Pizza e Pasta Italiana

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Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, NE/PD - mensile - € 2,00

n°2 Febbraio ‘17

all'interno

Focus su Pizza in Pala e Pizza in Teglia




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feb. 2016

pizza e pasta italiana

AZIENDE Ambrogi forni Srl pag. 11 Avanzini pag. 109 Cad – David Forni pag. 105 Castelli Forni pag. 37 Consorzio Aceto Balsamico di Modena IGP pag. 71 Cibus Connect pag. 87 Cirio - Conserve Italia pag. 59 CT Tirreno Trade pag. 81 Dr Schaer pag. 61 Eurial pag. 45 Eurochef pag. 41 Farm Frites pag. 17 Familia pag. 73 Fiera dell’Alto Adriatico pag. 75 Fiera di Milano, HOST pag. 70 Fiera di Rimini, Beer Attraction pag. 89 Forni Dorigo pag. 103 Forni Pavesi Rimini pag. 53 Gast Expo pag. 72 Gi.Metal pag. 55 Greci pag. 111 Grandi Molini Italiani pag. 15 Ife - Fiera di Londra pag. 79 Internorga pag. 83 Italmill pag. 2, 3 Latterie Montanari pag. 23 Las Vegas Pizza Expo pag. 77 Lidia pag. 80 Liner pag. 101 Molino Agugiaro & Figna pag. 43, 107 Molino Iaquone pag. 36 Molino Pasini pag. 7 Molino Piantoni pag. 65 Molino Pivetti pag. 95 Molino Polselli pag. 115 Moretti Forni pag. 116 Novaltec pag. 49 Nuova Fregil pag. 76 Omega Distribuzione pag. 31 Parizza pag. 85 Pepsi pag. 9 Pizza New SPA pag. 43 Rispo Surgelati pag. 33 RPM pag. 91 Refrattari Regello pag. 53 Sanfelici Conserve pag. 25 Sitta pag. 61 Smoky Elettromeccanica pag. 63 Tirreno Trade CT pag. 71 TuttoFood pag. 39 Velma pag. 69 Vecogel pag. 67

SOM 6 EDITORIALE

di Giampiero Rorato

8 PRIMA PAGINA 10 PIZZA NEWS 12 — Territorio e Cucina

di Giampiero Rorato

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SPECIALE PIZZA IN PALA E PIZZA IN TEGLIA

— La pizza in pala e la pizza in teglia tra passato e futuro di Patrizio Carrer

24 SPECIALE PIZZA IN PALA E PIZZA IN TEGLIA

— Le ricette dei campioni

29 NOVITÀ DALLE AZIENDE — Molino Agugiaro & Figna

34 SPECIALE PIZZA IN PALA E PIZZA IN TEGLIA — Intervista a Antonio Lamberto Martino - Bake Off Italia di Giampiero Rorato

38 SPECIALE PIZZA IN PALA E PIZZA IN TEGLIA — Intervista a Stefano Callegari, ideatore di Trapizzino di Caterina Orlandi

46 SPECIALE PIZZA IN PALA E PIZZA IN TEGLIA

di Caterina Orlandi

— Intervista a Domenico Giovannini fondatore di Alice Pizza di D. M.


MARIO 62

92 LA BIRRA

50 SPECIALE PIZZA IN PALA E PIZZA IN TEGLIA

— Il Pecorino Romano DOP di Patrizio Carrer

— La birra a LE ECCELLENZE ALIMENTARI

— La Casciotta

di Urbino

di Caterina Vianello

72 IL DOLCE — Al contadino non far sapere... di Laura Nascimben

52 SPECIALE PIZZA IN PALA E PIZZA IN TEGLIA

74 IL VINO — Il vino etrusco di Giampiero Rorato

84

— La Pizza in Teglia alla Romana 54 NOVITÀ DALLE AZIENDE — Gimetal — Latteria Montanari

56 — La storia della Pizza di Giampiero Rorato

fermentazione spontanea: il Lambic

di Alfonso del Forno

96 LA SCIENZA DELL'ALIMENTAZIONE

— Le diete squilibrate e l'IMC dott.ssa Marisa Cammarano Biologa Nutrizionista

102 QUESTIONE DI GUSTO — Le ricette sono immobili? Certamente no! di Nives Piva

108 — Giropizza d'Europa 2016/ 2017

— La cucina italiana a Parigi 2^ parte di Caterina Vianello

112 SCUOLA ITALIANA PIZZAIOLI


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pizza e pasta italiana

EDITORIALE

C

ome i nostri attenti lettori stanno constatando, Pizza e Pasta italiana si sta sempre più aprendo a nuove realtà del mondo agroalimentare e ristorativo, per aiutare a conoscere e capire i percorsi sempre più complessi dell’enogastronomia, che, come scrive la nostra collaboratrice Nives Piva in “Questione di gusto”, sta costantemente rinnovandosi, attingendo anche a culture e tradizioni estranee alle nostre. Nulla di male, è chiaro, poiché sempre nel passato l’Italia ha accolto prodotti e piatti di altre popolazioni, le spezie dal lontano Oriente, lo zucchero dal Vicino Oriente, il riso, i carciofi e gli agrumi introdotti in Sicilia dagli Arabi, poi dalle Americhe è arrivata una straordinaria quantità di prodotti: fagioli, mais, patate, peperoncini e peperoni, pomodori, zucche e zucchine, e ancora cacao, tacchini, anatre mute e altro ancora. Ora tutti questi prodotti, dalle spezie orientali alle patate sono diventate nostro patrimonio alimentare, come i vitigni giunti dalla Francia – Cabernet Franc e Sauvignon, Chardonnay, Malbech, Merlot, i tre Pinot, il Sauvignon e altri ancora – sono diventati nostro patrimonio vitienologico. Accogliere e far nostro quanto di buono e di utile si trova lontano da casa appartiene alla storia degli uomini, è la storia stessa della civiltà. Ma con dei paletti ben precisi. Non dobbiamo assolutamente perdere i nostri prodotti e i nostri valori alimentari e gastronomici, fra cui c’è la pizza, copiata, spesso malamente, in tutto il mondo. E abbiamo molto altro, sia per quanto riguarda i prodotti agroalimentari, sia relativamente alla cultura alimentare, a cominciare dalla dieta mediterranea, nel Sud Italia sempre esistita, codificata per la prima volta in maniera sistematica negli anni ’50 del secolo scorso dall'epidemiologo e fisiologo statunitense Ancel Keys e proclamata dall’Unesco patrimonio culturale immateriale dell’umanità nel 2010. Nostro dovere e nostra convenienza è conservare e valorizzare al meglio il nostro stupendo patrimonio agroalimentare ed enogastronomico, ricchezza del nostro Paese (è il nostro petrolio), uno degli emblemi più significativi del made in Italy, guardato con desiderio e, spesso, con invidia, dagli altri Paesi.

PIZZA E PASTA ITALIANA Mensile di Pizza, Pasta, Enogastronomia e Cultura

COMITATO TECNICO E REDAZIONALE Marisa Cammarano, Patrizio Carrer, Giuseppe Dell’Aquila, Tony Gemignani (U.S.A.), David Mandolin, Gianandrea Rorato, Caterina Vianello, Laura Nascimben, Caterina Orlandi

edito da PIZZA NEW S.p.A. Autorizzazione Tribunale di Venezia n. 1019 del 02/04/1990 Anno XXVIII - n.2 Febbraio 2017

AFFILIAZIONI INTERNAZIONALI Pete La Chapelle (N.A.P.O. - Pizza Today, U.S.A.), P.M.Q. Steve Green (U.S.A.)Abbie Jarman (Pizza, U.S.A.) Hidenao Takahashi (Pan World Inc., Giappone) Kazuko Nagamoto (ICT, Giappone) Takeshi Tanaka (Quattro Stagioni, Giappone) Drew McCarthy (Canadian Pizza Magazine, Canada), Valeria Vairo (Buongiorno Italia).

Repertorio ROC n. 5768 DIRETTORE EDITORIALE Massimo Puggina DIRETTORE RESPONSABILE Giampiero Rorato SEGRETARIA DI REDAZIONE Caterina Orlandi PUBBLICITÀ Patrizio Carrer, Caterina Orlandi RESPONSABILE PROGETTO David Mandolin

ASSOCIATO ALL’UNIONE ITALIANA STAMPA PERIODICA

REDAZIONE 30021 CAORLE (Venezia) via Sansonessa, 49 Tel. 0421/ 212348 - Fax 0421/81007 E-mail: redazione@pizzaepastaitaliana.it www.pizzaepastaitaliana.it

PROGETTO GRAFICO Manuel Rigo e Paola Dus

PER LA PUBBLICITÀ SULLE RIVISTE

di Sara Ciprandi

ITALIA Pizza e Pasta Italiana SPAGNA RRR Revista de Restauración Rapida, Pizza y Restauración U.S.A. Pizza Today, Pizza, P.M.Q. Steve Green INGHILTERRA Pizza, Pasta & Italian Food GERMANIA Buongiorno Italia

STAMPA MEDIAGRAF S.p.A.

TEL 0421.83148 - FAX 0421.81007

— Mediagraf lab DIGITAL PUBLISHING Maura Trolese — Mediagraf lab IN COPERTINA illustrazione

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di Giampiero Rorato


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LINEA PIZZERIA


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feb. 2017

pizza e pasta italiana

PRIMA PAGINA di Patrizio Carrer

41a edizione di Expo Riva Hotel, tutti gli eventi

La giornata internazionale della pizza.

S L

a 41a edizione di Expo Riva Hotel, in programma dal 5 all’8 febbraio 2017 al quartiere fieristico di Riva del Garda (Trento), continua ad arricchire il programma dell’evento dedicato ai professionisti dell’Ospitalità e della Ristorazione professionale. Un evento fieristico che si sviluppa in 8 padiglioni espositivi suddivisi in 4 grandi aree tematiche, con un ampio calendario di appuntamenti: dallo Street Food Contest ovvero una riscoperta e celebrazione del cibo di strada, alla Jam Cup 2017 che rientra nel progetto Coordinamento Giovani della FIC e Riso In Rosa, che vedrà impegnate le cuoche della Federazione in una competizione con il riso protagonista. L’area tematica Food equipment vedrà anche impegnata l’Associazione Celiachia Trentino con proposte gluten free, in programma tutti i giorni alle 13 e alle 15, e l’Associazione Cuochi Mantovani con cooking show. Saranno 26 le aziende che animeranno l’area SoloBirra, rivolta a chi è alla ricerca delle migliori birre artigianali, con particolare attenzione ai Microbirrifici italiani ed internazionali. Nei quattro giorni di Expo Riva Hotel si potranno degustare le differenti birre ma anche partecipare a incontri formativi e seminari.

i è svolta lo scorso gennaio la giornata internazionale della pizza italiana, celebrata nei ristoranti di tutto il mondo, nella sua forma più nota – la pizza Margherita – ma anche nelle sue declinazioni contemporanee più creative. L’iniziativa, supportata anche da Coldiretti, si è svolta in occasione della 10° edizione della Giornata della Cucina italiana promossa dal gruppo virtuale dei cuochi italiani, che hanno deciso in migliaia di preparare contemporaneamente in tutti i continenti il piatto simbolo del Made in Italy, in grado di generare un business globale superiore ai 100 miliardi di euro. Il 2017 sarà un anno storico per la pizza, tra il 4 e l’8 dicembre 2017 a Seul, sarà esaminata dal comitato mondiale UNESCO, la candidatura dell’arte della pizza a patrimonio culturale dell’Umanità. Ogni giorno solo in Italia, si sfornano circa 5 milioni di pizze nelle circa 63mila pizzerie e locali per l'asporto, taglio e trasporto a domicilio dove si lavorano in termini di ingredienti durante tutto l'anno 200 milioni di chili di farina, 225 milioni di chili di mozzarella, 30 milioni di chili di olio di oliva e 260 milioni di chili di salsa di pomodoro. (fonte Ansa)

La ristorazione nel 2017, l’analisi del sito TheFork.

C

ome sarà il 2017 dei ristoranti? Secondo un sondaggio condotto sui propri utenti da TheFork, nel complesso la maggioranza degli intervistati continuerà a scegliere prevalentemente il sabato per recarsi a mangiar fuori e spenderà in linea con quanto fatto nel 2016, una media sui 28 euro. Quanto a tipologia di ristoranti, la pizzeria sarà la meta gastronomica preferita del pubblico italiano, seguita dai ristoranti di pesce, di carne e di specialità regionali. Tra le cucine etniche trionfano il sushi e la cucina asiatica. Tra le tendenze alimentari maggiormente in voga, cucina vegetariana e bio e pizza gourmet sono quelle che più interessano gli intervistati. L'Italia, sempre secondo la ricerca The Fork, è in linea con l'Europa in quanto a spesa e abitudini di consumo. In Europa la giornata dedicata al ristorante resta il sabato, quando si registra il maggior numero di prenotazioni. Il servizio più prenotato è sempre la cena: in Italia si concentra soprattutto nelle fasce orarie delle h.20:00 e delle h.21:00 e riguarda oltre l'86% delle prenotazioni, in lieve calo rispetto all'88% del 2015. La prenotazione online del ristorante si conferma uno strumento sempre più diffuso tra gli utenti. L'Italia e il Portogallo sono i Paesi europei più dinamici in tal senso con tassi di crescita che superano i 400 punti percentuali, seguiti dai Paesi del Nord Europa, dal Belgio e dalla Turchia che registrano un aumento del booking online tra il 200% e il 300%.



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pizza e pasta italiana

pizza

NEWS Acqua S.Bernardo, connubio ideale con la pizza.

FIC e Conserve Italia partner consolidati con Cirio Alta Cucina e Valfrutta Granchef

E’ una strategia di sviluppo flessibile e innovativa quella messa in campo da Acqua S.Bernardo per il settore Horeca. Da una parte vengono salvaguardati l’anima e il ruolo del brand, con il suo posizionamento nella fascia alta del mercato, le qualità di leggerezza eccezionale del prodotto, e un packaging premium di design, dall’altra si punta alla crescita in Italia, consolidando un ruolo importante nell'Horeca del Nord e incrementando la penetrazione al Centro e al Sud. Dopo il completamento della gamma di bottiglie, le inconfondibili “gocce” di design by Giugiaro, la 75 cl vetro gasata, la mezzo litro Pet Premium e la litro vetro tappo a vite, il 2016 per Acqua S.Bernardo è stato anche l’anno del The Bio in Acqua minerale S. Bernardo, un prodotto di fascia medio alta che ha subito fatto leva sui consumatori sia della grande distribuzione sia dell’Horeca Un’acqua eccezionale, prodotti diversi dall’acqua, ma l’Horeca in S.Bernardo prosegue nel suo trend positivo anche grazie all’impegno dell’azienda a livello promozionale. Il marketing di S.Bernardo ha scelto infatti di premiare la sua rete vendita con alcuni oggetti dedicati e brandiz-

La Federazione Italiana Cuochi consolida e amplia la partnership avviata nel 2013 con Conserve Italia – gruppo leader nel settore conserviero al quale fanno capo, tra gli altri, i marchi Cirio e Valfrutta – annunciando due importanti novità all’insegna della promozione e valorizzazione in Italia e all’estero della migliore cucina italiana. La linea Cotti a Vapore Valfrutta Granchef entra nella “dispensa” della Federazione Italiana Cuochi, presieduta da Rocco Pozzulo, e il brand Cirio Alta Cucina diventa sponsor della Nazionale Italiana Cuochi. Da oggi gli chef della Federazione Italiana Cuochi possono contare su un alleato in più in cucina, grazie alla linea Cotti a Vapore, fiore all’occhiello di Valfrutta Granchef, che propone alla famiglia delle berrette bianche italiane una gamma unica delle migliori verdure cotte a vapore, un processo delicato e tecnologicamente avanzato in grado di preservarne il gusto autentico, il colore naturale, il profumo intenso e le proprietà organolettiche. Prodotti che possono fregiarsi del riconoscimento “Approvato dalla FIC”, un importante sigillo al costante impegno profuso da Cirio nell’essere un marchio premium e un’icona della tradizione culinaria italiana, riconosciuta da sempre per la qualità superiore e il gusto unico dei suoi prodotti; il pomodoro perfetto per una cucina di alto livello come quella in costante crescita ed evoluzione della Nazionale Italiana Cuochi.

zati con l’acqua e il the. Le frigovetrine S.Bernardo sono apprezzatissime tra i ristoratori. Piacciono anche i cestini portapane in materiale lavabile ed ecologico, le glacette di Alessi brandizzate e i portapizza.

Pizzolivm: il nuovo olio evo, per la Pizza verace napoletana. In occasione dell’inaugurazione della nuova sede dell’Associazione Verace Pizza Napoletana nella città partenopea, Olitalia, azienda di Forlì specializzata in oli e aceti, ha presentato Pizzolivm: un olio ideato appositamente per condire e armonizzare gli ingredienti della vera pizza napoletana. In quanto azienda interamente italiana, Olitalia condivide lo spirito dell’Associazione Verace Pizza Napoletana e per questo ha creato Pizzolivm, l’olio extra

vergine di oliva di origine 100% italiana di alta qualità caratterizzato da note fruttate verdi, con un perfetto equilibrio tra amaro e piccante di media intensità e da un lieve sentore di pomodoro. Pizzolivm nasce da un rigido processo di selezione delle migliori cultivar del nostro territorio da parte di alcuni tra gli esperti assaggiatori più rinomati a livello nazionale ed internazionale in collaborazione con i pizzaioli dell’Associazione Verace Pizza Napoletana, che

hanno testato l’olio sulla pizza fino a trovare quello dal profilo sensoriale perfetto per l’abbinamento alla vera pizza napoletana e che ne armonizza al meglio gli ingredienti.


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Tutti i nostri forni possono essere alimentati a gas. Ambrogi snc •via B. Buozzi, 3 - 20090 Fizzonasco di Pieve Emanuele (Milano) Italy Tel +39 02 90720722 •Fax +39 02 90722794 •www.ambrogi.it •info@ambrogi.it


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pizza e pasta italiana

Dalla fattoria al ristorante, con il ristorante che valorizza i prodotti del territorio

Per una ristorazione di qualitĂ

Territorio-Cucina e Cucina-Territorio


territorio e cucina

C’

è ancora e continua il dibattito fra gli studiosi di storia e cultura enogastronomica relativo al rapporto fra cucina e territorio. La storia ci conferma che le cucine locali sono il risultato di un rapporto strettissimo e quasi obbligato fra le cucine di casa prima, poi d’albergo e, infine, di trattorie e ristoranti con i prodotti provenienti dal territorio d’attorno. E questo è perdurato dalle origini e fin quasi ai nostri giorni e più precisamente agli anni 70-80 del secolo scorso. In questi ultimi tempi c’è chi afferma che la ristorazione è finalmente in grado di prendere il volo (come se prima fosse solo una cucina rustica e contadina) e, per ottenere questi risultati, dicono, deve essere capace di uscire dai prodotti del territorio per prendere il meglio dove lo trova, in qualsiasi parte del mondo esso sia. Questo principio ispira, ad esempio, or-

mai da tempo, la grande cucina internazionale, non inquadrabile in un determinato territorio, sia a Londra come a New York, a Hong Kong come a Parigi. E lo stesso avviene in quasi ogni parte del mondo negli alberghi per turisti, dove, ad esempio, le proposte dei buffet sono molto simili, con pochissime concessioni alle tradizioni locali, salvo la ricchezza della frutta esotica nelle zone tropicali. Questo modo di intendere e realizzare la cucina è causa e frutto della globalizzazione e ha come spiacevole risultato il rischio di mangiare ovunque le stesse cose, prodotte da apposite industrie alimentari multinazionali, perdendo via via le tante preziose biodiversità agroalimentari, quelle buone, sane e utili, s’intende, che il mondo ci offre ancora con straordinaria generosità.

di Giampiero Rorato

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pizza e pasta italiana

TERRITORIO E CUCINA

Dalla fattoria alla tavola Salvare le biodiversità, che rappresentano un inestimabile valore culturale, ambientale e gastronomico, è fondamentale anche per non privare chi arriverà dopo di noi dei tanti ottimi prodotti che impreziosiscono attualmente le nostre tavole. E ogni territorio, per non impoverirsi e cadere in un trascurabile anonimato, ha il dovere di conservare e potenziare la propria tipicità e le proprie caratteristiche che si esprimono nelle tradizioni produttive del luogo. Questi prodotti, poi, devono essere privilegiati dai ristoranti locali proprio per valorizzare la propria identità, differenziandosi così dai ristoranti di altri territori. Il buongustaio che va alla ricerca di piatti interessanti e diversi fra loro li trova se i ristoratori e i cuochi attingono in via primaria ai prodotti del territorio in cui sono collocati. La cosa non è espressione di stupido provincialismo – come qualcuno vorrebbe insinuare – semmai il contrario, poiché usufruendo dei prodotti che nascono nella campagna e negli orti vicini al ristorante si ha una filiera corta, con risparmio di costi, ma

soprattutto con prodotti sempre freschi e scelti personalmente dal ristoratore. Una cucina che attinga ai prodotti del proprio territorio valorizza la propria identità e, attraverso i piatti – che devono essere naturalmente ottimamente realizzati – regala al commensale gusti e sapori che non esistono in altre parti – in altri territori – e gli mostra nel contempo, assieme ai prodotti, la cultura e le tradizioni locali. E così la cucina, oltre che nutrire ed emozionare, si fa autentica cultura.

sopra

paesaggio rurale toscano accanto

Ristorante Hotel La Rosetta - PG-

Dalla tavola alla fattoria Se il percorso prima indicato serve a valorizzare l’identità di un ristorante, c’è anche il percorso inverso, pur esso molto importante. Impiegare in cucina i prodotti del territorio facendoli conoscere ai commensali significa valorizzare quei prodotti, valorizzare il lavoro di chi li produce, valorizzare il territorio. C’è dunque uno scambio estremamente vantaggioso per tutti i protagonisti, sia diretti che indiretti, dell’evento ga-

stronomico: il commensale che gusta piatti buoni e interessanti che non trova ovunque; il ristoratore che attingendo a prodotti vicini, scelti personalmente fra quelli di alta qualità, riduce i costi rispetto ai prodotti che provengono da lontano e sa esattamente quello che offre ai commensali; infine il produttore perché attraverso il ristorante vede conosciuti e apprezzati da un numero crescente di persone i suoi prodotti.


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pizza e pasta italiana

TERRITORIO E CUCINA

Per una ristorazione di qualità I due percorsi appena descritti per raggiungere i risultati indicati richiedono qualcosa in più. L’impiego dei prodotti da parte del ristoratore è potenzialmente un marketing efficace sia per il ristoratore stesso, che si differenzia da altri che per il produttore che vede valorizzato il suo lavoro. Ma perché ciò avvenga occorre – ed è fondamentale e condizione indispensabile – che quei prodotti siano trasformati in piatti nel modo migliore, con adeguate tecniche, mettendo in giusta luce le caratteristiche migliori dei prodotti, valorizzandoli, senza farli confondere con altri prodotti. Faccio un esempio. La primavera è la stagione degli asparagi e in diverse parti, soprattutto in Veneto e in Friuli Venezia Giulia ed anche in altre regioni, si prepara un piatto delizioso, il risotto agli asparagi bianchi. Questo è un piatto serio purché sia realizzato bene, per esaltare sia il riso che gli asparagi. Ma se, ad esempio,

vi aggiungo, come purtroppo succede, le code degli scampi – risotto scampi e asparagi – confondo l’aromatico degli asparagi col dolce degli scampi, offendendo entrambi i prodotti. Meglio, molto meglio, preparare due risotti: risotto agli asparagi e risotto agli scampi, ciascuno dai gusti precisi, chiari e definiti, senza dannose confusioni. Ecco allora quel qualcosa in più cui prima accennavo: ci vuole una cultura dei prodotti, una cultura riguardante gusti e sapori, mettendo al bando l’improvvisazione, le copiature prive di senso e le storpiature gastronomiche. È vero che un risotto agli asparagi e scampi è molto buono e gradito, ma il pregio gastronomico di unire al risotto un solo compagno di viaggio è finezza culturale, oltre che gastronomica che rende il piatto di valore internazionale, un vero piatto da grande cucina, un piatto da esigenti gourmet, anche se realizzato dalla cucina di una semplice trattoria di paese.


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Il Mocambo nasce nel gennaio del 1967 come pizzeria tradizionale. I signori Lanfredi, fondafonda tori del locale, nel corso degli anni hanno ampliato la loro attività con il settore ristorante e una piccola sala da ballo molto di moda negli anni '80. A partire dagli anni ’90 gli chef del Mocambo perfezionano il loro impasto, ottenendo prestigiosi riconoscimenti: il primo posto ai campionati italiani per diversi anni e segnalazioni sulla guida del Gambero Rosso. La pizza è caratterizzata da una pasta sottilissima, le farciture vengono studiate e preparate con ingredienti selezionati e di prima qualità. La nuova creazione del 2016 è la Scrocchiarella, una pizza originale perché composta da un mix di farine speciali, a lunghissima lievitazione, lavorata a mano e stesa in teglia. Completa il processo una cottura speciale a più fasi per ottenere allo stesso tempo sofficità e croccantezza. La farcitura è composta da ingredienti semplici e genuini: pomodoro san marzano, mozzarella fiordilatte a crudo, salumi selezionati ,olio extra vergine d’oliva, basilico fresco e origano. Mezzo secolo tra passione e impegno, nella continua ricerca della pizza perfetta. Scopri i nostri eventi e promozioni sul sito www.mocambo.it e sulla pagina Facebook "Pizzeria Mocambo" ANCHE IL MOCAMBO UTILIZZA OVEN FARM FRITES SULLA PIZZA" FarmFrites Italia - Corso XX settembre 44, 21052 Busto Arsizio (VA) – Italia Tel 0039 (0) 331 786141 – info@farmfrites.com – www.farmfrites.com


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pizza e pasta italiana

La pizza in e la pala pizza in Teglia, tra passato e futuro. di Patrizio Carrer

Il

numero di febbraio di Pizza e Pasta Italian offre un ampio focus e alcune chiavi interpretative sulla Pizza in Pala e sulla Pizza in Teglia, pur non avendo la pretesa di rappresentarlo nella sua interezza. Attraverso il contributo di pizzaioli, panificatori, giornalisti enogastronomici e addetti ai lavori, ci siamo posti l’obbiettivo di dare voce ai professionisti di questo tipo di pizza – tanto apprezzata nel Lazio e nella Capitale, ma sempre più diffusa in tutta Italia e nel mondo - e allo stesso tempo di proporre ai nostri lettori una panoramica non solo sulla realizzazione dei prodotti, ma anche sul alcune importanti eccellenze agroalimentari, legati alla tradizione laziale e romana. Un mondo

dove tradizione e innovazione corrono assieme, per offrire qualità ed eccellenza. La pizza moderna nasce a Napoli, ma le sue declinazioni sono state numerose e spesso sono state oggetto di contaminazioni con altre professioni e abitudini culinarie. Se la pizza in Pala nasce infatti in Campania, secondo alcuni nei laboratori di alcuni fornai partenopei, quella che una volta veniva chiamata “Schiacciata”, aarriva nel Lazio e nella Capitale dove diventa a tutti gli effetti uno dei cibi di strada più consumati. Farcita con salumi, formaggi e molto altro, la pizza in Pala è conosciuta anche come pizza a metro, proprio perché venduta in base alla sua lunghezza. Da specialità tipica capitolina, qual è stata dagli anni ’30, la pizza in Pala

è diventata un vero proprio “must” nelle pizzerie di tutta Italia, grazie alla bravura dei tanti pizzaioli che farciscono le proprie creazioni con ingredienti golosi, appetibili sia per l’occhio che per la gola. La pizza in Pala prende il nome dalla sua preparazione: nei panifici e nelle panetterie veniva infatti posta su una pala di legno di lunghezza variabile, e poi appoggiata sulla platea del forno, per una cottura a contatto diretto. Caratteristiche distintive della pizza in Pala, sono la croccantezza, la leggerezza date da un’alveolatura molto sviluppata e diversamente da quanto avviene per la pizza tonda, le proporzioni di acqua e farina sono diverse. Altro prodotto da forno che viene spesso associato alla pizza in Pala è la pizza in


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Teglia, che molto semplicemente prende il nome dalla teglia dove viene preparata. Ampiamente diffusa a Roma, la pizza in Teglia è presente nei panifici di tutta Italia ed è finalizzata ad una vendita al trancio, diversamente dalla pala che viene spesso servita anche in pizzerie con servizio al tavolo, la pizza in Teglia è consumata prevalentemente per asporto, come pausa pranzo e come merenda per i più piccoli. Cotta esclusivamente nel forno elettrico, la cottura della pizza in Teglia avviene attraverso la conduzione del calore dalla platea del forno elettrico alla teglia in metallo, questo permette una cottura diffusa e graduale, che mantiene l’impasto morbido anche per diverse ore. Diversa dalla pizza alla romana che viene

cotta in una padella, dobbiamo considerare la proprietà isolante della padella sulla pietra refrattaria del forno (60/70%) e della parte superiore (20%) ad una temperatura di circa 260/280°. L’alta idratazione di questi tipi di impasti implica un tipo di cottura diversa da altri tipi di pizza, come per esempio la pizza napoletana, per cui spesso e volentieri si rende necessaria una precottura e la farcitura della pizza spesso viene ultimata alla fine della cottura. Inoltre va ricordato che per la pizza in pala si tendono a preferire farine con una maggiore estensibilità e un indice proteico in cui la gliadina è maggiore rispetto alla glutenina - gliadina e glutenina sono le due proteine responsabili dell’elasticità

e della tenacità dell’impasto, maggiore è il loro indice, maggiore sarà la qualità della farina -. Grande importanza come sempre va data alla lenta lievitazione e alla maturazione della massa dell’impasto, e alla sua cottura. Grazie infatti alla reazione di Maillard, processo chimico che prende il nome dal famoso chimico Luise Camille Maillard, che coinvolge gli zuccheri e gli aminoacidi che sottoposti all’azione delle alte temperature, in un determinato tempo formano composti particolarmente gustosi e digeribili, caratterizzati da colore bruno – caramellizzazione - , Questa reazione deve essere presente anche nella pizza, così da poter sprigionare i propri caratteristici sentori, tipici della pizza.


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pizza e pasta italiana

Nati come prodotti regionali, la pizza in Pala e la pizza in Teglia negli ultimi anni si sono ampiamente diffuse: non da ultimo vanno segnalate la nascita di franchising e di locali interamente dedicati a questi prodotti, come “Alice Pizza� a Roma e il “Pizzarium di Gabriele Bonci, che coniugano la tradizione reinventandola con farciture innovative.



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pizza e pasta italiana

la ricetta consigliata dalla nostra redazione —

Pizza in Pala in crosta di patate con stracchino e porchetta La pizza in pala in pala rivista con una ricetta innovativa, con una base bianca, in grado di coniugare i sapori della tradizione romana.

a fianco

da sinistra Valerio Finucci e Gianluca Procaccini

Per l’impasto: 1 litro d’acqua 1,8 kg di farina multi-cereali 5 grammi di lievito 30 grammi di sale 20 grammi di olio extravergine d’oliva

Gianluca Procaccini, Istruttore della Scuola Italiana Pizzaioli di Ostia – Roma, in collaborazione con Valerio Finucci, (istruttore della Scuola Italiana Pizzaioli di Nettuno Roma) ha realizzato per questo inserto speciale dedicato alla Pizza in Pala e alla Teglia, una pizza ad hoc. L’impasto è stato preparato con 1,6 kilogrammi di farina multi-cereali, 1 litro d’acqua, 5 grammi di lievito, 30 grammi di sale fino, 20 grammi di olio extravergine d’oliva. Una volta suddiviso l’impasto in pagnotte da 800 grammi ciascuna, procedere con la preparazione e la stesura. La lavorazione è stata fatta con un tempo di maturazione di circa 24 ore.


Prodotti alimentari di Alta qualità distribuiti da più di trent’anni alle migliori aziende del settore sono la garanzia della competenza e dell’assoluta serietà dell’azienda Sanfelici. Rispettando i più elevati standard qualitativi l’azienda affida la produzione dei suoi prodotti a realtà specializzate in grado di selezionare e controllare personalmente le materie prime, di altissima qualità, che verranno trasformate in ottimi prodotti gastronomici distribuiti da Sanfelici direttamente a ristoranti, bar, trattorie, pizzerie, osterie. Più di tremila contatti in continua crescita sottolineano la professionalità e la puntualità di una ditta che con un ottimo rapporto qualità/prezzo cerca di promuovere giornalmente la cultura del food & beverage nel mondo. Accurata selezione e continua ricerca sono le parole chiave per il successo di Sanfelici.

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pizza e pasta italiana

Dopo una prima lievitazione di 3 ore a temperatura ambiente, è stata lavorata con stesura a mano farcita con patate d’Avezzano, tagliate sottili a fette. Dopo un primo condimento con sale e rosmarino, la pizza è stata infornata a circa 300 °C, per circa 8 – 10 minuti. Una volta cotta e tagliata per lungo e al suo interno stata farcita con una crema di stracchino e fette di porchetta di Ariccia. Una volta completata la farcitura, la pizza è stata cotta per altri 3 – 4 minuti, e poi servita.

Per la farcitura: Patate d’Avezzano, Stracchino, circa 300 grammi Porchetta di Ariccia a fette Rosmarino, sale, qb.


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pizza e pasta italiana

Il Campione Mondiale della Pizza in Pala 2016 Pasquale Moro —

Pizza Italia

Per la farcitura: Pomodoro, burrata, prosciutto crudo di Parma, cipolla, basilico, Parmigiano Reggiano, Aceto Balsamico di Modena IGP, rucola, origano e pomodorini.

Per l’impasto:

Prima fase 500 gr di farina 225 gr di acqua 5 gr di lievito 18 ore di lievitaizone a 22°C nome

L’idratazione della Biga in questa fase è al 45%

Pasquale Moro pizzeria

Seconda fase 600 gr di farina 675 gr di acqua 25 gr di sale 40 gr di olio evo 3 gr di lievito

La Casa della Pizza località

Robecco sul Naviglio - MI

Lasciare lievitare la massa per altre 2 ore, dopo questa fase l’idratazione totale è al 90%

La cottura a circa 200 °C su forno elettrico in due momenti.

Passare poi alla formazione delle palline e lasciare lievitare altre 2 ore.

Ultimata la cottura, condire e farcire la pizza a freddo.


novità dalle aziende

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Molino Agugiaro e Figna, via Monte Nero 111, Curtarolo (PD) + 39 049 962 4611 - www.agugiarofigna.com

LE 5 STAGIONI PRESENTANO CIABATTA ROMANA

Si chiama Ciabatta Romana ed è l’ultima nata dal Centro Ricerca e Sviluppo di Agugiaro&Figna Molini per Le5Stagioni, la linea dedicata alle farine per la pizza con cui l’azienda, che opera nel settore molitorio dal XV secolo, è leader nel mondo.

Ciabatta Romana nasce dal connubio perfetto di due eccellenze italiane: Ciabatta Polesana e Pizza Romana. Da una parte, la tradizione di un prodotto apprezzato per leggerezza e salubrità e dall’altra una vera e propria icona di gusto dei primissimi cenni di street food, nato nei borghi della “capitale eterna”. E sono proprio il gusto e la salubrità a contraddistinguere l’eccellenza della nuova referenza firmata Le5Stagioni: uno speciale mix di nuova generazione, specifico per realizzare impasti ad alta idratazione, ottenuto dalle migliori varietà di grano a glutine “lungo”. La

sua speciale ricettazione permette di ottenere pizze estremamente leggere e digeribili con una mollica molto sviluppata ed una croccantezza persistente. Agugiaro&Figna Molini conferma ancora una volta il proprio impegno in termini di innovazione e ricerca per garantire un’offerta completa, che possa rispondere alle variegate necessità dettate dalle scelte di gusto dei consumatori, senza mai tralasciare l’eccellenza i termini di qualità e resa finale. #storiedifarina


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pizza e pasta italiana

Il Campione Mondiale della Pizza in Pala 2016 Tony Gemignani —

Pizza Don Giovanni

Per la farcitura: salame di cinghiale, pomodorini, mozzarella fiordilatte, Parmigiano Reggiano, aceto balsamico di Modena IGP

Per l’impasto multicereale: 750 grammi 5 di farina 00 50 grammi di spelta 50 grammi soia 100 grammi grano franto 100 grammi poolish (50 grammi) 550 grammi acqua fredda 150 grammi acqua calda warm water 20 grammi miele locale 30 grammi di sale marino fino 15 grammi di malto a bassa diastasi 5 grammi di lievito secco attivo

nome

Tony Gemignani pizzeria

Tony’s Pizza Napoletana località

San Francisco (USA)

Totale della farina 1000 grammi Giorno 1 preparate il poolish e lasciatelo fermentare per circa 18 ore a temperatura ambiente. Giorno 2 mescolate il lievito e I 150 grammi di acqua calda assieme. Unite e mescolate la farina “00”, la soya, la spelta ed il malto. Usate un’impastatrice a spirale, unite l’acqua fredda nella vasca. Usando le vostre

mani rompete il grano franto nell’acqua in parti più piccole. Aggiungete l’acqua calda/ il lievito nella vasca dell’impastatrice e l’acqua fredda. Inserite nell’impasto iniziale 80% della vostra farina. Mentre fate girare l’impasto in macchina mettete il rimanente della vostra farina. Dopo 3 minuti aggiungete il poolish. Dopo 3 minuti facendo giare in macchina l’impasto ag-

giungete il miele. Dopo ancora 2-3 minuti aggiungete il sale. Continuate a farlo girare in macchina per altri 2 – 3 minuti. Il tempo totale di lavoro in macchina è di 12 – 13 minuti. Fate fermentare la massa per 24 ore in frigorifero. Giorno 3 ritirare dal frigorifero e togliete il gas nel mixer per 1 minuto, formando poi le palline della

dimensione desiderata. Fai fermentare le palline ancora per 24 ore nel frigo. Giorno 4 Porta le tue palline di impasto a temperature ambiente prima di utilizzarle. Infarinale nella semola prima della cottura.


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feb. 2017

pizza e pasta italiana

Il Campione Mondiale della Pizza in Teglia 2016, Giuseppe Lapolla —

Pizza in Teglia con Porcini e Salsiccia

Per la biga: 1 kg farina tipo “1” 500 gr acqua 10 gr lievito fresco - secco 5

Per l’impasto Giuseppe Lapolla ha pensato di abbinare un vino della sua terra: Zurria, Azienda Vitivinicola Masone Mannu, Isola dei Nuraghi IGT

50% biga 1 lt acqua 60 gr sale 60 gr olio 0.01 gr lievito fresco *Non utilizziamo il frigo in questa ricetta Per la farcitura Fase 1 Preimpasto o biga idratata 50% all’1% di lievito per 24 ore a temperatura ambiente 18°C

Fase 2 Rinfresco lavoro al 50% biga e 100% idratazione acqua 0.01 lievito compresso 30 gr sale 30 olio Tenuta in massa due ore, formo i panetti e poi faccio lievitare per 3 ore

Mozzarella fior di latte Porcino reale sardo delle montagne dell’entroterra della Sardegna cotto sotto vuoto a bassa temperatura, condito con pepe, sale e olio evo Salsiccia fresca artigianale In uscita scaglie di Parmigiano Reggiano


Cotti a puntino.


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pizza e pasta italiana

Antonio Lamberto Martino e la pizza Panificatore, pizzaiolo, agronomo abilitato,

laureato in Scienze dell’Alimentazione e della Gastronomia e giudice della trasmissione TV Bake Off Italia.

di Giampiero Rorato

L

a scuola è fondamentale in tutte le professioni, Antonio Lamberto Martino lo dice da sempre convintamente, ed è importante anche per esercitare la professione di pizzaiolo, perché occorre conoscere bene, scientificamente, le materie prime impiegate, le farine, le mozzarelle, i pomodori sia freschi che lavorati, sapere cos’è il licopene e a che cosa serve, capire quali accostamenti sono funzionali e quali no. Sarà così in un futuro ormai alle porte.

Essere laureati in scienza dell’alimentazione e fare il pizzaiolo o il panettiere o il cuoco non significa aver perso tempo all’Università, semmai aver acquisito le conoscenze e i saperi che valorizzano e qualificano al meglio la professione. Siamo perfettamente d’accordo con Antonio Lamberto e le risposte che ci ha dato vanno ascoltato e meditate, perché nei prossimi anni dovrà essere così, perché la cucina e la pizzeria devono crescere per conservare quel prestigio che hanno fin qui saputo meritare.

Ma ecco cosa ci ha detto il nostro ospite del mese.

Q

Dottor Antonio Lamberto Martino, lei è un panificatore, come si è avvicinato a questa professione?

In modo molto semplice, i miei nonni facevano pane, lievitati e pasticceria; ci trovavamo in un piccolo paese della Sicilia e a 5, 6 anni per togliermi dalla strada mi hanno insegnato l’arte.


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a fianco

da sinistra, Ernst Knam, Benedetta Parodi, Clelia D'Onofrio e Antonio Lamberto Martino, protagonisti della trasmissione TV, Bake Off Italia

Q

Che rapporto c’è tra la sua attuale professione e i profumi, i sapori i gusti che l’hanno accompagnato nella sua giovinezza?

Sono quelli che mi hanno formato. Da piccolo ero un “degustatore” come tutti i bambini, avevo il palato fresco ed innocente; poi ho frequentato l’università, e ho fatto viaggi di formazione in Italia e in Europa. Le esperienze formative si fanno da giovani poi nell’età matura vanno concretizzate.

Q

Q

La sua cultura e la sua esperienza l’ha poi portata ad essere un vero esperto del settore, tanto da essere chiamato a giudicare i colleghi in trasmissioni TV. Vuole raccontare ai nostri lettori questa sua esperienza?

Cosa è per lei, dottor Antonio Lamberto Martino la cucina mediterranea, di cui molti parlano ma pochi veramente conoscono?

La cucina mediterranea per me è di fondamentale conoscenza, ne ho fatto addirittura un manifesto con ben 19 punti, che sono descritti nel mio blog: www.antoniolambertomartino.com/ricette La cucina mediterranea è un frammisto tra conoscenza di biologi, nutrizione e cucina, bisogna essere bravi in entrambi i campi per non rovinare il cibo, mantenendone le caratteristiche nutritive invariate. Ad esempio un nutrizionista, parlando di pomodoro, parlerà di licopene, mentre lo chef deve sapere che non deve bruciare il sugo di pomodoro altrimenti il licopene assieme a tutte le sue caratteristiche svaniranno.

Si tratta sicuramente di un’esperienza forte e voglio sottolineare che non ho concesso la mia immagine alla televisione, lo faccio solo in sporadici contesti dove il mio solo scopo è formativo.

Voglio trasferire ciò che la conoscenza dell’agricoltura ha insegnato a me, perché solo così si potrà poi fare pane e pizza buoni.

La cucina mediterranea è la conoscenza, la storia che si è formata nei secoli. Infatti ancora ho bisogno di cultura per sapere che il basilico sulla pizza Margherita va a foglia intera e a crudo, così da non rovinare il prodotto, e qui viene sempre in gioco la conoscenza dell’agricoltura.

Q

Vuole raccontarci il suo rapporto con la pizza nelle sue diverse forme - tradizionale napoletana, classica, in pala, in teglia, ecc.- divenuta in pochi decenni il piatto più diffuso nel mondo?.

Anche io sono pizzaiolo! Sulla pizza c’è ancora tanto da scoprire. La pizza è un meraviglioso contenitore, che valorizza tutto ciò che ci mettiamo sopra. Non abbiamo capito ancora tanto, perché c’è ancora tanto da fare. Dobbiamo imparare a conoscere i diversi cereali, solo

conoscendo l’agricoltura faremo una buona pizza. Dobbiamo valorizzare gli ingredienti, se parte della dieta mediterranea; sulla pizza non ci va cioccolato, oppure ancora ananas. In sunto viva le scuole di pizza e la formazione perché solo con la conoscenza si va da qualche parte.


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pizza e pasta italiana

Molino Iaquone Srl Via Borgo - Vicalvi (FR) ITALY Tel. +39 0776.506275 www.molinoiaquone.com iaquone@molinoiaquone.com

MOLINO IAQUONE: Tradizione e Ricerca al servizio della qualità delle farine per pizza, pane, pasticceria, pasta fresca. COSA RENDE UNA PIZZA MOLTO LEGGERA, DIGERIBILE E GUSTOSA. Dal 1950 farine di qualità divenute nel corso degli ultimi decenni un punto di riferimento per Pizzaioli professionisti che puntano alla qualità in Italia ed estero. Dagli anni 90’ Il progetto di Ricerca&Sviluppo PIQuDi (Pizza Italiana Qualità e Digeribilità) ha arricchito di conoscenza scientifica la cultura & tradizione, la sapienza della selezione dei grani e della molitura del molino Iaquone ampliando la scelta di farine, miscele e prodotti dedicati alla Tradizione della Pizza Romana ma non solo. La grande evoluzione qualitativa conosciuta negli ultimi tre decenni dalla pizza in PALA&PALETTA e in TEGLIA ALLA ROMANA (con l’alta idratazione e lunga lievitazione) è dovuta all’aumento della professionalità e della conoscenza dei pizzaioli che permette loro una scelta più consapevole ed un maggior controllo degli ingredienti impiegati, delle tecniche e tempi di lavorazione/lievitazione/maturazione e di cottura che deve portare ad una fondamentale trasformazione della farina in pizza gustosa e digeribile. In questa evoluzione il presidente API Angelo Iezzi ricopre un ruolo fondamentale e Molino Iaquone ha contribuito in modo consistente fornendo un supporto tecnico e scientifico.

La digeribilità ed il gusto della pizza oltre alla degradazione dei composti complessi della farina (amidi e proteine) grazie alla fermentazione alcoolica e lattica ed all’azione enzimatica, viene favorita da una buona alveolatura che favorisce l’evaporazione dell’umidita in eccesso contenuta dal glutine residuo, che quindi diviene più digeribile, e di conseguenza una più estesa caramellizzazione, necessaria per ottenere un prodotto finale più profumato e gustoso. La farina o miscela deve avere un equilibrata capacità fermentativa, equilibrio tra elasticità e resistenza, adeguato tenore di forza, naturale equilibrio enzimatico attraverso la selezione dei grani, assorbimento di acqua, sfruttata da giusta ricetta tecnica di preparazione. La cottura ricopre un ruolo fondamentale sia per la digeribilità sia per il gusto in quanto influisce in modo determinante allo sviluppo dell’alveolatura nella prima parte della cottura ed alla caramellizzazione oltre che all’evaporazione dell’acqua in eccesso, sempre che sia equilibrata nei trasferimento del calore da contatto, convezione ed irraggiamento.

Di successo la sinergia con l’azienda romana Castelli Forni per la partecipazione all’edizione 2017 di SIGEP/ABtech di Rimini nella promozione di farine e attrezzature dedicate alla pizza ed alla panificazione: pizza in Pala&Paletta, Teglia, Tonda, integrale e multicereali ma sempre Romana.


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pizza e pasta italiana

La tradizione romana in un panino... ecco come nasce Se in cucina parliamo di scarpetta tutti sappiamo di cosa si tratta. Soprattutto se siamo a Roma. Nasce da questa idea Trapizzino, il nuovo format della pizza a taglio.

di Caterina Orlandi

T

rapizzino è un triangolo di pizza bianca che contiene prodotti tipici della cucina romana come polpette al sugo, picchiapò, trippa, coratella, seppie e piselli e tant’altro ancora. “Trapizzino è dunque un modo innovativo di apprezzare con gusto la tradizione di ricette tramandate dalle nonne, elaborate con la medesima passione, con il ricordo di quando ci si alzava la mattina e si sentiva il profumo del sugo che bolliva già da ore in pentola, quando di nascosto si intingeva la rosetta (rigorosamente del giorno prima) col rischio di prenderci pure una bacchettata sulle mani.”

Trapizzino



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pizza e pasta italiana

L

a novità di questi giorni è che Trapizzino, dopo la sua prima apertura in Via Giovanni Branca, a Roma, sta moltiplicando i suoi punti vendita. Prossime aperture in Giappone, a Kanazawa w Tokyo, e negli Usa. E il successo sembra assicurato poiché Trapizzino è un prodotto che nasce dall’amore per la pizza e per la buona cucina. Ogni singolo Trapizzino, per essere buono, deve essere portatore di questi valori e mantenere sempre uno standard di

La pizza bianca è la base di Trapizzino, l’elemento che rimane costante al variare dei gusti e che, con la sua consistenza caratteristica e la sua forma triangolare, contraddistingue il prodotto rendendolo unico. La Consistenza: morbida dentro, croccante fuori. gusto eccellente. Il trapizzino deve poi essere realizzato con materie prime di aziende italiane di prim’ordine, la farina, il pomodoro, l’olio per friggere. E ci sono 5 elementi fondamentali,che rendono ogni pezzo un autentico Trapizzino:

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Il gusto e la digeribilità che contraddistinguono la pizza di Trapizzino sono garantiti dal lievito madre, un ingrediente antico mantenuto vivo grazie ad una cura quotidiana. Il lievito madre, infatti, come sanno molti panettieri e pizzaioli, è una sostanza viva che deve essere accudita e nutrita ogni giorno con acqua e farina. Il lievito madre utilizzato per Trapizzino risale alla tradizione panificatoria che risale all’antico Egitto, diffuso ormai in tutto il mondo

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Le ricette che compongono i ripieni di Trapizzino sono frutto di una ricerca che tiene insieme la tradizione familiare, il costante confronto con gli addetti ai lavori, i racconti di nonne e zie, cui si aggiungono i personali metodi di lavoro. L’intenzione di proporre la migliore cucina romana ha portato a compiere un’approfondita indagine sul territorio.

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Se si considera che per fare i trapizzini ci vogliono due giorni è facile capire perché per Trapizzino il tempo è un ingrediente importante. 
Del resto, la cucina tradizionale è caratterizzata dai tempi lunghi: l’attesa dell’impasto, le fasi di lievitazione, la cottura delle carni in umido, tanto per fare qualche esempio

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sopra

Stefano Callegari, ideatore del format Trapizzino

Stefano Callegari e Paul Pansera, autori del Trapezzino, vivono la cucina e i suoi profumi da quando erano bambini e hanno una gran voglia di trasmettere la loro passione a quanti sono interessati.


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pizza e pasta italiana

La storia

S

tefano Callegari è l’inventore di Trapizzino. Nasce a Roma il giorno di Natale del 1968. La sua famiglia è da sempre nella ristorazione romana e lui riesce a coglierne i segreti fin da bambino. Come racconta alla food blogger Katie Parla, nel 1992 si avvicina al mondo della pizza facendo le consegne per un panificio. È un ragazzo curioso e quindi segue il panettiere come un’ombra, lo osserva con attenzione, gli fa mille domande: è così che impara a fare una buona pasta di pane. Poi come lavoro estivo inizia a fare il pizzaiolo, e impara ancora. Nel 1995 frequenta un corso professionale per la pizza grazie al quale apprende le tecniche e capisce il senso di ciò che aveva fatto fino a quel momento. Dal 1996 lavora come steward per una compagnia aerea italiana e di fatto per 15 anni gira tutto il mondo, mantenendo sempre viva la passione per la pizza.
 Nel 2005 insieme a un paio di amici apre la prima pizzeria di nome “Sforno”; un successo cui segue la pizzeria al taglio di Testaccio che sarà luogo di nascita di Trapizzino insieme a “Tonda”, un’altra pizzeria aperta in seguito da Stefano, diventano nel tempo due punti di riferimento per i veri amanti della pizza. Grazie alla passione che mette nel suo lavoro, Stefano Callegari riesce nell’impresa di far recensire una pizzeria nelle guide gastronomiche.
 Dal 2005 si dedica allo studio dello street food e dopo varie sperimentazioni decide di dare forma alla sua intuizione. Così nel 2008 nasce Trapizzino. Paul Pansera si occupa di locali da più di vent’anni. Ha innovato il panorama della ristorazione romana introducendo l’idea di locale polifunzionale aperto tutto il giorno. Amico di Stefano da una vita, per molto tempo ha seguito da vicino I’evoluzione di Trapizzino. Innamorato del prodotto, sogna di farlo conoscere in tutto il mondo e ci ha impiegato poco tempo per convincere Stefano che si tratta di un sogno possibile.


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pizza e pasta italiana

NOVITÀ DALLE AZIENDE

Eurial Italia – info e contatti: www.eurial-international.com / www.maestrella.com / +39 059 897215 / Fax: +39 059 897214 / Cell: +39 340 8488861 guillaume.rozoy@eurial-international.com / franck.galopin@eurial-international.com

EURIAL, DALLA FRANCIA LA MOZZARELLA IDEALE PER LA PIZZA Il mercato italiano presenta tanti competitor tra le mozzarelle e formaggi a pasta filata. Come differenziarsi dalla concorrenza? Eurial è un gruppo solido, affidabile e in piena espansione. Il mercato italiano per noi ha dato dei segnali molto positivi, con un incremento del 34% rispetto al 2015, per quanto riguarda la mozzarella, queste perfomance positive ci invogliano a continuare su questa strada, aumentando gli investimenti e lanciando sul mercato italiano alcune interessanti novità, come la nuova linea Mozzarella Premium “Low Burning” che abbiamo presentato all’edizione 2016 del SIAL di Parigi. Per l'Italia, Eurial ha aperto di recente un ufficio commerciale, ampliando la rete vendita sul territorio, assumendo nuovo personale commerciale

Eurial, cooperativa lattiero casearia transalpina, è un marchio familiare ai pizzaioli di tutta Italia, la linea Maestrella. Proposta per la ristorazione, Maestrella coniuga praticità e gusto, mantenendo sapori e freschezza inalterati, in qualsiasi modalità di cottura. Presente con 24 siti di produzione in Francia, Belgio, Spagna e USA, il gruppo francese è in continua ascesa, come ci dicono Franck Galopin, direttore commerciale Italia e Guillaume Rozoy, responsabile commerciale Italia. Chi è Eurial? Eurial è la seconda cooperativa lattiero casearia francese, con più di 6400 allevatori e un fatturato di 2.3 miliardi di euro, principalmente a livello internazionale.

Proponiamo diversi prodotti lattiero – caseari, tra cui mozzarella, formaggi surgelati in IQF (da latte di capra e vaccino), burro di pasticceria e diversi ingredienti disidratati. Parliamo della mozzarella Il mercato della mozzarella è in continua crescita e il trend dei prossimi anni prevede uno sviluppo continuo. In Italia per la pizza, sono formati che vengono molto apprezzati, inoltre stiamo lavorando sul miglioramento delle nostre ricette, in modo da essere certi di proporre il prodotto più adatto ai diversi tipi di forni. Maestrella è proprio la linea dedicata alla pizza, quali sono le caratteristiche di questo prodotto? Prima di tutto la versatilità, tutti i pizzaioli sanno quant’è importante che una buona mozzarella non bruci in cottura, Maestrella è ideale perché può essere utilizzata con qualsiasi forno: elettrico, gas, legna e perfino a tunnel, e mantiene inalterate le sue caratteristiche di sapore e di colore. In Italia la pizza è un'istituzione per cui abbiamo unito la nostra esperienza con le esigenze dei pizzaioli italiani, Maestrella è la risposta alle loro necessità, oggi decliniamo la gamma con quattro ricette, con diverse percentuali di materia grassa e umidità.



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pizza e pasta italiana

Alice Pizza Il franchising artigianale

di D. M.

a fianco

Al centro Domenico Giovannini e lo staff di Alice Pizza

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ella nostra esplorazione del mondo della pizza romana e laziale non potevamo non parlare di un esempio di imprenditoria di successo che ha fatto leva su alcuni punti chiave che ci sembrano davvero interessanti: un prodotto italiano di alta qualità e artigianale, la capacità di rendere riproducibile un sistema, l’importanza della formazione e, per finire, uno stile italiano nel coltivare i rapporti tra casa madre e franchisee. Oggi parliamo dunque con il sig. Giovannini, mente, cuore, anima e motore della catena Alice Pizza.

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Gentile sig. Giovannini, cominciamo dall’inizio. Prima di diventare imprenditore di successo, che tipo di lavoro faceva? Ci parli un po’ della sua storia professionale e della tradizione da cui proviene.

Dopo aver concluso gli studi presso l’istituto alberghiero e dopo una breve “gavetta” come cameriere nei locali notturni più noti degli anni ’80, avverto l’esigenza di mettermi alla prova, aprendo un locale in proprio. Il primo tentativo è quello del bar, che però non soddisfa totalmente il mio estro creativo. Poi tento la strada del ristorante ma avverto che manca ancora qualcosa.


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p. 47 Quando ha deciso e perché, di aprire una pizzeria per asporto come quelle che vediamo adesso? Che linee guida si era ripromesso di rispettare? Aveva già deciso che sarebbe creato un franchising?

Nel 1990 decido di aprire la mia prima pizzeria al taglio, in Via delle Grazie a due passi da San Pietro con le mie due sorelle al mio fianco ad occuparsi della vendita, regalando sorrisi e imparando a memoria i gusti preferiti dai clienti di tutto il quartiere. Inizialmente è una delle tante pizzerie in una città già allora piena fino all’orlo di locali dello stesso tipo.

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Vuole raccontare brevemente ai nostri lettori il percorso che vi ha portato a mettere a punto i 2 tipi di impasto che oggi offrite al pubblico tutti i giorni? Che diversità presentano l’uno rispetto all’altro?

La chiave del nostro impasto è un ridottissimo contenuto di lievito, circa 2,5 gr per kg di farina. lievitazione lenta di almeno 24 ore. L’impasto, dopo la lievitazione, viene lavorato delicatamente e steso in teglia, per poi essere farcito e cotto ad alte temperature per diversi minuti con forni realizzati artigianalmente da un’azienda romana “Castelli Forni”. E’ la cottura che differenzia le due tipologie di pizza che offriamo: per la pizza in teglia appunto la cottura in teglie di ferro mentre per la pizza alla pala la cottura su pietra.

Il successo non tarda ad arrivare, e da lì all’apertura del secondo punto vendita, e poi del terzo e del quarto, il passo è breve. Tutte sotto lo stesso nome, le pizzerie Alice cominciano a spuntare in giro per i quartieri di Roma. Sono cugini, nipoti, amici e soprattutto miei fedelissimi ex dipendenti a credere in questo progetto. sopra

Perché nei suoi locali decise di proporre pizza in pala e pizza in teglia e non altri prodotti? In omaggio alla tradizione romana o per altri motivi? Eventualmente quali?

La pizza in teglia mi aveva affascinato da sempre e per questo decido di trovare la ricetta perfetta. Partendo da una ricetta base inizio a sperimentare im-

Domenico Giovannini, fondatore di Alice Pizza

pasti e lievitazioni diverse arrivando a rendere la pizza più fragrante, leggera e digeribile, qualità che ancora oggi i clienti riconoscono nella pizza di Alice.

Le materie prime sono attentamente selezionate da produttori Italiani, la mozzarella è di solo latte Italiano, la farina è frutto di una selezione di grani che conferiscono al prodotto la giusta elasticità e forza nel tempo, i pomodori provengono dalle terre dell’Emilia Romagna.

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Cosa contraddistingue il vostro impasto per la teglia rispetto a molti altri presenti sul mercato? E quello della pala? Quali sono i vostri punti di forza insomma, ciò che vi caratterizza.

Come detto la leggerezza e digeribilità oltre che la fantasia nelle farciture; offriamo ogni giorno infatti sui nostri banchi oltre 60 varietà di condimenti diversi. Al di fuori di Roma, nostra città di origine, inoltre i clienti che hanno scoperto Alice sono rimasti colpiti dalla modalità di fruizione del nostro prodotto, la vendita al peso, un sistema che permette di provare varie tipologie di pizza ad un prezzo accessibile.

Quali sono gli abbinamenti di farcitura che potrebbe consigliare, per una vera Pizza in Teglia alla romana? I grandi classici che una pizzeria non può non presentare. Proponiamo ogni giorno molti classici come la margherita, la “patate a sfoglia e rosmarino” o la marinara. Ma sui nostri banchi non può mai mancare la “Speck e provola”, la “Parmigiana” o la “Ripiena tonno e radicchio” solo per citarne alcune.


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pizza e pasta italiana

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Perché vi autodefinite “franchising artigianale”?

Perché abbiamo creato un prodotto si replicabile, attraverso l’utilizzo in tutti i punti vendita delle medesime materie prime delle medesime strumentazioni, ma in maniera appunto “artigianale”, vale a dire senza l’impiego di semilavorati o basi surgelate. Il nostro impasto viene infatti prodotto quotidianamente in ogni punto vendita.

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Alice Pizza è una delle pochissime realtà di successo nel franchising ristorativo italiano, nel settore pizza a maggior ragione, a differenza di ciò che accade in molte altre nazioni. Secondo lei perché? E perché voi avete avuto successo?

Una delle componenti più importanti nel nostro progetto è stata e continua ad esserlo la passione. La stessa passione che avevo da semplice pizzaiolo e che cerco di trasmettere ancora a tutti i ragazzi ma anche agli investitori che incontro ogni giorno.

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Con la nascita del franchising è stata inaugurata Alice Academy, la scuola di formazione per i pizzaioli del gruppo. Tutti i nostri dipendenti apprendono qui le tecniche base del mestiere attraverso un corso di una settimana, a cui segue un periodo formativo presso un punto vendita. Hanno quindi modo di imparare sul campo e sperimentare ogni giorno.

In un momento di forte crisi economica siamo riusciti a creare un gruppo forte che sta continuando a crescere rapidamente, pur rimanendo una piccola grande famiglia, attraverso un ufficio composto dai miei figli e alcuni collaboratori fidati.

Una cosa mi ha molto colpito: il vostro motto, molto forte, coraggioso e ambizioso è “Alice Pizza. Il vero nome della Pizza”. Ce lo spiega?

Nel corso degli ultimi anni la pizza napoletana è diventata STG e ambisce a diventare patrimonio Unesco, numerose ricette tradizionali ( dalla focaccia di Recco a quella barese) sono indicazioni geografiche protette. Una ricetta come quella della pizza tradizionale romana, che ormai è diffusa in tutta Italia andrebbe tutelata. Cosa ne pensa al riguardo?

Più che un motto questa frase ha rappresentato dall’inizio una scommessa personale e un obiettivo da raggiungere, rendere Alice conosciuta e apprezzata per la sua qualità, la pizza per eccellenza.

Sono ovviamente a favore di qualsiasi riconoscimento nei confronti di prodotti che hanno alle spalle il lavoro di artigiani che tutti i giorni mettono “le mani in pasta” nel vero senso della parola e ci auguriamo che ne arrivi presto uno anche per la pizza in teglia! Non possiamo che ringraziare il sig. Giovannini per la sua disponibilità nel tracciare assieme a noi un breve spaccato di Alice Pizza, un esempio di imprenditoria di successo Made in Italy.



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Il formaggio Pecorino Romano DOP, un’eccellenza italiana senza tempo. V

ersatile, nutriente e con oltre 2000 anni di storia. È il Pecorino Romano DOP, conosciuto già ai tempi dei Romani: nei palazzi imperiali era considerato il giusto condimento durante i banchetti, mentre la sua capacità di lunga conservazione e l’altissimo valore nutrizionale ne facevano un alimento base durante i viaggi delle legioni Romane. Virgilio narra, infatti, che i legionari ne aggiungessero sempre un’oncia (27 grammi) alla razione quotidiana di farro per riacquistare vigore ed energia prima di andare in battaglia. Proprietà nutritive, facilità di trasporto e conservazione hanno consentito al Pecorino Romano di

diventare popolare e dal Lazio, nei secoli, la sua tecnica di trasformazione si è diffusa poi in Toscana e in Sardegna, dove si concentra gran parte della lavorazione. Oggi il Pecorino Romano viene prodotto con lo stesso naturale procedimento di secoli fa, ma le operazioni di cagliatura, salatura e stagionatura avvengono in modernissimi caseifici, tecnologicamente all’avanguardia sotto il profilo igienicosanitario, per garantire ai consumatori i necessari requisiti di salubrità del prodotto. Il marchio DOP è la garanzia che tutte le fasi della lavorazione sono curate secondo il Disciplinare di produzione dell’Unione Europea.

Appartenente alla famiglia dei formaggi a pasta dura, il Pecorino Romano DOP è prodotto con solo latte di pecora proveniente esclusivamente dagli allevamenti della zona di produzione (Lazio, Toscana, Sardegna). Il Pecorino Romano può essere immesso al commercio con una stagionatura minima di 5 mesi, come formaggio da tavola e 8 mesi nella tipologia da grattugia. La pasta è compatta o leggermente occhiata, il colore va dal bianco al paglierino e ha un gusto aromatico. Nel formaggio da tavola, a 5 mesi di stagionatura, il suo sapore è leggermente piccante, mentre in quello da grattugia è piccante intenso con sapidità variabili.


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Le forme cilindriche hanno un peso compreso fra i 20 e i 35 kg. Solitamente servito grattugiato come condimento di primi piatti, spolverato sulle verdure o pesce da gratinare è in realtà un ottimo formaggio da tavola si sposa bene con frutta fresca, fichi, miele dolce e composte di frutta, oltre che con il pane e i salumi. Le sue numerose applicazioni negli ultimi anni hanno riguardato anche la pizza, con ricette fantasiose, ricche di sapore, tanto da dedicare a questo prestigioso formaggio una competizione, organizzata da Pizza e Pasta Italiana, proprio per valorizzare i molteplici utilizzi di questo gustoso prodotto caseario. La sua duttilità e il suo sapore vengono sempre di più apprezzati anche all’estero: L’export rappresenta la voce principale nella composizione del suo valore commerciale, pari al 65% del totale. La principale area di destinazione è il mercato USA con il 63%, il 30 % nel mercato UE ed il restante in altri paesi, con prevalenza verso il Giappone, il Canada e l’Australia. Il consumo nazionale è prevalentemente concentrato nel centro-sud della penisola con una quota pari al 70% del volume complessivo. È stato inoltre dimostrato che durante la stagionatura il lattosio viene completamente degradato, consentendo ad una vasta platea di consumatori sensibili alla presenza di lattosio di poterne fare un libero consumo. Per questa ragione il Pecorino Romano può essere definito “lactose free” (senza lattosio). I sistemi di allevamento delle pecore allevate nella zona di produzione (Sardegna, Lazio e Provincia di Grosseto), il cui latte è destinato a Pecorino Romano, prevedono un largo uso del pascolo naturale nell’alimentazione, conferendo con esso proprietà elevate proprietà nutrizionali grazie alla presenza di CLA (acido linoleico coniugato) ed altri noti antiossidanti.


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pizza e pasta italiana

La Pizza in Teglia alla Romana: —

ospitiamo e pubblichiamo l’iniziativa della Confraternita della Pizza, associazione che negli ultimi anni ha raccolto i contributi di esperti nel settore della panificazione e della pizza, per la realizzazione del Disciplinare per l’Autentica Pizza in Teglia alla Romana. Per ulteriori informazioni è possibile consultare il sito dell’associazione e scaricare on line il disciplinare per la preparazione di questa specialità.

“Nel mondo della pizza le grandi novità sono abbastanza rare. Nell’arco di molti anni, si sono affermati quei prodotti (come la Napoletana o le tante focacce regionali, ecc…) che hanno saputo imporsi al pubblico per il perfetto equilibrio di sapori e grazie all’affinamento progressivo delle tecniche di produzione, tramandate come vera e propria cultura popolare. Da qualche anno, però, nel panorama della pizza è letteralmente esploso il fenomeno “Pizza in Teglia alla Romana”, un prodotto eccezionale, digeribilissimo ed estremamente gustoso, anche grazie alla tecnica della lavorazione ad alta idratazione

e a farine di qualità. L’alta idratazione e le tecniche speciali di impasto, stesura e cottura generano una pizza diversa dalle altre, con quel gradevole contrasto tra la base friabile e la mollica perlacea che si scioglie in bocca e con le enormi possibili varietà di condimento, anche raffinatissimo. Vista la richiesta, ovunque aprono pizzerie di “Teglia Romana” o di “Pizza alla pala” e il fenomeno è diventato quasi virale. Purtroppo, però, come sempre accade in questi casi, accanto al prodotto realizzato ad arte, compaiono anche prodotti mal realizzati, che non hanno quelle


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splendide caratteristiche della Autentica Pizza in Teglia alla Romana. Si pone, quindi un problema di tutela del prodotto, ma anche e soprattutto di tutela del Consumatore da inganni e da cattive esperienze e allo stesso tempo per promuovere e tutelare tutte quelle professionalità del settore che si impegnano ogni giorno nel proprio lavoro, con coscienza e serietà. La Confraternita della Pizza, un’associazione che ha saputo affermarsi negli ultimi anni come punto di riferimento per professionisti e amatoriali, ha messo a punto un Disciplinare per l’Autentica Pizza in Teglia alla Romana - APITER e lo ha approvato nel corso della sua sesta Convention Annuale, creando anche un Albo dei Pizzaioli e delle Pizzerie che si riconoscono nel Disciplinare e che ne applicano tutti i suoi punti. Il Disciplinare ha incontrato l’approvazione dei più grandi esponenti della panificazione, come Piergiorgio Giorilli, Francesco Favorito, Maurizio Capodicasa, Giancarlo Casa, Stefano Cal-

legari e centinaia di esperti e professionisti, che lo hanno firmato per asseverarne i contenuti. Il supporto di grandi realtà produttive del mondo della pizza, sempre sensibili alle iniziative tese a promuovere la qualità nel mondo dei prodotti da forno, ha consentito una rapida diffusione del Disciplinare e dell’Albo APITER tra i professionisti. Anche all’estero l’interesse per il Disciplinare e l’Albo APITER è stato immediato, al punto che il Presidente dell’Associazione, avv. Ettore Mastelloni, è stato invitato all’International Pizza Expo, che si terrà a Las Vegas dal 27 al 30 marzo, per presentare il Disciplinare e l’Albo APITER nella più rinomata delle manifestazioni. E’ così nato un nuovo strumento di tutela e di promozione, in un panorama di globalizzazione che esige risorse sempre più adeguate e una costante attenzione ai continui sviluppi. Buona Pizza a tutti”: Confraternita della Pizza

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LA STORIA DELLA PIZZA

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L’AVENA, IL PANICO E LA SPELTA


la storia della pizza

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re prodotti più adatti all’alimentazione animale, sporadicamente usati anche in panificazione . Percorrendo la storia della pizza ci si imbatte, seppur raramente, in cereali che, nel corso del tempo, hanno godute alterne fortune. Dopo il miglio e l’orzo, vediamo in questo mese altri cereali entrati a far parte, sia pure in modo minoritario, della storia iniziale della pizza. Cominciamo con l’avena (Avena sativa) ricordando che le varietà utilizzate in agricoltura furono selezionate circa 4500 anni fa a partire da specie selvatiche, a cura di coltivatori europei e mediorientali, anche se per lungo tempo la sua coltivazione fu molto limitata. Risulta poi che nella penisola italiana l’avena è stata importata, come anche la segale, dall’Europa centrale, dove era comparsa nell’età del bronzo (dal 3500 al 1200 a.C.), quale erba infestante della spelta, provenendo sempre dall’Oriente. Negli scritti degli autori romani, l’avena è considerata una degenerazione del frumento, snaturata dal clima eccessivamente umido presente nell’Europa centrale, ma i Germani non smisero di coltivarla e, come afferma Plinio il Vecchio (23-79 d.C.) nella Naturalis Historia (XVIII, 149), se ne cibavano sotto forma di farinata (una specie di polentina). Quando fu introdotta in Italia il suo uso principale fu quello di alimento per gli animali. E, come scrive Columella (4-70 d.C.) nel De Agricoltura (II, 1024) non era nemmeno molto apprezzata. Presso i Romani, la coltivazione di questa graminacea ebbe inizio a seguito dei rapporti instaurati con le popolazioni dell’Europa centro-orientale, ma la sua diffusione, sempre limitata, ebbe inizio solo nel II sec. d.C. In panificazione, la sua farina poteva essere aggiunta a quella di farro o di frumento, ma le testimonianze di tale impiego sono abbastanza rare.

di Giampiero Rorato

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Il Panico Questa antichissima graminacea è di origine asiatica, e nel Medioevo e anche dopo, come scrive Pier Andrea Mattioli (15011577), era “una notissima pianta, ne le foglie, ne i calami e nelle radici è quasi del tutto uguale al miglio, ma è differente nelle spiche, imperoché il panico fa le spiche, anzi più presto panicole, lunghe un piede, non aperte, come nel miglio, ma in racemi tutti serrati insieme, e pieni di copiosissime granella, tonde e pelose”. Anticamente era apprezzato in modo particolare dalle popolazioni che risiedevano attorno al Mar Nero, mentre in Europa aveva iniziato a diffondersi nella pianura padana, in Aquitania e in Gallia, conoscendo un certo successo solo quando l’impero romano andò in crisi e andarono diminuendo e poi scomparendo le importazioni di frumento. Il panico era considerato un “grano minuto”, più adatto a far polenta che pane, ma usato anche in panificazione, da solo o misto a miglio, o anche a fave e fagioli, restando tuttavia un alimento delle classi più povere fino al XVI secolo.

La Spelta La spelta (Triticum spelta) è un cereale che appartiene al gruppo dei “grani vestiti” poiché il tegumento che riveste la cariosside è difficile da staccare e per farlo la tecnica più usata è ancor oggi la torrefazione. È un cereale meno antico del frumento e la sua origine va ricercata nelle zone temperate dell’Europa orientale. Probabilmente deriva da una graminacea più antica che i Greci conoscevano con il nome di zeìa (zea in latino). Nel corso del tempo la spelta è stata più volte confusa col farro e le due farine venivano impiegate assieme in panificazione. In un documento del XIV sec. di casa Dantini a Prato si legge che la spelta cresceva frammista al frumento, e veniva mietuta e battuta assieme, per

cui si aveva un prodotto misto, usato poi in panificazione. È comunque assodato che il grano misto più diffuso durante i lunghi secoli del Medioevo era composto da frumento e segale. In epoca romana, come afferma il solito Plinio il Vecchio, la spelta si coltivava già con buoni risultati nel veronese, nel pisano e soprattutto in Campania, nei Campi Flegrei, dove cresceva la migliore. Nel tardo Medioevo era coltivavata attorno a Viterbo e nel bolognese ed era il cereale più coltivato dopo il frumento e l’orzo. Anche il panìco, come le due graminacee precedenti, era coltivata prevalentemente per l’alimentazione animale e impiegato in panificazione solo presso i più poveri, che andavano a cercare i semi dei vari cereali dopo che erano già stati mietuti e raccolti dai proprietari, quindi trasformati in farina mista con la quale veniva confezionato il pane. Lo stesso si faceva da tutta la popolazione nei momenti di crisi, per carestie o guerre o altri eventi nei quali fosse mancato sia il frumento che il farro.



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pizza e pasta italiana

RICETTA

La pizza con farina di Farro e Avena Per realizzare questa pizza è stato utilizzato un mix di farina di farro (80%) e di avena ( 20%). La sapidità è molto accentuata, la maturazione è stata effettuata a temperatura controllata per circa 24 ore, l’impasto presenta una forza molto bassa rispetto ad un impasto con farina di frumento ma ha elevate qualità nutrizionali date appunto dall’utilizzo di questo mix. La farcitura è stata realizzata con pomodori pelati, radicchio tardivo di Treviso spadellato con un filo d’olio extravergine d’oliva e poi messo in cottura, porchetta e mozzarella di bufala a fine cottura. Dal punto di vista nutrizionale, i chicchi contengono amido per il 60-70%, insieme ad altri carboidrati. Il 14% è costituito da proteine e il 7% da grassi. Inoltre l’avena contiene molte vitamine del gruppo B, enzimi, sali minerali, come calcio e fosforo, oligoelementi e l’avenina, una sostanza che riesce a tonificare, a fornire molta energia e a mantenere in equilibrio il sistema nervoso. L’avena è facilmente digeribile, proprio per questo è indicata anche per chi soffre di gastrite o di colite. La farina di Farro rispetto agli altri cereali presenta un apporto calorico inferiore. Il farro apporta, infatti, solamente 335 Kcal per 100 grammi.

La farina di farro è ricca di proteine, vitamine del gruppo B ed è importante in quanto contiene anche la metionina, un amminoacido essenziale, coinvolto nella sintesi della carnitina, cisteina e altri fosfolipidi. Il valore nutrizionale di questa farina è elevato. La farina di farro viene utilizzata soprattutto per la produzione di pasta e pane. L’alimentazione a base di prodotti derivati dal farro è particolarmente indicata per chi non digerisce pane, pasta

o altri prodotti costituiti da grano duro o tenero, ma non per i celiaci. La farina di farro ha un elevato contenuto di fibre che, insieme alla sua notevole capacità di assorbire acqua, lo rende un alimento saziante e leggermente lassativo.


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pizza e pasta italiana

LE ECCELLENZE AGROALIMENTARI

La Casciotta d’Urbino: — eccellenza casearia delle Marche

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L’Alta Valle del Metauro

P  di Caterina Vianello

rosegue, in questo numero, il nostro viaggio gastronomico tra le eccellenze del patrimonio agroalimentare italiano. Lasciamo il Veneto, dove abbiamo incontrato il radicchio rosso di Treviso – prodotto anche nel veneziano e nel padovano - e scendiamo tenendo la costa Adriatica alla nostra sinistra. Oltrepassiamo l’Emilia Romagna per arrivare nella regione che sarà la nostra meta di questo mese: le Marche.


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pizza e pasta italiana

LE ECCELLENZE AGROALIMENTARI Poco noto rispetto a quello di altre regioni (per una tendenza alla discrezione, nonostante un’evidente carattere gioviale e accogliente, che accomuna i marchigiani agli abitanti delle attigue Umbria e Abruzzo), il patrimonio culinario delle Marche offre prodotti e piatti di grande valore. Capace di condurre il visitatore dagli oltre 2000 m (quelli del Monte Vettore nel Parco Nazionale dei Monti Sibillini in provincia di Ascoli Piceno) al mare in poco più di un’ora, le Marche sono una regione che alterna boschi appenninici, che regalano profumatissimi tartufi, bianchi e neri, (ricordiamo quelli celebri di Acqualagna, PU), a dolci colline, disegnando un paesaggio che è un ordinatissimo mosaico di vigneti, uliveti, campi di grano e di girasoli. L’approdo finale è il mare, con le paranze dei porti di Fano, Senigallia e soprattutto San Benedetto del Tronto, che riforniscono il mercato ittico regionale e nazionale con il pescato dell’Adriatico. Tale varietà si ritrova in cucina: di mare, di focolari contadini, di rifugi montani, considerata generalmente povera, ma capace di gusti opulenti e decisi. Tra i prodotti a marchio Dop delle Marche, un posto particolare deve essere riservato alla “Casciotta di Urbino”, che permette di assegnare il giusto valore alla tradizione non solo casearia ma soprattutto pastorizia praticata da secoli. La produzione di formaggio derivante dalla transumanza è un tratto comune delle regioni dell’Italia centrale: oltre alle Marche, anche in Umbria, Toscana, Puglia, Lazio, e in parte anche in Abruzzo e Molise, infatti, la caciotta è un prodotto presente a tavola: il termine “caciotta” indica generalmente un formaggio a forma rotonda, arrotondato ai fianchi, del peso di 1 kg, non molto stagionato, dal sapore prevalentemente dolce e delicato. Prodotta con un tipo solo di latte o mescolando quello di pecora a quello di capra e vacca, ha stagionatura variabile, da un minimo di 15-20 giorni a un massimo di 30 o 60. Cosa rende allora quella di Urbino così diversa dalle altre, tanto da farne prodotto di eccellenza? Per capirlo dobbiamo guardare alla geografia e alla tradizione.

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Il Lago di Pilato, ai piedi del Monte Vettore, il più alto dei Monti Sibillini, tra Marche e Umbria



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LE ECCELLENZE AGROALIMENTARI

La città a cui deve il nome è uno dei più illustri esempi della storia comunale italiana e ancora oggi il territorio che la circonda - che induce alla scoperta dei dintorni raggiungendo quella che una volta era l’area dell’antico ducato, da Gubbio a Cantiano, da Cagli alla Valle del Metauro fino a Carpegna - resta uno dei più belli da visitare nell’Italia Centrale.

Frutto dell’abilità e dell’arte di fare di necessità virtù propria dei pastori transumanti, la Casciotta lega le sue origini alla qualità dei pascoli dell’Alta Valle del Metauro, testimoniata da secoli. Nei “Capitoli sopra il pascere del bestiame” datati 1547, si parla infatti dei permessi concessi per il pascolo delle bestie e i confini del pascolo e si precisa come dietro pagamento di un fiorino per ogni cento bestie fosse possibile far pascolare anche “le bestie menate da maremma”, quindi provenienti anche da altri territori. La cifra pagata per l’affitto risulta piuttosto alta: ciò significa che i pascoli metaurensi fossero piuttosto ambiti e cari. Vocati all’allevamento ovino per la presenza di graminacee e leguminose, i terreni sulle rotte delle pecore transumanti traevano contemporaneamente svantaggi e vantaggi dal passaggio delle greggi: le pecore sono animali decisamente voraci ma assicurano un’abbondante fertilizzazione derivante dal letame. Oltre ai pascoli (e ai prati e agli altipiani, che sanno regalare erbe montane, graminacee e leguminose) sono le pecore di razza sopravissana, appenninica e sarda le “autrici” della Casciotta.

sopra

Veduta panoramica di Urbino



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feb. 2017

pizza e pasta italiana

LE ECCELLENZE AGROALIMENTARI

Prodotta esclusivamente nel territorio della provincia di Pesaro-Urbino, è un formaggio a pasta molle, grasso, a pasta semicotta, ottenuto con latte di pecora intero in misura variabile da un minimo del 70% ad un massimo dell’80%, e di latte di vacca intero per il restante 20-30% proveniente da due mungiture giornaliere. Il procedimento di lavorazione prevede che una volta aggiunto il caglio e fatto coagulare, si proceda alla rottura della cagliata, fino alla grandezza di una nocciola. Fatta riposare, si estrae il siero e si pone in stampi, bucherellati per lasciare scolare il siero residuo. Gli stampi, oggi di plastica, in passato erano di terracotta, ceramica, legno o vimini. Segue la pressatura, che viene effettuata a mano: delicatamente e facendo ruotare le forme, il procedimento regala alla casciotta la tipica forma rotondeggiante a “scodella”. L’operazione viene ripetuta anche durante la fase di salatura, che viene effettuata a secco o in salamoia. La maturazione avviene in celle frigorifere, per almeno 20-30 giorni, alla temperatura di 10-12°C. Per evitare la formazione della muffa, la forma viene rivestita da una cera trasparente e lucida.

Il risultato è un formaggio di altezza variabile tra i 5 e i 7 cm con diametro da 12 a 16 cm. La forma è cilindrica, con facce arrotondate. Il peso varia tra gli 800 e i 1200 g. La pasta ha colore bianco-paglierino e un sapore dolce, con evidenti e delicati sentori di latte. L’occhiatura è lieve, la consistenza è molle e la crosta sottile. In cucina, trasformatela in merenda con pane rustico o casareccio, magari accanto al “Ciauscolo”. Servitela con confetture e marmellate, ma anche con fichi caramellati, miele di acacia e un vino passito di medio corpo. Come ingrediente, se fresca è ottima per mantecare risotti, più stagionata è adatta a farciture e ripieni. Per chiudere, un’ultima curiosità: il nome deriva da un errore di trascrizione di un impiegato ministeriale che scambiò la “c” in “sc” secondo la pronuncia dialettale della “c” tipica dell’area marchigiana. Nel corso del tempo l’errore è divenuto tratto distintivo di questo straordinario formaggio.


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feb. 2017

pizza e pasta italiana

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Un importante aiuto in pizzeria: il forno elettrico.

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C

ome tutti i prodotti di panificazione, la pizza tradizionale nasce con il forno a legna e nel corso degli anni, le diverse esigenze, dallo spazio disponibile, alla praticità, hanno trasformato il lavoro di panettieri, cuochi e pizzaioli, rendendo i forni elettrici da tutti gli effetti degli strumenti indispensabili non solo nelle cucine e nei laboratori, ma anche nella vita di tutti i giorni, nelle case di tutto il mondo. Un’evoluzione rapida che sul mercato ha portato modelli a convenzione, a microonde, a tunnel, rotanti, tanti strumenti che hanno letteralmente rivoluzionato la cucina, riducendo i tempi e facilitando la preparazione di qualsiasi piatto e allo stesso tempo cambiando non poco le nostre abitudini alimentari. Nella ristorazione il forno elettrico è talmente diffuso da essere diventato un vero e proprio complemento d’arredo, per cuocere prodotti panificati ma anche carne, pesce, verdure e così via. In pizzeria il forno elettrico è ormai diffuso molto più del fratello maggiore a legna e i motivi sono facilmente intuibili, un forno a legna richiede spazio, e necessita di allacciamenti ad una canna fumaria, quest’ultima è soggetta a numerose limitazioni e vincoli di emissione, per cui questa necessità pratica è stata l’occasione per favorire l’apertura di attività anche in spazi ridotti ma di grandi flussi di pubblico, dai centri storici ai centri commerciali, nei pressi di scuole e di poli universitari. Ma oltre ad un vantaggio strategico, il forno elettrico risulta più facile da controllare, con una gestione della temperatura molto più precisa rispetto ad un forno a legna. Generalmente le temperature di un forno elettrico possono essere regolate sulla platea, sul cielo e sulla camera interna, così da garantire una maggiore o minore idratazione all’impasto – come avviene per esempio nel caso della preparazione delle pizze in teglia o in pala -, inoltre il calore diffuso proveniente dall’alto e dal basso permette di cuocere uniformemente la pizza, senza quasi spostarla dalla propria posizione iniziale. La rapidità nel raggiungere alte temperature di cottura, lo rendono uno strumento di supporto indispensabile anche per i locali con forno a legna, quando una comitiva imprevista a fine serata o un ampio volume di clienti, potrebbero rappresentare un problema. Ma se da una parte il vantaggio del forno elettrico è evidente, dall’altra tanti produttori scelgono linee estetiche e tendenze che recuperano la tradizione: cupole e decorazioni in ceramica soddisfano l’occhio dei clienti più tradizionalisti e sempre di più si affermano i forni elettrici per la cottura della pizza secondo il metodo tradizionale napoletano. Il buon mantenimento delle pietre refrattarie e delle resistenze è fondamentale per garantire un corretto funzionamento del forno, allo stesso tempo non vanno dimenticati i necessari aggiornamenti alle componenti digitali, per ottimizzarne il consumo e la resa.



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feb. 2016

pizza e pasta italiana

Al contadino non far sapere… con salsa al vino, ricotta e cioccolato fondente di Laura Nascimben

Pere

Mi piace presentare in questo mese un dessert di facile preparazione e di sicuro effetto. La ricetta che il bravo chef pasticcere, Flavio Brisotto del PER di Bagnolo (TV) ha realizzato per i nostri lettori, è tipica dei mesi invernali e adatta per ancora più mesi in montagna, per cui consigliamo i cuochi e i pasticceri di ristoranti e pizzeria che ci leggono di conservarla sia per realizzarla quando desiderano proporre un fine pasto diverso, sia per prenderne spunto per realizzare poi un dolce di propria creazione. Gli ingredienti di base sono molto semplici e reperibili ovunque e l’esecuzione non richiede molto tempo e l’effetto è sicuro e rappresenta un ottimo finale per qualsiasi pranzo o cena.


il dolce

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Ingredienti per le pere 2 pere, 300 ml di vino Cabernet, 100 g di zucchero, 1 limone. Ingredienti per la salsa 500 ml di vino Cabernet, 125 g di zucchero, 50g di glucosio, 1 bacca di vaniglia del Madagascar, 10 grani di pepe di Scechwan , 4 dischi di ricotta da 60 g l’uno. Procedimento per le pere Pela le pere, tagliale a spicchi regolari, facendo attenzione a rimuovere il torsolo. In una casseruola fa bollire il vino con lo zucchero e la buccia del limone, facendo ridurre del 50%. Fa raffreddare il tutto. Metti in un sacchetto da sottovuoto le pere insieme alla riduzione di Cabernet e fa cuocere in forno a vapore a 85 gradi per 20 minuti. C

M

Procedimento per la salsa Versa in una casseruola vino, zucchero e la bacca di vaniglia e porta a ebollizione. Aggiungi il pepe e il glucosio e fa ridurre fino ad ottenere 1/3 del prodotto iniziale. Y

CM

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K

Impiattamento Poni la salsa a temperatura ambiente come base. Adagiavi sopra la ricotta calda (a 82 gradi a vapore per 2 minuti) e le pere ancora calde. Decorare con dei fogli di cioccolato fondente al 65%.


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feb. 2017

pizza e pasta italiana

IL VINO

È tornato il Vino degli Etruschi

C

i sono in Italia degli straordinari prodotti di nicchia che non è sempre facile scoprire e, a volte, la fortuna assiste anche noi ed ecco che abbiamo incontrato in Toscana un vino prodotto con la tecnica seguita oltre 2500 anni fa dagli Etruschi. Ed a proposito di prodotti di nicchia conosco da tempo il modo di vinificare di Josko Gravner e la sua cantina a Lenzuolo Bianco di Oslavia, nelle colline che dominano Gorizia, a pochi metri dal confine con la Slovenia. Quella di Gravner è una tecnica che si rifà alla vinificazione georgiana di 4-5 mila anni fa e scoprire che anche in Toscana gli Etruschi seguivano una metodica similare mi ha molto interessato. E questo l’ho scoperto nell’azienda agricola Bio Tarazona Miriam, alle porte di Arezzo, alle pendici delle maestose Foreste Casentinesi. Francesco Mondini, che conduce l’azienda con la moglie Miriam, dopo 15 anni di studio, intessuto da tante prove, ha realizzato questo vino particolarissimo, mosso dal desiderio di rifare quel nettare meraviglioso che producevano gli Etruschi e non più esistente da quando quel popolo italico fu conquistato dai Romani. La riproposta di questo antico vino è non solo di grande interesse storico e culturale, essendo molto importante per il nostro benessere, dal momento che gli antichi abitanti dell’Etruria producevano solo vini totalmente naturali. Il marchio dell’azienda è “Rasenna” che è un richiamo alle origini; infatti gli Etruschi tra di loro si chiamavano Rasenna o Rasena o Rasna, mentre i Greci e i romani li chiamavano Tyrrenis o Etruschi da cui Etruria dove abitavano o Enotria cioè patria del vino.

di Giampiero Rorato



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feb. 2017

pizza e pasta italiana

IL VINO

Una storia affascinante La storia che raccontiamo ha inizio nell’anno 2000 quando i signori Montini furono invitati a un banchetto etruscoromano con cerimonia e musica, nella necropoli di San Cerbone a Populonia nel Golfo di Baratti. “I ricordi più forti di quella giornata – ci dice Francesco Mondini - oltre al posto reso magico anche dalla musica dei Synaulia, furono i sapori del banchetto preparato con ricette romane tratte da Apicio e Columella; sapori veramente unici, accompagnati da un vino normale, brutalmente condito con erbe, spezie e miele come in epoca etrusca, ed è per questo che scattò in me la volontà di perfezionare il banchetto preparando un vino adeguato. Nacque cosi una specie di sfida visto che il vino la mia famiglia lo produce da tre generazioni e non potevo certo fallire. Con l’aiuto di esperti archeologi, geologi, agronomi e con l’enologo Guido Fatucchi che tutt’ora sta studiando come perfezionare una spremuta d’uva, l’obiettivo era quello di ottenere del vino biologico e biodinamico, seguendo il metodo della Permacultura. Il vino era di uso comune

nella vita degli Etruschi e veniva degustato sia per le feste sia per i convivi sia per le cerimonie funebri ed era talmente buono che veniva commercializzato e scambiato per tutto il Mediterraneo. Ricordo che gli Etruschi furono i primi a far crescere la vite ad alberello (ancora oggi si usa) anziché strisciante come altrove e per renderla ancora più protetta e robusta la maritavano ad olmi e le contornavano con siepi. I vitigni etruschi non esistono più, solo i semi ritrovati dagli archeologi nei corredi funebri riscoperti forse li porteranno ad una nuova vita." Come ha proceduto, signor Mondini, per realizzare e vincere la sua sfida? “Il nostro micro-clima, i vitigni vecchi e la cura che avevamo avuto anche negli anni precedenti per il nostro suolo furono d’aiuto per un buon inizio. La nostra piccola azienda è situata a 350 m slm. ed è coperta alle spalle a nord da colline più alte. I nostri vitigni che sono Sangiovese, Canaiolo, Ciliegiolo, Albana e Trebbiano sono stati piantati da mio nonno circa 60 anni fa per cui non sono antichi ma sicuramente con portainnesti che oggi non esistono più. La proporzione che noi usiamo è sempre con le percentuali di mio nonno, cioè 85% uve rosse e 15% uve bianche. Il suolo composto prevalentemente da materiale calcareo detto bisciaio con solo 30-80 cm di terra, è ideale per viti e olivi e ha avuto un processo di progettazione e lavori per ripristinare l’equilibrio e per avere come risultato un ambiente sostenibile, equilibrato e anche estetico, quello che in sintesi chiamiamo Permacultura. Devo dire che i primi esperimenti non furono dei successi, anzi ricordo che le difficoltà aumentavano ogni giorno.


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feb. 2017

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IL VINO

Gli orci di Cortona... Tanto per cominciare dovevo procurarmi degli orci adatti. All’inizio conoscemmo svariati mastri cocciai ma solamente con Vadi Gino e Robi a Ronzano presso Cortona trovammo l’intesa giusta, anche perché alcune delle cave da dove veniva la terra che loro usavano, erano le stesse cui attingevano i nostri avi Etruschi 2500 anni fa. Mi ricordo che tra i vari problemi avemmo anche quello dello spessore dell’orcio che inizialmente era troppo sottile e vinificò aceto. Nell’anno 2000 quando cominciai questa meravigliosa avventura c’era solo una Azienda Agricola in Friuli che produceva vino in anfore [quella di Josko Gravner, prima ricordato] e 2 sparse in Italia erano in fase di sperimentazione come me e comunque tutti vinificavano in maniera diversa, più simile alla vinificazione romana, (orci molto spessi non coibentati) per cui, per produrre un vino come facevano gli Etruschi, non potevo apprendere o attingere nozioni da nessuno. Poi c’era il grosso problema della coibentazione interna e pian piano scoprii che gli Etruschi usavano la cera d’api. E siccome quella in commercio poteva essere inquinata, cosa che non succedeva al tempo degli Etruschi, nel 2002 iniziai ad essere anche apicoltore e scoprii un mondo sociale nuovo, che ancora oggi dopo 15 anni mi affascina e con questa cera il problema dell’orcio era stato risolto.”

Ma torniamo al nostro vino

“Nel frattempo gli esperimenti andavano avanti e nel 2003 riuscii a produrre il primo vino, decente a un palato moderno anche se la volatile era abbastanza alta (1,20). Questo perché, oltre ad un’annata veramente storica almeno per le nostre colline, per la prima volta avevo messo un orcetto da 35 litri come esperimento sotto due metri di terra e questo aveva determinato una vinificazione totalmente differente da quella tradizionale. Il vino dell’orcetto diventò vino solo prima dell’estate, mentre in cantina era già pronto da tre mesi; l’acidità era notevolmente inferiore; il colore rosso rubino era decisamente più acceso; i profumi più intensi; il sapore leggermente differente (per il rilascio dei minerali) e, grande sorpresa, anche la gradazione era mezzo grado in più rispetto al vino vinificato in cantina. C’era tanto da studiare e da capire, ero al settimo cielo, qualcosa stava cambiando. Nel corso degli anni successivi ci fu un alternanza tra buone annate e cattive annate ed ho perso praticamente 5 anni, perché nel 2009, con mia grande soddisfazione, ero arrivato ad essere padrone della nuova vinificazione senza un disciplinare fisso, perché un vino naturale va dietro all’annata, per cui ogni anno è diverso, quello che è più importante è la conoscenza e il contatto con la natura, per capire quando la terra ha bisogno, quando il prodotto ha bisogno o è pronto, quando nella trasformazione ogni piccolo particolare viene dettato prima dal cuore poi dalla ragione.”


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feb. 2017

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IL VINO

Ma non tutto è andato come sperava

qui sopra

Francesco Mondini con la moglie Miriam e il piccolo Leonardo

“Proprio così. Dicevo che ho perso 5 anni, perché arrivato ad avere un prodotto particolarissimo ma ancora organoletticamente non perfetto, avendoci investito tutti i nostri risparmi e dedicato anima e corpo per tanti anni non avevamo fatto i conti con la burocrazia. In sintesi i permessi ufficiali per vinificare e mettere in commercio il primo VINO ETRUSCO, anche esibendo le analisi che erano perfette e pulite, non arrivavano mai anzi nel 2012 fui espulso dagli uffici “competenti” anche in malo modo perché disturbavo la quiete, dal momento che per i burocrati il vino si faceva solo in cantina nelle botti e senza coibentazioni strane. (e io che pensavo che per il vino occorresse l’uva). Poi le cose si sono invertite. Sul finire del 2013 precisamente il 4 Dicembre l’UNESCO riconobbe Patrimonio Intangibile dell’Umanità la Vinificazione in orci (Qvevri) in Georgia e questo bastò anche ai nostri burocrati. Il mio morale tornò alle stelle e per la raggiunta disponibilità degli organi “competenti” nel 2014 avemmo come Azienda Agricola il consenso e le autorizzazioni necessarie per poter produrre il primo Vino vinificato alla maniera etrusca. Ed ora il mio “Nerone” è il primo vino al mondo vinificato in orci di terracotta invetriati rimasti per due anni sotto due metri di terra.

La storia, come si vede, è molto interessante non solo perché Francesco Mondini ha riportato in vita la tecnica di vinificazione degli Etruschi, ma soprattutto perché l’Azienda Agricola Bio Tarazona Miriam (www.rasennaintuscany.com) è riuscita a riprodurre un vino antico-nuovo, originale, interessante, biologico e totalmente sano, come vorremmo sempre trovare. Un vino che merita conoscere e gustare ed è un vino già richiesto dall’estero.


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feb. 2017

pizza e pasta italiana

P P

La cucina italiana a arigi

II parte

- Tra gli Champs Elysées, il Palazzo della Borsa e Clichy

Si conclude con questa seconda parte il nostro viaggio a Parigi, tra i ristoranti che hanno saputo farsi ambasciatori della cucina italiana fuori dai confini nazionali e che, per merito degli chef che ne hanno definito il menu o degli imprenditori che li hanno “costruiti”, sono diventati nel corso degli anni dei punti di riferimento non solo per la ristorazione del nostro paese, ma anche – e soprattutto - per quella francese, che sembra nutrire verso l’Italia ancora qualche pregiudizio o forse, più correttamente, qualche stereotipo.

di Caterina Vianello


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pizza e pasta italiana

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hi sembra aver ben imparato ed assimilato la lezione di Angelo Paracucchi, al quale si deve il merito di aver portato oltralpe l’alta cucina nazionale aprendo nel 1984 il Ristorante Carpaccio dell’hotel “Le Royal Monceau” in Avenue Hoche (rilanciato nel 1999 da Davide Bisetto, che conquistò una stella, ora “raddoppiata” all’Oro Restaurant dell’Hotel Cipriani di Venezia) facendo conoscere la migliore e più raffinata tradizione della gastronomia italiana è Alberico Penati. E proprio da Paracucchi Alberico Penati, originario della Brianza, inizia una brillante carriera che lo condurrà nelle cucine di Troisgros a Roanne, a Colonia, nei laboratori di Lenôtre, e per un lungo periodo a Londra. Dopo venticinque anni, Penati ritorna nella capitale francese dove nel 2014 apre “Penati al Baretto”, che è oggi l’unico italiano a poter vantare 1 stella Michelin. Situato nell’elegante 8° arrondissement di Parigi, a due passi dagli Champs Elysées e dall’Arco di Trionfo, è un piccolo e raffinato spazio (55 coperti, 19 persone tra sala e cucina ed un menu che cambia ogni due mesi circa) all’interno del quale poter conoscere il volto migliore della cucina del nostro paese. Obiettivo dello chef e tratto distintivo dei suoi piatti, è quello di offrire l’eccellenza, sia nella selezione dei prodotti, che arrivano direttamente dall’Italia, sia nella realizzazione delle ricette, che richiamano l’estrema varietà regionale. “La stella Michelin ha portato una clientela gourmet e non gourmand – spiega Penati – quella cioè

accanto e sopra

L’ingresso del ristorante Penati al Baretto e la sala


speciale campionato

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Le rendez-vous des professionnels de la restauration italienne The meeting place for Italian food professionals

SAVE THE DATE 15 & 16 MARS / MARCH 2017 PARIS PORTE DE VERSAILLES • PAV. 7.1

Idées italiennes à emporter / Italian ideas to take away!

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pizza e pasta italiana

di chi esce per godere e non per mangiare. L’impegno costante è quello di soddisfare questo tipo di clienti, anche se bisogna ammettere che qui in Francia regna ancora una ‘ignoranza’ in merito alla tradizione italiana, dettata dall’assenza di una competizione, possibile solo se il numero di chef di livello presenti nel paese è elevato. Purtroppo oggi la forza numerica è ancora limitata e questo fa sì che la competizione, motore primario del lavoro di chef, non sia così marcata da spingere ad un miglioramento complessivo dell’offerta. Nonostante questo, la mia visione è sempre quella di far assaggiare il meglio” anche – e soprattutto diremmo noi - sorprendendo: uno dei piatti icona del locale sono infatti gli spaghetti con le sarde. Di fronte alle aspettative della clientela francese, pronta all’assaggio di qualcosa di rustico e pesante, la capacità di Penati è stata quella di stravolgere il pregiudizio, trasformando in eleganza e finezza un piatto di tradizione: ed è proprio questo il filo conduttore della sua cucina, che punta ad offrire una rilettura delle radici trovando un equilibrio tra la fedeltà all’originale e una creatività mai troppo spinta o fine a sé stessa. L’auspicio di Penati è quello che il livello degli chef italiani nella capitale si alzi al punto da far comprendere il valore culturale prima ancora che gastronomico della cucina del nostro paese.

sopra

Penati al Baretto accanto

Champs Elysees a Parigi.


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pizza e pasta italiana

U

na passeggiata verso il Palazzo della Borsa ed eccoci di fronte ad un altro dei riferimenti italiani gastronomici della capitale, un luogo che si distingue per raffinatezza e sobrietà e che dal 2006 ad oggi ha saputo acquisire una clientela colta e culturalmente preparata: siamo al Mori Venice Bar, il ristorante che Massimo Mori, chef ed imprenditore mantovano formatosi all’estero tra Svizzera e Germania approdando poi in Francia, ha voluto come luogo in cui far apprezzare la vera cucina italiana. Poco più di un centinaio i coperti al giorno, 25 persone tra sala e cucina per uno spazio in cui gli arredi sono un omaggio alla cucina veneziana, così come lo è il menu. Massimo Mori parte dalla nouvelle cuisine per spiegare in cosa la cucina italiana se ne differenzia, o meglio, in cosa è più ricca: “ai 4 fondamenti della nouvelle cuisine – territorio, stagionalità, prodotto e mise en assiette – noi abbiamo aggiungo la tracciabilità. Sono la storia del prodotto e la sua provenienza infatti a dover essere messe al centro del nostro lavoro e sono queste a distinguere la cucina italiana. Prodotto che deve essere valorizzato attraverso una rilettura della tradizione attraverso le caratteristiche della ristorazione contemporanea: pochi grassi, piccole porzioni e attenzione alle cotture, rielaborando i piatti senza lasciare che prevalga la tecnica sulla materia prima. Ecco perché nel menu del Mori Venice Bar si trovano i classici (paste e risotti, per esempio, così come il baccalà mantecato o il branzino al sale) affiancati alle proposte del periodo, per rispettare la stagionalità, e a quelle del giorno, soddisfando una dop-

pia clientela: quella business del pranzo e quella, più facoltosa e rilassata, della cena. Qualche sassolino dalla scarpa, forte di un solido impero imprenditoriale ormai raggiunto (e che vede una collaborazione attiva con Giorgio Armani), Mori se lo toglie alla fine, ma con misura: “I francesi hanno sempre considerato la cucina italiana come minore, una cucina da trattoria, utile solo per abbuffarsi e non come oggetto di degustazione, quella con la pasta come contorno e con la pizza come unico piatto in grado di poter essere definito tipico. Ormai, lontani da quello stereotipo, possiamo affermare che in questi anni a Parigi si è affermata una ristorazione italiana raffinata, capace di essere espressione delle tradizioni e delle specificità regionali”. Un ultimo appunto nei confronti della nuova tendenza delle “bistronomie”, neologismo coniato per indicare quei locali per “bobo” (contrazione di “bourgeois” e “bohème”: è una categoria sociale di estrazione generalmente borghese, che vive tra incontri culturali e scambi legati alla sfera artistica) che sembrano riscuotere molto successo in città: “questo tipo di ristorazione, che impone un menù limitatissimo e sfrutta il fascino esercitato dallo stile di vita italiano non rappresenta la vera cucina italiana, né può dirsi erede della stessa: l’immagine non può e non deve prevalere sul resto”.

in foto

Mori Venice Bar propone piatti tradizionali italiani, come questa pasta con i funghi porcini



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pizza e pasta italiana

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ulla stessa lunghezza d’onda, qualche chilometro lontano dalla frenesia del centro parigino è Claudio Puglia, creatore di una realtà imprenditoriale della quale La Romantica di Clichy – il ristorante che abbiamo visitato, poco fuori Parigi - è solo il vertice (alla base ci sono 100 persone e 6 ristoranti, erano 18 fino a 3 anni fa). Invisibile dall’esterno, quasi inaccessibile (vi si accede solo su prenotazione), La Romantica è una sorta di elegante giardino segreto in cui poter godere e gustare lo stile italiano. “30 anni fa, quando è stata fondata - ricorda – non c’era cucina italiana in Francia, ma solo un’invenzione di cucina italiana: nel corso del tempo e grazie al lavoro costante di alcuni chef di altissimo livello la situazione è migliorata e vede oggi il gusto ed i piatti italiani essere di moda. C’è stata una democratizzazione, insomma”. Che, aggiungiamo, non necessariamente è in assoluto positiva se accanto a chi offre vera cucina italiana – la tendenza ha portato ad avere una realtà fatta di pizzerie che non offrono cucina e locali con personale straniero che crede di realizzare piatti italiani. “E’ necessaria un’educazione al gusto – precisa Puglia. E qui è quello che facciamo. A La Romantica non si arriva per caso, si sceglie consapevolmente e si deve meritare. Per ogni cliente - la clientela è internazionale e vede affiancati facoltosi imprenditori e politici di alto livello - costruiamo una scheda personalizzata, in modo tale da accompagnarlo in un percorso di degustazione che va in crescendo”.

Ecco il motivo di doppio menu, per esempio: non tanto nella distinzione tra pranzo e cena, quanto nella possibilità di impreziosire il piatto base con ingredienti (un esempio sono i tartufi) raffinati. Una doppia versione per portare il palato a gustare l’eccellenza. Salutiamo Claudio Puglia (che rivendica orgogliosamente la paternità della ricetta della pasta nella forma di Parmigiano, imitatissima) tracciando un bilancio dei ristoranti italiani che abbiamo visitato: comune è la voglia di raccontare e offrire l’eccellenza italiana, comuni sono l’impegno e la determinazione, comuni, infine, dei successi- pur diversi – che non sono frutto di improvvisazione ma di capacità sedimentate nel tempo e di anni di esperienza. La cucina italiana a Parigi è finalmente uscita dalle maglie strette delle trattorie ed entrata a piano titolo nei locali più raffinati della capitale francese.

sotto

La Romantica


Riva del Garda 05/08 Feb

Stand C15 Hall C1

5000036


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pizza e pasta italiana

La birra a fermentazione spontanea: il Lambic di Alfonso Del Forno


la birra

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na famiglia di birre che non richiede inoculo di lieviti per fermentare. Un modo di produrre birra che riporta indietro nel tempo, quando ancora non esisteva l’identificazione di lieviti di bassa e alta fermentazione. Parlo della terza tipologia di famiglia birraria, quella della fermentazione spontanea.

Una piccola area a sud-ovest di Bruxelles, lungo la valle che segue il corso del fiume Senne, prende il nome di Pajottenland. In quest’area sono concentrati piccoli produttori di birre che affondano la loro storia alle origini dell’arte brassicola. Sono birre che fermentano senza l’aggiunta di lieviti selezionati, grazie ai microrganismi presenti nell’aria e soprattutto nel birrificio. Esistono due categorie di “attori” nel panorama di questa tipologia di birra: quelli che producono i Lambic e quelli che gli assemblano, i Blender, i quali lo acquistano da chi lo produce per poi miscelarlo, nel rispetto delle proprie ricette. Il Lambic è di solito preparato con una miscela di malto d’orzo al 65% e di frumento non maltato al 35%. Il luppolo è invecchiato (houblon suranné) così da non avere caratteristiche aromatiche e amaricanti, continuando però a essere un conservante naturale.

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La produzione del lambic, che avviene secondo tradizione solo nei mesi freddi, prevede che una volta finita la bollitura, il mosto sia spostato in grandi vasche ampie e poco profonde, solitamente poste nel sottotetto del birrificio, dove rimane tutta la notte a raffreddare. Questo procedimento è realizzato oggi solo da chi produce Lambic tradizionale. Raffreddato il mosto, che nel frattempo si è naturalmente riempito di lieviti selvatici e batteri, viene trasferito in botti, solitamente già usate in precedenza per vino o altre bevande alcoliche. All’interno di queste botti avviene una lunga permanenza del Lambic. Sono diverse decine gli agenti responsabili della fermentazione di un Lambic in questo lungo periodo, tra cui troviamo batteri lattici, batteri acetici, ceppi di saccaromiceti e soprattutto di brettanomiceti, tra cui il Brettanomyces Bruxellensis e Lambicus.

illustrazioni di Antonella Manenti


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pizza e pasta italiana

LA BIRRA

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e caratteristiche organolettiche del Lambic sono decisamente complesse e rappresentano una collezione di aromi e gusti che nelle altre birre possono essere considerati dei difetti: acidità, astringenza e metallico si sposano con sentori di cuoio e cartone bagnato. L’acidità è la caratteristica principale di questa tipologia di birra, proprietà che permette di definire il Lambic come il massimo esempio di birra acida presente in commercio. Il Lambic giovane spesso era utilizzato come base, insieme con acqua e zucchero candito, per preparare il Faro, una bevanda a bassa gradazione alcolica realizzata nei locali del Pajottenland dai singoli gestori. Oggi è sempre più raro trovare del Faro tradizionale. Una birra derivante dal Lambic e la Gueuze, un blend tra Lambic giovani (6-12 mesi) e invecchiati (2-3 anni).

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L’assemblaggio di più annate permette la produzione di una gasatura naturale e conferisce complessità a questa birra, grazie alla bravura del blender che sceglie le migliori botti per realizzare la miscela da lui studiata. Altri Lambic molto interessanti sono quelli che prevedono la maturazione, per diversi mesi, con due frutti, ciliegie e lamponi, che danno vita a Kriek e Framboise. A margine di questo percorso attraverso la conoscenza delle birre a fermetazione spontanea, mi piace sottolineare come questa tipologia di birra fosse quella che normalmente veniva prodotta in antichità, soprattutto il lambic piatto, non gasato, che era la bevanda popolare per eccellenza, così come raffigurato anche nei quadri di Bruegel il Vecchio.

Per dare ulteriore valore alla storia del Lambic e alla sua produzione tradizionale, voglio chiudere con la notizia del recente inserimento di questa birra tra i Presidi Slow Food: sono tutelati dal marchio del Presidio del Lambic Tradizionale due produttori (Brasserie Cantillon e Brouwerij Drie Fonteinen) ed un blender (Gueuzerie Tilquin). La nascita del Presidio è il giusto riconoscimento del grande valore culturale e qualitativo del Lambic, una birra unica al mondo, il cui assaggio consiglio vivamente.

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pizza e pasta italiana

LE DIETE E L’ IMC (INDICE DI MASSA CORPOREA) I

l parametro universalmente riconosciuto come valido è l’Indice di Massa Corporea. E’ un dato biometrico espresso come rapporto tra il peso e l’altezza di un individuo che va calcolato dividendo il proprio peso espresso in chilogrammi

per il quadrato dell’altezza espressa in metri. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’IMC è raggruppabile in 4 categorie: sottopeso con IMC al di sotto di 19; medio con IMC compreso tra 19 e 24; sovrappeso con IMC compreso tra 25 e 30; obe-

sità con IMC al di sopra di 30. Accanto al IMC è necessario, però, misurare anche il girovita perché esprime l’adiposità viscero-addominale che è quella che innesca le malattie cronico-degenerative: da quelle cardiovascolari ad alcuni tipi di tumori.

Livelli di guardia GIROVITA UOMO

GIROVITA DONNA

> 120 cm

MOLTO ALTO

> 110 cm

> 102 cm

ALTO

> 88 cm

> 92 cm

MODERATO

> 80 cm

Dott.ssa Marisa Cammarano biologa nutrizionista


la scienza dell'alimentazione

Attenzione, però, a non farsi tentare dalla voglia di strafare: alcuni, infatti, pur avendo già un peso giusto si mettono ugualmente a dieta sperando di dimagrire oltre il necessario e sfoggiare un fisico "in forma". Ma è un tentativo sbagliato, inutile e persino controproducente perché potrebbe addirittura farvi ingrassare. Le diete dimagranti, specie se ripetutamente interrotte e riprese, predispongono le persone normopeso a recuperare più grasso di quello perso. In uno studio su atleti che praticano sport che comporta spesso oscillazioni di peso, come il pugilato, con il tempo ingrassano più di chi si dedica a discipline che non prevedono oscillazioni ponderali. Ma perché le diete dimagranti potrebbero rivelarsi controproducenti nelle persone normopeso? Ciò è dovuto proprio alla condizione di partenza, che non richiede-

rebbe una riduzione del peso attraverso una restrizione calorica che intacca anche la massa magra per ricavare l’energia di cui l’organismo ha, comunque, bisogno. Dopo il calo ponderale nel normopeso, l’organismo sano, sulla base della sua “memoria” della composizione corporea, cercherà di ripristinare sia la massa magra, sia la massa grassa. Ma poiché la massa grassa si recupera più facilmente di quella magra, una volta che la persona sarà tornata al peso di partenza si ritroverà con una quota di tessuto adiposo aumentato. Ormai le diete “fai da te” si trovano ovunque, su internet, su riviste, vari mass media, fatte di tinte esotiche e sapori internazionali, che promettono perdite di peso importanti in poco tempo, ottenendo un fisico statuario, senza sforzi e privazioni alimentari.

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Pochissime, però, quelle che parlano di “dieta sana ed equilibrata” ed ancor meno di “educazione alimentare”. I frequentatori di queste trappole dietetiche è numerosissimo; ogni giorno sono migliaia le nuove iscrizioni a siti e forum legati a diete di vario tipo. Atteggiamento, questo, che li mette nelle condizioni di diventare facile prede di trappole con finalità di lucro, oltre all’aspetto psicologico negativo; il fallimento di un lavoro sul peso, infatti, porta con sé una posizione di rassegnazione passiva, accompagnata nelle situazioni più gravi a sensazioni di solitudine ed isolamento sociale, che spesso aggravano il problema peso e mantengono lontano il paziente da trattamenti adeguati.


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LA SCIENZA DELL’ALIMENTAZIONE

Bisogna diffidare di soluzioni mirabolanti che si trovano su internet, di persone che non hanno nessuna qualifica professionale adeguata per proporre un regime e fare attenzione a che la dieta comprenda tutti i nutrienti. Ma soprattutto bisogna accertarsi che le diete non mirino a rapidi risultati ed eclatanti, ma a risultati duraturi e ad educare alla buona e sana alimentazione. Bisogna distinguere tra chi ha un peso nella norma o solo di poco superiore ed ha quindi bisogno di una dieta che gli faccia perdere peso e lo aiuti a prevenire le malattie e chi, invece, è fortemente in sovrappeso se non addirittura obeso ed ha quindi bisogno di una vera e propria terapia dietetica. Soprattutto in quest’ultimo caso, la consulenza medica è necessaria e non si può assolutamente affidare a Internet o mass media in genere. Molti medici si improvvisano dietologi. Non è morale prescrivere delle diete o consigliare dei regimi alimentari senza averne la competenza, senza aver sostenuto un percorso di studi appropriato. Spesso, chi segue diete squilibrate o errate impostazioni dietologiche subisce dei danni sia fisici che psicologici. Sono regimi solitamente nocivi a distanza di tempo, tanto che il soggetto difficilmente riesce a fare il collegamento tra la dieta squilibrata precedentemente seguita e la successiva patologia; in particolare alle anemie, all’osteoporosi, alla calcolosi della colecisti e renale, alle gastroduodeniti, alle malattie della tiroide e delle altre ghiandole a secrezione endocrina o esocrina. Possono essere visibili, purtroppo, i vantaggi immediati e cioè, nella maggioranza dei casi , il dimagrimento; tuttavia il risultato è solo temporaneo, il peso viene ripreso rapidamente ed anche con gli interessi, si riacquistano, cioè, i chili persi ai quali si aggiungono altri.

Spesso, soprattutto nelle diete fai da te o basate su ricerche on-line, sono previsti degli integratori che aiutino a perdere peso. Anche in questo caso, l’attenzione deve essere massima soprattutto se ci si trova di fronte a prodotti che promettono miracoli in pochi giorni e vengono reclamizzati come naturali. In realtà, molti potrebbero essere contaminati e contenere sostanze non dichiarate, come principi attivi di farmaci contro la depressione o l’ipertensione, sostanze rimosse dal mercato, o composti non adeguatamente studiati sull’uomo e quindi potenzialmente pericolosi. Prodotti per perdere peso contaminati con farmaci per cui è necessaria la prescrizione, come la sibutramina, rimossa dal mercato nel 2010 per aver causato problemi cardiaci e ictus, o la fluoxetina, il principio attivo del Prozac, o il triamterene, un potente diuretico che può avere effetti collaterali.

Prodotti che contengono miscugli pericolosi di ingredienti nascosti, principi attivi usati nei farmaci contro l’epilessia, l’ipertensione e gli antidepressivi. Bisogna stare attenti anche se si scelgono supplementi dietetici “naturali”, come il polline di api o la Garcinia cambogia (un frutto tropicale dolce), perché anche in questo caso potrebbero esserci composti nascosti usati nei farmaci che necessitano la prescrizione medica. Sono prodotti che promettono di far perdere molto peso in una settimana, usano le parole “garantito” o “scoperta scientifica”, sono venduti in lingua straniera, o tramite e-mail di massa, contengono erbe alternative a quelle approvate o hanno effetti simili ai farmaci con prescrizione. Il consiglio è di rivolgersi al proprio medico se si vuole usare un supplemento dietetico, e ricordarsi che il solo modo naturale di perdere peso è quello di bruciare le calorie che si assumono, mangiando sano e facendo attività fisica.


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LA SCIENZA DELL’ALIMENTAZIONE

ALCUNE DIETE DIMAGRANTI SQUILIBRATE Solo frutta per 10 giorni con graduale aggiunta di altri alimenti, ma con l’esclusione di certe combinazioni di alimenti.

Squilibrata, basata su pregiudizi. Seri effetti collaterali quali diarrea, disidratazione e carenza di principi nutritivi.

Dieta Cambridge

Dieta liquida preconfezionata a bassissimo contenuto calorico (330 calorie al giorno).

Ha un rapporto calorico pericolosamente basso. Comporta seri effetti collaterali che possono nuocere alla salute.

Dieta dott. Atkins

Povera di carboidrati e ricca di proteine.

Squilibrata, ricca in grassi e colesterolo, provoca chetosi ed altri seri effetti collaterali.

Dieta del digiuno modificato

Succhi, the e/o soltanto acqua.

Pericolosa, squilibrata, produce solo effetti temporanei.

Dieta con gonadotropina corionica (HCG)

Dieta a livello calorico molto basso, con iniezioni di ormoni.

Le iniezioni non assicurano quei benefici che vengono proclamati.

Dieta a base di proteine liquide

Piano dietetico a basso livello calorico, con prodotti preconfezionati.

Le proteine possono essere di scarsa qualità. Nella migliore delle ipotesi può essere seguita per breve termine.

Dieta Mayo

Un pompelmo prima dei pasti per bruciare i grassi.

Inefficace, basata sul pregiudizio. Può servire a qualcosa solo se vengono ridotte le calorie.

Distingue due gruppi di alimenti: acidi (carne, pesce, uova, etc.) ed alcalini (pane, pasta, patate, etc.) da non associare nello stesso pasto.

Squilibrata può provocare chetosi; può indurre carenze di ferro e calcio per ridotta capacità del loro assorbimento.

Dieta monoalimento

Ad esempio, soltanto formaggio e banane, uova e pompelmo, soltanto frutta, etc..

Monotona. Nella migliore delle ipotesi può essere seguita per breve tempo. Può provocare carenze di principi nutritivi.

Dieta Dukan

Dieta iperproteica complessa nell’elaborazione ed anche nell’attuazione pratica.

Squilibrata. Presenta tutte le problematiche delle diete iperproteiche come chetosi, perdita di ioni calcio, etc..

Dieta Tisanoreica

Dieta iperproteica con minima assunzione di carboidrati che associa l’utilizzo di estratti di erbe.

Squilibrata. chetogenica e molto costosa.

Dieta del sondino (NEC)

Utilizza i prodotti “tisanoreica”. Nutrizione chetogena con sondino naso gastrico. Somministra al paziente una soluzione proteica.

Può avere effetti collaterali. E’ preferibile che sia applicata nelle grandi obesità. Non è consigliata nel modesto sovrappeso.

Dieta Beverly Hills

Dieta dissociata



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pizza e pasta italiana

QUESTIONE DI GUSTO

Le ricette sono immobili? Certamente no! Neppure le ricette d’autore vengono realizzate come le codificò lo stesso autore, ma si evolvono secondo gusti, esigenze e creativitĂ dei cuochi.

di Nives Piva


Forni Dorigo s.r.l. Via Gritti, 48 30021 Caorle - Venezia +39 0421 261460

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L'idea nasce dall'esperienza nel mondo dello "street food" di una azienda inglese Universepizza Ltd e dalla creativita' di una azienda italiana produttrice di forni professionali Forni Dorigo. Guarda i video dimostrativi con l’ape in funzione Immagina di farlo nella tua citta'. Se lavori poco piÚ di un paio di mesi puoi ripagare il tuo investimento. Cosa aspetti?? Telefona e vieni a trovarci a Londra o a Venezia per vederla in funzione. http://www.youtube.com/pizzaanyplace

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pizza e pasta italiana

QUESTIONE DI GUSTO

C’è una bella discussione in atto: le ricette che hanno un nome definito - es. “Carpaccio” (quello di Giuseppe Cipriani, per citare una ricetta moderna), o “Spongata”, antico dolce tradizionale di Sarzana; o il “Pasticcio di pesce gatto”, tradizionale nella cucina del Polesine; o la “Suppa di pizzoni o pollastri”, di Cristoforo di Messisbugo, scalco nella prima metà del ‘500 dei duchi di Ferrara - vanno realizzate come è indicato nei ricettari storici (dagli autori stessi o da chi per primo codificò la ricetta) oppure possono essere liberamente interpretate da chi le realizza sia in casa che nei ristoranti? L’argomento invita a riflettere, dal momento, ad esempio, che il “Carpaccio” di Giuseppe Cipriani (proposto per la prima volta nel 1963 all’Harry’s Bar di Venezia), è piatto d’autore debitamente codificato, realizzato con carne di sottofiletto di bovino con sopra della salsa universale della casa (maionese arricchita da worcestershiresauce con l’aggiunta di gocce di latte, il tutto ben amalgamato) e ancora lo si fa così nel celebre locale veneziano. Eppure con lo stesso nome “Carpaccio”, oggi sono indicate un’infinità di preparazioni, pesce e frutta compresi, tagliate a fette sottili, naturalmente crude (a volte anche marinate o un po’ cotte), irrorate di una qualche salsa o di liquore. È corretto? Nella lingua italiana, che è in continua evoluzione, l’uso pian piano determina la regola, per cui nessuno (quasi) discute più sulla liceità di chiamare “Carpaccio”, una fettina di ananas messa bagno con gocce d’acqua speziata e accompagnata da un gelato alla cannella o irrorata da un liquore in armonia. Come dire che a un certo punto ciascuno fa come meglio gli piace e gli dà il nome che più gli aggrada. In questo caso c’è, diciamolo pure a voce alta, molta confusione e incultura, ma resta vero che se viene servito in un ristorante il “Carpaccio originale”, deve essere esclusivamente quello immortalato nel 1963 (in occasione di una mostra a Vene-

zia delle opere di Vittore Carpaccio) da Giuseppe Cipriani nel suo locale di Calle Valleresso a Venezia, servendo la contessa veneziana Amalia Nani Mocenigo. Ci è poi utile ricordare un altro piatto storico, prima citato, la “Suppa di pizzoni o pollastri”, che Cristoforo di Messisbugo faceva preparare nelle cucine del castello per i duchi. Quel piatto non esiste più a Ferrara e nel Ferrarese, ma ha trovato nuova vita in terra trevigiana, dove a Treviso si prepara tradizionalmente nei mesi invernali la “Suppa di pizzoni”, (zuppa di piccioni) ora chiamata “Sòpa coàda” (zuppa covata) mentre a Motta di Livenza, negli stessi mesi, si prepara la “Suppa di pollastri”, anche lì chiamata “Sòpa coàda. Fra la citata preparazione d’autore – Il Messisbugo scrisse la ricetta che fu pubblicata in un volume nel 1549, un anno dopo la sua morte – e le interpretazioni moderne ci sono per necessità delle differenze. Innanzi tutto nel preparare la sua Suppa (era fatta a strati), iniziava da una base di pane raffermo, quindi uno strato di carne, uno di formaggio vecchio grattugiato, cospargendo il tutto di zucchero e cannella, poi ancora pane, carne, formaggio, zucchero e cannella, coprendo di

pane e versando sul tutto dell’ottimo brodo. Oggi non si accetterebbe più l’abbondanza dello zucchero e della cannella che rendevano il piatto dolce e molto speziato, per cui nel corso del tempo sono stati aboliti. Poi non ci sono più le pentole e le cucine di quel tempo, per cui, mutando le situazioni, chi realizzava il piatto, usando sempre pane raffermo, carne di pollo o di piccione, formaggio grana grattugiato e ottimo brodo, ha cercato di avvicinarsi il più possibile, nella forma e nella sostanza alla ricetta originale.

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la tipica “spongata”


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pizza e pasta italiana

QUESTIONE DI GUSTO

in foto

una delle moderne rivisitazioni della pasta alla carbonara

Come si vede, anche le ricette più antiche possono essere realizzate, ma adeguandole ai gusti che cambiano, senza tradirne le caratteristiche di fondo. Tempo fa, a proposito di un piatto storico del centro Italia, gli “Spaghetti alla Carbonara” è sorta una polemica sull’impiego della cipolla nel piatto. Anna Gosetti, nel suo notissimo “Le ricette regionali italiane” (prima edizione 1967), dà i seguenti ingredienti: spaghetti, guanciale, uova intere, parmigiano grattugiato, pecorino grattugiato, strutto (o olio d’oliva o burro), aglio, sale e pepe nero. Con molta chiarezza, nel sottotitolo del volume si precisa che le ricette sono state “interpretate da Anna Gosetti della Salda”, dal momento che il piatto è di antica tradizione orale e non ha un certificato di nascita, come invece ce l’hanno il “Carpaccio” e la “Suppa di pizzoni o pollastri”; poi, sotto la ricetta, c’è la nota seguente: “Si chiama «alla carbonara» perché costituiva il piatto base dei boscaioli che si recavano nell’Appennino a far carbone di legna; essi cucinavano delle «penne», non degli spaghetti, forse perché nel rimescolamento la pasta si amalgamava meglio al condimento. Lo strutto viene oggi sostituito con burro o con olio d’oliva”. Ha scritto a tal proposito, in maniera chiaramente provocatoria, Massimo Montanari (in “AA.VV., Il Pregiudizio universale, Laterza, 2016): “Guanciale sì, pancetta no. Pecorino sì, parmigiano no. Olio sì, panna no. Il tuorlo sì, l’albume no.” Anna Gosetti ci dà una prima intelligente risposta: nel proporre le ricette tradizionali italiane, lei le ha “interpretate” con il suo buon gusto e la sua maestria e sembra invitare i suoi lettori a fare altrettanto. Ed è lei stessa a dirci che i romani hanno messo da parte le “penne” del piat-

to dei boscaioli sostituendole con gli spaghetti e aggiunge che, secondo lei, si può impiegare l’olio d’oliva o il burro al posto dello strutto. E questo perché la cucina si evolve secondo i gusti, anche le mode, tanto è vero, come suggerisce Montanari, che è possibile sostituire il guanciale con la pancetta, il pecorino col parmigiano, l’aglio con la cipolla, aggiungendo infine, se piace, anche la panna. Naturalmente Montanari ha espresso un suo parere di storico, per dirci che “nessuna ricetta è immobile e immutabile, fino a che qualcuno non la codifica. Ma a quel punto avrà una firma, un autore che pretende di avere interpretato l’autentico dichiarando «falso» quanto non si adegua alle sue scelte. Operazione di dubbia legittimità. Perché in quel modo la ricetta si fossilizza, esce dalla storia per entrare nella teologia. La storia è il luogo della vita e del cambiamento. Ciò che non vive e non cambia non le appartiene.” Tutta questa storia, con gli esempi che abbiamo riportato, ha un senso se risulta utile ai cuochi d’oggi. Ebbene, nel far cucina, quando si ripropone una ricetta storica la cosa migliore è restarne il più vicino possibile (Anna Gosetti, con la sua autorità, ne ha codificate diverse centinaia; Cristoforo di Messisbugo e Giuseppe Cipriani le loro ricette le hanno firmate e pubblicate), ben sapendo che il buon gusto e la creatività non vanno mai escluse, perché, è proprio vero, la cucina è come la vita e l’accompagna, e la vita non è immobile, non è un oggetto fossile, ma si evolve di continuo come si evolve la storia degli uomini e come si evolvono i gusti e le esigenze nutritive. Con un’avvertenza; purché i piatti storici interpretati siano non solo buoni, ma migliori di quelli originali. Solo così ha senso modificarli.

in foto dall’alto verso il basso

“Suppa di pollastri”, ricetta di Cristoforo da Messisbugo subito sotto

Harry’s bar Venezia


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pizza e pasta italiana

Giropizza D’Europa 2016/2017 tappe, iscrizioni, regolamenti 2016 | 2017

Continua la gara di pizza a tappe più famosa d’Europa. Giunta alla 13esima edizione, le prossime tappe del Giropizza d’Europa saranno a Riva del Garda in provincia di Trento (6 febbraio, in occasione della fiera Expo Riva Hotel), Rimini (20 febbraio, Beer Attraction) e Marina di Carrara ( 20 febbraio, in occasione del salone CT Tirreno Trade). La competizione premia la migliore pizza della casa, proposta con ingredienti fantasia e cotta su piano refrettario. A contendersi l’accesso alla Finalissima, come sempre i migliori dieci classificati in ordine di punteggio, per ogni tappa. Il regolamento esclude la partecipazione a più tappe della stessa edizione, e le pizze proposte devono essere rigorosamente tonde cotte sul piano refrattario del forno, sono escluse: focacce, pizze a metro, pizze ripiene, calzoni, pizze dolci, pizze senza glutine, pizze in teglia. Ogni concorrente è tenuto a presentarsi con l’abbigliamento da lavoro del proprio locale, non verranno ammessi loghi di aziende o sponsor non autorizzati dall’organizzazione di gara. Il regolamento prevede che la gara si svolga nella giornata stessa, per cui viene raccomandata puntualità e conferma della propria partecipazione alla tappa scelta, pena l’esclusione dal Giropizza. I concorrenti sono tenuti a portare impasto ed ingredienti. Eventuali attrezzature di supporto come frullatori, fornelli elettrici ecc. dovranno essere comunicati e concordati tempestivamente con l’organizzazione per garantire un corretto svolgimento della gara. Il concorrente è tenuto ad iscriversi previa comunicazione via mail all’indi-

rizzo redazione@pizzaepastaitaliana.it oppure chiamando il numero + 39 0 421 83148. La partecipazione al Giropizza è un’occasione per condividere la passione per la pizza con altri pizzaioli, per cui viene raccomandato a tutti i partecipanti il rispetto delle altrui esigenze, garantendo la pulizia e l’ordine della postazione di gara, rispettando i tempi e le modalità di partecipazione (15 min al max per concorrente, dal momento in cui l’impasto viene steso sul piano di lavoro). Le pizze proposte alla giuria saranno valutate secondo criteri di gusto e di cottura, non costituiranno oggetto di valutazione – ma sono comunque permesse e incoraggiate – eventuali presentazioni, abbinamenti con bevande alcoliche o soft drink (fatto salvo per diverse comunicazioni da parte dello staff).

Nel numero di dicembre di questa rivista, per uno spiacevole refuso, abbiamo erroneamente abbinato il Maestro Pasticcere Achille Zoia, Docente della Scuola di Cucina Cast Alimenti, già Miglior Pasticcere d'Italia e uno dei massimi esperti italiani di lievitati a un mulino con il quale il Maestro non ha rapporti. Ce ne scusiamo vivamente e precisiamo che il Maestro Achille Zoia è invece consulente di Molino Dallagiovanna.


La fiamma del gas dolce come la legna

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Il nuovo Drago Six a sei fiamme variabili si inserisce al top di gamma fra la più ampia offerta di bruciatori a gas atmosferici specifici per il riscaldamento dei forni, che fin dal 1960 si distinguono per le innovative qualità tecnico costruttive della Avanzini Bruciatori srl di Parma. Il Drago Six con la sua pratica manopola è la naturale evoluzione del Drago a due fiamme conosciuto ed apprezzato in tutto il mondo perché è l’unico che sostituisce in modo superlativo il tradizionale riscaldamento a legna. Riassumendo le caratteristiche del Drago restano B AS SE E invariate in quanto è luminoso è invisibile è silenzioM O I IC G so è indistruttibile e garantisce il rendimento più elevato oggi in commercio come da prove di consumo effettuate presso la ns. clientela. Il Drago Six permette di impostare la temperatura di lavoro desiderata sulla centralina Drago Control ma oltre alla prima fiamma indipendente e regolabile che mantiene stabilmente il forno in temperatura, dà la possibilità al pizzaiolo di impostare la DE

L L ’A M B

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forza variabile delle sei fiamme per fare fronte alle

bsidefactory.com

mutevoli richieste di calore nell’arco della giornata lavorativa, semplicemente ruotando una manopola. Perché lo sappiamo che l’esperienza e l’occhio del pizzaiolo esperto riconosce la forza della fiamma necessaria al suo forno, in quel momento, per esaltare al massimo la cottura del proprio impasto, per offrire la pizza migliore alla propria clientela, ed il nuovo DRAGO

DRAGO CONTROL AUTOMATICO

SIX in questo non ha rivali.


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pizza e pasta italiana

GIROPIZZA D'EUROPA

La Finalissima del Giropizza d'Europa 2016/2017 si svolgerà ad Amburgo il 20 marzo 2017

2016 | 2017

in occasione del salone internazionale INTERNORGA.

COME ISCRIVERSI AL GIROPIZZA?

TAPPE DEL GIROPIZZA:

FINALISSIMA 2016/2017:

La partecipazione alla Finalissima va confermata con adeguato preavviso via mail all’indirizzo redazione@ pizzaepastaitaliana.it e come precedentemente indicato, la sua partecipazione è ammessa ai primi 10 punteggi classificati di ogni tappa.

- 6 febbraio, Expo – Riva Hotel, Riva del Garda (TN) all’interno dello Stand Pizza e Pasta Italiana. - 20 febbraio, BeerAttraction, Rimini, all’interno dell’area Pizza e Pasta Italiana - 20 febbraio, CT Tirreno Trade, Marina di Carrara, all’interno dello Stand Pizza e Pasta Italiana

- 20 marzo, INTERNORGA, Amburgo, all’interno dell’arena Pizza e Pasta Italiana.



Lo sapevi che...

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Pomodoro sulla pizza: meglio crudo o cotto?? rende quindi maggiormente attivo, aumentando il suo potere antiossidante. Pomodoro sulla pizza si.. ma ancor meglio se cotto! Ma quale salsa al pomodoro non contiene un po’ di olio di oliva extravergine? Un’accoppiata vincente non solo di gusto ma anche di benessere. Infatti l’olio extravergine di oliva non solo facilita l’assorbimento del licopene, ma la vitamina E in esso contenuto ne potenzia l’azione anti-tumorale. Una pizza che non è

solo buona ma fa anche bene! Scopri come dall’incontro tra il mondo della Culinary Nutrition e il mondo della pizza possa nascere un nuovo modo di fare la pizza, che diventa non solo buona ma anche salutare e antiaging! Allora sei pronto ad imparare quali siano i giusti abbinamenti, le giuste quantità e i giusti metodi di cottura?

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Lo sapevi che, se la salsa di pomodoro viene precedentemente cotta prima di essere aggiunta alla pizza, può essere più efficace di una crema antirughe? Il responsabile è una sostanza contenuta nel pomodoro chiamata licopene, uno dei più potenti antiossidanti che combattono i radicali liberi, responsabili dell’invecchiamento. Ma non tutti i pomodori sono uguali! Infatti la cottura prolungata del pomodoro spezza il licopene in parti più piccole, e lo

IN

Corso Pizza e Benessere contenuti:

Il corso si sviluppa in 3 moduli della durata di 3 giorni al mese. Le lezioni si terranno dalle 9.00 alle 18.00. modulo 1:

Le caratteristiche della pizza del benessere: la Culinary Nutrition e la dieta mediterranea in evoluzione, focus sugli impasti: maggiore digeribilità e minore impatto glicemico. modulo 2:

I metodi per aumentare il contenuto di vitamine e ridurre il valore calorico della pizza. La farcitura: più vitamine, meno sale. modulo 3:

Cotture sicure, antiossidanti e focus sul fritto: la pizza gourmet diventa antiaging

docenti Chiara Manzi: Culinary Nutritionist e Presidente di Art Joins Nutrition Academy, laureata in Nutrizione Umana e Dietetica presso l’Università di Navarra. È presidente dell’ASSIC, Associazione per la Sicurezza Nutrizionale in Cucina. Fabio Sebastiani: Master Istruttore PFC della Scuola Italiana Pizzaioli il cui responsabile tecnico è Graziano Bertuzzo. Fabio Sebastiani è il primo istruttore della scuola ad aver completato il percorso Master in Culinary Nutrition. metodologia didattica

Il 50% delle ore è dedicato alla pratica in cucina. Il restante 50% è in aula per lo studio della nutrizione da applicare alla preparazione della pizza

materiali didattici

Durante il corso i docenti forniranno agli studenti materiali didattici relativi alla parte teorica di Culinary Nutrition e alla parte pratica attestato

Il corso prevede il rilascio di un attestato di partecipazione al corso “Pizza e Benessere”.

Per Informazioni ed iscrizioni 0521.1640539 o scrivere a info@cucinaevolution.it 0421 – 83148 oppure info@scuolaitalianapizzaioli.it


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Lo Staff della Scuola responsabile didattica e coordinamento attività:

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