Sarà un anno da leccarsi i baffi. C’è una ghiotta novità che darà più sapore al nuovo anno, un calendario che porterà la giusta nota di colore. Tante idee da assaporare ogni mese con i nostri dodici “Artisti della pizza”. Luglio è stato dedicato al nostro caro pizzaiolo Fulvio De Rosa e alla sua “La delizia d’estate” una pizza unica fatta con ingredienti freschi e genuini racchiudendo in sé i colori, gli odori e il sapore dell'estate italiana.
Amodio Group p. 100
Arcabox p. 58
Cerutti Inox p. 79
Cuppone p. 45
Demetra p. 33
Dagstyle Da Inserire p. 69
Farm Frites p. 25
Gi Metal p. 11
Italforni p. 59
Kuma Forni p. 39
La Torrente p. 3
Millberg p. 71
Le 5 Stagioni p. 13
Lilly p. 51
Scuola Italiana Pizzaioli p. 98
Molino Cosma p. 75
Molino Naldoni p. 65
Molino Pasini p. 7
Rinaldi Superforni p. 63
Sacar Srl p. 73
Sanfelici p. 99
Sorí Italia p. 2
Sitta p. 55
Sunmix p. 37
Industria Alimentare Tanagrina p. 27
Molecola p. 9
Uni - Tech p. 89
Valoriani p. 81
— Sommario —
editoriale di Antonio Puzzi
gli eventi del mese a cura della redazione
pizza news a cura della redazione sdp campionato
di strada Rio Colorè
Panino “Buono, Pulito e Giusto” in Autostrada di Antonio Puzzi
di Giusy Ferraina
Carne: e se la soluzione non fosse la cottura a bassa temperatura?
La tecnologia secondo
Alessandro Obino
di Noemi Caracciolo
ristorazione domani
Il mondo sta cambiando.
E cambia anche la ristorazione di Giampiero Rorato
storie di pizza
Campana 12
La pizza tonda in teglia è il futuro di Giusy Ferraina
storie di pizza
Una pizza a Capri
Ciro Oliva porta
sull’isola azzurra
la sua esperienza di semplicità
di A. P.
storie di pizza
Una tonda (e una quadrata) sul mare
Alessandro Gatti
Ale’s pizza
di Noemi Caracciolo
storie di pasta Il linguaggio del cibo
Victoire Gouloubi: la cucina della conoscenza
di Noemi Caracciolo
72
Pizza Libera Tutti
Indagine sul c omfort food più amato dagli Italiani
di Alfonso Del Forno 52
di Giusy Ferraina 76
gluten free Estate senza glutine: consigli per pranzo, cena e buffet
prodotti
Peperoni e peperoncini: i colori della tavola d'estate di Caterina Vianello
Cervia, il sale dolce di Caterina Vianello
Birra: perchè non va bevuta ghiacciata di Alfonso Del Forno
un libro al mese Ecosistema Google. Utilizzare gli strumenti avanzati di Google in modo redditizio, consapevole e su misura per il turismo
a cura della redazione
le aziende informano
le aziende informano Dalla Giovanna
COLOPHON
Editoriale
Antonio Puzzi
"Ho voglia di ballare un reggae in spiaggia, voglia di riaverti qui tra le mie braccia”. Canta così Alessandra Amoroso in Karaoke, scritta con Fabio Clemente nel 2021. È solo una delle tante canzoni dedicate all’estate che, insieme all’amore e al Natale, detiene il podio dei temi della “pop music” dell’ultimo secolo. Ma è una di quelle che ricordiamo con maggiore piacere, perché ha segnato l’estate della rinascita post-pandemica. Ciascuno di noi ha, però, le proprie canzoni e i propri ricordi dell’estate: il mio è quello dei lunghi viaggi fatti da bambino in Renault 9 per raggiungere la casa al mare dei nonni sulla Costa dei Trabocchi, durante i quali mio padre rimuoveva dal cassetto, dopo un anno, l’autoradio per deliziarci con Granada di Claudio Villa e La mazurca di periferia di Raoul Casadei.
Chi vive nelle grandi città sa bene che l’estate è ormai un periodo non molto diverso dagli altri: il lavoro fatto per destagionalizzare i flussi turistici sta infatti portando i suoi frutti ma anche il clima impazzito porta ciascuno a scommettere senza troppe certezze su quale sarà il periodo migliore per andare al mare, al lago o in montagna. Così, perfino nei poli industriali del nostro Paese, come Milano e Torino, non possiamo più dire che è “tutta mia la città”. Che siate gente di mare o popoli delle alte vette, sono certo che anche voi d’estate vi perdete nell’infinito cielo stellato della notte, vissuta più del giorno, dal quale cerchiamo di fuggire il troppo caldo. E, nelle notti d’estate - si sa - andiamo alla scoperta della gastronomia dei luoghi che camminiamo, spesso mangiando all’aria aperta, senza il vincolo di stare fermi al tavolo. Ed è proprio di “cucina di strada” che abbiamo deciso di parlare in questo numero, partendo dal binomio “pizza e birra” che abbiamo già ripreso a vivere grazie agli Europei 2024 e andando alla ricerca delle pizzerie “del mare” più gettonate, come quelle di Alessandro Gatti, Daniele Campana e Ciro Oliva, che ha appena aperto a Capri. O della carne alla brace, re-inventata dai fornelli di “Del Vasto”.
Parliamo, però, anche di due progetti straordinari: il recupero del sale artigianale di Cervia e la cucina “dell’apertura” all’altro di Victoire Gouloubi. Senza dimenticare i nostri consigli di salute. Io, invece, mi sono fermato in autostrada per portarvi alla scoperta di un’area di sosta davvero particolare.
“Ho pensato al suono del suo nome, a come cambia in base alle persone. Ho pensato a tutto in un momento, ho capito come cambia il vento. Vento d'estate: io vado al mare, voi che fate? Non mi aspettate, forse mi perdo”.
Buona estate, nio
PIZZA E PASTA ITALIANA
Mensile di Pizza, Pasta, Enogastronomia e Cultura
Edito da PIZZA NEW S.p.A.
Autorizzazione Tribunale di Venezia n.1019 del 02/04/1990
Anno XXXV - n.7 luglio/agosto 2024 - Repertorio ROC n. 5768
Manuel Rigo, Paola Dus, Elena Cazzuffi — Mediagraf lab
DIGITAL PUBLISHING
Maura Trolese — Mediagraf lab
IN COPERTINA illustrazione di
STAMPA MEDIAGRAF S.p.A.
Noventa Padovana (Pd)
COMITATO TECNICO E REDAZIONALE
Marisa Cammarano, Gianandrea Rorato, Caterina Vianello, Alfonso Del Forno, Luciano Cescon.
AFFILIAZIONI INTERNAZIONALI
Pete La Chapelle (N.A.P.O. - Pizza Today, U.S.A.), P.M.Q. Steve Green (U.S.A.).
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MERAVIGLIA
LA FARINA CHE È UNA MERAVIGLIA.
a cura della redazione
Cerreto (Fdi) presenta una pdl per riconoscimento pizzaiolo professionista
L'on. Marco Cerreto ha presentato una proposta di legge per il riconoscimento della qualifica di pizzaiolo professionista. “Ogni giorno in Italia – si legge nella relazione – si sfornano 8 milioni di pizze, tra pizzerie e consegne a domicilio e dopo un triennio in chiaroscuro dovuto alla pandemia e al contesto legato alla ripartenza economica, i dati 2023 registrano la nascita di oltre 3.700 nuove attività con pizza, su più di 18.200 nuove attività di ristorazione. Con il termine «pizza» si intende notoriamente la pizza napoletana, per i motivi storici e culturali di ordine gastronomico che la legano alla civiltà partenopea, recepiti dalla normativa europea; infatti, le prime testimonianze relative all’esistenza della pizza si trovano già nei reperti ritrovati a Pompei ed Ercolano. La pizza si presenta come un alimento con caratteristiche generali tipiche, originarie delle culture che storicamente si sono affacciate sul bacino del mare Mediterraneo, una grande via di comunicazione e fucina di civiltà. Ma è in una delle capitali del mare Mediterraneo e dell’Europa, cioè Napoli, che la pizza ha trovato la sua patria e il punto di partenza per la sua diffusione in Italia e nel mondo intero.” L’ obiettivo di questa legge è di tutelare un «lavoratore fantasma», il pizzaiolo, riconoscendo a esso la qualifica di professionista, restituendogli il prestigio che merita. Solo così i pizzaioli potranno diventare ambasciatori dell’Italia e delle sue materie prime nel mondo." La pizza – dichiara l’on. Cerreto, capogruppo in Commissione Agricoltura per Fratelli d’Italia, non è un semplice piatto ma testimonianza del potere della cultura e del cibo nel connettere le persone a livello globale.”
Salvatore Lioniello protagonista di Buonissimi 2024 al
Porto Marina
D’Arechi - Salerno
Salvatore Lioniello è protagonista di Buonissimi 2024, l'atteso evento di beneficenza a sostegno della ricerca scientifica sui tumori pediatrici. La serata di gala dedicata alle eccellenze enogastronomiche, la serata ha visto chef stellati e professionisti della cucina offrire specialità esclusive.
Salvatore Lioniello, noto pizzaiolo, star dei social e figura di spicco nel mondo gastronomico, è conosciuto per la sua creatività e la capacità di innovare nel campo della pizza contemporanea. La sua partecipazione all'evento aggiunge un tocco di prestigio e attrattiva, grazie al suo impegno nel promuovere l’eccellenza culinaria italiana.
Il successo dell'iniziativa nel corso degli anni ha permesso di raccogliere 551mila euro a sostegno della ricerca sui tumori pediatrici. La presidente di Open OdV, Anna Maria Alfani, sottolinea l'importanza della ricerca per offrire cure avanzate ai bambini malati di cancro: «Negli ultimi 30 anni, gli sforzi nel settore hanno portato a un notevole aumento del tasso di guarigione, passato dal 30-40% all'80-90% in molte patologie. Tuttavia, c'è ancora molto lavoro da fare: in alcune neoplasie, solo un bambino su quattro sopravvive. Questo evento gastronomico ci aiuta a raccogliere fondi per continuare a migliorare il futuro dei nostri bambini e a sostenere le famiglie colpite da queste malattie».
Buonissimi conferma anche il suo impegno verso l'ambiente e la sostenibilità, promuovendo il rispetto dei prodotti stagionali e locali per sostenere l'economia di prossimità.
Food, è la pizza il piatto più ordinato nei ristoranti italiani nel mondo.
Ma c’è chi la chiede con topping di marshmallow.
Èa pizza il piatto italiano più ordinato nel mondo, ambasciatore della cucina e della cultura gastronomica del nostro Paese. Anche se qualcuno la chiede con topping di marshmallow e cioccolato e ai ristoratori tocca cercare di redimere i peccatori. Le curiosità emergono dalla survey lanciata da I Love Italian Food, che ha coinvolto oltre 5800 chef, pizzaioli e ristoratori italiani in quasi tutti i continenti, dall’Europa agli Stati Uniti, fino all’Asia e l’Australia.
Partendo dall’assunto che esistono 100mila ambasciatori del Made in Italy enogastronomico fuori dall’Italia, I Love Italian Food ha attivato una vasta rete di contatti internazionali per conoscere i piatti più apprezzati fuori dal nostro Paese. E le richieste più stravaganti giunte dai commensali. Risultato: la pizza straccia i competitor, come era immaginabile. La classifica riserva qualche sorpresa: al secondo posto la Carbonara, sempre più apprezzata da Oriente a Occidente; seguono le tagliatelle al ragù / alla Bolognese, amate in modo trasversale ma in particolare dagli expat. Appena sotto il podio l’unico dessert entrato in classifica: il tiramisù
Nella particolare classifica di I Love Italian Food figurano anche spaghetti o linguine alle vongole: arrivano al nono posto, dopo risotto, ravioli e parmigiana. Chiude la top ten la pasta al pesto alla genovese
“Ma la pasta fresca – aggiunge Cozzolino – come i tonnarelli fatti in casa, è particolarmente apprezzata. Comunichiamo il valore della pasta home made attraverso menu dettagliati e interagendo direttamente con i clienti, spiegando l’origine degli ingredienti e il processo di preparazione”. Uno su tutti: il pomodoro del piennolo, che guarnisce lo spaghetto più richiesto a New York.
Nella scelta di un ristorante e di un piatto, infatti, è sempre più dirimente la conoscenza dell’intera filiera. Un aspetto sul quale I Love Italian Food lavora da anni al fianco di produttori e ristoratori. “La nostra ricerca rivela non solo le preferenze globali per i piatti italiani, ma anche le sfide affrontate dai ristoratori nel mantenere l’autenticità delle nostre ricette”, commenta Alessandro Schiatti, Presidente di I Love Italian Food.
ph: Lido Vannucchi
Ti svegli la mattina con la voglia di INNOVARE
LE AZIENDE
CAMPIONATO MONDIALE DELLA PIZZA 2024
LE INTERVISTE AI PARTNER
31 CAMPIONATI DEL
MONDO: E TU QUANTI NE
HAI FATTI? QUAL È IL TUO
PRIMO RICORDO?
Da 31 anni siamo partner del Campionato Mondiale della Pizza, dove la competizione fra i pizzaioli fa emergere gli aspetti più interessanti di un settore che amiamo, tanto da aver dedicato una linea di farine alla pizzeria, Le 5 stagioni. Ogni anno l’arrivo a Parma di 700 partecipanti da tutto il mondo che si incontrano in nome della pizza, ci conferma che stiamo lavorando nella giusta direzione. Ogni CMP ci lascia ricordi indelebili, nuovi amici e sinergie. E l’emozione dei pizzaioli che si mescola alla fatica e alla voglia di mettersi in gioco.
UNO SGUARDO AL
COME SONO CAMBIATI I
PIZZAIOLI OGGI? QUALI
SONO LE LORO RICHIESTE?
Pur conservando lo status di cibo semplice, la pizza si è adattata ai cambiamenti e all’evoluzione dei gusti dei consumatori. I pizzaioli si sono avvicinati ai temi delle intolleranze, dei prodotti sostenibili, biologici o da filiera. Sta poi cambiando il paradigma del mestiere, che, se prima veniva considerato “maschile”, oggi gode dell’ascesa delle donne, come Giulia Vicini e Giulia Zanni, vincitrici del CMP 2024 e del premio Pizzaiolo per il Cambiamento.
PASSATO: COSA PENSI CHE
ABBIAMO PERSO E CHE
ANDREBBE RECUPERATO?
Identità, lavoro, formazione oggi sono al centro del settore e il pizzaiolo deve conoscere sistemi di produzione, vendita e curare il rapporto con il cliente. Emerge la necessità di investire in attività di formazione nella comunicazione digitale, ma con strumenti adeguati e consapevolezza per costruire una carriera solida e raggiungere il successo. La formazione accademica, tuttavia, resta imprescindibile. Per noi, identità e autorevolezza sono le chiavi per riconoscere il valore del mestiere.
LA TUA AZIENDA E IL
FUTURO DELLA PIZZA: QUALI PROGETTI PER DOMANI?
Agugiaro & Figna sostiene il settore grazie a progetti come il Pizzaiolo per il Cambiamento: qui i pizzaioli sono portavoce di una modalità di fare impresa legata all’ambiente, all’etica del lavoro, al benessere dei dipendenti, alla stagionalità delle materie prime e all’anti-spreco. Con l’Università di Scienze Gastronomiche abbiamo messo in piedi il Field Project per la creazione di un modello di misurazione dell’impatto della pizzeria, uno strumento orientativo per i pizzaioli. Tra le linee guida emergono la tracciabilità e l’inclusione sociale.
NATURA AD ALTA PRESTAZIONE
IL GUSTO AUTENTICO DEL GRANO. le5stagioni.it
Farine rustiche, di tipo 1 e integrali da macinazione gentile e a bassa temperatura per garantire l’estrazione di farina dai profumi e sapori più intensi. Gusto e performance per pizze dal carattere unico.
RIO COLORÈ storie di strada
IL PANINO
“BUONO,
PULITO E GIUSTO” IN AUTOSTRADA
di Antonio Puzzi
Negli anni ‘40, Mario Pavesi, giovane imprenditore lombardo, aprì un piccolo spaccio di biscotti prodotti nella fabbrica di famiglia sull’Autostrada MilanoTorino, all’altezza del casello di Novara: era il primo caso di rivendita di cibo sulle autostrade del nostro territorio nazionale.
Nel decennio successivo, l’Autogrill Bar Pavesi evolse, includendo un ristorante e diventando la prima vera area di ristoro per gli automobilisti in Italia. Nel 1961, venne poi inaugurato l’Autogrill di Cantagallo (all’epoca ancora Motta-grill) nel territorio di Casalecchio di Reno (Bologna), un colosso, il più grande d’Europa, che domina ancor oggi un tratto di Autostrada del Sole. Si trattava della prima
vera “area di servizio” propriamente detta che, all’epoca, aveva un ristorante, un market, una pasticceria e addirittura un negozio di parrucchiere e un fioraio. Negli autogrill a ponte come questo, alla domenica, si andava a pranzo per guardare scorrere le auto sotto i finestroni e l’autostrada veniva vissuta non più solo come collegamento, ma come destinazione.
Di “auto sotto i ponti” ne sono passate da quei momenti ma, per ciascuno di noi, le aree di servizio continuano a rappresentare un momento di sosta, relax, scoperta e – perché no – di spesa, molto spesso superiore alle nostre abitudini. La massificazione dei consumi ha portato, tuttavia, questi luoghi di passaggio a diventare molto simili tra loro, annullando le differenze ed esaltando, invece, una presunta “immagine italiana”. Poche sono, dunque, quelle aree di servizio le cui insegne sanno attirare la nostra attenzione e ancor meno - forse una soltanto - quelle foriere di storie che sono in grado di conquistare gli onori delle cronache.
storie di STRADA
Sulla Torino-Savona, autostrada dell’estate per eccellenzA per chi vive nel Nord-Ovest del Bel Paese, sorge un baluardo di resistenza gastronomica in tal senso, un luogo tra i non-luoghi, uno di quei posti che sa rendere il viaggio stesso una destinazione:
stiamo parlando di Rio Colorè Ovest. Sventata la chiusura per decreto nel 2019, grazie a un intervento accoratissimo delle amministrazioni locali e della cittadinanza, Lorella e Alberto Vinai sono da decenni gli infaticabili padroni di casa di quella che viene definita – in modo riduttivo – un’area di servizio.
Particolarmente attivi nel mondo dell’accoglienza e della ristorazione, i Vinai hanno un bellissimo bistrot e ristorante a Cuneo, oltre che una casa vacanze a Imperia. Ad averli resi celebri è però soprattutto il loro “grill” autostradale. È uno di quei luoghi da “ultimi romantici”, con insegne sbiadite e una tettoia che prima copriva le pompe di benzina e che ora è destinata ad accogliere tavoli e sedie in perfetto stile anni ’90. Se, come me, siete inguaribili amanti dei “bar di periferia”, di quelli in cui si guardavano le partite di Coppa (prima che cambiassero nome) e,
magari, si ascoltavano le canzoni del Festivalbar e le musiche di Gabry Ponte, portate fin qui le ruote della vostra auto e scoprirete un mondo di meraviglie: un buon caffè a 1,30 euro, panini con salsiccia di Bra o vitello tonnato, finocchiona o acciughe del Cantabrico, cotoletta di maiale e tante buone verdure proposti in una forbice di prezzo che va tra i 4,50 € e i 6,90 €. Siamo a pochi km dal casello di Marene, nel territorio del Comune di Bra, la città che ha dato i natali all’associazione enogastronomica internazionale Slow Food, fondata da Carlo Petrini.
È la porta del Roero, la via d’accesso alle Langhe, patrimonio dell’umanità secondo l’Unesco. E questo baluardo di resistenza gastronomica non poteva, dunque, che trovarsi qui.
Rio Colorè ha rischiato in più occasioni la chiusura, a causa di un decreto che prevedeva la totale ristrutturazione delle aree di servizio sull’autostrada TorinoSavona e la cessazione di quelle attività che non disponevano più del rifornimento carburanti. Nel 2019, però, una grande mobilitazione istituzionale e popolare riuscì a destare l’attenzione dell’allora Ministro delle Infrastrutture, Toninelli, che ne scongiurò così la scomparsa. All’epoca si vociferava della nascita di un eliporto nei terreni attigui ma, per ora, questo non c’è. E, probabilmente, non serve neppure, visto che il casello di Marene conduce a un importante polo aziendale dell’agroalimentare italiano: Ferrero, Panealba, Baratti e Milano sono solo alcune delle industrie raggiungibili a pochi km dall’uscita.
Quello di Rio Colorè è dunque un caso emblematico, ci racconta di come anche un’area di servizio – a dispetto di quanto ha ben espresso l’antropologo della contemporaneità Marc Augè in merito ai “non luoghi” – possa essere un “luogo” in cui una comunità si riconosce con orgoglio.
E non perché non abbia nient’altro da offrire (ve lo abbiamo detto: siamo su un terreno industriale fertilissimo, in un territorio che è Patrimonio dell’umanità) ma perché sa che per raccontarsi al meglio c’è bisogno di percorrere tutte le strade. Anche quelle ad alto scorrimento.
Le foto sono in parte dell'autore e in parte tratte dalla pagina Facebook di Rio Colorè.
di Giampiero Rorato
La cucina di strada
LE NOTTI D’ORIENTE HANNO UN FASCINO SORPRENDENTE CHE ATTANAGLIA IL TURISTA OCCIDENTALE, ANCHE IL PIÙ
E PREPARATO.
A Nanchino, l’antica aristocratica capitale della Cina, la notte era dolce e una brezza leggera invitava ad uscire dall’hotel, prezioso nella sua architettura, che ripeteva le sembianze viste ed ammirate qualche giorno prima nella “Città proibita”, memoria ora muta d’antichi splendori. La cena, in perfetto stile cinese, s’era prolungata grazie ai racconti e ai confronti tra noi ed amici locali.
Mezzanotte era appena passata e, nella piazzetta davanti all’hotel, c’era un certo viavai di persone: solo uomini in quell’occasione. Ci fermiamo ed ecco arrivare due carrettini che si fermano agli angoli dell’hotel. Curioso, assieme a un amico italiano, mi avvicino ad uno di questi e il proprietario, con abito e cappellino professionali, vendeva ai presenti, sopra un rettangolo di carta paglia, una specie di pappa densa che non conoscevo. Quel commercio durò un po’ di tempo e, quando nessuno si avvicinò ai due venditori, essi scomparvero. “Sono venditori di cibo di strada. Qui è normale e molto diffuso”, ci disse l’in-
terprete. Ho poi saputo che in quel grande Paese moltissime persone si cibano non a casa ma per strada e sono chiamati i “mangiatori di strada”. Ravioli variamente farciti, polpette di grande varietà, tortini di carne a forma di chiodi, altri tortini a base di riso, ecc. sono tipici del cibo di strada cinese, che ho visto tuttavia variare nelle città dove sono stato: Pechino, Nanchino, Shangai e anche in una città dell’interno dal nome impronunciabile. Ovunque, di giorno e di notte, ho visto questi carrettini ben organizzati con attorno numerosi clienti.
In altra occasione, ho visto analoghi carrettini in fila vicino al marciapiedi, lungo un grande viale di Bangkok ed ho visto gente scendere dai palazzi a fianco ed acquistare del cibo su un piattino di cartone ed un sacchettino di plastica ripieno di una salsa rossastra, che mi hanno detto essere molto piccante. Per la strada della capitale della Thailandia e in altre città del Paese, ho visto i venditori più vari, soprattutto di banane, come anche di altra frutta. Chi l’acquistava, iniziava subito a mangiarla e quello, probabilmente, era il cibo del giorno. Episodi analo-
ghi, con ancora banane, ho visto nei Paesi caraibici, insieme ad altri venditori d’un liquido biancastro e dolce che preparavano sulla loro bicicletta, schiacciando tra due rulli delle canne da zucchero. Ed è proprio il caso di dirlo: Paese che vai, usanze che trovi. E vanno naturalmente rispettate, semmai assaggiando qualcosa, come ho fatto sia con le banane mignon che con quel liquido gustoso che è poi la base del rum.
In Italia
Quelle che ho velocemente ricordato sono tradizioni antiche, se non antichissime, che fanno parte della cultura alimentare e della civiltà di molti popoli. In Occidente, la storia ha percorso strade diverse, fissando il momento del cibo entro le mura domestiche, con la famiglia riunita attorno alla
tavola. Ed è stato così fin oltre la metà del secolo scorso. Poi, con la fine della mezzadria, lo scioglimento delle famiglie patriarcali, con lo sviluppo industriale al Nord, con l’emigrazione da una regione all’altra, specie verso il triangolo industriale - Milano, Torino, Genova - con molte donne, specie nubili, in particolare venete e friulane, richiamate da posti di lavoro disponibili nelle famiglie borghesi delle città del nord, molte cose sono cambiate anche nel nostro Paese. Il lavoro fuori casa, con il bisogno di risparmiare, ha spinto molti lavoratori a portarsi un panino da casa o un gavettino da scaldare a mezzogiorno – specie i lavoratori dell’edilizia – e si iniziò a mangiare a casa solo nei giorni di festa.
NACQUE E SÌ ANDÒ SVILUPPANDO COSÌ LO STREET FOOD ITALIANO, DAPPRIMA PRESENTE SOPRATTUTTO NELLE SAGRE E NELLE FIERE PAESANE, POI RIPRESO
IN TANTI INCROCI VICINO
ALLE INDUSTRIE, AI CENTRI COMMERCIALI, NELLE PIAZZE DI PERIFERIA.
Chi aveva i panini ripieni; chi mezzo polletto, chi del pesce fritto servito in cartoccio da mangiare per strada. E, ancora, la focaccia di Recco, il panino con porchetta alla romana, la piadina e il crescione romagnoli, la pizza napoletana, il lampredotto fiorentino, fino a preparazioni anche raffinate. Ci cono camioncini che si fermano a ore fisse in piazzette o in parcheggi ben frequentati di cittadine anche piccole per vendere il pesce appena fritto.
Molti già sanno di questo appuntamento settimanale e, all’ora stabilita, scendono da casa e acquistano la quantità che serve per la cena. Anche questo è cibo di strada.
Avrà futuro?
I Cinesi ci assicurano che la tradizione che ha secoli alle spalle non morirà e credo anch’io che, anche nel nostro Paese, da Sud a Nord, continuerà e si svilupperà, perché le esigenze del vivere moderno ci portano lontano da casa fin da quando si è studenti e ci si abitua a mangiare dopo scuola una mezza pizza o un panino con una bibita, attendendo poi la cena per mangiare con la famiglia.
SE, DUNQUE, ANCHE
IL NOSTRO “CIBO DI STRADA” - ANCHE SE È PIÙ CORRETTO DIRE “CIBI
ACQUISTATI IN STRADA”CONTINUERÀ E CRESCERÀ,
QUANTI LO PRODUCONO E LO VENDONO DOVRANNO
SOTTOSTARE A LEGGI BEN PRECISE A SALVAGUARDIA
DELL’IGIENE, DELLA BONTÀ E DELLA SICUREZZA ALIMENTARE.
Già vi provvedono i venditori, molti davvero bravi e molto seri; tuttavia, visto il crescere di questo tipo di commercio alimentare, sarà dovere dei pubblici ufficiali a ciò delegati – vigili sanitari, polizia locale, ecc. – vigilare e operare gli opportuni controlli affinché il “giovane” fast food italiano s’incammini su percorsi corretti e sicuri a salvaguardia della salute dei cittadini e della sicurezza alimentare della popolazione, tema che richiede alle autorità ancora molto impegno e adeguata preparazione.
NOVITÁ 2024: mordiQUA®
La nuova base per pizza e focaccia con ingredienti 100% naturali
Località Pilastro 2, 29010
Gragnano Trebbiense PC
MordiQUA® è la nuova base per pizza, croccante fuori, delicata e leggera all’interno e scioglievole al morso. Si tratta di un prodotto precotto e abbattuto, con una temperatura al cuore di - 18°C, da conservare surgelato. Per rigenerare mordiQUA® è sufficiente estrarla dal congelatore, condirla a piacere, terminare la cottura in forno e servirla.
mordiQUA® è un marchio registrato da Dallagiovanna Holding.
“Abbiamo concepito un prodotto versatile e personalizzabile, capace di abbracciare le esigenze dei professionisti permettendo di standardizzare il lavoro, risparmiando tempo, velocizzando il servizio, riducendo gli sprechi – sottolinea Sabrina Dallagiovanna, portavoce della Holding.
VERSIONI E FORMATI
Disponibile nei canali horeca e foodservice in due versioni: mordiQUA® CLASSICA per chi ama una base croccante per pizza alla pala e tonda, dal gusto tradizionale e dal colore dorato, mordiQUA® MULTICEREALE per chi ama una base croccante per pizza e focaccia, dal gusto connotato e deciso e dal colore più scuro, grazie alla presenza di farina integrale, cereali e semi. I formati sono: 19x29 cm, 19x39 cm, 25x39 cm, 25x54 cm e Ø25 cm.
GLI INGREDIENTI
Le materie prime scelte per gli impasti sono 100% naturali: olio EVO, acqua, sale iodato e lievito madre per assicurare una lievitazione naturale. Le farine Molino Dallagiovanna utilizzate per mordiQUA® sono prodotte da grano lavato e da una macinazione lenta e a freddo, nel totale rispetto delle caratteristiche organolettiche dei chicchi. Si tratta di impasti ad alta idratazione, a riprova dell’importanza strategica che l’acqua riveste nella lavorazione dei prodotti.
DALLAGIOVANNA HOLDING
Alfonsino & Rushers
Il modello italiano della delivery
di Domenico Maria Jacobone
Il filosofo Blaise Pascal
diceva: “Per conquistare il futuro bisogna prima sognarlo” e, a proposito del futuro della delivery e della conquista di un primato tutto italiano, ho avuto il piacere di intervistare
Carmine Iodice, CEO di “Alfonsino”, società italiana quotata su “Euronext Growth Milan” e specializzata nel servizio di order & delivery nei centri italiani di piccole e medie dimensioni.
Iodice mi ha raccontato che dalla fine dello scorso anno Alfonsino ha trovato in “Rushers” (servizi dedicati al last-mile delivery) la soluzione e la chiave per potenziare il proprio modello di business e affrontare le sfide di un mercato in continua evoluzione.
Nata nel luglio 2023 come società controllata di “Alfonsino”, “Rushers” si configura come un marketplace che rivoluziona il concetto di food delivery con un modello innovativo, ponendosi come punto di riferimento nel panorama italiano. Questo cambiamento ha significato stravolgere in otto mesi il lavoro fatto nei precedenti sette anni ottenendo in cambio un risultato straordinario sulla marginalità
“Rushers” è un progetto al centro del quale c’è l’idea di creare un ecosistema flessibile e autonomo per i rider, i rushers appunto, che possono liberamente scegliere gli ordini da consegnare, definire
i propri orari di lavoro e stabilire i prezzi delle consegne. Un approccio diametralmente opposto a quello dei giganti del settore, che spesso impongono condizioni contrattuali rigide e limitate possibilità di manovra ai rider. Liberamente ispirato ad altri casi di successo, “Rushers” si pone come “l’Airbnb dei fattorini “e quindi lascia ad ogni rider la possibilità di scegliere se accettare una consegna e la tariffa alla quale offrire la propria professionalità senza essere penalizzati da un algoritmo insensibile al mercato, al momento ed alla qualità del servizio Il modello di “Rushers”, infatti, si traduce in vantaggi concreti per tutti gli attori della filiera:
• I riders godono di maggiore autonomia e flessibilità, potendo conciliare al meglio lavoro e vita privata, oltre ad avere la possibilità di aumentare i propri
guadagni, grazie alla libera determinazione dei prezzi di consegna, fatta attraverso un’asta con il fattorino che imposta il suo prezzo sull’app e la piattaforma che, in determinati momenti, aggiunge il riconoscimento di un risparmio sul carrello per non penalizzare il cliente finale ma senza mai intaccare il compenso del rider
• I ristoranti, a loro volta, beneficiano di un servizio di consegna più efficiente e capillare, con fattorini che lavorano con maggiore soddisfazione e con la possibilità di raggiungere un bacino di utenza più ampio e di fidelizzare i clienti con un servizio migliore.
• I consumatori finali possono usufruire di
un servizio più rapido e personalizzato, a prezzi competitivi e con la valorizzazione del lavoro dei migliori operatori.
Risultati incoraggianti confermano, a meno di un anno dalla sua nascita, il successo della formula “Rushers”. Già a dicembre 2023 la piattaforma gestiva l’80% degli ordini di Alfonsino, operando su 22 dei centri in cui la società è attiva. I risultati del quarto trimestre 2023 sono a dir poco entusiasmanti: su un campione di 51.231 ordini food evasi tra il 1° ottobre e il 31 dicembre 2023, “Rushers” ha generato un incremento del margine per ordine del 276%, passando da una media di 1,26 € del modello tradizionale a ben 4,63 €. Ad oggi, “Alfonsino” festeggia il successo dell’integrazione al 100% della piattaforma proprietaria “Rushers” all’interno del proprio modello di business, con oltre 3300 rushers iscritti.
Un cambio di paradigma per la redditività
Il margine per ordine, come noto, rappresenta un indicatore chiave per valutare l’efficienza di un’azienda nel settore del food delivery. Esso tiene conto di tutti i costi e ricavi strettamente legati alle consegne, escludendo quelli non direttamente associati al volume di produzione. I dati di “Alfonsino” evidenziano un vero e proprio cambio di paradigma, con “Rushers” che si dimostra un vero e proprio volano di redditivi-
tà in un momento nel quale tutte le multinazionali della delivery evidenziano bilanci fortemente in perdita legati principalmente ai costi dei riders e modelli di algoritmi standard che non valorizzano il servizio di consegna. A tal proposito, nel primo trimestre del 2024, “Alfonsino” ha registrato un miglioramento dell’EBITDA del 53% rispetto allo stesso periodo del 2023.A partire dal 1° febbraio 2024, il successo di “Rushers” ha portato l’azienda a compiere un ulteriore passo decisivo: il nuovo marketplace dedicato alle consegne ha preso
in gestione la totalità degli ordini della divisione food & groceries, che rappresenta la principale linea di business di “Alfonsino” e che opera in tutti i centri in cui la società è attiva. Sono esclusi dal nuovo modello gli ordini take-away, che al momento rimangono sotto il modello precedente.
Soddisfazione e ambizioni future
“Gli straordinari risultati ottenuti da Rushers nel periodo di osservazione confermano la bontà del progetto e ci riempiono di fiducia per il futuro”, ha commentato il CEO Carmine Iodice. “Visto il successo del nuovo modello, stiamo procedendo speditamente al suo posizionamento commerciale con l’obiettivo di renderlo un benchmark di riferimento nel settore del food delivery”. Un’altra considerazione importante sta nel fatto che, secondo Iodice, “per i fattorini la proposta di Rushers rappresenta il secondo lavoro ideale perché nei piccoli centri questo tipo di attività è un’integrazione che resta nei 5000 € annui di compenso e quindi non obbliga ad aprire partita iva. Per chi, invece, decidesse di farne una professione stabile, la valorizzazione del costo di consegna rappresenta un guadagno sia economico che sociale, con la valorizzazione di una professionalità troppo spesso sminuita”.
Preparazione veloce e semplice pochi minuti
Risultati di alta qualità, sapore e doratura uniformi
Scelta più responsabile
Maggiore produttività e flessibilità, più rendimento
Efficienza nei costi, nessun uso di grassi/olio, meno spreco di prodotto
Maggiori opportunità commerciali Più convenienza, pulizia facile, niente odori
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Le aspettative per “Rushers” sono alte e l’azienda punta a sfruttare la sua quasi totale autonomia per consolidare la propria leadership nel mercato italiano. L’obiettivo è quello di affermarsi come un punto di riferimento per l’innovazione e l’efficienza nel settore del food delivery, contribuendo al contempo alla crescita e alla redditività di “Alfonsino”.
Le sfide del futuro
“Alfonsino” e “Rushers” si apprestano ad affrontare alcune sfide importanti: la prima riguarda la concorrenza da parte dei players già affermati nel mercato, che potrebbero reagire con strategie aggressive per contrastare l’ascesa di “Rushers”. La seconda sfida è legata alla necessità di garantire un servizio di alta qualità, sia in termini di efficienza delle consegne che di soddisfazione dei clienti. Per continuare a crescere, sarà fondamentale investire in tecnologia e nella formazione dei riders con le best practices,
regole comportamentali e linee guida del servizio. Considerando i benefici in termini di redditività e marginalità che “Rushers” sta portando al business di “Alfonsino”, il gruppo sta lavorando insieme agli advisors per realizzare un aumento di capitale volto a supportare la crescita dei volumi, la presenza territoriale e l’esplora-
zione di opportunità di sviluppo ulteriore per linee esterne. Mi auguro che questa esperienza possa essere un esempio per migliorare la condizione dei riders e gli indici economici nel settore della food delivery italiana che, pur essendo un mercato relativamente giovane, per la prima volta ha innovato il settore.
storie di pizza
DAL CAMPIONATO
LA PIZZA È UNA QUESTIONE DI ABILITÀ!
di Giusy Ferraina
Daniele Pasini, Luca
Bonazza e Francis Tolu sono rispettivamente i campioni
del mondo 2024 di pizza più
larga, pizza più veloce e freestyle, le tre discipline che colorano e movimentano
ogni anno il Campionato
Mondiale della Pizza.
Perché la pizza non è sempre e solo una questione di impasti, topping e cotture, ma anche di manualità. E i tre atleti della pizza ne sanno qualcosa. Non sono nuovi delle gare e alcuni di loro anche abituati al podio, come Pasini che quest’anno conquista il primo posto per l’ottava volta. Li abbiamo intervistati per conoscere qualcosa di più delle loro discipline ma anche della loro routine di pizzaioli.
Daniele Pasini da Imola, campione del mondo per la pizza più larga
Daniele Pasini è per l’ottava volta campione del mondo per la pizza più larga (dopo i titoli del 2011, 2012, 2013, 2017, 2018, 2022 e 2023). Dal 2006, Pasini partecipa al Campionato di Parma e la sua specializzazione è diventata ormai quella di stendere un impasto di 500 grammi di farina e portarlo in cinque minuti all’ampiezza massima. Quest’anno Daniele, che ha anche gareggiato nella categoria più veloce e classica, ha raggiunto i 101 centimetri di diametro, battendo di oltre cinque centimetri il polacco Ireneusz Suszek (95,95 centimetri) e il turco Hasan Kaya (89,35) al secondo e terzo posto, su una trentina di partecipanti. Ma le pizze di Daniele si mangiano anche? Ovviamente
sì! Nella vita è un pizzaiolo abile con gli impasti da diversi punti di vista e la pizza la fa da anni nella sua pizzeria d’asporto “Pizza Acrobatica” di via della Milana a Imola. E anche il nome della sua attività sottolinea la passione di Daniele per le pizze volanti. “La pizza acrobatica non è proprio la mia specialità, nel tempo mi sono specializzato sulla pizza più grande dove si utilizza un impasto classico per pizza con una farina che ha un alto e rispettando le ore di maturazione”, ci spiega Daniele. Poi diventa tutta una questione di mani, polso e velocità. L’impasto ruota nell’aria
e si allarga man mano cercando di arrivare al diametro più largo senza rompersi, altrimenti: game over. “Quando sono in gara la concentrazione è massima, devi essere rapido nei movimenti e preciso. L’incubo di rompere l’impasto ti accompagna in ogni gesto, anche se passi le giornate ad allenarti”. E, a quanto pare, Daniele prima di questa gara si è allenato tutti i giorni per raggiungere una tecnica impeccabile e riuscire a stupire e conquistare il pubblico, oltre a trionfare di nuovo con grande gioia non solo personale ma anche di tutta la sua città.
Luca Bonazza è il pizzaiolo più veloce del mondo.
È Luca Bonazza il pizzaiolo più veloce del mondo, capace di stendere una pizza in un minuto e 28 secondi, un tempo record che gli è valso il podio. Anche se, come sottolinea il campione: “il mio miglior tempo l’ho raggiunto nel 2017 aggiudicandomi il terzo posto; non è facile prevedere in quanto riesci a stendere perché è l’impasto che fa tutto”. La gara nello specifico consiste nell’allargare più velocemente possibile cinque dischi di pasta e l’abilità del pizzaiolo sta soprattutto nel capire che tipo di impasto, più o meno morbido, si ha tra le mani. Abilità manuale, concentrazione massima e competenza sono le doti che bisogna portare in campo: “È tutta una questione di energie mentali, devi capire fino a dove spingere, calibrare la forza per evitare di strappare l’impasto”, ci spiega Luca, che ormai da 5 anni si presenta in questa gara conquistando l’argento lo scorso anno. Tutto nasce dal nasce dal fatto che i suoi clienti gli dicevano che era molto veloce nella stesura e qui scatta la molla per partecipare al Campionato. Vista l’esperienza, sorge spontaneo chiedere che tipo di preparazione c’è dietro a una gara e un risultato del genere ma Luca ci spiazza: “Quest’anno non ho avuto il tempo materiale di allenarmi, ho
organizzato la gara, sapevo cosa dovevo fare e come ma, nel pratico, a casa o in pizzeria, non sono riuscito ad allenarmi. Tra lavoro e organizzazione del team e della pizza gara di pizza classica mi è mancato il tempo”. E pensate se si fosse allenato! Luca Bonazza, 38 anni, è titolare delle pizzerie d'asporto “L'Angolo Goloso” che ha quattro sedi nel trevigiano, la prima aperta nel 2007 all’età di 22 anni e una filosofia di filiera corta e pizza sostenibile da sempre, cosa abbastanza rara per le pizze in versione solo delivery. E, nelle sue pizzerie, a quanto pare non vince solo il “servizio veloce”: “Ci siamo sempre distinti per la qualità delle materie prime utilizzate e perché siamo stati la prima pizzeria d’asporto con la filiera del grano, farina da grani antichi prodotti in zona, lavorati dal nostro mugnaio di fiducia. Il mio obiettivo è realizzare una pizza stagionale e identitaria, che rappresenti
il territorio e lo sappia coinvolgere. Abbiamo creato delle belle sinergie e collaborazioni con tanti produttori e aziende agricole locali e seguiamo il ciclo trasparente e tracciabile dalla terra alla tavola. Inoltre, collaboro anche con una nutrizionista con cui studiamo i topping e gli abbinamenti, in modo da creare sempre pizze sane e gustose.”. Un progetto che mette insieme diversi fattori e sa declinare la pizza “etica” anche in versione delivery , calcolando tempi di trasporto, modalità, calibrando topping e impasti per una buona riuscita al momento del consumo della pizza. E Luca non si ferma qui. Alla domanda: “che progetti hai nel mondo pizza?”, non esita a rispondere: “Voglio continuare a fare una pizza di qualità superiore e raccontarla bene in modo che la gente si abitui e sappia riconoscere una pizza con un buon impasto, ottimi prodotti, gusto e salute”.
Francis Tolu, l’acrobata della pizza
4 volte campione.
Per ben quattro volte Francis Tolu è diventato Campione del mondo nella categoria pizza acrobatica freestyle del Campionato Mondiale della Pizza di Parma. Francis arriva da Valencia, dove ha il suo locale e, anche in questo 2024, conferma il podio (le altre volte sono state 2000, 2003 e 2023) con uno spettacolo che ha emozionato mixando le sue
acrobazie a ritmo di musica ad un video commovente con la storia della sua vita. Attraverso una voce fuori campo che raccontava la sua storia personale e la sua passione per la pizza, Tolu ha affascinato sia il pubblico che i giudici. Inoltre, ha introdotto elementi “vecchia scuola” che hanno risuonato con la nostalgia dei presenti, portandolo a ottenere un punteggio eccezionale. Francis Tolu, pizzaiolo spagnolo di fama internazionale, ha lasciato ancora una volta il segno, emozionando con una performance definita leggendaria dai giornali spagnoli. Ha affrontato la forte concorrenza nel round finale, giocandosela con finalisti del calibro di Takumi Tachinawa del Giappone, Jamie Culliton degli Stati Uniti e l’italiano Aniello Mansi, tutti grandi acrobati della pizza. Oltre al suo successo in campo agonistico,
Francis Tolu è una figura emblematica nella comunità della pizza spagnola. Dal 1999, anno in cui è entrato a far parte del team del Paese, è stato un modello per generazioni di chef. Il suo impegno per l'eccellenza e l'innovazione ha contribuito in modo determinante a innalzare il profilo della pizza spagnola a livello globale.
LE AZIENDE
CAMPIONATO MONDIALE DELLA PIZZA 2024
LE INTERVISTE AI PARTNER
31 CAMPIONATI DEL
MONDO: E TU QUANTI NE HAI FATTI? QUAL È IL TUO PRIMO RICORDO?
Abbiamo partecipato a due Campionati del Mondo, portando la nostra passione per la pizza e il nostro sostegno ai pizzaioli nelle loro competizioni. È lì che abbiamo il nostro primo ricordo.
Le pizze erano un tripudio di colori e sapori, con condimenti ed abbinamenti insoliti che ci hanno subito catturato. Era come se ci trovassimo di fronte a delle opere d'arte ma pronte per essere gustate ed apprezzate in ogni suo dettaglio.
UNO SGUARDO
AL PASSATO: COSA
PENSI CHE ABBIAMO
PERSO E CHE ANDREBBE RECUPERATO?
Abbiamo perso l'attenzione ai dettagli, sarebbe importante recuperarla per garantire ai clienti un'esperienza culinaria autentica e indimenticabile.
COME SONO CAMBIATI I
PIZZAIOLI OGGI? QUALI
SONO LE LORO RICHIESTE?
I pizzaioli sono diventati sempre più specializzati e professionisti nel loro mestiere. Hanno acquisito competenze specifiche sia nella preparazione dell'impasto e nell’utilizzo ed abbinamento degli ingredienti.
Le richieste dei pizzaioli includono spesso la ricerca di ingredienti di alta qualità, l'attenzione alla sostenibilità e alla stagionalità, la capacità di personalizzare le pizze secondo le esigenze dei clienti (anche con varianti senza glutine, vegane o vegetariane) e di innovare per creare pizze gourmet. Inoltre, i pizzaioli di oggi sono sempre più attenti alla formazione continua e alla partecipazione alle competizioni ed eventi del settore, per mantenersi aggiornati sulle nuove tendenze nel mondo della pizza.
LA TUA AZIENDA
E IL FUTURO DELLA PIZZA: QUALI PROGETTI PER DOMANI?
Siamo costantemente impegnati a migliorare e innovare nel settore della pizza. Tra i nostri progetti per il futuro, ci sono l'introduzione di nuove ricette e ingredienti di alta qualità, l'implementazione di tecnologie all'avanguardia per assicurare alimenti sicuri al 100%, senza conservanti artificiali e con un alto valore di servizio. Lavoriamo ininterrottamente per offrire ai nostri clienti un'esperienza gastronomica unica e memorabile, e siamo entusiasti di continuare a crescere nel mondo della pizza.
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Rispetto per la stagionalità delle materie prime, “dalla terra in cucina”, dalla raccolta alle preparazioni sapienti, prodotti gustosi e freschi direttamente nelle tue mani. Un’attenta selezione di pomodori conservati in innovative confezioni: polpa, passata, datterini, ciliegini e pomodori pelati... questo è il segreto di Demetra perchè ogni pizza diventi straordinaria.
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MasterBiga Una multichannel experience per i pizzaioli “Nerd”
di Domenico Maria Jacobone
Nel mondo della pizza, l'arte della lievitazione è uno degli elementi chiave che differenzia un buon prodotto da un’esperienza straordinaria. Come accade per il caffè, il mantenimento della costanza del prodotto lievitato passa dalla cura quotidiana e dall’adattamento dell’impasto alle condizioni ambientali. In questo senso, anche i prodotti lievitati risentono moltissimo degli sbalzi climatici, di pressione atmosferica, umidità e temperatura. MasterBiga è un'applicazione innovativa che promette di rivoluzionare il modo in cui i pizzaioli professionisti approcciano la lievitazione, offrendo uno strumento di base avanzato e con un algoritmo frutto di più di tre anni di lavoro basati su ricerca e professionalità. L'artefice di questa app è stato principalmente Paolo Spadaro, un esperto del settore con una visione chiara: rendere la tecnologia un alleato prezioso per tutti i pizzaioli.
La Nascita di MasterBiga
MasterBiga nasce dall'esigenza di colmare una lacuna nel settore della panificazione e della pizzeria: la mancanza di strumenti digitali completi, portatili ed affidabili, che possano assistere i professionisti e gli amatori nella gestione della lievitazione. Paolo Spadaro si definisce fornaio, pizzaiolo, formatore e la sua esperienza è stata costellata di incontri fortunati con professionisti di tutto il mondo, con i quali si è spesso trovato ad affrontare la ricerca del costante miglioramento nelle tecniche di lievitazione. Aver viaggiato, letteralmente per mezzo mondo ha portato Paolo a sviluppare una particolare sensibilità all’esigenza di uno strumento “universale” e, così, poco meno di una decina di anni fa, trovati i partner adatti a sostenere l’idea, ha realizzato quest’app che ha richiesto più di tre anni di lavoro per la trasformazione del sapere in tecnologia.
Le funzionalità di MasterBiga
MasterBiga è un'applicazione progettata per essere intuitiva e accessibile ma, al contempo, potente e ricca di funzionalità avanzate. Tra le sue principali caratteristiche, troviamo la possibilità di calcolare con precisione i tempi di lievitazione, le dosi degli ingredienti e le temperature ideali che assecondano l’utilizzo di farine e lieviti in ambienti diversi. L'app offre anche consigli personalizzati basati sulle specifiche esigenze dell'utente e delle condizioni ambientali. L’app include una sezione di formazione continua, dove i pizzaioli possono accedere a video tutorial, guide dettagliate
e aggiornamenti sulle ultime tecniche di lievitazione. Non ultima, c’è una community di più di 40.000 persone che su Facebook si scambiano (gratuitamente) esperienze e consigli sull’arte bianca per il piacere del miglioramento. Una community che è nata come “punto di assistenza” ed è diventata una “piazza” nella quale tutti i partecipanti possono contribuire al successo degli utenti.
Mi è piaciuta la definizione di Spadaro della sua app come l’equivalente della calcolatrice scientifica per un matematico: non si sostituisce al sapere ed alla professionalità del pizzaiolo ma è uno strumento di
I
vantaggi nell'Utilizzo di MasterBiga Paolo Spadaro:
L'adozione di MasterBiga offre numerosi vantaggi per gli amatori/principianti ma anche per i pizzaioli professionisti. In primo luogo, l'app permette di standardizzare il processo di lievitazione, riducendo gli errori e migliorando la consistenza del prodotto finale. Questo è particolarmente utile in situazioni professionali di grande produzione o catene di pizzerie in città e Paesi diversi, dove la precisione è fondamentale. Inoltre, l'app consente di risparmiare tempo e risorse, ottimizzando l'uso degli ingredienti e delle attrezzature. Le testimonianze dei pizzaioli che utilizzano MasterBiga (ci sono anche due scuole professionali, una in Spagna e l’altra in Argentina), raccontano di un cambio di paradigma nella loro routine lavorativa, con un impatto positivo sia sulla soddisfazione personale che sul successo commerciale. L’opzione PRO, dedicata ai professionisti, include funzionalità estese con alert e notifiche che aiutano ad interpretare al meglio la lievitazione ed una funzionalità di condivisione attraverso la quale si possono inviare ricette dedicate magari ai punti vendita di una catena di pizzerie che magari sta implementando una nuova base pizza, prodotto o farina.
l'uomo dietro l'app
Paolo Spadaro, 50 anni appena compiuti, è un nome noto nel mondo della pizzeria e della panificazione. Con una carriera che spazia dalla formazione all'innovazione, ha sempre cercato di migliorare e diffondere le migliori tecniche di lievitazione. Nato e cresciuto in una famiglia di panettieri, Spadaro ha sviluppato fin da giovane una passione per l'arte bianca, dedicandosi con impegno allo studio e alla pratica. I suoi traguardi includono numerosi riconoscimenti a livello nazionale e internazionale, nonché collaborazioni con alcuni dei più rinomati maestri pizzaioli; è stato per anni tecnico di “Agugiaro e Figna Molini” prima ed attualmente è tecnico formatore per “Molini Fagioli”. La sua filosofia si basa sulla combinazione di tradizione e innovazione, un approccio che ha perfettamente trasposto in MasterBiga, rendendola uno strumento indispensabile per i professionisti del settore.
In questo momento, l'app si posiziona come leader nel suo segmento con più di 110.000 download tra IOS ed Android, in 170 nazioni e tradotta in 5 lingue. Questo risultato è stato ottenuto principalmente per passaparola e quindi ancor di più un “riconoscimento” della bontà dell’idea, anche perché i numeri attuali raccontano quasi una divisione al 50% tra professionisti ed appassionati che hanno scaricato ed utilizzano l’app ogni giorno.
Ho scritto più volte che l'innovazione è una componente essenziale per il successo nel mondo della pizzeria e della ristorazione, MasterBiga rappresenta un esempio valido di come la tecnologia possa migliorare la qualità e l'efficienza del lavoro. Oggi MasterBiga ha anche un valore oltre la tecnologia: è diventata un’azienda che non ha solo tecnici ma una famiglia alle spalle, nella quale Matìs e Dhana Spadaro, (i figli di Paolo), sono attivi per la parte tecnica, grafica e di scrittura.
MasterBiga nel mercato attuale
Nel panorama attuale delle soluzioni digitali per la pizzeria, MasterBiga si distingue per la sua specializzazione e per l'approccio altamente scientifico alla lievitazione. A differenza di altre app che offrono soluzioni generiche per la cucina, MasterBiga è progettata specificamente per le esigenze dei professionisti dell’arte bianca.
CARNE:
E SE LA SOLUZIONE NON FOSSE
LA COTTURA A BASSA TEMPERATURA?
LA TECNOLOGIA SECONDO ALESSANDRO OBINO
di Noemi Caracciolo
ALESSANDRO OBINO, PROPRIETARIO DELLA SOFTWARE
HOUSE EXAGOGICA, HA INIZIATO
LA SUA CARRIERA OCCUPANDOSI
DI EDITORIA ELETTRONICA E POI DI SERVIZI INFORMATICI MA, ESSENDO
UNA BUONA FORCHETTA E UN AMANTE
DELLA CUCINA, HA VOLUTO AMPLIARE
I PROPRI ORIZZONTI.
L’imprenditore, infatti, ha aperto diversi locali e brevettato un forno molto particolare – sulla base di prodotti preesistenti, ma molto differenti – che porta diversi benefici nella cottura della carne e non solo.
L’idea di Innogrill (il brand del forno) nasce dalla volontà di ricreare il modello delle bracerie dell’alto Salento, ma abbattendo costi e soprattutto tempi. “Tutto arrosto. Niente fumo” è lo slogan e, a dirla tutta, non credo siano solo parole. Sentir parlare della carne cotta in un certo modo, affumicata, succulenta, morbida… fa venire proprio l’acquolina in bocca. Cuocere la carne non è mai stato così semplice.
SIG. OBINO COM’È INIZIATA LA SUA
AVVENTURA NELLA RISTORAZIONE?
Sono un imprenditore attivo in diversi settori da 30 anni. Vengo da un settore apparentemente piuttosto diverso da quello della ristorazione. Qualche anno fa, avendo un’azienda in Serbia e l’esigenza di portare i programmatori in Italia, ho creato una foresteria, diventata poi un B&B, trasformatosi a sua volta in una struttura alberghiera, a Vasto. Quattro anni fa è arrivata l’idea di fornire anche ristorazione.
PERCHÉ DICE SETTORE
“APPARENTEMENTE” DIVERSO?
Perché la ristorazione è innanzitutto un’organizzazione di prodotti, scorte, approvvigionamenti, flussi formativi tra cucina e sala. Farla bene non significa solo cucinare e voler bene alla gente – alla base di tutto – ma sapersi organizzare, innovare anche nell’ottica di fornire un prodotto qualitativamente elevato e nelle migliori condizioni di tempo e costi possibili.
QUAL È IL LOCALE CON IL QUALE
HA INIZIATO?
In realtà abbiamo iniziato con una piccola braceria da asporto stile fornello pugliese a Vasto. Poi l’abbiamo trasformata, ci siamo trasferiti dopo circa un anno e mezzo nell’attuale “Taverna del Vasto”, un successo enorme. Proponevamo una nuova formula in zona: grigliata mista all you can eat . Il locale è sempre pieno, c’è atmosfera di festa in qualsiasi giorno. Abbiamo poi aperto anche a Torino, in centro, la “Braceria Torino” e, un paio di mesi fa, ho avuto l’occasione di aprire vicino Piacenza, in un ex convento del 1300. La struttura è molto bella. Ho voluto però creare un vero e proprio format di ristorante, gli altri locali sono braceria specializzata sulla carne. Anche se facciamo pesce e altri piatti però, il concetto di base è sempre lo stesso.
E COME MAI HA DECISO
DI “CAMBIARE STRADA” E VARIARE?
Fondamentalmente, io credo nella gavetta. Non avendo mai fatto il ristoratore, quando sono partito, mi sono detto: “voglio iniziare occupandomi della preparazione del cibo, ma non della sala”. Ecco perché l’asporto. Tra l’altro era anche periodo del Covid, l’apertura è stata pochi mesi dopo l’inizio della pandemia. Quando abbiamo aperto il secondo locale, quello vero e proprio, avevamo comunque una cucina piccola e abbiamo fatto un locale “monoprodotto”: niente primi. A Vasto solo carne e un po’ di baccalà, anche questo spesso alla brace. Crescendo, mi sono sentito di ampliare l’offerta senza snaturarla. Il nuovo locale è diverso, con un cortile interno molto bello, location in generale più bella, più scelta, ma i prezzi sono simili.
Io credo che in queste cose sia opportuno procedere gradualmente, a meno che non si provenga da una famiglia già presente nel settore: quando si inizia a livello imprenditoriale, bisogna imparare, partendo dalle cose più semplici.
QUINDI MI PARE DI CAPIRE
CHE LEI CUCINA.
Io di fatto sono lo chef, in quanto le ricette e le idee vengono da me, i piatti li decido io e, se capita, li cucino anche. Ho iniziato a cucinare a 18 anni, da quando sono usci-
luglio/agosto 2024
to di casa, ho dovuto imparare. Sono un autodidatta ma anche nei miei due matrimoni, con i figli e tra amici, sono sempre stato l’addetto ai fornelli. Tra l’altro, sono sempre stato una buona forchetta. Chiaro che passare ad un aspetto professionale è ben diverso. Quando abbiamo aperto, ho organizzato un paio di corsi con degli chef. C’è molto studio alle spalle, soprattutto nei processi, quindi nell’uso degli abbattitori, le preparazioni, nel migliorare il più possibile il rapporto tra le scorte e il menù. Su queste basi, usando sempre prodotti freschi, a rotazione, cerchiamo di ottimizzare il più possibile il rapporto tra qualità finale del prodotto e la semplicità di realizzazione.
E QUI CI COLLEGHIAMO AL FORNO CHE
UTILIZZATE PER CUOCERE LA CARNE: COME LE
È VENUTA L’IDEA?
Mia moglie è medico, fa quindi tutt’altro ma viene da una famiglia di macellai e “braciatori” pugliesi. Anni fa, nella braceria dello zio, in estate, rimasi molto stupito di quanto fossero buone le bombette salentine alla brace ma anche di quanto fosse “scollacciata” l’organizzazione e i tempi fossero dilatati. Pensai: “è possibile farlo con altri prodotti e un servizio più alto”? Pensavo a strumenti e attrezzature che potessero andar bene e quindi scoprii i forni a brace, che in realtà esistono da una trentina d’anni ma hanno caratteristiche un po’ particolari; vengono usati
più che altro per “l’alto di gamma”, piuttosto che come unico strumento. Comprai un forno a cassetti, uno della mia attuale concorrenza. Era però lontano dalle necessità che avremmo potuto avere e così, insieme a un ex progettista di quella stessa marca, abbiamo cercato di studiare soluzioni migliorative per realizzare un forno che fosse meno industrializzato, più resistente nel tempo, semplice da pulire e mantenere. Volevamo che abbattesse davvero temperatura e particolato delle emissioni, perché il problema di cucinare con la brace in cucina è che si dovrebbe avere un
impianto di aspirazione e lavaggio dei fumi dedicato ma chiaramente è difficile. Per due anni abbiamo studiato una soluzione, facendo prototipi. Insomma, meno di un anno fa siamo arrivati al prodotto definitivo: totalmente modulare, struttura in acciaio imbullonato (si può dunque espandere), tagliafumo più ampi e soprattutto una camera di compensazione dei fumi. Questi, prima di uscire, entrano nella camera, depositano il particolato e poi escono dalla camera fumaria, dove c’è un filtro brevettato con delle serpentine che, oltre ad abbattere ancor di più il particolato, portano la temperatura sotto gli 80°C. Il fumo va a finire poi in cappa, senza problemi. Questo ci ha cambiato la vita. Oltre ad avere un prodotto di alta qualità, grazie all’irraggiamento della brace e la riflessione dell’acciaio, abbiamo un potere di cottura molto alto. Per esempio, una fiorentina la cuociamo in 7-8 minuti.
QUINDI,
A PARTE I TEMPI, QUALI
ALTRI ASPETTI POSITIVI CI SONO NEL
CUOCERE LA CARNE IN QUESTO MODO ANZICHÉ IN QUELLO TRADIZIONALE?
Cottura uniforme, non brucia il lato esterno della carne ma la cuoce anche all’interno, è molto più stabile e può essere quindi usato anche da un “non esperto”. Non c’è da gestire la temperatura. Riusciamo a cucinare 40, 50 kg di carne in una serata con 4 kg di carbone, molto meno rispetto ai 15 kg che servirebbero altrimenti o agli 8-10 kg che richiedono altri forni a camera chiusa. Abbiamo ottimizzato il più possibile gli aspetti della camera di combustione e il funzionamento termico del forno. Inoltre, questo prodotto permette di avere una sola persona in cucina, oltre a quella addetta al lavaggio. Per noi è così.
HA DETTO CHE LA COTTURA
È AUTOMATICA, QUINDI COME FATE
A GESTIRE LE RICHIESTE?
Si impara facendo varie prove. Nel nostro forno ci sono 4 cassetti con temperature diverse per cotture diverse. È molto semplice da usare, ha una paratia dietro: quando estraggo il cassetto, infatti, il forno rimane chiuso. Poi, avendo tre locali in posti diversi, abbiamo richieste di cottura diverse. Hai presente il reverse searing (l’asciugatura della carne a bassa temperatura)? Noi ne abbiamo capovolto il concetto. Viene molto usato nei ristoranti ma a me non piace: è come se la carne venisse lessa all’interno e, in secondo luogo, comporta un notevole costo di processo. Noi prendiamo la carne quando viene richiesta: una fiorentina la prepariamo al blu e poi viene portata in tavola
– tagliata o non – su una pietra rovente che teniamo nell’ultimo cassetto del forno. In questo modo, ogni persona può gestire la cottura come meglio crede. In pratica, a differenza del reverse searing , facciamo una sigillatura standard in forno che, essendo a camera chiusa, affumica anche e dà quel sapore di brace molto evidente fin da subito. La cottura viene conclusa su pietra. In linea di massima, ci sono tantissimi vantaggi, senza discostarsi affatto dalla classica idea di carne sulla brace. Il sapore è potenziato, l’affumicatura è molto evidente e, tra l’altro, la gestione costa poco.
MAGGIORE PRODUZIONE
A MINOR COSTO IN PRATICA.
Non siamo stati sicuramente i pionieri. I più famosi sono i forni “Josper” spagnoli: fornace con portellone, che pesa 300 kg, quindi difficile da spostare e costosissimi. Ci vogliono 26.000 € attualmente. Poi, quando si apre, oltre a cuocere la carne, cuoce anche il cuoco. Viene usato più dall’altro di gamma. In Italia ce l’hanno solo ristoranti stellati o similari. Noi Italiani vogliamo fare sempre meglio e quindi, con miglioramenti in termini di costi, fumi e manutenzione, abbiamo creato un forno da poter usare tutti i giorni, paragonabile al forno del pizzaiolo. Non più uno strumento solo per una carne da 100 € ma anche per lo spiedo di pollo, che noi vendiamo a 12 € o un hamburger, morbido, succoso, che sa di brace. La differenza fondamentale è che la nostra carne è più morbida, perde meno succhi, si cuoce più in fretta e sigilla subito. Bisogna mettere anche meno sale. È più sano.
PROGETTI FUTURI PER INNOGRILL?
Il primo forno si chiama “Muspel” ma ne stiamo realizzando un altro che definirei semiprofessionale: non ha l’abbattimento dei fumi, è più per l ’outdoor o per chi lo usa una volta ogni tanto, ha meno capacità di carbone. Di fatto, però, i prodotti hanno la stessa struttura. Si è valutato un eventuale franchising basato sul forno ma ho tante attività: i locali vanno bene, danno tante soddisfazioni e penso che la nostra crescita debba restare graduale. La verità è che noi, senza quel prodotto eccezionale, avremmo fallito come ristoratori.
È MOLTO BELLO CHE SUL SITO
PROPONIATE DI “CONOSCERE” IL
PRODOTTO VENENDO AD ASSAGGIARE
I VOSTRI PIATTI, SENZA DOVERVI
AVVALERE DI UN TESTIMONIAL.
Gli altri prendono un cuoco e lo pagano per dire: “è buonissimo, è straordinario”. Non ha senso per me. Preferisco che le persone provino. Un’altra cosa: abbiamo l’assistenza da remoto. Non c’è bisogno di una persona, è totalmente modulare e il pezzo più grande pesa 15 kg. Quindi, rivestimento in acciaio alimentare, struttura interna in acciaio inox 430 3mm, bulloni da 8mm… in pratica posso montare e smontare con una chiave inglese, semplicissimo da maneggiare e spostare.
MI PROPONGA QUALCOSA DA ASSAGGIARE IN OGNUNO DEI TRE LOCALI.
A Vasto gli arrosticini, ne facciamo di vario tipo, sono morbidi e saporiti. A Piacenza c’è la vacca Charra spagnola: è molto grassa ma buonissima, si scioglie in bocca. Va fortissimo, tanto che ne prendiamo lombate intere. Ma un piatto che forse consiglierei più di ogni altro è il pollo: le sovracosce aperte e cotte in questo forno sono un altro mondo, diventano un piatto da re.
LE AZIENDE
CAMPIONATO MONDIALE DELLA PIZZA
2024
LE INTERVISTE AI PARTNER
COME SONO CAMBIATI
I PIZZAIOLI OGGI? QUALI
SONO LE LORO RICHIESTE?
31 CAMPIONATI DEL
MONDO: E TU QUANTI NE
HAI FATTI? QUAL È IL TUO
PRIMO RICORDO?
Siamo presenti da 14 anni come partner e sponsor tecnico, con una continua evoluzione da parte dell'organizzazione per quanto riguarda il format e la location, aumentando sempre di più la qualità ed il livello dell'evento. La prima edizione ricordiamo infatti risalire ancora a Salsomaggiore, ed era una manifestazione ricca di passione e speranza da parte dei partecipanti, ma allo stesso tempo ancora "acerba" dal punto di vista organizzativo.
Rispetto al passato, oggi i pizzaioli hanno esigenze sempre più precise e mirate. E’ aumentata la consapevolezza sui prodotti da realizzare grazie alla grande diffusione di informazioni data dai social media e più generalmente da internet. Il pizzaiolo, inteso come imprenditore, ha sempre più la necessità di "arrangiarsi", ovvero di poter gestire in autonomia il proprio lavoro slegandosi dal dover dipendere da collaboratori o aiutanti e noi, come azienda produttrice di strumenti come forni elettrici e presse stendi pizza, siamo sempre più focalizzati su questo obbiettivo.
UNO SGUARDO
AL PASSATO: COSA
PENSI CHE ABBIAMO
PERSO E CHE ANDREBBE
RECUPERATO?
LA TUA AZIENDA
E IL FUTURO DELLA PIZZA: QUALI PROGETTI PER DOMANI?
L'obbiettivo è la semplificazione del lavoro ed il contenimento dei costi, software sempre più precisi e personalizzabili, che garantiscano risultati ottimi, facili e ripetibili, la scelta di materiali sempre più performanti e versatili, che ci permettano di realizzare macchine che si adattino a tutte le esigenze (siano esse di spazio, di gestione o economiche) che ci vengono richieste.
Un tempo il campionato era l'evento per antonomasia del mondo pizza. Dal nostro punto di vista oggi, purtroppo, viviamo un periodo in cui molte gare, da considerarsi minori, si sono sempre più moltiplicate andando a saturare un settore che un tempo era esclusivo della vostra organizzazione. Per questo, riteniamo, che l'evento andrebbe stimolato con nuove idee e proposte.
IL MONDO STA CAMBIANDO. E CAMBIA ANCHE LA RISTORAZIONE
di Giampiero Rorato
Il nostro pianeta sta entrando in una fase nuova della sua storia, già lunga milioni di anni, per cause anche dipendenti dal comportamento dei suoi abitanti, in particolare di queste ultime generazioni. Il “normale” srotolarsi delle stagioni, il mutare delle temperature, l’alternarsi del clima sono entrati in crisi e sarà una crisi molto pericolosa per la vita di molti vegetali, di molti animali e di intere popolazioni del pianeta. La siccità in deciso aumento, le “bombe d’acqua” improvvise, la desertificazione di ampi territori, l’insorgere di nuove malattie creeranno problemi epocali per le prossime generazioni. Sempre se non ci sarà una forte presa di coscienza e si ritornerà ad una vita rispettosa delle esigenze naturali del pianeta in cui viviamo.
Questo ci dicono ormai da anni numerosi studiosi ed esperti e un ritorno alla “normalità” potrà esservi se si formerà una nuova consapevolezza della fragilità del nostro pianeta e, conse -
GUARDIAMOCI ATTORNO
Attorno a noi ci sono dei fenomeni dei quali prendere atto, i quali ci dimostrano che alcune cose stanno già cambiando. Ne accenniamo qualcuno:
1 – Il cambio di clima sta modificando il nostro territorio, che già in certe aree assomiglia alla fascia tropicale, con l’arrivo
anche di coltivazioni fino a ieri tipiche delle aree tropicali, a cominciare dal caffè, la papaya, la banana, ecc.
2 – la produzione, anche nella pianura padano-veneta di grano duro, fino a ieri presente solo nel centrosud d’Italia e nelle isole.
guentemente, della vita di chi lo abita. In verità, si è sempre più convinti che serve un sapiente “ritorno alla natura” che può avvenire anche senza sconvolgere tragicamente la nostra vita e le nostre abitudini.
3 – Il prolungarsi della stagione calda, con allungamento delle attività turistiche non solo nel centro-sud d’Italia, ma anche nelle regioni del nord.
4 – La minor caduta di neve in montagna, con improvvise precipitazioni per lo più impreviste e pericolose sta mettendo a rischio un settore turistico fondamentale per l’Italia.
NUOVE PROSPETTIVE
Fortunatamente, sta - seppur lentamente - nascendo una coscienza nuova: la convinzione che è sbagliato “forzare” la natura obbligandola a seguire i nostri desideri e anche i nostri capricci. Si sta comprendendo che, obbedendo alle sue leggi, si può ottenere di più ed è in crescita il numero di coloro che hanno imboccato questa strada, convinti che il mondo dovrà nei prossimi decenni
convincersi che, combattendo contro le leggi della natura, si ha solo da perdere. In Italia, il cambiamento si comincia a vedere in agricoltura, con una progressiva diminuzione dell’impiego di prodotti chimici, con l’aumento delle produzioni biologiche, con la ricerca, riproposta, valorizzazione di interessanti e preziose produzioni abbandonate da tempo, come i grani antichi, la frutta
e i vitigni autoctoni, nonché i prodotti d’un passato che sembra lontano ma che ci ha lasciato in eredità, fra l’altro, straordinari prosciutti, salumi e formaggi artigianali, confetture e liquori casalinghi, polli e altri animali da cortile allevati in libertà e non prigionieri in gabbia e piatti di cui ci parlano con nostalgia le nonne ma che le giovani generazioni non conoscono.
LA RISTORAZIONE
Una seria riflessione la stanno facendo anche gli operatori della ristorazione, titolari di ristoranti, trattorie, pizzerie, agriturismi, cuochi, pizzaioli e personale di servizio. E la riflessione sta già portando molti a cambiare radicalmente il modo di operare, avendo ben compreso che dalla qualità del loro lavoro dipendono la vita ed il benessere dei loro clienti.
Questa semplice considerazione, in verità sempre più diffusa, porta tutti loro a rivedere non solo gli acquisti delle materie prime ma il modo di preparare e cuocere gli alimenti, al fine di offrire con orgoglio ai propri clienti un’alimentazione che, oltre ad essere buona, gustosa e in preparazione bella a vedersi, sia anche veramente salutare, quindi sapientemente equilibrata.
Il tema che stiamo affrontando, ormai di grande attualità, è molto complesso e questa rivista, con l’apporto di altri ottimi collaboratori, seri, specializzati e competenti – e cito per tutti la bionutrizionista Marisa Cammarano – aiutano a capire il futuro che ci attende, indicando la strada migliore da percorrere per riportare anche l’alimentazione a rispettare la natura e le persone.
DOVE LA FORMAZIONE DIVENTA TRADIZIONE
di Paolo Priore, Responsabile consulenze di Scuola Italiana Pizzaioli
Negli ultimi trent'anni la pizza ha subito una notevole evoluzione, passando ad esempio da impasti a breve lievitazione e farciture più o meno di qualità, a impasti tendenzialmente a lunga maturazione e farciture ricercate, spesso prodotte direttamente dal pizzaiolo stesso o provenienti da fornitori selezionati. L'attenzione verso la territorialità, freschezza e stagionalità è diventata un elemento fondamentale nella preparazione della pizza in tutte le sue forme, al piatto oppure come cibo di strada. In questo contesto la Puglia è sicuramente protagonista e il suo “street food” è caratterizzato da una varietà di specialità, ognuna delle quali richiede tecniche e attrezzature specifiche per essere preparate al meglio.
La focaccia barese, ad esempio, richiede un forno elettrico e una cottura tra i 220 e 270 gradi per ottenere la tipica crosticina croccante e saporita. La puccia leccese viene cotta prima in forno per poi essere riscaldata sulla griglia, così da renderla morbida e anch’essa leggermente croccante. La tecnica prevede di farcire il pane e scaldarlo sulla piastra per fondere il formaggio e amalgamare gli aromi. Per la paposcia è necessario avere un forno da pane e una griglia o una piastra per scaldare il panino farcito, mentre per il classico panzerotto con pomodoro e fior di latte sarà fondamentale dotarsi di friggitrice e olio adatto alle alte temperature.
La qualità di un qualsiasi piatto è sicuramente il risultato di una specifica alchimia tra materie prime selezionate, tecnica dell’artigiano e l’utilizzo corretto delle giuste attrezzature. Anche in questo caso senza un’accurata formazione non si potrà mai avere piena consapevolezza dei processi produttivi e una specifica identità professionale.
www.scuolaitalianapizzaioli.it
LE AZIENDE INFORMANO
CAMPIONATO MONDIALE DELLA PIZZA
2024
LE INTERVISTE AI PARTNER
31 CAMPIONATI DEL
MONDO: E TU QUANTI NE
HAI FATTI? QUAL È IL TUO
PRIMO RICORDO?
La Lilly Codroipo, con il suo fondatore Margarit Renato, è stata presente al campionato sin dalla prima edizione; io personalmente penso di averne vissuti almeno una ventina, ed uno dei primi ricordi è stato l'arrivo al PalaCotonella, famoso ai tempi per lo svolgimento del concorso di Miss Italia
COME SONO CAMBIATI I
PIZZAIOLI OGGI? QUALI
SONO LE LORO RICHIESTE?
Sicuramente un bravo pizzaiolo si è affermato come figura lavorativa indispensabile in un locale di successo, è vero anche che in seguito alle innovazioni negli strumenti e negli ingredienti per fare la pizza, è costretto a tenersi sempre aggiornato per adattarsi alle tendenze del momento
UNO SGUARDO
AL PASSATO: COSA PENSI CHE ABBIAMO
PERSO E CHE ANDREBBE RECUPERATO?
Negli ultimi anni penso che si sia perso lo spirito gioviale ed amichevole che caratterizzava l'evento, di fatto il campionato era sentito dai partecipanti come momento di ritrovo e di scambio reciproco; ora si pone l'attenzione sui Social media, che evidenziano maggiormente i pochi singoli "sponsorizzati"
LA TUA AZIENDA
E IL FUTURO DELLA PIZZA: QUALI PROGETTI PER DOMANI?
Per noi il futuro è iniziato già adesso con lo sviluppo dei nuovi modelli di pale per forno, prima fra tutte la Pala "Arena", innovativa nel tubo curvo ergonomico, nata per migliorare la postura del pizzaiolo durante il lavoro, e che si adatta pienamente all'ambiente di lavoro, difatti sarà disponibile in 20 versioni
Comune di Codroipo
storie di pizza
CAMPANA 12
LA PIZZA TONDA IN TEGLIA È IL FUTURO
di Giusy Ferraina
Tutto ha inizio quando, negli anni ’90, la famiglia Campana apre il primo punto vendita di pizza in teglia, proprio su via Nazionale a Corigliano, proprio a quel civico 80, dove oggi c’è Campana 12. Un ritorno voluto alle origini? Sicuramente un’evoluzione importante di un modo di concepire la pizza, soprattutto quella in teglia, che punta dritto verso il futuro.
La pizza in teglia fa parte del Dna di Daniele Campana: c’è un rapporto intimo e profondo con questa tipologia di pizza che lui stesso ha eletto come pizza ideale e strumento di narrazione di un territorio. Lo fa con il suo progetto primario “Campana pizza in teglia” che segna il cambio di passo vero, che mette in evidenza quanto la “teglia” definita facile, da consumo veloce e banale, da Cenerentola ha saputo diventare principessa.
Con Daniele Campana si concretizza una visione alta della pizza in teglia, che sposa il territorio e la cucina andando ben oltre
il concetto di “trancio di pizza” e aprendo un percorso di valorizzazione e racconto di quella Calabria che lui così tanto ama. Questa è la sua piccola rivoluzione, seppur lui si reputi un pizzaiolo normale, fedele alla sua visione e alla sua etica, nonostante le mode.
Il suo obiettivo è sempre stato quello di dare dignità a un tipo di pizza, considerata forse “di serie B” rispetto alla classica tonda e lo fa avventurandosi lungo la strada della pizza identitaria e personale, capace di raccontare la sua storia e il suo territorio, attraverso topping pensati, ragionati nella loro creatività di gusto,
stagionali e tutti realizzati con ingredienti provenienti da piccoli produttori locali. Ne viene fuori una pizza che celebra la Calabria, la racconta nelle sue pieghe, la fa vivere ad ogni morso. Nelle sue creazioni ci sono la memoria, il sogno, il passato e il futuro. Un futuro tangibile e che diventa concreto appena varcata la soglia di “Campana 12”, il nuovo progetto di degustazione di pizza in teglia tonda al piatto, un’idea che possiamo definire d’avanguardia.
Follia, visione e rivoluzione trovano qui una forma e la loro sintesi: “Nel mio modo di pensare la pizza, in effetti, mi sento un po’ folle, visionario e rivoluzionario”, ci dice Daniele e ci spiega anche perché. “Rivoluzionario, perché nella prima fase della mia vita professionale volevo cambiare la storia della mia vita; folle perché ho rinunciato al guadagno immediato pur di perseguire i miei ideali e visionario perché guardo al mio lavoro con gli occhi del cuore, dove i valori umani sono più importanti di tutto il resto”.
E in questo racconto di Calabria non si può non citare “la Pomodoro”
“Sì, è la pizza con la quale ho impresso il mio stile in modo marcato, dove tre ingredienti essenziali come pomodoro, origano della Sila e olio da cultivar Dolce di Rossano in uscita si combinano perfettamente in un’alchimia di sapori che sono la sintesi del concetto di identità territoriale che perseguo. Il tutto seguendo un minimalismo estremo”.
Mentre se parliamo della tua pizza
più iconica?
“Non posso non citare “Maria”, una pizza dedicata a mia nonna materna e alle sue merende a base di pane, formaggio e frutta, che ho voluto ricordare con una pizza a base di fichi, ‘nduja e ricotta dura in uscita. Nel 2007, quando la proposi sul banco non venne capita, oggi aspettano il periodo dei fichi per venirla a mangiare da tutta Italia”.
Da quanto ci racconta si intuisce subito che la strada battuta da Daniele Campana è differente, ha rotto gli schemi e nel suo viaggiare fuori rotta ha disegnato un nuovo pizza-pensiero, autentico, intimo e personale.
“Campana 12 è nato come un sogno, una provocazione – ci spiega lo chef-pizzaiolo – la provocazione di fare pizza in teglia in formato tonda e dargli una sua connotazione degna della sua storia. Ho costruito un luogo dove la “Cenerentola” diventa principessa, anzi regina. Un posto intimo dove raccontare quello che facciamo e come lo facciamo, un concentrato di confort e design dove la teglia tonda esprime tutto il suo potenziale”.
“Campana 12” è infatti caratterizzato da un’atmosfera intima e raccolta e conta solo 12 coperti. Qui tutto è curato nei minimi dettagli: il bancone frontale dove Daniele lavora, pareti insonorizzate, sedute comode, la luce diretta sul tavolo, un servizio attento e preciso.
“Tutto è pensato per creare un rapporto diretto con il gusto. Volevo far capire che non è la forma che dà un gusto a un qualcosa che si mangia; per questo mi sono approcciato alla forma tonda ma sempre in teglia, attraverso cui cerco di far uscire la mia parte emotiva. In poche parole, la mission di questo progetto è promuovere un nuovo modo di consumare la pizza in teglia e per fare ciò ho messo in campo l’esperienza e la professionalità di una vita. Sicuramente l’approccio non è immediato ma desta curiosità e noi stiamo lavorando per trasformare questa curiosità in una certezza”.
La pizza è sempre la stessa: stesso impasto e stessa filosofia della teglia classica. Parliamo di un impasto indiretto con pre-fermento, biga e doppia lievitazione fino a 36 ore e un utilizzo di farina tipo 1 macinata a pietra, più ricca di fibra, e di origine calabrese anche questa.
storie di pizza
Quante pizze troviamo?
“Nella sezione la “Tonda di Campana” ci sono solo 6 pizze, un viaggio in sei tappe lungo la regione, spaziando nella tradizione con stile contemporaneo. Alla pizza c’è un prima e un dopo che rappresentano altre novità assolute: i Cookies di ‘nduja di suino nero, cioccolato a gocce e sale maldon e la versione con olive e cioccolato fondente Vietnam o i mini bun o l’Eclair salato. Senza dimenticare la carta degli oli studiata ad hoc con le diverse cultivar calabresi. Un menu solido a mio avviso che vuole avere come risultato finale la qualità del gusto. Il mio obiettivo è proprio questo: riuscire a tirare fuori il massimo del godimento nel gusto dalle mie creazioni”.
E non possiamo dimenticare “U
Sibbaresi”, il panettone per tutte le stagioni, altro protagonista di Campana 12.
“U Sibbaresi è per sempre! Inoltre, gli abbiamo cucito addosso una sua modalità di servizio, tanto da farlo diventare unico per “Campana 12”… ma non vi racconto altro perché penso che tutto quello che facciamo qui deve essere vissuto direttamente con il desiderio di emozionarsi e di scoprire e conoscere meglio la Calabria, Campana 12 e il lavoro bello e folle che stiamo portando avanti”. Avendo anche vissuto direttamente l’esperienza, confermiamo le sue parole. Oltre alla maestria negli impasti, la continua ricerca nei sapori, Daniele Campana ha il potere di sapere guardare avanti, abbattere i limiti e concretizzare sogni. E forse non sbaglia affatto quando dice che la pizza in teglia tonda sarà la pizza del futuro.
Mantenimento ad alto
CIRO OLIVA PORTA
SULL’ISOLA AZZURRA
LA SUA ESPERIENZA
DI SEMPLICITÀ
“Tu, luna, luna, tu, luna caprese”. Quella dell’isola dell’imperatore
Tiberio è una luna che “fa sognare l’amore agli innamorati”, come cantava Peppino Di Capri. E ora ci sarà un motivo in più per adorarla: la pizza di Ciro Oliva.
Ha aperto, infatti, i battenti sabato 1° giugno la sede caprese della storica pizzeria napoletana “Concettina ai Tre Santi” guidata dall’ex enfant prodige della pizza napoletana, oggi – all’età di 32 anni - tra i più bravi e talentuosi giovani pizzaioli imprenditori del settore. Si tratta del secondo locale di Ciro e la sede è più che mai iconica, in quanto è il luogo dove sorgeva il ristorante isolano dello chef stellato
vicano (di Vico Equense, Napoli, ndr) Gennaro Esposito ma anche – e soprattutto – la pizzeria che tutti i capresi conoscevano come “Gemma”. Quella di Ciro a Capri non è la sua “prima volta” in assoluto ma sicuramente è la prima in pianta stabile. Già nel 2021, Concettina ai Tre Santi era stata ospitata sulle terrazze del Tiberio Palace nell’estate isolana. Ora, dal cuore del centro storico di Napoli, Concettina
ai Tre Santi arriva, invece, nel cuore della Capri seicentesca, sulla strada che tutti i capresi chiamano nel loro gergo “via Santa Teresa”. Nei locali, a due passi dalla leggendaria Piazzetta, la famiglia Oliva porterà, per l’intera durata dell’alta stagione turistica, ogni sera dalle 18 alle 24, la collaudata esperienza sensoriale della pizzeria del Rione Sanità, fatta di verdure di stagione, antipasti iconici e, ovviamente, pizze. Da “Palla al centro” a “Sott e ngopp” (la Montanara di Casa Oliva) fino alle Ciro’s icons, passando per la “pizza del giorno” proposta dal giovane vulcanico Ciro Oliva. E ancora: da “Int ’o rutiell” alle Speciali, senza dimenticare le Classiche, tra le quali le intramontabili “Marinara” e “Margherita”.
Ad affiancare la proposta, che vede la centralità di ingredienti straordinari della tradizione campana, come la Mozzarella di Bufala, il Pomodoro San Marzano Dop, gli aromi freschi in abbondanza e l’olio evo di qualità, c’è una importante Carta dei vini, tutta da scoprire.
La “casa madre” di Concettina ai Tre Santi – come tutti sanno – è nel Rione Sanità ed è attiva dal 1951, ovvero da quando la giovane Concettina faceva le sue pizze “ogge ‘a otto” e cioè, come voleva una regola di buon vicinato, “a credito”: le consumavi e le pagavi dopo otto giorni, alla pizza successiva. Come molte donne dei quartieri di Napoli, anche Concettina friggeva all’angolo di strada le sue pizze. Lei era per tutti quella “vicino all’edicola
storie di pizza
dei Tre Santi”. Insieme a Ciro, lavorano il padre, Antonio (detto Tonino) e la madre, Anna. Ciro è, però, indiscutibilmente l’autore della rivoluzione che ha interessato l’attività di famiglia dal 2013, a partire dall’impasto per finire con la selezione degli ingredienti.
“Concettina ai Tre Santi a Capri – racconta Ciro – è un progetto semplice e, come tale, impegnativo: portare sull’isola le preparazioni che più ci rappresentano. Il valore aggiunto è nell’uso della materia prima di stagione e in un forte rapporto di scambio e fiducia tra chi prepara e serve e chi è seduto a tavola, grazie al nostro team che con noi condivide il progetto di famiglia”.
Oggi il locale di Antonio, Anna e Ciro - animato dalla professionalità e passione di un team allenato alla condivisione della bellezza – rappresenta, infatti, non solo un riferimento autentico e vibrante per gli amanti della pizza napoletana ma anche un progetto imprenditoriale che ha contribuito (e contribuisce) a un imperterrito ed entusiasmante movimento di riqualificazione urbana del Rione.
I locali di “Concettina ai Tre Santi – Capri” hanno i colori del Mediterraneo e l’inconfondibile stile Oliva, ispirato a semplicità e freschezza: legno, ceramiche colorate, dettagli di stile. Tutto è pensato per accogliere e far sentire a casa.
E - bella novità - sarà possibile prenotare il proprio posto attraverso il sito web: www.concettinaaitresanti.com
Ed è proprio così che si sente Alessandro Gatti quando la mattina va a lavorare: vivo. Una passione ardente che cerca costantemente di trasmettere ai pizzaioli delle future generazioni. Dopo aver maturato anni di esperienza, Alessandro – pizzaiolo e proprietario di Ale’s Pizza a Marina di Massa in Toscana (e altre) – è diventato Master istruttore per la Scuola Italiana Pizzaioli e anche giudice di gara al Campionato Mondiale della Pizza. La sua filosofia è semplice: “se fai ciò che ti piace, non crederai mai di lavorare. Sperimenta sempre, non fermarti mai. E per le pizze? Pochi ingredienti, ma che si incatenano bene”.
Alessandro raccontami la tua
storia: come hai iniziato?
Quando ero molto giovane, non avevo una gran voglia di studiare e, poiché a quel tempo per i genitori o studiavi o lavoravi, non ti tenevano “sotto la
propria ala” - per così dire - ho dovuto fare una scelta. Mia mamma aveva una piccola trattoria a Marina di Massa, stavano nascendo le prime pizzerie, pizze classiche e, così, avendo un piccolo forno, decidemmo di assumere un signore che mi iniziasse al mestiere. Era il 1985/86 e da quel momento fui preso dalla passione. Al tempo non c’era una grande comunicazione, niente Internet. Venni a sapere che c’era il Campionato Mondiale della Pizza a Salsomaggiore, mi iscrissi e mi si aprì un mondo. Sai, se resti sempre nella tua cittadina, nella tua pizzeria, sì, lavori, ma non vedi cose nuove, non impari e non cresci. Io, invece, volevo crescere. È così che ho conosciuto anche la Scuola Italiana Pizzaioli, fatto corsi e così via.
Alla fine, sei diventato anche un giudice di gara, ai forni se non erro. Qual è la cosa più importante per chi assume questo ruolo?
Mi sono trovato “dall’altra parte” per più di quindici anni; quindi, so che la cosa fondamentale è far sentire a proprio agio le persone. Dopotutto, c’è chi fa cinquemila km per venire a fare una sola pizza. Questo non significa certo essere accondiscendenti, ma è importante.
Ma sei anche un istruttore: cosa spinge un professionista del “mondo pizza” a insegnare?
La passione. Nonostante gli anni, sei sempre sul pezzo, hai quell’entusiasmo dentro che vuoi trasmettere. Tanti dei miei corsisti partecipano al mondiale, qualcuno ha vinto, altri hanno aperto
un’attività. Sono riuscito a trasmettergli qualcosa di bello: la passione. Io, quando entro in pizzeria, non penso di andare a lavorare, perché mi piace. Se fai qualcosa che non ami, non lo fai con piacere, lo dico sempre.
Con il tuo ruolo hai l’opportunità di influenzare e ispirare i futuri pizzaioli. Quali consigli hai per i giovani che vogliono intraprendere questo percorso?
Informarsi sempre e comunque, sulle tecniche e tutto ciò che gira intorno al mondo della pizza: prodotti, farine, metodi… tutto è in continua evoluzione. Mai fermarsi a un solo metodo, ma sperimentare sempre.
A proposito di sperimentare, so che usate la fibra della barbabietola da zucchero: perché questa scelta e quali sono i benefici?
Sia io che mia moglie siamo diabetici e, quando ho scoperto questo prodotto, non è stata una classica presentazione da rappresentante, ero sensibile proprio a causa del problema. Combatte il picco glicemico e gli effetti negativi degli zuccheri e dei carboidrati. Non dà alcun sapore alla pizza e questo era l’aspetto che ci spaventava di più, ovvero che i clienti fossero abituati a un sapore e se ne trovassero davanti a un altro. Abbiamo fatto prove su prove; prima su di noi e poi sui clienti fissi con i quali abbiamo più confidenza.
È piaciuto. Nessun gusto particolare. Cambiare un gusto per il pizzaiolo è problematico, succede con il pomodoro e qualsiasi altro prodotto. Poi usiamo anche la fibra di frumento.
Parlami dei tuoi impasti.
Abbiamo due pizzerie nel giro di 300 metri. Quella storica, che il 13 giugno ha compiuto 20 anni, nella quale facciamo un classico impasto: diretto a lunga lievitazione (almeno 72h), maturazione e lievitazione in cella per la classica pizza tonda. Sempre qui facciamo la “senza glutine”, un semilavorato al quale aggiungiamo farine molto alternative, come amaranto, grano saraceno o quinoa.
Cambiamo continuamente impasto per trovarne uno sempre più buono. Per il “gluten free” facciamo anche frolla, dolci e abbiamo delle belle recensioni al riguardo. Nel secondo locale, invece, facciamo una pala alla romana. Un impasto molto più idratato, una “pinsa a modo nostro”, se vogliamo. Non la chiamo proprio “pinsa” perché uso prodotti differenti ed è più alveolata, ha molta più acqua. Il più del lavoro è per la pizza in pala. Poi abbiamo anche altri locali, però in Francia, a Montpellier, con un altro logo.
Più che pizzaiolo sei, dunque, ormai un imprenditore.
Purtroppo, sì. Quando ho iniziato, ci si dedicava a fare gli impasti, cuocere e crescere sotto l’aspetto professionale del proprio mestiere. Adesso devi crescere a livello imprenditoriale, capire i costi, le regole, la burocrazia in generale. Tante persone aprono locali pensando di fare solo pizze ma non è così. Bisogna comprendere tutta una serie di cose e non è affatto semplice.
Tornando alla pizza, perché
sei andato proprio alla ricerca della romana?
Da noi facciamo una pizza bassa, non in stile napoletano, perché è così che piace e, poiché mi è sempre piaciuto fare la pala e volevo dare qualcosa di diverso, ho optato per quello. Faccio sia la pala lunga che la palettina per singoli.
E in termini di topping?
Nella pizzeria storica, facendo grandi numeri tra servizio al tavolo, domicilio e asporto, non riusciamo a fare pizze troppo particolari e lavorate. A differenza di quanto facciamo nell’altra pizzeria. Ovviamente, alcuni prodotti di nicchia li prendiamo in zona, come la salsiccia. Usiamo molto i formaggi della Lunigiana: pecorini, erborinati, di capra, tipici di piccolissime aziende del territorio. Poi, il lardo di Colonnata e, invece, per pomodoro
e mozzarella ci agganciamo molto a Parma e, ovviamente, alla Campania.
Proponimi una pizza che mi faresti assaggiare.
Difficile. Nel locale storico ne facciamo più di 70, anche se poi alla fine il cliente si fa sempre la propria. Ti propongo la prima che ho presentato al campionato: la Chiara, che ho dedicato a mia figlia; è fatta con zucchine grigliate, lardo di Colonnata, rucola e pomodorino fresco. Non vado tanto su prodotti particolari, pochi, ma che si incatenano bene. Una che va tantissimo è: pomodoro condito con origano, passata in forno e, all’uscita, stracciatella, acciughe di Monterosso, pinoli tostati e olio al basilico.
Una delizia estiva.
italiana
LE AZIENDE INFORMANO
La piadina 100% grani italiani a leggera fermentazione naturale di Omar Casali Chef Gourmet
INGREDIENTI PER L’IMPASTO DI 10 PIADINE - 165 g per piadina
1 kg Farina di grano tenero Tipo 00 ideale per piadina Molino Naldoni ITALICA 100% grani italiani
400 g Acqua a circa 35 °
MOLINO NALDONI
Via Pana 156, Faenza (RA) T. 0546 40002 M. naldoni@molinonaldoni.it
www.molinonaldoni.it
20 g Sale di Cervia
200 g Strutto di Mora Romagnola
Qui sopra: Piadina Salsa tonnata, tonno scottato e cipolla con finitura capperi e misticanza di campo condita con il miso
Cottura
Formiamo dischi dal diametro di circa 20/22 cm.
Cuociamo velocemente, circa 90 secondi in totale. Noi utilizziamo piastre in ferro a 270°.
LA FARCITURA ESCLUSIVA DI OMAR: SALSA TONNATA, TONNO SCOTTATO E CIPOLLA
- 80 g Filetti di Tonno nostrano per piadina
Scottiamo velocemente su tutti i lati avendo cura di lasciare rosa al cuore. Lasciamo raffreddare velocemente, prima di procedere con il taglio delle fette, in modo preservarne la struttura.
- 80 g di Salsa tonnata per piadina
Mettiamo tutti gli ingredienti (tranne l’olio) in un tegame, portiamo a bollore e spegniamo, copriamo e lasciamo raffreddare a temperatura ambiente. Emulsioniamo molto finemente con il minipimer aggiungendo l’olio un pò alla volta
PROCEDIMENTO
Sciogliamo il sale nell’acqua, emulsioniamo con minipimer, aggiungiamo 100 g di impasto del giorno prima e misceliamo con la farina.
Consiglio di Omar: Utilizzare 1/4 di Farina macinata a pietra Biologica Molino Naldoni ITALICA 100% da grani italiani per rendere la piadina irresistibile.
Impastiamo molto velocemente. L’impasto ottenuto sarà piuttosto grezzo e non liscio. Preformiamo in palline senza incordare. Riponiamo in vasche ben sigillate e facciamo riposare in frigo per almeno 3 giorni.
Consiglio di Omar: Non dobbiamo sviluppare la maglia glutinica. Per ottenere l’impasto corretto saranno sufficienti una trentina di battute di tuffante.
50 g Cipolle rosse pulite e tagliate a spicchi
10 g di Aceto di lamponi
10 g di Zucchero
2 g Pepe rosa in grani
10 g Olio di semi biologico
CHEF OMAR CASALI BIO:
Romagnolo di nascita e appassionato interprete delle farine Molino Naldoni. Omar Casali è amante di materie prime d’eccellenza e del loro impiego nella rivisitazione delle ricette della tradizione romagnola. Storico Chef di Maré, “cucina, caffè spiaggia, bottega” a Milano e Cesenatico, e di Quinto Quarto a Cesenatico “dove la tradizione romagnola della piadina incontra materie prime di assoluta qualità e non si nega nessun tipo di ispirazione golosa - foraging compreso.” (cit. Identità Golose)
Qui sotto: lo chef Omar Casali
IL LINGUAGGIO DEL CIBO
VICTOIRE GOULOUBI: LA CUCINA DELLA CONOSCENZA
Ancora troppe le barriere che separano l’uomo dall’essere umano. Ancora troppo si pensa solo a sé non considerando l’altrui persona. Tutto il mondo è paese e tutti noi siamo – o dovremmo essere – una grande comunità, abbattere distanze e infondate paure. Il concetto di “diversità” è un problema reale, tangibile, che necessita di essere sradicato. Victoire Gouloubi, chef pluripremiata di origini congolesi, lotta ogni giorno per tutto questo, con una sola arma: il cibo. A detta sua, infatti, “il cibo è l’unico
comune denominatore per la pace” e, in effetti, non ferisce, non offende, ma include e unisce. La chef, fiera donna nera, propone un’alta cucina africana, che parla della sua terra e del suo paese adottivo, l’Italia; racconta di sé, del razzismo e dell’inclusione, del giusto e di una “battaglia” che si può combattere con il gusto. Le parole di Victoire sono forti, leggerle a tratti fa male ma fanno anche pensare. È proprio questo che bisognerebbe fare: soffermarsi a riflettere e interiorizzare.
di Noemi Caracciolo
Victoire, raccontami la tua cucina: quanto è difficile trovare un connubio tra sapori africani e mediterranei?
La mia cucina racconta la mia storia professionale ma anche di vita, che sono legate. Sono stata adottata dall’Italia ma provengo da un continente che è la culla del mondo. Racconta il mio passato e la mia identità da donna africana, ma anche la donna e la professionista che sono diventata in Italia oggi.
Riguardo al “quanto è difficile coniugare”, innanzitutto, bisogna parlare di “cucine africane” e non di “cucina africana”. L’Africa è un continente enorme, che in sé ingloba – solo in termini di superficie – l’intero continente europeo e quello americano. È uno dei più grandi al mondo e si parla di “cucine” perché ovviamente ci sono Paesi diversi. Se dicessi a un italiano: “com’è la cucina europea?”, mi risponderebbe che “l’italiana è la migliore”. Ognuno si identifica nel suo paese, le sue origini e radici. Le cucine africane sono molteplici, svariate e diverse da nord a sud, da est a ovest. Quindi, coniugare le nostre cucine, specialmente la mia, con il territorio
occidentale, italiano, è difficile. L’Italia ha ancora molte difficoltà nell’avere uno scambio alla pari sulle identità gastronomiche afrocaraibiche. Io vengo dall’Africa centrale, paese attraversato dall’equatore, i prodotti sono tipicamente estivi e tropici, difficili da trovare e quindi, noi chef afrocaraibici, adattiamo in qualche modo alcune nostre ricette con prodotti delle stesse famiglie che troviamo qui in Italia. Per esempio, la melanzana, che ha molte varietà: in Africa ci sono le melanzane nane, alcune rosse, altre gialle e ognuna di esse, per quanto melanzana, ha un sapore e una maturazione diversi. Quindi sì, è difficile, ma non impossibile.
Perché le cucine africane, rispetto a tutte le altre, sono in qualche modo bistrattate?
Penso che siano stigmatizzate. Bisogna partire dall’inizio. Se l’essere umano africano non è accettato, come può esserlo la sua cucina? Quest’ultima è la nostra identità: quando vediamo l’italiano, non lo riconosciamo solo per come parla e si veste ma anche per come sta a tavola. È una persona golosa, ama la tradizione, la famiglia, la buona compagnia e la pizza che è conosciuta nel mondo perché l’italiano l’ha promossa. Lo stesso succede con le persone afrocaraibiche. Se vengono continuamente stigmatizzate, viste come quelle che creano problemi, come può esserci
un’apertura da parte dell’Italia per conoscerne le culture, il cibo? Se non c’è approccio verso la conoscenza, la curiosità di capire cosa c’è dall’altra parte del mondo, non si conosceranno mai le altre innumerevoli ricchezze delle culture afrocaraibiche. Questo è il problema. Ma bisognerebbe partire dalle basi, cioè, proprio dalle scuole. Come si insegna ai bambini che esistono le ferie estive e si può andare al mare, bisogna insegnare che esistono altri continenti, in cui ci sono paesi, in cui esistono delle persone che hanno molte culture. I principi della cultura sono la moda, l’arte, la musica e il cibo. Questo è il primo denominatore comune della pace, nonché primo linguaggio che l’essere umano usa per comunicare. Quando la mamma mette al mondo un bimbo, non ha bisogno di dirgli: “vieni a mangiare”; lo attacca al seno e lo nutre. Il bambino riconosce quel gesto dal linguaggio del cibo. È l’unico elemento più potente al mondo grazie al quale le persone non hanno la necessità di scambiarsi parole, sanno che basta scambiarsi il piatto per comunicare.
A proposito di cultura, cosa vuole
esprimere e comunicare la tua cucina?
Comunica me. Non è megalomania ma penso di rappresentare molte donne, molti uomini della mia stessa identità e origine. Racconto prima di tutto la nostra meravigliosa terra: l’Africa, terra di tutti noi, perché è lì che l’essere umano è nato. Si racconta sempre dell’uomo bianco, caucasico, che ha viaggiato nel mondo e “scoperto”, come Colombo con l’America. Ma è la stessa persona – l’essere umano occidentale – che si pone dei limiti nella conoscenza altrui. Scopre, però non vuole conoscere. Va a prendere con forza ma non vuole restituire ciò che ha rubato. La mia cucina comunica tutte queste battaglie, la gioia di essere diventata chef in Italia, perché è qui che mi sono formata e sono diventata una
professionista. Ho viaggiato per il mondo per continuare a imparare, perché non si smette mai.
Racconto la bellezza di aver creato una nuova vita, perché sono una sopravvissuta. Vengo da un Paese che era stato lacerato da due guerre, dopo il genocidio del Ruanda, che è uno dei più grossi del mondo ma non se ne parla.
Si parla solo della Shoah, mai del Ruanda. Tutto ciò che succede in Africa viene messo sotto il tappeto, la gente non deve vedere. Quello che succede “di qua” invece, è notizia per il mondo intero. Io voglio raccontare quello. L’Africa non è ciò che si vede in tv: plasmata come povera, pietosa. La mia cucina, in sintesi, racconta le bellezze dell’Africa e dell’Italia.
Parlami di Uma Ulafi e del premio
dedicato a Diego Schiappone, un ragazzo che amava i grani antichi d’Africa.
Uma Ulafi (“forchetta golosa”) è il salone internazionale della scoperta delle culture gastronomiche africane. Ho ideato questo concept perché ho notato che noi che siamo una “minoranza”, non veniamo promossi a dovere. Quelli che lo sono vengono usati come esempi per dire: “noi non siamo razzisti”. Uma Ulafi vuole promuovere la gastronomia afro in Italia ma anche nel mondo. Serve per dire che noi ci siamo sempre stati. “Uma” in lingua swahili significa forchetta e la forchetta da pasticceria fu inventata da una donna nera schiava nel 1891. Se andiamo a vedere cosa hanno creato gli Africani, i neri nel mondo, gli Italiani non trovano posto. Con questo non voglio creare alcuna divisione, è una realtà. Per questa edizione speciale ho ideato il premio in onore di Diego, questo ragazzo che amiamo tanto e che, purtroppo, è mancato lo scorso settembre: era
molto giovane, aveva 26 anni. Io non l’ho mai conosciuto di persona, è stato un rapporto virtuale con una persona che aveva un amore folle per l’Africa, ci ha vissuto. Mentre era lì, si è innamorato dei grani antichi africani, delle farine d’Africa e, rientrato in Italia con i genitori, il suo sogno era poter aiutare le donne che lavoravano le terre e producevano farine. Lo ha fatto in silenzio. Oggi ci sono i trattori ma in Africa la più grossa raccolta viene fatta a mano, soprattutto da donne, con gran fatica. Quando Diego aprì la sua pizzeria, molti colleghi pizzaioli lo prendevano in giro per il fatto che usasse farine africane: “Siamo Italiani, abbiamo creato la pizza, dovresti lavorare le nostre farine, tu usi queste, ma chi li conosce?”, dicevano. Oggi si sono sviluppate moltissime intolleranze, specialmente al glutine, anche nei bambini. C’è inquinamento, si usano
pesticidi. In Africa abbiamo delle terre ancora vergini. Il 40% dello spazio non utilizzato è rappresentato da essa. È una grande potenza avere la fortuna di poter promuovere questi grani. Quelli antichi oggi li chiamano “super food”, li hanno scoperti adesso ma noi li abbiamo sempre avuti, ci siamo cresciuti. Abbiamo farine estratte dal tubero che può vivere anche dopo l’uomo, non ha bisogno di acqua, resiste a 40°C sotto al sole, è spontaneo. Come si dice: la terra vive senza l’uomo, l’uomo senza la terra no. Diego in silenzio aiutava quelle donne e la battaglia che sto facendo è promuovere tutti gli attori che ruotano intorno al mondo enogastronomico africano. La seconda edizione di Uma Ulafi è dedicata proprio alla celebrazione della terra. Quale miglior modo di celebrare quelle donne se non rendendo omaggio a Diego?
TOVAGLIETTE E PORTAMENU PROFESSIONALI
PER VESTIRE I TAVOLI DELLA RISTORAZIONE
Quando sei arrivata in Italia, come hai superato sessismo e razzismo che hai vissuto e che probabilmente stai ancora vivendo?
Penso che i pregiudizi e le battaglie legate al sessismo, le persone non le superano davvero. Si cerca di dire: “non è un mio problema”, ma esiste. Io non so se l’ho realmente superato. Ciò che ho sempre fatto è combattere con le giuste armi. Il problema non sono mai stata io, non ho scelto di essere una donna e nascere nera ma se potessi farlo, lo sceglierei altre mille volte, in altre mille vite. Sono felice di essere una donna, felice di essere una nera per cui, chi vede in me un problema, è lui stesso il problema. Le persone che combattono con problemi inesistenti si pongono da sé dei muri, come a Berlino. Loro che creano problemi devono trovare soluzioni ma, se non li creassero, allora non dovrebbero cercarle. Penso che per superare le battaglie che viviamo non sia necessario solo focalizzarsi su un obiettivo ma sensibilizzare. Perché facendolo, rieducando chi ci fa questa guerra, qualcuno finirebbe per ascoltare e cambiare.
Come definiresti la libertà?
Ognuno di noi ha la propria ma penso che la mia per me sia la possibilità si esprimermi, di vivere, di fare tutto a mio piacere senza dare fastidio all’altro.
Una volta hai definito la brigata “un branco”: in che senso?
L’essere umano in società vive in branco, siamo animali, la sfida nasce laddove le persone creano dei ghetti. Quando ho iniziato io, 23 anni fa, erano animaleschi. Un “capobranco” che non ha né testa né coda, magari nemmeno 5 anni di studio, pensa di operare con forza per avere un buon risultato. Io credo sia ancora così, comunque. Tant’è che la ristorazione sta soffrendo la mancanza del personale e non è una cosa dovuta solo al Covid ma soprattutto al problema della comunicazione, del comportamento nelle cucine. È fondamentale che gli chef facciano un percorso per capire le necessità dei loro subordinati.
C’è un piatto o un ingrediente che ritieni simbolo?
Non ho un piatto che mi rappresenta. All’inizio potevo parlare delle mie creazioni, oggi mi identifico anche nei prodotti. Essere uno chef completo significa promuovere ingredienti. Nella mia cucina sono fondamentali alcuni elementi come il burro di karité, il tubero di manioca, il fonio (definito come un super-cereale gluten free, ndr) o le spezie… e, attenzione, parlare di “spezie” non significa necessariamente parlare di piccante. Dopotutto, anche il sale è una spezia e in Italia non si usa sempre?
Parlando di etica e inclusione, come vedi la ristorazione del futuro?
È una domanda complessa. Sinceramente non lo so, anche se mi piacerebbe avere questa risposta. Credo si debba prendere la vita come viene, le cose sono in continuo cambiamento. Chi avrebbe potuto immaginare quanto sarebbero cambiati i rapporti tra le persone dopo il Covid? Più social, meno rapporto umano, distanze ecc. Sono certa che con l’evoluzione cambierà molto ma lo scopriremo insieme.
® BORN TO BURN
PIZZA LIBERA TUTTI
Indagine sul comfort food più amato dagli Italiani
di Giusy Ferraina
Mangiare la pizza è un rito, un momento di comfort e di convivialità che unisce il relax al gusto.
Dire pizza in un certo qual modo è dire “amici”, perché la pizza ha quel potere magico della circolarità: la pizza abbraccia, unisce, mette insieme e ti fa stare bene. Se spogliamo di ogni sovrastruttura questo piatto così amato in tutto il mondo e arriviamo alla sua essenza, possiamo affermare senza ombra di dubbio che, in ogni forma e tipologia, la pizza è un elemento aggregante e sincero.
Qualche mese fa è stato reso noto uno studio condotto da “Birra Moretti” e “AstraRicerche” che ha coinvolto oltre 1000 giovani tra i 18 e i 35 anni, cercando di esplorare le situazioni in cui i Millennial e la Generazione Z si sentono più autentici, sinceri e liberi dalle maschere sociali. Quasi un giovane italiano su due (47,3%) trova la massima espressione di sé in compagnia di amici veri, percentuale che sale al 57% nella fascia di età 18-23 anni. E l’incontro con gli amici porta inevitabilmente, quasi come una logica conseguenza, alla combinazione di pizza e birra: situazione ideale per il 53,2% degli intervistati.
La socializzazione passa, perciò, da un binomio assodato come quello della pizza con la birra che, se dal punto di vista dei pairing e del gusto si cerca di scardinare, il legame a quanto pare è indissolubile e generatore di valori alti. La birra, infatti, nell’indagine condotta, risulta la bevanda principale nelle situazioni conviviali: scelta dal 20,5% degli intervistati, seguita da caffè (14,7%), acqua (14,2%), soft drink (11,2%) e tisane (8,5%), mentre le altre bevande alcoliche si posizionano più in basso (cocktail 14%, vino 12%, bollicine 5%). La birra risulta essere la bevanda preferita, immediata e facile un po’ in tutte le regioni italiane, con uno scarto maggiore tra gli uomini e i gruppi di età 30-35 anni. Mentre le donne prediligono i piatti fatti in casa come momento di comfort e di socializzazione e le serate casalinghe con food delivery, sempre ovviamente condivisi con amici. E non dimentichiamo la musica, altro fattore aggregante e significativo per il 46,5% dei giovani che la
considera fondamentale per esprimere la propria identità e personalità.
In sintesi, birra, pizza, musica e amicizie vere sono gli ingredienti del momento ideale che genera benessere interiore. È proprio in queste parentesi ritagliate a fine giornata o nei weekend che i giovani dai 18 ai 35 anni si sentono liberi di esprimersi, rivelando la loro parte più autentica, confidandosi e spogliandosi da ogni abito imposto. Una combo interessante, che per certi versi vince anche sulla famiglia, apprezzata maggiormente dai Millennial, rispetto ai giovanissimi Z, come comfort zone in cui rifugiarsi. Dalla nostra posizione di cultori della pizza che la studiamo e la raccontiamo da ogni punto di vista, possiamo anche azzardare che la pizza ci rende sinceri e liberi di esprimerci, di essere ciò che veramente siamo, perché ci mette nelle condizioni ideali di stare bene con noi stessi e con gli altri.
Ispirati dall’indagine fin qui narrata, anche noi di Pizza e Pasta Italiana abbiamo provato a indagare tra giovani e giovanissimi di nostra conoscenza cosa rappresenti per loro la pizza e il suo momento di consumo.
Nella maggior parte delle risposte registrate, la pizza è condivisione. Mangiare la pizza, fuori o dentro casa, con amici o in famiglia è un atto di condivisione, non solo di quello stesso piatto ma anche del tempo passato insieme. Pizza per molti di questi giovani, universitari fuori sede, è anche memoria, si lega all’infanzia, ai luoghi d’origine, a ciò che la pizza rappresenta in quel momento, un modo per celebrare qualcosa. Un morso che ci proietta verso la felicità. Come Rachele, torinese a Roma, che racconta: “Mangiare la pizza per me rappresenta gli amici e la famiglia, perché è spesso con i miei genitori che condivido questo momento. Mia mamma prepara ogni weekend l’impasto e mio padre lo condisce e si occupa del forno e ogni volta che torno a casa cercano di far coincidere la preparazione della pizza con il mio rientro”. Un piccolo rito familiare che si reitera alimentando il senso di felicità e unione.
Sempre legata all’idea di famiglia è Alessandra, di origine campana, anche lei a Roma: “Associo questo alimento a momenti belli e di svago, perché sono queste le occasioni in cui la consumo maggiormente; e poi ricordo che, da piccola, quando andavamo a Napoli era tappa obbligatoria andare a mangiare la pizza napoletana con tutta la famiglia.
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Ora invece la consumo più spesso con gli amici e, di conseguenza, è legata al mood della convivialità e dello stare insieme alle persone a cui voglio più bene”.
Il concetto di memoria ce lo spiega Chiara, studentessa di comunicazione di Tivoli, che fa della pizza un elemento gustoso che l’accompagna in ogni tappa della sua vita: “Sempre presente partendo dalle elementari, quando era la merenda dopo scuola, passando per il liceo, quando era diventata il pranzo con gli amici, fino ad arrivare all’età adulta, momento in cui rappresenta ancora la scelta più ovvia per una cena senza pensieri che sa di casa”. E continua: “La pizza per me rappresenta il comfort food per eccellenza. Personalmente preferisco ordinarla e mangiarla sul divano, sia con gli amici che in famiglia, proprio perché associo la pizza ad un momento di semplicità e relax. Nonostante mi piaccia sperimentare con gusti e locali, la pizza migliore rimane quella al taglio appena sfornata dal vecchio forno del mio paese da mangiare camminando”.
Altro aspetto che salta fuori è la spontaneità che la pizza innesca in noi. Se abbiamo fame e voglia di pizza, siamo disposti a mangiarla ovunque, non ci priviamo del suo sapore, anche se siamo per strada e l’addentiamo camminando o seduti su dei gradini, sia che siamo in jeans e sneakers
che in giacca e cravatta o con i tacchi. Nulla ci ostacola, viviamo la pizza nel massimo della naturalezza possibile, in un rapporto diretto, quasi intimo, che allo stesso tempo ci proietta verso gli altri, che non ci giudicano ma che al massimo si siedono acconto a noi con il loro trancio.
“Per me la pizza è la scusa per stare con degli amici e il modo ideale per mangiarla è in spiaggia al tramonto, con una birra e dividendo una tonda grande nel cartone.” Potrebbe essere la scena di un film, quella che ci descrive Federico che, non a caso, fa il fotografo e il videomaker. Ci starebbe bene una chitarra o un po’ di musica di sottofondo e tutto prenderebbe i colori del momento magico, dove non si ha paura di nessuno, dove si ride, si parla, si scherza. Il momento in cui tra un boccone di mozzarella e pomodoro mostriamo la parte più vera di noi.
Infine, per molti vince il divano, la casa, il posto tranquillo dove ritrovarsi con amici, fidanzati o parenti. E vince anche la pizza d’asporto o in versione delivery, se non addirittura home made fatta da “provetti pizzaioli casalinghi”. Ce lo dice Barbara di Milano: “Mi piace mangiarla sul divano davanti ad un bel film, mi diverte e rilassa farlo in questo modo”. E anche Teresa, che vive a Pescara: “La pizza per me è un modo di condividere un momento felice, la do-
menica sera insieme agli amici oppure a casa con il mio ragazzo”.
Ecco che la pizza, nel suo essere banalmente definita comfort food, incarna il senso del conforto al 100% ed è proprio in questa sensazione che ci lasciamo andare, che ci sentiamo bene e dove ci sentiamo protetti, liberi da ogni armatura e allo stesso tempo coraggiosi. Forse molto più sinceri e veri di quanto si fa vedere sui social, considerando che sempre la ricerca “Moretti” mette in evidenza la complessità della relazione con i social media. Cosa significa? Che sebbene quasi il 60% dica di sentirsi autentico sui social (ma poi lo sarà davvero o sta solo seguendo un trend imposto?), solo il 16,9% crede di potersi esprimere sinceramente.
A noi piace pensare che la pizza sia un ponte di congiunzione, un abbraccio in cui lasciarsi andare, un elemento di relazione con gli altri che libera il nostro vero io.
Anche perché, secondo molti degli intervistati, sentirsi liberi di mostrarci come siamo e vivere con spontaneità sono gli ingredienti fondamentali e il modo giusto per godersi a pieno la vita. E la pizza ogni volta ci regala questa gran bella occasione.
di Alfonso Del Forno
Estate senza glutine: consigli per pranzo, cena e buffet
L'estate è la stagione delle giornate lunghe, delle cene all'aperto e dei pranzi leggeri. Tuttavia, per chi segue una dieta senza glutine, trovare piatti adatti può essere una sfida. Che si tratti di celiachia o di sensibilità al glutine, organizzare pasti senza glutine non significa rinunciare al gusto o alla varietà. In questo articolo, esploreremo una serie di idee e consigli per pranzi, cene e buffet estivi senza glutine, garantendo che ogni pasto sia gustoso e sicuro.
Pranzo senza glutine: freschezza e leggerezza
Il pranzo estivo deve essere leggero, rinfrescante e nutriente, perfetto per affrontare le calde giornate estive. Ecco alcune idee:
insalate ricche e colorate
Le insalate sono un’opzione versatile e facile da preparare. Utilizzate una base di verdure fresche come lattuga, rucola, pomodori e aggiungete ingredienti colorati e nutrienti:
• Insalata di quinoa e verdure: la quinoa è un ottimo sostituto senza glutine del couscous. Mescolatela con cetrioli, pomodori, peperoni, cipolla rossa e prezzemolo. Condite con olio d’oliva, succo di limone, sale e pepe.
• Insalata caprese con sorpresa: unite mozzarella fresca, pomodori maturi e basilico con un’aggiunta di avocado e un filo di aceto balsamico.
• Insalata di pollo alla griglia: tagliate il petto di pollo alla griglia a fette e aggiungetelo a un mix di lattuga, pomodorini, cetrioli e olive. Condite con una vinaigrette di senape e miele.
Panini senza glutine
Grazie alla crescente disponibilità di pane senza glutine di qualità, è possibile preparare deliziosi panini estivi:
• Panino al tonno e avocado: utilizzate pane senza glutine, farcite con tonno, avocado, cetriolo e un pizzico di pepe nero.
• Sandwich caprese: mozzarella, pomodoro e basilico tra due fette di pane senza glutine, con un filo d’olio d’oliva e sale.
• Wrap di lattuga: sostituite il pane con foglie di lattuga e farcite con tacchino, formaggio, pomodoro e un po’ di maionese senza glutine.
Cena senza glutine: sapori e sostanza
La cena estiva senza glutine può essere gustosa e soddisfacente, senza sentirsi appesantiti. La grigliata è, ad esempio, un classico estivo che si presta perfettamente a una dieta senza glutine:
• Spiedini di pollo e verdure: alternare pezzi di pollo con peperoni, zucchine, cipolle e funghi. Marinare con olio d’oliva, limone, aglio e rosmarino prima di grigliare.
• Pesce alla griglia: pesce come il salmone, l’orata o il branzino sono deliziosi alla griglia. Condite con erbe fresche, limone e olio d’oliva.
• Verdure grigliate: melanzane, zucchine, peperoni e cipolle grigliate sono un contorno perfetto o possono diventare protagoniste come portata principale.
Piatti unici
Per una cena completa e bilanciata, i piatti unici sono l’ideale:
• Paella senza glutine: utilizzate riso, gamberi, cozze, calamari e verdure come peperoni e piselli, conditi con zafferano e spezie.
• Risotto: che sia ai funghi, alle verdure o ai frutti di mare, il risotto è naturalmente senza glutine e può essere arricchito con numerosi ingredienti freschi.
• Pollo al curry con riso basmati: un curry leggero a base di pollo, latte di cocco e verdure, servito con riso basmati.
Buffet senza glutine: varietà e creatività
Organizzare un buffet senza glutine può sembrare una sfida, ma con un po’ di creatività è possibile offrire una varietà di piatti che soddisfino tutti i gusti:
antipasti e finger food
I finger food sono perfetti per un buffet estivo:
• Mini frittate: piccole frittate al forno con verdure, formaggio e prosciutto.
• Bruschette con pane senza glutine: pomodoro e basilico, avocado e salmone affumicato, funghi e formaggio.
• Spiedini di frutta e formaggio: cubetti di formaggio alternati con uva, fragole e ananas.
Piatti principali
Da preparare in abbondanza:
• Tacos senza glutine: usate tortillas di mais e farcite con carne, pollo o verdure, guarnite con salsa, guacamole e panna acida.
• Polpette di quinoa e verdure: polpette al forno a base di quinoa, carote, zucchine e formaggio, servite con una salsa di yogurt.
• Zuppe fredde: gazpacho o zuppa di melone e prosciutto sono opzioni rinfrescanti e facili da preparare in anticipo.
Dessert senza glutine
Non dimenticate il tocco finale:
• Cheesecake senza glutine: utilizzate biscotti senza glutine per la base e completate con una crema al formaggio e frutta fresca.
• Macedonia di frutta: una selezione di frutta estiva come anguria, melone, pesche e frutti di bosco, magari con un tocco di menta fresca.
• Gelato artigianale: molti gelati sono naturalmente senza glutine, ma assicuratevi che sia sicuro, chiedendo al gelataio.
L’estate senza glutine non deve essere un’impresa difficile o priva di gusto. Con un po’ di pianificazione e creatività, è possibile preparare pranzi, cene e buffet deliziosi e sicuri per tutti. Che si tratti di insalate fresche, grigliate saporite o finger food innovativi, le opzioni sono infinite. Ricordate di leggere sempre le etichette e di fare attenzione alle contaminazioni incrociate, per garantire che ogni pasto sia non solo gustoso, ma anche sicuro. Buon appetito e buona estate senza glutine!
LE AZIENDE
CAMPIONATO MONDIALE DELLA PIZZA 2024
LE INTERVISTE AI PARTNER
31 CAMPIONATI DEL
MONDO: E TU QUANTI NE HAI FATTI? QUAL È IL TUO PRIMO RICORDO?
L’edizione 2024 è stata la prima edizione a cui abbiamo partecipato come sponsor per i forni a legna. La cosa che più ci ha colpiti è l’entusiasmo e la concentrazione di tutti i partecipanti. Nei giorni del campionato si crea un’atmosfera unica in cui pizzaioli da tutto il mondo sono uniti dalla stessa passione e dallo stesso linguaggio; la pizza.
COME SONO CAMBIATI I
PIZZAIOLI OGGI? QUALI
SONO LE LORO RICHIESTE?
La nostra azienda esiste da oltre 130 anni e da molti decenni siamo specializzati nella produzione dei forni da pizza. Abbiamo avuto quindi modo di vedere un netto cambiamento nei pizzaioli negli anni. I pizzaioli di oggi sono molto più attenti allo studio e consapevoli delle proprie conoscenze e capacità. Se prima erano loro ad adattarsi alle attrezzature e ingredienti che riuscivano a trovare, oggi è l’esatto contrario. Nel nostro settore è questo il motivo per cui tutti gli ultimi sviluppi si sono concentrati nel produrre forni molto più performanti, con consumi inferiori e con costi di gestione più bassi. Le esigenze dei pizzaioli ci hanno aiutato molto a crescere e ad avere una visione più chiara del futuro. I tempi del cambiamento sono sempre più brevi, è quindi probabile che ciò che è il fulcro della produzione di oggi non sia lo stesso tra 10 anni.
UNO SGUARDO
AL PASSATO: COSA PENSI CHE ABBIAMO
PERSO E CHE ANDREBBE RECUPERATO?
Penso che il mondo pizza abbia fatto grandissimi passi avanti negli ultimi 10-20 anni. Sia per quanto riguarda la scelta degli ingredienti che delle attrezzature, il pizzaiolo ha maggiori conoscenze ed e gli viene riconosciuta una considerazione in generale ben superiore rispetto a prima. Il nostro augurio è soltanto che non si perda di vista la passione e la semplicità di base della pizza, da cui poi giustamente partire per la nascita di tutte le sue varianti ed avanguardie.
LA TUA AZIENDA
E IL FUTURO DELLA PIZZA: QUALI PROGETTI PER DOMANI?
Onestamente vediamo un futuro positivo per la pizza. La diffusione sempre maggiore nel mondo della pizza italiana di qualità, in tutte le sue sfaccettature, pensiamo porterà ad un riconoscimento sempre più ampio del valore di questo prodotto. In relazione alla nostra azienda, qualunque sviluppo futuro dei nostri forni a legna, gas o elettrici sarà sicuramente incentrato sulla qualità, sul risparmio dei consumi e soprattutto sul rispetto dell’ambiente, rendendo i forni quanto più compatibili con gli obiettivi ecologici del futuro.
Forni Valoriani, da oltre 100 anni al vostro servizio
Estate tempo di pizza, quante volte e quali scegliere
a cura della Dott.ssa
Marisa Cammarano, biologa nutrizionista
Lapizza, ricetta orgogliosamente italiana, “sta bene” in qualsiasi stagione. Ma nella stagione estiva è spesso la classica ma spettacolare scelta per una serata easy in vacanza, magari con vista sul mare o sui monti o magari mangiata in dehors. Quel che conta, in questo periodo dell'anno caratterizzato dalle alte temperature è avere alcune accortezze nella scelta di impasto, condimento e bevande di accompagnamento. Se vogliamo garantirci una pizza di qualità e ben digeribile, dobbiamo tenere presenti alcune caratteristiche “chiave”. La lievitazione naturale lunga almeno 24 ore ( molto meglio se si arriva alle 48 ore) facilita la digestione, evitando la sensazione di gonfiore nelle ore post pasto. Una pizza lievitata male perché la temperatura dell’ambiente di preparazione non era quella giusta o perché la preparazione è stata frettolosa crea facilmente aria addominale, reflusso e problemi intestinali.
Come individuarla?
In questo caso la pizza si presenterà con un forte odore di lievito e avrà una consistenza gommosa.
L’uso di farine integrali o multi cereali, più ricche di sali minerali e fibre, che, dunque facilitano il transito intestinale e fanno sentire sazi prima, al posto della farina 00, molto raffinata o delle farine ricche di glutine e spesso di qualità scadente.
Controllare la qualità dell'olio di condimento, assicurandosi che sia extravergine, dunque a basso contenuto di grassi saturi. Vietato aggiungere sale alla pizza, pena un aumento della ritenzione idrica nei soggetti predisposti. Meglio evitare, anche, l'aggiunta di qualsiasi condimento grasso, unto che procurerebbe solo una forte e incessante sete, senza contare i già discussi problemi di ritenzione.
A livello di conteggio calorico le pizze possono differire moltissimo tra loro in base alla qualità e quantità degli ingredienti "extra".
Calorie
Una pizza margherita con una media farcitura con pomodoro e mozzarella varia in genere dalle 500 alle 700 calorie, mentre la pizza ai quattro formaggi può arrivare a 1000 calorie. Ciò, invece, che va fatto è abbondare di verdure crude e cotte, dalla rucola alle melanzane, dalle cipolle alle zucchine. Il classico binomio pizza e birra piace sempre, inutile girarci attorno. Chiara o scura, la birra resta la bevanda prediletta per accompagnare ogni tipo di pizza. Di buono c'è che ha un livello calorico inferiore rispetto a quello del vino, ma in molte persone crea disturbi digestivi. Attenzione anche a non chiederla ghiacciata o potreste incorrere nel rischio di congestione. Bisognerebbe preferire le birre artigianali a bassa fermentazione. Per chi ama, al contrario, l'abbinamento pizza e vino, in estate preferibilmente fresco, bianco e frizzante. Finché è un calice una tantum, niente di male.
Assolutamente da evitare, invece, sono le bibite analcoliche gassate, contenenti abbondanti quantità di zucchero e, molto spesso sottovalutato, anche di caffeina. In generale, però per digerire meglio la pizza si dovrebbe bere acqua e limone, magari con qualche fogliolina di menta. La pizza, per le sue proprietà, rappresenta sempre un pasto molto sostanzioso, con tutte le caratteristiche di un piatto unico. Quando si sceglie di mangiarla, quindi, è opportuno escludere o ridurre al minimo altre portate, per evitare di appesantirsi eccessivamente. La maggior parte delle persone tende a mangiare la pizza a cena, in realtà, una buona regola sarebbe, al contrario, quella di consumarla durante il pranzo. In questo modo si dà più tempo all’organismo per smaltire i nutrienti assimilati e le occasioni di svolgere attività fisica e bruciare calorie aumentano.
Buone pratiche
Se ci si trova a mangiare spesso pizza, un’altra buona pratica è quelle di preferire le versioni meno caloriche. Si può optare, ad esempio, per le classiche marinara e margherita, condite con pochi ingredienti, oppure scegliere le pizze con impasti speciali, ad esempio quelle realizzate con farine integrali oppure a base di legumi. Nonostante tutti gli accorgimenti che si possono prendere, è preferibile non eccedere con la pizza e consumarla in media una volta a settimana. La pizza, dunque, consumata nelle giuste quantità (massimo 1 volta a settimana) ed inserita in un'alimentazione sana e bilanciata, può essere considerata un vero e proprio booster per l'umore. Oltre a soddisfare il gusto, viene associata nella maggior parte dei casi all'idea di convivialità e di svago, di conseguenza, favorisce una sensazione di appagamento ed aiuta a sentirsi più sereni e rilassati grazie alla
produzione di endorfine da parte del cervello ovvero di neurotrasmettitori che aiutano a farci rasserenare e sentire più rilassati. La pizza fornisce un mix di nutrienti come i carboidrati complessi e le vitamine del gruppo B che oltre a dare energia influenzano la produzione dei neurotrasmettitori legati al benessere. Si tratta di molecole che hanno un ruolo chiave nella regolazione dell'umore. Contiene, inoltre, triptofano che è presente sia nell’impasto che nella farcitura in particolare nei latticini come la mozzarella. Si tratta di un aminoacido essenziale precursore della serotonina, l’ormone della felicità. In più, apporta
Peperoni e peperoncini: i
colori della tavola
d'estate
di Caterina Vianello
La stagione estiva è un inno ai colori sgargianti e ai sapori accesi… proprio come quelli di peperoni e peperoncini. Le varietà a disposizione sono moltissi -
Appartenenti alla famiglia delle Solanacee e originari del Mesoamerica, i peperoni sono un concentrato di proprietà: diuretici, antiossidanti e ricchi
Peperoni d'Italia
Il Piemonte è una delle regioni di riferimento: qui troviamo il Quadrato di Asti, dalla forma regolare e scanalata, colori accesi, sapore intenso e buccia spessa e succosa. Negli orti della piana del Tanaro, in particolare a Motta di Costigliole e Isola d’Asti, il peperone è stato per decenni una coltivazione privilegiata. Già nei primi decenni del ‘900 ci sono notizie in merito a un concorso a premi bandito dalla Società Orticola Astigiana (segno di una elevata produzione) mentre negli anni ’60 e ’70 la vendita ai mercati di Torino e Milano era notevole. A quei tempi, i coltivatori di peperone erano numerosi e la coltura era redditizia tanto che, ogni anno, si producevano ingenti quantità di peperoni quadrati. Sempre il Monferrato è la zona di riferimento per il peperone di Capriglio: Presidio Slow Food, viene coltivato da oltre due secoli e tenuto in vita da pochi produttori. A forma di cuore, ha buccia spessa e carnosa. La ricetta che lo valorizza è quella che lo vuole sotto vinaccia, conservato in una soluzione di acqua bollente, aceto e sale, con l’aggiunta finale di bacche esauste di Freisa, vino rosso locale.
Ci spostiamo in provincia di Torino per il peperone di Carmagnola Igp, un marchio sotto il cui cappello ci sono cinque varietà: il Quadrato a quattro punte; il Quadrato Allungato; il Tomaticot che assomiglia a un
pomodoro; il Trottola, a forma di cuore e il Corno di Bue, il lungo e triangolare che è anche un Presidio Slow Food. Hanno tutti colori accesi (giallo e rosso), sapore dolce e la polpa spessa e consistente. Perfetti per la bagna cauda. Lombardia ed Emilia-Romagna sono le terre d’elezione del Peperone Nostrano: colore verde chiaro e sapore dolce e delicato. Il Mantovano è più squadrato e scanalato mentre il Piacentino è più allungato. Comune ad entrambi è la facilità di digestione. In Lazio, la provincia di Frosinone dà i natali al peperone di Pontecorvo, a marchio Dop: colore rosso acceso, forma “a cornetto” e buccia sottilissima (condizione per una perfetta digeribilità), ha sapore dolce e sapido. In Abruzzo, la provincia di Chieti ha il suo gioiello: il peperone dolce di Altino. Piccolo e rosso, Presidio Slow Food, ha la caratteristica di crescere con la punta rivolta verso l’alto. Quando è maturo, viene legato lo spago fino a formare una grossa collana: viene quindi fatto essiccare al sole, tostato, fritto o polverizzato nel mortaio. Si consuma
sotto forma di briciole croccanti dolci o come colorante naturale di pane, pasta e ventricina. La Basilicata accoglie un prodotto di punta della gastronomia lucana: il Peperone di Senise Igp. Varietà coltivata nell’area del Parco Nazionale del Pollino, ha taglia piccola e colore rosso acceso. La caratteristica che lo rende unico è la polpa: poverissima di acqua e perfetta per l’essiccazione. Da questa varietà, infatti, ha origine il peperone crusco, che si ricava dai tipi Appuntito, Tronco e Uncino. Se Appuntito e Uncino hanno la bacca leggermente deformata con costole poco evidenti e apice a punta, il Tronco ha bacca a forma di cono, con costole molto evidenti e apice tronco. Il colore è verde o rosso porpora. Il sapore è dolce per tutte le varietà. L’essiccazione è all’aria: i peperoni vengono sistemati su teli di stoffa o reti, lontano dalla luce, all’interno di locali asciutti e ben areati, per almeno 2-3 giorni. Infilati poi con il peduncolo, in serie, con spago, con le bacche disposte a spirale angolata, formano le tipiche “collane” o “serte”, che devono rimanere esposte al sole fino a quando il contenuto in acqua non arriva al 10-12%. Le origini del Peperone di Senise IGP risalgono al XVI-XVII secolo: inizialmente, la produzione era destinata all’autoconsumo, poi progressivamente si è passati alla vendita. I peperoni cruschi si consumano soprattutto fritti.
In Sicilia, andiamo a Polizzi Generosa: qui è coltivato il pipiddu. Piccolo e verde, Presidio Slow Food, cresce all’insù, con la punta rivolta verso l’alto. Si gusta crudo in insalata o arrosto con un filo d’olio extravergine, olive e pecorino fresco.
La Campania regala due eccellenze: la papaccella napoletana e il friggitello, per molti detto anche “peperoncino verde”. La papaccella è piccola, saporitissima, dalla forma schiacciata e costoluta con una buccia dai colori vivaci e polpa carnosa e dolcissima. Si consuma in conserva ma è buona anche fresca, in padella e al forno. Il friggitello è inconfondibile: piccolo, allungato e di colore verde, si consuma prevalentemente fritto.
Il Calabria è il peperone Topepo a rubare la scena: soprannominato “peperone pomodoro” per la forma tonda e globosa, liscia e di colore rosso, ha polpa spessa e molto dolce, perfetta per accogliere ripieni e farciture.
Peperoncini del mondo
Dalla dolcezza dei peperoni passiamo ora ai toni accesi dei peperoncini. Pur appartenendo alla stessa famiglia del peperone, se ne differenziano per la presenza della capsaicina, responsabile della sensazione piccante, misurabile grazie alla Scala Scoville. Se ad oggi si contano oltre 3000 varietà, le specie più note sono 5. La Capiscum annuum, la più diffusa nel nostro paese (e dalla cui polvere si ricava la paprika), comprende i ben noti peperoncini di Cayenna e Jalapeno Il primo ha forma molto allungata e raggiunge un grado di piccantezza piacevole. Il secondo ha piccole dimensioni, è moderatamente piccante ed è un must della cucina messicana. Deve il nome dalla regione in cui è stato inizialmente coltivato, Xalapa, nello stato di Veracruz. Ha lunghezza che varia dai 5 ai 10 centimetri, polpa compatta e soda, con consistenza asciutta, pareti meno spesse e carnose e buccia liscia e regolare. Anche in questo caso la piccantezza è “accessibile”. Anche il Poblano rientra nella categoria. Deve il suo nome allo Stato di Puebla, in Messico. Viene raccolto generalmente verde, per una maggiore croccantezza e minore piccantezza.
Se lasciato maturare, diventa rosso scuro, a volte quasi nero, acquista media piccantezza e viene di solito essiccato: in questo caso prende il nome di Chile Ancho , o semplicemente Ancho . La varietà Capiscum frutescens , è nota per i tipi tabasco, che dà il nome alla salsa, e chinense . Il primo ha forma allungata, colore rosso vivo e polpa ricca di succo. Il secondo, che a dispetto del nome proviene dall’Amazzonia, ha forma arrotondata, frutti rossi o arancioni e un sapore oltre che piccante leggermente fruttato. Comprende alcuni tra i peperoncini più piccanti al mondo, tra cui il temibile Habanero .
La Capiscum baccatum comprende molte varietà, anche ornamentali. Tra le edibili, la più nota è l’Aji, dal colore rosso e giallo, provenienti dalla Bolivia e dal Perù. E proprio l’Aji amarillo peruviano è quello usato nel ceviche. Il grado di piccantezza è medio. La Capiscum pubescens, presente prevalentemente in Perù, Bolivia, Caraibi e Messico, è la specie che si differenzia maggiormente dalle altre poiché i suoi fiori hanno un colore violaceo, foglie pelose e dimensioni della pianta considerevoli. La varietà più nota è chiamata in Messico Manzano e in Perù, Cile e Ecuador, Rocoto. Il frutto ha un colore rosso vivo e la sua forma è simile ad una mela, ma il gusto è molto piccante.
Cervia, il sale dolce
Oscar Turroni è il Presidente del “Gruppo Civiltà Salinara” che ha lo scopo di conservare e promuovere la cultura del Sale dolce di Cervia. Oscar è soprattutto la memoria e la testimonianza di un mestiere – quello del salinaro – che non esiste più e che parla di un sistema economico-produttivo nato nella metà del secolo scorso. Oggi la salina Camillone è l’ultima delle 144 salinette di produzione attive fino al 1959, quando il sistema di produzione divenne industriale e le salinette vennero accorpate in grandi vasche di evaporazione e di raccolta. Ultima salina originale, è
parte integrante di Musa - Museo del Sale ed è lavorata a scopo dimostrativo per far conoscere il duro lavoro dei salinari. Dal 2003 il Sale marino artigianale di Cervia è presidio Slow Food mentre la salina è riconosciuta, per il suo alto valore naturalistico e paesaggistico, come area umida di importanza internazionale e diventa parte del Parco Regionale Delta del Po Emilia-Romagna.
Ci siamo fatti raccontare da Oscar Turroni la storia e il carattere unico di questo patrimonio.
Oscar Turroni dialoga con Caterina Vianello
Oscar, ci racconta il lavoro delle saline e, in particolare, la salina Camillone?
La salina è l’unica rimasta in cui si faccia la raccolta del sale ogni 5 giorni. Negli anni ’50, con l’avvento della linea del freddo, il sale smette di avere il ruolo principale come agente conservante dei cibi. Di qui la decisione di modificare le saline: a Cervia, c’erano quasi 150 saline artigianali a raccolta multipla. Al salinaro veniva concessa la salina, che era monopolio di stato: lavorava 6 mesi l’anno e, alla fine dell’anno, era previsto un contributo a cottimo. Era un lavoro duro, si partiva la mattina presto e si tornava tardi. Il salinaro lavorava con moglie e figli ed era un lavoro che si tramandava, appunto, di padre in figlio.
Negli anni ’60, quando si passa dalla raccolta multipla al sistema meccanizzato con raccolta unica annuale, è stata lasciata solo una salina come testimonianza del passato. È stato Agostino Finchi, ex salinaro, ad impegnarsi - nella seconda metà degli anni ’80 - per il recupero di materiali legati alla storia della salina come attrezzi e documenti.
Con il materiale raccolto, verso la fine degli anni ’80 viene allestita una mostra permanente, all’interno dei Magazzini del sale. Nel 1989 nasce quindi il Gruppo Culturale Civiltà Salinara, che continua a lavorare per testimoniare il passato. Nel frattempo, la mostra, da temporanea,
è diventata permanente e, nel 2004, è stata riorganizzata in un museo: il MUSA, Museo del Sale. Parte integrante del museo è la proprio salina Camillone. In oltre trent’anni, l’associazione è cresciuta molto: oggi siamo 520 soci e ci sono più di 40 volontari, senza i quali sarebbe impossibile andare avanti. Gestiamo il museo, collaboriamo con il Comune e, nei 6 mesi estivi, lavoriamo nella salina, raccogliamo il sale e facciamo visite guidate. Un’iniziativa che piace molto è “Salinaro per un giorno”, che permette di vivere una giornata di lavoro come avveniva in passato.
Come avviene il lavoro di raccolta?
In inverno le saline vengono allagate con acqua di mare perché altrimenti gli arginelli si rovinerebbero. In maggio indicativamente si scoprono, si lasciano asciugare, si rifanno e poi si rullano; si prepara il terreno liscio e compatto in modo che, quando si raccoglie - visto che si raccoglie sull’argilla - non ci sia argilla in mezzo. L’acqua del mare da 3° Baumè (la misura della densità salina dell’acqua, n.d.r.) deve arrivare a 26° Baumè: le vasche sono fatte per questo. Il passaggio da una vasca all’altra consente l’aumento della salinità, finché non si raggiungono appunto i 25° - 26° Baumè, poi si mette nei bacini salati perché solo una parte delle vasche sono di raccolta, mentre le altre sono di evaporazione. Ogni 5 giorni il salinaro spinge il sale da una parte del bacino per poterlo raccogliere. I bacini sono di 4 metri per 8. Poi si raccoglie, si scarica e si fa il mucchio per la stagione.
Quanto sale si raccoglie?
In genere si raccolgono 5 bacini al giorno, per 5 giorni. In ogni bacino ci sono dalle 2 alle 3 casse di sale, quindi 2-3 quintali. Quindi 10-15 quintali al giorno. Alla fine dell’estate si va dai 500 agli 800 per arrivare anche a 1000 quintali di sale all’anno.
In che modo questa salina si differenzia da altre?
Noi raccogliamo con l’acqua nella salina per cinque giorni, seguendo lo stesso sistema che c’è a Pirano e nel nord della Francia. Questa modalità è tipica delle zone più piovose. A Trapani, invece, dove piove meno, raccolgono in tempi diversi, più diradati. Pensi che una volta c’era un casello di controllo con una torretta: quando c’era pericolo di pioggia veniva issata una bandiera rossa e da Cervia si vedeva tutto. Le donne partivano in bicicletta per raccogliere il sale prima che piovesse. Il sale era l’oro bianco. Cinque, sei anni fa abbiamo scoperto le saline romane, a conferma delle tracce antiche della lavorazione. Abbiamo trovato le chiuse dei canali risalenti al I secolo a.C: il mare 2000 anni fa arrivava fino a dove oggi passa la Statale Adriatica e le saline erano fatte a Cervia perché c’era il terreno adatto. Se l’acqua deve rilasciare il sale, deve evaporare: qui il terreno argilloso permette all’acqua di rimanere in superficie e quindi d’estate evapora e si può raccogliere.
La Salina è anche Presidio Slow Food, vero?
Dal 2003 la Salina è Presidio Slow Food insieme a Trapani ma, come dicevamo prima, la lavorazione è diversa perché ci sono diverse caratteristiche di temperature e di suolo. L’obiettivo è quello di preservare il passato e farlo conoscere. Cervia era importantissima già al tempo dei Romani e il lascito che oggi abbiamo - per capire quanto era importante - lo troviamo per esempio nella strada “Salaria” e nel salario, cioè la paga. Nelle carte del 1500, Cervia era disegnata al pari di città più grandi, come Rimini, proprio per la sua importanza. Nel 1691 venne costruita la torre e i magazzini del sale, mentre nel 1698 Innocenzo XII decise di spostare l’intera città, smontandola e ricostruendola a 2 km di distanza, proprio per la crescita dei bacini. Noi stiamo lavorando e scavando in continuazione e a Cervia vecchia abbiamo trovato dei resti ancora più antichi.
Nel 2003, quando lo stato ha dato in concessione la salina al Comune, il Comune ha creato una società che continua a produrre sale nella salina grande. Il nostro sale è chiamato “sale dolce” perché con questo sistema di vasche, in ognuna succede qualcosa. In particolare, nella salina Camillone, a 16°-17° Baumè se ne vanno il solfato di calcio e il carbonato di calcio. Quando noi lo mettiamo nei bacini salati a 25°-26° Baumè al massimo raggiunge i 28°, mentre soprattutto al sud dove fa più caldo, si superano i 30° e si depositano gesso, potassio e magnesio che sono amari, cosa che non ha il nostro sale. Il nostro sale è quasi trasparente, quasi bianco latte. Ecco perché si chiama sale dolce ed ecco perché è speciale.
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Ristora Hotel Sicilia: 20 anni
di successi per l’evento
B2b made in Sicily
Ristora Hotel Sicilia è uno degli eventi di punta di Expò Mediterraneo, l’ente che in seno a Confcommercio Catania organizza fiere B2B. Una scommessa fatta oltre vent’anni fa quando l’associazione ha deciso di puntare sugli eventi business, da un lato per sostenere l’economia locale e dall’altro per valorizzare e far conoscere il territorio e le sue peculiarità.
Oggi Ristora Hotel Sicilia tocca un traguardo importante, quello dei vent’anni. Venti edizioni che hanno consacrato l’evento dedicato al mondo della ristorazione professionale e dell’Ho.Re.Ca l’unica fiera B2B in Sicilia.
Da sempre l’obiettivo di RHS è stato quello di far crescere il business e migliorare la formazione degli operatori locali dando loro la possibilità di incontrare le aziende più prestigiose dei settori panificazione, pizzeria, gelateria, pasticceria, food and beverage ma anche dei servizi a supporto delle attività di ristorazione.
Una fiera apprezzata non solo dagli operatori del settore ma anche dagli espositori che hanno visto, e continuano a vedere, in RHS l’occasione per raggiungere nuovi clienti. A dimostrarlo sono i numeri dei visitatori, sempre in costante crescita, che hanno superato le 16 mila unità nell’ultima edizione. E la partecipazione di brand importanti rappresentati direttamente dalle case madri che hanno fatto
di Ristora Hotel Sicilia un appuntamento irrinunciabile.
Se nelle prime edizioni si è dato molto spazio all’esposizione di macchine e attrezzature, rendendo la fiera piuttosto statica, negli anni Ristora Hotel Sicilia è diventata un grande laboratorio e un palcoscenico per chef, pasticceri e pizzaioli delle più prestigiose associazioni di categoria che hanno dato vitalità e dinamismo con i loro coking show e dimostrazioni dal vivo. E poi sono arrivate gare e contest che hanno coinvolto giovani addetti ai lavori spinti da una sana competizione e voglia di crescere, una ventata di freschezza che non ha alterato la natura business – to - business dell’evento ma ha arricchito l’esperienza sia dell’espositore che del visitatore diventando sempre più coinvolgente.
Lo staff di Expò Mediterraneo sta già lavorando a una nuova edizione ricca di eventi e novità mentre raccoglie le adesioni di nuove aziende espositrici e le conferme di brand storici. Anche quest’anno si rinnova la partnership con la rivista Pizza e Pasta Italiana per l’organizzazione del 4° Trofeo Ristora Hotel Sicilia – Campionato italiano pizzaioli, la sfida che coinvolge giovani pizzaioli in arrivo da tutta l’isola. Dal 17 al 20 novembre 2024 al centro fieristico SiciliaFiera di Misterbianco, Catania sarà ancora Ristora Hotel Sicilia. www.ristorahotelsicilia.com
LA BIRRA
Quando si parla di birra, l'im maginario collettivo si pro ietta spesso ad una pinta con schiuma abbondante, fredda e rinfrescante, pronta a dissetare nelle calde giornate estive. Tuttavia, c'è un malinteso comune riguardo alla tem peratura alla quale la birra dovrebbe essere consumata. Molti credono che più sia fredda, meglio è, ma la realtà è ben diversa. Bere la birra ghiacciata non solo può compromettere la sua qualità ma anche nascondere le sue sfumature più fini. Esploriamo insieme i motivi per cui la birra non va bevuta ghiacciata.
di Alfonso Del Forno
la perché va bevuta ghiacciata Birra:
LA TEMPERATURA E IL GUSTO
La temperatura gioca un ruolo cruciale nell'esperienza gustativa della birra. Quando la birra è troppo fredda, al di sotto dei 5°C, le papille gustative vengono anestetizzate, limitando la capacità di percepire i sapori complessi che caratterizzano diverse tipologie di birra. Le birre artigianali, in particolare, sono ricche di aromi e gusti che si rivelano solo a temperature più elevate.
Lager e pilsner: questi stili di birra leggeri e rinfrescanti sono generalmente serviti tra i 4 e i 7 °C. Anche se queste birre possono tollerare temperature più basse, bere una lager ghiacciata compromette comunque la percezione del malto e dei leggeri aromi di luppolo.
Ale e IPA: Le birre ale, comprese le IPA (India Pale Ale), presentano una gamma di sapori più complessa, che include note fruttate, floreali e speziate. Queste birre dovrebbero essere servite due gradi al di sopra del grado alcolico. A temperature inferiori, i sapori si contraggono, riducendo l'esperienza gustativa.
Stout e Porter: Questi stili scuri e ricchi, spesso con note di caffè, cacao in polvere e liquirizia, si esprimono al meglio tra i 12 e i 15° C. Una stout ghiacciata può sembrare insipida e monotona, perdendo gran par-
LA SCHIUMA E LA CARBONATAZIONE
La schiuma è una componente essenziale della birra. Non solo è visivamente attraente ma serve anche a rilasciare aromi e proteggere la bevanda dall'ossidazione. La temperatura influisce direttamente sulla formazione della schiuma: una birra troppo fredda tende a produrre meno schiuma, mentre una birra servita alla giusta temperatura avrà una schiuma più abbondante e stabile.
La carbonatazione è più percepibile a temperature più elevate. Una birra ghiacciata può sembrare meno frizzante e quindi meno rinfrescante rispetto a una birra servita alla temperatura corretta.
LA TUTELA DEGLI AROMI
Gli aromi giocano un ruolo fondamentale nell'esperienza sensoriale della birra. Gli aromi volatili, responsabili dei profumi, sono rilasciati più efficacemente a temperature più alte. Se la birra è ghiacciata, questi aromi restano intrappolati, privando il bevitore dell'esperienza olfattiva completa.
Le birre con aggiunte di frutta, spezie o altre essenze naturali, come molte birre artigianali, soffrono particolarmente se consumate a temperature troppo basse.
IL RISPETTO PER LA TRADIZIONE E L'ARTE BRASSICOLA
La birra, come il vino, è il risultato di un'arte millenaria. I mastri birrai dedicano tempo e passione alla creazione di bevande che riflettano una varietà di sapori e aromi. Servire una birra alla temperatura sbagliata significa sminuire il lavoro di questi artigiani. I birrifici spesso indicano la temperatura ideale di servizio per le loro birre. Seguire queste indicazioni non solo onora il lavoro del birraio, ma garantisce anche che la birra venga apprezzata al meglio delle sue potenzialità.
SALUTE E BENESSERE
Bere bevande troppo fredde può avere anche un impatto negativo sulla salute. Le bevande ghiacciate possono causare una risposta vasocostrittoria, riducendo il flusso di sangue e rallentando la digestione. Consumare birra a una temperatura più elevata può favorire una migliore digestione e una maggiore sensazione di benessere.
Bere birra ghiacciata è una pratica che nasconde più insidie che benefici. Mentre una birra fredda può sembrare rinfrescante, è importante ricordare che le temperature troppo basse possono com-
UN
Ecosistema Google.
Utilizzare gli strumenti avanzati di Google in modo redditizio, consapevole e su misura per il turismo.
In un'era dove la digitalizzazione ha trasformato radicalmente il settore dell’accoglienza, “Ecosistema Google” fornisce un'esplorazione approfondita di come utilizzare in modo efficace i tanti strumenti Google per acquisire nuovi clienti e ottimizzare la presenza on-line delle strutture ricettive. Attraverso casi di studio, analisi e strategie pratiche, gli autori condividono la loro vasta esperienza e conoscenza, con l’obiettivo di tradurre la complessità dell'ecosistema digitale di Google in opportunità tangibili per il settore.
Luca e Marco Bove portano oltre due decenni di esperienza nel digital marketing e nella SEO. Luca Bove è amministratore di Local Strategy, azienda specializzata in Local SEO e strategie su Google Maps ed è già autore di altri libri - tra cui “Ingredienti di Digital Marketing per la Ristorazione” del 2015 edito da Flaccovio Editore insieme a Nicoletta Polliotto, e “Local Strategy. Come usare al meglio Google Business Profile e Google Maps per acquisire i clienti dietro l'angolo” del 2022 edito da Maggioli. Marco Bove è amministratore di I’m Evolution, agenzia SEO e digital marketing con oltre 20 anni di vita specializzata nel Digital Travel Marketing. SEO, web marketing strategist & web manager ed è founder di prenotazionediretta.it, progetto a sostegno della disintermediazione turistica.
Dal ruolo di Google nel turismo alla comprensione del customer journey, passando per analisi strategiche, SEO, pubblicità su Google, utilizzo di Google Travel e Google Business Profile, il libro copre aspetti fondamentali per una strategia digitale vincente. Viene data particolare attenzione all'Intelligenza Artificiale, per dimostrare come le nuove tecnologie possano essere integrate nei processi aziendali, a tutto vantaggio di migliori performance.
E se non sapete neppure cosa significano i termini che abbiamo appena digitato, non disperate: anche in questo caso, questo è il libro che fa per voi. Lettrici e lettori impareranno a navigare con sicurezza nel panorama digitale e padroneggiare i tools di Google per migliorare il posizionamento SEO, creare campagne pubblicitarie efficaci, ottimizzare la presenza locale, applicare strategie innovative di digital travel marketing, per anticipare le tendenze, sfruttare le potenzialità dell'Intelligenza Artificiale e automatizzare le attività ripetitive.
Il testo, incluso nella collana “Accadde domani FuTurismo” di Dario Flaccovio Editore, diretta da Nicoletta Polliotto, si rivolge a tutti coloro che desiderano elevare la propria presenza on-line e massimizzare il ROI attraverso l'utilizzo strategico degli strumenti di Google.
Autori: Luca e Marco Bove
Editore: Dario Flaccovio
Data di uscita: maggio 2024
Pagine: 192
Formato: 13x21
Costo: 24 euro
In conclusione, "Ecosistema
Google"
di
Luca
e
Marco Bove
è la bussola per navigare nella digitalizzazione del turismo; è un passo scaltro verso il futuro del digital travel; è il vantaggio competitivo sui competitors di settore.