Pizza e Pasta Italiana - Settembre 2024

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settembre

Amodio Group p. 17

Arcabox p. 101

Avanzini Bruciatori p. 103

Cerutti p. 63

Cuppone p. 75

Demetra p. 49

Di Marco Corrado Srl p. 61

Dr. Zanolli p. 37

Expo Mediterraneo p. 130

Familia p. 91

Gam International p. 79

Gi.metal p. 53

Galbani p. 132

Kuma Forni p. 109

La Torrente p. 41

Le 5 Stagioni p. 23

Lilly p. 3

Scuola Italiana Pizzaioli p. 57

Millberg p. 115

Mam Eredi Malaguti p. 27

Molino Cosma p. 43

Molino Grassi p. 107

Molino Magri p. 93

Molino Naldoni p. 87

Molino Pasini p. 47

Molino Sul Clitunno p. 73

Mulino Padano p. 67

Rinaldi Superforni p. 85

Robo p. 9

Sacar p. 125

Sanfelici p. 7

Sitta p. 131

Sori' Italia p. 2

Sunmix p. 95

Industria Alimentare Tanagrina p. 69

Molecola p. 11

Vito Italia p. 15

Waico p. 31

— Sommario —

6

editoriale di Antonio Puzzi 8 pizza news a cura della redazione 10 gli eventi del mese a cura della redazione

Napule

Vincenzo Brunetti,

olistico di

28 32 12 18 I viaggi della pizza di Giampiero Rorato 24

Le origini della cucina italiana

Federico II ai giorni nostri di Domenico Maria Jacobone storie di strada

è mille culure di Antonio Puzzi

e suino calabrese di Giusy Ferraina Nella Tuscia viterbese il campione del mondo La napoletana stg di Lorenzo Carletti a cura della redazione

Stregotto: un drink che parla campano

di Noemi Caracciolo 44

Top 10 gluten free

di Alfonso Del Forno

54 Grand Tour Italia

Viaggio tra le regioni in 5000 passi

di Giusy Ferraina

58 ristorazione domani

Valorizzazione

del Made in Italy

di Giampiero Rorato

storie di pizza

L'uovo di Colombo

Antonello Cioffi, La Piedigrotta

di Antonio Puzzi

Vincenzo Capuano

La Nuvola di Napoli

di Noemi Caracciolo

Dove tutto ebbe inizio... nella capitale!

La Gatta Mangiona a Roma compie 25 anni

di Giusy Ferraina 82

La pizzeria dell'impossibile

di Noemi Caracciolo 88

slow food italia

Noi siamo Natura

Torna a Torino

Terra Madre

Salone del Gusto

di Silvia Ceriani, Slow Food Italia 96

A scuola di pinsa di Davide D’Eramo 98

Le Camere di Commercio: alleate insospettabili per pizzerie e ristoranti

di Monica Pisciella

salute Pizza fritta e salute: consigli per mangiarla senza rimorsi

di Marisa Cammarano

prodotti Frutta e pizza napoletana: blasfemia o nuova tradizione?

di Caterina Vianello 116

Il sapore antico dei cicoli

di Caterina Vianello

posta dei lettori

Una pizza perfetta con l’AI: provocazione o predizione?

122

di Domenico Maria Jacobone 128

un libro al mese

L'ananas no. Un giallo romagnolo

a cura della redazione

le aziende informano campionato

Gi.Metal p. 52

Zanolli p. 36

Sunmix p. 94

le aziende informano

Sori p. 127

Dr. Shaer p. 51

Valoriani p. 120

5 Stagioni p. 22

Birrificio Artigianale Napoletano p. 79

Scuola Italiana Pizzaioli p. 57

COLOPHON

Editoriale

Napoli è la mia città e, in quanto tale, è difficile raccontarla sulle pagine di una rivista nazionale. Pur lavorando ogni giorno per la ricerca dell’oggettività, il rapporto con Napoli è per me pari a quello che si ha con i propri genitori, anzi con la propria madre perché, come dice una celebre canzone partenopea, Cient’anne (scritta da Gigi D’Alessio per un duetto con Mario Merola): “Napule è mammà”. E con una madre si litiga, ci si confronta, talvolta da una madre ci si allontana ma l’amore non finisce e va ben oltre le distanze di spazio e di tempo.

Ciò che mi ha più colpito nella costruzione di questo numero che, come ogni settembre, è dedicato alla “capitale della pizza” è che questa sensazione di “odi et amo” (per dirla con l’elegia di Catullo) ha riguardato tutti coloro che hanno scritto i propri contributi: troverete, infatti, in quasi ogni articolo, perifrasi come “la coincidenza degli opposti”, “luogo in cui vanno a braccetto luci e ombre”, “miseria e nobiltà”. Sì, è forse vero che ciò che per me vale per Napoli potrebbe essere pedissequamente applicato a ciascuno per la propria città natale ma credo che Napoli abbia qualcosa di diverso (non di più ma di diverso) perché, come sintetizza Luciano De Crescenzo: “Ogni luogo del mondo avrebbe bisogno di un po' di Napoli, perché Napoli non è una semplice città, ma uno stato d'animo”.

Di questo dovrebbe andare fiera la mia città nel suo rapporto con la pizza: non di sentirsi superiore, né di un diritto di primogenitura, né tantomeno di essere l’unica detentrice del sapere. La vera forza della pizza napoletana sta, infatti, nel suo essere riuscita a diventare identità, bene comune. Ho provato allora a riscrivere la frase di De Crescenzo, sostituendo alla parola Napoli le parole “pizza napoletana” e alle parole “luogo” e “città” la parola “pizza”. Rileggetela con me: “Ogni pizza del mondo avrebbe bisogno di un po’ di pizza napoletana, perché la pizza napoletana non è una semplice pizza, ma uno stato d’animo”. Ed è questo l’augurio che faccio a ogni pizzaiola e a ogni pizzaiolo, a Napoli e in ogni parte del mondo. Un abbraccio, nio

PIZZA E PASTA ITALIANA

Mensile di Pizza, Pasta, Enogastronomia e Cultura

Edito da PIZZA NEW S.p.A.

Autorizzazione Tribunale di Venezia n.1019 del 02/04/1990

Anno XXXV - n.8 settembre 2024 - Repertorio ROC n. 5768

DIRETTORE EDITORIALE DIRETTORE ONORARIO

Massimo Puggina Giampiero Rorato

DIRETTORE RESPONSABILE

Antonio Puzzi

PUBBLICITÀ

Caterina Orlandi

REDAZIONE

Via Sansonessa, 49 - 30021 CAORLE (VE) Tel. 0421/ 212348 - Fax 0421/81007 - E-mail: redazione@pizzaepastaitaliana.it www.pizzaepastaitaliana.it

PROGETTO GRAFICO

Manuel Rigo, Paola Dus, Elena Cazzuffi

— Mediagraf lab

DIGITAL PUBLISHING

Maura Trolese

— Mediagraf lab

IN COPERTINA illustrazione di Basak Saral

STAMPA MEDIAGRAF S.p.A.

Noventa Padovana (Pd)

COMITATO TECNICO E REDAZIONALE

Marisa Cammarano, Gianandrea Rorato, Caterina Vianello, Alfonso Del Forno, Luciano Cescon.

AFFILIAZIONI INTERNAZIONALI

Pete La Chapelle (N.A.P.O. - Pizza Today, U.S.A.), P.M.Q. Steve Green (U.S.A.).

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Gli eventi del mese

fino all' 8

settembre

FIERA NAZIONA-

LE DEL PEPERO-

NE

DI CARMAGNOLA

Carmagnola (Torino), Centro storico

Uno dei prodotti più amati del territorio piemontese è protagonista di un evento a tutto tondo che anima le strade del centro storico della cittadina che congiunge le province di Torino e Cuneo: per scoprire la versatilità in cucina del peperone.

fino all' 8

settembre

FIERA

MILLENARIA

Gonzaga (Mantova), Fiera Millenaria

Una fiera agricola, zootecnica e campionaria che si svolge dal 1490 in provincia di Mantova e rappresenta la cultura del buon cibo e la valorizzazione dell'eccellenza agricola e agroalimentare italiana. Il programma è stato suddiviso in 5 sezioni per semplificare la lettura di tutte le proposte: Agrigood, l'area agroalimentare dove si trova Mantova Golosa, il tempio del cibo mantovano alla Millenaria che con le sue molteplici attività; Shopping in fiera, con oltre 200 espositori, in una ricca area espositiva, di oltre 50.000 mq; la Millenaria dei bambini; gii Animali della Millenaria e la Rassegna dei caseifici del Parmigiano Reggiano dell’OltrePo Mantovano.

4

–8

settembre

BUFALAFEST

Napoli, piazza Municipio

Dopo lo strepitoso successo dell’edizione 2023, Piazza Municipio si configura ormai come una vetrina di prestigio per tutte le tipicità enogastronomiche della Campania che si integrano con la filiera bufalina. Una vera e propria Arena del Gusto ospiterà gli Showcooking di grandi chef che interagiranno con il pubblico presente all'evento. In quest'area, professionisti e aziende del food & beverage saranno protagonisti assoluti con l'obiettivo di esaltare i prodotti della filiera bufalina, mediante la realizzazione e la presentazione di creazioni culinarie uniche e innovative.

26 – 30 settembre

TERRA MADRE

Torino, Parco Dora Il grande appuntamento ideato da Slow Food compie vent’anni e riflette sul tema “We Are Nature”. Se ne parla nelle grandi conferenze, con artisti e ospiti internazionali da giovedì 26 a lunedì 30 settembre. Tanti anche gli spazi dedicati alla pizza.

Per segnalare i tuoi eventi, scrivi a redazione@pizzaepastaitaliana.it

Molino Magri: un impegno concreto verso un futuro più sostenibile

Molino Magri opera nel mondo dell’Arte Bianca da quasi cent’anni integrando i valori di responsabilità ambientale e sociale in tutte le attività, garantendo prodotti di alta qualità.

Nel 2023 l’azienda ha ottenuto il certificato di riconoscimento per la performance di sostenibilità da parte di Ecovadis, posizionandosi nel 5% delle migliori imprese valutate.

Oggi, Molino Magri riconferma questo impegno pubblicando il primo Bilancio di Sostenibilità 2023, un documento che riflette tutte le iniziative ed i progressi nelle aree ambientale, sociale, economica e di governance.

L’azienda persegue questa strada, adoperandosi per migliorare i processi, minimizzare l'impatto sul pianeta e massimizzare la tutela dell'ambiente e il benessere di tutta la comunità.

Hospitality 2025: il 50% degli spazi già assegnato

La 49 a edizione di Hospitality - Il Salone dell’Accoglienza, fiera internazionale leader in Italia per l’hotellerie e la ristorazione, torna a Riva del Garda dal 3 al 6 febbraio 2025.

L’edizione del primo Bilancio di Sostenibilità non rappresenta un punto di arrivo, ma un’occasione per migliorare e continuare ad innovare.

L’organizzazione conferma con orgoglio l’assegnazione del 50% degli spazi espositivi; uno straordinario traguardo che testimonia l'importanza di questo appuntamento per le aziende del settore Ho.Re.Ca., che in Italia conta 330.000 pubblici esercizi e occupa il 6,1% della popolazione lavorativa con 1,4 milioni di lavoratori. Un comparto che ha un ruolo fondamentale nell’economia del nostro Paese e costituisce un valore imprescindibile per il turismo, che vale il 13% del Pil nazionale.

Tra le novità 2025 l’ampliamento e il rinnovamento degli spazi espositivi che potranno, quindi, ospitare un maggior numero di aziende e molte attività formative ed esperienziali tra le quali non mancheranno degustazioni, concorsi e progetti speciali. L’evento, certificato a livello internazionale, rafforzerà ulteriormente il programma di incoming di buyer esteri che già nel 2024 ha visto la presenza di delegazioni provenienti da Slovenia, Paesi dell’Est Europa, Scandinavia, Spagna, Portogallo, UK, Paesi di lingua tedesca, oltre che da Kenya e centro e sud America.

Napule è

mille culure

di Antonio Puzzi

A tale proposito, Marino Niola, antropologo della contemporaneità e docente presso l’Università “Suor Orsola Benincasa” di Napoli, ha ben stigmatizzato la doppia anima della città in un’intervista rilasciata a Gianni Cerasuolo in occasione del terzo scudetto del Napoli: “Napoli è tutte e due le cose. Perché i napoletani sono epicurei e ritengono che ciascuno abbia una sorta di diritto alla gioia, nei limiti del “Napule è mille culure, Napule è mille paure”. Questa associazione di idee regalataci da Pino Daniele esprime, con disarmante lucidità, le luci e le ombre di una città che, più che un luogo, è uno stato dell’anima, un manuale di storia, una infinita ricerca sul campo.

possibile ovviamente. Non hanno nessuna paura nel mostrare i loro sentimenti, anche la gioia, e nel lasciarsi andare all’esplosione che abbiamo visto in questi giorni”.

Sarà per questo epicureismo latente che la città ha dato vita, nel corso della propria storia, a tanti prodotti di eccellenza gastronomica, tra cui ovviamente la pizza.

Le tre pizze di Napoli

Il legame tra Napoli e la pizza –non ce ne vogliano gli altri – è storia nota. Negli scavi di Pompei e in quelli dell’antica Neapolis (V secolo a.C.) sono stati trovati forni che hanno la stessa forma di quelli che ancora oggi vengono costruiti dai maestri fornai partenopei seguendo una tecnica ritenuta indispensabile per cuocere la pizza secondo la tradizione napoletana. E, sempre a Pompei, ha fatto scalpore qualche anno fa il rinvenimento di un affresco in cui, tra varie pietanze, sembrava scorgersi proprio una pizza ma che era, in realtà, una mensa, ossia un piatto su cui si poggiavano le pietanze, fatto di acqua e farina e cotto in forno, non destinato a uso alimentare.

Questi esempi non intendono dire che la pizza fosse già nota al tempo dei Romani o che – viceversa – qualcosa di simile fosse presente solo a Napoli ma significa piuttosto che in questo fazzoletto di terra esistevano già duemila anni fa i prodromi di un percorso che avrebbe fatto nascere secoli dopo questo amatissimo cibo. Il motivo per cui proprio Napoli sia stata la città eletta per questo “miracolo” è che – come hanno ricostruito Antonio e Donatella Mattozzi – vi si trovava qui una serie di fattori che sicuramente hanno contribuito alla diffusione del prodotto: l’ambiente naturale, la situazione sociale, la pressione demografica, la povertà, la storia stessa della città. Ecco, dunque: non una novità assoluta ma una sapiente rilettura di qualcosa già

noto al mondo. Questa è la pizza, questa la sua forza. La riflessione dei Mattozzi consta nel fatto che Napoli è stata per secoli la capitale di un importante regno che, dal 1503, entrò nell’orbita della corona di Spagna con l’insediamento del viceré. Per stringere un rapporto diretto con il signore, i feudatari si trasferirono in buona parte nella capitale, portando al seguito un gran numero di servi e dipendenti, cui si aggiunse una massa di contadini che, dalle miserie delle campagne, si stabilirono in una città dove era loro assicurata, per volontà del re, la distribuzione di pane a prezzo controllato e addirittura, in alcuni periodi dell’anno, gratuito. Napoli, nel XVI secolo, quasi quadruplicò la propria popolazione, passando

da 100.000 a 350.000 abitanti in meno di cento anni e diventando, così, la seconda città più popolosa d’Europa, dopo Parigi. Stando a quanto ricostruito dagli storici, probabilmente la pizza deve dire grazie a questa enorme massa di gente, perlopiù povera, priva di un lavoro e di una dimora stabile ma soprattutto affamata. Di focacce o schiacciate, tuttavia, se ne sono sempre fatte nel mondo, al punto che l’abate Ferdinando Galiani, nel suo “Vocabolario”, pubblicato postumo nel 1789, alla voce “pizza” scrive: “È nome generico di tutte le torte, focacce, schiacciate e quindi si aggiunge sempre qualche aggettivo per distinguerle” e, nell’elenco che ne fa, si trovano la pizza fritta, la pizza a lo furno co’ l’arecheta (origano) e la pizza doce (dolce).

E la pizza fritta è proprio una ulteriore espressione della napoletanità. Quest’ultima è nata nel dopoguerra dal genio creativo del popolo napoletano, come risposta alla miseria, alla povertà, alla mancanza di forni e alla scarsità di ingredienti. L’impasto della tradizionale pizza, fritto in olio bollente, si gonfiava e dava un maggiore senso di sazietà. Oggi la si trova nella versione “montanara”, condita sulla superficie con pomodoro e basilico (ma anche in molte altre varianti) ma anche farcita con cicoli e ricotta. Nel tempo, la pizza fritta è diventata un tratto distintivo delle pizzaiole donne, grazie alle capostipiti Esterina Sorbillo, antenata di Gino; a donna Adele Lieto o a Concettina ai Tre Santi ma anche grazie a icone della contemporaneità come Maria Cacialli e Isabella De Cham. A renderla celebre, è la scena del film “L’oro di Napoli”, diretto da Vittorio De Sica nel 1954, in cui Sophia Loren, vendendo pizza fritta, grida: “Mangi oggi e paghi fra otto giorni”.

La “parigina”

Un discorso a parte merita, poi, la “parigina”, un classico impasto di pizza sotto ed una fragrante pasta sfoglia dorata a copertura, il tutto ripieno di pomodoro, prosciutto cotto e mozzarella. Nulla (o quasi), però, questa pizza ha a che fare con Parigi, come si potrebbe pensare, sia per il nome che per la presenza della sfoglia. La nascita di questo prodotto avverrebbe, infatti, agli inizi dell’Ottocento, per opera dello chef Marie Antoine Carême e sarebbe stato un suo anonimo allievo, un monsù alla corte dei Borbone di Napoli, a portare questa novità nel Regno delle Due Sicilie. Amatissima dalla regina Maria Carolina d’Austria, questo prodotto spopolò rapidamente nel Regno e “Parigina” significherebbe proprio “p’a reggina”, ovvero “per la regina”. Si tratterebbe, dunque, della prima dedica di una pizza a una sovrana, ben prima di Margherita di Savoia.

Vincere

il provincialismo

Quale futuro, allora, per la “pizza napoletana”? La riflessione con cui chiudo questo articolo è nata a inizio luglio, quando l’Associazione Verace Pizza Napoletana ha celebrato il suo quarantesimo compleanno, una ricorrenza importante che ricorda i decenni trascorsi nella difesa e nella valorizzazione dell’immagine di Napoli nel mondo. In quell’occasione, è emersa forte una riflessione: la necessità di vincere il provincialismo.

E il fatto che a dirlo sia un’associazione che ha fatto dell’identità locale il proprio mantra mi ha indotto molto a riflettere. Una delle peggiori malattie del nostro tempo è, infatti, proprio il provincialismo, che non risparmia neppure il mondo gastronomico. Essere provinciali è cosa ben diversa dall’abitare “in provincia”, ossia fuori dalle metropoli. Essere provinciali vuol dire, in questa accezione, agire in maniera ossessiva verso la difesa della propria posizione, ovunque ci troviamo.

Conta poco avere casa a Napoli, a Beirut o a Madrid; contano poco le gite fuoriporta ai quattro angoli del mondo; ciò che conta è quanto riusciamo a “scambiare” in ogni percorso della nostra vita. Ogni anno, questa rivista dedica un intero numero alla pizza napoletana. E lo fa perché ritiene che, al di là di ogni visione che si possa avere in merito al tema “pizza”, il messaggio della “napoletana” sia fermamente ancorato ai temi dell’apertura e della condivisione. A spingermi a dirlo, non è solo la mia nascita, legata a doppio nodo a Partenope bensì le storie che proviamo a raccontarvi in questo numero: le testimonianze delle tavole medievali, le lacrime dell’emigrazione, la “grande pizzeria” di Vincenzo Capuano, il talento “pazzesco” di Antonello Cioffi a Varese, il giubileo d’argento della “Gatta Mangiona” di Roma e, soprattutto (forse), la “Pizzeria dell’Impossibile” di Napoli. Come a dire: se fai la pizza napoletana, o ti apri al mondo o è meglio non farla. Come direbbe Pino Daniele:

“Napule è a voce d’e creature ca saglie chiano chiano e tu saje ca nun si sulo”.

I viaggi della pizza

Il26 ottobre 1860 si incontrarono a Teano Vittorio Emanuele II e Garibaldi, quest’ultimo reduce con i suoi Mille dalla conquista del Mezzogiorno. Quel giorno nacque di fatto la nazione italiana e la storia del nostro Paese cambiò definitivamente. In pochi anni, i governanti si resero conto che gran parte degli Italiani era in condizioni poverissime, che non c’era lavoro per tutti né risorse economiche per aiutare quello che era allora chiamato il sottoproletariato. Fu così che venne individuato un modo per far diminuire di milioni di persone la popolazione italiana: l’emigrazione.

Dall’inizio del 1870, colonne di povere famiglie, portandosi dietro le loro misere cose, presero la strada delle Americhe. Veneti, Friulani, Lombardi occidentali furono convogliati a Genova dove erano attesi da degli enormi bastimenti diretti soprattutto verso Porto Alegre, la capitale del Rio Grande do Sul. La medesima cosa avvenne nel meridione d’Italia dove colonne di intere famiglie di poveracci con nonni e neonati salirono a Napoli su dei piroscafi diretti nel Nord America, principalmente a New York. Se i Veneti avevano nelle loro valigie di cartone delle manciate di grano turco e dei tralci di vite (oggi principali coltivazioni nel sud del Brasile), gli emigranti del sud Italia, soprattutto i Campani, partirono con la nostalgia del loro piatto più caratteristico.

Molti di costoro, sbarcati dove di li a poco sarebbe stata eretta la Statua della Libertà, presero domicilio nella borgata suburbana di Brooklyn e alcuni nostalgici della pizza non solo la rifecero nelle loro case ma aprirono delle botteghe per venderla e così sbarcare il lunario. In pochi anni, seguendo i viaggi degli immigrati sia lungo la costa atlantica che verso le aree più ricche dell’interno, gli immigrati campani apersero un po’ ovunque delle pizzerie, facendo conoscere ai nordamericani questo celebre piatto napoletano. Immigrati campani nei decenni successivi arrivarono anche in altri Paesi nel centro e sud America, così che all’inizio del Novecento la pizza era conosciuta in tutto il continente americano.

Bisognò attendere la fine della Prima guerra mondiale per veder nuove importanti emigrazioni dall’Italia; questa volta principalmente verso il sud ovest della Francia fra i Pirenei occidentali, Tolosa e l’oceano Atlantico e, pian piano, la pizza si diffuse anche in diverse regioni della Francia. Dopo il 1945, conclusa la Seconda guerra mondiale, l’Italia si trovò in gran parte distrutta, specie in Lombardia, Piemonte e Liguria mentre il Sud si scoperse ancora più povero di com’era alla fine dell’Ottocento. Tra il 1945 e il 1960 ci furono nuove ondate migratorie, non solo dal sud verso le fabbriche del nord Italia ma verso le industrie della Svizzera e della Germania. Molti artigiani scelsero il Canada. Altri, più coraggiosi, risposero positivamente al richiamo del governo australiano e partirono in decine di migliaia verso quella meta lontana.

Era già iniziata la globalizzazione, anche se non era facile comunicare da un continente all’altro e i nostri emigranti fecero conoscere al mondo, fra l’altro, i piatti della cucina italiana, fra i quali la pizza. L’emigrazione non si fermò e, dalla fine del secolo scorso in poi, a lasciare l’Italia non furono i più poveri come in passato ma giovani ardimentosi, famiglie in cerca di nuove esperienze, professionisti curiosi di conoscere il mondo. Basta ricordare che in quasi tutte le università del mondo si trovano stimati docenti italiani; nei laboratori scientifici, giovani laureati desiderosi di vivere nuove esperienze con nuove soddisfazioni. Basterebbe poi guardare con attenzione ai partecipanti all’annuale Campionato mondiale della Pizza per incontrare pizzaioli nati in Italia e ora attivi ovunque nel mondo.

Molti analisti si sono chiesti come mai oggi la pizza sia il piatto in assoluto più diffuso nel mondo e più mangiato ogni giorno dagli abitanti del pianeta. Non serve raccontare le caratteristiche della pizza: serve invece notare come la pizza abbia viaggiato assieme agli emigranti italiani sin dagli anni ‘70 dell’Ottocento in tutto il pianeta e continui a viaggiare, magari poi imitata anche da industriali di altri Paesi (come negli USA). Ma le imitazioni – si sa – sono sempre e in ogni caso qualitativamente inferiori alle pizze artigiane dei pizzaioli italiani.

LE AZIENDE INFORMANO

Intervista a Riccardo Agugiaro

AGUGIARO & FIGNA MOLINI

Via Monte Nero, 111 35010 Curtarolo, Padova 5stagioni@agugiarofigna.com +39 049 962 4611

1. LA PIZZA PER NAPOLI È UN “BRAND”: QUAL È IL SUO VALORE OGGI? E NON SOLO DAL PUNTO DI VISTA COMMERCIALE

Per noi di Agugiaro & Figna il valore della pizza è legato alla storicità e al rispetto di un prodotto caposaldo del made in Italy, ma si alimenta dell’innovazione ricercata dal pizzaiolo contemporaneo. Possiamo parlare di una relazione virtuosa tra Napoli e Le 5 Stagioni, la linea di farine ideata proprio per la pizzeria, che nella città della pizza è amata e riconosciuta fino a essere diventata un punto di riferimento per i pizzaioli, sostenendo fra l’altro eventi importanti come Bufala Fest.

2. QUALI SONO LE RICHIESTE DEI PIZZAIOLI NAPOLETANI OGGI? E QUANTO SONO DIVERSE RISPETTO A 40 ANNI FA?

I pizzaioli napoletani oggi, pur consapevoli di avere nelle proprie mani un’arte antica da custodire, lavorano con un orecchio sempre teso a un mercato in evoluzione che deve assecondare nuove richieste. Oltre alle farine di altissima qualità, i pizzaioli ricercano miscele e prodotti speciali come Lemady, una miscela a base di pasta madre essiccata indicata per avere cornicioni molto voluminosi e profumazioni uniche negli impasti,

un plus per le nuove tendenze della pizza napoletana o comunque per la new wave sempre più affascinata dal cornicione a canotto. Inoltre, Lemady è un prodotto funzionale poiché migliora la conservabilità dell’impasto.

3. STORIA E TRADIZIONE SONO UN PUNTO DI FORZA O DI DEBOLEZZA PER AFFRONTARE QUESTO TERZO MILLENNIO?

I pizzaioli creano, sperimentano e mettono in pratica nuove metodologie. Penso agli impasti indiretti e alla forte attenzione verso il poolish, soprattutto nel casertano dove sta crescendo una nuova generazione di pizzaioli creativi e intraprendenti. La tradizione della pizza napoletana rimane un grande punto di forza da cui partire per capire l’evoluzione del settore e accogliere il futuro.

4. USCENDO FUORI DALL’ITALIA E GUARDANDO AL MONDO, COSA VUOL DIRE OGGI “PIZZA NAPOLETANA”?

“Pizza napoletana” all’estero significa senza dubbio “tradizione”, perciò nei diversi Paesi del mondo permane il legame con la pizza napoletana tradizionale che fa riferimento ai canoni stabiliti secondo l’etichetta di Specialità Tradizionale Garantita.

NATURA AD ALTA PRESTAZIONE

LA SCELTA SICURA PER UN GUSTO VERACE!

Le Napoletane sono pensate per chi ama il gusto della tradizione. Sviluppate insieme ai Maestri della Pizza Napoletana, sono disponibili in due versioni: la Verde, per impasti semplici e diretti, e la Rossa, più strutturata e resistente.

le5stagioni.it

LE ORIGINI DELLA CUCINA ITALIANA

Da Federico II ai giorni nostri

di Domenico Maria Jacobone

Il 10 Giugno 2024 è stato presentato a Napoli, presso l’Università Federico II il libro “Le origini della cucina italiana da Federico II a oggi” a cura di Paola Adamo, Valentina Della Corte, Francesca Marino, Elisabetta Moro. Una pubblicazione che tesse un lungo filo storico che con un continuum tra passato e presente rivela il fortissimo legame tra la cucina italiana (mediterranea) e la corte di Federico II.

Attraverso un’analisi rigorosa di fonti storiche, antropologiche e gastronomiche, il volume offre un affascinante viaggio nel tempo alla scoperta delle prelibatezze e dei sapori che caratterizzavano la tavola di Federico II e della sua corte. L’opera, oltre a ripercorrere l’evoluzione della cucina italiana nel corso dei secoli, sottolinea il ruolo cruciale svolto dalla cultura normanno-sveva nella formazione di un’identità gastronomica nazionale. Di particolare interesse, è la rivisitazione in chiave moderna di alcune ricette tratte dal “Liber de coquina”, un trattato

di gastronomia medievale che raccoglie circa 170 preparazioni e rappresenta una delle più importanti testimonianze sulle abitudini alimentari dell’epoca.

Purtroppo, le ricette del “Liber de coquina” sono spesso descritte in modo approssimativo (quasi più come un quaderno di appunti per chi è già avvezzo alle tecniche culinarie, ndr) e mancano di indicazioni precise su dosi e tempi di cottura. Tuttavia, esse rappresentano un prezioso punto di partenza per rielaborare e reinterpretare i piatti della tradizione medievale, adattandoli ai gusti e alle tecniche moderne. La partecipazione di chef rinomati come Corrado Assenza, Domenico Candela e Moreno Cedroni ha rappresentato un contributo prezioso per l’adattamento in chiave moderna delle ricette ed il percorso di conoscenza e la valorizzazione del patrimonio gastronomico italiano, sostenendo la candidatura della cucina italiana a patrimonio immateriale dell’UNESCO.

L’Imperatore Federico II, tra le altre cose anche fondatore dell’Ateneo Federiciano nel 1224, è stato un sovrano dotato di una grande curiosità e passione per le Scienze e un campione del dialogo interculturale.

La sua corte, caratterizzata da un elevato grado di multietnicità e multiculturalità, è stata un melting pot di diverse tradizioni relative alla preparazione dei cibi. Federico II è stato un grande trasformatore del suo tempo, soprannominato Stupor Mundi, e la sua politica di collaborazione con il Sultano al-Kamil ha assicurato una sostanziale condizione di pace nei territori che andavano dal Nord-Europa al Nord-Africa, al Medioriente. In questo senso, l’epoca federiciana è stata caratterizzata da importanti

cambiamenti nell’organizzazione sociale e dalla diffusione della cultura e della conoscenza. La mancanza di conflitti non limitati ad una dimensione locale ha prodotto un generale aumento del benessere delle popolazioni. Inoltre, il clima particolarmente favorevole del periodo e la politica di collaborazione tra Federico II e il Sultano al-Kamil con una contaminazione dovuta anche al proficuo scambio di merce ed alimenti di varie località mediterranee, hanno favorito un’accelerazione dei

cambiamenti e un aumento del benessere delle comunità. Questo periodo storico è stato fondamentale per la nascita della cucina Italiana (ed in parte della cucina mediterranea) che si è sviluppata grazie alla fusione delle diverse tradizioni gastronomiche presenti nella corte di Federico II.

La cucina italiana, candidata a patrimonio immateriale dell’umanità, sarebbe dunque nata al Sud, come sottolinea il fil rouge del volume, in un periodo storico profondamente influenzato da Federico II. Le preparazioni culinarie, che avevano inizialmente una finalità medica o salutistica, si sono evolute nel tempo per aumentare il piacere della tavola e della convivialità. Oggi, come ai tempi di Federico II, il rapporto tra cibo, dieta e stile di vita è ancora di grande importanza, come dimostra il riconoscimento della Dieta Mediterranea come patrimonio immateriale dell’umanità.

Il rapporto tra Federico II

e lo stile di vita mediterraneo studiato in questo libro evidenzia come le pratiche culinarie dell’epoca siano ancora presenti nella cucina del Sud e della cucina italiana contemporanea.

Piatti come la pasta alla genovese (cipolle e carne stufata), la scapece, le verdure soffritte nell’olio d’oliva e l’abbondanza di pane e vino sono solo alcuni esempi di come la dieta mediterranea sia ancora presente nella cucina italiana di oggi. L’arte gastronomica ha subito diverse evoluzioni nel corso dei secoli ma ha sempre mantenuto un legame forte con la tradizione. Questo libro aiuta ad esaminare e ad approfondire il cambiamento di ingredienti, tecniche, visioni e ricette avvenuto negli ultimi 800 anni. Grazie alla continua evoluzione nella storia, l’arte

gastronomica italiana è diventata un patrimonio culturale di grande valore, apprezzato in tutto il mondo. Una sezione molto interessante del libro è quella nella quale viene immaginato un pranzo con Federico II, ma ambientato nel 2024. La particolarità di questo incontro, oltre che nell’ambientazione, sta nel dialogo attraverso il quale si parlerà dei progressi nelle conoscenze su alimenti e gastronomia raggiunti anche grazie agli studi realizzati nell’Ateneo da lui fondato e dell’evoluzione enogastronomica di quasi un millennio.

“Le origini della cucina italiana da Federico II a oggi” è un’opera di grande valore che si rivolge a un vasto pubblico di lettori: dagli appassionati di storia e gastronomia agli chef professionisti. Il libro rappresenta un invito a riscoprire le radici della cucina italiana e a valorizzare la sua ricca tradizione, riconoscendone il ruolo fondamentale nell’identità culturale del nostro Paese.

VINCENZO BRUNETTI,

L’ALLEVATORE OLISTICO

DI PODOLICA E SUINO

CALABRESE

di Giusy Ferraina

È ALLEVATORE

DI PODOLICA E SUINO

NERO CALABRESE

PER PASSIONE. UNA

SCELTA CHE RISALE

ALLA METÀ DEGLI

ANNI ’90 QUANDO, AFFASCINATO

DALLA BELLEZZA

DI QUESTA RAZZA, DECIDE DI AVVICINARSI

A QUESTI ANIMALI

CON UN APPROCCIO OLISTICO.

Una scelta dettata dall’istinto e dalla preoccupazione del rischio di estinzione che si era sollevato all’epoca. Nel tempo, Vincenzo è diventato una grande conoscitore di questa curiosa razza bovina autoctona, capace di vivere in simbiosi con l’ambiente in modo perfetto. Come racconta lo stesso allevatore: “è una delle razze di elezione di zona, in declino nell’immediato dopoguerra e anche a rischio estinzione ma finalmente tornata, grazie all’impegno di molti, ad avere l’attenzione che merita”.

Per chi non la conoscesse, la razza podolica è una razza bovina rustica allevata nelle aree interne di Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise e Puglia, capace di vivere perfettamente a suo agio allo stato brado o semibrado, capace di adattarsi ai pascoli e terreni più impervi, trovando in tutte le piante della macchia mediterranea il suo nutrimento. È detta

anche mucca arrampicatrice, proprio perché è in grado di arrivare nei punti più alti e scoscesi per brucare con movimenti naturali, nonostante la sua mole. Questo la porta ovviamente ad acquisire un corpo tonico e snello, con poco grasso, rispetto alle mucche da pascolo da stalla. Siamo di fronte ad “un’atleta dei bovini”, una razza eccezionale, anche di grande intelligenza, che ha grande capacità organizzativa e comunicativa. E vi spieghiamo il perché. Qualche tempo fa siamo stati presso l’azienda di Vincenzo Brunetti, La Sulla, che prende il nome proprio dalla pianta di Sulla di cui è ricca la zona e di cui le podoliche vanno anche ghiotte. Ci troviamo per l’esattezza a Paludi, a pochi chilometri da Rossano Calabro (Cs), sul versante Jonico. Una zona racchiusa tra la valle che guarda il mare e l’altopiano silano, con i suoi boschi che, come specifica lo

stesso Vincenzo, è un territorio difficile, composto da argilla e tendente al dissesto idrogeologico, non adatto quindi alla coltivazione ma al pascolo e per la sua localizzazione adatto ad animali come podolica e suino nero.

Vincenzo ci ha spiegato: “Per creare le condizioni ottimali ho suddiviso il terreno come se fosse una margherita, dove ogni petalo, che converge al centro dove si trovano le stalle e i laboratori, è utilizzato per il pascolo turnato. I vari lotti di terreno così suddivisi sono destinati agli animali, anch’essi organizzati a seconda del sesso e dell’età.

Le podoliche hanno il loro “petalo” di riferimento e ci rimangono fin quando non lo hanno brucato tutto per poi essere spostate in uno nuovo.

Turnazione che va da marzo a fine novembre, quando i terreni sono ricchi di sulla, fava, trifoglio, erba medica, mentre nei mesi invernali gli animali vengono spostati in un altro lotto più sabbioso, oltre ad avere a supporto il fieno prodotto durante l’estate e anche avena e favino nero (per un apporto proteico) sfalciati, serviti freschi e tutto autoprodotto. Ai suini invece è destinato il bosco, facilmente raggiungibile da dove sono alloggiati”.

La podolica, inoltre (ma vale anche per il suino nero), è una razza che ha organizzazione sociale naturale che Vincenzo ha acquisito e rispettato, limitandosi solo a dividere i pascoli e gli spazi della stalla in base al sesso e all’età degli animali.

“Ci sono le matriarche, così come i maschi destinati alla riproduzione e utili anche negli scambi tra allevatori per il mantenimento della specie. Ci sono i vitelli, che tengo con la mamma fino a un anno di età, dopo di che li distacco perché i maschi cominciano a essere sessualmente attivi e potrebbero dar fastidio alle manzette ancora troppo giovani per riprodursi e affrontare gravidanze precoci.

Le manzette sono le mucche giovani, che si raggruppano e tendono a stare sempre insieme, formando delle vere e proprie comitive, fino al primo parto; poi, da questo momento, ognuna acquista un posto gerarchico nella mandria e diventa autonoma”, racconta il nostro allevatore. Mentre per quanto riguarda i suini neri ci dice: “È falso il mito che siano degli animali sporchi; lo sono se non ti prendi cura di loro, altrimenti sono animali tranquilli, organizzati in modo gerarchico e che hanno una divisione degli spazi perfetta. Per farvi capire meglio: hanno la zona dove dormono e quella dove mangiano e non sporcano in nessun modo queste aree comuni. E insegnano al rispetto della convivenza fin da cuccioli”. Da quanto vediamo direttamente, l’allevamento di Vincenzo funziona seguendo un meccanismo fatto di equilibri e ingranaggi dettati dalla natura in cui l’essere umano diventa fattore e presenza positiva e riconosciuto come tale. Un approccio che abbiamo definito olistico, in quanto l’organizzazione dei pascoli e degli animali è studiata sotto tutti i punti di vista in modo da poter assecondarne la loro natura e la loro relazione spontanea senza intervento invasivo dell’uomo. Anzi quest’ultimo si pone a servizio del benessere animale. E tutto ciò si riflette sul suo benessere: la podolica è un animale che vive bene, in un rapporto diretto e sostenibile al 100% con la natura.

“LE

MIE PODOLICHE – AGGIUNGE

BRUNETTI – VIVONO

UNA BELLA VITA.

IO CERCO DI DARGLI

CIÒ CHE A LORO

SERVE PER FARLE

STARE SERENE E FARGLI VIVERE

UNA VITA LUNGA

E SENZA STRESS.

GLI ANIMALI

FUNZIONANO

COME GLI UOMINI:

SE VIVONO

MALE VIVONO

“AVVELENATI”

E QUEL VELENO

LO RITROVIAMO

NELLA CARNE CHE

NOI MANGIAMO”.

Abbiamo avuto la fortuna di seguire questo allevamento per un’intera mattinata e bisogna ammettere che sono animali belli da osservare mentre si relazionano tra loro e con l’uomo. Trascorrono la giornata libere tra i pascoli dalla mattina alla sera, quando rientrano autonomamente, qualche ora per dormire e poi le loro ore per ruminare e anche per stare insieme e coccolarsi o rilassarsi al sole, accarezzate dalla brezza. E poi sono animali di crescita lenta, come tutti gli animali biodiversi; nell’azienda si segue il corso della natura senza accelerare nulla e questo è una garanzia per la loro vita ma anche per chi mangia la loro carne, salubre da tutti i punti di vista. Il primo parto avviene intorno ai tre anni di età, non prima. Le nascite avvengono direttamente in azienda e lo svezzamento è naturale.

Il senso materno delle podoliche è molte forte e il piccolo cresce insieme alla mamma, fin quando lei non decide di renderlo indipendente e questo accade di solito al parto successivo. Ecco perché i tempi di accrescimento di questi capi sono più lunghi ma il prodotto finale è assolutamente garantito. Stesso discorso si può fare con i maiali neri: le scrofe hanno un forte istinto materno, partoriscono due volte all’anno dai sette ai nove maiali, molto più piccoli se confrontati con gli altri. Di conseguenza, i tempi di crescita si allungano ma sono più in sintonia con le leggi naturali della crescita. E non arrivano a conclusione vita prima dei due-tre anni. Inoltre, l’isolamento geografico di queste zone idonee alla sua crescita ha fatto che sì che non venisse a contatto con altre razze, mantenendo inalterato il suo istinto primordiale e il suo patrimonio genetico. Da quanto raccontato finora, si capisce subito che Vincenzo Brunetti è uno di quegli allevatori illuminati, che vive in empatia con i suoi animali. Ha scelto la strada del “secondo natura”, escludendo così ogni tipo di forzatura degli animali nella nutrizione, nella riproduzione e nemmeno restrizione nei loro movimenti. Questo implica un bel rischio d’impresa con tempi lunghi ed evidenti perdite ma, come sottolinea Vincenzo:

“HO LA SICUREZZA DI AVER FATTO VIVERE FELICI

I MIEI ANIMALI

E DI POTERNE

OTTENERE DELLE CARNI DI QUALITÀ

SUPERIORE RISPETTO A QUELLA

DI ALTRI CHE

SUBISCONO

ALLEVAMENTI

STANDARD E FISSI, SICURAMENTE PIÙ

MAGRA GRAZIE

ALLA PRESENZA

DI UN MAGGIOR

NUMERO DI GRASSI

INSATURI RISPETTO A QUELLI SATURI, PIÙ SAPORITA

ANCHE VISTO IL TIPO DI ALIMENTAZIONE CONDOTTA”.

Quella di Vincenzo è una bella storia, fatta di ideali concreti e realizzabili, che ci dicono come sia possibile entrare in simbiosi con gli animali, rispettarli e farli stare bene, mentre sono in vita e anche dopo, basta saper scegliere la strada di un consumo consapevole e di qualità senza rinunce.

NELLA TUSCIA VITERBESE IL CAMPIONE DEL MONDO

LA NAPOLETANA STG

DI LORENZO CARLETTI

Lorenzo Carletti è il vincitore di una delle categorie

più ambite e discusse del Campionato mondiale

della Pizza di Parma –edizione 2024. Il suo locale, “Il Contado”, fondato dal papà Luigi, è gestito oggi da lui, insieme al fratello Alberto, bravissimo executive chef.

“Il Contado” è immerso nel verde della Tuscia Viterbese e propone cucina tipica romano - laziale con piatti tipici come trippa, pasta e fagioli, coda alla vaccinara e piatti di cacciagione. La pizza di Lorenzo è invece cotta con forno a legna, secondo la vera tradizione napoletana.

Conosciamo meglio, dunque, il Campione del Mondo.

Lorenzo, quando hai iniziato a fare

il pizzaiolo?

Faccio il pizzaiolo sin da ragazzo dietro a quel banco di marmo, insieme a mio papà, Luigi Carletti.

È li che ho steso la mia prima pizza a 13 anni, sopra ad una cassetta di legno perché non arrivavo bene al banco. Negli anni, ho iniziato ad aiutare sempre più mio papà: io stendevo le pizze, mio papà le condiva ed io le infornavo. Nel 2012, decisi che era ora di capirci qualcosa su questo mestiere e di fare un corso di pizza; partecipo, così, ad un corso di pizza con Giuseppe Cravero, il quale mi insegna tutti i “segreti” del mestiere. Sempre grazie a lui, inizio a partecipare a campionati di pizza e ad entrare in questo mondo fantastico sempre più da protagonista.

Da quanti anni partecipi al Campionato e che emozione hai provato nel salire il gradino più alto del podio?

La mia prima partecipazione al campionato mondiale risale al 2015 dove arrivai 49° nella categoria Pizza Classica. Preparai la mia pizza con mela verde, erborinato di bufala e riduzione di rhum Zacapa 23. Negli anni, ho sempre partecipato al mondiale con buoni risultati. Nel 2023, mi sono classificato al 9° posto in pizza classica con la mia pizza “Ricordi di lasagna”, creata in onore alla cucina italiana e soprattutto emiliana.

Infine, arriviamo a questo fantastico 2024, dove ho appreso di essere stato inserito nella guida del Gambero Rosso con 2 spicchi e, nel frattempo, mi sono preparato al Mondiale per le categorie Pizza classica, Pizza Napoletana STG, Pizza in pala e anche Pizza a Due con mio fratello Alberto.

La sera della premiazione, alla cena di gala, non ho mangiato nulla: ero molto agitato, ero convinto di aver fatto bene, ero molto soddisfatto della mia pizza napoletana. Io ed il mio amico Antonio Campanella eravamo lì in attesa della premiazione della categoria Stg e ci ci siamo detti: “Comunque vada, speriamo che sia uno di noi 2 a vincere”.

È stata una sensazione bellissima salire sul gradino più alto del podio. Quando ho sentito il mio nome, sono rimasto come paralizzato: non riuscivo a credere di avercela finalmente fatta. E la prima cosa che ho pensato, è stata: “Papà, questa è per te che da lassù hai sempre creduto in me”.

Oltre alla Napoletana STG, quali pizze possiamo assaggiare nella tua pizzeria?

Nella mia pizzeria creo due tipi di pizza: la pizza romana tonda e sottile e la napoletana contemporanea.

E cosa preferisci? Pizza napoletana o pizza “contemporanea”?

Io apprezzo tutti i tipi di pizza, purché sia fatta bene.

Tra la napoletana tradizionale e la contemporanea, preferisco la contemporanea perché c’è più ricercatezza!

Non ci resta che provarle al Contado, dunque. E, se siamo troppo stanchi per ripartire, possiamo approfittare delle camere presenti presso la struttura.

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CAMPIONATO MONDIALE DELLA PIZZA 2024

LE INTERVISTE AI PARTNER

COME SONO CAMBIATI

I PIZZAIOLI OGGI? QUALI

SONO LE LORO RICHIESTE?

31 CAMPIONATI DEL

MONDO: E TU QUANTI NE

HAI FATTI? QUAL È IL TUO

PRIMO RICORDO?

Zanolli è sponsor del Campionato del Mondo da diversi anni ormai. I primi anni eravamo davanti alla postazione del senza glutine, il ricordo più vivido è quello dei concorrenti in coda per iscriversi alle gare. Donne, uomini, giovani, meno giovani, di mille nazionalità diverse. Tutti con la stessa determinazione dipinta in volto.

Il mondo della pizza negli ultimi 7-8 anni ha avuto un’evoluzione incredibile. Sia in termini di prodotto che in termini di tecnologia. Il pizzaiolo di oggi si impegna quotidianamente per offrire alla propria clientela una pizza unica, un prodotto riconoscibile e introvabile in altri locali. Per fare questo ricerca macchinari sempre più tecnologici e affidabili, capaci di supportarlo in tutto il suo processo produttivo, dall’impasto alla cottura.

LA TUA AZIENDA E IL FUTURO DELLA PIZZA: QUALI PROGETTI PER DOMANI?

Abbiamo tanti progetti sia in ambito aziendale, con la conclusione del nuovo stabilimento produttivo entro il 2025, sia in ambito di prodotto. Progettiamo di sbarcare su mercati ancora inesplorati con i nostri forni di punta. Continua costantemente la ricerca e lo sviluppo di nuove tecnologie sempre on lo sguardo rivolto alla sostenibilità, tema a noi molto caro da sempre.

UNO SGUARDO

AL PASSATO: COSA

PENSI CHE ABBIAMO

PERSO E CHE ANDREBBE RECUPERATO?

Non credo che si sia perso qualcosa, l’evoluzione del prodotto Pizza è dovuta a solide basi in termini di conoscenze ed è da attribuire a quei professionisti che si sono resi pionieri di questa disciplina. Sicuramente bisogna fare attenzione alle mode passeggere che rischiano di vanificare il lavoro fatto in passato.

PLATEA ROTANTE ORAANCHECON

FATTO IN ITALIA, AMATO NEL MONDO.

STREGOTTO: UN DRINK CHE PARLA CAMPANO

di Noemi Caracciolo

QUALCUNO UNA

VOLTA HA DETTO:

“TUTTI DOVREBBERO CREDERE IN QUALCOSA; IO CREDO CHE MI FARÒ UN ALTRO COCKTAIL”.

Ecco, questo è quanto ho pensato subito dopo aver provato lo Streg8, il cocktail firmato Strega Alberti e Chin8 Neri. Scherzi a parte: giovedì 16 maggio 2024, lo Streg8 viene presentato presso il Caffè Letterario “Scotto Jonno” di Napoli. Io ero lì e, tra l’entusiasmo insito nelle parole di Andrea D’Angelo, Vicepresidente di Strega Alberti

Benevento S.p.A e Rosario Caputo, Presidente I.B.G. S.p.A. Società Benefit nel raccontarlo e la magica atmosfera dell’ex Tesoreria di Napoli (che giuro ti fa sentire in un’altra epoca), ho avuto il piacere di vivere un’esperienza di gusto davvero unica.

IL DRINK È UN’ESPLOSIONE

DI SAPORI:

30 ML DI LIQUORE STREGA,

30 ML DI BITTER 900 ROSSO,

90 ML DI CHIN8 NERI,

BUILD IN BICCHIERE E UNA FETTINA

DI ARANCIA. QUESTA LA RICETTA

NATA DAL CONNUBIO TRA STORICI

SAPORI CAMPANI.

«Streg8 nasce da un’intuizione di mio cugino, l’ing. Giuseppe D’Avino, Presidente di Strega Alberti. Un lunedì mattina arriva nel mio ufficio con l’idea di miscelare Strega e Chinotto e, poiché abbiamo un piccolo cocktail bar nel museo aziendale, abbiamo mischiato i prodotti, ottenendo un drink che sembrava un po’ troppo dolce. Serviva una nota amara e così sembrava funzionare ma, non essendo il nostro mestiere bilanciare i cocktail, abbiamo coinvolto Ugo Acampora, il quale, dopo averci sottoposto a un test per capire quale fosse il Chinotto che meglio sposasse gli altri ingredienti, ha bilanciato perfettamente il tutto grazie al Chin8 Neri, che risultava il più aromatico, piacevole e gustoso da provare». Così racconta Andrea D’Angelo.

Due realtà quelle di Strega Alberti Benevento S.p.A. e I.B.G. SB, italiane, campane e storiche.

La prima vede i suoi esordi nell’Italia preunitaria, quando Giuseppe Alberti si trasferisce a Benevento verso la metà del 1800; apre un caffè a Piazza Orsini, vicino al Duomo, inizia un’attività di commercio di vino e, insieme a suo padre, un raffinato speziale, mette a punto la ricetta del liquore Strega, nato nel 1860. Il nome, scelto con cura, vuole richiamare il legame con Benevento, luogo di ritrovo delle streghe di tutto il mondo.

È così che inizia la storia di una delle più antiche aziende campane, sopravvissuta anche ai bombardamenti aerei (di cui è stata vittima la seconda generazione di Alberti) della II guerra mondiale. Un’azienda la cui “fortuna”, a partire da quel liquore – composto da circa 70 elementi tra erbe e spezie da ogni parte del mondo - non si è più fermata. L’azienda, infatti, si afferma sul mercato mondiale grazie a una strepitosa comunicazione e la produzione di altri prodotti divenuti nel tempo inconfondibili, come il torrone tipico di Benevento e non solo.

La seconda, invece, I.B.G. S.p.A. SB è attiva da oltre 30 anni nel settore del food and beverage – con prodotti come Lay’s e Doritos – producendo e distribuendo nel Mezzogiorno d’Italia (Area 4 Nielsen) i prodotti a marchio Pepsi (in esclusiva su licenza di “PepsiCo New York”) e il mitico Chin8Neri, storico brand emblema del Made in Italy. Con sede commerciale a Caserta e stabilimento produttivo in provincia di Salerno, persegue la filosofia del “fare sempre qualcosa di più positivo” e, infatti, investe nell’implementazione di

nuove tecnologie industriali nel campo dell’imbottigliamento, secondo i paradigmi dell’innovazione tecnologica, della sostenibilità ambientale e dell’efficienza energetica. «Chinotto neri è la prima bibita scura del dopoguerra, che abbiamo rilevato con I.B.G. oltre 25 anni fa e porta con sé tutto l’affetto che mio nonno metteva nell’offrirmela. Le cole non erano frequenti nelle nostre case. Rivedere queste due bibite unirsi in una mixology dedicata ai giovani è come prenderla dai nostri nonni e offrirla ai nostri nipoti,

così che ne serbino l’antico ricordo», racconta Rosario Caputo.

Citando Carmine Maione: «QUESTO È STATO UN “INCONTRO EMOZIONALE” TRA DUE AZIENDE

STORICHE DEL SUD CHE SI

INCONTRANO IN MODO NON CASUALE, PORTANDO LA LORO

SENSIBILITÀ E CHE, ATTRAVERSO

IL LORO AGIRE ETICO E LE SCELTE

STRATEGICHE, CONCORRONO

AL CAMBIO DI PARADIGMA CHE SI

DELINEA A NAPOLI E IN CAMPANIA, GRAZIE ANCHE AD AZIENDE CHE

PORTANO UN MESSAGGIO DI VALORE IN GIRO PER IL MONDO».

E infatti entrambe sono particolarmente attive in termini di sostenibilità ambientale, sociale e culturale e agiscono con il medesimo obiettivo: perseguire l’eccellenza ed esserne uno dei suoi vessilli, in Italia e nel mondo. Strega Alberti, promuove la cultura – a suo parere, “fondamento dell’umanità” – dal 1947, quando organizza il Premio Strega,

“Gli tisti della pizza”

Tante idee da assaporare ogni mese con i nostri dodici “Artisti della pizza”. Settembre è stato dedicato al nostro caro pizzaiolo Basilio Acampora, che esalta il gusto dei nostri dadini con la sua “Terra mia”. Il contrasto tra la dolcezza della polpa di pomodoro dadini, la croccantezza delle melanzane e della pancetta e infine con il retrogusto piccante del provolone lascerà tutti a bocca aperta. Buon appetito!

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che è diventato la più importante competizione letteraria d’Italia, promossa insieme alla Fondazione Bellonci. Non solo, l’azienda è anche profondamente impegnata nella promozione di pratiche sostenibili e responsabili per la riduzione del proprio impatto ambientale e in progetti a beneficio della comunità locale. I.B.G. S.p.A dal canto suo cerca continuamente di creare benefici ambientali, sociali ed economici nei confronti del pianeta e della società. Per dirne una: utilizza un impianto di produzione di energia fotovoltaica già dal 2012 che ha evitato l’emissione di 6.731.000 kg di CO2 per un equivalente di oltre 170.000 alberi piantumati.

Ma, tornando al vero protagonista di questo articolo, lo Streg8, come anticipato, è stato sapientemente miscelato e armonizzato dal bartender Ugo Acampora, tra i migliori in circolazione. Si presenta estremamente equilibrato, a partire dal gusto intenso e aromatico del Liquore Strega, passando per la nota amara del Bitter 900 Rosso, per arrivare infine all’acidula freschezza di Chin8 Neri. Una perfetta sintesi dell’animo e del calore del sud. “Il cocktail guarda al futuro del buon bere, consapevole della sua versatilità,

seducente in aperitivo ed amabile nel dopopasto", ha dichiarato Andrea D’Angelo e io, che personalmente l’ho assaggiato in accompagnamento a un aperitivo, non posso che essere d’accordo.

Il drink si presenta con un colore vivace, all’assaggio è stuzzicante, fresco e dissetante. Ecco perché sta veramente bene anche con una bella pizza e non solo. La nota speziata si sente al primo goccio. Un sapore piacevolmente persistente ma fluido, che non “aggredisce” il palato e migliora ad ogni sorso.

Particolarmente gradito in accompagnamento a sapori salati, dei quali esalta il gusto, nonostante l’amara nota che piacevolmente pizzica il palato.

Lo Streg8 è, dunque, un’ammaliante novità del panorama della mixology, del mondo della ristorazione, dei bar e - perché no - anche di casa propria (dopotutto, almeno questa ricetta non è segretissima come quella del Liquore Strega). Vi assicuro che,, nel gustarlo vi accompagnerà in un momento di assoluta spensieratezza che, senza dubbio, vorrete rivivere.

Napoli e la pizza: un legame indissolubile, anche senza glutine

Ndi Alfonso Del Forno

Napoli è universalmente riconosciuta come la culla della pizza, un’arte culinaria che affonda le sue radici nel XVIII secolo, con una tradizione che ha attraversato secoli per arrivare ai giorni nostri. La pizza napoletana non è solo un piatto ma un vero e proprio simbolo culturale, che racchiude in sé la storia, l’identità e la passione di una città intera. L’impasto morbido, la cottura nel forno a legna, la qualità degli ingredienti come il pomodoro San Marzano e il fiordilatte: questi sono solo alcuni dei segreti che rendono la pizza napoletana famosa in tutto il mondo.

Negli ultimi anni, l’attenzione alla salute e alle esigenze alimentari ha portato all’emergere di varianti di pizza che rispettano diverse restrizioni dietetiche, tra cui quella senza glutine. Questo tipo di pizza è diventato sempre più popolare non solo tra chi è affetto da celiachia, ma anche tra coloro che, per motivi di salute o scelta personale, preferiscono evitare il glutine.Napoli, con la sua ricca tradizione e innovazione continua, ha abbracciato questa tendenza con entusiasmo, offrendo alcune delle migliori pizze senza glutine del mondo.

Errico Porzio

SOCCAVO

Via Cornelia dei Gracchi, 27

Errico Porzio è un nome che risuona forte nella scena della pizza napoletana. Conosciuto per la sua presenza costante sui social e per il diffondersi delle sue pizzerie anche fuori dai confini campani, Porzio ha saputo conquistare il cuore dei napoletani con le sue pizze legate alla tradizione. La sede di Soccavo è un luogo accogliente dove la tradizione si fonde con l’innovazione, offrendo un’esperienza culinaria anche per chi cerca opzioni senza glutine, così come in tutte le pizzerie a suo marchio. L’impasto senza glutine è lavorato con grande cura, che garantisce una pizza leggera e ben cotta. La varietà di condimenti disponibili permette di sperimentare sapori diversi, mantenendo sempre alta la qualità e buono il prezzo.

Mascagni

VOMERO

Via Pietro Mascagni, 42

Situata nel vivace quartiere del Vomero, “Mascagni” è una pizzeria che ha fatto della qualità il suo marchio distintivo. Oltre alle classiche pizze napoletane, Mascagni offre una vasta gamma di opzioni senza glutine, dalla cucina al pane.

L’attenzione agli ingredienti, sempre freschi e selezionati, e la passione per la cucina rendono questa pizzeria una tappa obbligata per chi cerca una pizza senza glutine autentica. L’ambiente accogliente e il servizio cordiale completano l’esperienza.

Guardascione

VOMERO

Via Santa Maria della Libera, 12

Sempre al Vomero, “Guardascione” è una pizzeria che si distingue per la sua attenzione ai dettagli e l’impegno nella preparazione delle pizze. Qui, la tradizione napoletana si sposa con la necessità di offrire opzioni adatte a tutti, inclusi coloro che non possono consumare glutine. Le pizze senza glutine di “Guardascione” sono preparate con farine che garantiscono un impasto soffice e ben lievitato. I condimenti sono scelti con cura, privilegiando ingredienti freschi e di stagione. L’atmosfera moderna e dinamica fa di questa pizzeria un luogo ideale per una cena in famiglia o con amici.

Pizzaioli

Veraci

VIA TOLEDO

Vico Tre Re a Toledo, 1

Nel cuore pulsante di Napoli, in Via Toledo, “Pizzaioli Veraci” è una pizzeria che offre una vasta gamma di pizze, incluse quelle senza glutine. Questo locale è noto per l’eccellenza della sua cucina e per l’attenzione al cliente. Le pizze senza glutine sono preparate con un impasto leggero e croccante, disponibile anche fritta. I condimenti, sempre freschi e di alta qualità, spaziano dalle classiche Margherita e Marinara a creazioni più innovative. Ottimi i fritti. La posizione centrale e l’atmosfera vivace su due livelli, rendono “Pizzaioli Veraci” una scelta perfetta per chi desidera gustare una pizza eccellente nel cuore della città.

Sustable

Via Filichito, 102 - 80040 Volla (NA)

“Sustable”, situata a Volla, è una pizzeria che ha fatto dell’innovazione e della sostenibilità i suoi punti di forza. Il nome, una fusione tra “susta” e “table”, richiama il cognome dei fratelli Roberto e Salvatore Susta. Le pizze senza glutine di “Sustable” sono preparate con tecniche che garantiscono, un prodotto genuino e salutare. L’impasto, frutto di una lunga

ricerca e sperimentazione, è soffice e ben alveolato, mentre i condimenti variano a seconda della stagione, offrendo sempre nuove combinazioni di sapori, senza tralasciare la Fiocco, pizza iconica dei fratelli Susta. L’atmosfera accogliente e l’attenzione al dettaglio fanno di questa pizzeria un luogo ideale per chi cerca un’esperienza gastronomica consapevole e di qualità.

Fratelli Salvo

Largo Arso, 10/16 - 80046 San Giorgio a Cremano (NA)

I “Fratelli Salvo”, Francesco e Salvatore, con la loro pizzeria a San Giorgio a Cremano, sono un nome di spicco nel panorama della pizza napoletana. La loro fama è legata non solo alla qualità delle pizze, ma anche all’innovazione e alla continua ricerca di perfezione. Le pizze senza glutine proposte dai “Fratelli Salvo” sono un perfet-

to esempio di come sia possibile mantenere l’autenticità della classica ruota di carro e il sapore della tradizione anche in un impasto senza glutine. I condimenti, sempre freschi e di alta qualità, variano dalle classiche proposte a combinazioni più originali, per soddisfare anche i palati più esigenti. Sublimi i fritti senza glutine.

LINEA PIZZERIA

L’ARTE DELLA FARINA IMPRESSA NEL DNA.

Sorbillo, Lievito Madre al mare

Via Partenope, 1A

Sorbillo è un’istituzione nella città di Napoli, conosciuto per la sua lunga tradizione familiare nel mondo della pizza. La sede in Via Partenope, “Lievito Madre al mare”, con la sua vista mozzafiato sul golfo, offre un’esperienza unica, non solo per la bellezza del luogo ma anche per la qualità delle pizze. La pizza senza glutine di Sorbillo è preparata con un impasto speciale, frutto di anni di esperienza e ricerca.

Il risultato è una pizza a ruota di carro classica, che non ha nulla da invidiare alla versione tradizionale. I condimenti, rigorosamente di alta qualità, includono prodotti tipici del territorio campano, come la mozzarella di bufala, il pomodoro San Marzano e alcuni Presidi Slow Food. L’atmosfera leggera e la posizione privilegiata rendono ogni visita un’esperienza indimenticabile.

Isabella De Cham

Via Arena della Sanità, 27

Nel quartiere della Sanità, Isabella De Cham è un’icona della tradizione napoletana. La pizza fritta, una specialità tipica della città, trova in questo locale una delle sue migliori interpretazioni, anche nella versione senza glutine. L’impasto è preparato con una miscela di farine senza glutine, che garantisce una croccantezza perfetta all’esterno e una morbidezza sorprendente all’interno. Il ripieno, ricco e saporito, come vuole la tradizione, è preparato con ingredienti freschi e selezionati. De Cham offre un’esperienza autentica e unica, in un ambiente che riflette la vivacità e la storia del quartiere. La pizza fritta senza glutine è una vera delizia per il palato, che saprà conquistare anche i più scettici.

AU TH EN TIC

food passion

Tutti i migliori ingredienti più uno... la nostra autentica passione

Diego Vitagliano

Via Nuova Agnano, 1

Via Santa Lucia, 78 - 80 - 82

Al primo posto della nostra classifica troviamo Diego Vitagliano, con le sue due sedi di Bagnoli e Santa Lucia. Vitagliano è rinomato per la sua dedizione alla qualità e alla ricerca continua di nuove soluzioni gastronomiche.

La pizza senza glutine di Diego Vitagliano la considero una delle migliori in assoluto, quindi anche a Napoli, grazie all’attenzione meticolosa nella scelta degli ingredienti e alla preparazione dell’impasto. Quest’ultimo è leggero e ben alveolato, garantendo una consistenza perfetta, soffice.

La continua sperimentazione sugli impasti, oggi lo pone sul gradino più alto, grazie agli ultimi risultati nelle diverse consistenze delle pizze croccanti. I condimenti, sempre freschi e selezionati, variano dalle opzioni classiche a quelle più innovative, offrendo un’esperienza culinaria unica. La cura per i dettagli e l’eccellente servizio completano un’offerta che sa conquistare anche i palati più esigenti.

Starita è una delle pizzerie storiche di Napoli, con una tradizione che risale al 1901. Situata nel quartiere di Materdei, Starita è famosa per la qualità delle sue pizze e per l’atmosfera accogliente. La versione senza glutine non fa eccezione: l’impasto è preparato con un processo di lievitazione tradizionale, che ne garantisce la leggerezza e la digeribilità. I condimenti sono sempre freschi e di alta qualità, con una particolare attenzione alle specialità locali. La varietà di pizze disponibili, dalle classiche, tra cui la Marinara Starita, preparata con pomodoro, datterino, aglio, origano, basilico e parmigiano, alle più creative. L’ambiente familiare e l’ospitalità calorosa rendono ogni visita da Starita un momento di puro piacere gastronomico.

Napoli si conferma una città capace di offrire eccellenza anche nella pizza senza glutine, continuando a essere un punto di riferimento mondiale per tutti gli amanti di questa specialità.

Che siate celiaci o semplicemente curiosi di provare qualcosa di diverso, queste pizzerie sapranno offrirvi un’esperienza gastronomica indimenticabile, mantenendo intatta l’autenticità e il sapore della tradizione napoletana.

Starita
Via Materdei, 27/28

Peperoncina senza glutine

peperoncini verdi, provola affumicata, datterino giallo, spianata calabrese, scaglie di pecorino canestraio, basilico.

Grazie alla decennale partnership tra Dr. Schär - leader del glutenfree - e Rossopomodoro – catena di ristoranti pizzerie ambasciatori della cultura gastronomica napoletana - in circa 30 locali del brand partenopeo si può gustare la miglior “pizza verace” gluten free Quality by Schär in tutta sicurezza.

L’offerta comprende oltre 10 varianti, compresa quella proposta in questa ricetta.

Ogni pizza è preparata utilizzando i migliori ingredienti campani e italiani, selezionati con cura dall’Executive Chef Antonio Sorrentino.

1. step:

ingredienti pre-impasto liquido (giorno prima)

900g acqua fredda a 4°C, 500g Pizza Mix Schär, 10g lievito di birra fresco Preparazione pre-impasto: Impastare in planetaria con paletta in prima velocità per circa 3 minuti, ovvero per il tempo minimo necessario per sciogliere il lievito e stemperare il Pizza Mix Schär. Mettere l’impasto in una scodella e coprirla con pellicola; bucare leggermente la pellicola e mettere in frigo lasciando fermentare a 7°/8°C per 12 ore.

2. step:

ingredienti impasto generale tutto il pre-impasto liquido

400g Pizza Mix Schär, 40g di sale fino marino, 50g di olio di semi di mais Preparazione impasto generale:

1. step: mettere in planetaria tutto il preimpasto utilizzando la paletta, aggiungere il Pizza Mix Schär e far girare velocemente per 4 minuti.

2. step: a 4 minuti aggiungere tutto il sale a pioggia.

3. step: a 5 minuti attivare la 2° velocità e versare lentamente tutto l’olio. In totale la lavorazione non deve superare i 10 minuti.

Spegnere e lasciare riposare per 5 minuti. Trasferire l’impasto in un contenitore dedicato e far riposare per almeno 2 ore con coperchio. Suddividere in pagnotte di circa 320g, metterle in un contenitore leggermente infarinato con Farina di riso Schär e coprire con altra tavola. Far riposare per 2 ore. Nel frattempo tagliare la provola a filettini, affettare la spianata e tagliuzzarla a dadini. Tagliare a metà i peperoncini, pulirli dai semi e saltarli leggermente in padella con aglio e olio, poi farne una crema. Condire i datterini gialli con olio EVO e sale.

preparazione del forno: forno a legna a temperatura 380°C.

stesura:

prendere delicatamente un panetto lievitato dal contenitore, passarlo velocemente nella Farina di riso Schär e metterlo sulla pala leggermente infarinata con la stessa farina. A mani unite, spingere con le dita dal centro verso l’esterno, in modo che i gas si concentrino nel bordo, formando il cornicione.

guarnitura:

versare al centro la crema di peperoncini, aggiungere i datterini gialli, la provola e infine la spianata e un filo di olio EVO. Cottura: impalare la pizza con pala dedicata in alluminio e infornare facendo scivolare velocemente la pizza sul piano refrattario; far cuocere per 120 secondi. Sfornare e completare con scaglie di pecorino e basilico.

TEMPI DI PREPARAZIONE:

pre-impasto 12 ore + 4 ore circa

INGREDIENTI BASE PER 6 PIZZE NAPOLETANE GRANDI

1000g Pizza Mix Schär

900g acqua fredda a 4°C 10g lievito di birra fresco 40g di sale fino marino

50g di olio di semi di mais

Farina di riso Schär per la stesura

Per la guarnizione:

500g di provola affumicata di Agerola, 300g di spianata calabrese, 300g peperoncini verdi, aglio, 100g datterini gialli, 100g pecorino canestrato, basilico fresco, 60g di olio EVO

LE AZIENDE INFORMANO

CAMPIONATO MONDIALE DELLA PIZZA

2024

LE INTERVISTE AI PARTNER

31 CAMPIONATI DEL MONDO: E TU QUANTI NE

HAI FATTI? QUAL È IL TUO

PRIMO RICORDO?

Siamo partner del Campionato da ormai molti anni, non ricordo onestamente quanti. Essere stati accolti nel novero delle aziende accettate a far parte dell'evento è stata una bella emozione, accolta con grande senso di responsabilità, lo stesso che ci accompagna ogni anno della preparazione all'edizione successiva

COME SONO CAMBIATI I

PIZZAIOLI OGGI? QUALI

SONO LE LORO RICHIESTE?

Per fortuna non sono cambiati i valori di base che animano i pizzaioli, protagonisti del nostro mondo. La passione e la dedizione al lavoro sono immutate, è cresciuta semmai la consapevolezza di voler crescere nelle conoscenze teoriche per meglio padroneggiare tutte le fasi del processo, anche fuori dalla "comfort zone" del loro locale. Più studio quindi e più tecnologia per produrre risultati migliori e ripetibili.

UNO SGUARDO

AL PASSATO: COSA PENSI CHE ABBIAMO

PERSO E CHE ANDREBBE RECUPERATO?

In questo mondo, più che altrove, resiste uno spirito di appartenenza e di attenzione alla relazione umana. Ancora non abbiamo perso molto quindi ma dobbiamo stare attenti che, la deriva che porta le persone ad isolarsi, non contamini in modo pervasivo anche la collettività del mondo pizza

LA TUA AZIENDA

E IL FUTURO DELLA PIZZA: QUALI PROGETTI

PER DOMANI?

Più tecnologia, digitalizzazione, servizi avanzati, materiali innovativi, ma anche buone relazioni e ascolto dei bisogni del pizzaiolo: vogliamo innovare senza snaturarci

Ti svegli la mattina e porti avanti la tua TRADIZIONE

G rand T our I talia

Viaggio tra le regioni in 5000 passi.

Farinetti ci riprova e a Bologna apre Grand Tour Italia. Nuovo ambizioso progetto, che come lo stesso nome evoca, vuole celebrare le venti regioni italiane e la loro diversità gastronomica e culturale. Un vero “grand tour”, proprio come quelli che intellettuali e nobili stranieri facevano in Italia tra fine ‘700 e inizio ‘800, complici le scoperte archeologiche e l’arte di casa nostra. Oggi la cucina e la biodiversità agroalimentare diventano protagoniste assolute di questo ipotetico viaggio, che si potrà compiere a partire da settembre 2024 in un unico luogo.

Siamo a Bologna, negli spazi che avevano ospitato Fico e qui, questo grandissimo e nuovo parco gastronomico riprende alcune idee del precedente progetto non totalmente riuscito, come lo stesso Farinetti ha ammesso alla sua chiusura, per ampliarle inglobando altri elementi importanti come arte, cultura, accoglienza, turismo. Insomma, la bellezza d’Italia si concentra qui in soli 5 mila passi, in un percorso di 50.000 metri quadrati che offre ai visitatori l’opportunità di gustare l’Italia come mai prima d’ora.

“Grand Tour Italia è molto più di una semplice destinazione turistica”, ha dichiarato Oscar Farinetti in conferenza stampa. “È un omaggio alla straordinaria diversità e ricchezza culturale del nostro Paese, un invito a esplorare, gustare e vivere l’Italia in tutto il suo splendore”.

Il fondatore di Eataly rilancia, dunque e questa volta si assume il controllo totale di Fico Srl con la sua società, credendo fermamente in questa proposta e mettendo insieme idee che si mescolano e partecipano a questo luogo–non luogo dal nome Grand Tour Italia.

Qui ogni regione italiana avrà il suo padiglione dedicato, con mercati di prodotti tipici (in pieno stile Eataly), un’osteria con cucina tradizionale, un’area paesaggistica e di promozione turistica e infine un’area didattica. Il programma è vario e ampio, così come i menu, che cambiano stagionalmente. In particolare, si potrà partecipare a eventi culturali, enogastronomici e folkloristici, corsi di cultura enogastronomica, lezioni di cucina ed educazione agroalimentare. E poi si potranno

trovare anche librerie, un luna park e un circuito di go-kart. Insomma, Grand Tour Italia si prospetta come un vero parco divertimenti del gusto: energia e sapore per un’esperienza genuina alla scoperta della nostra bella e buona Italia.

La sostenibilità ambientale poi sarà la parola chiave di questo posto - o come sottolinea lo stesso Farinetti – la sua priorità, andando a cercare prodotti, che saranno venduti e cucinati, principalmente provenienti da fonti biologiche o sostenibili.

Ma cosa troviamo all’interno di Grand Tour Italia? Abbiamo fatto un giro in anteprima e vi raccontiamo cosa abbiamo visto oltre alle aree regionali da vivere in modo immersivo.

Uno Spazio espositivo dedicato all’arte e alla fotografia contemporanea di EARTH Foundation. Qui il cibo diventa arte e l’arte celebra il cibo. La programmazione prevede mostre dedicate alla fotografia contemporanea, pensate per instaurare un dialogo con il contesto e celebrare la cultura del cibo.

Le Aree Didattiche Multimediali per seguire corsi e fare esperienze, aree spettacolo e un centro congressi, che può ospitare convegni divulgativi e di promozione turistica, eventi pubblici, privati e team building.

La Libreria “I Capolavori”, realizzata in collaborazione con la Scuola Holden, con 1200 libri tra i più importanti della storia, fra saggi e romanzi italiani e mondiali, libri per bambini e ragazzi, libri di cibo e cucina in consultazione gratuita e in vendita come usati.

Il Luna Farm ovvero la fattoria del contadino Gianni con i suoi 6500 metri quadri che si trasformano in un vero parco divertimenti, dedicato a bambini e famiglie, con giostre, giochi, videogiochi e aree per feste private.

Sempre per non annoiarsi, troviamo il Grand Tour Karting: in perfetta sintonia con lo spirito della Motor Valley, nel cui territorio si trova. Questa struttura esclusiva coniuga intrattenimento e sostenibilità: utilizzando kart elettrici Parolin - costruttore leader di mercato - di ultima generazione a 0 emissioni, i visitatori potranno godere di un coinvolgente circuito indoor lungo oltre 500 metri.

L’ingresso al Parco e il parcheggio sono completamente gratuiti, come anche molti corsi dedicati ai bambini/ragazzi, ai pensionati (organizzati in collaborazione con Slow Food e AIS) e diverse attività di intrattenimento.

Il progetto manterrà la stessa sede del precedente ma potrà contare su alcune nuove risorse logistiche: l’attivazione di una linea tranviaria di collegamento con il centro, la creazione dello stadio temporaneo del Bologna FC e - altra grande novità - l’apertura ai cittadini (in alcuni giorni) del CAAB, Centro Agroalimentare di Bologna, situato proprio nelle immediate vicinanze.

Da ciò che era un progetto incompiuto, che non è mai decollato al 100%, ora ci si rimbocca le maniche e si punta a 1,5 milioni di visitatori nel primo anno e 30 milioni di euro di fatturato nel 2025 per recuperare l’investimento fatto di circa 15 milioni di euro. Per quanto riguarda i lavoratori, c’è l’impegno a tenere i circa 100 già presenti, tra diretti e legati a società partner attuali e “a raddoppiare”, rassicura il patron.

Il tutto si delinea come una proposta di alta qualità, che celebra la ricchezza e la varietà della cucina italiana e che aiuta anche l’indotto turistico e la crescita importante di Bologna e del suo hinterland, contribuendo ad aumentare ulteriormente l’attrattività della destinazione.

VALORIZZIAMO IL MADE IN ITALY

questa rivista, fin dalla sua fondazione, oltre tre decenni or sono, ha sempre consigliato ai propri lettori, in particolare ristoratori, pizzaioli e cuochi, di privilegiare nel loro lavoro i prodotti italiani. Questo non per rifiutare le produzioni agroalimentari di altri Paesi ma perché i prodotti di casa nostra sono di assoluta eccellenza.

E c’è un altro motivo: i nostri prodotti sono di filiera corta; come dire che un qualsiasi prodotto italiano per arrivare in un ristorante percorre meno strada di un prodotto proveniente dall’estero. Ogni cuoco ed ogni ristoratore, se vogliono, hanno la possibilità di vedere e controllare i luoghi dove nascono e dove

vengono elaborati i prodotti del made in Italy. I luoghi di produzione (caseifici, salumifici, frantoi, pastifici, ecc.) si trovano in ogni regione italiana per cui tutti gli operatori possono visitarli senza difficoltà, controllare la qualità della materia prima, l’igiene ed il rispetto delle severe regole igienico-sanitarie italiane.

La cucina italiana è riconosciuta nel mondo proprio per le sue eccellenze per cui conviene sempre attingere in primo luogo a prodotti agroalimentari italiani, ricorrendo all’ estero per quello che noi non abbiamo come certa frutta esotica, le spezie, il caffè, lo champagne e simili.

Resta ancora qualche problema da risolvere su come garantire a chi li produce e lavora e ai consumatori una seria conoscenza dei prodotti italiani. In Italia ci sono eccellenze che il mondo ci invidia ma non sono conosciute da molti professionisti della ristorazione e nessuno (o quasi) insegna loro la grande varietà e l’alta qualità di queste produzioni. In secondo luogo, l’organizzazione commerciale privilegia spesso ciò che costa meno, magari anche di provenienza estera. Non basta la buona volontà di ristoratori, cuochi, pizzaioli: serve un maggior impegno delle istituzioni nazionali e territoriali per migliorare la qualità della cultura professionale e controllare le ancora troppe speculazioni fatte sui prodotti, in primis l’olio extra vergine di oliva. È vero che ci sono in ogni regione numerosi ristoratori, cuochi, pizzaioli di grande professionalità, cultura, serietà operativa che

vantano clienti anche molto lontani. La cucina è una colonna della civiltà molto importante per la stessa economia del nostro Paese, quindi l’invito è rivolto ai professionisti della ristorazione perché siano orgogliosi e consapevoli del contributo positivo al settore agroalimentare italiano, all’ intero mondo agricolo, alla

valorizzazione internazionale del made in Italy, cosa sempre promossa, pur tra molte difficoltà, dalle istituzioni nazionali e territoriali del nostro Paese. Quanto precede ci porta ad una conclusione sulla quale credo sia utile che tutti gli addetti ai lavori e, in primis, le scuole e gli Istituti alberghieri riflettano.

Girando per l’Italia si scopre che un buon numero di ristoranti famosi, ampiamente segnalati anche dalle guide gastronomiche, hanno nella loro lista dei piatti che poco o nulla hanno da vedere con la storia gastronomica del territorio, attingendo abbondantemente a prodotti di altri Paesi.

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La cucina italiana non si caratterizza per piatti capaci di sbalordire ma per piatti che raccontano il territorio e la sua storia. A volte, sembra di entrare in ristoranti fermi agli anni ‘80 del secolo scorso quando ebbe grande successo nel nostro Paese la cucina “fusion” che è stata anche definita cucina “confusion”. In Italia, abbiamo dell’ottimo riso e risotti straordinari, dei piatti di pasta conosciuti ed apprezzati nel mondo, carni interessanti; crostacei, molluschi e pesci stupendi; olio extravergine di oliva di assoluta qualità; ortaggi che nel nostro paese sono meravigliosi, frutta di ogni tipo.

La vera cucina italiana si basa sui prodotti del nostro territorio e dei nostri mari; la differenza con il passato consiste nel saperli elaborare, accostare e servire in modi nuovi per regalare nuovi gusti e nuovi sapori ai commensali lasciando perdere imitazioni di piatti altrui.

Si possono preparare per occasioni speciali ma la grande cucina italiana è quella che nasce dai prodotti del territorio e dalla seria e matura professionalità degli operatori, ristoratori, cuochi, pizzaioli. Infine, un appello alle autorità sia di Governo che regionali perché sostengano il lavoro di tante piccole aziende artigiane sparse in tutta la Penisola che sono alla base del più qualificato made in Italy agroalimentare, importantissimo anche per attrarre il turismo internazionale e collaborare positivamente all’economia del nostro Paese.

L’UOVO DI COLOMBO

ANTONELLO CIOFFI, LA PIEDIGROTTA
di Antonio Puzzi

Nelle immediate adiacenze del Corso di Varese, in quello che era l’antico borgo di questa città lombarda, in molti punti oggi purtroppo avvilita da architetture di epoca fascista, dal 1974 la famiglia Cioffi è titolare di un locale che riporta subito con la mente al cuore di Napoli: La Piedigrotta.

Questa pizzeria, che è anche un ottimo ristorante di pesce e che celebra in questi giorni i suoi cinquant’anni di attività, è gestito dal 2003 da Antonello (che di anni ne ha 51) e da sua moglie Daniela. Antonello può vantare di essere stato tra i primi pizzaioli in Italia ad aver proposto una wine list con oltre 300 vini campani e pugliesi; oggi, in carta ci sono oltre 2000 etichette, degne di uno stellato. Non è questo, però, il suo unico punto di forza, né il più importante. Ma andiamo con ordine.

Ho incontrato per la prima volta Antonello dieci anni fa quando, su suggerimento di un comune amico, lo invitai a tenere

una “masterclass” (all’epoca le chiamavamo “laboratori” ed era molto più bello) in un evento internazionale. Mi fu presentato con queste parole: «Una persona che era stata a cena da lui mi aveva contattato per raccontarmi di avere incontrato un genio della pizza; incuriosito, sono andato a fargli visita e ho scoperto che è vero ma, per capire il perché, devi assaggiare la sua pizza». E, in effetti, è quello che direi a voi, chiudendo qui l’articolo. Qualsiasi parola possa dire su Antonello non potrà, infatti, mai restituire ciò che si prova accomodandosi ai tavoli del suo bel locale.

Non vi aspettate carte degli impasti o giochi da “piccolo chimico” tra impastatrice

e forno. Antonello rispetta, infatti, il Disciplinare dell’Associazione Verace Pizza Napoletana: farine 0, 00 e 1, lievitazione lenta e sapiente utilizzo del licoli.

E, allora – direte voi – dove sta la genialità? Provo a introdurvela con un aneddoto popolare. Si racconta che Cristoforo Colombo, dopo il suo ritorno dalle presunte Indie nel 1493, fu invitato a una cena in suo onore dal cardinale Mendoza. Qui, alcuni gentiluomini spagnoli cercarono di sminuire la sua impresa, dicendo che la scoperta della via di occidente per le Indie non sarebbe stata poi così difficile e che chiunque sarebbe potuto riuscirci, se avesse avuto i suoi mezzi. Udito questo, Colombo invitò i nobili spagnoli in un’impresa altrettanto facile: far stare un uovo dritto sul tavolo. Ognuno di loro fece numerosi tentativi ma nessuno ci riuscì e rinunciarono all’impresa.

Colombo prese, allora, l’uovo e si limitò a praticare una lieve ammaccatura all’estremità, picchiandolo leggermente contro lo spigolo del tavolo. L’uovo rimase dritto. Quando gli astanti protestarono, dicendo che lo stesso avrebbero potuto fare anche loro, Colombo rispose: «La differenza, signori miei, è che voi avreste potuto farlo, io invece l’ho fatto!».

storie di PIZZA

Non è un caso, forse, che uno dei piatti più identificativi della cucina di Antonello Cioffi sia proprio “uovo apparente”: una sottile base di pizza su cui è poggiata una fetta di mozzarella che lo ricopre totalmente e, a “fingersi” tuorlo, un pomodoro che, se toccato, fa fuoriuscire tutto il suo liquido. A completare il piatto, secondo stagione, può esserci un’alice, come nel nostro caso o una spolverata di tartufo.

Non meno geniale è, però, il “sushi di pizza”. Antonello qui dimostra tutta la sua personalità, sostituendo i rotolini di riso e l’alga con un impasto sottile ma non croccante, avvolto in semi di papavero e cotto in forno a legna, arrotolato al momento del servizio e offerto in quattro tipologie diverse.

Quali sono?

1) il classico “pesce crudo”; 2) un rotolo con polpa di melanzana affumicata, zest di limone fermentato (io preferisco chiamarla “scorza”, ma il mondo gastronomico va così) e riduzione di cola, ricetta che Antonello definisce “un omaggio a Floriano Pellegrino”, il celebre chef stellato salentino, poco più che trentenne; 3) “l’ossessione della Piedigrotta”, ovvero la Margherita; 4) “l’antipasto all’Italiana” ovvero prosciutto e melone, quest’ultimo con una piccola aggiunta di peperoncino.

Ad accompagnare l’assaggio, in luogo della soia e del wasabi, troviamo la colatura di alici di Cetara e il wasabi di cime di rapa. Eccellenti tutti i prodotti, ça va sans dire

Come ti è venuta quest’idea di “giocare” con l’impasto della pizza?

Non avendo mai fatto l’Alberghiero (ma essendo diplomato in Ragioneria) ero scevro da ogni preconcetto, non avevo preclusioni sulle ricette. Di contro, amo molto girare i ristoranti mentre vado in pizzeria molto raramente. E, soprattutto, ho avuto la fortuna di assumere in questo locale tanti bravi chef nel corso degli anni. Nei primi anni 2000, mi sono appassionato alla cucina “stellata” grazie a Ilario Vinciguerra, chef oggi attivo a

Gallarate, formatosi in cucine di grandi ristoranti, tra cui il Don Alfonso 1890 a Sant’Agata sui Due Golfi. Una sera, era qui a cena un gruppo di persone che veniva con grande frequenza e ogni volta chiedeva di provare qualcosa di diverso. Così, un giorno, decisi di trasformare la pizza in tagliatelle di pizza alla carbonara.

E da lì tutto ha avuto inizio. Tutto merito loro, quindi. E di che periodo stiamo parlando?

Posso dire con certezza che è dal 2013 che, in modi e ricette diverse, offriamo questa sperimentazione agli avventori in maniera ininterrotta.

Cosa è cambiato in questi anni e come sei

cambiato tu?

Il pubblico è cambiato molto, ora ne sa di più. E, ovviamente, cambio anche io: ho avuto almeno tre “ere” diverse: fino al 2013, era il tempo delle degustazioni classiche, quelle che definirei da “giropizza” o pizza altrimenti detta “gourmet”. Tra il 2013 e il 2017, ho dato vita alle pizze

“tridimensionali”, ovvero iniziavo a far comparire sulla pizza dei bicchieri e delle ciotole contenenti ingredienti che completassero il prodotto. È il caso della “Margherita al contrario” che ha la base di pesto di basilico, su cui poggia un bicchierino di succo di pomodoro giallo, chiuso in cima da una fetta di ottimo fior di latte. Oggi, invece, lo stile delle degustazioni che propongo lo definirei “molecolare” come quello della tecnica gastronomica ideata da Ferran Adrià.

Nel tuo menù non mancano pizze tradizionali ma cosa ti diverti di più a fare?

Noi de “La Piedigrotta” siamo camaleontici ma la tradizione, anche nel fine dining, è il futuro, secondo me.

Essere “camaleontici” vuol forse dire che bisogna sempre accontentare il cliente?

Accontentare i clienti, sempre… ma con uno stile personale.

E questo vuol dire che se ti chiedono di mettere più pomodoro sulla Margherita al contrario tu lo fai?

Quelle pizze non si toccano. Le tradizionali, sì: da noi le variazioni si fanno, tutte a pagamento ovviamente.

Antonello Cioffi ha gestito per due anni la pizzeria del DG Martini (il ristorante di Dolce e Gabbana) a Milano e ha una gran-

storie di PIZZA

de passione per l’alta cucina. Le sue creazioni sono tutte eccellenti, anche quelle “classiche”, come la piccola montanara (pizza fritta) dell’entrée con arancia fermentata, stracciatella di Andria e pomodoro confit. Prima di salutarlo, dunque, non posso che rivolgergli la “domanda del giorno”, di cui tutti parlano in questa estate caldissima.

Comprendendo male le parole di Massimo Bottura (di cui parliamo nella rubrica “La posta dei lettori”, ndr), molti si sono scagliati contro l’intelligenza artificiale in pizzeria. Tu cosa ne pensi?

Credo che l’intelligenza artificiale sia una grande opportunità ma l’anima non si potrà mai clonare. Possiamo replicare le musiche di Jimi Hendrix o Miles Davis ma mai la loro identità.

Ed è con questa riflessione che Antonello conferma quanto penso sin dall’inizio della nostra conoscenza: lui ha scoperto l’uovo di Colombo.

LA NUVOLA DI NAPOLI VINCENZO CAPUANO

di Noemi Caracciolo

“La pizza veste lo spazio di colori e profumi. E quando arriva in tavola si innamora il mondo”.

Fabrizio Caramagna

E Vincenzo Capuano fa innamorare il mondo a tavola e sui social da diverso tempo.

mo lì, dove tutto è cominciato: a casa sua.

Credo tutti lo conosciamo per i suoi video e le creazioni talvolta un po’ bizzarre (impossibile negarlo) ma anche per Nonno Enzo e, soprattutto, per le inconfondibili forbici d’oro che, oramai, sembrano essere un’estensione del suo corpo.

Dopo aver aperto ben 18 sedi della sua “grande pizzeria” – sì, “grande pizzeria” e non “catena”, perché Vincenzo rifiuta categoricamente questo appellativo – (ri) approda a Napoli con la diciannovesima. Precisamente, a Piazza Trieste e Trento, a due passi da Piazza del Plebiscito, simbolo di Napoli e proprio davanti allo storico Gran Caffè Gambrinus. Pur girando continuamente, il suo cuore resta sempre fer-

L’ultimo locale, la cui apertura risale allo scorso gennaio, si presenta su due livelli e con quattro affacci principali, ognuno su uno storico luogo della città: Piazza del Plebiscito, la fontana del Carciofo, il Teatro San Carlo e il Palazzo Reale. Scorci bellissimi e suggestivi ma, d’altra parte: quale scorcio di Napoli non lo è? Direi dunque che Vincenzo ha fatto bingo, se consideriamo anche il fatto che il marciapiede su cui si trova è uno dei più trafficati di Napoli, tra turisti, eventi e persone dedite allo shopping. Probabilmente i quasi 100 posti a sedere non saranno neppure abbastanza Lo stile è lineare e minimale, elegante nella sua essenzialità: spiccano il rosso, il blu e le immancabili stampe che vedono protagonista alle pareti Diego Armando Maradona.

Vincenzo è un artista della pizza contemporanea (di cui è campione mondiale) ma

non per questo disdegna la tradizione, anzi! Insieme a lui, è spesso presente il simpatico Nonno Enzo, papà della sua mamma e da cui l’eredità di famiglia è partita. «Ho insegnato a tutti i miei figli e nipoti, adesso ho 77 anni di vita e 64 di pizze. Ho imparato da mia nonna che aveva una pizzeria in tempo di guerra, a Napoli, a Porta Capuana», mi racconta Nonno Enzo, il quale fa la classica pizza “a rot e carrett” (a ruota di carro) ma con l’impasto di suo nipote. Così, gli ho chiesto cosa pensasse di queste “novità” e lui mi ha risposto: «io penso che Vincenzo ha fatto bene, la sua è una bellissima pizza e non si può restare sempre ‘e tiempe ‘e Pappacone” (*spiegazione alla fine dell’articolo); la mia pizza a ruota di carro è sempre buona, l’impasto è diverso ma la stesura resta la mia»

E, in effetti, è proprio così che funziona da Capuano (sicuramente è così nella nuova sede di Piazza Trieste e Trento), è possibile degustare le sue contemporanee realizzate con farina Nuvola di Mulino Caputo, come la Federella con pestato di friarielli e pancetta iberica di Bellota; la Melanzanella con crema di pomodorino giallo, melanzane e stracciata e tre pizze a ruota di carro nei gusti: Margherita, Marinara e Provola, pepe e limone (la mia preferita in assoluto).

È vero che quella di Vincenzo è un’eredità di famiglia ma, essendo curiosa di sapere se avesse pensato di fare altro prima di intraprendere il percorso di pizzaiolo, gli ho chiesto di raccontarmi i suoi inizi e, con mia grande sorpresa, ho scoperto che in realtà ha studiato per diventare un perito informatico.

In effetti, nonostante abbia poi fatto una scelta diversa, è rimasto un appassionato e infatti è lui stesso a gestire tutte le sue pagine di comunicazione (impresa non facile, considerati i numeri che fa): «Ho iniziato a fare la pizza a 10 anni; erano pizzaioli mio padre e mio nonno, sembrava

quasi un obbligo (ride), ma sì, ho studiato informatica. Però avevo due sogni: girare il mondo e far conoscere Napoli. Ho pensato che la pizza fosse il mezzo migliore. Ho scelto la strada più difficile ma è quella che immaginavo mi avrebbe dato più soddisfazione e, alla fine, è stato così», mi racconta Vincenzo. Innegabile che di soddisfazioni ne ha avute

Cosa provi oggi, cosa si prova dopo tutte queste aperture?

Ogni apertura spaventa sempre. Non è facile mantenere i ritmi alti ma per me la leva più importante è il popolo napoletano, oltre ovviamente i turisti. Il 75% di loro passa per questo marciapiede. Aprire qui, proprio qui, è un’altra cosa», dice riferendosi alla nuova pizzeria, «tutti i locali sono come miei figli ma questo fa un altro effetto, considerando solo i luoghi storici sui quali affaccia ogni porta di questa pizzeria. Vincenzo definisce tradizione, contemporaneità e internazionalità i principi base su cui verte la sua filosofia, gli “ingredienti principali” del suo essere ciò che è, per così dire. Sulle note di “internazionalità”, gli ho chiesto di raccontarmi le sue esperienze a partire dal periodo in cui ha imparato a impastare: «Sono partito da Scampia ma, volendo girare il mondo, un giorno presi lo scollino e dissi al nonno: “me ne vado”. Sono stato in più di 30 Paesi. Ho aperto la mia prima pizzeria a Napoli a 30 anni e nel menu c’erano tutte pizze il cui nome richiamava un’esperienza da me vissuta, per esempio “Ritorno a Napoli”. Ecco,

per noi quest’ultima apertura non è un punto di arrivo ma di partenza. Napoli è l’olimpo della pizza e noi vogliamo rappresentare il “made in Naples” nel mondo. Il progetto del momento è di aprire un locale in ogni capitale europea. Io definisco i locali che portano il mio nome “una grande pizzeria”. Facciamo formazione in primis, che è fondamentale e tutto parte proprio da qui, da casa mia, sempre. Ho portato all’estero ciò che ho appreso a Napoli. Però restiamo democratici. Non ci definiamo né popolari né commerciali, semplicemente facciamo un prodotto di qualità basandoci sulla formazione. A Milano, per esempio, lo scontrino medio è di 25 euro».

Sì, ma come sei arrivato al tuo impasto?

Non ho fatto come mio nonno che mi diceva: “tocca con mano, senti il caldo, questo e quello”. No, ho codificato la pizza, ho codificato il mio impasto attraverso la tecnica, il termometro, la statistica. Poi sono molto aperto sui topping e alla sperimentazione. A Sorrento abbiamo una pizza che è base provola, fonduta a limone, cialde di parmigiano e zeste di limone, che, insieme alla provola e pepe, è tra le mie preferite.

E tutti sappiamo quanto sia aperto alla sperimentazione, a volte un po’ “stravagante” se vogliamo, tanto da suscitare commenti e pensieri decisamente sfavorevoli. Il simbolo di famiglia però resta la provola, pepe e limone che io ho avuto il piacere di assaggiare: diametro 36cm, super sottile e cotta leggermente in più rispetto alla contemporanea. Cambia un po’ di gusto e consistenza ma è veramente buona. Un giusto equilibrio tra l’innovazione, attraverso l’impasto di Vincenzo e la tradizione, grazie alla stesura di Nonno Enzo.

Da dove prendi così tanta immaginazione per le tue creazioni?

Sono un pizzaiolo storyteller. Vivo e spero di morire a Napoli ma giro, viaggio tanto e cerco di raccontare tutto ciò. Un’apertura la facciamo solo se può raccontare qualcosa, altrimenti no.

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La pizza contemporanea si può trasmettere, è condivisibile. I miei ragazzi partono sempre da Napoli, si formano qui, è il punto di partenza di tutto ciò che facciamo, sempre.

Quindi come ti definiresti?

uno scugnizzo contemporaneo, che è partito da zero, ha realizzato i suoi sogni e spera di essere un esempio per chi vuole credere nell’artigianato e nel territorio. Vengo da Scampia, quando questo quartiere era in un periodo difficile; oggi è migliorata, ma all’epoca rappresentarla al meglio era la mia missione Oltre a dare tanto, perché so cosa significa non avere niente. Ho scelto di puntare sempre sulla mia città, poter dare altri posti di lavoro a Napoli è importante. Lei mi ha dato e mi ha tolto, io le ho dato e mi ha ridato tanto.

Personalmente – prima di questa apertura – avevo già assaggiato la pizza di CapVin e mi era già piaciuta ma non avevo avuto l’occasione di incontrare Vincenzo (e Nonno Enzo), di apprezzarne quindi i “retroscena”.

È vero, al primo assaggio avevo percepito la passione che c’è dietro, ma non l’amore forte e il desiderio di vedere un sorriso sul volto di chi mangia, sensazioni che ho sentito nel momento in cui hanno iniziato a “raccontarsi” e a “raccontarmi” ciò che quella sera stavo mangiando.

*A ‘e tiempe ‘e Pappacone - Ai tempi di Pappagone .

Contrariamente a quanto si crede, non è stato Gaetano Pappagone a dare origine al famoso detto napoletano ma andiamo per gradi: “A ‘e tiempe ‘e Pappacone” è una locuzione napoletana la cui origine

storie di Pizza

probabilmente è legata alla storpiatura del nome “Pappacoda”, ovvero un’antica nobile famiglia napoletana le cui prime tracce a Napoli risalgono al XIII secolo, durante il regno degli Angioini. “Pappacone” è probabilmente il risultato della conosciutissima scherzosità del popolo napoletano, il cui linguaggio è risaputo essere spesso ironico. Ma chi è questo “Pappacone”? Si suole collegarlo al succitato Gaetano Pappagone, un personaggio interpretato da Peppino De Filippo (un grande comico e attore napoletano), inventato negli anni ‘60 nel programma televisivo “Scala reale”. Gaetano era un aiutante del Commendator De Filippo e divenne l’autoironico alter ego di Peppino. Come i napoletani più anziani ricorderanno, era un gran combinaguai, allegro, ingenuo, strano e ricco di bontà d’animo. Pappagone – passato dal “Carosello” ai fumetti – era considerato quasi una maschera al pari di Pulcinella e Arlecchino. A‘e tiempe ‘e Pappacone è un’espressione napoletana che si usa dunque per indicare un qualcosa che risale a un tempo lontano, a un tempo “antico” appunto.

storie di pizza

DOVE TUTTO EBBE INIZIO… NELLA CAPITALE!

LA GATTA MANGIONA A ROMA COMPIE 25 ANNI.

Giancarlo Casa è il classico patron vecchio stile o, come ama definirsi lui, un oste in pizzeria. È questo il suo ruolo da 25 anni, da quando il 4 febbraio 1999 ha aperto “La Gatta Mangiona”, una pizzeria che ha fatto la storia della pizza a Roma e che rappresenta ancora oggi il cambio di passo della pizza nella Capitale.

Una storia lunga un quarto di secolo, sempre coerente con sé stessa, che inizia con la ferma volontà di portare la qualità vera nelle pizzerie: qualità delle materie, delle farine, degli impasti. Un passato da distributore di prodotti caseari e alimentari, un lavoro ereditato dal padre e prima ancora dal nonno. E poi, come Giancarlo ci spiega: “Ho scelto questo mondo perché lo conoscevo molto bene come fornitore e ho sempre voluto e cercato di fare il contrario di quello che facevano i miei clienti, ovvero pagare poco le materie prime. Quando ho iniziato l’avventura de La Gatta Mangiona ho pensato che fosse arrivato il momento giusto di puntare ad una pizza diversa, realizzata con materie prime importanti e la cosa ha funzionato. Siamo ancora qui, lavoriamo sempre con la stessa filosofia e i clienti ci cercano per questo motivo”. Una pizzeria che qualsiasi romano conosce e ha provato e che, per questo speciale anniversario, abbiamo deciso di raccontare ai nostri lettori con un’intervista al padrone di casa.

Giancarlo Casa, la “Gatta Mangiona” nasce nel 1999 e oggi compie 25 anni.

Quando hai aperto, prossimi al nuovo millennio, com’era il panorama della pizza a Roma e cosa ti proponevi di portare.

All’epoca c’erano tante pizzerie tradizionali romane, si faceva la classica bassa e scrocchiarella e c’erano poche pizzerie napoletane. In entrambi i casi, si lavorava con impasti e lievitazioni veloci; si impastava nel primo pomeriggio per stendere alla sera, nessun principio di maturazione: una pizza rispetto ai canoni, soprattutto quelli di oggi, abbastanza scorretta. E non parliamo delle materie prime utilizzate: le pizzerie prediligevano tutto quello che costava meno. Insomma, 25 anni fa il mondo pizza a Roma non brillava affatto. Si cominciava a vedere qualcosa di nuovo con la pizza al taglio; in quegli anni, Angelo Iezzi cominciava a sperimentare qualcosa; sulla tonda all’epoca c’era da fare tanto sia sugli impasti che sugli ingredienti e questo è stato il mio obiettivo.

Su Roma per la pizza sei stato un innovatore, sei tu a inaugurare il filone della contemporanea. Come sei stato percepito all’inizio, hai avuto difficoltà? Cosa piaceva di questo posto?

All’epoca non c’era l’attenzione di oggi da parte della comunicazione sulla pizza e di conseguenza non c’era confronto tra noi del settore, queste dinamiche sono venute dopo. Come nuova pizzeria abbiamo desta-

to curiosità, “Trova Roma” ci aveva segnalati tra le novità e questo ha innescato un buon passaparola. Nel 2003 abbiamo avuto il primo articolo del “Gambero Rosso”; a seguire, siamo stati inseriti nella Guida ai Ristoranti de “L’Espresso”. Da parte del pubblico, invece, il riscontro è stato immediato: dopo sei mesi eravamo a pieno regime. C’era molta curiosità intorno a noi e, per fortuna, nessuna difficoltà nonostante la proposta innovativa. Posso dire che la chiave del successo sia stata la capacità di mantenere nel tempo la promessa fatta sulla qualità, oltre al legame con il vino e con le birre artigianali. Siamo stati degli anticipatori su diverse cose. Posso confermare senza presunzione di aver cominciato un lavoro che poi è stato proseguito da altri. In primis, con Stefano Callegari, quando abbiamo aperto “Sforno” a Cinecittà nel 2005. Negli stessi anni, Padoan ha cominciato a tracciare la strada della pizza gourmet per esempio”.

Parlami della tua pizza, com’era

ieri e com’è oggi. Com’è cambiata nello stile (e pure nell’impasto)

se è cambiata?

Più che la mia pizza la sento la pizza de “La Gatta Mangiona”, in fondo non sono mai stato il pizzaiolo effettivo del locale, ma mi sono sempre occupato io degli impasti, della ricerca e selezione delle materie prime, dell’ideazione dei condimenti e delle pizze. Inizialmente era un ibrido tra la pizza romana e quella napoletana; poi, negli anni, mi sono indirizzato sempre di più sullo stile napoletano ma senza mai sposare la tendenza della “contemporanea”. Ho sperimentato tanto, provato diverse cose, girato e mangiato molte pizze (soprattutto a Napoli), fin quando non ho trovato il tipo

noi la nostra evoluzione. Oggi facciamo una pizza che potrei definire una napoletana classica rivista nei tempi di maturazioni sicuramente, utilizzo un mix di farine deboli con una percentuale di integrale, con un preimpasto dedicato, che è quell’aggiunta che conferisce sapore e croccantezza e una farina da pasticceria che invece conferisce la scioglievolezza. Usiamo tutte farine da molini selezionati che non utilizzano additivi. Non sono poi un grande amante della cucina sulla pizza, preferisco grandi ingredienti, ben abbinati e bilanciati su una pizza semplice, che sia comprensibile e non si snaturi della sua idea originaria. Apprezzo molto il lavoro dei giovani pizzaioli di oggi, anche se non lo comprendo fino in fondo. Sembra ci sia la necessità di

fare gli “chef della pizza” con la tendenza ad abusare di tecniche e preparazioni. Per me la pizza si deve poter comporre e rifinire velocemente, deve arrivare calda al tavolo e si deve poter tagliare comodamente in spicchi da piegare e mangiare con le mani, senza dover andare a caccia degli ingredienti e riuscendo a percepire tutti i sapori in un morso. Questa visione è stata chiara fin dall’inizio.

La pizza che ti ha ispirato nel tuo lavoro?

La pizza di Ciro Salvo, sicuramente.

Nel corso degli anni, ti sei sentito condizionato dalle trasformazioni e sperimentazioni intorno a te?

No, mi reputo una testa dura, quindi sono sempre andato dritto per la mia strada senza sentire la necessità di adeguarmi a mode o tendenze. La cucina sulla pizza, per esempio, non rientra nel mio “credo”, come neppure la scelta della contemporanea spinta. Preferisco valorizzare dei buoni ingredienti, che conferiscano sapore, anche ingredienti nuovi o strani, ma che sappiano comunicare in modo diretto con chi mangia. Non mi sono rifatto a nessuno, se non a grandi chef che ho studiato per prendere spunto o ispirazione ma non per realizzare un piatto di fine dining sulla pizza. Questo aspetto a me non interessa minimamente.

LE AZIENDE INFORMANO

N’Artigiana: La Birra di Napoli, per Napoli

BIRRIFICIO ARTIGIANALE NAPOLETANO TOP DISTRIBUZIONE SRL

Napoli

Email: info@nartigiana.it Tel:+39 0817529376

Il Birrificio Artigianale Napoletano nasce dalla passione per la nostra terra e dalla voglia di creare qualcosa di unico e autentico: N’Artigiana, l’unica birra prodotta nel cuore di Napoli e realizzata con il sole di Napoli. Il nostro progetto ha un obiettivo semplice ma ambizioso: esaltare l’eccellenza del mangiare bene a Napoli, accostando alla regina della nostra cucina, la pizza napoletana, una birra artigianale altrettanto straordinaria.

Ogni sorso di N’Artigiana racconta la nostra città: i suoi sapori, le sue tradizioni e l’arte di vivere bene. È una birra nata per valorizzare la pizza e celebrare il connubio perfetto tra cibo e bevanda, il tutto rigorosamente Made in Napoli. Ma c’è di più: N’Artigiana è l’unica birra al mondo

prodotta grazie all’energia del sole di Napoli, utilizzando pannelli solari per alimentare il nostro birrificio. Un modo sostenibile e innovativo di rendere omaggio alla nostra terra e al suo clima unico.

Dietro questa visione c’è la volontà di portare in tutto il mondo un pezzo della nostra città. Ecco perché abbiamo creato sei birre diverse, ognuna con il suo carattere, ma tutte con un solo spirito: quello napoletano. Con il Vesuvio alle spalle e il profumo del mare nell’aria, N’Artigiana è molto più di una birra, è un tributo alla nostra terra.

Scopri le nostre sei birre e lasciati trasportare dall’autenticità di Napoli in ogni bicchiere.

E ora parliamo di vino, la tua grande passione che hai portato nella tua pizzeria, prima ancora che si cominciasse a parlare di abbinamenti pizza e vino. Anche qui ti senti innovatore, rivoluzionario o che?

Sicuramente un innovatore perché all’epoca non lo faceva nessuno: tutto si concentrava nelle solite birre e forse in qualche calice di vino alla spina ma nessuno all’epoca aveva una carta dei vini: la mia arriva a 250 referenze e per essere una pizzeria sono tante, tutte studiate e tutte provate e pensate con le pizze a menu. Sono un appassionato di vini e di bollicine e questo non è un segreto per nessuno e, da quando ho aperto il mio locale, il binomio pizza-vino per me è stato sempre presente e imprescindibile. Trovo che sia per questioni non solo di topping ma anche di impasto l’abbinamento ideale sia con il vino, meglio ancora con le bollicine. Già nei primi anni

2000 ho cominciato a organizzare in pizzerie delle serate degustazioni e pairing con pizza e Champagne, così come avevo degli abbinamenti consigliati già in carta. Continuiamo da allora a fare serate con chef e altri pizzaioli ospiti insieme alle cantine, che sono dei punti di riferimento della nostra pizzeria, un’occasione per assaggiare nuove etichette, nuove e vecchie annate, cose particolari che scopro andando in giro. Ho anche clienti e amici che si organizzano serate private di degustazione proprio per poter aprire delle bottiglie importanti. Sia chiaro che ho anche le birre artigianali e alla spina e il vino della casa, anche questo di qualità, così accontento tutti.

25 anni di pizzeria e di pizza: cosa rappresentano per te e come hai deciso di festeggiare?

La festa grande l’abbiamo fatta il 5 febbraio con tantissima gente, tutti amici e clienti storici, dalle 19 fino a tardi abbiamo mangiato e brindato. È stata una bella cosa vedere tutto questo affetto e questa voglia

di stare insieme. Da febbraio abbiamo fatto poi serate mensili celebrative che continueranno fino alla fine dell’anno.

Come ti definiresti nel panorama della pizza di oggi?

In tempi di pizza chef mi definisco un oste della pizza.

Come definiresti la tua pizza?

Una pizza frutto di anni di esperienza, che guarda molta al sodo. Semplice e allo stesso tempo complessa perché fare le cose apparentemente semplici non è mai facile. Salutare e verace. Una pizza senza scorciatoie, perché ci piace farla così.

Qual è la tua pizza preferita e con quale vino la abbiniamo? E qual è quella che devi provare per forza se vieni a “La Gatta Mangiona”?

La mia preferita è una classica che a Roma non è mai esistita, anche se si chiama “Romana” ed è fatta con poco pomodoro, filetti di acciughe, mozzarella stracciata a mano e origano in uscita. E qui ci abbino un bel rosato, come un Cerasuolo d’Abruzzo o un Cirò, che secondo me funzionano benissimo. Quella che consiglio di assaggiare da noi è una pizza ideata nel 2004 che ha sempre un successo clamoroso quando la riproponiamo in primavera: si chiama “Marzolina” e prevede una base di caciocavallo, carciofi saltati in padella e, in uscita, un super salume grasso e magro, tipo una pancetta di nero dell'Aspromonte o Maiale Brado dei Monti Sibillini.

La curiosità

Il locale si chiama La Gatta Mangiona perché è dedicato al mondo dei gatti, di cui la moglie di Giancarlo è appassionata e al suo interno troviamo infatti una serie di stampe e quadri di gatti che decorano le pareti. E riprende il titolo di una fiaba che parla di gatti, ovviamente magici!

storie di pizza

LA PIZZERIA DELL’IMPOSSIBILE

È il 2020, periodo di Covid-19, non facile per nessuno. Francesca Marotta, figlia di Geppy Marotta, fondatore di “Fratelli

La Bufala”, dopo aver studiato a Milano, rientra nell’azienda di famiglia per dare il suo contributo. Marotta senior aveva iniziato la sua avventura nel 2003, fondando quella che è diventata una delle aziende più rappresentative del made in Italy, in Campania e nel mondo.

«In realtà – racconta Francesca – aveva iniziato con “Rossopomodoro”, dopodichè, per una serie di motivi, ha aperto “Fratelli

La Bufala”. Entrambe le idee avevano uno scopo ben preciso: portare pizzeria e trattoria napoletana nel mondo; la seconda, però, con un valore aggiunto, cioè porre un focus su tutti i prodotti campani, la mozzarella di bufala e ovviamente la pizza puntando sulla qualità del prodotto ma, soprattutto su valori sociali fondamentali. Mia madre, che è un architetto, si è sempre occupata appunto delle strutture e del logo. Papà è venuto a mancare 10 anni fa».

Nel tempo, l’azienda si è espansa sempre di più, dando vita a progetti il cui valore supera immensamente ogni aspettativa ma andiamo per gradi, perché di questo ci racconterà Francesca più avanti. Nel 2018 il logo viene sottoposto a un restyling, ponendolo più in linea con quello che era il mercato del momento. Il punto nevralgico è Napoli ma non va male neppure Milano, dove ovviamente il menù è un po’ diverso: i prodotti sono gli stessi ma cambia la proposta in base ai gusti locali; nel capoluogo meneghino è infatti possibile trovare, per esempio, un menù fit con piatti come carpaccio di bufala o uno yogurt di bufala. È risaputo che – sì“Fratelli La Bufala” si focalizza sulla pizza ma nasce anche con la cucina e, infatti, non manca di portare attraverso di essa la tradizione napoletana e campana in Italia e nel mondo.

Tornando ai valori, “Fratelli La Bufala” si concentra molto sul sociale, sull’am-

biente ed è proprio per questo motivo in particolare che ho avuto il piacere di intervistare Francesca Marotta, la quale, oltre ad avere un ruolo legato all’eredità di famiglia, è anche Marketing Executive dell’azienda.

Da quanto ho appreso, lei non amava “fare molta pubblicità” di certe cose ma la realtà è che avrebbe dovuto fin da subito, in quanto l’impegno che dimostra, insieme a tutti coloro che ruotano intorno all’azienda, è un esempio di umiltà, generosità e etica per tutti.

Francesca, i locali sono tanti: qual è l’identità che li accomuna e quali sono i plus che contraddistinguono l’insegna Fratelli La Bufala?

Strutturalmente parlando, ogni locale presenta i tratti distintivi del brand: il forno tendenzialmente a vista, l’albero delle mozzarelle o la bufalata, lo scudo con il corno ecc. ma ognuno di essi, poiché non ci piace l’idea di “catena”, è comunque a sé e ha una propria identità, a partire dal menù per finire con lo stile, sul quale lavora un nostro artista. Ognuno si adatta molto al territorio; per esempio, a Reggio Calabria abbiamo raccontato la storia di Scilla e Cariddi. Avendo noi parlato molto di Partenope, essendo appunto partenopei, ci piaceva l’idea di collegarla a un’altra mitologia. L’identità italiana è importante ma lo è altrettanto quella di ogni luogo.

Ma, al di là del comparto ristorazione in senso stretto, siete molto attenti anche alla sostenibilità ambientale e sociale. So che investite molto in questo senso, raccontami in che modo.

Il nostro principale progetto di sostenibilità nasce nel 2011 con “finché c’è pizza c’è speranza”. È un laboratorio all’interno del carcere di Nisida dove formiamo i ragazzi che, una volta usciti, assumiamo come

pizzaioli. Tutti i giorni fanno due ore di formazione di pizza, così che possano poi essere reinseriti nel mondo lavorativo. Nel 2013, per l’iniziativa, c’è stata una svolta con l’apertura de “La Pizzeria dell’Impossibile” nel centro storico di Napoli. Qui, oltre a continuare la formazione per alcuni ragazzi una volta usciti da Nisida, ne formiamo anche altri a rischio. Giovani che sono nel circuito penale ma ancora in tempo per non finire in carcere. Ma non solo Mio padre aveva un sogno, ovvero dar da mangiare a tutti coloro che ne avessero bisogno: ecco perché la pizzeria è anche una sorta di mensa per i poveri ma diversa. Nel senso che ha tutto l’aspetto di una pizzeria. I ragazzi la mattina fanno pratica e poi aprono, servono ai tavoli. Chiunque entri lo fa con la propria dignità, si siede, talvolta anche con la famiglia, i figli e ordina a scelta tra una Marinara e una Margherita, una coca-cola o l’acqua, vivendo un’esperienza di pizzeria a tutti gli effetti ma senza pagare il conto.

Siete l’esempio che attraverso la pizza si può creare un mondo più equo e solidale, inclusivo e, anche, che ci si possa riscattare, cosa che non molti credono.

In effetti non abbiamo mai voluto comunicare molto, per scelta. Mio padre lo faceva davvero per beneficenza e ovviamente è ancora così, però, poiché questo è il progetto più importante che abbiamo (si legge l’emozione sul volto di Francesca), ci tengo veramente tantissimo, mi dispiaceva vedere che altri comunicassero cose molto meno reali rispetto a questa e noi nulla. In questo modo, comunicando, si crea un flusso positivo e abbiamo avuto

la possibilità di scoprire nuove realtà, con le quali darsi un esempio reciproco. Visto che questa iniziativa va avanti dal 2011, vuol dire che è molto reale. Collaboriamo con l’associazione “Scugnizzi”, che coordina tutto con i ragazzi. Il nostro maestro pizzaiolo va lì tutti i giorni e apre tre volte a settimana, dalle 12:00 alle 14:00, sfornando un centinaio di pizze al giorno.

I nostri fornitori ci sostengono e non ti nascondo che la scelta del partner dipende spesso anche da questo, nel senso che prediligo chi è in linea con i nostri valori e questo progetto. Inoltre, tornando al discorso ambientale, nel 2020 il nostro ingegnere ha brevettato un forno sostenibile, con un bruciatore interno che ci permette di mantenere la temperatura, fare la classica cottura a legna ma a basso impatto ambientale che abbatte la produzione di fumo e fuliggine del 90%. Nel 2022, abbiamo iniziato a sostenere il progetto di una nuova start-up sulla coltura acquaponica, una tecnica di agricoltura fuori suolo con cui puntiamo a produrre il basilico napoletano per le nostre pizze. Risparmiamo così il 98% di acqua e rivalorizziamo il territorio della “Terra dei Fuochi”.

In pratica riqualificate il territorio e le persone.

Ci teniamo moltissimo. Siamo anche partner di “Too Good To Go”, per il discorso dello spreco del cibo, anche se in Italia è capito poco. Per evitare sprechi, abbiamo la cucina espressa. Tendenzialmente, tutti i nostri partner rispecchiano i nostri valori. La nostra carta antigrasso, per esempio, è riciclata, così come le nostre tovagliette ecc.

Diciamo che avete in qualche modo ridefinito tutto il comparto della pizza, di Napoli e, un po’ in generale, della ristorazione attraverso vari impegni, che siano sociali o ambientali, elargendo semplicemente sani principi. Sulla base di tutto questo, come vedi il futuro di questo mondo?

È una bella domanda. Questo mondo è particolare, sicuramente molto dinamico e competitivo. Credo, o meglio spero, ci sia un ritorno alle cose vere. Nel senso che purtroppo, secondo me, negli anni la comunicazione ha divagato troppo, ha dato voce a persone che non meritavano di averne. Credo e spero però che la gente abbia bisogno di tornare ai veri valori, a sani principi. Davvero rischiamo tanto se non torniamo su una strada corretta. Credo che mio padre lo avesse già immaginato Quando è nata “Fratelli La Bufala”, c’era una frase di Toro Seduto scritta nel locale: “Quando avranno inquinato l’ultimo fiume, abbattuto l’ultimo albero, preso l’ultimo bisonte, pescato l’ultimo pesce, solo allora si accorgeranno di non poter mangiare il denaro accumulato nelle loro banche”. È una frase che ricordo fin da quando ero piccola, è stata scritta quasi in tutti i FLB, nati proprio con questo spirito. Tutta la parte di valori è sempre stata questa e li portiamo sempre con noi. In modo diverso perché il mondo è cambiato ma comunque spero in un ritorno al reale e al genuino. Ho grosse speranze, perché ho visto molti giovani, anche napoletani, che ci credono. Non vogliono strafare, cosa che spesso è controproducente, c’è chi “fa bene”.

Tornando alla Pizzeria dell’Impossibile, so che a vegliare sui presenti c’è Giuda di Taddeo, santo protettore proprio delle cause impossibili, che voi però rendete possibili. Un esempio è Daniele Gagliotta che, dopo Nisida, è diventato un “pizzaiolo-star” per così dire.

I ragazzi sono tantissimi. Io li conosco personalmente, alcuni hanno la mia età, altri sono più piccoli. Adesso per esempio abbiamo due ragazzi, entrambi usciti da Nisida, uno ha fatto 18 anni con noi praticamente; appena compiuti, lo abbiamo assunto ufficialmente mentre l’altro sta finendo la formazione. Poi, Matteo che adesso è a Via Medina, Vincenzo Cordella che ha lavorato a Milano per tanti anni e si sposterà a Roma. Un altro ragazzo al centro commerciale “Campania” che fa anche 1200 pizze nel weekend e quindi

lavora moltissimo. Poi, ci sono ovviamente ragazzi che non lavorano con noi però siamo a 300 persone formate e almeno 190 che lavorano, chi per noi chi no. C’è anche chi vuole fare altro. Anche lo stesso Daniele, in realtà, alla fine, dopo aver fatto una serie di aperture per noi, ha deciso di restare in Messico, avere una sua famiglia e fare il consulente. Molte di queste storie sono state raccontate nella serie RAI “Mare Fuori”, per la quale i nostri ragazzi sono stati intervistati.

Francesca me lo devi dire: che cosa si prova sapendo che fondamentalmente avete “ridato vita” a qualcuno, offrendo una concreta possibilità di futuro?

Ogni volta che guardo Matteo non so (le si illuminano gli occhi), non so dirti, è forse la soddisfazione più grande che ho. Certe volte vorrei tanto dedicarmi solo a quello! Ti dà un’immensa soddisfazione sapere che qualcuno ha trovato la sua dimensione salvandosi. Cioè, è una cosa indescrivibile, ti dà moltissima speranza e anche tanta forza. Certe volte ridà vita anche a me.

Mi piace andare spesso a Nisida per vedere i ragazzi, conoscere le loro storie, capire chi sono. Purtroppo, ci sono anche quelli non recuperabili.

Immagino che il vostro non sia un impegno semplice e che vi “affezioniate” e speriate sempre nel meglio ma, proprio a tal proposito, credo abbiate anche vissuto situazioni di delusione.

Tante, purtroppo. I ragazzi vanno quasi allontanati da Napoli spesso e volentieri, perché il contesto fa veramente la differenza. Anche ragazzi sui quali io avevo scommesso. Sono qui da solo 4 anni ma non ti nascondo che ho gioito nel vedere gioire chi ha visto la sentenza risolversi, quando erano liberi di fare ciò che volevano. Poi però li ho visti anche ricadere più volte e quello è brutto. Spesso non li puoi aiutare.

Non si può salvare tutti, questo è risaputo.

Non sei con loro tutto il tempo, non li puoi controllare in un certo modo purtroppo.

Questa missione è un’arma a doppio taglio, in effetti.

Esattamente, sì. All’inizio era molto difficile comunicarlo, anche perché un tempo era proprio una novità tutto ciò. Mentre oggi si sente parlare di queste iniziative nell’ordinario ma 12 anni fa era un’innovazione. Oggi il tema sociale va più di moda, è più capito per così dire. Escludiamo ovviamente un paio di reati, tra cui la violenza sulle donne e la camorra. Ci concentriamo su tutto il resto, che è tanto in realtà. Da quando sono entrata io, ho visto l’età media abbassarsi e non è bello. A Nisida vengono ragazzi da tutta Italia, è il carcere minorile più grande e popoloso del Paese. Adesso non c’è più la parte femminile, li hanno dovuti dividere perché non era più gestibile tenerli nella stessa struttura. Lì, facciamo spesso degli eventi aziendali, tra cui il pranzo di Natale, perché in realtà è un posto veramente magico. Devo dire che i ragazzi in un certo modo sono anche fortunati, perché vengono formati e vivono un posto bellissimo. Io dico sempre che Nisida è il regalo che ha fatto Napoli ai ragazzi.

Altri bei progetti futuri?

Quest’anno siamo molto aperti alle collaborazioni. Cerchiamo di collaborare con molte realtà napoletane, per i giovani che vogliono “fare bene”. L’anno scorso con “Salumeria Malinconico”, abbiamo creato il format “Bufala&Friends” che mira

proprio a valorizzare piccole e grandi realtà napoletane, a partire dai prodotti, la tradizione, la napoletanità. L’idea è di farlo anche con altre realtà, anche se per ora ci siamo soffermati su quella che conosciamo meglio. Insomma, collaborazioni positive con persone che sposano i nostri valori. Poi, stiamo cercando di investire sul discorso delle masterclass e dare non solo l’opportunità di venire a mangiare ma anche di mettersi alla prova. Toccare con mano i nostri prodotti, anziché vederli soltanto, è una bella cosa.

Qual è la tua pizza preferita?

La Cosacca mi piace tanto, è veramente buonissima A parte questa, poi, dipende un po’ dal menù; per esempio, attualmente preferisco la Cilentana con melanzane, pomodorini gialli, cacioricotta del Cilento e mandorle. Nelle pizzerie, in generale, però, provo sempre la Margherita.

Se volessi dare un consiglio a qualcuno rispetto a come approcciare al futuro nonostante i problemi?

Ci vogliono sicuramente tanta pazienza e costanza, credere in ciò che si fa e nell’obiettivo che si vuole raggiungere. I ragazzi spesso sono molto frettolosi, vogliono tutto e subito ma, prima di ottenere, bisogna costruire. La pazienza – che in realtà io non ho, è un lavoro che ho fatto tanto anche su di me – è importantissima. In generale le cose hanno bisogno del proprio tempo.

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Una pizza napoletana dall’impasto leggero e dal cornicione ben alveolato, 100% “Made In Italy”.

L’hai sempre sognata? Da oggi esiste e si chiama Smorfia®, una miscela unica di soli e selezionati grani italiani, eletta farina per pizza napoletana di tradizione dai pizzaioli più esperti e approvata dall’Associazione Verace Pizza Napoletana.

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Noi siamo Natura.

Torna a Torino

Terra Madre

Salone del Gusto

Silvia Ceriani, Slow Food Italia

Welcome back! Terra

Madre Salone del Gusto

torna a Torino, a Parco

Dora, per la sua 15esima edizione, dal 26 al 30 settembre 2024.

Un evento senza barriere, accessibile gratuitamente, per il quale sono attesi a Torino oltre 600 produttrici e produttori italiani e internazionali protagonisti del Mercato, e le delegate e i delegati delle comunità di Terra Madre – migliaia di contadine e allevatori, cuoche e rappresentanti dei popoli indigeni, migranti e giovani attivisti da 150 paesi del mondo, pronti a raccontare le proprie esperienze di lavoro e di vita.

E inoltre, artiste, scrittori, filosofi, economiste, ambientalisti, esponenti di diversi ambiti culturali provenienti da tutto il mondo, che daranno il proprio contributo alle riflessioni sul tema centrale di questa nuova edizione: We Are Nature, noi siamo natura, inteso come il rapporto equilibrato degli esseri umani con la natura, con tutta la natura. E che si confronteranno sulla cultura del cibo buono, pulito e giusto, l’attenzione per la

biodiversità, il suolo, i boschi, le acque dolci e gli oceani, i saperi delle comunità.

Parco Dora: simbolo di rigenerazione urbana

Per la seconda volta Terra Madre torna a Parco Dora – oltre 35 ettari ricavati sui siti dismessi di cinque fabbriche della Fiat e della Michelin, attive fino agli anni Novanta –, simbolo potente di rigenerazione della città nella prima periferia nord di Torino. Un luogo che racconta una storia coerente con il tema della manifestazione, mostrando come sia possibile ritrovare il proprio posto nella natura, anche in un contesto urbano.

Un luogo magico, che mantiene sedimenti del recente passato industriale (tettoie di ferro, grandi pilastri color ruggine, una torre di raffreddamento…), talvolta li trasforma (una vecchia ciminiera ora è torre campanaria della chiesa del Santo Volto, l’ex mensa della Michelin oggi ospita il Museo dell’Ambiente) e li accosta a prati, alberi, vasche e corsi d’acqua.

Tra Laboratori del Gusto, conferenze e attività di educazione… 700 appuntamenti per voi!

Conferenze dedicate ai grandi temi di attualità –dalla crisi climatica alla tutela della biodiversità, dal caporalato al potere delle multinazionali. A Terra Madre convergono nomi di spicco del panorama internazionale, e dialogano con produttori, attivisti dei popoli indigeni, studenti delle scuole, per mostrare come la via della natura sia percorribile. Anzi gli esponenti delle reti Slow Food: Slow Grains, Slow Olive, Slow Beans… la stanno già percorrendo quotidianamente col loro lavoro, fonte di prodotti indimenticabili.

E inoltre Laboratori del Gusto in cui scoprire tutto il sapore della natura: dai formaggi che portano in sé il sapore dei prati, delle

essenze alpine e dei fiori appenninici, ai pani realizzati con grani antichi, dai salumi naturali che provengono da animali allevati all’aperto, allo stato brado o semibrado, a vini che sono espressione dell’agricoltura biodinamica, rispettosa del suolo e della biodiversità. Sono tanti i prodotti che a Terra Madre mostrano come anche una semplice degustazione possa portarci dalla parte della natura. E ancora i caffè, i dolci, gli aceti, e le ricette dei cuochi dell’Alleanza Slow Food dall’Italia e dall’estero – dall’arcipelago Visayas nelle Filippine al Ghana, dall’Ecuador alla Cina, dalla Colombia alla Galizia… Un mondo di culture e sapori che si dà appuntamento a Torino.

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Il Mercato e gli altri spazi

autoctone, varietà di ortaggi e di frutta, pani, formaggi, salumi, dolci tradizionali, ne sono attesi circa 200 da tutta Italia e molti paesi del mondo.

E inoltre grandi spazi espositivi dedicati alle regioni italiane e ai loro prodotti, e alle realtà internazionali che fin dalla prima edizione impreziosiscono la manifestazione e ne arricchiscono il messaggio. Fino agli spazi che rappresentano le grandi progettualità di Slow Food: le fattorie agroecologiche, l’orto, e il percorso esperienziale che ci consente un’immersione nell’ambiente agrosilvopastorale, dai boschi alle attività legate alla pastorizia, per finire con la preziosissima biodiversità animale e vegetale montana, tra erbe selvatiche, funghi, api e impollinatori. E moltissimo altro.

Siamo solo all’inizio: il programma si comporrà di circa 700 appuntamenti. Potete scoprirli qui: https://2024. terramadresalonedelgusto. com/evento/

Oltre 600 produttori da tutta Italia e da diversi Paesi del mondo. Nel mercato di Terra Madre Salone del Gusto è possibile trovare tanti esempi concreti di un cibo che sia piena espressione della relazione tra essere umano e natura, prodotto in armonia con la terra e le sue risorse, senza eroderle. Il mercato vetrina della straordinaria diversità gastronomica dei cinque continenti. Un posto d’onore, come sempre, spetta ai Presìdi Slow Food – produttrici e produttori di piccola scala che lavorano ogni giorno per salvare dall’estinzione razze

Tutte le info qui: https://2024.terramadresalonedelgusto.com

LE AZIENDE INFORMANO

CAMPIONATO MONDIALE DELLA PIZZA 2024

LE INTERVISTE AI PARTNER

31 CAMPIONATI DEL MONDO: E TU QUANTI NE HAI FATTI? QUAL È IL TUO PRIMO RICORDO?

Il ricordo più suggestivo del campionato è la passione dei pizzaioli nel fare il loro mestiere e l’impegno e la dedizione verso l’arte della pizza.

La consapevolezza della notorietà e la partecipazione da parte dei pizzaioli di tutto il mondo a questo campionato è degno di nota e deve ritenersi una soddisfazione non solo per gli organizzatori dell’evento ma per tutto il settore dell’arte bianca.

COME SONO CAMBIATI I

PIZZAIOLI OGGI? QUALI

SONO LE LORO RICHIESTE?

Negli ultimi anni, la figura del pizzaiolo ha subito una trasformazione significativa. Questo cambiamento è stato influenzato da vari fattori, tra cui l'evoluzione delle tecniche culinarie, l'attenzione crescente verso la qualità degli ingredienti, l'innovazione tecnologica e le nuove esigenze dei consumatori. Il ruolo del pizzaiolo è in continua evoluzione, passando da un mestiere tradizionale a una professione altamente specializzata e rispettata. Le richieste dei pizzaioli moderni riflettono questa trasformazione, puntando verso una maggiore qualità, sostenibilità e professionalizzazione del settore.

AL PASSATO: COSA

PENSI CHE ABBIAMO

PERSO E CHE ANDREBBE RECUPERATO?

Guardando al passato della pizza, possiamo identificare diversi elementi che si sono persi con il tempo e che potrebbero essere recuperati per valorizzare ulteriormente questa amata pietanza, per esempio:

Forno a Legna: La cottura nel forno a legna, con la sua capacità di raggiungere temperature elevate e conferire alla pizza un caratteristico sapore affumicato, è un elemento distintivo della pizza tradizionale.

Ricette Familiari: Le ricette della pizza venivano spesso tramandate di generazione in generazione, con ogni famiglia che aveva il suo tocco unico

Ingredienti Semplici: In passato, la pizza era un cibo semplice, fatto con pochi ingredienti freschi e genuini. Tornare a questa semplicità può aiutare a riscoprire il vero sapore della pizza, lontano dalle versioni troppo elaborate e cariche di ingredienti moderni.

Recuperare questi elementi del passato può contribuire a riscoprire e valorizzare l'autenticità della pizza, mantenendo vive le tradizioni che hanno reso questo piatto famoso in tutto il mondo.

LA TUA AZIENDA

E IL FUTURO DELLA PIZZA: QUALI PROGETTI PER DOMANI?

Siamo fieri dei risultati raggiunti finora. I progetti che ci aspettano per il futuro sicuramente comprendono un continuo stare al passo con i tempi.

Non vediamo l’ora di sviluppare e lanciare attrezzatura utile ed efficacie ai pizzaioli di tutto il mondo per realizzare impasti e pizze degne di nota.

A SCUOLA DI PINSA

Risponde Davide D’Eramo

1. Che cos’è la pinsa e a quale tradizione fa riferimento?

La pinsa è un prodotto creato da Corrado di Marco nel 2001 con l'intento di offrire un'alternativa alla pizza tradizionale. La pinsa si distingue infatti per essere più leggera nell’impasto, meno calorica e più digeribile rispetto alla classica pizza presente sul mercato. Conosciuta come pinsa romana, essa si rifà alla tradizione della pizza romana e rappresenta un'evoluzione di quest'ultima.

2. Napoli è la capitale della pizza “tonda”, “al piatto”, di quella che definiamo “napoletana”: c’è spazio per la pinsa?

Penso che in qualsiasi parte del mondo ci sia spazio per la pinsa romana, anche in un mercato difficile come quello napoletano, dove la pizza napoletana è la protagonista indiscussa per eccellenza. Tuttavia, la pinsa è un prodotto davvero versatile che si adatta facilmente alle diverse tipologie di ristorazione. Mentre la pizza napoletana è tipicamente servita in pizzerie o ristoranti, la pinsa romana può essere proposta anche in bar, alberghi o pub.

3. Perché una pinsa potrebbe valorizzare l’agrobiodiversità campana?

La pinsa romana potrebbe valorizzare l’agrobiodiversità campana poiché, grazie alle caratteristiche della base come qualità, leggerezza e croccantezza, è in grado di offrire una valida alternativa alla classica pizza esaltando al meglio gli ingredienti utilizzati per condirla e il gusto autentico dei prodotti campani. La pinsa romana potrebbe quindi arricchire l’offerta gastronomica locale e promuovere anche la tradizione della Campania.

4. Che ricetta ci consigliate per una “pinsa napoletana”?

Se penso a Napoli e alla Campania mi vengono in mente due ricette per condire la Pinsa Di Marco. Una classica margherita, con pomodoro San Marzano, bufala campana e basilico fresco oppure una pinsa carrettiera, con base mozzarella fior di latte, friarielli e salsiccia di suino nero del casertano. Ricette semplici, con i prodotti del territorio in grado di esaltare i sapori autentici della cucina campana.

Le Camere di Commercio: alleate insospettabili per pizzerie e ristoranti

Nel panorama complesso e competitivo del settore della ristorazione, le pizzerie ed i ristoranti spesso si trovano a dover affrontare numerose sfide, dalla burocrazia alle normative igienico-sanitarie, dalla promozione del proprio locale alla gestione del personale. In questo scenario, una risorsa spesso sottovalutata eppure preziosa è rappresentata dalle Camere di Commercio, che offrono una serie di servizi gratuiti a sostegno delle imprese del territorio. Conosciamoli meglio.

Informazione e aggiornamento

Le Camere di Commercio sono un punto di riferimento fondamentale per rimanere aggiornati su tutte le novità che riguardano il settore. Attraverso i loro siti web, newsletter e sportelli informativi, le Camere di Commercio mettono a disposizione delle imprese una vasta gamma di informazioni e materiali utili, come guide pratiche, FAQ e modulistica.

Formazione e qualificazione

Per migliorare le competenze del proprio personale e offrire un servizio sempre più efficiente e di qualità, le Camere di Commercio organizzano corsi di formazione gratuiti o a prezzi agevolati su diverse tematiche, come ad esempio la gestione d'impresa, il marketing, la comunicazione, la sicurezza alimentare. Inoltre, promuovono l'ottenimento di certificazioni di qualità che possono valorizzare l'offerta delle imprese e aumentare la loro competitività sul mercato.

Promozione e internazionalizzazione

Le Camere di Commercio supportano le imprese attraverso corsi e iniziative per la promozione del proprio locale e dei propri prodotti, sia a livello locale che internazionale. Attraverso fiere, eventi di settore e piattaforme online, mettono in contatto le imprese con potenziali clienti e partner commerciali, favorendo l'ampliamento del loro mercato e l'incremento delle vendite.

Assistenza e consulenza

Le Camere di Commercio offrono servizi di assistenza e consulenza gratuiti o a prezzi agevolati su una vasta gamma di tematiche, come ad esempio l'avvio di un'attività imprenditoriale, la gestione amministrativa e contabile, l'accesso al credito, la tutela dei marchi e dei brevetti, l'e-commerce e il digitale. Inoltre, supportano le imprese nella risoluzione di problematiche con la pubblica amministrazione e nell'adempimento degli obblighi fiscali e contributivi.

Finanziamenti e agevolazioni

Le Camere di Commercio informano le imprese sulle opportunità di finanziamento e sulle agevolazioni disponibili a livello locale, nazionale e comunitario, aiutandole a trovare informazioni sulle risorse necessarie per realizzare i loro progetti di investimento e sviluppo.

Oltre ai servizi fin qui indicati, le Camere di Commercio possono offrire anche:

• Servizi di analisi e ricerca di mercato per individuare nuove opportunità di business

• Assistenza per la partecipazione a bandi di gara e appalti pubblici

• Promozione dei prodotti tipici e del territorio

• Mediazione e conciliazione in caso di controversie commerciali

I Punti Impresa Digitale (PID): un faro per la digitalizzazione delle pizzerie e dei ristoranti e per il futuro del settore della ristorazione

All'interno delle Camere di Commercio italiane, i Punti Impresa Digitale (PID) si distinguono come veri e propri centri di eccellenza per la digitalizzazione delle imprese. Nati per supportare le Micro, Piccole e Medie Imprese ad affrontare le sfide e le opportunità dell'era digitale, i PID rappresentano una risorsa preziosa anche per le pizzerie e i ristoranti che desiderano abbracciare il mondo digitale e ottimizzare i propri processi.

In un mondo sempre più connesso, la digitalizzazione rappresenta un'opportunità imprescindibile per le pizzerie e i ristoranti che vogliono rimanere competitivi e prosperare. I Punti Impresa Digitale, con i loro servizi mirati e la loro assistenza qualificata, rappresentano un alleato strategico per le imprese del settore della ristorazione che vogliono abbracciare il digitale e cogliere i benefici che ne derivano in termini di crescita, visibilità e fidelizzazione dei clienti.

I PID possono essere utili per pizzerie e ristoranti, offrendo un importante supporto per:

• Creare un'identità digitale: I PID offrono supporto nella creazione e gestione di un sito web professionale, fondamentale per presentarsi al meglio online e attirare nuovi clienti. Inoltre, aiutano le imprese a sviluppare una strategia di marketing digitale efficace, sfruttando i canali social, l’e-mail marketing e le campagne di advertising online per raggiungere il proprio target di riferimento.

• Vendere online e ricevere ordini digitalmente: I PID supportano le imprese nell'attivare la vendita online attraverso siti web o piattaforme di e-commerce dedicate.

Inoltre, forniscono assistenza per individuare e implementare sistemi di ordinazione e pagamento online, velocizzando il processo di ordinazione e migliorando l'esperienza del cliente.

Da oltre 30 anni Leader nel packaging della pizza per asporto

Produciamo contenitori di prima qualità nel pieno rispetto dell'ambiente

• Gestire i clienti in modo efficiente: I PID aiutano le imprese ad adottare strumenti digitali per la gestione delle relazioni con i clienti (CRM), consentendo di raccogliere dati sui clienti, personalizzare le offerte e fidelizzare la clientela. Inoltre, supportano l'utilizzo di software per la gestione delle prenotazioni e dei tavoli, ottimizzando il flusso dei clienti nel locale.

• Formazione e aggiornamento continui: I PID organizzano corsi di formazione gratuiti o a prezzi agevolati su tematiche specifiche del digitale, come la creazione di siti web, il social media marketing, l'e-commerce e la sicurezza informatica. Inoltre, forniscono materiale informativo e risorse online per rimanere aggiornati sulle ultime tendenze del settore digitale.

I PID possono offrire anche:

→ Consigli per la gestione della sicurezza informatica

→ Supporto per la partecipazione a bandi e incentivi dedicati alla digitalizzazione delle imprese

I Punti Impresa Digitale rappresentano una risorsa preziosa e un'opportunità da non perdere per le imprese della ristorazione che vogliono intraprendere un percorso di digitalizzazione efficace e sostenibile.

Per usufruire dei servizi offerti dalle Camere di Commercio o dai PID, si possono consultare i siti web delle Camere di Commercio locali o contattare direttamente gli sportelli informativi dei PID. L'accesso ai servizi è generalmente gratuito o prevede il pagamento di tariffe agevolate.

Il sito web nazionale dei PID è https:// www.puntoimpresadigitale.camcom.it.

Le Camere di Commercio rappresentano un alleato prezioso per le pizzerie ed i ristoranti, offrendo una serie di servizi gratuiti o a prezzi agevolati che possono contribuire in modo significativo al loro successo. Conoscere e utilizzare questi servizi è un'opportunità da non perdere per tutte le imprese che vogliono crescere e prosperare nel competitivo settore della ristorazione.

Pizza fritta

a cura della Dott.ssa Marisa Cammarano, biologa nutrizionista

Lapizza fritta è uno dei vanti della cucina partenopea, anzi, è in assoluto uno degli street food più amati. Si tratta di una golosissima pizza ripiena, cotta in abbondante olio e servita caldissima. Maestosamente rappresentato dalla meravigliosa Sofia Loren che in “L’oro di Napoli” vendeva queste prelibatezze a tantissimi clienti ai quali veniva data la possibilità, viste le difficilissime condizioni economiche del popolo, di pagare dopo 8 giorni. Essendo un prodotto così radicato nella cultura e nel territorio partenopeo è logico, anche, che c’è “la ricetta classica”.

Tra le strade del centro a Napoli non è raro, quindi, trovare venditori che friggono al momento queste delizie, che possono essere farcite a piacimento, anche se è, quasi sempre, la versione classica che la fa da padrona. Non è un piatto “dietetico” e questo lo si capisce da subito. Qualsiasi cibo, anche il più salutare, fritto, acquista un quantitativo di calorie in più. Tuttavia, anche in una dieta, godersi un piatto del genere è lecito. Basta modulare il resto dei pasti o, ancora più semplicemente, ridurne le quantità. La ricetta classica originaria aveva al suo interno solo ricotta, pepe nero e cicoli o ciccioli. I ciccioli sono un altro prodotto tipico napoletano ottenuto dalla lavorazione dello strutto. Poi nel tempo, al ripieno tradizionale è stato aggiunto il pomodoro ed anche fior di latte e provola.

La pizza fritta è un piatto caratterizzato, dunque, dalla presenza della ricotta, un latticino leggero e molto digeribile, indicato nelle diete ipocaloriche. Si tratta di un formaggio con un buon apporto proteico e poche calorie. Con un quadro vitaminico sufficientemente bilanciato. La ricotta contiene vitamine  B12, A, C, E, D, calcio e fosforo. I pomodori aumentano l’apporto degli antiossidanti grazie al licopene, un carotenoide utilissimo a contrastare l’invecchiamento cellulare e prevenire le malattie cardiovascolari.

Un eccessivo consumo di pizza fritta, o ad altri alimenti fritti, espone ad un maggior rischio di problemi cardiovascolari. I pericoli del mangiare troppi cibi fritti sono legati, soprattutto, al surriscaldamento dell’olio. Proprio l’olio, infatti, quando viene esposto a temperature molto alte rilascia sostanze chiamate aldeidi che provocano un aumento della pressione del sangue e la diminuzione dei livelli di colesterolo buono.

Tendenzialmente il prodotto, quando parliamo di una buona e gustosa frittura, deve friggere a temperature molto alte: ogni tipo di olio, sia da frutto che da semi, ha un suo punto di fumo, una temperatura oltre la quale non si dovrebbe andare perché in quel modo si vanno a formare delle sostanze pericolose per la salute, come l’acrilamide e l’acroleina. Raggiunto il punto di fumo, l’olio comincia a degradarsi e ad ossidarsi, con la glicerina che si stacca dall’acido grasso caratteristico di quel determinato olio e conseguente ossidazione che diventa sempre più veloce. Bisogna, quindi, saper scegliere l’olio adatto perché ogni olio ha una sua stabilità. Gli oli ricchi di grassi polinsaturi, come quello di mais e di soia degradano più velocemente, mentre quelli ricchi di acidi grassi monoinsaturi, come l’olio di oliva extravergine o di arachidi, che sono ricchi di acido oleico, sono molto più stabili, con un punto di fumo superiore. La pizza fritta, quindi, va mangiata saltuariamente a condizione che l’olio utilizzato per la frittura sia pulito e non bruciato.

Il segreto è, di conseguenza, proprio nell’olio che si utilizza per la pizza fritta. Anzitutto va utilizzato olio extra vergine di oliva. Durante la cottura questo olio mantiene le sue proprietà benefiche ed ha un punto di fumo elevato intorno al 210 gradi. Per questo si ha una temperatura alta per friggere. E’ importante, però, non superare mai i 180 gradi per non rischiare di scatenare il rilascio delle sostanze nocive.

Tra gli oli di semi, invece, il migliore per friggere è l’olio di arachidi. Ha una composizione nutrizionale “simile” a quello extravergine di oliva ed ha un punto di fumo abbastanza alto, intorno ai 180°. Uno studio pubblicato sul Journal of Medicinal Food dimostra che la cottura in olio riduce il carico glicemico degli alimenti, cioè la capacità di rilasciare zuccheri nel sangue. La cottura in olio bollente, infatti, sarebbe adatta a qualsiasi alimento e migliora le qualità organolettiche di ortaggi e cereali, come pure dei cibi proteici. In generale, quindi, la pizza fritta sarebbe più digeribile rispetto ad altri tipi di cottura. Tutto questo perché l’alimento si disidrata e quindi è facilmente aggredibile dai succhi gastrici. La pizza fritta e quella al forno differiscono notevolmente in termini calorici, principalmente a causa del metodo di cottura.

Mentre una porzione media di pizza al forno contiene circa 250-300 calorie, una porzione equivalente di pizza fritta può facilmente superare le 400 calorie. Questa differenza è attribuibile all’olio assorbito durante la frittura, che aumenta sia il contenuto calorico che quello dei grassi. In conclusione la pizza fritta è un piatto, sicuramente, delizioso ma calorico, il cui consumo richiede attenzione per non compromettere l’equilibrio della dieta quotidiana. Comprendere il contenuto calorico degli ingredienti chiave può aiutare a fare scelte consapevoli. Moderazione e bilanciamento sono essenziali per godere della pizza fritta senza eccessi. Ricordiamo che l’alimentazione deve essere varia e bilanciata e che l’attività fisica gioca un ruolo cruciale nel mantenimento di uno stile di vita sano.

Frutta e napoletana:pizza blasfemia o nuova tradizione?

Questo articolo potrebbe risolversi in una semplice risposta alla domandaprovocazione contenuta nel titolo – e qui ognuno potrebbe quindi dare la risposta che preferisce che, se si limitasse semplicemente ad una questione di gusto, consentirebbe di chiudere la discussione con due schieramenti contrapposti, i contrari ed i favorevoli – oppure cercare di fornire gli strumenti per capire come non solo qualsiasi riduzione semplicistica (il pensiero va ovviamente alla pizza

se condotta con intelligenza e non per provocare o stupire, sia ciò che consente alla cucina di evolversi e a noi di crescere. In uno svolgimento circolare, eccoci partire da un punto di inizio e ritornare allo stesso punto come finale: un paradosso, se non fosse che il personaggio che ci consente di compiere questa circolarità è uno dei più divisivi del mondo della pizza, Gino Sorbillo. È il 2017 quando Sorbillo, dopo una serata dedicata alla pizza con l’ananas, sembra chiudere definitivamen-

Passa qualche anno, il mondo della pizza attraversa evoluzioni considerevoli, quello dei social media ne vede di ancora maggiori e si arriva al 2023, anno in cui lo stesso Sorbillo propone l’ananas sulla pizza: lo fa passando il frutto al forno e mettendolo su una pizza bianca. Come avrebbe detto Frederick Frankenstein-Gene Wilder in quel capolavoro della storia del cinema che è “Frankenstein junior”: “Si può fare!”, al netto di passi indietro e polemiche. Abbiamo considerato una manciata di anni, nella storia della pizza con l’ananas: in realtà, le origini risalgono al 1962, anno considerato da tutti quello in cui nasce la “pizza hawaiana” (questo il nome della pizza con ananas e prosciutto).

Ne è ritenuto inventore il canadese di origini greche Sotirios “Sam” Panopoulos, che lavorava presso il ristorante “The Satellite” di Chatham-Kent in Ontario: secondo alcuni, l’ispirazione sarebbe derivata non tanto dalla cucina delle Hawaii, quanto piuttosto dagli accostamenti tra frutta e prosciutto, caratteristici della cucina dell’est, mentre secondo altri le origini sarebbe ricollegabili al toast Hawaii, che prevedeva una combinazione tra formaggio, prosciutto, ananas e ciliegie sotto spirito. Da allora, semplicemente, la pizza con l’ananas ha rappresentato una linea di discrimine: si ama o si odia, escludendo qualsiasi compromesso.

In Italia, pare che un problema di gradimento non si ponga neppure se non fosse per qualche curioso, sperimentatore, visionario o semplicemente innovatore.

Ecco, allora, che le prime crepe al muro di intransigenza cominciano a comparire: se si esclude Gabriele Bonci, che nel 2011 fa assaggiare ad Anthony Bourdain (siamo all’interno dello show culinario dello chef americano) la sua versione della pizza all’ananas (con prosciutto), è a Franco Pepe (Pepe in Grani, Caiazzo) che dobbiamo guardare.

Nel 2019 la sua Ananascosta è il risultato di un’analisi raffinatissima, firmata da uno dei più intelligenti interpreti della pizza contemporanea.

In un cono fritto, ecco ananas fresco (e non in barattolo, come nella versione originale del 1962) avvolto nel prosciutto crudo San Daniele, con una fonduta di Grana Padano DOP e una spolverata di liquirizia: niente pomodoro (per ridurre l’acidità), Grana Padano e San Daniele a dare sapidità, la freschezza dell’ananas in grado di bilanciare la frittura. Un’esecuzione che è già storia. Ci allontaniamo solo per un momento dalla geografia campana, ma ci torneremo. Se seguiamo la scia dell’ananas, eccoci nel 2019, con Renato Bosco: il “pizzaricercatore” propone il suo doppio crunch con prosciutto cotto, ananas alla senape, fior di latte e ricotta.

Nel capoluogo lombardo, invece è Simone Lombardi di “Crosta” a realizzare nello stesso anno una pizza con ventricina abruzzese, ananas cotto in forno e cipollotti in uscita. Esempi che dimostrano come siano ricerca e apertura gli ingredienti da cui partire, prima ancora che tutti gli altri.

foto Luciano Furia

Ma allora vale la pena sottolineare che non di solo ananas vive il mondo della sperimentazione della frutta sulla pizza. Altra grande protagonista assoluta è la mela Annurca, seguita dall’albicocca.

Ed ecco che torniamo in Campania: Francesco Martucci, nella sua “I Masanielli” di Caserta ha proposto appunto la “Annurca”: qui il frutto è ridotto in purea, dopo essere stato infuso con la vaniglia, accostato a guanciale croccante di suino grigio-ardesia, fior di latte e, all’uscita, Conciato romano.

A giocare con le consistenze è poi Luca Brancaccio, che nella sua pizzeria di Caserta ha creato una pizza composta da base bianca con fior di latte, lonzarda di maiale nero casertano e mela Annurca in purea, disidratata e fresca tagliata a fette sottilissime. A chiudere, confettura di pomodorino del Piennolo Dop e Conciato Romano grattugiato che, con il suo gran carattere, pare abbinarsi perfettamente alla mela.

NAPULE È

di Michele Croccia, Master Istruttore Scuola Italiana Pizzaioli

Napule è bellezza. Storia. Umanità. Napule è Paradiso e Inferno. Tutto e niente. Con quello che c’è in mezzo.

Napule è una città da vivere, anche nel mondo della pizza. Solo se la conosci bene puoi percepire tutta la sua magia e la sua emozione. Ho cominciato a fare pizze a 16 anni, in una pizzeria di Palinuro. Ci sono rimasto per circa tre anni e nel frattempo mi sono diplomato come perito tecnico. Quando, dopo il servizio di leva, sono tornato a Caselle in Pittari, ho rinunciato al posto “sicuro” nella più grande fabbrica del Nord e ho aperto la mia pizzeria, “La Pietra Azzurra”. Era il 1997: con l’aiuto della mia famiglia e con grandi sacrifici, abbiamo iniziato a costruirci il futuro. Le cose andavano bene, la pizza era buona e cominciavano ad arrivare i primi risultati ma io rimanevo un “pizzaiolo fotocopia”, ossia continuavo a fare la pizza esattamente come avevo imparato dal mio maestro.

Così, proprio grazie alla rivista Pizza e Pasta ho scoperto che la Scuola Italiana Pizzaioli faceva corsi di pizza e non ho esitato a partecipare. È cominciato lì il mio cammino per diventare un pizzaiolo in grado di conoscere e gestire i processi per fare una pizza. Ho imparato a fare vari tipi di pizza, tra cui la napoletana e mi sono iscritto all’Associazione Verace Pizza Napoletana.

Se dovessi sintetizzare il mio percorso professionale, lo farei con queste parole: imparare a fare bene la pizza napoletana, portarla nel mio locale, abbinarla alla mia azienda agricola e farne una mia versione con ingredienti coltivati da me o acquistati da aziende rispettose dei cicli della terra e dell’ambiente, secondo una metodologia che ho definito dei 5 cerchi concentrici: il mio orto, in località “la Creta”; il mio paese, Caselle in Pittari; il mio territorio, il Cilento; la mia regione, la Campania; il mio Paese, l’Italia. Il tutto gestito secondo tradizione e con la tecnica acquisita con anni di studio e di pratica.

La svolta decisiva è stata questa ed è in questo senso che Napule è e rimane la capitale indiscussa della pizza. Napule è una scintilla che ti accende la vita. Un po’ come è successo a me, che ero pizzaiolo fotocopia e sono diventato pizzaiolo contadino.

www.scuolaitalianapizzaioli.it

info@scuolaitalianapizzaioli.it

A dialogare ancora con il territorio con l’obiettivo di valorizzare i prodotti locali è di nuovo Franco Pepe che nel 2017 firma la Crisommola, una pizza dedicata all’albicocca del Vesuvio. Un prodotto locale, di cui si contano una quarantina di varietà ( pellecchiella , vitillo, vollese, boccuccia, prevetarella, ceccona, palummella ): tra tutte, la scelta di Pepe cade sulla vitillo , proposta in confettura su pizza fritta, con l’acidità del frutto a bilanciare e a sgrassare.

Ancora le albicocche: si chiama “Pizza Tatin Vesuvio” la proposta di Aniello Falanga della Pizzeria Haccademia a Terzigno.

Qui ecco la pellecchiella, che viene riletta in chiave francese con il riferimento alla nota tarte tatin francese. Le albicocche sono cotte in padella con burro e zucchero per meno di 10 minuti, poste alla base di una teglia e ricoperte con il panetto di impasto, sigillando la cornice con le mani. Una spolverata di zucchero e quindi la cottura, al termine della quale la pizza viene capovolta, completandola con scaglie di cioccolato fondente e noci. I modi per valorizzare frutta e pizza, insomma non mancano: la chiave è l’atteggiamento con cui ci si accosta ai due elementi, dimostrando di saperli valorizzare dialogando con il territorio.

® BORN TO BURN

Il sapore antico dei cicoli

Plinio il Vecchio affermava che da nessun altro animale, come dal maiale, deriva più materia per le crapule e che le sue carni offrono una serie di quasi cinquanta diversi sapori. Un suggello storico autorevole che certifica di

saggezza popolare punta alla praticità è pur vero che la posizione di Plinio verrà condivisa nei secoli da praticamente tutti gli studiosi e, se è opinione diffusa tra questi che il maiale è l’animale da carne per eccellenza del Medioevo, è

diversificazione nel consumo delle sue carni che corrisponde ai ceti sociali, definendo una scala gerarchica che da un lato va dalle frattaglie ai tagli più pregiati, dall’altro, analogamente, guarda alle classi più povere e fino alle più abbienti.

Tra le parti del maiale considerate meno nobili, concepite come un modo per sfruttare fino alla fine le infinite potenzialità del maiale e, contemporaneamente, per contrastare fame e miseria, ci sono i ciccioli.

Questo il termine italiano, perché alla declinazione dello stesso nei vari dialet ti corrisponde una differenza che diven ta una vera e propria geografia gastro nomica. Cicines Giulia, rasul nel Reggiano, ciccioli nel Mantovano, sfrizzoli

siccioli, cicoli, frittole, sprittoli, scittole Campania, sprinzuli o gigiole

Molise. Non è solo una questione di lin gua: ogni regione ha la sua ricetta che diventa patrimonio tradizionale.

Tra tutte, visto il tema di questo mese, abbiamo scelto di parlare della Campania e del modo in cui i cicoli siano diventati una preparazione identitaria.

I cicoli derivano dalla lavorazione del grasso sottocutaneo del maiale, in particolare ricavato dalla massa grassa che avvolge i reni ed i pezzettini di lardo che provengono dalla grossolana sgrassatura della cotenna e dei pezzi di carne destinati ai salumi. Il procedimento per ottenerli inizia con la lavorazione del grasso del suino: tagliato a dadini, si mette a cuocere a fuoco lento e costante, fino ad ebollizione, per non meno di tre ore, in paioli di rame o di acciaio, così da fondere la parte grassa e consentire l’evaporazione dell’acqua contenuta. Di fatto, la parte liquida della massa diventerà strutto o sugna (‘nzogna, in dialetto) mentre il residuo solido darà vita ai cicoli.

Quando i pezzi di grasso hanno acquistato un colore dorato vengono scolati e strizzati: la strizzatura può avvenire in torchietti in legno o acciaio oppure tra assi incernierate ad un lato, ma anche, per la preparazione casalinga, con lo schiacciapatate. Dopo la torchiatura, vengono aggiunti gli aromi (garofano, alloro, cannella, pepe, noce moscata e sale in dosi variabili e a seconda della mano del norcino). Per il consumo, rivelano una doppia natura: si possono mangiare a freddo, tagliati a fettine o cubetti, come qualsiasi altro affettato, come aperitivo o antipasto, oppure si possono utilizzare in ricette di vario tipo, che diventano uno spaccato sulla cucina campana.

Ripieno per farcire la pizza fritta, i cicoli vengono utilizzati anche in due preparazioni identitarie e tipiche del periodo pasquale: il tortano ed il casatiello. Spesso usati come sinonimi, in realtà differiscono per un dettaglio fondamentale: l’uso delle uova, aggiunte – nel casatiello – sode nell’impasto e crude e intere in superficie, dove sono tenute salde da pezzi di pasta disposti a croce, mentre inserite già sode a spicchi solo nell’impasto, nel tortano. Da assaggiare anche i cicoli con pane, ricotta e pepe, in insalata con sale e limone o come condimento per la pasta. Qualche esempio? Spaghetti con cicoli e ricotta fresca o paccheri con pomodorini, cicoli e ricotta di pecora.

A conferma di un consumo radicato nella tradizione, specie in alcune zone come l’Irpinia, i cicoli sono inseriti nell’elenco dei Prodotti
Agroalimentari Tradizionali della Regione Campania.

terinari della provincia di Salerno e dell’I stituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno, l’incontro ha rappresentato da un lato un’occasione per promuovere la valorizzazione di un prodotto gastronomico tipico, dall’altro un’opportunità per riflettere sulle ricadute che un simile riconoscimento potrebbe avere in termini di collaborazione e connessione tra produttori, consumatori e operatori turistici, su ricettività e ristorazione, a beneficio dell’economia locale e della filiera enogastronomica.

REFRATTARI VALORIANI S.R.L.

Via caselli alla fornace 213     50066 Reggello (FI) Tel: +39 055868069 valoriani@valoriani.it

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Da oggi la cottura della Vera Pizza Napoletana ha un’opzione in più!

Ai forni Valoriani a legna o gas, ormai collaudati da migliaia di pizzaioli in tutto il mondo, si aggiunge il nuovo forno elettrico MAXIMO.

La progettazione è partita dal presupposto di creare un forno elettrico di nuova generazione, in grado di riprodurre al massimo le caratteristiche della più tradizionale cottura in forni a fiamma viva, in particolar modo per la cottura della pizza Napoletana.

Nel mondo di oggi una pizzeria non sempre ha la possibilità di installare forni a legna a gas. I motivi possono essere molteplici, dagli aspetti burocratici di permessi, passando per l’aspetto ecologico fino alla personale preferenza del pizzaiolo di voler utilizzare un forno elettrico.

Oggi questo non significa più rinunciare né all’estetica del forno né ad un certo tipo di prodotto finale, dovendo dimenticare le tipiche caratteristiche del colore vivo della pizza, la sua fragranza e la sua sofficità. MAXIMO, il forno elettrico Valoriani, garantisce tutto questo grazie ai dettagli studiati con attenzione, dallo storico refrattario Valoriani, alla scelta e posizionamento delle resistenze elettriche, ai loro effetti infrarossi, senza dimenticare il brevettato Sistema di Ricircolo del Calore (RHS).

Questo è adesso anche garantito dall’Associazione Verace Pizza Napoletana (AVPN), che ha approvato il forno MAXIMO a seguito di attenti test da parte dei più esperti maestri della pizza Napoletana.

Per la cottura della vostra pizza avete soltanto l’imbarazzo della scelta!

Una pizza perfetta con l’AI: provocazione o predizione?

di Domenico Maria Jacobone

Spett. redazione,

le parole che Massimo Bottura avrebbe detto sulla pizza napoletana penso non siano affatto belle nei confronti di un prodotto con due secoli di storia.

Potete aiutarci a spiegare a Bottura che nessuna intelligenza artificiale può sostituire l’identità di un pizzaiolo? Grazie!

redazione@ pizzaepastaitaliana.it

Il 12 giugno 2024 è stata registrata la puntata del podcast “Possible” di Reid Hoffman (fondatore di LinkedIn ed investitore seriale) e della coconduttrice Aria Finger che hanno intervistato lo chef Massimo Bottura sull’argomento “on the future of food and creativity”. Il tema della puntata è stato (cit.):

“Quale ruolo potrebbe avere l’intelligenza artificiale nella preparazione del pasto perfetto? In che modo l’intelligenza artificiale trasformerà la creazione del cibo e la creazione in generale?”.

Massimo Bottura, leggendario chef e imprenditore italiano, discute con Aria e Reid del ruolo della gioia e dell’innovazio-

ne nella ristorazione raffinata, del potenziale della tecnologia per migliorare la connessione umana. E lo fanno anche con l’aiuto di PI. La prima AI che si definisce “emotivamente intelligente”.

Consiglio vivamente di ascoltare tutto il podcast, ma qualora trovaste più comodo leggero, la trascrizione integrale in italiano del podcast la potete trovare qui:

https://www.possible.fm/ podcasts/massimo/

Prima di sedermi a scrivere questo articolo, ho ascoltato e letto più volte gli interventi di Aria, Reid e Bottura; trovo questa chiacchierata a 4 (c’è anche l’AI, non dimentichiamola!) stimolante ed interessante ben oltre quello che ho letto nei vari post di mera critica letti. A tal proposito vorrei fare un personalissimo inciso: l’indignazione dei tanti (professionisti e non) intervenuti contro Bottura è probabilmente frutto di un misunderstanding perché probabilmente in pochissimi hanno ascoltato (e probabilmente compreso) l’intero podcast ed il senso nel quale è stato inserito quel frammento di conversazione che è stato ripreso nelle varie notizie e blog. Altrimenti non si spiegherebbe l’accanimento verso un concetto che viene stravolto solo dal parziale ascolto di un pezzo di qualche minuto sui 46 e rotti registrati.

Tornando al tema di questo articolo, sono assolutamente convinto che le “macchine” che sono sempre più sensibili e capaci di una grande manualità, a breve, saranno anche capaci di realizzare e stendere un impasto, condirlo, cuocerlo ed impiattarlo.

La mia riflessione non è frutto di una sfrenata fantasia perché dalla presentazione dei robot chef al C.E.S. di Las Vegas 2024 in poi se ne parla sulla stampa internazionale oramai da mesi.

Poi, potremmo fare delle riflessioni sul “romanticismo” del gesto manuale e dell’apoteosi dell’errore ma abbiamo dei parallelismi che invitano alla riflessione: prendiamo ad esempio lo Champagne. Da più di quindici anni, tutte le grandi Maison si sono convinte ad utilizzare il Remuage automatizzato fatto con cestelli metallici da un centinaio di bottiglie, appesi ad un braccio meccanico industriale che consente di fare lo stesso lavoro che faceva il remouer in 6 settimane, ma in una soltanto. In più, il braccio robotico non sbaglia mai l’angolo di inclinazione, né il “colpo” di gomito

per far scendere i depositi di lievito verso il collo della bottiglia (che poi verranno eliminati durante la “sboccatura”, ovviamente sempre automatizzata, ça va sans dire).

Il Robot Remouer non ha cuore ma proprio per questo non litiga con la moglie o i colleghi, non dorme, lavora 7 su 7 ed ha anche bisogno di poca manutenzione. E non gli viene nemmeno la tendinite. È un approccio sicuramente meno romantico rispetto al gesto (straordinario) di un maestro remouer che, al top della sua esperienza, può far girare 40.000 bottiglie in un giorno, ma l’uomo è dimostrabilmente meno accurato e costante (fatica, cuore, cervello).

Quindi, che male ci sarebbe se un macchinario fosse capace di replicare il lavoro di un pizzaiolo napoletano garantendo che il prodotto sia costante nel tempo e nello spazio così a Napoli come a Tokyo, New York o Sidney e quindi letteralmente dall’altro lato del mondo? E se la vostra impastatrice fosse in grado di preparare l’impasto perfetto rilevando temperatura ed umidità e adattando la vostra ricetta, cosa fareste di tutto il tempo

che oggi investite nella lavorazione dell’impasto?

La mia domanda non vuol essere provocatoria ma stimolare una riflessione sull’inconfutabile verità che il tempo è inesorabile ed in quanto tale è una risorsa che non possiamo gestire, bloccare, comprare.

La mia opinione è quella di un utilizzo olistico dell’aiuto dell’automazione affinché liberi tempo dalle incombenze quotidiane di routine, lasciando a noi professionisti l’allocazione di questo “spazio” recuperato per provare nuove ricette, occuparsi del commercialista, fare formazione al personale o a se stessi ma anche dedicare una carezza in più ad un figlio o ai propri affetti.

Altro discorso (e qui mi permetto di citare anch’io lo chef Bottura): se dovessi aprire una produzione industriale di pizze e mi dovessi occupare di avere una costante qualitativa e produttiva, non esiterei un secondo a cercare i migliori macchinari ed i migliori operatori umani da far convivere nella logica dei grandi numeri ma siamo fuori dalle porte di una pizzeria di quartiere e stiamo parlando di industria con volumi e necessità ben diverse da qualunque pizzeria (o catene di pizzerie).

A proposito di AI, ho chiesto a Gemini (l’AI di Google) di rispondere a questa domanda:

è possibile replicare una pizza margherita napoletana (patrimonio UNESCO) utilizzando il meglio della robotica, attrezzatura ed AI disponibile ad oggi?

Riporto integralmente la risposta:

“Gemini → Riprodurre fedelmente una pizza margherita napoletana, riconosciuta come patrimonio UNESCO, utilizzando le più avanzate tecnologie robotiche, attrezzature e intelligenza artificiale odierne, rappresenta una sfida complessa ma non impossibile. Analizziamo i fattori chiave:

1.

Impasto: Impastatrici robotizzate: Esistono già robot in grado di impastare con precisione, regolando velocità, tempi e ingredienti per ottenere un impasto omogeneo e sviluppato.

Sensori di monitoraggio: Sensori integrati possono misurare temperatura, umidità e viscosità dell’impasto in tempo reale, permettendo regolazioni automatiche per ottimizzare la lievitazione.

Intelligenza artificiale: L’AI può analizzare dati storici e parametri ambientali per creare algoritmi predittivi che adattino le ricette e i processi alle condizioni specifiche.

2.

Cottura:

Forni ad alta temperatura: Forni elettrici o a gas ad alte temperature (450°C o superiore) simulano il calore intenso dei forni a legna napoletani.

Pietre refrattarie: Pietre refrattarie di alta qualità garantiscono una distribuzione uniforme del calore e una cottura croccante della base.

Controllo intelligente della temperatura: Sistemi di controllo intelligenti regolano la temperatura e il tempo di cottura in base alle caratteristiche della pizza e al tipo di forno.

3.

Ingredienti:

Selezione accurata:

Ingredienti di alta qualità, come pomodori pelati San Marzano, mozzarella di bufala campana DOP e olio extravergine d’oliva, sono fondamentali per il gusto autentico.

Sistemi di dosaggio automatici:

Dosatori automatici assicurano la giusta quantità di ogni ingrediente, garantendo uniformità e riducendo gli sprechi.

Tracciabilità e verifica: Tecnologie di tracciabilità e verifica possono garantire l’origine e la qualità degli ingredienti.

Forno con alimentazione elettrica, dalle dimensioni contenute, concepito per la cottura di 1 o 2 pizze da 33 cm.

pinse.

Forni a tunnel con tappeto di cottura in refrattario. Montato su ruote e configurabile per ogni esigenza. Disponibile anche con tecnologia Industria 4.0.

4.

Assemblaggio e cottura:

Bracci robotici: Bracci robotici ad alta precisione possono posizionare gli ingredienti sulla base, distribuendoli uniformemente e creando la classica disposizione della pizza margherita.

Visione artificiale: Sistemi di visione artificiale possono identificare e correggere eventuali errori di posizionamento o difetti estetici.

Controllo automatico della cottura: Sensori monitorano la cottura della pizza in tempo reale, regolando il tempo e la temperatura per ottenere la doratura e la croccantezza desiderate.

Proiezione di risultato: combinando queste tecnologie, è ipotizzabile la creazione di un sistema robotizzato in grado di replicare la pizza margherita napoletana con alta precisione e costanza. Tuttavia, la sfida principale risiede nella riproduzione del “tocco umano” che contrad-

distingue la pizza artigianale, ovvero l’esperienza e l’intuito del pizzaiolo nel gestire l’impasto, la cottura e la selezione degli ingredienti.

In definitiva, la tecnologia può avvicinarsi molto alla replicazione della pizza margherita napoletana, ma il raggiungimento di un’autentica equivalenza con la pizza artigianale potrebbe richiedere ulteriori sviluppi e integrazioni che valorizzino il ruolo e la maestria del pizzaiolo”.

Commenterei questa risposta dicendo che l’AI di Google è abbastanza allenata da comprendere i limiti attuali e suggerire l’intervento del “tocco umano” per aspirare al meglio.

Un risultato migliore di quanto hanno fatto diversi umani interpellati sullo stesso tema. Chiudo questo articolo invitando i lettori ad una rifles-

sione ed a uno scambio di opinioni a proposito di questi cambiamenti, partendo da un concetto al quale sono particolarmente legato che è riassunto nella frase:

«L’innovazione è l’unica vera risorsa che non si esaurisce mai», di Peter Drucke.

Sorì: Eccellenza Casearia nel Mercato dei Prodotti Frozen

SORÌ ITALIA SRL

Tel: +39 0823 658013 +39 0823 658014 commerciale@soritalia.com

S.S. 6 Casilina

81057 Teano (Ce)

www.soritalia.com

Sorì, rinomata per l'artigianalità e la qualità nel settore caseario italiano, è tra i leader nel mercato dei prodotti frozen grazie ad un’esperienza ventennale.

L’azienda soddisfa con successo la crescente domanda globale offrendo una linea frozen dedicata di latticini di alta qualità con una shelf life fino a 18 mesi. Questo risultato è reso possibile da un’innovativa tecnologia di congelamento in liquido, che preserva la freschezza e le caratteristiche organolettiche dei prodotti, e garantisce sapore e consistenza inalterati.

I latticini freschi vengono congelati immediatamente dopo la produzione, direttamente nello stesso sito produttivo assicurando freschezza e qualità per ogni singolo prodotto. Grazie all’avanzato metodo di congelamento, i clienti di tutto il mondo possono accedere a latticini che offrono una lunga shelf life senza compromettere la freschezza.

Il mercato dei prodotti frozen, da sempre orientato verso i paesi extraeuropei, sta ora vivendo un'espansione significativa anche in mercati emergenti come Vietnam e Cambogia e sta guadagnando una sempre più crescente attenzione anche in Europa.

La linea Frozen di Sorì offre un’eccezionale flessibilità d'uso, adatta a molteplici applicazioni, dall'HoReCa al Retail. Questo impegno e investimento di Sorì nella qualità si estende anche al packaging, attraverso l’utilizzo di polipropilene specifico e flessibile, ideale per garantire una surgelazione efficace e una conservazione a lungo termine.

Con vent’anni di esperienza nel settore dei prodotti frozen, Sorì si conferma come un punto di riferimento per l’eccellenza nel caseario, continuando a soddisfare le esigenze di consumatori e professionisti del settore alimentare.

Autore: Cristiano Cavina

Editore: Bompiani

Pagine: 272

Prezzo di copertina: € 16,90

L'ananas no. Un giallo romagnolo

Ogni carattere ha la sua pizza e ogni pizza il suo carattere: questa è una delle poche certezze di Manolo Moretti, 51 anni, ex sovrintendente della polizia penitenziaria, trasformatosi in pizzaio- lo del “Gradisca” di Galatea a Mare, in Romagna. Monetti è, dunque, pizzaiolo per scelta e detective suo malgrado e con lui l’indagine non può dunque che essere di un gusto diverso. Come molti pizzaioli, sappiamo poco della sua vita privata: vive solo e si confida solo con Don Leo. Non usa mezzi di trasporto, se non i suoi piedi, perché il camper gli è stato sequestrato e la bici l’ha a disposizione solo quando gliela prestano.

a cura della redazione

incapacità di tenersi lontano dai guai, potrebbe essere l’occasione per ammet- tere che quello dietro il forno delle pizze è un nascondiglio da cui deve trovare il coraggio di uscire.

L’ananas no è l’atto di nascita di un nuovo detective più che mai improbabile eppure carico della profonda umanità di chi maneggia ogni giorno la pasta di cui noi umani siamo fatti. A scrivere queste 272 pagine è Cristiano Cavina, classe 1974, romagnolo, di Casola Valsenio. Cristiano è stato un vero pizzaiolo ma ha poi deciso di cambiar vita, dedicandosi comple- tamente alla scrittura. I suoi primi 10 romanzi sono stati pubblicati da Marcos y Marcos. Nel 2022, ha invece dato alle stam- pe per Bompiani “La parola papà” e l’anno successivo “Il ragazzo sbagliato”, insieme a Giada Borgatti. Con Manolo Moretti, Cavina dà vita a un grande personaggio, capace di infondere a questo giallo tutta l’autenticità, la malinconia e l’allegria delle nostre estati italiane.

“L’ananas no” è un libro da leggere per quantocomprendere sia ancora vera la celebre frase di Churchill secondo cui gli Italiani affrontano le partite di calcio come se fossero guerre e le guerre come se fossero partite di calcio.

Moretti ci mette poco a capire se chi ha di fronte è un tipo concreto da” Prosciutto e funghi”, un esagerato “Doppio salame piccante” o un raffinato “Bufala con basili- co”. Ma nemmeno il suo principale Vittor Malpezzi – che, ironia della sorte, è un ex pregiudicato – potrà mai convincerlo a preparare una pizza con l’ananas sopra. Nonostante i battibecchi tra Moretti e Malpezzi a proposito di frutta tropicale, le cose in pizzeria procedono a gonfie vele fino a che, proprio la sera in cui la cameriera Channèl, appassionata di true crime, si è presa ferie, succede qualcosa di eccezionale: la morte fa capolino tra i tavolini del “Gradisca” e i carabinieri devono aprire un’indagine. Nell’aria dolce della Romagna di fine estate, un delitto ci sta proprio come l’ananas sulla pizza: è un corpo estraneo, inquietante, incomprensibile. Ma non è così per tutti: la Channèl, per esempio, è entusiasta di poter finalmente avere a che fare con un vero crimine. E per Moretti, che ha un passato pieno di segreti e una singolare

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