 5 12040 Vezza d’Alba (CN)

CATEGORIA Rosso secco. Vitigno: Nebbiolo. Bottiglia: 75 cl. Alcol: 13,5%. Lotto: 2007/BA. Fascetta Docg AAE 04919490. Bottiglie prodotte: 40.000. Prezzo medio in enoteca: euro 35,00. Conservazione: nella cantina, in posizione coricata su ripiani adibiti ai vini rossi di lungo affinamento, ad una temperatura compresa tra i 12 e i 14°C. Tempo di consumo: ancora 3-4 anni. Evoluzione: pronto. Già discretamente armonico. Servizio: mescere a 18° C in grandi calici panciuti con stelo medio. Abbinamento: brasato al Barolo, lepre in çivet, stufato di cinghialetto, Castelmagno stagionato. ESAME ORGANOLETTICO Limpidezza: limpido. Colore: rubino intenso con orlo granato. Profumo: molto intenso, persistente, fine, ampio e abbastanza complesso, con sentori floreali, fruttati, speziati e vegetale-balsamici di rosa appassita, piccoli frutti rossi maturi, pepe nero macinato e cannella, e lieve di erbe montane balsamiche. Sapore: secco, sufficientemente fresco e sapido, caldo, giustamente tannico, di buon corpo e persistenza, con gradevole fondo amarognolo. Di buona armonia. Al retrogusto: vena astringente e note floreale, fruttata, speziata e vegetale.

Colli Orientali del Friuli Doc Verduzzo Friulano 2010 Azienda Agricola Il Roncal Via Fornalis, 148 Località Montebello 33043 Cividale del Friuli (UD)

CATEGORIA Bianco dolce. Vitigno: Verduzzo friulano. Bottiglia: 75 cl. Alcol: Alcol: 13,5%. Lotto: A11. Bottiglie prodotte: 6.000. Prezzo medio in enoteca: euro 16,30. Conservazione: nella cantina, in posizione coricata su ripiani adibiti ai vini bianchi dolci di breve-medio affinamento, a una temperatura compresa tra i 12 e i 14°C. Tempo di consumo: ancora 2-3 anni. Evoluzione: quasi pronto. Di buona armonia. Servizio: mescere a 10° C in calici a tulipano con stelo alto. Abbinamento: gubana, strudel e charlotte di mele, bignè alla crema pasticcera, amaretti morbidi, torta meringata. ESAME ORGANOLETTICO Limpidezza: limpido. Colore: giallo ambrato con riflessi ramati. Profumo: intenso, persistente, fine, con netti sentori floreali, fruttati e vegetali, di fiori di tiglio e d’acacia un po’ appassiti, confettura di mela e di pera, vaniglia, panettone e lieve d’umori boschivi. Sapore: dolce ma non stucchevole, sufficientemente fresco, sapido, caldo, quasi vellutato, pieno e persistente, con gradevole fondo dolce-amarognolo. Al retrogusto: vena dolce e note floreale, fruttata e vegetale.

CONSIDERAZIONI Molto buono. Ottenuto da scelte uve nebbiolo di un vigneto di 8 anni situato in località Cerviano-Merli nel comune di Novello. Vinificazione: pigiadiraspatura delle uve, lunga fermentazione tradizionale con macerazione a temperatura controllata in botti d’acciaio inox. Dopo la fermentazione malolattica, il vino matura per 3 anni in botti di rovere da 55 ettolitri. Segue 6 mesi d’affinamento in bottiglia.

ASPETTO Limpidezza 5. Colore 4. — PROFUMO Intensità 5. Persistenza 5. Finezza 4. Armonia 5. — SAPORE Persistenza 5. Pienezza 5. Sapidità 4. Acidità/morbidezza 4. Armonia 4. — GRADIMENTO Ottimo 4. PUNTEGGIO TOTALE

54 /60 CONSIDERAZIONI Molto buono. Ottenuto da scelte uve omonime del vigneto Colle Montebello di 15 anni sito a Fornalis nel comune di Cividale del Friuli. Vinificazione: le uve raccolte dopo dieci giorni d’appassimento in pianta ed altri 15 in ambiente ventilato e condizionato, sono pigiate e diraspate. Il mosto ottenuto dalla pressatura soffice, inizia lentamente a fermentare in botti d’acciaio inox a temperatura controllata. L’80% di esso completa la fermentazione in barriques, dove il vino rimane sui suoi lieviti per 8 mesi. Durante i primi due mesi, un batonnage settimanale. Seguono un travaso in botte d’acciaio inox e un affinamento di 2 mesi in bottiglia. ASPETTO Limpidezza 5. Colore 4. — PROFUMO Intensità 5. Persistenza 5. Finezza 4. Armonia 4. — SAPORE Persistenza 5. Pienezza 5. Sapidità 4. Acidità/morbidezza 4. Armonia 4. — GRADIMENTO Ottimo 4. PUNTEGGIO TOTALE

53 /60


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IL BAR

IL COG±AC, il distillato più famoso nel mondo

prodotto dalla metà del 500, dal 1909 è protetto da un severo disciplinare che ne limita la denominazione all’area originale nell’est della francia.

I

l Cognac, con l’accento sulla “a”, essendo una parola francese, è il distillato di vino più conosciuto e più famoso al mondo. Nel corso dell’800 molti distillatori in Francia e anche fuori dalla Francia (Italia compresa) chiamavano il loro distillato di vino Cognac e questa proliferazione del nome spinse nel 1909 il legislatore francese ad approvare un disciplinare con indicate le aree precise autorizzate a produrre questo distillato – la regione francese di Cognac, tra la Charente e la Charente marittime – le esatte materie prime da impiegare, i metodi da seguire e l’invecchiamento minimo prima della sua commercializzazione. La storia ci dice poi che la prima distillazione di vino della regione di Cognac in Francia avvenne nel 1549 e da allora è stato un continuo successo tanto da diventare l’acquavite più famosa in ogni angolo del pianeta. Gli Olandesi e il Cognac Per produrre il Cognac si parte dal vino prodotto esclusivamente nella zona prima indicata e le uve utilizzate provengono dai quattro vitigni bianchi lì coltivati: Ugni blanc (presente al 90% ed è un clone del nostro Trebbiano), Folle blanche, Colombard e

Sémillon. La coltivazione di queste viti si estende su 80.000 ettari di terreno, coprendo tutte le aree vitabili di questa piccola regione e occupando 50.000 addetti. A volte la storia gioca brutti scherzi che poi, magari, si trasformano in inimmaginabile fortuna. Ed è la sorte toccata ai vini appena ricordati. I vini prodotti nella regione di Cognac erano, infatti, di mediocre se non di scarsa qualità e non avevano commercio, ma gli Olandesi, che si fermavano nei porti francesi sull’Atlantico anche per acquistare vino, decisero di acquistare anche i vini della regione di Cognac, nonostante fossero poveri di alcol, di struttura e di profumi. Naturalmente li pagavano a poco prezzo, pensando, una volta portati in Olanda, di distillarli. E poiché in Francia si producevano vini assai più pregiati di quelli della regione di Cognac, gli agricoltori di questa regione, piuttosto di versare il vino da loro prodotto nei tombini della cantine o sui corsi d’acqua, accettarono di venderlo ai mercanti olandesi. In quell’epoca gli Olandesi erano tra i più importanti distillatori d’Europa, acquistavano ovunque i vini più scadenti e poi producevano “brann vjn” (vino bruciato), da cui derivò poi il nome generico di “brandy”. Gli Inglesi conobbero ben presto quanto facevano



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pizza e pasta italiana

IL BAR 2 di 3

gli Olandesi e, sbarcati nel Cognac, sollecitarono i vignaioli locali a distillare in casa il loro vino, per liberarsi così dal ricatto degli Olandesi che pagavano pochissimo, tanto che molti agricoltori s’erano ridotti alla fame. Gli Inglesi insegnarono ai vignaioli la tecnica distillatoria, li rifornirono di buoni alambicchi, che poi furono modificati dai distillatori locali, realizzandone di più piccoli rispetto a quelli usati in Inghilterra per la produzione di whisky. Le aree di produzione Attuando una proposta emersa fin dal 1874, la regione di produzione del Cognac si divide in sei sottozone che determinano la qualità delle acquaviti che producono:

Bons Bois. Acquaviti leggere; île de ré

Bois Ordinaires. Acquaviti di media qualità.

la rochelle

île d'oléron

Fins Bois. Acquaviti corpose e robuste di facile invecchiamento;

rochefort saint-jean-d'angély

saintes cognac jarnac

Borderies. Acquaviti dal particolare aroma floreale; Grande Champagne. Acquaviti molto profumate adatte a lunghi periodi di invecchiamento; Il Cognac con le migliori caratteristiche viene denominato Fine Champagne, ed è ottenuto dalla miscela dei distillati della Petite e della Grande Champagne.

angoulême segonzac

jonzac

Petite Champagne. Acquaviti dalla struttura delicata;



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pizza e pasta italiana

IL BAR 3 di 3

Il successo mondiale Come è avvenuto per il Porto, il Madera, lo Sherry, il Marsala, anche per il Cognac il successo va ascritto agli Inglesi che volevano un prodotto dalla qualità costante, senza fluttuazioni e senza sbalzi stagionali e ciò si ottenne attraverso corrette miscelazioni e l’invecchiamento, metodo ancor oggi seguito dal “blender” che assicura alla casa produttrice, la “Maison”, un prodotto che è sempre uguale a se stesso nel corso degli anni. All’alta qualità del prodotto si è poi aggiunta la facilità di esportazione, poiché l’area è attraversata da un fiume navigabile, a differenza di quanto avviene per l’Armagnac. Va infine sottolineato che l’eccellenza del Cognac, subito riconosciuta dagli intenditori internazionali, ha poi trovato solide Maison produttrici, la cui capacità di promozione si è unita alla promozione fatta dalle istituzioni francesi, per cui il Cognac, che nel corso del tempo si è sempre più affinato e migliorato, ha conquistato un primato mondiale difficilmente scalfibile.

di Gianandrea Rorato


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sett. 2012

pizza e pasta italiana

LA RISTORAZIONE RISCOPRA IL SUO RUOLO. Nei ristoranti si entra non per essere sbalorditi ma per mangiare

di Nives Piva

a lato Elio Sironi

QUESTIONE DI GUSTO

a lato Gianfranco Vissani

S

mettiamola di pensare soltanto a ciò che piace al cuoco. Oggi più che mai occorre indovinare quel che il cliente vorrebbe nel piatto.” E ancora: “La gente ha smesso di giocare con le cosettine che manco si vedono nel piatto.” Finalmente, oltre a molti di noi, anche i grandi cuochi se ne sono accorti, come hanno affermato Elio Sironi e Gianfranco Vissani al Corriere della Sera del 30.6.12. Resiste la nouvelle cousine, con le sue proposte salutistiche – alimenti di qualità, magri, sani, freschi – la preferenza per la cucina mediterranea, per l’olio extravergine d’oliva autentico, per il pesce, il riso, la pasta, la carne bianca e al bando le sifonate, le polverine e le alchimie alla Ferrand Adrià (e chi se lo ricorda più, ormai!). È pur vero che indietro non si torna, che l’alta ristorazione prosegue giustamente sulla strada della sperimentazione e della tecnologia, ma c’è un deciso ritorno ai prodotti del territorio e delle stagioni, ai piatti della tradizione, naturalmente alleggeriti e affinati, frutto anche di nuovi intelligenti accostamenti, arricchiti di sapori nuovi capaci di attirare l’attenzione e meritare l’approvazione anche dei più severi ed esigenti buongustai E ha ragione Heinz Beck, un altro dei grandissimi cuochi italiani – vive e opera in Italia, è italiano a tutti gli effetti e, nel contempo, un vero e illustre cittadino d’Europa – quando afferma che il cuoco

a lato Heinz Beck

più bravo è quello che realizza ottimi piatti con il minor numero di ingredienti, proprio come facevano le donne nelle vecchie case di campagna fino alla prima metà del secolo scorso.



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sett. 2012 a lato Sala fresca ed accogliente

pizza e pasta italiana

QUESTIONE DI GUSTO La nuova seria ristorazione italiana sta progressivamente abbandonando le macchinose, complesse e lunghe elaborazioni che sono state di moda per un certo periodo e preferite da alcuni cuochi fino a qualche tempo fa, i quali univano ad ogni passaggio sempre nuovi ingredienti, finendo col confondere gusti e sapori, esaltando soprattutto le apparenze. Molti di quei cuochi – non ancora tutti - tendono ora a semplificare al massimo, passando, se mi è permesso il paragone, da una prosa elaborata e ampollosa a una poesia scarna ed essenziale. I grandi poeti sanno esprimere appieno e in modo convincente i loro concetti in poche precise parole, sapientemente scolpite e i loro versi scendono al cuore, nutrono la mente e allargano gli orizzonti con una chiarezza che la prosa non sa raggiungere. La nuova alta ristorazione – lo può essere anche quella delle trattorie di paese – realizzata con prodotti del posto, ortaggi appena colti dagli orti di paese, carni dei cortili di casa, olio extravergine del vicino frantoio, formaggi dei caseifici della zona, pane prodotto con lievito madre, ecc. sta dimostrandosi vincente e tende ad assomigliare agli splendidi versi di Giuseppe Ungaretti, Umberto Saba, Vincenzo Cardarelli, Giorgio Caproni, Andrea Zanzotto, tanto per citare qualcuno fra i nostri grandi e amati poeti.

di Nives Piva

a lato Semplici e squisiti tortelli mantovani

Stanno dunque tornando nella ristorazione piatti ricchi, convincenti, anche pieni di ricordi nostalgici, pur se all’apparenza sembrano piatti nuovi, perché in linea con i gusti, le tendenze, i desideri, le necessità e l’esigente gusto estetico dei tempi nuovi. Basta le insignificanti e inutili nuvole sul piatto, al bando le pallide schiume sifonate, si sta finalmente tornando a una cucina seria, a un’alimentazione concreta, capace non tanto di incantare quanto di nutrire (perché dovremmo pagare un cuoco per i suoi giochi di prestigio e non per la serietà e bontà dei suoi piatti?). Ormai è chiaro, non è solo una questione di gusto, vale a dire la capacità di soddisfare il gusto dei clienti, perché, fra i pochi lati positivi della crisi non ancora terminata, c’è anche un cambiamento della civiltà della tavola e il gusto sta tornando ad essere serio, concreto, godibile e goduto e predilige la sobrietà, la qual cosa significa, di conseguenza, un deciso abbandono dei piatti rococò, fino a ieri sfacciatamente applauditi da una certa critica spesso poco convincente. Ecco il nuovo che avanza e ha il sapore dell’antico, aggiornato, ma sempre espressione di quella storica civiltà del buon gusto italiano che le grandi cucine di casa nostra, vittime a volte delle mode e dei “maestri” di passaggio, hanno comunque saputo conservare e che ora stanno riportando in auge, anche con un più corretto rapporto qualità/prezzo, aprendo sapientemente le porte alle nuove generazioni di buongustai.



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pizza e pasta italiana

I

n Italia se ne parla molto poco, perché pochi lo conoscono e ancor meno lo consumano, ma alle spalle dello Shiitake c’è ormai una vasta letteratura scientifica, frutto di accurate indagini, condotte soprattutto in Giappone e negli USA. In Cina la sua coltivazione – e il suo consumo – precede quella del riso, negli USA la sua coltivazione, negli ultimi decenni, è aumentata più velocemente di qualsiasi altro fungo. Ma ora, grazie a un’azienda veneta, da diversi decenni produttrice di funghi coltivati, lo Shiitake (Lentinus edodes), è prodotto anche in Italia e la sua produzione è in decisa espansione. Purtroppo, oltre all’unico produttore – la Mushroom di Motta di Livenza, Treviso– questo fungo della salute lo si trova solo in pochissimi altri posti, anche perché, non essendo conosciuto, è rarissimamente richieste sia nelle gastronomie specializzate che, ancor meno, nei supermercati. Ed è un peccato perché è un fungo eccezionale sotto ogni aspetto e non per nulla da secoli è chiamato in Oriente il fungo della salute.

I

n alcune gastronomie lo Shiitake lo si può trovare essiccato o in polvere (i gambi) e la sua provenienza è la Cina, da dove arriva in Europa un’infinità di prodotti. È tuttavia utile ripetere che le leggi igienico-sanitarie cinesi sono assai più permissive di quelle italiane e, infatti, montagne di prodotti cinesi, arrivato per lo più clandestinamente in Italia, qualora scoperti, vengono sequestrati dalle autorità e distrutti. Ci sono anche prodotti cinesi di ottima qualità, ma conviene sempre, quando possibile, scegliere italiano. Ora anche lo Shiitake. A importarlo, anni fa, è stato Fernando Pozza, un imprenditore originario dell’Altipiano di Asiago ed esperto produttore di funghi coltivati, il più importante in Europa, con stabilimenti in diversi Paesi europei. Conosciuto lo Shiitake, con la collaborazione di esperti orientali e di un serio centro studi francese, Pozza ha

lo Shiitake il fungo della salute Originario del Giappone, conosciuto e coltivato da almeno 3000 anni è, dopo il prataiolo, il fungo culinario più famoso e diffuso nel mondo.

di Gianluca rorato

La eruzione italiana

Fresco, si conserva in frigo molto più a lungo degli altri funghi sia nell’aspetto che nei contenuti nutritivi e, una volta cotto, ha un piacevole gusto di carne che delizia il palato. Ma, soprattutto, come è stato ampiamente documentato (vedi: Stefania Cazzavillan, Funghi medicinali, dalla Tradizione alla Scienza, Nuova Ipsa Editore; volume ampiamente documentato con ricca bibliografia), ha elevate proprietà nutrizionali e importanti valori medicinali. Lo Shiitake, scrive Cazzavillan “contiene tutti gli amminoacidi essenziali, ma anche eritadenina, un amminoacido unico che si ritiene abbia un effetto ipocolesterolemizzante. Gli estratti in acqua calda del micelio coltivato contengono il polisaccaride K5-2 e un peptide dagli amminoacidi serina, leonina, alanina e prolina. Nella forma essiccata contiene anche vitamina D e 58-60% di carboidrati, 20-23% di proteine, 9-10% di fibre e 3-4% di lipidi. È un’ottima fonte di vitamine… ed è ricco anche di minerali, tra cui ferro, manganese, potassio, calcio, magnesio, rame, fosforo e zinco.”

prodotto nella sua azienda di Motta di Livenza (TV) il substrato, cioè il terreno di coltivazione (vedi nella foto il parallelepipedo bianco), quindi ha dato avvio alla produzione del fungo stesso. “È stata un’enorme fatica per mettere a punto qui in Italia il terreno di produzione, le temperature e l’umidità ideali e poi attenderne la nascita e lo sviluppo. Dopo diverse prove gli esperti che mi hanno aiutato sono rimasti soddisfatti e, da allora, la produzione è in continuo aumento, richiestami soprattutto all’estero, anche da laboratori di ricerca e case farmaceutiche. Ora una multinazionale giapponese, che ha in Italia la sede per l’Europa, è interessata al mio prodotto per distribuirlo nel mondo. Naturalmente sono orgoglioso che gli stessi giapponesi, che da millenni conoscono e consumano questo fungo, abbiano molto apprezzato la mia produzione di Shiitake.”


LEVANTE PROF

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IL FUNGO

Le caratteristiche dello Shiitake

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prodotto nella sua azienda di Motta di Livenza (TV) il substrato, cioè il terreno di coltivazione (vedi nella foto il parallelepipedo bianco), quindi ha dato avvio alla produzione del fungo stesso. “È stata un’enorme fatica per mettere a punto qui in Italia il terreno di produzione, le temperature e l’umidità ideali e poi attenderne la nascita e lo sviluppo. Dopo diverse prove gli esperti che mi hanno aiutato sono rimasti soddisfatti e, da allora, la produzione è in continuo aumento, richiestami soprattutto all’estero, anche da laboratori di ricerca e case farmaceutiche. Ora una multinazionale giapponese, che ha in Italia la sede per l’Europa, è interessata al mio prodotto per distribuirlo nel mondo. Naturalmente sono orgoglioso che gli stessi giapponesi, che da millenni conoscono e consumano questo fungo, abbiano molto apprezzato la mia produzione di Shiitake.”

n alcune gastronomie lo Shiitake lo si può trovare essiccato o in polvere (i gambi) e la sua provenienza è la Cina, da dove arriva in Europa un’infinità di prodotti. È tuttavia utile ripetere che le leggi igienico-sanitarie cinesi sono assai più permissive di quelle italiane e, infatti, montagne di prodotti cinesi, arrivato per lo più clandestinamente in Italia, qualora scoperti, vengono sequestrati dalle autorità e distrutti. Ci sono anche prodotti cinesi di ottima qualità, ma conviene sempre, quando possibile, scegliere italiano. Ora anche lo Shiitake. A importarlo, anni fa, è stato Fernando Pozza, un imprenditore originario dell’Altipiano di Asiago ed esperto produttore di funghi coltivati, il più importante in Europa, con stabilimenti in diversi Paesi europei. Conosciuto lo Shiitake, con la collaborazione di esperti orientali e di un serio centro studi francese, Pozza ha

Usi alimentari

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ello Shiitake si usa in gastronomia soprattutto la cappella che, tagliata a listarelle, va cotta con olio extravergine di oliva, aglio e prezzemolo, come si fa anche con i funghi nostrani di bosco. Bastano 15 minuti e i funghi sono pronti per accompagnare qualsiasi secondo piatto: carne, pesce, formaggi. I gambi sono molto duri, vanno fatti essiccare magari nel forno di casa, quindi macinati finissimi o passati a un adatto frullatore e ridotti in polvere da cospargere sui cibi. È, infatti, nei gambi che risiedono molte sostanze preziose per la salute.

Lo Shiitake è, come scrive Stefania Cazzavillan “un fungo molto utile nei giovani e nei bambini per la prevenzione e il trattamento delle patologie invernali. Vari studi hanno dimostrato che il Lentinus può abbassare sia la pressione sanguigna che il colesterolo plasmatici, aumentando i livello di HDL.” Senza voler entrare in un campo tipico della medicina, concludiamo riassumendo quanto affermano tutti gli studiosi: lo Shiitake è un prezioso aiuto per la salute. Ed è per questo che sta per essere scoperto e consumato anche in Italia.


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LA DIETA

TISANOREICA: POCHE CALORIE, POCHI CHILI E… POCA SALUTE ma i rischi per la salute?

LA SCIENZA DELL’ ALIMENTAZIONE

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erché nel mondo scientifico la dieta tisanoreica viene considerata “Una proposta più commerciale che scientifica, che fa leva su una caratteristica comune alle persone in lotta con la bilancia?”: Cercare sempre una scorciatoia, la via più veloce per raggiungere il risultato sognato. Bandita la dieta equilibrata, variata, salutare e basata sul “modello mediterraneo”, oggi, sul mercato italiano, e non solo, imperversa il “metodo Tisanoreica”; apparentemente una filosofia che comprende dieta e stile di vita all’insegna del “tutto naturale”. Perdita di peso rapida garantita.

Si basa sul paradosso che per dimagrire bisogna mangiare in maniera disiquilibrata, provocando una carenza mirata, un temporaneo “squilibrio” alimentare per perdere peso ma non perdere le forme e la tonicità. Di paradosso ce n'è un altro: "dimagrire è contro natura" e poggia sull’assunto che "in natura non esistono alimenti per dimagrire". Infatti, se è vero che esistono glucidi (zuccheri) allo stato puro, grassi allo stato puro, è altrettanto vero che non esistono proteine in forma pura (assumendo carne, si immettono proteine, ma anche grassi!). Da qui la nascita degli “integratori Tisanoreica”, che si dividono in: Pietanze Tisanoreica ed Estratti d'Erbe Tisanoreica. Fin dall’inizio, si stabiliscono tempi ed obiettivi. Con “l’assistenza” di medici e professionisti, si elabora, il Programma Tisanoreica, un programma dimagrante personalizzato nel rispetto delle caratteristiche individuali. Al di là di ogni possibile commento di carattere puramente scientifico il tema si presta a una serie di riflessioni spontanee che si scatenano nell’istante in cui si pensa alla pratica clinica sul tema drammatico dell'obesità e delle sue costose e nefaste complicanze. Per prima cosa,

Dott.ssa Marisa Cammarano - biologa nutrizionista -



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LA SCIENZA DELL’ALIMENTAZIONE 2 di 3

in cosa consiste il metodo o programma tisanoreica? Nella sostanza si tratta di fitoterapia associata a un regime ipocalorico e iperproteico a base di estratti d’erbe, infusi, decotti, alimenti preconfezionati, in cui i nutrienti base sono calibrati al millesimo, ma carenti (tant’è che si parla di integratori), seppure buoni e naturali. Eppure alcuni ne sono entusiasti perché la perdita di peso è garantita con pochi sacrifici; in 40 giorni, arriverebbe a perdere sino a 8 chili. Anzi, c’è chi ha perso più di 4 chili in circa dieci giorni. Ma questo calo ponderale non contrasta l’assunto scientifico di perdere al massimo 1 kg a settimana, per evitare danni metabolici? Ed in seguito cosa accade? In men che non si dica il peso perso viene recuperato. Siamo in pratica di fronte all’ennesima dieta del miracolo, che piace tanto a chi sta bene e forse non ha nessun bisogno di perdere peso, ma non piace troppo a noi nutrizionisti che ben conosciamo i rischi dei dimagrimenti troppo rapidi: nei quali si perde peso a discapito dei massa magra che invece si dovrebbe tonificare. In altri termini, si tratta dell’ennesimo esempio dell’ampio repertorio delle diete dimagranti che espongo chi vi si sottopone a un rischio molto elevato. Quelle sempre in voga e anche sempre sotto inchiesta da parte delle comunità scientifiche, in particolare le diete restrittive che in tutto il mondo sono pubblicizzate da un pressante martellamento mediatico. Proprio

come sta avvenendo per la Tisanoreica, le diete che hanno fatto dimagrire tante star, sono un azzardo per la salute di chi avrebbe davvero bisogno di perdere peso ma senza squilibri pericolosi. Non è così che si dimagrisce. Queste diete sono un po’ magiche e tutte uguali: chi le fa con assunzioni mirate di proteine col sondino, chi elimina la verdura… Sono tutte diete ipocaloriche ed iperproteiche. L’organismo in una dieta senza carboidrati va in chetosi – una situazione in cui non ci si accorge di star facendo una dieta. Dopo alcuni giorni di questi trattamenti si è intossicati dai corpi chetonici e per questo ci si sopprime la fame. Per cui, se la si fa per 10/20 giorni come primo incentivo per passare ad uno stile di vita salutare

va benissimo; se invece si prende questa strada come rimedio a sistematici cicli di abbuffate, fa malissimo: ci sono quelli che mangiano come disperati, poi si mettono il sondino, e rimangiano. In questo senso, alla lunga sono diete che fanno male. “Perdere peso non è facile – lo spiega anche il direttore del reparto di Nutrizione e invecchiamento dell’Istituto superiore di sanità – ma è possibile farlo in molti modi. Paradossalmente si può decidere anche di mangiare pane e acqua per un mese, o solo frutta, i chili si perderanno sicuramente ma ciò non vuole dire che si stia dimagrendo in maniera sana. Un regime alimentare corretto è quello che prevede il raggiungimento di risultati nel lungo periodo e che fornisce all’organismo tutto ciò di cui ha bisogno: tanti vegetali, frutta, legumi, molto pesce, carne rossa in maniera moderata e anche i carboidrati”. E così, aggiunge l’esperto - autore di numerosi studi in materia e ricerche di rilievo internazionale - bisogna evitare le diete che promettono di far dimagrire tanto e in pochi giorni, queste sono dannose.

Ciò che è necessario è seguire uno stile di vita sano, fatto di cibi equilibrati e molto movimento.


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LA SCIENZA DELL’ALIMENTAZIONE 3 di 3

Quasi tutte le diete dimagranti più conosciute, eccedono in proteine. La Dukan (medico che si è autoradiato dall’ordine francese in polemica con lo stesso), per esempio, ha un contenuto di proteine che è addirittura più del triplo del valore consigliato. Per i carboidrati, invece, emerge una sostanziale “censura”, perché quasi tutte apportano pochi carboidrati o addirittura pochissimi, come nella Atkins e nella Dukan, che, però, privilegiano i grassi. E infine, ma non per ultimo, vi sono quelle troppo scarse in folati e in ferro, che se seguite da donne in prossimità della programmazione di una gravidanza, possono provocare gravi danni alla gestante e al nascituro. E la Tisanoreica? Nient’altro che una dieta iperproteica fortemente sbilanciata. In termini scientifici, la tisanoreica non fa altro che provocare una condizione di chetogenesi, la stessa che si verifica nei disordini del comportamento alimentare di natura restrittiva, nei quali la restrizione calorica provoca danni alla salute fisica e mentale. Purtroppo si tratta dell’ennesimo esempio del “fai da te”: una dieta chetogenica con prodotti standardizzati. Leggendo dal sito del Centro Studi Tisanoreica, di Gianluca Mech, , imprenditore ed ideatore del progetto Tisanoreica: “ Con una dieta dimagrante equilibrata si mangia un po’ di tutto ma in quantità ridotte prolungando il regime restrittivo nel tempo. Il nostro corpo percepisce questa riduzione come “carestia”. Per difendere i grassi cerca di limitare i consumi abbassando il metabolismo di base che rappresenta oltre il 70% del consumo di calorie; per abbassare il metabolismo di base va a ridurre la massa magra (massa muscolare) che consuma più energia ecc. …” Non è il caso di discutere, si può solo affermare che il metodo, più che innovativo, è privo di un fondamento scientifico, e non sono certo i lavori pubblicati sul sito che possono convincere. Sono 50 anni almeno, che la dieta chetogenica ci viene proposta! Chi vendendo bustine di sole proteine, o di aminoacidi, chi con derivati di alimenti e di erbe, chi ancora con gli usuali alimenti, quali carni bianche, rosse e via dicendo, nel vano tentativo di dimostrare che non si abbassa il metabolismo e che non si perde massa magra. Eppure si tratta della solita eliminazione dei carboidrati: niente pasta, pane,

legumi, riso … e la tanto acclamata dieta mediterranea? Sempre dal sito della dieta tisanoreica: “è consigliata per 40 giorni”, “con l’assistenza di medici e professionisti”. Trattandosi di un’alimentazione squilibrata, per nostra fortuna non si va oltre. Dato che il consumatore acquista i prodotti in farmacia, in erboristeria e nei centri estetici, di quale assistenza medica parliamo? Insomma, è solo una storia che si ripete! Diseducativa e confondente.



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TROFEO PECORINO ROMANO DOP, quando la pizza incontra la tradizione e la qualità Il 28 ottobre a Roma, in occasione di Pabogel – il salone capitolino dedicato alla panificazione, alla ristorazione e alla gelateria, si terrà il primo trofeo Pecorino Romano DOP, in collaborazione con l’omonimo Consorzio di Tutela. Il tema della gara, riservata ai pizzaioli più esperti e curiosi, sarà il famoso formaggio che dovrà essere utilizzato obbligatoriamente da ogni concorrente. La pizza da preparare sarà in Teglia, e lo staff di Pizza e Pasta Italiana metterà a disposizione forno elettrico, banco di lavoro, minuteria e ovviamente il Pecorino Romano DOP. Il resto della farcitura sarà a libera scelta del concorrente in gara, l’iscrizione è gratuita ma con una disponibilità limitata, per partecipare al 1° Trofeo Pecorino Romano DOP chiama allo 0421 83148, il vincitore potresti essere tu!

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l Pecorino Romano è uno dei prodotti Dop italiani più conosciuti e amati dai buongustai e anche per questo è uno dei prodotti Dop italiani più richiesti e venduti nel mondo, con un valore complessivo dell’export (100mln di euro nel 2011) che lo scorso anno ha conosciuto una bella crescita del 7,4% rispetto al 2010. Questo straordinario aumento, pur in tempi difficili per tutti, è avvenuto anche perché il Consorzio del Pecorino Romano ha migliorato la propria presenza sui mercati europei e soprattutto ha realizzato un nuovo Pecorino Romano Dop, con meno sale, come richiedono le più aggiornate regole dietetiche. I mercati esteri, specialmente quelli dell’Unione Europea, stanno ora rispondendo molto positivamente, tanto che nell’ultimo anno la vendita all’estero ha registrato un balzo del 24,2% in valore (34.800.000 euro). In particolare cresce la Francia, che nel 2011 ha sfiorato un incremento del 40% in valore (6.640.000 euro), nonostante sia considerato


competizioni

il Paese principe dei formaggi e lo stesso è avvenuto in altri mercati importanti come Germania (+13% in valore con 11 milioni di euro) e Regno Unito (+15,9%, 5 milioni e mezzo). La nuova gamma di Pecorino Romano Dop conterrà un quantitativo di sale tra il 4 e il 5% e sarà realizzata entro l’annata 2012. Il Pecorino Romano Dop si affiancherà alla produzione del Pecorino tradizionale, permettendo di diversificare l’offerta, mantenendo un prezzo al pubblico tra i 9 e i 12 euro al kg, che lo rende molto più competitivo rispetto agli altri formaggi da grattugia. Come affermato dal presidente del Consorzio del Pecorino Romano, Gianni Maoddi: “È giusto diversificare il mercato per non dipendere solo dagli Usa dove negli ultimi anni si è registrato un certo calo della domanda. Per penetrare maggiormente nel mercato italiano e su quello europeo c’è bisogno di un pecorino un po’ più dolce e per questo abbiamo deciso di realizzare entro l’anno questa gamma che sarà riconoscibile attraverso un’etichetta del Consorzio che garantirà i valori di cloruro di sodio al di sotto del 5%, con la previsione di raggiungere a breve un 4%”. Altro obiettivo primario del Consorzio è la lotta alle contraffazioni. Purtroppo le imitazioni del Pecorino Romano Dop sono vergognosamente moltissime in tutto il mondo, sottraendo al mercato italiano, solo per quanto riguarda il Pecorino romano, una quota pari a 300 milioni di euro l’anno. Si va dal Romano Cheese venduto negli Usa, al “Perfect Italiano Romano” nella GDO a Singapore, dove l'imitazione arriva sul mercato addirittura prima dell'originale e si affianca ad altre imitazioni truffaldine come il Parmesan. “Occorrono maggiori e più decise azioni di tutela da parte del Governo e delle istituzioni eu-

ropee - dichiara il presidente Maoddi - per difendere le produzioni di qualità, anche fuori dall’Europa. Ogni anno il Pecorino sounding brucia importanti fette di mercato all’originale: basti pensare che se fossimo gli unici a produrre Pecorino Romano nel mondo potremmo arrivare a vendere 3 volte tanto". Del Pecorino romano si può dire solo bene: il latte di pecora, tanto per cominciare è genuino per natura e il pecorino è conosciuto come formaggio calmanervi antistress, non fa ingrassare e aiuta a mantenere il peso-forma, mantiene efficiente il sistema cardio-vascolare ed è un antitumorale e può essere consumato anche da chi è intollerante al lattosio ed ha problemi digestivi. A tal proposito sei anni di studi condotti dalle Università di Sassari e Cagliari con la collaborazione con un team Usa hanno dato il benservito a tanti luoghi comuni (il pecorino fa male al cuore, è ricco di colesterolo): i risultati della ricerca hanno evidenziato i notevoli benefici dei formaggi prodotti con latte di pecora alimentata al pascolo naturale, come il Pecorino Romano Dop. L’allevamento allo stato brado e la conseguente alimentazione naturalmente ricca di acido linoleico e di acido linolenico, arricchiscono il latte - e quindi, i formaggi - di prezioso acido linoleico coniugato che deriva dalla conversione dell’acido linoleico ad opera dei batteri ruminali, svolgendo funzioni antiossidanti, immunosimolanti, antiarteriosclerosi e addirittura anticancerogene (questa sostanza avrebbe un effetto inibitorio sulla proliferazione delle cellule, andandole a colpire in maniera selettiva). Ce n’è abbastanza per considerare il Pecorino Romano Dop, un gioiello dell’agroalimentare italiano, utile e benefico per chi lo mangia.

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— 15° edizione ROMA, 29-30 ottobre

info Le iscrizioni sono aperte, chiuderanno al raggiungimento della quota massima di partecipanti. Ci si può iscrivere solo telefonicamente chiamando i numeri 0421 21.22.23 / 0421 83.148 sede nazionale di Caorle (Ve). Le gare sono a pagamento.



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Siamo arrivati al mese tanto atteso: ottobre, il mese del GIROPIZZA!

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a prima giornata di gare per eleggere il pizzaiolo migliore d’Europa è programmata a Budapest in Ungheria durante la fiera Hoventa che ci ospiterà dal 16 al 18 Ottobre, la manifestazione avverrà precisamente mercoledì 17 e le iscrizioni sono aperte, c’è ancora qualche posto, affrettatevi a prenotare! A novembre sarà la volta dell’Italia con una tappa a Genova durante la fiera Hospitality, che si terrà con precisione il giorno 5 novembre. Torneremo poi a Rimini, contesto storico della manifestazio-

ne che come sempre si svolgerà durante l’annuale edizione del Sigep e che aprirà l’anno 2013. Ricordiamo ora lo svolgimento delle gare. La pizza da portare alla manifestazione dovrà essere la pizza della casa, e da casa si dovranno portare l’impasto e tutti i prodotti di farcitura per la sua realizzazione. Una scelta giuria avrà il compito di valutare il gusto e la cottura di ogni pietanza e ne darà un punteggio che andrà poi a compilare la classifica. I primi dieci classificati di ogni tappa andranno a partecipare di diritto alla finalissima.


giropizza d’europa 2012-2013

Da quest’anno inoltre un’importante novità: i primi 5 classificati di ogni tappa avranno un diritto di prelazione all’iscrizione al prossimo Campionato Mondiale della Pizza edizione 2013! Diritto di prelazione che poi dovranno confermare entro una data che comunicheremo più avanti.

ecco le prime tappe Hoventa Budapest, 17 ottobre Hospitality Genova, 5 novembre sigep Rimini, 21 gennaio exporivaHotel Riva del Garda, 28 gennaio

le iscrizioni sono già aperte. nella pagina seguente troverete il modulo d’iscrizione da compilare (prima di farlo leggete il regolamento per l’anno 2012/2013) in ogni sua parte e che dovrà essere inviato in redazione almeno 20 giorni prima della data della tappa prescelta. dovrete poi telefonare alla redazione a conferma dell’avvenuta iscrizione per verificare la disponibilità dei posti. per ulteriori informazioni potete visitare il sito www. pizzaepastaitaliana.it o telefonare al numero 0421 83148.

— Ricordiamo inoltre che dal 13 al 17 Ottobre nella bella Galatina in provincia di Lecce avrà luogo il prestigioso Trofeo dei Due Mari, ai primi tre classificati della manifestazione verrà concessa la partecipazione di diritto alla finalissima del Giropizza d’Europa.

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GIROPIZZA D'EUROPA

Regolamento Giropizza d’Europa 2012 | 2013

L’iscrizione al Giropizza d’Europa 2012/2013 sarà a pagamento. Si dovranno versare in loco € 30,00 che saranno interamente devoluti in beneficenza. L’iscrizione al Giropizza d’Europa 2012/2013 sarà accettata solo se effettuata in modo corretto tramite: compilazione tagliando virtuale in internet (www.pizzaepastaitaliana.it), compilazione del tagliando che trovate su Pizza e Pasta Italiana e telefonata in redazione per conferma, telefonata in redazione con richiesta d’iscrizione. Il tagliando di iscrizione dovrà essere compilato in ogni sua parte comprensiva di dati del pizzaiolo e della pizzeria, tappa in cui si vuole gareggiare e ingredienti della pizza in gara, in caso contrario la domanda non verrà presa in considerazione. Sarà la redazione di Pizza e Pasta Italiana, tramite sorteggio, a stabilire

l’ordine di partecipazione dei concorrenti, non verranno ammessi cambi numero o scambio di posto. La redazione pubblicherà sul sito internet www.pizzaepastaitaliana.it l’ordine dei concorrenti alcuni giorni prima della gara, a coloro che si iscriveranno dopo tale pubblicazione verrà assegnato il primo numero di gara. Non sarà possibile iscriversi direttamente in fiera. Ci si dovrà presentare allo stand di Pizza e Pasta Italiana al massimo un’ora dopo l’apertura al pubblico della fiera in corso per ritirare il proprio numero di gara ed espletare le ultime formalità dell’iscrizione, pena l’eliminazione della competizione a chi si presenterà dopo tale orario in stand. I primi dieci classificati di ogni tappa accederanno di diritto alla finalissima dove dovranno presentare la stessa pizza realizzata alla prima gara, pena l’esclusione dalla finale.

SCHEDA DI PARTECIPAZIONE

COMPETITION FORM /FICHE DE PARTECIPATION Da inviare almeno 20 giorni prima della data della tappa scelta e telefonare al numero 0421.21.23.48 per avere conferma dell'iscrizione avvenuta.

Nome /Name /Nom ................................................................. Cognome /Surname /Prénom .......................................................................... Tel. - Cell. /Phone number /Numero de telephone....................................................... E-mail ......................................................................... — Pizzeria /Name of the Pizzeria /Nom de Pizzeria .............................................................................................................................................. Indirizzo /Address /Adresse.................................................................................................................................................................................. Località /Town /Lieu .............................................................................................................................................................................................. Cap /Post-code /Code Postal ......................................................................................... Provincia /District /Province ................................... Tel. /Phone number /Numero de telephone ................................................................ E-mail ..........................................................................

desidero partecipare alla tappa di /competition in / competition de ...................................................................................................................................................................................................................................

ricetta della pizza della casa /pizza recipe / pizza du chef Nome della pizza /Pizza name /Nom de Pizza ................................................................................................................................................... Ingredienti /Ingredients /Ingrédients ................................................................................................................................................................ ................................................................................................................................................................................................................................... ................................................................................................................................................................................................................................... ...................................................................................................................................................................................................................................

spedire la scheda a /mail to / envoyer la fiche à Pizza e Pasta italiana - Via Sansonessa, 49 - 30021 Caorle (VE) - Italy oppure via fax allo /fax at / avec le fax

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oppure compilare il coupon nel sito internet / fill out coupon on the website / rempir la fiche sur l'internet www.pizzaepastaitaliana.it/giropizza "Pizza New S.p.a" garantisce ai sensi della legge 675/96, l'assoluta riservatezza dei dati comunicati e la possibilità di richiederne la modifica o la cancellazione richiedendolo per iscritto a "Pizza New S.p.a" Via Sansonessa, 49 - 30021 Caorle (VE) - Italy. I dati conferiti potranno essere utilizzati per la diffusione di materiale promozionale e editoriale. Il conferimento del presente questionario è facoltativo, pertanto il suo invio è da intendersi quale consenso espresso all'utilizzo dei dati in esso contenuti nei termini sopra descritti.



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Cercasi

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pizza e pasta italiana

LO SCADENZIARIO FISCALE — di Ottobre

15

lunedì

22 lunedì

RITENUTE Versamento ritenute su redditi da lavoro dipendente e assimilati, lavoro autonomo, provvigioni nonchè su corrispettivi per contratti d’appalto nei confronti dei condomini (mese precedente).

ADDIZIONALI Versamento addizionali regionali/comunali su redditi da lavoro dipendente del mese precedente.

MOD. 730 – INTEGRATIVO Consegna al CAF o al professionista abilitato del Mod. 730 - integrativo da parte del lavoratore dipendente o pensionato che ha già presentato il Mod. 730.

ELENCHI INTRASTAT riepilogativi mensili relativi alle operazioni intracomunitarie del mese precedente.

IVA LIQUIDAZIONE MENSILE Liquidazione nonché versamento dell’imposta eventualmente a debito relativa al mese precedente.

31

mercoledì

CONTRIBUTI INPS MENSILI Versamento all’INPS da parte dei datori di lavoro dei contributi previdenziali a favore della generalità dei lavoratori dipendenti, relativi alle retribuzioni maturate nel mese precedente.

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pizza e pasta italiana

46 FOOD DESIGN

ENGLISH TEXT 6 EDITORIAL

by Giampiero Rorato

The world has always been especially in the second half of this last century – fast evolving, which leads to changes in the needs of citizens, social structures, political parties, modes of production, cultural values. In recent decades, more and more young people plan their lives differently from their parents, they like different experiences, they move in the world with more ease and less worry and it is necessary for older generations to be able not only to take note of this, but to fully understand and accept its reasons, in order to avoid dangerous generational conflicts (think of the world of immigration), marginalization, exploitation. But some things remain and, indeed, are becoming increasingly important, as personal and collective security, housing, food, multiculturalism, legality, participation in policy-making, solidarity, voluntary, mutual respect, etc. . This magazine focuses on food and food issues, and reviewing what has changed in recent

decades, has reached the conclusion that there is in place a strong and irreversible trend towards eating healthier and safer, both at home and outside home , leading to a choice of more serious food products, hygienically safe, preferably of their own territory. Italian agri-food processing companies have become very careful when discerning in their choices, so in Italian restaurants and pizzerias you can get, generally, good products. How products are processed also depends on chefs and pizza makers , whence the diversity of restaurants, including pizzerias. As our readers know, this magazine has always been strongly committed to present the best operators in the industry, products, restaurants, pizzerias - and it will continue to do so, working towards nutrition education which is now increasingly necessary, indispensable for a good and healthy life. www.giampieroroarato.blogspot.com

“Napping” and pizza “de luxe” with motodriver, laundry pizzerias, pizza-library or “Km 0” gastroenoshop and a do it yourself kit, but with the high quality of pizza made from by Giampiero Rorato masters. The world of pizza is rapidly evolving and there are already highly prestigious and trendy restaurants, as this journal has shown many times with numerous articles, pointing to aesthetically beautiful restaurants, very functional and capable of atracting even the VIPs. In addition to being smart modern in design, with an eye for the materials used, the colors, the functionality, pizzerias of the future will be multi-purpose, therefore high quality “pizza restaurant”, in both aspects, but also “gastroenoshop”, where one can eat and drink well - there should be a carte of the dishes, one of the pizzas and one for drinks - where you can taste and purchase wines, there’s even a “pizza-library”, which is nothing but a modern and cozy pizzeria next to the shelves of books generally of food and bottles of wine that you can buy. This magazine is also looking to the future and, in collaboration with Poli.design - Milan Consortium of Politecnico has launched a course for architects and designers in

“Food Experience Design Design for the innovation space and pizzeria restaurants” , we wish with our public to open a window to the future, even ahead of its time, by offering ideas, inspiration, projects for those who want to renew their premises or who are planning to open a new place. “Even in the area of design, the evolution trend on aesthetics and functionality is taking on in all areas of food, in addition to prompting a reconsideration of the format in the multifunctional sense, and this all is beginning to outline directions of significant innovation. - Explains Nicola R. Ticozzi, Course Director of Experience Design POLI.design - Like other areas of restaurants, bars, clubs, including pizzerias are looking for new solutions, both from the point of view of the proposal to the public that the design of space. We see designers expanding the functions of the space and including lounges, cocktail bars or sales areas, but, as evidenced by the concept of the selected designers who participated in



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pizza e pasta italiana

ENGLISH TEXT the course. Restaurants have a much broader potential and are commercially navigable. “ “ Pizzerias are linked to a strong tradition, thus undermining the stereotype is very difficult - stresses Gianpietro Sacchi, professor and coordinator of the course - it is for these reasons a sector where the designers have not yet given up and where you can say, and do something innovative. The projects developed during the course are good examples of feasible ideas that could positively stimulate the market, and this is also the result of the contributions in terms of expertise and relationship with the production and market data from Academic Sponsors, a contribution of experience and skills for designers that is really crucial. “ “Even outside of Italy people have now realized that Italian Style in food is much more advanced and more interesting of the traditional ‘pizza and mandolini’, such as the new Italian restaurants in the world - commented Carlo Meo, consumption sociologist - this course goes some way to renew stereotypes, and it is very important but at the same time difficult, because it is a critical process to the success of a club. The restaurants that work are those that start from an idea that can be articulated consistently within the area. Interior design is a part of success, and the food quality, the other fundamental side of the medal. So we begin this month to present the projects that we considered very interesting and that can be useful to our readers. This could also be shocking, but we know that the future knows no barriers or prejudices and encourages you to be open to new realities, although it may seem more ideal than realistic, but what today may seem utopia tomorrow’s reality.

“D” 6FuORI

(DrafT MarIa LETIzIa GaTTI, STEfaNo oGLIETTI, roSarIo Sorbo, SErENa TIbaLDI, GIaNGaSparE MINGIoNE, CrISTINa zuCCarELLo) D, stands for “Design” is a Pizza Restaurant Lounge located in Milan between the art neighborhoods (Brera), the fashion disctrict (Montenapoleone), the productivity area (Republic Square) and the culture road (via Palestro) and is aimed at a clientele with a potentially high spending power. Luxury, in bars or traditional restaurants, is usually expressed through standards of excellence in food, drinks and the environment. Pizza actually expresses Italian style, authenticity and simplicity, but here it is proposed in an unlikely duo Pizza & Luxury, combining these values love

for motorcycles, lifestyle trend that summarizes luxury, yet affordable, like in the Italian tradition, high specialization and excellence . The restaurant is aimed at those people who are interested in motorcycles, dynamic people who love the curvy lines, the noise, the philosophy, and those who just want to breathe a particular atmosphere. Luxury comfort, wealth, and personalization of service and pizza at D is a food that knows how to be loved, which translates the Italian culinary tradition in a “sample” of the world, by offering a kaleidoscope of high quality ingredients and maximum customization: pizza can be low, high, soft or crisp, and can be enjoyed for lunch, aperitif, dinner or after dinner. D offers its customers a taxi service which takes them home or a home delivery service or a high quality catering service for car parking. A personal assistant

follows each table guiding guests through the restaurant, presenting types of pizza and recipes, offering the right combinations with selected Italian wines. The Vestiaire offers motorcyclist guests, food, housing and a wide range of exclusive and customized products. Formal or informal, aperitif or dinner, everyone can enjoy pizza according to the likings: on chairs or sofas, tables piece of slate, on low tables or dumbwaiters on mesh placemats, dishes or ... you could even eat itwith your hands. High quality crancksets allow you to travel around the world of flavors, but it is always fresh and seasonal. The outdoor area is a space “en plein air” reserved for events. From the street black and opaque intriguing showcases curious and open onto a colorful world, black, red, white. A red insert on polished white floor takes guests to the aperitif bar or to the table lounge. The restaurant evokes a noble building with a series of doors that frames literally a path, rich, to the ecstasy of taste. Bathrooms equipped with all comforts offer the opportunity to refresh yourself in total relaxation and elegance. From theatrical light to total disappearance, which our prima donna, the dish of pizza, enjoys tempered by familiar glamorous chandeliers.


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istruttore: Paolo Priore

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dal 15 al 26 ott.

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dal 26 al 30 nov.

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c/o Daunia Alimenti

GENOVA

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istruttore: Luca Esposito

istruttore: Luca Mangino

istruttore: Roberto De Santis

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dal 15 al 19 ott.

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dal 22 al 26 ott.

dal 12 al 23 nov.

info: 339 79 19 152 348 16 84 100 0421 21 22 23

info: 338 21 93 934 0421 21 22 23 num. verde: 800 14 65 69

info: 348 30 11 489 0421 21 22 23

info: 329 19 27 776 0421 21 22 23

dal 19 al 23 nov.

info: 333 27 97 451 320 40 37 621 0421 21 22 23

M

P

info: 0584 96 15 19 328 32 46 718 0421 21 22 23

MASSA CARRARA

MESSINA

MODENA

PARMA

PESCARA

POTENZA

Giardini Naxos

c/o Forni Pavesi Modena

Langhirano

c/o Braden Attrezzature

c/o Satriano Arredamenti

istruttore: Alessandro Gatti

istruttore: Giuseppe Santoro

istruttore: Mirko Bazzocchi

istruttore: Salvatore Salviani

istruttore: Gianni Pompetti

istruttore: Paolo Priore

dall’8 al 19 ott.

dal 26 al 30 nov.

dall’8 al 12 ott.

dall’8 al 12 ott.

dal 12 al 16 nov.

dal 26 al 30 nov.

info: 0421 21 22 23

dal 5 al 9 nov.

dal 12 al 16 nov.

dal 3 al 7 dic.

dal 10 al 14 dic.

info: 059 57 45 69 0421 21 22 23

info: 339 12 38 593 0421 21 22 23

info: 085 44 61 403 389 68 15 179 0421 21 22 23

info: 392 11 60 790 340 53 56 975 0421 21 22 23 num. verde: 800 14 65 69

dal 5 al 16 nov. dal 3 al 14 dic. info: 328 47 64 621 0421 21 22 23


p. 128

ott 2012

pizza e pasta italiana

SCUOLA ITALIANA PIZZAIOLI

R

S

T

ROMA

ROMA

SALERNO

c/o Satriano Arredamenti

c/o Terminal Gianicolo 5° livello

Ostia

Caselle in Pittari

istruttore: Maria Carmela Tarantino

istruttori: Fabrizio Di Leginio

Gianluca Procaccini

istruttore: Michele Croccia

istruttore: Gianni Pompetti

dal 26 al 30 nov.

dall’8 al 12 ott. / dal 5 al 9 nov.

dal 15 al 26 ott.

dal 15 al 19 ott.

dal 15 al 19 ott.

info: 392 11 60 790 340 53 56 975 0421 21 22 23 num. verde: 800 14 65 69

dal 3 al 7 dic.

dal 19 al 30 nov.

dal 12 al 16 nov.

dal 10 al 14 dic.

info: 06 56 992 32 347 49 68 426 339 83 40 789 0421 21 22 23

dal 10 al 14 dic.

info: 389 68 15 179 0421 21 22 23

POTENZA

Salvatore Chierchia

info: 06 68 40 331 - 06 68 40 33 25 340 71 38 445 - 0421 21 22 23

V

TORINO

VARESE

VERONA

c/o Ascom Torino

Castiglione Olona

c/o Zanolli Forni

istruttore: Carmine Leocata

istruttore: Giuseppe Falzone

istruttore: Carmelo Oliveri

istruttore: Claudio Perrone

dall’1 al 5 ott.

dal 15 al 25 ott.

dal 19 al 23 nov.

dal 12 al 16 nov.

dal 5 al 9 nov.

dal 12 al 22 nov.

dal 3 al 7 dic.

info: 339 324 55 39 0421 21 22 23

info: 045 858 15 00 347 424 11 88 0421 21 22 23

info: 0421 21 22 23

info: 011 55 16 111 0421 21 22 23

VICENZA

info: 339 23 16 342 0421 21 22 23

TERAMO


Prenotazioni tel. 0421 21 22 23

corsi di perfezionamento

corsi serali

SCUOLA DI CAORLE

BENEVENTO / AVELLINO

SCUOLA DI CAORLE

Sono riservati ai pizzaioli professionisti ed operatori del settore, per aggiornarsi e specializzarsi sulle nuove tecniche d’impasto, nuove pizze, tecnica della lunga lievitazione e maturazione dell’impasto.

istruttore: Marco Amoriello

dall’8 al 12 ott.

p. 129

dal 5 al 9 nov. dal 3 al 7 dic. info: 0421 21 22 23

Il pane leggero con la pasta della pizza 12 nov. La pizza in Pala 13 nov. La pizza in Teglia 14 nov.

La pizza senza glutine 8 ott. / 5 nov.

La pizza Napoletana 15 nov.

info: 0823 71 12 25 320 83 38 243 0421 21 22 23

La pizza Soia Dessert 15 ott. La pizza Acrobatica 16 ott. La pasta fresca 17-18-19 ott. info: 0421 21 22 23 - 348 16 84 100 Al termine verrà rilasciato un attestato di partecipazione

collaborazioni MANTOVA

TUSCANIA

c/o Sanfelici

c/o Boscolo Etoile Academy

istruttore: Mauro Feroldi

istruttore: Michele Croccia

dal 15 al 19 ott.

info: 0761 44 51 60 0421 21 22 23

dal 12 al 16 nov. info: 0376 65 57 37 0421 21 22 23

i nostri partner


p. 130

ott 2012

corsi internazionali

pizza e pasta italiana

SCUOLA ITALIANA PIZZAIOLI NEW YORK istruttore: Paolo Spadaro

USA Can Aus Jap Lus SAN FRANCISCO

OTTAWA

MELBOURNE

TOKYO

STEINSEL

Canada

Australia

Giappone

Lussemburgo

istruttore: Tony Gemignani

istruttore: Carmelo Oliveri

info: (0039) 0421 83148

istruttori: Kazuya Akaogi

istruttori: Giovanni Palumbo

info: (0081) 48 789 7897 (0039) 0421 83148

Giovanni Cuguru

SIDNEY Australia info: +1 (646) 256 7845 (0039) 0421 83148

info: (001) 510-8818878 (001) 510-4276979 (0039) 0421 83148

info: (001) 613-983-6946 (0039) 347 4241188 (0039) 0421 83148

info: (0039) 0421 83148

per la programmazione visita il sito www.italianpizzaschoolusa.com info: (00352) 33 93 13 / 69 11 80 665 (0039) 0421/212223

Francia

I corsi si svolgono ogni mese, per informazioni sui calendari telefonare agli istruttori o alla sede internazionale di Caorle.

LIONE

LILLE

LA CHAPELLE S. ERDRE

CHALONE S. SAONE

PARIGI

CHAMONIX M. BLANC

istruttore: Olivier Aucelli

istruttore: Ciro Panella

istruttore: Bruno Bertrand

istruttore: Pascal Poupon

istruttore: Gino Jaskula

istruttore: Valerio Commazzetto

info: (0033) 6150 11590 (0039) 0421/212223

info: (0033) 6428 48829 (0039) 0421/212223

info: (0033) 688 581374 (0039) 0421/212223

info: (0033) 6864 04433 (0039) 0421/212223

info: (0033) 1423 64028 (0039) 0421/ 212223

info: (0033) 6839 03069 (0039) 0421/212223



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