anno XXXV 2024 maggio 05
Ab Mauri p. 49
Amodio Group p. 31
Arcabox p. 103
Casillo p. 43
Cuppone p. 21
Demetra p. 47
Di Marco Corrado Srl p. 85
Dr Shar p. 65
Ferrero p. 3
Cibus - Fiere Di Parma p. 114
Gi Metal p. 75
Galbani p. 116
Italforni p. 71
La Torrente p. 23
Millberg p. 95
Molino Agugiaro p.81
Scuola Italiana Pizzaioli Srl pp. 27, 109
Molino Cosma p. 91
Molino Grassi p.87
Molino Magri p. 55
Molino Naldoni p. 61
Molino Pasini p. 7
Rinaldi Superforni p. 41
Sacar Srl p. 99
Sanfelici Franco p. 115
Solania Srl p. 51
Sori' Italia p.2
Sitta p. 33
Industria Alimentare Tanagrina p. 37
Sunmix p. 9
Molecola p. 11
Vamparossa p. 57
— Sommario —
6
editoriale
di Antonio Puzzi 8 prima pagina a cura della redazione 10 gli eventi del mese a cura della redazione
Campionato
Mondiale della Pizza 2024. Le classifiche. a cura della redazione
28 34 12 16 Per una pizzeria relazionale. Accogliente. Etica. Inclusiva. di Antonio Puzzi 24 ristorazione domani Il Maître, questo quasi sconosciuto di Giampiero Rorato 38 Pinsa e Cocktail: un abbiamento possibile per un aperitivo?
I piatti più amati (e cercati) dagli Italiani di Giusy Ferraina (Solo) 4 Italiani su 10 leggono le etichette? di Domenico Maria Jacobone e Monica Pisciella
di Marco Montuori 44 La pizza revolution si fa con i cocktail di Giusy Ferraina
AZIENDE
4 pizza e pasta italiana maggio 2024
Vino, birra o cocktail per accompagnar la pizza? Per una storia del bere bene
di Giampiero Rorato
storie
Alcol e salute di Marisa Cammarano
storie di pizza Pizza è identità Giolina, Milano di N. C.
storie di pizza Pizza e Bistrot a Pompei Francesco Varnelli di N. C.
storie di pasta Lorenzo Cuomo, una stella "poco social" di Noemi Caracciolo
Torta Putàna
Elogio del recupero (e del senso di comunità) di Caterina Vianello
di Alfonso Del Forno
Dal Veneto un dolce che ha conquistato il mondo di Caterina Vianello
senza glutine Esiste una buona pasticceria senza
di Alfonso Del Forno
posta dei lettori Addio a Sergio Miccù
5 sommario
la
con
52
Birra oltre
pinta L’arte dei cocktail
la birra
58 Cocktail,
tutta
66 salute
una storia
italiana di Giusy Ferraina
100
104
dell’eccellenza del
in Italy a
106
110
Torna a Parma Cibus, il salone
Made
cura della redazione
glutine?
Ci
dei
112
76
lascia il “papà”
pizzaiuoli napoletani a cura della redazione
un libro al mese a cura della redazione le aziende informano Refrattari Valoriani p. 108
82
di pizza Giulia & Giulia, campionesse del mondo di Antonio Puzzi
88
92
96 Il
Tiramisù di Treviso
COLOPHON
Editoriale
Antonio Puzzi
Dicono che c'è un tempo per seminare / e uno che hai voglia ad aspettare […] / C'è un tempo negato e uno segreto / un tempo distante che è roba degli altri […] / C'è un tempo perfetto per fare silenzio, / guardare il passaggio del sole d'estate / e saper raccontare ai nostri bambini quando / è l'ora muta delle fate […] / Un attimo fotografato, dipinto, segnato / e quello dopo perduto via / senza nemmeno voler sapere come sarebbe stata / la sua fotografia.
Ogni bravo cuoco, ogni bravo pizzaiolo (ma –allargando il giro – potremmo dire: ogni persona) sa che c’è un tempo per ogni cosa e che il tempo dell’attesa è forse tra quelli più carichi di tensione e di emozione. È stato così il tempo del Campionato mondiale della Pizza di Parma: atteso e vissuto, segreto e manifesto, muto e chiassoso insieme. Perché il piacere dell’incontro si è mescolato, come di consueto, all’adrenalina della competizione. E, come ogni “alchimista” sa, il risultato finale non è affatto scontato.
In questo numero di Pizza e Pasta vogliamo ripercorrere, allora, i momenti più importanti del XXXI Campionato mondiale della Pizza: le vincitrici e i vincitori, le speranze, le paure, le delusioni, lo sguardo sul futuro con il Manifesto della Pizzeria relazionale. E, poi, vogliamo continuare a “mescolare emozioni”, parlando proprio di mixology e di nuove frontiere dell’abbinamento cibo/vino, sperando di incontrare la vostra approvazione.
Voglio concludere queste poche righe, però, ritornando sulla questione del “tempo”. Credo infatti ce ne sia uno che dovremmo imparare a conservare e a non lasciarci sfuggire: è il tempo della memoria che, insieme a quello dell’ascolto, è invece un tempo che stiamo perdendo, in quanto troppo concentrati su noi stessi, sui nostri bisogni, sui nostri desideri, per i quali non esitiamo a calpestare la dignità altrui. Auguriamoci, allora, che il nostro tempo splenda come quel “tempo sognato / che bisognava sognare”, di cui ci parla Ivano Fossati in una delle sue più belle poesie in musica.
Buona pizza e buona pasta a tutt*, nio
PIZZA E PASTA ITALIANA
Mensile di Pizza, Pasta, Enogastronomia e Cultura
Edito da PIZZA NEW S.p.A.
Autorizzazione Tribunale di Venezia n.1019 del 02/04/1990
Anno XXXV - n.5 maggio 2024 - Repertorio ROC n. 5768
DIRETTORE EDITORIALE DIRETTORE ONORARIO
Massimo Puggina Giampiero Rorato
DIRETTORE RESPONSABILE
Antonio Puzzi
PUBBLICITÀ
Caterina Orlandi
REDAZIONE
Via Sansonessa, 49 - 30021 CAORLE (VE) Tel. 0421/ 212348 - Fax 0421/81007 - E-mail: redazione@pizzaepastaitaliana.it www.pizzaepastaitaliana.it
PROGETTO GRAFICO
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— Mediagraf lab
DIGITAL PUBLISHING
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— Mediagraf lab
IN COPERTINA
illustrazione di Liubov Dronova
STAMPA MEDIAGRAF S.p.A.
Noventa Padovana (Pd)
COMITATO TECNICO E REDAZIONALE
Marisa Cammarano, Gianandrea Rorato, Caterina Vianello, Alfonso Del Forno, Luciano Cescon.
AFFILIAZIONI INTERNAZIONALI
Pete La Chapelle (N.A.P.O. - Pizza Today, U.S.A.), P.M.Q. Steve Green (U.S.A.).
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6 pizza e pasta italiana maggio 2024
LA FARINA CHE È UNA MERAVIGLIA.
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Molino Magri presenta la novità del 2024: MAGRI FREE Napoletana
Da sempre il lavoro di Molino Magri si caratterizza per un profondo spirito di innovazione nel settore dell’Arte Bianca convenzionale. Oggi, con la collaborazione di aziende leader nel settore Gluten Free, presenta MAGRI FREE Napoletana, una farina per panificati senza glutine, a base di mais, riso, fibre vegetali e lievito madre di mais.
MAGRI FREE Napoletana dona plasticità agli impasti, permettendo di eseguire stesure tradizionali e contemporanee a pizzaioli e panettieri.
L’impegno di Molino Magri si concretizza in questo prodotto, che non proviene da frumento deglutinizzato, non contiene latte e uova.
MAGRI FREE Napoletana si presta alla realizzazione di prodotti dall’alveolatura sviluppata, morbidi e dal gusto fragrante.
Molino Magri offre un prodotto nato per gli intolleranti, ma in grado di stupire il palato di tutti!
Celiachia, Fipe e
Aic insieme
per sensibilizzare, promuovere conoscenza e accogliere in sicurezza
FIPE-Confcommercio e AIC - Associazione Italiana Celiachia firmano a Roma un Protocollo d’intesa per lo sviluppo e la promozione di iniziative volte a diffondere una maggiore conoscenza della celiachia all’interno dei Pubblici Esercizi in Italia e garantire la massima attenzione e qualità nel servizio per i clienti con questa patologia.
FIPE e AIC, in particolare, si impegneranno per sensibilizzare le imprese associate alla Federazione ai temi legati alla celiachia e alla dieta senza glutine e per promuovere la conoscenza del programma AFC di AIC, quale utile strumento informativo di accoglienza in sicurezza per la salute della clientela celiaca e supporto per le imprese associate al sistema FIPE-Confcommercio nella strutturazione di un’offerta sicura e di qualità, che sappia valorizzare appieno la ricca varietà delle ricette gluten free. Un’iniziativa volta, inoltre, a mettere gli imprenditori a conoscenza delle azioni pratiche da intraprendere per garantire la massima sicurezza per la clientela celiaca riducendo e massimizzando gli investimenti dedicati.
Il Protocollo nasce dall’esigenza di fare in modo che chi soffre di questa malattia possa sentirsi a suo agio e al sicuro nel maggior numero di esercizi del Paese. L’indagine 2023 su Ristorazione e Celiachia, commissionata da AIC e realizzata da un’azienda specializzata in studi e ricerche di mercato, ha fatto emergere una serie di differenze sostanziali nell’approccio al servizio senza glutine tra i locali aderenti al programma Alimentazione Fuori Casa senza glutine (AFC) dell’Associazione Italiana Celiachia, rispetto a quelli non aderenti.
PRIMA PAGINA 8 pizza e pasta italiana maggio 2024
a cura della redazione
Gli eventi del mese
7
–10 maggio
CIBUS
Parma, Fiere di Parma
P iù di 3.000 brand presenti e una lista di attesa di 600 aziende. Sono più di 1.000 i buyer internazionali attesi e provenienti dai principali mercati obiettivo. Cibus - 120mila mq di superficie espositiva distribuita su 8 padiglioni - offrirà uno spaccato completo del settore alimentare italiano, presentando in fiera tutto il meglio dei principali settori dell’Agroalimentare Made in Italy.
20–22
maggio
TUTTOPIZZA
Napoli, Mostra d’Oltremare
Tuttopizza è la Fiera internazionale dedicata alla pizza e a tutti i professionisti Ho.Re.Ca. specializzati in quest’ambito. Un’occasione unica per tutti gli operatori del settore di aggiornarsi, confrontarsi e conoscere tutte le ultime novità che riguardano il mondo della pizza.
Per segnalare i tuoi eventi, scrivi a redazione@pizzaepastaitaliana.it
15–18 maggio
VENDITALIA
Rho, Fieramilano
Il più importante salone del vending italiano, una location ideale per fare business con 32.000 mq di superficie espositiva e oltre 300 espositori, di cui il 26% provenienti dai Paesi esteri. Venditalia 2024 porta a Milano la fiera della vendita automatica.
20 maggio Napoli, Mostra d'Oltremare
e27 maggio Bologna
LA CITTÀ DELLA
PIZZA - TOUR
ITALIANO
Le due ultime date per far conoscere la propria pizza arrivano a Napoli, durante Tuttopizza e a Bologna, in location da definire, per selezionare i 12 migliori pizzaioli che si sfideranno poi alla finale del Circo Massimo di Roma.
28–30
maggio
SPS ITALIA
Parma, Fiere di Parma
SPS Italia è la fiera per l'industria intelligente, digitale e sostenibile, riconosciuta come punto di riferimento per il comparto manifatturiero italiano: l’appuntamento annuale per conoscere nuovi trend e confrontarsi sui temi più sfidanti dell'automazione industriale.
10 pizza e pasta italiana maggio 2024
Dopo tre giorni di gare tra professionisti del settore, si è conclusa l'11 aprile 2024 la XXXI edizione del Campionato Mondiale della Pizza. Più di 1000 le gare disputate, oltre 700 i pizzaioli, 53 le nazioni che hanno gareggiato in 12 diverse categorie nella storica sede del Palaverdi di Parma. Con la sua area espostiva riservata ai Partner del Campionato e al Pizza World Forum, ha ospitato una serie di incontri tra professionisti della ristorazione. Ecco i vincitori delle varie discipline e le relative classifiche ufficiali
12 pizza e pasta italiana maggio 2024
CAMPIONATO MONDIALE DELLA PIZZA 2024 ECCO LE CLASSIFICHE
DEI
UFFICIALI
MIGLIORI PIZZAIOLI DEL MONDO 2024
1 .
2 .
3 .
Pizza World Championship Campionato Mondiale della Pizza 1000 GARE PIZZAIOLI NAZIONI IN GARA CATEGORIE 700 53 12 !
VICINI GIULIA
RIBERA NICOLAS
STAROPOLI NICOLA
NAPOLETANA STG
PIZZA CLASSICA 1 .
2 .
3 .
PIZZA
CARLETTI LORENZO
ORTIGOZA EZEQUIEL DAVID
RICCIARDI ADRIANO AURELIO 13
PIZZA IN TEGLIA
1 . SANCAMILLO DOMENICO
2 . SAVIANA ANTONIO
3 . PETRUCCI CHIARA
PIZZA IN PALA
1 . LA PORTA SALVATORE
2 . TIMONCINI LUIGI
3 . MILITI ANTONINO
PIZZA SENZA GLUTINE
1 . CONTE DANIELE
2 . MARCHINI MARIO
3 . ALVETI FABIO
PIZZA PIÙ LARGA
1 . PASINI DANIELE
2 . SUSZEK IRENEUSZ
3 . KAYA HASAN
PIZZAIOLO PIÙ VELOCE
1 . BONAZZA LUCA
2 . AMENDOLA GIUSEPPE
3 . IRACI ANDREA TRIATHLON
1 . FAYE ARNAUD
14 pizza e pasta italiana maggio 2024
PIZZA A DUE
1 . ● MICHELI CLARA
CON GIOVANNA ALBERTI
● DAMIANO ALESSANDRO
CON DANIELE CONTE
2 . GERON SOPHIE
CON PASCAL DI LORENZI
3 . HUMINSKI FIODAR
CON MIRKO D'AGATA
FREESTYLE
1 . TOLU FRANCIS
2 . SAURET QUENTIN
3 . TACHIKAWA TAKUMI
TROFEO HEINZ BECK
1 . DEDGJONAJ ERNEST
2 . GOBEO MATTIA
3 . RAIMONDO LAURENT
TROFEO HEINZ BECK
PREMIO SPECIALE MIGLIOR ABBINAMENTO AL VINO
1 . GOBEO MATTIA WORLD PIZZA TEAM
1 . TEAM LIGURI APUANI VERDI
WORLD PIZZA TEAM: PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA
1 . TEAM SIX WARRIORS
15
Per una pizzeria relazionale 3
Accogliente. Etica. Inclusiva.
16 pizza e pasta italiana maggio 2024
di Antonio Puzzi
3
Tre giorni.
Tre giorni per provare a mettere un punto, per costruire un percorso, per raccontare che “un altro mondo è possibile”. Tre giorni “senza giacca” ma in maniche di camicia, che vuol dire: tre giorni senza passerelle e relatori ma con tante compagne e compagni di lavoro.
Questo è stato quest’anno il “Pizza World Forum” (nato nel 2019 da un’idea di David Mandolin) e curato da “Pizza e Pasta Italiana” per il “XXXI Campionato Mondiale della Pizza” di Parma.
In questi tre giorni, abbiamo provato a parlare con chi pensa che urlare e fare guerre (non solo negli scenari bellici mondiali in costante aumento ma anche sui luoghi di lavoro e nelle relazioni interpersonali) non sia l’unico modo di vivere.
Anzi, che questo sia forse il peggiore. Ecco perché ci siamo occupati di differenze e identità di genere, razzismo, impegno sociale, diversabilità, riconoscimento della professionalità dei pizzaioli, inclusività e convivialità negli incontri che sono andati sotto il titolo generale di “Diversamente Pizza”. Per far capire come sono nati gli appuntamenti di quest’anno, credo sia necessario tornare indietro a marzo 2020 quando,
Iall’alba del Covid, ricevetti una telefonata da un uomo straordinario, della cui amicizia mi sono onorato. Mi disse che non se ne poteva più del marketing urlato e bellicoso e che, per questo, stava provando a far penetrare nella contemporaneità quello che riteneva sarebbe stato il marketing del futuro, ovvero il marketing “relazionale”. Quell’uomo era Giuseppe Vignato, colui che – senza mezzi termini – ha rivoluzionato lo storytelling della pizza. Quella telefonata fu l’ultima che ebbi con lui, perché Giuseppe fu trovato morto qualche settimana dopo a causa di un arresto cardiaco.
17
RÈ pensando a lui che, dopo 4 anni, “Pizza e Pasta Italiana” ha voluto farsi capofila nella costruzione del Manifesto della pizzeria relazionale, un decalogo in 10 punti che trovate nelle pagine che seguono, costruito grazie alle riflessioni fatte tra il 9 e l’11 aprile a Parma con “compagni di percorso” che di pizza e comunicazione se ne intendono davvero, ovvero: Alfonso Pecoraro Scanio (già Ministro dell’Ambiente e dell’Agricoltura), il Senatore Bartolomeo Amidei, la chef Victoire Gouloubi; Antonio Pace, fondatore e presidente dell’Associazione Verace Pizza Napoletana; Barbara Nappini, Presidente di Slow Food Italia; Franco Manna, fondatore di “Rossopomodoro”; Alessandro Condurro, AD di “Pizzeria Da Michele in the World”; Carlo Fumo, autore e regista di “PizzaGirls” (ora in onda su Rai Italia e Rai Premium) e produttore televisivo e cinematografico; Anna Kauber, regista e paesaggista; Pierluigi Simmini, head sales manager di “Too Good To Go - Italia”; Riccardo Agugiaro, AD di “Agugiaro & Figna Molini” e Romolo Verga, AD di “Demetra Food”. Insieme a loro, le pizzaiole e i pizzaioli che hanno offerto il proprio contributo sono stati: il decano dei pizzaiuoli napoletani
Antonio Starita, già Vicepresidente dell’Associazione Pizzaiuoli Napoletani; Corey Watson, ideatore del progetto “Pizza for Ukraine”; Francesca Gerbasio, chiocciola di “Osterie d’Italia” di Slow Food Editore; Salvatore Lioniello, Frank Cavaliere, Giuseppe Lucia, Pino Longo, Giulia Zanni, Francesca Calvi e Stefano Callegari. Consentitemi di dire: un vero “parterre de roi”! Ecco perché ringrazio pubblicamente e personalmente la redazione di “Pizza e Pasta Italiana” che, durante la serata delle premiazioni, ha presentato la sintesi dei lavori della tre giorni sul palco del XXXI Campionato Mondiale della Pizza.
Sono dunque felice di presentarvi il “Manifesto della Pizzeria relazionale”, sperando che, almeno in qualche punto, Giuseppe, abbiamo onorato la tua memoria.
Buona pizza a tutt*!
18 pizza e pasta italiana
2024
maggio
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Pizza e Pasta Italiana
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1
Scaricala subito!
2 3
MDedicato a Giuseppe Vignato
Manifesto pizzeria relazionale della
Premessa
La pizza nasce da un suolo fertile, esprime la biodiversità del territorio e racconta la storia delle popolazioni che lo abitano. La pizza è sintesi culturale e umana dei nostri territori. La pizza è identità da raccontare e in cui riconoscersi.
01
STORIE | La pizzeria relazionale è luogo di storie.
Ogni pizza è una storia, un’idea, una persona, un valore, un paesaggio: è memoria.
02
CONSAPEVOLEZZA | La pizzeria relazionale è consapevole.
Ha rispetto e si pone all’ascolto del passato, avendo coscienza del presente.
03
CONOSCENZA | La pizzeria relazionale è luogo di conoscenza.
Si nutre di tecnica, di saperi e di curiosità. Può e deve essere luogo di cultura e conoscenza delle materie prime, del territorio, della loro storia e del loro valore.
20 pizza e pasta italiana maggio 2024
04
SOSTENIBILITÀ | La pizzeria relazionale è “zero sprechi” e contrasta gli effetti del cambiamento climatico.
Mette al centro della propria identità la riduzione degli sprechi, evitando il consumo inutile di ingredienti e risorse preziose, compiendo azioni positive attraverso il bilanciamento delle risorse energetiche utilizzate.
05
ACCESSIBILITÀ | La pizzeria relazionale è accessibile.
È un luogo inclusivo, accogliente ed accessibile a tutte e a tutti, dai dipendenti ai fruitori, grazie all’abbattimento delle barriere socioeconomiche, oltre che architettoniche.
06
LINGUAGGI | La pizzeria relazionale parla la lingua del pensiero, delle emozioni e della tecnologia.
Riduce le barriere di comunicazione e facilita l’espressione delle emozioni, anche attraverso l’uso di tecnologie inclusive.
07
DIVERSITÀ | La pizzeria relazionale abbatte le barriere e accoglie le diversità.
Pone al primo posto la conoscenza e la gestione delle materie prime, tenendo conto delle scelte alimentari dettate da religione, etica e ben essere.
CONNESSIONE | La pizzeria relazionale è connessione
È luogo in cui coltivare relazioni reali e favorire l’interazione tra le persone. È ponte per creare con altri nel mondo un’esperienza di condivisione dello spazio e dei sapori: la pizza è vicinanza. 10
FUTURO | La pizzeria relazionale costruisce il futuro
Lo immagina e lo anima secondo i principi dell’accoglienza, dell’etica e dell’inclusione.
08
RISPETTO | La pizzeria relazionale ha rispetto.
Rispetto dei dipendenti e dei collaboratori, rispetto dei fruitori e di tutti gli attori della filiera, rispetto delle identità di genere: la pizzeria relazionale ha infiniti colori.
La pizzeria è il format della relazione: trasversale, capace di parlare a tutti e – nel contempo – evoluzione alta di un concetto che trova nel connubio con la cucina la sua massima espressione gastronomica, culturale ed esperienziale. La pizza di oggi contribuisce a sognare e costruire un domani migliore.
Parma, giovedì 11 aprile 2024
22 pizza e pasta italiana maggio 2024
G
09
Sarà un anno da leccarsi i baffi. C’è una ghio�a novità che darà più sapore al nuovo anno, un calendario che porterà la giusta nota di colore. Tante idee da assaporare ogni mese con i nostri dodici “Ar�s� della pizza”. Maggio è stato dedicato al nostro caro pizzaiolo Giuseppe For�no che con la sua pizza “la mia capriccio 2.0” ha lasciato tu� a bocca aperta.
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scopri di più il buon pomodoro italiano
tisti della pizza”.
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“Gli
Ristorazione domani
IL MAÎTRE QUESTO QUASI SCONOSCIUTO
di Giampiero Rorato
24 pizza e pasta italiana maggio 2024
A
bbiamo quasi dimenticato questa figura fondamentale e immancabile nei ristoranti dei grandi hotel internazionali, molto numerosi anche in Italia, nelle città più importanti e nei luoghi di vacanze, che siano al mare, al lago o in montagna. Ma chi è e che compiti ha il maître? E le pizzerie sono forse escluse dall’avere un maître?
LA FIGURA E I COMPITI DEL MAÎTRE
DIVENTARE MAÎTRE?
Il maître è il personaggio più importante che opera in sala da pranzo. Si tratta solitamente di una persona che ha iniziato come cameriere e poi è stato promosso diventando “capo dei camerieri”. I suoi compiti sono presto detti: – controlla la sala per assicurarsi che tutto sia in ordine; che sia pulita; che la mise en place sia perfetta; che le Carte dei piatti e dei vini siano aggiornate e in ordine (elimina quelle vecchie, sporche o sgualcite); che acqua e vini siano alle giuste temperature (anche se questo compito appartiene al sommelier se c’è); – controlla, prima del servizio che i camerieri ed eventualmente altro personale (hostess di sala, chef de rang , commis di sala, sommelier) siano in perfetto ordine nella persona e ciascuno abbia chiaro il lavoro da svolgere; quindi, dirige il loro lavoro durante il servizio; – insegna ai giovani appena assunti come comportarsi; – organizza prima del servizio, quando
Per diventare maître non serve un particolare titolo di studio, basta aver assolto l’obbligo scolastico ed essere portati per la professione. In passato, è stato quasi sempre così, per cui il giovane che iniziava il lavoro come cameriere, imparava la professione guardando il lavoro dei più anziani e poi il titolare o il direttore dell’hotel o del ristorante,
necessario, dei briefing, se ci sono novità o varianti rispetto al giorno prima… o anche per dei richiami collettivi per migliorare il servizio; – provvede personalmente a presentare la Carta dei piatti e quella dei vini;
– riceve e saluta i clienti;
– in caso di turni del personale, provvede ad assegnare a ciascuno il proprio orario di lavoro che può ruotare settimanalmente. Nell’assolvere a queste incombenze, il maître può farsi aiutare da suoi collaboratori scelti tra i camerieri più anziani. In sintesi: il maître garantisce, con la sua cultura professionale e la sua esperienza che tutto funzioni al meglio e, in caso di qualche inconveniente (es. cade a terra un bicchiere, un tovagliolo, una posata, ecc. oppure qualche cliente si sente male), provvede immediatamente anche allertando gli aiuti necessari; li gestisce con accortezza, mettendo il personale il più possibile a proprio agio (così collabora sicuramente meglio).
quando lo vedeva maturo gli assegnava il compito di “capo dei camerieri”, cioè “maître di sala”.
Questo in passato. Attualmente molti maître hanno frequentato una Scuola o Istituto Alberghiero, hanno una buona cultura professionale, compresa – cosa oggi fondamentale – la conoscenza di un paio di lingue.
25
Ristorazione domani
LE NUOVE ESIGENZE
Nei locali più importanti oggi si pretende qualcosa in più, come l’aver frequentato dei master universitari o parauniversitari per conoscere meglio i molteplici compiti di un maître moderno, che deve avere un aspetto accattivante, pronto a sorridere ai clienti, contribuendo a creare un ambiente rilassato e tranquillo; deve conoscere tutto sui piatti in Carta con i prodotti impiegati; le caratteristiche dei vini
in Carta e il loro miglior abbinamento (anche se questo aspetto è molto soggettivo); la tecnica di comunicazione col cliente, le regole del pronto soccorso; le cose da vedere in città o nel luogo di villeggiatura, ecc. È chiaro che il maître moderno deve essere molto di più di un cameriere per quanto bravo: deve essere un serio e bravo professionista della ristorazione, pronto anche ad allungare il suo orario di lavoro quando serve.
IN PIZZERIA
Ci sono ormai ovunque in Italia – come del resto troviamo all’estero – delle pizzerie e delle pizzerie-ristorante con un buon numero di posti per cui serve chi organizza e controlla il personale. Storicamente, come abbiamo visto il mese scorso scrivendo proprio di pizzerie, le pizzerie tradizionali hanno una organizzazione famigliare, col marito o la moglie al forno e il/la consorte o altro famigliare alla cassa e al controllo del personale. Cosa diversa nelle pizzerieristorante, dove il lavoro è più complesso e spesso è indispensabile avere in sala un responsabile di solida professionalità,
DA NON DIMENTICARE
In Italia il turismo è in continua crescita e arrivano turisti stranieri anche nelle più sperdute pizzerie dell’Aspromonte, per cui la qualificazione dei locali è caratteristica essenziale e indispensabile per entrare da protagonisti nel mondo ristorativo di qualità. Chiaramente ciascun titolare si organizza in libertà come meglio crede ma esiste una scienza dell’ospitalità e non va ignorata. Poi, è vero che, qualificando meglio il proprio locale – ristorante o pizzeria che sia – crescono i costi ma,
cioè un bravo maître ben preparato ed esperto, capace di farsi intendere solo con gli occhi, senza aprir bocca. È vero che le pizzerie tradizionali sono ancora molto numerose e parecchie di queste hanno l’aspetto di veri e propri ristoranti, dove accanto alla pizza si servono altri piatti. Più si fa complesso il servizio e più si deve avere chi guida con competenza e precisione il personale perché, come ormai è noto a tutti, il personale e il suo modo di lavorare qualifica o squalifica un locale, per quanto bravi siano coloro che lavorano in cucina o davanti ai forni della pizza.
se la qualità presentata e garantita è alta e sicura, i pochi euro in più il cliente li spende volentieri e gli esempi anche nel modo della pizzeria sono numerosi, Un’ultima raccomandazione: il personale costa, certo, ma ogni lavoro ha una sua dignità e va rispettata. Trattando correttamente il personale - sia permanenti che stagionali - i titolari di ristoranti e pizzerie hanno tutto da guadagnare. Ne guadagna l’immagine del locale e l’economia di chi vi lavora.
26 pizza e pasta italiana maggio 2024
Via Monte Nero, 107 - Curtarolo (PD) +39 049 9624665 info@scuolaitalianapizzaioli.it Scegli il tuo futuro: diventa un pizzaiolo professionista! Visita: scuolaitalianapizzaioli.it
I pi atti più amat i (e cercati) dagli Italiani
Come
siamo cambiati in vent’anni
Esattamente 10 anni fa il sito del canale all news Cnn pubblica l’articolo “Italy’s 20 regions, dish by delicious dish”: si tratta di un viaggio gourmet alla scoperta dei piatti tipici regionali che, secondo l’emittente statunitense, sono specialità che rappresentano meglio di qualsiasi altra cosa il territorio e la sua storia. Le pietanze individuate in questo tour italiano sono quelle più classiche e rinomate: tortelli per l’Emilia-Romagna, frico per il Friuli-Venezia Giulia, pasta con le sarde per la Sicilia, maccheroni con maiale, melanzane e ricotta salata e gli insaccati in genere per la Calabria, Làgane e ceci per la Basilicata e ovviamente la pizza per la Campania. E, ancora, lo strudel del Trentino, l’abbacchio del Lazio, la polenta della Valle d’Aosta e i bisi del Veneto. Tutti piatti storici, della tradizione, forse anche un po’ scontati e banali, che vengono visti all’estero come simboli vivi e tramandati di una cultura del cibo, che non è solo italiana, ma che deve appartenere a
tutti. A distanza di dieci anni, la tendenza delle classifiche dei piatti italiani non è passata e per questo 2024 Preply, piattaforma digitale di corsi di lingua, ci propone una nuova classifica stilata dopo un’indagine online che ci svela quali sono i piatti più cercati sul web e quelli più popolari delle nostre 20 regioni.
La sorpresa?
Non ci sono solo la pizza e la pasta tra i piatti più amati degli italiani come accadeva dieci anni fa.
Due icone del nostro paese, della nostra storia e anche di ciò che per noi è il concetto di tavola e convivialità.
L’Italia ha una grande storia enogastronomica, fatta di incursioni e dominazioni, di contaminazioni, di biodiversità che hanno dato vita a
di
28 pizza e pasta italiana maggio 2024
Giusy Ferraina
innumerevoli ricette, entrate a pieno titolo nella cosiddetta tradizione e farne vincere una non è cosa semplice. E sono quelle stesse ricette che oggi ritroviamo in ristoranti fine dining e come condimento di molte pizze contemporanee, che sono scomposte, rivisitate, destrutturate ma che prendono sempre e comunque ispirazione dalla reminiscenza di un sapore. Il podio di questa classifica di gradimento vede la Sicilia al primo posto con la Pasta alla norma che registra 74.000 ricerche on line, seguita da Campania e Lazio con - rispettivamente - Gnocchi alla Sorrentina e Saltimbocca alla romana con 49.500 ricerche entrambe. Stesso risultato, che potremmo definire ex aequo per il Lampredotto in Toscana, mentre con 40.500 ricerche si contendono il terzo posto i canederli e la caponata.
Leggendo la top ten (e qualche posto più giù) troviamo i piatti più celebri delle varie regioni,
quelli che anche nelle altre zone d’Italia e all’estero vengono cercate: Bagna Cauda, Arrosticini, Pasta patate e provola, Tortellini e Gnocco fritto, continuando con Cotolette alla milanese e Culurgiones, Carciofo alla giudia, Risotto alla Milanese, Frico e Ribollita che registrano tra i 27 e i 22 mila click. Scendiamo a 18.500 ricerche per Pizza fritta, Carbonara, Baccalà alla vicentina, Coniglio alla ligure e Spatzle. Più si scende con i numeri e più i piatti diventano sempre più locali e, al fondo della classifica, compaiono pietanze popolari quali Rafanata lucana (detta anche il tartufo dei poveri), il Morzello (Calabria), le Pampanelle (Molise) e le Mazzarelle (Abruzzo). In questo scenario, nonostante la prevalenza nelle
ricerche globali dei Canederli, sono i Tortellini ad affermarsi come il piatto più cercato in numerose regioni italiane. Al Sud, al secondo posto si posiziona il Riso con patate e cozze, simbolo di Bari con 14.800 click e infine al terzo posto la Pampanella molisana (2.900), vera star dello street food regionale, mentre al quarto le
Patate mpacchiuse (2.400) della Calabria, denominate così in dialetto calabrese per definirle “appiccicate”. Infine, al quinto e ultimo posto troviamo la Pasta con Peperoni Cruschi (480) della Basilicata. Capitolo a parte le isole, dove troviamo al primo posto la siciliana Pasta alla norma (74.000) e al secondo i Culurgiones (27.100) sardi.
Classifica finale dei piatti regionali più cercati sul web
REGIONE PIATTO VOLUME DI RICERCA Sicilia Pasta alla norma 74.000 Campania Gnocchi alla sorrentina 49.500 Lazio Saltimbocca alla romana 49.500 Toscana Lampredotto 49.500 Sicilia Caponata 40.500 Trentino Alto Adige Canederli 40.500 Piemonte Bagna Cauda 33.100 Abruzzo Arrosticini 27.100 Campania Pasta patate e provola 27.100 Emilia Romagna Tortellini 27.100 Emilia Romagna Gnocco fritto 27.100 Lombardia Cotoletta alla milanese 27.100 Sardegna Culurgiones 27.100 Friuli Venezia Giulia Frico 22.200 Lazio Carciofi alla giudìa 22.200 Lombardia Risotto alla milanese 22.200 Sicilia Arancini 22.200 Toscana Ribollita 22.200 Campania Pizza fritta 18.100 Lazio Carbonara 18.100 Trentino Alto Adige Spatzle 18.100 Valle d’Aosta Polenta concia 18.100 Veneto Baccalà alla vicentina 18.100 Liguria Coniglio alla ligure 14.800
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Una classifica che desta curiosità nei suoi risultati.
Pizza, arancini e carbonara li avremmo dati per scontati e invece, se presenti, sono a metà classifica, con una carbonara sorpassata dai saltimbocca alla romana, che per di più pare abbiano radici nella zona del bresciano e non nella Capitale come il nome stesso ci farebbe pensare.
Vince
sempre la tradizione
Di questa ricerca fatta non ci interessa tanto sapere con quale percentuale di ricerca e in quale zona si concentrino maggiormente i click, considerato che ci sono piatti tipici meno conosciuti che vengono ricercati solo nella regione di appartenenza, mentre i piatti più famosi hanno una diffusione più ampia e sicuramente la percentuale di ricerca maggiore arriva da fuori regione. Per esempio, analizzando i dati di Google Trends, risulta evidente che il risotto detiene il titolo di piatto più ricercato in numerose regioni italiane – con una percentuale di ricerca altissima in Basilicata.
Così come il dato interessante riguarda la predominanza di ricerche per il classico pugliese Riso, patate e cozze in Valle d’Aosta, molto lontana dalla regione di origine. Sempre su Google Trends, assistiamo a una lotta testa a testa tra la Bagna cauda e la Cotoletta alla milanese. La Bagna cauda conquista il Nord, imponendosi anche in Sardegna e Calabria, mentre la Cotoletta alla milanese, oltre a Lombardia e Trentino, risulta particolarmente
forte al Sud, con più ricerche in Basilicata rispetto alla stessa Lombardia. Vittorie locali per il Coniglio alla ligure e per la Polenta concia, che si affermano solamente nelle rispettive regioni di origine.
Possiamo ipotizzare che l’interrogazione fatta su Google dagli utenti sia dettata dalla curiosità,
30 pizza e pasta italiana maggio 2024 REGIONE PIATTO VOLUME DI RICERCA Puglia Riso patate e cozze 14.800 Puglia Bombette pugliesi 14.800 Lombardia Casseola 12.100 Sardegna Malloreddus 12.100 Toscana Caciucco 12.100 Liguria Brandacujùn 9.900 Puglia Orecchiette cime di rapa 9.900 Veneto Sarde in saor 9.900 Marche Olive ascolane 8.100 Veneto Risi e bisi 8.100 Emilia Romagna Piadina romagnola 5.400 Liguria Trofie al pesto 5.400 Sardegna Pane frattau 4.400 Piemonte Agnolotti del plin 3.600 Umbria Tagliatelle al tartufo 3.600 Molise Pampanella 2.900 Calabria Patate mpacchiuse 2.400 Abruzzo Fiadoni 1.900 Umbria Cinghiale alla cacciatora 1.900 Calabria Morzello 1.600 Abruzzo Mazzarelle 1.300 Basilicata Pasta con peperoni cruschi 480 Valle d’Aosta Zuppa alla valpellinese 480 Basilicata Rafanata 320
Cotoletta alla milanese
Coniglio alla ligure
dalla ricerca di informazioni di turisti che vogliono trovare i posti dove mangiare quel piatto o vogliono scoprire i piatti tipici della regione che andranno a visitare. O più semplicemente dalla voglia di rifare a casa quella ricetta. Motivi svariati che però riconducono ad una sola risposta: la tradizione e la tipicità non muoiono mai, anzi continuano a destare interesse.
Se alle volte si discute sul fatto che la cucina tradizionale possa cedere il passo al gourmet, complice di questa credenza le guide e le stelle, i programmi televisivi, gli chef sempre in bella mostra con i loro piatti con nomi lunghi tre righe sul menu, state certi che la tradizione non può morire.
Anche perché affermare che la tradizione stia morendo è un po’ un ossimoro. La tradizione è sempre viva e si rinnova, si riadatta ai tempi, portando con sé il vecchio. È come il DNA che, di generazione in generazione, in una stessa famiglia, cambia, si rinnova con l’inserimento del nuovo, con delle contaminazioni genetiche ma continua a trasportare il passato. La tradizione in cucina funziona allo stesso modo, i piatti di
ieri sono attuali anche oggi, sono onnipresenti nei nostri menu (se la materia prima è disponibile) ma si adattano ai tempi, ai nuovi metodi di cottura, a nuove forme di produzione, anche a nuovi sapori decodificati e adottati. Sicuramente la tradizione è rassicurante, perché è conosciuta, perché sappiamo interpretarla ma soprattutto perché non delude, soddisfa il gusto, gli occhi, il palato. Ma, per fare la tradizione, riproporla o anche interpretarla bisogna conoscerla, avvicinarsi ad essa con rispetto, studiarla, farla propria e poi ridarle vita in un piatto, qualunque esso sia, da nord a sud del nostro Paese, senza togliergli identità. La tradizione è essa stessa portatrice di identità: la sua scomparsa è un falso mito o una paura infondata e le classifiche del 2014 e del 2024 ci fanno capire come cambiano le generazioni, i palati, i consumatori e i loro comportamenti e conoscenze ma la cucina italiana e i suoi piatti tipici sono nel cuore di tutti.
Baccalà alla vicentina
Gnocchi alla sorrentina
Riso patate e cozze
Patate mpacchiuse
Pasta alla norma
C’è chi ama certi piatti di un amore ereditato e tramandato in famiglia, per cultura e appartenenza e c’è chi invece vive la tradizione come scoperta, la indaga e ne conferma l’importanza e il suo essere “evergreen”.
Una riscoperta delle radici e un ritorno alle origini, sempre più forte, che condiziona la ristorazione anche nei suoi format.
Perché la tradizione non passa di moda, va dritta ben oltre la moda e le classifiche.
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Polenta concia
Bagna cauda
Canederli
Tortellini
Lampredotto
Saltimbocca
Culurgiones
Arrosticini
Pampanella
Rafanata
Olive ascolane
Frico
(Solo)
4 Italiani su 10 leggono le etichette?
di Domenico
Maria Jacobone e Monica Pisciella
Analizzare dati e trarne delle riflessioni è diventata una necessità imprescindibile e, per meglio interpretare questo dato riportato in un comunicato stampa, ho letto il quattordicesimo (ed ultimo) rapporto dell’Osservatorio “Immagino”. Per comprendere meglio di cosa si occupa, cercheremo di sintetizzarne le funzioni: l’Osservatorio “Immagino” di GS1 Italy è lo studio semestrale che analizza le abitudini di consumo degli italiani, incrociando le informazioni riportate sulle etichette dei prodotti di largo consumo digitalizzate dal servizio Immagino di GS1 Italy Servizi (oltre 100 variabili tra ingredienti, tabelle nutrizionali, loghi e certificazioni, claim e indicazioni di consumo) con le rilevazioni NielsenIQ sul venduto in supermercati e ipermercati italiani. La quattordicesima edizione monitora l’andamento di 136.686 prodotti venduti nella grande distribuzione italiana tra luglio 2022 e giugno 2023.
La quattordicesima edizione dell’Osservatorio
“Immagino”è scaricabile gratuitamente dal sito osservatorioimmagino.it
Nel dettaglio, ho avuto il piacere di intervistare Samanta Correale, Business Intelligence Senior Manager di GS1 Italy che ci ha rilasciato le seguenti dichiarazioni: “L’Osservatorio Immagino rappresenta da oltre 7 anni un patrimonio informativo preziosissimo perché individua i driver che muovono le scelte di acquisto e di consumo degli italiani e ne segue le evoluzioni nel tempo, dalle mode passeggere ai fenomeni più strutturali. E lo fa con un metodo innovativo, leggendo le etichette dei prodotti (ovvero analizzando le informazioni di prodotto messe a disposizione dai produttori e correlandole
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con le scelte di acquisto dei consumatori) e con l’approccio precompetitivo proprio di GS1 Italy, condividendo informazioni di scenario utili ad aziende, terze parti, istituzioni e consumatori. Secondo l’indagine commissionata a Ipsos per la quattordicesima edizione dello studio, il 94% degli Italiani legge le etichette dei prodotti mentre fa la spesa e anche a casa (oltre alle date di scadenza, controllano ingredienti e valori nutrizionali, provenienza, indicazioni sulla salubrità dei prodotti e sullo smaltimento del packaging), confermando che le etichette sono un mezzo potentissimo e che le scelte di acquisto e consumo sempre più consapevoli
e attente. Secondo le analisi dell’Osservatorio Immagino, l’italianità resta uno dei principali fenomeni di consumo, sebbene non immune alla revisione della spesa dettata dalle dinamiche inflattive che stanno tuttora impattando sul potere di acquisto delle famiglie (solo i prodotti con certificazione Dop sono riusciti a mantenere volumi stabili).
Altro trend interessante, capace di resistere alla prova dell’inflazione, riguarda l’attenzione per una dieta sana che si legge nella crescita a valore e volume dei prodotti con “pochi zuccheri” o “senza zuccheri aggiunti” e di quelli con “proteine”.
Samanta Correale, Business Intelligence Senior Manager di GS1 Italy
L’etichetta rappresenta per il consumatore una sorta di DNA del prodotto, una fonte preziosa di informazioni per il consumatore consapevole. Contiene dettagli essenziali come la denominazione dell’alimento, l’elenco degli ingredienti, la data di scadenza e le indicazioni su allergeni e intolleranze. Leggere attentamente l’etichetta permette di fare scelte consapevoli in fase d’acquisto, tenendo conto di aspetti nutrizionali, salutistici e di sostenibilità.
Dai numeri letti, però, solo il 42% degli italiani legge con attenzione le etichette di tutti o quasi tutti i prodotti. Il restante 58% si divide tra chi le consulta solo per alcune categorie (53%) e chi le ignora completamente (6%).
Motivazioni e ostacoli
Tra le motivazioni addotte da chi non legge le etichette, la più frequente è la fiducia nella marca e nel prodotto (38%). Altri fattori includono la fretta (19%), la difficoltà di comprensione delle informazioni (12%) e la mancanza di interesse (16%).
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I prodotti più controllati
L’attenzione verso le etichette varia a seconda del prodotto. Tra quelli più controllati troviamo piatti pronti, salumi e formaggi confezionati, scatolame e prodotti freschi. Cresce anche l’interesse per passate di pomodoro, tè, caffè e tisane, con rispettivamente il 60% e il 44% degli acquirenti che ne leggono l’etichetta.
Leggere le etichette è fondamentale per diversi motivi: consente di controllare ingredienti, valori nutrizionali e la presenza di allergeni. Permette di scegliere prodotti con un minor impatto ambientale e che rispettano determinati valori etici. Aiuta a confrontare prezzi e offerte, evitando acquisti impulsivi e favorendo scelte consapevoli.
Uno strumento utile per accedere ad informazioni aggiuntive è il QR code presente su molte etichette. Il 65% degli intervistati dichiara di conoscerlo e utilizzarlo, mentre il 24% lo conosce ma non lo usa. In merito a questo studio, Vittorio Vaccaro, conduttore televisivo afferma: “Leggere le etichette è particolarmente importante perché rappresentano il DNA del prodotto e ci offrono tutte le informazioni necessarie per scegliere se ac-
quistarlo o meno. L’attenzione e la consapevolezza in tema di spesa sono in crescita sia per motivi economici sia per motivi di salute”.
Vaccaro esprime anche 7 consigli per una spesa di qualità e attenta al portafoglio:
1. Pianificare gli acquisti: stilare una lista della spesa aiuta a evitare sprechi e acquisti impulsivi.
2. Confrontare prezzi e offerte: utilizzare app e siti web per confrontare prezzi e promozioni.
3. Attenzione agli allergeni: controllare sempre l’etichetta per la presenza di allergeni.
4. Acquistare prodotti sfusi: permette di risparmiare e acquistare solo la quantità necessaria.
5. Fissare un budget di spesa: aiuta a mantenere il controllo delle proprie finanze.
6. Favorire i prodotti di stagione: sono più freschi, convenienti e sostenibili.
7. Verificare sempre la scadenza: evita sprechi alimentari e permette di sfruttare le offerte su prodotti prossimi alla scadenza.
Posso concludere questo “viaggio” nell’etichetta alimentare con la considerazione che leggere le (retro) etichette è un atto di consapevolezza che permette di fare scelte di acquisto informate e responsabili. In un contesto di inflazione e di crescente attenzione alla salute e alla sostenibilità, questa pratica diventerà sempre più importante.
Come già letto e scritto più volte tra le pagine di questa rivista, riportare chiaramente i dati della provenienza degli ingredienti nel menù e magari allegare il QR code del produttore possono essere strumenti di maggiore interazione tra consumatore e produttore, ma anche qualificare il ristoratore in un’ottica di trasparenza, chiarezza ed inclusività.
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CO CK TAIL PINSA E
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di Marco Montuori
un abbinamento possibile per un aperitivo?
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Che lo chiamiate aperitivo o happy hour, è talmente un fenomeno di costume, diffuso e amato nel nostro Paese, che anche quest'anno sarà celebrato il 26 maggio.
Il rito del preserale va in scena con il World Aperitivo Day, l'evento che celebra e promuove il ricco patrimonio enogastronomico del nostro Paese.
La Pinsa Romana è all'altezza della situazione? Certo che sì! Se l'aperitivo rappresenta la passione italiana che unisce socialità e buona cuncina, la Pinsa Di Marco non è da meno: anzi è diventata un nuovo simbolo dell'italianità, dalla ristorazione gourmet allo street food, abbracciando tipologie di servizio e occasioni di consumo differenti, che permettono di gustarla dolce, salata o anche solo con un filo d'olio e un pizzico di fantasia, accompagnata da un drink fresco e colorato, come si addice alla stagione!
Via, quindi, al momento dell'incontro e delle chiacchiere in allegria davanti a un cocktail e a un morso di pinsa, che sia al bar o in altri locali, magari all'aperto. Finite le riunioni virtuali dietro lo schermo, la voglia di socialità reale prende il sopravvento e condividere un'esperienza sana, semplice e a prezzi contenuti, torna in auge soprattutto in questa stagione.
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Questa è la vera opportunità per i ristoratori: offrire aperitivi che rispondano alle esigenze dei consumatori, sempre più attenti alla qualità del cibo e alla sua relazione con il benessere.
Stop ai classici aperitivi low cost accompagnati da fritti e cibi altamente processati: la crescente consapevolezza sull'alimentazione impone di dare più qualità ai clienti senza abbattere i propri margini.
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La pizza revolution si fa con i cocktail
di Giusy Ferraina
In principio era la pizza con la birra, poi arrivò il vino che fece storcere il naso a tanti (e, nonostante se ne parli già da un po’, ancora molti non sono tanto convinti) e infine venne il tempo dei cocktail.
Ed è proprio con l’abbinamento dei miscelati che arriva la vera rivoluzione nel concetto di pizzeria. Una rivoluzione lenta che sta prendendo forma e trova conferma in molti locali, forse con più attrazione da parte dei clienti che hanno ben compreso come un cocktail ben bilanciato può esaltare infiniti tipi di pizza, regalando al palato addirittura una maggiore complessità. Si ridefiniscono così il gusto e il servizio ma con la stessa identità. Tutto ha inizio ben dieci
anni fa, anche se la moda del gin tonic è abbastanza recente. Siamo a Milano e il “Dry” in via Solferino decide di mettere il bancone e il suo bartender in primo piano e farli diventare protagonisti assoluti. I forni si nascondono e la pizzeria perde le sue connotazioni classiche per trasformarsi in un club. Si apre una nuova era, che combina la tradizione della pizza napoletana al sofisticato universo dei cocktail in un mix innovativo e irriverente come ci spiega Lorenzo Sirabella, al timone del locale dal 2018 insieme a Edris Almalat: «Dry è stato il primo locale nel 2013 a portare sulla scena gastronomica la combinazione “Pizza&Cocktail”, fino ad allora impensabile, mettendo insieme la tradizione a una proposta così internazionale, da risultare intrigante e dirompente. L’idea è nata dalla volontà di elaborare una proposta
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gastronomica che risultasse conviviale, divertente, poco formale, ed ecco che la pizza trova il giusto compimento nel cocktail agevolando un tipo di esperienza adatta alla condivisione al bancone. Ci siamo subito resi conto di aver tracciato una nuova direzione in un contesto sempre sfidante come quello milanese».
Un approccio metabolizzato velocemente dal pubblico milanese che come ci spiega Lorenzo:
«All’inizio con curiosità hanno accolto subito questa nuova idea e oggi, dopo quasi 11 anni, con il tempo e con il moltiplicarsi di esperienze analoghe, la nostra sfida è mantenere quell’elemento di immediatezza e contemporaneità che rende “Dry” un luogo unico, un luogo di contaminazione, ricercato ma immediato. Tra le richieste più frequenti, c’è il nostro signature dish, la focaccia con vitello tonnato in menù dal primo anno, e la pizza con piennolo giallo abbinata al classico French 75 o
Hibiscus Margarita, tra i nostri best seller. Mentre tra i cocktail più gettonati c’è il Vintage Negroni, i clienti più curiosi e sperimentatori amano provare le novità della nostra drink list, sempre diversa, che sposa la filosofia “zero spreco” privilegiando il riutilizzo di tutti gli elementi. Basti pensare al Loud Mule, dove si ri-utilizzano gli asparagi o Shaving Foam dove proponiamo il latte di bufala». Prima di lasciare Lorenzo Sirabella del “Dry” a Milano ci facciamo dire qual è il suo abbinamento del cuore: “Una pizza che trovo semplice e gustosa è la “Provola&Pepe”, con provola di bufala affumicata con pepe nero di Sarawak, una variazione che restituisce un sapore più tondo e pungente dove ci abbino il nostro Hibiscus Margarita con Tequila, Mezcal, Cordiale di Ibisco e lemon grass”. Oggi sono numerosi i locali che propongono l’abbinamento pizza-cocktail offrendo una drink list studiata ad hoc sulle loro pizze anche con variazioni stagionali sul
tema. E, proprio per capire quanto si siano radicati questo abbinamento e questa nuova visione del mondo pizza, che noi di “Pizza e Pasta Italiana”, partendo da Milano, abbiamo deciso di fare un veloce tour, toccando alcune pizzerie in diverse regioni.
Nella non distante Torino, ecco “Fuzion Food”, il ristorante di Domenico Volgare, in collaborazione con Michele Marzella, bartender, spirits consultant e liquor producer che proprio lo scorso mese si sono esibiti insieme nel loro “Tonic Pizza”, dove si assiste e si degusta un insolito accostamento tra acqua tonica e pizza protagoniste di un menù appositamente realizzato per l’occasione e che loro definiscono «una nuova frontiera del pairing molto interessante per la complementarità dei sapori e i sofisticati spunti multisensoriali».
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Se le pizze sono semplici nelle materie prime scelte, la parte drink risulta molto ricercata e sofisticata. Un esempio?
L’Ameritonico a base di Ross, vino rosso, Neir, Bianc, Tonica basilico e bergamotto al fianco di una pizza fritta pomodoro e stracciatella.
A Novara abbiamo scoperto
“Alchemiae Pizza & Bistrot” di Luca Mendozza.
Qui troviamo una vera e propria cocktail-bar workstation fornitissima per creare miscelati classici ma anche personalizzati ad hoc per tutte le pizze in carta, che sono di stile napoletano classico o nella versione “a ruota di carro”, tutte sempre adattate al territorio. Come ci racconta Luca Mendozza: «Penso che la pizza non può essere pensata solo con la classica birra o con un vino rosso o bianco, si può fare di più e le tipologie di pairing sono tanti e anche divertenti a partire dalle bollicine fino alla mixology. Qui da “Alchemiae”
non c’è una drink list particolare, mi affido ai classici cocktail con una particolare attenzione al GinTonic che amo per le sue sfumature e che mi piace abbinare alle mie pizze per assonanza o per contrasto alle botaniche protagoniste. Uno degli abbinamenti più apprezzati, che può anche sembrare audace, è la pizza con acciughe del Cantabrico, tre consistenze di pomodoro e polvere di olive dal sapore molto intenso con note sapide e amare in pairing con un Gin Tonic alla ciliegia dove la parte dolce contrasta ed esalta ancora di più il sapore della pizza. Mentre la Margherita e la Provola e pepe, che io chiamo “Margherita 2.0”, mi piacciono abbinate con un Gin Tonic al pepe in cui si possono trovare gli stessi sapori amplificati. Questa cosa piace e a breve partiremo anche con percorsi degustazione con quattro diverse tipologie di pizze, includendo anche la pizza alla pala e il padellino con degli abbinamenti vino o cocktail studiati. Il mio segreto nel pairing perfetto è secondo
me la scelta della tonica, non prediligo sentori e aromi floreali ma scelgo qualcosa di più neutro possibile come un’acqua brillante che non copra il lavoro fatto dai bravi maestri distillatori».
Facciamo ora tappa in Versilia, da “Battiloro Fuochi Lieviti e Spiriti” a Querceta (Lucca), pizzeria di Gennaro Battiloro che nasce nel 2018 con l’idea di sviluppare questa formula di pairing. Un’idea, o meglio definirla una filosofia vera e proprio, che il nostro pizzaiolo comincia a coltivare durante le sue prime esperienze di viaggio e lavoro all’estero: «Mi capitava spesso, soprattutto nei Paesi del Sud America, di vedere bere Tequila, Mezcal e altre bevande alcoliche come accompagnamento naturale insieme al cibo tipico e folgorato da questa cosa, mi sono riproposto che se mai avessi avuto un mio progetto food quella era la prima cosa che avrei fatto. E così è stato. Da quando ho aperto la mia pizzeria qui in Versilia c’è in carta, nero su bianco, l’abbinamento consigliato tra la pizza e il drink».
Come dicevamo, quella di Gennaro è una filosofia coltivata, sperimentata e che nel tempo si è evoluta fino a concretizzarsi in un format creativo, che cerca sempre con estro l’equilibrio e l’armonia dei sapori, l’esperienza gustativa.
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«Per me proporre tutto ciò è una forma di espressione personale, sono una persona istintiva e cerco sempre di realizzare ciò che mi piace e che voglio raccontare di me, cercando di essere sempre comprensibile. Anche se all’inizio molti qui in zona mi davano praticamente del matto. Quello che voglio fare sono poche cose, semplici, dirette ma che sappiano dare sia “l’effetto wow” che riflettere il mio pensiero e l’identità del progetto “Battil’oro”. Per fare un esempio, tra le pizze in carta c’è la Pizza con l’ananas, dove l’ananas è trasformata in gelatina e si unisce con una salsa al vermouth chinato, olive taggiasche in polvere e del blu “Stilton royal”. L’abbinamento che consigliamo e che è il mio preferito è con il Pisco sour».
Arriviamo in Capitale, dove questo trend arriva con un po’ di ritardo ma si lavora alla grande per recuperare il gap e già da qualche anno sono nate pizzerie che scommettono sul format pizza-bar e che anche il pubblico dei pizza lovers apprezza.
Qui di esempi ce ne sono diversi, anche se da citare è sicuramente “Svario”,
originale pizza-bar dall’anima pop, che sottolinea con il suo grande bancone bar il matri-
monio d’amore tra mixology e pizza. La drink list di Dario Gioco è originale e costruita sul menu pizza creato stagionalmente da Gabriele Tomassetti. La peculiarità della carta dei cocktail è che tutti i drink sono stati studiati per essere abbinati in contrasto. «È una precisa scelta - spiega Dario - perché vogliamo che le materie prime selezionate e proposte da Gabriele sulle tonde siano esaltate nel gioco di sapori con il drink, in modo che ad ogni assaggio ci sia una nuova scoperta e la bevuta stimoli sempre il morso successivo». In carta, troviamo “Marchigiano”, a base di Campari, Genziana e Bergamotto, o ancora cocktail originali come il “The Dark side of Paloma”, con Mezcal, sciroppo mediterraneo, succo di barbabietola acidificato e soda al pompelmo, o “Another Brick in the Walnuts”, a base di Jameson whiskey, frangelico, orzata di noci e sherry px, limone e albume, mentre la pizza proposta è la classica romana scrocchiarella e sottile stesa al mattarello e per festeggiare il primo anno del locale Tomassetti introduce anche il padellino che sta conquistando Roma (e non solo). Tra i pairing consigliati, Gabriele ci svela il suo preferito: «Mi piace molto il Negroni o un Campari shakerato con la mia
focaccia con crema di rughetta, tartare di manzo al coltello, stracciatella di bufala e cipolla caramellata, un mix di sapori dal dolce all’amaricante per un viaggio di gusto».
E poi c’è “Crunch”, il cui nome richiama il morso della pizza romana sottile sui bordi che è la regina indiscussa.
Tante le proposte a menu di Davide Romano e Matteo Lo Iacono, giovane chef, che cura tutti i topping sempre stagionali e in continuo cambiamento. E ovviamente e di rigore tutti accompagnati da una drink list audace, ideata appositamente per esaltare al massimo il gusto dei topping e firmata dalla barlady Elisa Pelagalli, sempre pronta a consigliare il pairing ideale che, con maestria, miscela spezie, spiriti e aromi, per creare cocktail di basso tenore alcolico, con l’obiettivo di solleticare le papille gustative ed esaltare gusto e olfatto in un gioco di rimandi. Tra le pizze signature da evidenziare ci sono la “Carbotwist”, rivisitazione della mitica carbonara e la “Baciata club sandwich”, una pizza ripiena come uno dei più classici tramezzini d’hotel che possiamo
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abbinare rispettivamente ad un “Crunchymule” (vodka infusa alla salvia, sciroppo al rosmarino, lime, ginger beer, celery bitter) e ad un “American Beauty” (Campari, Vermut Bianco, Cointreau, Angostura, Orange).
La nuova guida “Pizza & Cocktail Bar” di Identità Golose premia per la categoria miglior abbinamento sul tema “Prisco Pizza & Spirits” a Boscotrecase (Napoli),
dove il talentuoso
Jack Prisco, bartender che già una decina di anni fa mette insieme questa combo, ama giocare con percorsi di degustazione di diversi spicchi di napoletana contemporanea e padellino con cocktail abbinati. Dalle pizze creative, vegetariane a quelle dolci ognuna ha il suo drink ideale come la pizza dolce in tre cotture, con farine di orzo, frumento integrale e riso, farcita con crema chantilly all’italiana e zenzero candito; in abbinamento il cocktail “Vecchio Ricordo”, un distillato analcolico di erbe aromatiche, liquo-
re Strega Alberti, sciroppo di nocciola tostata e Sanbitter al sambuco.Scendendo ancora più a Sud, ci fermiamo in Calabria, precisamente a Guardia Piemontese (Cosenza) da “Fermento - Pizzeria contemporanea” di Mattia Massimo che, oltre a fare un bel lavoro su impasti e oli d’oliva, propone a menu una serie drink con tanto di consiglio sul lievitato o lo sfizio da abbinare (e non il contrario). Qui si va dal Negroni e “Negroni Sbagliato” con una frittatina alla gricia per passare poi ai Gin Tonic e, tra questi, salta all’occhio quello a base del giapponese Roku Gin che si sposa con la “Quattro Formaggi e un fico”.
Drink list presente anche da “Bob Alchimia a Spicchi” a Montepaone (Catanzaro) che propone una carta dei Gin Tonic, il cocktail preferito di Roberto Davanzo sulla pizza in generale e una serie di cocktail signature che cambiano in base alle pizze e che diventano protagonisti dei loro eventi.
Da segnalare ”Alchimitz”, a base di Roger, prosecco, cordial bergamotto, mandarino, sedano e gassosa, che si sposa bene con le pizze dolci e che porta con sé buona parte del territorio calabrese.
Piccolo vademecum
Pizza & Cocktail
Se volete iniziare questo percorso di pairing con cui siamo sicuri vi divertirete molto, potete iniziare con gli abbinamenti dei classici per poi provare a osare. Si parte con il Gin Tonic, che si presta in modo trasversale all’abbinamento; in questo momento, è lui il re dei miscelati e con le sue varietà di botaniche si declina perfettamente su diverse pizze, come lo fa la bollicina quando parliamo di wine pairing.
◊ Primo classico assoluto è proprio Margherita e Gin Tonic che per la semplicità degli ingredienti crea una fusione di sapori unica. Sempre con la Pizza Margherita abbinamenti perfetti sono con Negroni e Daiquiri.
◊ Segue altro classico: la pizza Napoli o con le acciughe e origano che non sta male con un Gin Tonic, ma non delude nemmeno con un cocktail Martini dal sapore fermo e deciso.
◊ Con la pizza Vegetariana, il miglior abbinamento è sicuramente il fresco e deciso Moscow Mule, che si prepara con vodka, ginger beer e il succo di lime o anche in questo caso con il Daiquiri.
◊ La 4 Formaggi richiama lo Spritz, frizzante cocktail che alleggerisce il gusto così ricco del formaggio e rinfresca il palato.
◊ E infine, altra pizza iconica, la Salsiccia e bufala o salsiccia e friarielli che si sposa in moda naturale con un bel Negroni dal sapore secco e amaro, con la sua irresistibile nota agrumata.
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IL MIO SAN MARZANO www.solaniasrl.com Solania Srl solaniapomodoro Fosso Imperatore - 84014 - Nocera Inferiore (Sa)
Vino, birra o cocktail per accompagnar la pizza?
Per una storia del bere bene
di Giampiero Rorato
La pizza, cibo antichissimo, non si mangia da sola.
Ha bisogno di essere accompagnata da una bevanda.
Quale?
Si sa che la pizza è un cibo la cui storia si perde nella notte dei tempi e si sa che la sua base è un disco di pane. Ancor oggi, nel mondo arabo e tra i beduini del deserto, il pane è preparato con un impasto di acqua e farina di grano, con l’aggiunta, a volte, di un pezzo di pasta conservata dall’impasto di una settimana prima (pasta acida, detta anche lievito madre). L’impasto è trasformato in dischi sottili, cotti su pietre arroventate dal sole del deserto oppure, dopo averle ben scal-
date, accendendovi del fuoco sopra. Questo modo di fare il pane è fin dai tempi più antichi caratteristico dell’area mediterranea e si sa che oltre quattromila anni or sono l’Egitto era considerato il granaio per molti Paesi. La Bibbia di dice che, arrivata la carestia nella terra d’Israele, il patriarca Giacobbe (vissuto tra il II e il I millennio a.C.) mandò i suoi figli ad acquistare frumento in Egitto dove c’era abbondanza di questo cereale. Già allora, quindi oltre 3 mila anni fa, il pane era la base dell’alimentazione dei popoli mediterranei, considerato un cibo sacro.
Sappiamo che il frumento, conosciuto in Italia e a Roma solo dopo la metà del I millennio a.C. era già coltivato da secoli nella Mezzaluna fertile, dalla Mesopotamia (Iraq attuale) alla Turchia orientale, alla Siria e fino all’Egitto e che in questo territorio si mangiava il pane fatto come prima indicato.
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II pani farciti e le
bevande
Quegli antichi dischi sottili di pasta cotta erano il cibo di base per molte popolazioni e, col tempo, su quei dischi vennero posti altri alimenti, erbe crude e cotte, strati di formaggio, sughi di carne di animali cacciati, ecc. Queste preparazioni non erano ancora chiamate pizze ma ne erano le antenate. Naturalmente, questo cibo era accompagnato da bevande e la storia ci dice quali erano.
Innanzi tutto l’acqua, facilmente reperibile, a disposizione di tutti. Dunque, la prima bevanda che accompagnava queste antiche “pizze” era l’acqua. I popoli antichi – Ittiti, Assiri, Babilonesi, Caucasici, Anatolici, Caldei, Israeliti, Egizi – cominciarono presto a dividersi in categorie sociali, al vertice delle quali c’era il re e, alla base, gli schiavi e gli alimenti iniziarono subito a diversificarsi, anche se il disco di pane era uguale per tutti.
Ciò che cambiava era la farcia, sempre più ricca, varia e abbondante per le classi superiori, quasi solo pane per le classi povere.
La birra
La storia, grazie anche ai reperti archeologici, ci informa che le popolazioni della famosa Mezzaluna orientale – Ittiti, Assiri, Babilonesi – avevano inventato la birra, una birra ancestrale, densa, assolutamente non paragonabile all’attuale ed era la bevanda preferita dalle classi più elevate, mentre il popolo e gli schiavi continuavano a bere acqua anche quando mangiavano. La birra sembra sia stata inventata in Mesopotamia (attuale Iraq) oltre 5.000 anni fa ed era ampiamente diffusa anche nell’antico Egitto.
Sembra sia stata scoperta per caso, cercando, negli anni di grande produzione, di conservare i cereali - orzo e frumento - in cisterne di acqua e da qui si ottenne una bevanda fermentata poi conosciuta col nome di birra.
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Il
vino
Siamo ancora tra Preistoria e Storia ma sappiamo che in Egitto si coltivava la vite per ottenere una bevanda speciale per il Faraone e la casta dei sacerdoti che rappresentavano la classe più elevata che dominava sul popolo. Gli Egizi si specializzarono sia nella coltivazione della vite che nella produzione del vino, che conservavano in apposite anfore, ponendo su ciascuna un sigillo con indicato l’anno e il luogo di produzione. Si dice che gli antichi Egizi inventarono tre mila anni fa la prima Denominazione di Origine Controllata, proprio indicando su ogni anfora vinaria l’anno e il luogo esatto di produzione del vino contenuto, come si può vedere in numerosi affreschi trovati nelle tombe dei faraoni e di alte personalità di quel popolo. Sulle tavole delle classi nobili, arrivò dunque il vino per accompagnare i cibi, fra cui quei dischi di pane riccamente farciti che possiamo considerare, come ho già detto, le antenate delle pizze. Dunque “pizza e vino”, dopo “pizza e birra” delle popolazioni mesopotamiche e “pizza e acqua” dei primitivi e dei poveri.
Nei tempi moderni
I millenni e i secoli corrono veloci ma poco cambia nella cultura alimentare delle popolazioni mediterranee, anche perché la “globalizzazione” non è un fenomeno recente, c’è sempre stata. I popoli che non producevano grano o erano stati colpiti dalla carestia accorrevano in Egitto (dove il frumento era arrivato già nella preistoria dall’Altopiano Turanico); per condire i cibi e per ungere gli atleti andavano ad acquistare olio d’oliva in Grecia; la vite, originaria della Mezzaluna fertile trovò poi terre vocate in Grecia e in Egitto. E così, quell’antico disco di pane, poi variamente farcito, approdò in Italia attorno alla seconda metà del I millennio a.C.
(si dice che arrivò con Enea, il fondatore della futura città di Roma, fuggito dalla città di Troia in fiamme)
e, se inizialmente era abbinato all’acqua, poi alla birra, poi al vino, lo stesso avvenne a Roma e in Italia. La pizza, ormai aveva assunto una sua inconfondibile caratteristica, si sviluppò a Napoli e nel napoletano e, mentre il popolino l’accompagnava con qualche sorso d’acqua fresca, ci fu chi le accostò gli ottimi vini lì
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prodotti, gli antenati del Greco, del Fiano, del Falanghina, del Galluccio, dell’Asprinio ed era un bere signorile. Fino a tempi abbastanza recenti, infatti, la birra era scarsamente presente, per cui la bevanda più nobile e più diffusa era il vino.
Quando, attorno alla metà de secolo scorso, la pizza arrivò nel Nord Italia, al seguito delle migliaia di operai richiamati a Torino dalla Fiat, a Milano dall’Alfa Romeo, in Liguria dall’Ansaldo o in Veneto e Friuli Venezia Giulia dai ragazzi nel servizio di leva nelle tante caserme sorte vicino alla “cortina di ferro”, confine fra il modo libero dell’Occidente e l’URSS, successe che nelle nuove pizzerie per vendere il vino con la pizza serviva una apposita licenza di Pubblica Sicurezza, trattandosi di prodotto alcolico e, per ottenerla, passavano mesi. Tempi brevissimi, invece, per la birra e così si diffuse ovunque l’abbinamento “pizza e birra”. Dall’inizio di questo secolo, diversi clienti delle pizzerie hanno cominciato a chiedere un buon vino: nel Veneto, ad esempio, Prosecco, Soave, Lugana; in Friuli-Venezia Giulia, Prosecco o Ribolla. E così il vino ha iniziato ad essere presente accanto alle tante birre anche artigianali prodotti praticamente ovunque.
Poi, è arrivato il Covid con ristoranti e pizzerie chiuse o quasi ma anche questa pandemia, come le antiche pestilenze, è passata e sono nate nuove richieste. Ecco allora entrare in campo bevande diverse: gli Spritz, i cocktail leggeri e, addirittura, intelligenti creazioni di barman amici dei pizzaioli. Siamo agli inizi ma siamo anche in epoca di “cucina esperienziale”
e quale esperienza migliore, curiosa e interessante di nuovi accostamenti con la pizza, oltre a birra e vino?
Il futuro è cominciato e la pizza, questo antico piatto del popolo, sta dettando legge per la sua capacità di soddisfare i gusti più diversi ed esigenti, anche per quanto riguarda le bevande da accostare: prepariamoci dunque a vedere nelle pizzerie bevande colorate, leggermente alcoliche, anche a base di frutta, nella piacevole scoperta di gusti nuovi e, soprattutto, di nuove emozioni.
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Verso il futuro
di Giusy Ferraina
Il termine “aperitivo” deriva dalla parola latina “aperire”, che significa “aprire” ma bisognerà aspettare molti secoli prima di arrivare a quel concetto di aperitivo tanto amato dagli italiani, divenuto un rituale. Un momento di relax, un dopolavoro conviviale e rilassante o un “prima cena” stuzzicante, con un buon drink che solletica l’appetito e prepara lo stomaco. Se già nel 1300 si usava bere prima dei pasti delle bevande a base di erbe aromatiche distillate da monaci a scopo terapeutico, gli elixir, per facilitare la digestione e stimolare la fame, è verso la fine del XVIII secolo, con l’avvento del vermouth a Torino, che inizia l’era dell’aperitivo moderno. Prima di esso esisteva solo il rosolio, bevanda dolce e pregiata tra gli italiani, l’aperitivo preferito del Re Savoia e spesso servito proprio come “Aperitivo di Corte” agli ospiti durante le feste reali.
Cocktail, una storia tutta italiana
VERMOUTH
Il vermouth è un vino fortificato, aromatizzato con erbe aromatiche e spezie per creare quel sapore inconfondibile e si differenzia dagli altri vini fortificati per l’utilizzo si una specifica pianta, l’Artemisia absinthium o assenzio (in tedesco, appunto, Wermut).
Il 1786 è l’anno zero della storia dei cocktail ed è l’anno in cui viene inventato il primo vermouth commerciale dal distillatore italiano Antonio Carpano e da questo momento la creatività italiana dà vita a diversi miscelati. La lungimiranza di Carpano si espletò nell’utilizzo di un moscato di buona qualità a cui aggiunse piante, spezie e zucchero, il tutto fortificato con acquavite. Ne venne fuori un prodotto dal successo immediato, accolto e raccomandato da Amedeo
III, duca di Savoia, che annullò gli ordini annuali di rosolio per la Casa Reale, sostituendolo con un ordine di vermouth. E ovviamente questo “regale sostegno” portò velocemente alla popolarità del vermouth tra le classi superiori e al tramonto del rosolio. Crescita influenzata anche dal nuovo rituale sociale tutto italiano dell’aperitivo, che divenne popolare tra le classi medie urbane a fine ‘800. Dopo Carpano, altri produttori cominciarono a produrre le loro versioni di Vermouth, secco o dry: tra questi, i celebri marchi Cinzano e Martini & Rossi, ancora oggi molto popolari. Da allora, si diffonde nei caffè europei la moda del vermouth come aperitivo, favorendo la nascita dei primi miscelati, grazie al suo sapore e aromi complessi.
LE ORIGINI
Nel 1806 sul settimanale Balance & Columbian Repository, appare per la prima volta la parola “cocktail”, definito come “bevanda stimolante composta da liquori di vario tipo, zucchero, acqua e amari”. Questi “liquori” erano generalmente distillati ottenuti dal vino o dall’uva, come Brandy, Grappa, Acquavite e Cognac, e chiaramente il Vermouth. Con la fillossera che colpì durante il secolo la vite e mise in ginocchio la viticoltura europea, questi liquori vennero sostituiti da spiriti nazionali e internazionali come Gin, Vodka e Rum, miscelati con succhi di frutta, bitter e spezie.
E finalmente possiamo dire che in questo momento nasce la grande arte della Miscelazione e arriva alla ribalta Jerry Thomas, ottimo bartender e un genio della mixology tra i più apprezzati della storia, che pubblicò nel 1862 anche la “Bar-Tenders Guide (How to mix drinks)”, il primo volume della storia dedicato alla miscelazione, che contribuì a diffondere enormemente il sapere attorno a questa nuova materia. La “Cocktail Culture” a casa nostra prese piede tra gli anni ‘20 e ‘30 del Novecento con la diffusione dei primi locali notturni e fu fonte di ispirazione per molte campagne pubblicitarie e artisti dell’epoca. Furono due decenni in cui
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l’Italia cercò di tenere il passo a questa nuova tendenza giunta da oltre oceano e che si stava diffondendo in Europa ad opera di veri e propri pionieri della miscelazione che, a causa del proibizionismo, lasciavano il loro Paese, dando via ad una vera internazionalizzazione dell’arte della mixology americana, che si fondeva alla qualità europea delle materie prime. Si apre l’epoca delle sperimentazioni che portano alla nascita dei grandi cocktail classici che noi tutti conosciamo. Tra l’altro, siamo in pieno Futurismo e, nel movimento di Marinetti, la sperimentazione e la stravaganza, nei cocktail, anche definiti “poli-bibite”, come in
qualsiasi altra forma espressiva, non mancava. Da New York ecco dunque arrivare in Europa la moda dei primi “American Bar” degli hotel: Parigi e Londra sono le prime capitali a vantarne la presenza, mentre il primo American Bar d’albergo in Italia aprì nel 1932, precisamente all’hotel “Ambasciatori” di Roma, poi divenuto “Grand Hotel Palace”, con alla guida Carlo Castellotti, in arte conosciuto come “Charlie”.
Curiosità importante: questa ventata di novità contribuì a grandi cambiamenti culturali, come l’apertura dei bar alle signore, che fino ad allora erano state fatte accomodare in stanze separate.
L’Italia, per chi non lo sapesse, vanta una ricca tradizione di cocktail, alcuni dei quali sono diventati famosi in tutto il mondo. E noi ve li raccontiamo.
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MILANO-TORINO, UN COCKTAIL MITO
Il Milano-Torino (spesso abbreviato in MiTo) nacque ufficialmente attorno alla seconda metà del XIX secolo ma le sue origini sono legate a due eventi molto importante per il settore beverage italiano, ovvero la nascita del Vermouth e quella del Bitter. Quest’ultima, ad opera del milanese Gaspare Campari che, mettendo in pratica le nozioni di distillazione, apprese in Piemonte da un infuso di erbe e frutti diede vita al Bitter, che
doveva essere l’antagonista del Vermouth. Dall’unione in parti uguali di questi due eccellenti drink nacque di lì a poco anche il Milano-Torino, che prende il nome dalle città dei suoi due ingredienti, che si fondono in un bicchiere creando l’equilibrio perfetto: così il dolce del Vermouth bilancia le note amare del Campari e lo spicchio d’arancia dà il tocco finale. Come succede a tutti i classici, negli anni il MiTo è stato ripetutamente modificato, dando vita a nuovi e celebri cocktail ma non è mai passato di moda.
AMERICANO
Nonostante il nome, l’Americano è un cocktail di origine italiana ed è il predecessore del Negroni. Dalle origini incerte, c’è chi dice che il cocktail Americano sia stato creato intorno al 1860 al bar di Gaspare Campari a Milano e chi lo localizza a Torino: in entrambi i casi, però, nasce dal “Milano-Torino”, ribattezzato così quando divenne popolare tra i turisti americani durante il proibizionismo, aggiungendo una spruzzata di soda per ridurre l’amarezza del suo sapore. Si prepara versando parti uguali di Campari e vermouth rosso in un bicchiere pieno di ghiaccio; infine, si completa con una spruzzata di soda.
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CARDINALE
Altra versione sbagliata del Negroni è il “Cardinale”, che molti bartender definiscono il suo parente più povero, è un drink oggi un po’ in disuso che però ha fatto la storia della mixology italiana negli anni ‘50. Nato nel cuore della Dolce Vita, all’Hotel Excelsior su via Veneto a Roma, il suo ideatore è stato il bartender Giovanni Raimondo, che mette insieme tre parti uguali di gin, riesling e bitter, servito con scorza di limone, cannella e chiodi di garofano. Il nome tanto evocativo è un omaggio alla livrea rossa dei prelati e anche a un vero e proprio cardinale: tale Schumann, estimatore del prestigioso riesling della Mosella. La ricetta iscritta al catalogo IBA - International Bartenders Association - è invece molto diversa: cambiano proporzioni e guarnizioni mentre il vermouth sostituisce il vino bianco.
GARIBALDI
Fu inventato agli inizi del Novecento a Novara per celebrare l’unificazione del nord e del sud Italia attraverso due ingredienti caratteristici: il Campari del Nord e il succo d’arancia del Sud, più mezza fetta d’arancia. Il Garibaldi è un cocktail fruttato e rinfrescante, molto simbolico e popolare tra gli italiani. Ci sono diverse varianti di questa ricetta, che includono anche rum o acqua gassata, usata se non si ha a disposizione il succo d’arancia
SPRITZ
Altro must tra i cocktail italiani è ovviamente lo Spritz. Originario del Veneto, amato ormai in tutta Italia, il suo nome deriva dal verbo tedesco spritzen, che significa “spruzzare” e risale alla dominazione degli austriaci che avevano l’abitudine di alleggerire i vini del territorio con dell’acqua frizzante (tendenza ancora oggi rispettata in alcuni bar storici). Verso l’inizio del Novecento, questa primissima versione di Spritz ,accolse alcune varianti: l’aggiunta di Seltz e, a seguire, intorno agli anni ’20, l’utilizzo del bitter, in particolare dell’Aperol o del Campari. Si prepara combinando Aperol (o Campari), Prosecco e una spruzzata di soda in un bicchiere pieno di ghiaccio, per poi aggiungere una fetta d’arancia per drink dall’aroma leggermente amaro e fruttato. Questa è la base classica per numerose nuove interpretazioni.
NEGRONI
È uno dei cocktail italiani più apprezzati, creato dal Conte Camillo al Caffè Casoni a Firenze nel 1919 e ispirato dai suoi continui viaggi a Londra e dalla scoperta del Gin. Il Conte, che solitamente beveva l’Americano, chiese al suo bartender di fiducia di scambiare la soda con una spruzzata di gin per conferire maggiore intensità gustativa. Così è nato il Negroni: Gin, Vermouth rosso, Campari e una fetta d’arancia. Un cocktail perfettamente bilanciato che combina un gusto secco con quello agrodolce.
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NEGRONI SBAGLIATO
Lo Sbagliato sostituisce il gin con il Prosecco e nasce da un piccolo incidente. A inventarlo per sbaglio fu il bartender Mirko Stocchetto del Bar Basso di Milano nel 1972 che, durante la preparazione di un classico Negroni, confuse la bottiglia di gin con quella di uno spumante brut. Il cliente apprezzò molto il risultato più fresco e leggero, piacevolmente effervescente e ideale per gli amanti delle bollicine. Da bere in un tumbler con una scorzetta d’arancia. Da qui prende vita questo nuovo cocktail, il cui nome fa riferimento all’uso errato dello spumante e che divenne in poco tempo una variante popolare del classico cocktail e altrettanto apprezzato da molti in tutto il mondo.
PIZZA E COCKTAIL: MATRIMONIO IDILLIACO
di Petra Antolini, Master istruttrice Scuola Italiana Pizzaioli
La vita talvolta ci regala dei matrimoni idilliaci come il binomio pizza e cocktail.
Se mi soffermo per un istante, i miei sensi gioiscono ripensando ai giorni passati al Vinitaly di Verona presso lo spazio del Sigaro Toscano dove, con la nostra ultima pizza fritta, abbiamo realizzato una serie di abbinamenti spaziando dai gin ai miscelati, dalla birra al vino.
La semplicità astratta rappresentava l'essenza dell'armonia al morso della pizza insieme alle diverse miscele di distillati, alla ricerca di quell’equilibrio conquistato dall’elemento mancante: il Sigaro Toscano. La mixology rappresenta sicuramente l’ultimo traguardo degli abbinamenti ben riusciti, potendo spaziare tra sapori, profumi e sensazioni sempre diverse, in molteplici combinazioni che s’incontrano con i cibi.
Questa mia recente esperienza conferma ancora di più l’idea che, per assaporare un abbinamento, servono alchimie tra solido, liquido e - perché no - un finale “fumoso” dato dal sigaro. Oggi la tendenza è riuscire a dare un’emozione al cliente con abbinamenti sempre diversi, come la pizza insieme ai cocktail, dove la ricerca dei sapori permette di creare combinazioni perfette.
L'esperienza del Vinitaly è stata un grande successo ed è stata d’ispirazione per poter ampliare la mia conoscenza sui miscelati e poter affermare con forza che l’abbinamento giusto esiste davvero.
Strutture e consistenze degli impasti, ingredienti territoriali e ricette uniche si incontrano con sentori di freschezze, acidità, note amaricanti e di dolcezze che si fondono in un equilibrio unico. Ma chi dice che l'accostamento perfetto non sia l'incontrario di tutto?
Il matrimonio perfetto esiste: elementi unici si fondono e creano un qualcosa di nuovo. Pizza fritta doppia cottura, mozzarella di bufala affumicata con le foglie di kentucky, tartare di black Angus in abbinamento ad un “Bloody Mary” e, infine, un Sigaro Toscano: cosa chiedere di più? Questa è gioia!
www.scuolaitalianapizzaioli.it info@scuolaitalianapizzaioli.it
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HUGO
Dei classici è uno dei più recenti, creato nel 2005 da Roland Gruber in Trentino-Alto Adige, l’Hugo viene considerato una variante dello Spritz, sebbene i suoi aromi e sapori siano molto diversi. Preparato secondo gli stessi procedimenti, il bartender altoatesino sostituì l’Aperol con lo sciroppo di sambuco, dai sentori floreali perfetti per affiancare il Prosecco con l’aggiunta finale di foglie di menta e una fetta di lime. Ne risulta un cocktail tra i più rinfrescanti mai realizzati, è il cocktail estivo italiano per eccellenza. Nonostante abbia solo 15 anni, ha avuto un enorme successo in tutta Europa, specialmente in Germania, dove vengono serviti oltre 400 cocktail Hugo a notte!
BELLINI, ROSSINI E TINTORETTO
I cocktail Bellini e Rossini fanno parte degli sparkling cocktail. Era il 1948 quando Giuseppe Cipriani - proprietario a Venezia di “Harry’s Bar” e papà anche del Carpaccio - decise di ideare un nuovo drink, profumato e colorato, che divenne uno dei cocktail più famosi della Penisola. Da quanto si racconta, pare che Cipriani, dopo aver visitato una mostra del pittore rinascimentale veneziano Giovanni Battista Bellini, rimase incantato dalle sfumature tra il rosa e l’arancio di un abito e così ispirato da questa suggestione mescolò Prosecco di Valdobbiadene e purea di pesca, fino a ottenere un cocktail caratterizzato dalle stesse nuance. Fu così che
nacque il Bellini, che prende il nome dell’artista a cui si ispira. Si tratta di un drink leggero e aromatico che è diventato rapidamente popolare tra gli avventori del suo bar, oltre ad aprire il capitolo dei cocktail a base di frutta fresca. L’estro creativo di Cipriani, infatti, non si conclude qui ma prosegue in seguito con la creazione di un altro drink dedicato al compositore Gioacchino Rossini. In questo caso, il protagonista è il Prosecco, abbinato però alla purea di fragole, che conferisce al cocktail un bel colore rosso. Lo potremmo definire come la versione del Bellini con la fragola al posto della pesca. Molto apprezzato per la sua dolcezza e il sapore fresco al sapore fresco e fruttato, era inizialmente il cocktail preferito di molte signore.
Cipriani, in questo periodo, divenne famoso non solo in Italia ma anche oltreoceano proprio alle sue invenzioni in ambito di mixology: è sua la paternità anche di drink quali “Il Tintoretto” dove, al Prosecco, questa volta si miscela del succo di melograno. Serviti tutti e sempre nel bicchiere alto e stretto da bollicine (flûte), queste bevande hanno popolato l’immaginario dei drink old school, oggi quasi snobbati dai nuovi e innovatori bartender.
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www.schaer-foodservice.it Morbido, ricco di cereali e gluten-free. Il nuovo single-pack conquista la tavola. Due soffici fette di pane in una pratica e sicura confezione monoporzione. Con quinoa, sorgo, miglio, farina di castagne e il 16% di pasta madre. NEW
Alcol e salute
Quante volte si sente dire che “il vino fa buon sangue”, che l’amaro dopo i pasti fa digerire e che il vino contiene sostanze anti invecchiamento? Vi è anche la credenza diffusa che i francesi, nonostante un’alimentazione ricca di grassi saturi (burro, uova, paté, salumi, ecc.), abbiano livelli normali di colesterolo perché bevono vino rosso.
Le bevande alcoliche sono composte per la maggior parte da acqua, e per la restante parte da alcol etilico (o etanolo). Una minima quantità è rappresentata da altre sostanze, naturalmente presenti o aggiunte: composti aromatici, coloranti, antiossidanti, vitamine ecc. L’etanolo (costituente fondamentale e caratteristico delle bevande alcoliche) è una sostanza estranea all’organismo e non essenziale;
a cura della Dott.ssa Marisa Cammarano, biologa nutrizionista
anzi, per molti versi, tossica. Tuttavia, entro i limiti di un consumo moderato, il corpo umano è per lo più in grado di sopportare questa sostanza senza danni evidenti.
Pur rappresentando una sostanza giuridicamente legale, dunque, l’alcol è una sostanza psicotropa che, se assunta a dosi elevate, può portare alla dipendenza. Le bevande alcoliche, soprattutto il vino,
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sono un prodotto largamente utilizzato nel nostro paese ed il loro consumo è parte integrante della cultura e della tradizione italiana, pertanto è necessario contenere i rischi nonchè i danni alla salute e sociali correlati al consumo di bevande alcoliche, responsabilizzando le persone nella quantità e nella modalità di assunzione degli alcolici.
Nelle linee guida per una sana alimentazione, non si usano più termini come “consumo moderato”, “consumo consapevole” o simili, che potrebbero indurre il consumatore in una certa indulgenza nel bere alcolici.
Non è possibile, infatti, identificare livelli di consumo che non comportino alcun rischio per la salute. Pur partendo dal concetto, ormai condiviso da tutta la comunità scientifica, che si riassume con lo slogan less is better (meno è meglio), si rende comunque necessario definire alcuni parametri che permettano una valutazione del rischio connesso all’assunzione di bevande alcoliche.
Le nuove indicazioni italiane definiscono a basso rischio un consumo
di:
– 2 unità alcoliche al giorno per gli uomini
– 1 unità alcolica al giorno per le donne
– 1 unità alcolica al giorno per le persone con più di 65 anni
– zero unità di alcol sotto i 18
1 unità alcolica corrisponde a 12 grammi di alcol puro ed
equivale a:
– un bicchiere di vino (125 ml a 12°)
– una lattina di birra (330 ml a 4,5°)
– un aperitivo (80 ml a 38°)
– un bicchierino di superalcolico (40 ml a 40°).
Ogni unità alcolica consumata apporta mediamente 70 kcal, prive di qualsiasi contenuto nutritivo se non il potere calorico, di cui bisogna tenere conto, anche in vista del crescente aumento di eccedenza ponderale. Oltre alle quantità assunte, è importante considerare la modalità di assunzione delle bevande alcoliche, che contribuisce ad innalzare i rischi per la salute e i rischi sociali, come:
– il bere lontano dai pasti o il bere quantità di alcol eccessive in una singola occasione
– il consumo in occasioni o contesti che possono esporre a particolari rischi, quali la guida o il lavoro
– la capacità di smaltire l’alcol rispetto al genere e all’età della persona.
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Negli ultimi anni si è diffuso, in particolare tra i giovani, un modello di consumo di bevande alcoliche completamente diverso da quello tradizionale, mediterraneo, ispirato al consumo ai pasti ed in quantità moderate.
Durante l'adolescenza la maturazione del cervello non è completa e vi sono aree cerebrali come quella limbica che matura dopo i vent'anni, ecco perchè, per esempio, negli Stati Uniti, si pone il divieto di bere alcol al di sotto dei ventuno anni d'età.
La nuova abitudine, si caratterizza per un consumo rischioso e dannoso, episodico e ricorrente di quantità consumate a digiuno, che eccedono le sei unità in un arco temporale di solito ristretto a 2-3 ore. Questo modello di consumo, importato dai contesti nord-europei è denominato “binge drinking” ossia il “bere fino ad ubriacarsi”.
Si tratta di un fenomeno pericoloso sia per la propria salute sia per i comportamenti a rischio che ne derivano in funzione dell’abbassamento della percezione del rischio che si sperimenta già a partire da 1-2 bicchieri consumati e che, progressivamente, porta all’intossicazione alcolica e può spingersi sino al coma etilico. Il binge drinking come qualunque altra forma di intossicazione sono nocivi e dannosi sia alla salute che alla sicurezza personale e dei terzi e quindi assolutamente da evitare.
In alcune categorie e condizioni, l'assunzione di alcol raccomandata è pari a ZERO:
– Donne in gravidanza (rischi per il nascituro, sindrome feto-alcolica)
– Ragazzi minorenni (la legge 8 novembre 2012 n. 189 ne vieta anche la vendita e la somministrazione).
La legislazione dei Paesi europei (e della grande maggioranza dei Paesi del mondo) stabilisce un limite di 0,5 g di alcol per litro di sangue: oltre tale limite è severamente proibito mettersi alla guida dell’auto. Il mancato rispetto di questa regola porta a sanzioni e alla perdita dei punti della patente, ma in realtà gli effetti dell’alcol possono manifestarsi anche in dosi minori, poiché variano da persona a persona. Anche valori di 0,2 g di alcol per litro (meno della metà stabilita dalla legge) possono alterare la percezione della realtà, portando ad avere una considerazione fittizia dei pericoli e delle proprie capacità. Non esistono, quindi, quantità di alcol sicure alla guida. Guidare dopo aver bevuto anche un solo bicchiere di bevanda alcolica aumenta il rischio di provocare o essere vittima di incidenti, in quanto l’alcol altera la capacità di rispondere prontamente agli stimoli acustici, luminosi e spaziali. Di solito basta aspettare 2-3 ore per portare a zero l’alcolemia di un bicchiere di bevanda alcolica consumata; se non si è digiuni il tempo può anche ridursi a 1-2 ore.
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False credenze sull’alcol
NON È VERO CHE:
– L’alcol aiuta la digestione; al contrario la rallenta e produce ipersecrezione gastrica con alterato svuotamento dello stomaco.
– Il vino “fa buon sangue”; al contrario l’abuso di alcol può esser responsabile di varie forme di anemia e di un aumento dei grassi presenti nel sangue.
– Le bevande alcoliche dissetano ma, al contrario, disidratano: l’alcol richiede, infatti, una grande quan-
tità di acqua per essere metabolizzato; in più aumenta le perdite di acqua attraverso le urine, poiché provoca un blocco dell’ormone antidiuretico.
– L’alcol ci riscalda. La vasodilatazione di cui è responsabile l’alcol produce soltanto una momentanea ed ingannevole sensazione di calore che comporta in realtà un ulteriore raffreddamento del corpo: in caso di temperature rigide questo aumenta il rischio di assideramento.
– L’alcol aiuta a riprendersi da uno shock: al contrario, provocando vasodilatazione periferica, determina un minore afflusso di sangue agli organi interni e soprattutto al cervello.
– L’alcol dà forza. Essendo un sedativo, esso dà solo la sensazione di un minor affaticamento e dolore. Inoltre, solo una parte delle calorie provenienti dall’alcol possono essere utilizzate per il lavoro muscolare.
È, invece, VERO che gli effetti dell’alcol sono una delle cause dell’invecchiamento precoce.
Un bicchiere di vino (12 gradi) da 125 ml apporta 84 calorie (Kcal), 100 g di patate ne apportano la stessa quantità. Mentre gli alimenti contengono nutrienti utili al nostro organismo, l’alcol ha solo “calorie vuote”, cioè apporta energia ma nessuna sostanza nutritiva. Tuttavia le kcal vuote dell’alcol si sommano a quelle fornite dagli alimenti contribuendo all’aumento del peso, oltre che alla produzione di notevoli quantità di radicali liberi. Attenzione quindi a non sostituire un piatto di pasta con un bicchiere di vino. I grandi consumatori di alcol hanno meno appetito perché assumono dall’alcol parte dell’energia per vivere. Questo li porta però a non assumere le sostanze nutritive degli alimenti di cui tutti abbiamo bisogno (carboidrati, proteine, grassi, vitamine e minerali).
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Consigli:
– Se desideri consumare bevande alcoliche, fallo con moderazione e preferibilmente durante i pasti. Fra tutte le bevande alcoliche, dai la preferenza a quelle a basso tenore alcolico, come vino e birra.
– Se sei un uomo, per il vino limitati a 2-3 bicchieri da 125 ml al giorno, per la birra da 2 a massimo 3 bottigliette (o lattine) da 330 ml.
– Se sei una donna, bevi al massimo 1-2 bicchieri di vino o 1-2 lattine di birra al giorno. Evita completamente l’assunzione di bevande alcoliche durante la gravidanza e l’allattamento.
– Assicurati che i tuoi figli non assumano bevande alcoliche in età adolescenziale.
– Se hai più di 65 anni riduci drasticamente il consumo di alcolici.
– Non consumare bevande alcoliche se devi metterti alla guida di autoveicoli o se devi far uso di apparecchiature delicate o pericolose per te o per gli altri: in queste situazioni è necessario che tu conservi intatte le tue capacità di attenzione, di valutazione e di coordinazione motoria.
– Se assumi farmaci (compresi molti farmaci da banco) evita o riduci il consumo di alcol.
– Riduci o, meglio elimina, l’assunzione di bevande alcoliche se sei in sovrappeso, obeso o se presenti una familiarità per diabete, obesità, ipertrigliceridemia.
QUANTITÀ DI ALCOL E APPORTO CALORICO DI ALCUNE BEVANDE
Bevanda alcolica
Vino da pasto (12 gradi)
Vino da pasto (11 gradi)
Vino da pasto (13,5 gradi)
Birra normale (4,5 gradi)
Birra doppio malto (8 gradi)
Vermouth dolce (16 gradi)
Vermouth secco (19 gradi)
Porto, aperitivi (20 gradi)
Brandy, cognac, grappa, rhum, vodka, whisky (40 gradi)
100 pizza e pasta italiana maggio 2024
ALCOLICHE
Misura standard Quantità (ml) Contenuto di alcol (g) Apporto calorico (kcal) Unità alcoliche (U.A.)
1 bicchiere 125 12 84 1
1 bicchiere 125 11 77 0,9
1 bicchiere 125 13 91 1,1
1 lattina 330 12 100 1
1 boccale 200 12 170 1
1 bicchierino 75 10 113 0,8
1 bicchierino 75 10 82 0,8
1 bicchierino 75 12 115 1
1 bicchierino 40 13 94 1,1 70
LA BIRRA
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di Alfonso Del Forno
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La birra, bevanda millenaria e amata in tutto il mondo, si presta a essere protagonista non solo come bevanda dissetante e rinfrescante ma anche come ingrediente versatile per la creazione di cocktail originali e sorprendenti. Un’arte, quel la della mixology con la birra, che sta crescendo in maniera esponenziale, offrendo un’ampia gamma di sapori e abbinamenti per stuzzicare la fantasia degli appassionati.
Le prime tracce di cocktail a base di birra risalgono addirittura all’epoca medievale, con l’uti lizzo di spezie ed erbe aromatiche per arricchi re il gusto della bevanda. Nel corso dei secoli, la birra si è mescolata con altri alcolici, liquori e sciroppi, dando vita a una varietà di ricette che si sono diffuse in diverse culture e tradizioni.
72 pizza e pasta italiana maggio 2024
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LA BIRRA
Ecco, allora, alcuni consigli per preparare cocktail con la birra:
Scegliere la birra giusta: la scelta della birra è fondamentale per il risultato del cocktail. Considerate il gusto, lo stile e
La mixology con la birra è un trend in continua crescita, con bartender e appassionati che si cimentano nella creazione di nuove ricette e abbinamenti. La birra, con la sua versatilità e complessità, rappresenta una sfida stimolante per i mixologist, offrendo la possibilità di esplorare nuovi territori del gusto.
I cocktail a base di birra non sono solo
74 pizza e pasta italiana maggio 2024
ph: Lido Vannucchi
EVOLUZIONE
LINEA
Ti svegli la mattina e impugni la tua PASSIONE
storie di pizza
GIULIA & GIULIA, CAMPIONESSE DEL MONDO
76 pizza e pasta italiana maggio 2024
di Antonio Puzzi
Non so a voi ma a me
ricordano un po’ come “Kramer contro Kramer” o, forse, “Will & Grace”, “Tom & Jerry”, insomma una di quelle “strane coppie” che popolano l’immaginario
collettivo: creative, estroverse, folli, geniali.
Quel che è certo è che immaginare la ventunenne Giulia Vicini e la trentaquattrenne Giulia Zanni separate l’una dall’altra è quasi impossibile.
Premetto, però, che quando Giulia Vicini mi aveva anticipato qualche mese fa che avrebbe partecipato di nuovo al Campionato mondiale della Pizza, mai avrei pensato che i giudici avessero “concesso il bis” a una delle pizzaiole più giovani d’Italia (e, probabilmente, del mondo).
Invece, la sera di giovedì 11 aprile non solo “le Giulia” (ufficialmente solo Vicini ma – nella concretezza – anche Zanni) hanno conquistato per la seconda volta il Premio “Pizzaiolo del Cambiamento” ma hanno addirittura “raddoppiato”, piazzandosi sul
gradino più alto del podio della categoria più ambita: Pizza Classica. Bam!
Le urla di Giulia Vicini e le lacrime di Giulia Zanni resteranno impresse a tutti noi che abbiamo vissuto la loro emozione. Emozione raddoppiata nel rivedere una donna (anzi due) salire sul tetto del mondo della pizza, 16 anni dopo la vittoria della pugliese Rosa Casulli, titolare del “McRose” a Putignano (Bari), ancora oggi indiscutibilmente tra le più brave pizzaiole d’Italia.
Giulia & Giulia, invece, vengono dal Nord, sono lombarde. Giulia Vicini è la titolare della pizzeria “Giuly Pizza” a Castelli Calepio, in provincia di Bergamo, il locale in cui Giulia Zanni lavora da qualche anno, ovvero da quando la piccola Vicini ancora si arrampicava al banco delle pizze per aiutare il papà ma non si era immersa del tutto in questo mondo.
Sono state loro ad avere il coraggio di “rivoluzionare il Campionato”: lo scorso anno, nel presentare “Terra Terra”, la loro creazione, parlavano di sostenibilità, attivismo e responsabilità, facendo esplicito riferimento agli insegnamenti di Slow Food. Quest’anno sono andate ancora oltre e hanno vinto, per la prima volta nella storia del Campionato, con una pizza vegana, il cui nome è tutto un programma: “Spontanea”.
WOW
Approfittando del momento di “fuga” dal lavoro di Giulia Zanni, che, immersa nella rigogliosa campagna bergamasca, mirava “interminati spazi di là da quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quïete” (per dirla alla maniera di Leopardi), ho raccolto le impressioni delle nostre campionesse, facendomi trasportare dall’intensità del loro sguardo.
Vegana. Una pizza vegana: perché?
Vegana, sì, perché Il veganismo è dettato da principi etici di rispetto per la vita.
storie di pizza
Avete avuto il coraggio di portare
al Campionato del mondo la vostra
pizza vegana e avete stravinto: come è potuto accadere, secondo voi?
Non volevamo proporre una pizza che fosse un manifesto politico o un'unica soluzione ma piuttosto il contenitore delle nostre emozioni, i nostri colori, il legame che sentiamo con la natura. Qualcosa che ci viene davvero naturale e che poi siamo costrette a definire solo per poterlo spiegare. È una pizza a impatto quasi zero. crediamo ci sia la necessità oggi di essere sempre più delicati e rispettosi verso il nostro pianeta.
78 pizza e pasta italiana maggio 2024
Ci raccontate “Spontanea”?
"Spontanea" è come noi, proprio come siamo spontanee noi. I nostri progetti vengono prima di noi, nel senso che nascono quasi da soli come se fosse il nostro inconscio a guidarci e poi successivamente cerchiamo di capire il perché e dove siamo arrivate. La cosa che abbiamo messo più a fuoco è sicuramente il fatto che vogliamo fare della nostra pizza un’opera d’arte, uno strumento prezioso per arrivare alle persone. Ed è così che "Spontanea" è una pizza vegana su impasto di farina di grani antichi con una base di farinata di ceci. Tra gli ingredienti, abbiamo usato verdure fermentate, ovvero cotte attraverso un procedimento che non usa
calore né energia elettrica e conserva ancora meglio le loro proprietà. Abbiamo usato cipolle e rapanelli fermentati in acidulato di umeboshi, tutte verdure di stagione biologiche, gli asparagi e la patata in diverse consistenze, ortiche di montagna, fiori di rosmarino, crema di zafferano e cialde di polenta di mais rosso. Ogni elemento è stato curato nel minimo dettaglio: il tagliere in legno di noce su cui l’abbiamo presentata, per esempio, è stato realizzato dal compagno di Giulia Vicini e il piatto da un ceramista locale. Il tutto è stato accompagnato da un vino biologico e biodinamico della Franciacorta.
L’anno scorso avete vinto il premio “Pizzaiolo del cambiamento”: nel frattempo, è cambiato qualcosa tra i vostri clienti?
Pensiamo che l'incontro tra noi possa aver generato una forza speciale, un'alleanza, una sinergia, come nelle consociazioni tra le piante nell'orto, insieme ci siamo alimentate e poi tutto il resto è stato una conseguenza della dedizione. Forse abbiamo vinto perché siamo vere. Perché siamo donne? E forse è la donna, bellezza e creatività per natura, che può cambiare il mondo? Di certo, possiamo dire che stiamo attirando persone in sintonia con noi: tutto accade con naturalezza, senza parole, senza troppo spiegare.
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Giulia V, tuo padre non era del tutto convinto della strada che stavate intraprendendo: ora cosa ne pensa?
Il cibo nutre il pensiero, apre la mente e, come per magia, qualcosa cambia.
E, ora, la stessa domanda ma da cui mi aspetto due risposte diverse: se dovessi dare un messaggio alla Giulia del futuro, cosa le diresti?
Giulia Zanni: Alla Giulia del futuro voglio dire di stare nel presente continuando a mettere amore in ciò che faccio, perché, come un “effetto farfalla”, un semplice battito d'ali può creare uno tsunami dall'altra parte del mondo.
Giulia Vicini: Che domanda difficile! Alla “me del futuro” voglio dire di non perdere mai il mio lato da “bambinona”, da bambina creativa che non ha paura del giudizio degli altri ma “se ne sbatte” perché vuole fare solo ciò che la fa stare bene. Come adesso che me ne sbatto delle responsabilità e trovo comunque il tempo di fare duecento sport e duecento cazzate. Le chiedo di non perdere mai il suo lato bambina che sorride a tutti, che non ha paura di sporcarsi, che è anche un po’ ingenuo, forse. Che crede che sia sempre tutto bello e che il mondo lo possiamo conquistare a forza di sorrisi e di lavoro, anche in silenzio. Questo lato un po’ bambina che vede tutto sempre un po’ positivo e non vede mai le cose negative perché quelle proprio non la toccano mai. E che “ci crede sempre”.
storie di pizza
80 pizza e pasta italiana maggio 2024 maggio 2024
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PIZZA È IDENTITÀ GIOLINA, MILANO
storie di pizza di N. C.
maggio 2024
Danilo Brunetti – classe 1995 – è originario di Cetraro, un piccolo paesino in provincia di Cosenza. Cresciuto nel mondo della ristorazione, già a 14 anni, all’uscita dalla scuola, andava ad aiutare i suoi genitori al ristorante-pizzeria degli zii, vicino al mare.
Ispirato dal modo di “far girare le pizze” di un pizzaiolo siciliano che andava in aiuto al locale, rimase colpito dal mondo della pizza. All’inizio era un tuttofare ma, pian piano, imparò a stare al banco e poi al forno. Un giorno, il suo papà gli disse: “vai a fare tu una focaccia, penso che tu la sappia fare” e tutto cambiò. Da una piccola realtà a una grande città, Danilo oggi è il pizzaiolo di “Giolina”, una rinomata pizzeria di Milano.
Danilo, quando hai deciso di voler fare il pizzaiolo?
Fino all’età di 18 anni facevo tutte le stagioni al ristorante-pizzeria con i miei genitori. Non mi andava giù che gli amici uscissero a divertirsi e io
dovessi stare lì ma i miei genitori, per “proteggermi” dalle brutte compagnie, mi portavano con loro. Raggiunta la maggiore età ho pensato di voler fare qualcosa per capire le farine, le tecniche, le cotture… è per questo che iniziai a studiare. Il problema è che “giù” a quel tempo non c’era la concezione di pizza digeribile ma solo di mangiare per saziarsi. Dopo 15 ore di lavoro tornavo a casa e mi mettevo su YouTube a fare ricerche. Inoltre, c’erano sempre le stesse richieste. Non era ciò che volevo fare e iniziava a starmi stretto. Nel 2018-2019 partecipai al concorso “Nastro Azzurro ti porta lontano” e, poiché Sorbillo era il mio idolo, dopo essere stato selezionato tra i primi tre pizzaioli, andai alla sede di via dei Tribunali a Napoli a fare la gara. Vinse una ragazza, ma lì capii che cosa volessi fare: andare via per crescere. Nello stesso momento in cui ero a Napoli, un amico mi disse che cercavano personale da “Marghe” a Milano. Se non avessi preso quel treno allora, non lo avrei preso più. Non mi ero mai staccato dalla famiglia, dal mare, da casa mia e mai avrei pensato di andare a Milano e, invece, iniziai da “Marghe” il 20 febbraio 2018.
E come sei arrivato da “Giolina”?
Dopo due anni, Ilaria, la proprietaria, mi propose un nuovo progetto. Avevo poca esperienza e non me la sentivo di prendere le redini di un locale. Lei mi disse: “ce la puoi fare”. Avremmo dovuto trovare un prodotto completamente diverso da quelli in circolazione e anche da quello di “Marghe”. Ho dovuto studiare tanto ma, prova dopo prova, alla fine ho trovato un prodotto che ci ha dato identità. In fondo, è quella che distingue noi pizzaioli.
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Come definiresti oggi il tuo prodotto?
Con una forte identità. Mi rende orgoglioso. Sugli ingredienti siamo “super maniaci” e idem per i topping. Io parto sempre da un piatto della cucina italiana, mi piace una pizza che lo ricordi. Si all’innovazione, ma non si deve strafare. Le cose semplici sono le più buone.
La Marinara “ai 4 pomodori”, per esempio, è una delle mie preferite: alla base c’è una crema di datterino rosso, cotto in forno a legna e poi frullato; si aggiungono, poi, pomodorini rossi del piennolo del Vesuvio e, in uscita, ciliegino semisecco con origano e topping di San Marzano affumicato; in chiusura, stanco del solito aglio, ne metto uno nero fermentato che ha delle note balsamiche di liquirizia: è affumicato ma più leggero. Chiudo con origano di collina, germogli di basilico e olio. Uno non se lo aspetta, ma è talmente ben bilanciata e poi il profumo, non ti dico, sembra che ti arrivi un pugno in faccia per quanto è buona.
Facciamo un gran lavoro. È semplice e saporito, è il principe. Un blend di farine tipo 1 e una piccola percentuale di 0. Doppia lievitazione, garantiamo 70h. Per me è fondamentale la cottura, più di ogni altra cosa. Puoi metterci le cose più buone del mondo ma, se mi sbagli la cottura, è come se non avessi fatto nulla. Cuociamo in forno a legna a una temperatura massima di 450° e non meno di un minuto e mezzo: una cottura lenta e asciutta. Il cornicione è fragrante all’ester-
no e morbido all’interno. La cottura rappresenta l’80% della riuscita di una pizza. Tutti i giorni formo i ragazzi, soprattutto sul forno a legna: devono entrare nell’ottica di una cottura corretta. Io so fare tutto ma preferisco stare al forno.
Parlami del “cocktail pairing”.
Inizialmente abbiamo aperto con il concetto di “cocktail e pizza”, avevamo anche un bar. L’idea non funzionava però: l’Italia, almeno all’epoca non era pronta a questo abbinamento. Abbiamo cambiato subito rotta, tolto il bar e allargato la sala. I nostri clienti preferiscono vino o birra e di solito accostiamo proprio il vino. Ilaria è stata la prima a pubblicare la foto di un calice di vino con la pizza ed è stata molto criticata, oggi invece...
84 pizza e pasta italiana maggio 2024
Cosa mi racconti del tuo impasto?
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Cosa significa “Giolina”?
È un nome creato sulla base di un altro. Il gruppo ha diversi locali su Milano, tra cui una pasticceria che si chiama Gelsomina: hanno voluto creare una sua “sorellastra” per così dire.
So che siete molto attenti alla sostenibilità e a evitare gli sprechi…
Cambiamo menu tre volte all’anno, ci piacciono gli ingredienti di stagione. Ora, per esempio, puntiamo su asparagi, fave e piselli. Siamo contro lo spreco e infatti della materia prima usiamo tutto. Per dirne una: quando facciamo la crema di melanzane, friggiamo la buccia e creiamo delle chips.
Se volessi provare una pizza che ti rappresenta? Non la Marinara ai 4 pomodori però! (ridiamo, ndr)
La Guendalina. Un giorno ero giù in Calabria, mia mamma mi parlò di una pasta calabrese con finocchi, patate e ‘nduja e mi venne l’idea. Base crema di finocchi e patate sbollentati nel latte e fior di latte; all’uscita finocchi arrostiti e ‘nduja. L’avevo pensata così, ma poi mi mancavano la parte salata e quella croccante. In Calabria facciamo i panzerotti ripieni di ‘nduja, pomodoro, mozzarella e alici, così ho aggiunto dei pezzettini di queste ultime per dare sapidità. Per la croccantezza, invece, mi sono ispirato a un altro piatto calabrese fatto con olio, aglio, alici, prezzemolo, peperoncino e mollica croccante. Si chiama “la mollica saporita”. Così, sempre in termini di riduzione dello spreco, ho spadellato il pane avanzato con aglio e olio e ce l’ho messo sopra. Ho pensato: “cavolo! È azzeccato!”. A livello cromatico, però, mancava qualcosa: c’erano il rosso, il marrone, il bianco, mi mancava il verde e così ho chiuso con la barba verde del finocchio, che dà anche freschezza e profumo. Quindi, per ricapitolare: base crema di finocchi e patate, fior di latte, finocchi arrostiti, ‘nduja, alici, crumble di pane e barba del finocchio. Assaggiandola, sembra di stare in Calabria: Guendalina è una delle più buone. Tornando ai nomi, anche su questo Ilaria – la proprietaria – ci tiene molto: nessun nome classico, piena identità anche sul menù.
86 pizza e pasta italiana maggio 2024
storie di pizza
PIZZA E BISTROT A POMPEI
FRANCESCO VARNELLI
88 pizza e pasta italiana maggio 2024
di N. C.
La tendenza del “food & cocktail pairing” è sempre più in crescita e, anche se non
è semplice trovare i giusti accostamenti, attraverso studio e dedizione è possibile
esaltare il gusto anche dei sapori più semplici.
Francesco Varnelli – bartender - attualmente titolare di “Varnelli Pizza & Bistrot Restaurant” a Pompei, lo sa. Diplomatosi all’alberghiero, ha frequentato la scuola dell’ALMA, la CAST alimenti per la sezione “pasticceria”, si è diplomato alla "Planet One" a Milano ed è diventato un associato AIBES Campania. Dopo aver maturato la giusta esperienza da food advisor, è diventato un maestro nel cocktail pairing e oggi, nel suo locale, propone accostamenti davvero interessanti sia in termini di cucina che di pizza.
Francesco, raccontami chi sei e come nasce il concetto di “Varnelli Pizza & Bistrot”.
Sono cresciuto in questo ambiente! Già a 16 anni ho iniziato a viverlo, ero il “piccolo” della situazione. Nel 2018 ho aperto “Varnelli” a Pompei in concomitanza con un hotel e contiamo 180 posti a sedere. Ho pensato di creare un bistrot perché le persone non dovevano pensare di andare solo al ristorante ma anche di poter bere
una cioccolata, un cocktail o mangiare una pizza. Mettere tante cose insieme non sempre funziona ma io ho fortemente voluto così. Abbiamo puntato soprattutto sulla pizza, usando una farina a basso indice glicemico: è stata una scommessa proprio perché quel tipo di farina non nasce per le pizze. Usiamo oli e pomodori del nostro territorio e, riguardo alle carni, puntiamo su quelle frollate; poi, ovviamente non manca l’American bar.
Ho visto che fai cose particolari come il Gin Tonic con tartare di frisona.
Facciamo pairing in base a ciò che sceglie il cliente. In quel caso, era un Gin tonic con la carne che avevano scelto da mangiare, però cruda. C’è una fetta di clienti che ti segue ed è curiosa, un’altra che è ancora spaventata dall’idea di ubriacarsi. La situazione sta cambiando però.
Come hai fatto a proporre la tua idea e com’è stata accolta?
Il mondo del miscelato mi affascina più di tutto e, anche se il mercato non lo chiedeva, io ho deciso di formarmi a Milano e perseverare. Oggi la persona che viene al locale sa che può bere da me. Si è creata fiducia, mi associano al cocktail e al buon cibo. Usiamo solo prodotti di qualità… ma non a chiacchiere! Anche nel mondo pasticceria, abbiamo dolci specifici, andiamo in modo mirato su tutta la gamma di prodotti.
Visto che vi occupate di cose diverse, quale comparto oggi va di più?
Abbiamo puntato tutto sulla pizza. Un progetto completamente nuovo per me. In merito a ristorazione, miscelati e pasticceria ero già pronto, ma questo è stato nuovo. La nostra farina è a basso indice glicemico, bassissimo contenuto di zuccheri e super digeribilità. Noi sulla pizza ci cuciniamo. Come accade con la “Luppolo”, per esempio: maialino cotto a bassa temperatura con succo di limone e birra, cotto lentamente, base crema di pomodorino giallo, maialino sfilacciato molto tenero, fior di latte, granella di pepe e chips di pecorino.
Sono sicura che accostiate anche il vino oltre ai cocktail alle pietanze. Ci sono delle regole base che dovrebbe conoscere anche chi non è un esperto di vini?
Io sono un associato AIS e vedo più gente non del settore che se ne intende, anziché il contrario. Se conosci la geografia, conosci anche un po’ il vino.
Questa dev’essere la base, altrimenti non puoi godere di ciò che bevi, starai bevendo un vino qualunque. Il Taurasi, per esempio, è da capire, è per intenditori. Se ti presento prima quello, un Aglianico, un Pinot Nero, un Merlot o un Primitivo, sceglierai tendenzialmente più il Primitivo, il Merlot o il Pinot Nero, poi andrai sul Chianti o il Taurasi.
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E, anche se fate più pizza, proponete anche cucina: come fai a renderti conto di cosa sia meglio consigliare tra vino o cocktail?
Chiedo sempre un minimo di preferenza. Per esempio, ti piace il Negroni? Gioco facile, perché vuol dire che bevi un cocktail di corpo, rigido e duro di alcol: un bitter all’interno che dà un gusto amaricante, il vermut un po’ più dolce e il gin che dà lo strong. Sono tasselli sui quali io posso giocare per la miscelazione. Se mi dici che bevi un Primitivo di Manduria allora non posso azzardare con un Chianti o un Barbaresco, dovrò andare su un Pallagrello, un vino locale Casertano, o un Cabernet sauvignon. Un minimo c’è bisogno di saperlo, altrimenti si può sbagliare. Poi, se non hai mai bevuto, allora andrò nel range di preferenze generali. Ci sono sempre piatti che la maggioranza preferisce, lo stesso vale nel bere.
Con i primi cosa abbineresti?
Entrambe le cose. Ovviamente, se mi lasciano fare, vado più sul miscelato. Quando si parla di cocktail in abbinamento, non bisogna pensare al bicchiere del bar, a quella capienza di alcol, parliamo di assaggi. Altro bicchiere, altro tipo di miscelato.
Consigliami un primo piatto.
Un risotto con gamberi crudi: mantechiamo il riso con il burro e una pasta di limone di nostra produzione, maceriamo il limone sotto sale per 40 giorni, dopodiché recuperiamo tutta la polpa che sarà leggermente sapida e con il burro prenderà dolcezza. Dopo la mantecatura, aggiungiamo granella di pepe, gambero rosso di Mazara del Vallo e, sopra, dei
ciuffetti di purea di lampone. Sempre in piccole quantità, ovviamente, altrimenti diventa una crostata. Dev’essere un assaggio, idem per i cocktail. Ce ne sono alcuni per i quali inizialmente mi dicono di no; poi, serviti in piccola dose, li bevono e cambiano idea. Per esempio: amaro Montenegro, whisky, liquore al miele e un twist di limone. Con la giusta diluizione di ghiaccio, è perfetto. Nel mondo della cucina e della pizza, il professionista prepara il piatto e lo serve; la miscelazione è davvero complicata. Purtroppo, sono stati fatti tanti danni tra bar e discoteche. Non si sa che dietro c’è una cultura, è un mondo più complesso della cucina. Ci sono milioni di bottiglie, che messe insieme, con la giusta grammatura danno vita a tantissime cose.
Seguite la stagionalità?
Cambiamo menu tre volte all’anno. Le persone vengono da me non perché ho una ricetta personale assoluta ma perché stanno bene a 360°. Alla base c’è una cucina tradizionale. Trovi sempre la pasta e patate o la Nerano, poi ci metti qualcosa di tuo. Per esempio, un nuovo tipo di pasta e patate che faremo è con astice e timo. Un abbinamento che non facilmente trovi. Comunque, l’importante è che siano fatte bene.
Componimi un menu, spiegami come sono fatti i piatti e fammi un abbinamento.
Inizierei con una pizza alle tre cotture: impasto ai cereali, forno a vapore, fritta e poi forno a legna con ragù di salsiccia, mousse di burrata e un ciuffetto di crema di basilico con un Gin Tonic. Un gin mare magari, un po’ più mediterraneo: con rosmarino, ginepro e un po’ di basilico.
Una pasta e patate con pancetta e provola: se volessimo rivisitarla un po’, ci metteremmo un Blu di Bufala e lo abbinerei con un Bitter Campari: Vermut rosso, acqua sodata e twist di limone, dissetante, fresco e con un sapore deciso. Per secondo, proporrei il nostro Tonno impanato e fritto: fritto in pane panko, tagliato a tranci, servito o con cipolla caramellata sotto o con funghi porcini e chips di patate. Qui ci metterei un cocktail a base di vino rosso, un pompeiano, il Piedirosso del Vesuvio in infusione a freddo con anice stellato, coriandolo, rosmarino, alloro e miele; dopo una giornata prende tutti i profumi, viene filtrato e miscelato con acqua sodata. Così, avrà preso l’odore di quando lo bevevano i Romani e festeggiavano. Visto che i loro vini non erano perfetti, li ritoccavano così, speziandoli. Un cocktail a base di spezie e acqua tonica che serve per dare una bollicina al vino. Il miele nell’antichità lo usavano anche perché era un conservante. Come dolce proporrei una Pera, il nostro più famoso. È proprio a forma di pera con crema di latte aromatizzata a pera, pezzettini del frutto caramellati all’interno, con sotto un biscotto croccante alla vaniglia. Lo abbinerei con un cognac alle pere o un miscelato: Absolut alla pera, crema di cacao bianca e liquore alla vaniglia.
E, per digerire, raccontaci i tuoi progetti futuri.
Non sono dell’idea di aprire tanti locali ma di averne uno e fatto bene. La nostra è un’azienda a conduzione familiare, abbiamo un parcheggio, un locale molto grande con un bar di 8 metri: riesco a fare un po’ tutto e va benissimo così. Sto pensando magari di investire su un prodotto confezionato che possa essere un vino, un liquore o un prodotto di cucina.
90 pizza e pasta italiana maggio 2024
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storie di pasta
LORENZO CUOMO
UNA STELLA "POCO SOCIAL"
maggio 2024
di Noemi Caracciolo
Lorenzo Cuomo, originario di Furore, è uno chef che mai avrebbe pensato di innamorarsi della cucina ma che è arrivato a ricevere una stella Michelin.
Attualmente cuoco presso il ristorante “Re Maurì” di Salerno, ha un progetto di cucina molto elegante e creativo: “Mi piace l’idea di creare, penso sia la cosa più bella che l’essere umano possa fare” ha detto e, in effetti, la fantasia è ciò che lo contraddistingue.
Chef, raccontami la tua storia: come ti sei innamorato della cucina?
A differenza di altri colleghi, la mia passione è nata per caso, volevo fare tutt’altro. Sono sempre stato appassionato di motori in realtà. Il mio papà faceva il mio stesso lavoro ed era poco presente. Ciononostante, io ho scelto l’alberghiero e mi è piaciuto subito. Se non fosse arrivato “Re Maurì” avrei cambiato mestiere. Ero al punto di essere molto affermato, avevo vinto due medaglie d’oro; eppure, non trovavo un imprenditore che puntasse su di me. Avevo un importante background ma non potevo fare ciò che volevo. Ho girato l’Italia, ho lavorato con Cannavacciuolo, Oliver Glowig, da “Trussardi alla Scala”, a “Palazzo Avino” ecc.: ci sono posti bellissimi ma amo la Campania. Quando lavoravo a Brescia e scendevo a casa, da Furore verso Amalfi, vedevo la roccia che abbraccia il mare e pensavo: “questo è il
posto più bello del mondo”, come quando arrivi a Mergellina a Napoli. Abbiamo una grande materia prima; anche se ci concentriamo sul pomodoro, ci sono tanti tipi di melanzana o di zucchina e non solo. A volte evito anche il pomodoro, così come la grattugiata di limone che sta bene ovunque. Sia chiaro: io sono un cultore del pomodoro ma dire che è un ingrediente principale no. Mi piace molto l’idea di creare, il fatto che da una materia prima base si possa creare un pranzo o una cena; ed è questo che mi porto ancora dietro. Oggi i tempi sono un po’ cambiati. Io ero uno che in cucina più ci stava e più ci voleva stare, sceglievo posti dove c’erano una forte gerarchia, serietà e severità. Oggi queste cose si sono affievolite. L’ambiente prima era molto più pesante, quasi come fare il militare.
Da cosa è dipeso questo cambiamento secondo te?
Dal cambio di società. Specialmente dopo il Covid c’è stata un’evoluzione diversa, la gente ha scoperto la bellezza del tempo libero e, nel caso specifico, rivalutato il sacrificio di stare sempre chiusi in cucina.
Quanto è importante la formazione e quali sono le tappe che definiresti indispensabili nel percorso?
Scegliere posti che possono formarti e darti la possibilità di apprendere le basi della cucina. Posti dove non si fa ancora quella che definisco la “nouvelle cuisine” ma la cucina tradizionale.
Qual è la filosofia della tua cucina?
Un’esperienza cruciale è stata quella con Rocco Iannone: mi ha insegnato a togliere e a non mettere. Sono arrivato li a 30 anni, avevo la testa come uno zaino pienissimo. La mia cucina oggi si basa su un pensiero costante: prendere un ingrediente, metterlo al centro del piatto e creare degli accostamenti intorno, gusti che possano esaltare l’ingrediente ma anche dare del ritmo. Mi piace dare consistenze diverse; ecco, definirei la mia cucina così: creazione di consistenze, ritmo e tonalità.
Da dove prendi le tue idee?
La cucina per me è quasi un’esigenza. Cucinare per passione è un conto ma poi diventa un lavoro. Io cambio menù ogni tre mesi in base alla stagionalità degli ingredienti, sono al “Re Maurì” da 9 anni e cambio continuamente. L’ispirazione mi viene per caso, non per forza guardando la natura. Magari mi verrà fuori un piatto alla fine di questa intervista.
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Ci sono degli ingredienti che ritieni indispensabili e ai quali sei affezionato?
Non saprei. Magari l’olio extravergine di oliva, le erbe aromatiche e il cioccolato. Ma non è semplice definirli, proprio perché cambio in continuazione.
Cosa pensi del vino in cucina?
Il vino per me va bevuto, così come la mozzarella e altri ingredienti che abbiamo in Campania non vanno toccati. Infatti, non pubblicizzo mai neanche il parmigiano sulla pasta al pomodoro. Quella del vino è una materia complessa e articolata, va bevuto così. In accostamento al piatto va bene e deve creare un’acidità tale da preparare il palato del cliente al prossimo boccone, pulirlo per così dire. Io non amo il vino per cucinare, non lo metto nemmeno nella Genovese, dove andrebbe in realtà. Ovviamente un piatto del genere non lo prepari giorno per giorno e, con l’acidità del vino, penso non si conservi bene, dà un retrogusto alla fine che, a me personalmente, non piace. Per gli accostamenti mi affido al maître
E cosa pensi dei cocktail a tavola?
Questa cosa mi piace di più. Faccio questi accostamenti specialmente sulla carta dei dessert. I liquori sono meno impegnativi del vino.
Non lo avrei mai detto. Quindi li accosteresti solo ai dolci?
No. Ho fatto creare un liquore apposito per accompagnare il mio antipasto “variazione di pomodoro e mozzarella” (diverse consistenze di pomodoro e la mozzarella “in purezza”): il liquore alla pizzaiola. E non solo: ce n’è anche uno con basilico e limone.
barman che non abbiano la passione del miscelare. Probabilmente, se non avessi intrapreso la mia strada, avrei fatto il barman: creare e mischiare mi piace tanto. Come quando guardi una donna, di primo impatto guardi il generale ma poi ti concentri sui dettagli: occhi, mani, bocca. Per lo chef è lo stesso, deve concentrarsi sui dettagli.
A proposito di golosità, ho assaggiato i tuoi dolci e sono meravigliosi ma, se per ipotesi assurda dovessi scegliere un solo percorso professionale, sarebbe dolce o salato?
Molto difficile. Penso che non riuscirei a scegliere. Nel dolce metterei un po’ di salato e nel salato un po’ di dolce. Farei molta fatica.
Un tuo piatto rappresentativo?
Sono tutti come miei figli. Anche se cambio sempre, ci sono dei piatti che restano tutto l’anno, come la minestra “Re Maurì”: una minestra maritata rivisitata o il foie gras, che chiedono tutti.
Mi parli della Minestra “Re Maurì”?
leggermente sotto la salamandra i filetti di triglia, apro i tartufi, verso la zuppa tiepida nel piatto, decoro con polpa di ricci, triglia, seppiolina, tartufo e friselle e, per finire, concludo con qualche goccia di olio piccante.
Che effetto fa essere uno chef stellato?
Quali sono le qualità che non devono mancare a uno chef?
La curiosità. E poi deve essere un “mangione”, una persona golosa. Credo non esistano un bravissimo sommelier o un
È una minestra di terra, ma fatta di mare. Cucino la trippa di baccalà sottovuoto, riscaldo scarola, verza e alghe Dulse (dissalate e tagliate) nella zuppa di pesce, taglio la trippa à-la-julienne e la metto nella zuppa, poi scaldo il polpo nella stessa, scotto le seppie in padella, salo e cucino
Ti cambia la vita. La stella è arrivata con maggior soddisfazione perché sono “poco social”: quando l’ho presa, non avevo nemmeno un cellulare, non avevo mai parlato con un giornalista. Quando ti dedichi a qualcosa, i risultati arrivano da soli. Stavo lavorando, era il giorno del mio compleanno, il 22 aprile, quando mi arrivò una chiamata da parte del maître: “Esci, c’è un ispettore della Michelin che vuole parlarti”. Credimi, non volevo uscire. Lui mi disse che era rimasto molto contento delle cose provate e - che te lo dico a fare - in quel momento sono sbiancato. Mi ha fatto i complimenti e ha detto che se avessi continuato così, ci saremmo visti l’anno successivo. In realtà, quello stesso anno – a dicembre – mi è arrivato l’invito alla conferenza stampa di presentazione della Guida Michelin 2016. Non avevo capito se avessi preso o meno la stella ma ricordo benissimo che ero di spalle ai ragazzi e mi scendevano le lacrime senza piangere. Dopo un paio di sospironi, tornai in me. Arrivato alla rassegna, mi resi conto di ciò che stava accadendo solo quando vidi lo stendino con le giacche. Sicuramente non me ne vanto però vuol dire che stai facendo bene il tuo lavoro, non sei il “padreterno”. È bello perché pensi che, dopo tutti i momenti bui, che sono tanti, sei finalmente arrivato a un traguardo. E cambia anche il modo in cui ti guardano gli altri.
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Il Tiramisù di Treviso Dal Veneto un dolce che ha conquistato il mondo
di Caterina Vianello
Lo scorso 20 marzo il Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali ha incluso il tiramisù di Treviso nella lista dei P.A.T. (Prodotto Agroalimentare Tradizionale) del Veneto: un riconoscimento a lungo atteso, che stabilisce gli ingredienti della ricetta originale (uova, zucchero, mascarpone, savoiardi, caffè e cacao) e che è arrivato alla vigilia del Tiramisù Day, la Giornata internazionale dedicata al dolce al cucchiaio più famoso nel mondo, che si celebra il 21 marzo. Un riconoscimento atteso, vista la lunga con
cole e Alimentari aveva inserito il dessert nella lista dei P.A.T. come tipicità friulana. Nonostante lunghe ricerche storico-gastronomiche, documenti e studi, l’unico dato certo è il fatto che la paternità del Tiramisù sia di difficile attribuzione. Il senso di questo articolo, allora, non è tanto quello di far luce e sciogliere i dubbi una volta per tutte, quanto quello di trasformarsi in un viaggio gastronomico che parte da Treviso e a Treviso ritorna, attraversando il ‘900 e dimostrando infine come un dolce tradizionale abbia la forza straordinaria di
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Ecco allora qualche riferimento circa la storia del Tiramisù di Treviso e per rispondere alla domanda che in tanti si pongono: perché proprio qui?.
Affondando il cucchiaino nella morbida crema al mascarpone, si torna indietro ai primi anni ’60, quando Speranza Bon Garatti, titolare assieme al marito Ottorino del ristorante “Il Camin”, in zona Stiore a Treviso, realizza la “coppa imperiale al Fogher” (secondo alcuni in onore del pranzo offerto per la regina greca Federica di Hannover): preparata con pan di Spagna, caffè, crema di mascarpone e cioccolato fondente grattugiato, era assai simile al dolce che oggi conosciamo. Qualche anno dopo, entra in scena il ristorante “Le Beccherie”, a tutt’oggi considerato il luogo di nascita del dessert: i titolari sono i coniugi Alba Di Pillo e Ado Campeol, amici dei Garatti ed è per mano di Alba e del pasticcere Roberto Linguanotto che nasce il Tiramisù, Tiramesù in dialetto.
L’anno è il 1972 e la ricetta è l’evoluzione di una preparazione molto diffusa nelle famiglie e che, nel 1955, la stessa suocera di Alba, al tempo in attesa del figlio Carlo, aveva preparato per la nuora come una specie di merenda sostanziosa, a base di zabaione e caffè. Dal 1955 al 1972 la ricetta viene perfezionata ed entra finalmente nel menu, nella forma rettangolare che conosciamo oggi e con savoiardi, crema di mascarpone, caffè e cacao. Lo stesso anno, a Milano, in occasione di quella che allora si chiamava Fiera Campionaria, “Le Beccherie” presentano i piatti della cucina trevigiana e assieme a sopressa, risotto e faraona in salsa pevarada, fa il suo debutto anche il tiramisù. Si dovrà aspettare ancora qualche anno, il 1980, per la prima
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Nel 1981, il gastronomo trevigiano Giuseppe Maffioli sulla rivista Vin Veneto parla dei dolci al caffè e cita il tiramisù, in questi termini: «Tutte le ricette suesposte appartengono a un repertorio più frequente nella cucina mitteleuropea di Trieste e tuttavia con stretta parentela con quella veneziana che per lungo tempo è stata influenzata dagli immigrati asburgici. È nato recentemente, poco più di due lustri orsono, un dessert nella città di Treviso, che fu proposto per la prima volta da un certo cuoco pasticcere di nome Loly Linguanotto, che, guarda caso,
È l’inizio della popolarità di un dolce nato di fatto come evoluzione di quello che veniva chiamato sbatudìn, cioè tuorlo d’uovo sbattuto con zucchero e senza alcol, che si dava nelle famiglie a bimbi e anziani bisognosi di energia e forza. La chiave di volta per la trasformazione in tiramisù è stata l’aggiunta del mascarpone, fatta per la prima volta proprio alle “Beccherie” e capace di donare al dolce quella consistenza cremosa necessaria per sostenere i savoiardi bagnati di caffè. Il 15 ottobre 2010 la ricetta del tiramisù de “Le Beccherie” viene depositata con atto notarile presso l’Accademia Italiana della Cucina e, anche se i Campeol hanno passato, nel 2014, il testimone a Paolo Lai nella titolarità delle “Beccherie”, è sempre lo stesso
ristorante ad essere il cuore della storia, un luogo che continua a rappresentare un riferimento per i turisti, italiani e stranieri, che arrivano a Treviso e che considerano la gastronomia parte della conoscenza culturale della città. «È una grande soddisfazione per il Veneto aver ottenuto questo nuovo riconoscimento nazionale. Con l’inserimento del tiramisù di Treviso, che si aggiunge a oltre 400 prodotti agroalimentari tradizionali, ci posizioniamo al quarto posto nella classifica nazionale, alle spalle di Campania, Lazio, Toscana, superando quest’anno l’EmiliaRomagna – ci ha spiegato l’assessore all’Agricoltura della Regione Veneto, Federico Caner - Il tiramisù è un simbolo del Veneto, che è diventato universalmente il dolce al cucchiaio per eccellenza e una conferma del cosmopolitismo della nostra terra. Infatti, la tradizione e le testimonianze dicono che sia nato al ristorante “Le Beccherie” di Treviso, da dove si è affermato in tutto il mondo per la gioia dei palati.
Il suo successo nasce dalla sapienza nell’unire alcuni ingredienti come savoiardi, caffè, crema al mascarpone e cacao.
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Un dolce profondamente veneto con ingredienti che non lo sono ma che, di fatto, rappresenta il sapere, le tradizioni, le storie, i sapori e soprattutto i saperi della buona cucina veneta». L’affermazione mondiale non si è tradotta solo in un apprezzamento condiviso: nel 2017, Francesco Redi, fondatore di “Twissen”, ha dato vita alla “Tiramisù World Cup”, competizione internazionale dedicata ai non-professionisti che si sfidano nella preparazione del loro miglior Tiramisù. Due le categorie di gara: quella per la ricetta originale e quella per la ricetta creativa ed una serie di tappe che coinvolgono tante località in Italia e all’estero, con la finale ovviamente a Treviso; inoltre, oltre al già citato “Tiramisù Day”, vale la pena di segnalare la nascita, lo scorso novembre, della “Casa del Tiramisù” firmata dall’azienda Treviso Tiramisù: nella Palazzina Barberia, a Treviso, un spazio di cinque piani tra pasticceria e caffetteria, bottega, ristorante, area showcooking, degustazioni e cooking class, meeting e realtà immersiva. A Treviso il tiramisù, insomma, non è semplicemente un dolce, ma un modo di vivere la città e di farne un elemento di valore aggiunto, economico, gastronomico, turistico e culturale.
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Torta Putàna Elogio del recupero (e del senso di comunità)
di Caterina Vianello
Esiste nel vicentino, ma in realtà in tutto il Veneto, un dolce tipico che – inconsapevolmente – ha la capacità di raccontare un’epoca storica, le tradizioni familiari e le differenze geografiche tra province, città, persino singole famiglie. Si chiama “torta putàna”, ma in realtà i nomi con cui è conosciuto sono molti e
necessariamente legate all’accezione colorita del termine che, anche se più immediata, non è l’unica possibile, convivendo accanto infatti a quella che lega il nome al modo con cui in dialetti ci si riferiva ai bambini - “putei” - accennando al fatto che la torta fosse preparata per loro. In realtà, l’unica
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Nel vicentino basta spostarsi un po’ per trovare un’antologia di nomi: in area berica è “torta putàna”, ad Arzignano e a Chiampo è “torta vilàna” o “torta de pàn”, “casalìna” ad Altissimo, “macafam” o “macafame” (un elogio alla capacità di bloccare la fame) nell’Alto vicentino. Diventa inoltre “pinsa” o “pinza” a Venezia, Rovigo e Treviso. Si potrebbe continuare per scoprire in verità che nonostante i nomi, la ricetta è più o meno la medesima e parte da una manciata di ingredienti di base, impastati con la storia. La gastronomia del Veneto è profondamente segnata dal consumo della polenta e – indirettamente – dalla fame: una fame che spingeva a fare di necessità virtù, riutilizzando gli avanzi e ingegnandosi al meglio.
La torta putàna riassume in sé la storia del Veneto e le sue
radici contadine:
polenta avanzata, forse qualche pezzo di pane – anche se il pane era cibo da ricchi e solo pochi potevano permetterselo – mele, uvette, fichi, latte per mescolare l’impasto. Alcune versioni – più sostanziose –prevedevano anche grappa e strutto. La cottura avveniva in una teglia col coperchio, sotto le braci del camino poi sostituite dalle stufe a legna. Si mangiava nel periodo invernale, soprattutto nel periodo natalizio o durante le festività di inizio anno, per l’Epifania; ogni famiglia aveva la sua ricetta, perché di fatto, essendo un dolce fatto con gli avanzi, ogni famiglia trasformava i “suoi” avanzi in torta. Al di là della ricetta, insomma, la torta putàna è di fatto un piatto della memoria.
Un piatto che, però, modificatesi profondamente le abitudini alimentari e di vita, rischia di scomparire, presente solo nei ricordi. Proprio per evitare questo rischio, che poi coincide anche con la perdita di una parte della storia regionale, c’è stato chi ha dato vita ad una manifestazione che non solo recuperasse il dolce tradizionale ma lo celebrasse, ergendolo a baluardo contro lo spreco alimentare e a favore di un consumo responsabile. È così che è nata - ad opera di Attilio Saggiorato, Presidente Slow Food Veneto, con il coinvolgimento della Condotta Slow Food Area Berica e l’amministrazione comunale di Campiglia dei Berici – la “Festa della torta putàna” che quest’anno ha segnato la sua prima edizione, il 16 e 17 marzo scorsi, dopo l’anno zero realizzato nel 2023.
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Per capire il significato profondo di questa iniziativa, abbiamo parlato con Attilio Saggiorato e con il Sindaco di Campiglia, Massimo Zulian. «Lo scopo con cui è nata la festa è stato da subito duplice. Da un lato c’era la volontà di rivalutare e riscoprire un piatto della cucina veneta e vicentina che oggi abbiamo un po’ dimenticato, dall’altro sensibilizzare il pubblico rispetto al tema dello spreco alimentare, tema molto caro a Slow Food.
Carlo Petrini definisce il frigorifero, non a caso, il “cimitero di famiglia”», spiega Saggiorato. «La festa si è svolta in due giorni: il primo dedicato alla presentazione di due o tre ricette preparate con gli avanzi di un pasto, in forma di show cooking, il secondo dedicato alla vera e propria gara, che ha visto 10 torte assaggiate e valutate da una giuria popolare ed una di esperti, che hanno eletto la migliore. È stato un successo inaspettato, che ha visto un’altissima partecipazione e per il futuro l’idea è quella di dare vita ad un circuito di Comuni, ognuno dei quali presenti la propria versione.
Slow Food, infatti, non deve finire con noi ma continuare con i giovani.
Siamo tuttavia molto rigorosi sugli ingredienti: sì a uvetta, canditi e grappa, ma no a uovo – ingrediente ricco – né pinoli, che non fanno parte della nostra tradizione. Inoltre, si deve sentire bene la presenza della farina di mais: vogliamo insomma che sia fedele alla tradizione. Non a caso, contestualmente, proprio per recuperarne ricette e versioni ci siamo attivati con gli anziani del paese per farci raccontare come si preparava un tempo, nello spirito del progetto di Slow Food che sono i “Granai della memoria”. Il grande riscontro che abbiamo avuto è stato importantissimo: oltre alla ricetta in sé abbiamo infatti portato avanti un messaggio antispreco grazie al quale abbiamo sensibilizzato il pubblico, soprattutto quello giovane.
Soprattutto, Slow Food non significa solo mangiare ma rivalutare la specificità e la territorialità di ogni zona». Sulla stessa lunghezza il sindaco di Campiglia dei Berici: «La festa è stata un’occasione per fare comunità e riscoprirci come tale: hanno partecipato tutte le associazioni del paese, tutte le Pro Loco, è stata una festa intergenerazionale.
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Da noi non si vedono molto frequentemente concorsi di torte e vedere un simile coinvolgimento, soprattutto da parte dei giovani, è stato un risultato oltre le aspettative. Una Pro Loco ha fatto fare la torta ai giovani sulla base dei racconti dei nonni e, di fatto, quella ricetta è diventata poi il racconto di come si viveva una volta». Una visione univoca e condivisa, quella di Saggiorato e Zulian che puntano ora a realizzare una raccolta di racconti, dei video o un cortometraggio attraverso i quali mettere a disposizione le ricette degli anziani ma soprattutto la loro memoria, all’intera comunità, per evitare che vada perduta.
«Così da un lato la “Consulta giovane” di Slow Food e dall’altro l’Associazioni culturale “Campiglia giovane” potrebbero non solo dare voce a quanti ci hanno preceduto ma a tramandarne la lezione, contribuendo a cementare ulteriormente il senso di comunità». Una bella lezione che arriva da un semplice e povero dolce di recupero.
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Cibus: 3000 brand, 1000 buyers, 120.000 metri quadri di esposizione Torna a Parma il salonedell’eccellenza
del Made in Italy
a cura della redazione
Dal 7 al 10 maggio alle Fiere di Parma per un'edizione che si preannuncia da record. La consolidata collaborazione tra Fiere di Parma e Federalimentare fa preannunciare infatti una 22esima edizione con oltre 3.000 brand distribuiti su 120mila mq di superficie espositiva che occupano 8 padiglioni e una lista di attesa di 600 aziende pronte a incontrare i buyer della grande distribuzione italiana e internazionale - ad oggi più di 1.000 già registrati - provenienti da mercati come Stati Uniti, Germania, Spagna, Francia, Regno Unito e Medio Oriente.
i protagonisti
Grazie alla collaborazione con Agenzia ICE, saranno infatti presenti buyer, category manager e responsabili acquisti delle più importanti catene di supermercati, tra cui hanno già aderito Loblow e Metro Canada, Albertsons, Central Market, H-E-B, HyVee, Walmart, Whole Foods Market USA (dal Nord America); Grupo Pao de Açucar, Alkosto, Tottus e Cencosud (dal Sud America); Billa, Rewe, Spar, Colruyt, Metro, Iki, Maxima, Hanos, Jumbo Supermarkten, Auchan Retail, Sonae, Eroski, Manor, Migros, Marks & Spencer, Ocado, Waitrose (dall’Europa); Aeon, Itochu, Kato Sangyo, Ok Corporation, City Super Shanghai, Hyundai Green Food, Lotte Mart, Nongshim (dall’Asia); Lulu Group, Shufersal (dal Medio Oriente), Pick n Pay, Woolworths, Coles da Sud Africa e Australia.
Saranno altresì presenti le realtà di riferimento a livello internazionale per l'horeca, così come gli importatori e i distributori chiave per il Made in Italy nel mondo, tra questi per esempio
Kehe Distributors, US Food, Baldor,
pizza e pasta italiana 2023
Atalanta, Sysco, Bidfood, Angliss, Classic Fine Food, Sodexo, Winterbotham Darby, AMS Sourcing, Dagab, Haugen Gruppen, Coop Trading, Sligro, Transmed, Choitrams, Truebell, Ali bin Ali, Bright View, COFCO, Emporium Corporation, Giraud Restaurant System, Monte Bussan Global Pacific Victory, Gourmet Partner, Food Gallery Limited, Jagota.
le novità
Novità di questa edizione sarà l’area “Cibus delle idee”, che valorizzerà la spinta innovativa delle aziende espositrici della manifestazione. Lo spazio, collocato strategicamente all’ingresso del padiglione 7 (ingresso Ovest), ospiterà alcune aree di successo di Cibus, come l’Innovation Corner – la vetrina espositiva delle novità di prodotto presentate in fiera dagli espositori – e la Startup Area nata in collaborazione con Le Village di Crédit Agricole.
Per la prima volta a Cibus T-OWN: un progetto che, in modo originale, presenterà le idee e le iniziative messe in campo dalle aziende agroalimentari per informare i consumatori finali delle caratteristiche sociali, energetiche e nutrizionali dei singoli prodotti.
Una call for ideas progettata dallo spin off T_OOL patrocinato dall’Università di Parma.
Tra le anticipazioni, anche un ricco programma di convegni e iniziative dedicato all’Authentic Italian Food&Beverage. Il
focus interesserà tre grandi filoni tematici: i nuovi equilibri tra distribuzione e industria di marca, esplorando le ricadute sulla filiera dopo i recenti patti antiinflazione; la protezione e valorizzazione del patrimonio gastronomico tradizionale attraverso il confronto delle diverse esperienze e best practice dei consorzi nazionali ed esteri; i percorsi tematici negli spazi di Cibus dedicati agli operatori dell'Ho.Re.Ca.
Il 2024 sarà inoltre l’anno dei Paesi dell’area Asean, con il ritorno della Cina, la grande assente durante la pandemia, e un’importante delegazione dal Giappone.
le dichiarazioni
Antonio Cellie, Amministratore delegato di Fiere di Parma, definisce Cibus come “un sistema di alleanze nazionali e internazionali che consolida l’agroalimentare italiano ed europeo come riferimento per un consumo consapevole e sostenibile a livello globale”.
Per Paolo Mascarino, Presidente di Federalimentare: "Il Salone Internazionale dell’Alimentazione Cibus è la manifestazione di riferimento per l’agroalimentare italiano. Come ogni anno, sono protagoniste le eccellenze del Made in Italy del food, un tessuto imprenditoriale dinamico, capace di unire tradizione e innovazione e che riesce a intercettare i gusti dei consumatori italiani e internazionali. La fiera rappresenta altresì un’occasione di riflessione sull’industria alimentare e su tutta la sua filiera che hanno dimostrato, anche in momenti particolarmente critici come la pandemia e l’attuale crisi internazionale dovuta ai conflitti, una grande solidità nel saper garantire cibo sicuro e di qualità a tutti".
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di Alfonso Del Forno
Esiste una buona pasticceria senza glutine ?
Il titolo di questo articolo potrebbe essere ribaltato, perché la domanda vera è: “esiste una buona pasticceria con glutine?”. Escludendo i grandi lievitati, in pasticceria molte delle basi sono di alto profilo quando sono “senza glutine”. Scopriamo perché.
La pasticceria senza glutine non è più solo una tendenza ma una vera e propria arte culinaria in continua evoluzione. Con un numero crescente di persone che scelgono di adottare diete senza glutine per motivi di salute o preferenza personale, la richiesta di dolci senza glutine di alta qualità è in costante aumento. Questo incremento della domanda non intimorisce i pasticcieri, che, per venire incontro alle esigenze del mercato degli intolleranti, devono attrezzare le loro strutture produttive solo per garantire la sicurezza alimentare, senza preoccuparsi di inventare nuove tecniche di produzione. Infatti, una delle chiavi per ottenere una crema di qualità, liscia e setosa, è l’utilizzo di amido di mais e amido di riso, entrambi naturalmente privi di glutine. Questi ingredienti conferiscono alla crema una consistenza morbida e una delicata dolcezza, perfetta per farcire torte, pasticcini e altri dolci senza glutine.
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L’amalgama di questi due amidi garantisce una texture impeccabile, senza compromettere il gusto o la consistenza del dolce. Ma non è solo la crema che beneficia dell’utilizzo di ingredienti senza glutine. Il pan di Spagna, tradizionalmente realizzato con amidi, zucchero e uova, può essere naturalmente preparato senza glutine, mantenendo intatta la sua sofficità e leggerezza. L’impiego di amido di mais e amido di riso, insieme a uova di alta qualità e zucchero, assicura la riuscita di un pan di Spagna che soddisfi anche i palati più esigenti. Tra i dolci senza glutine più apprezzati, vi sono quelli realizzati con pasta di mandorle, una delizia che unisce la dolcezza delle mandorle alla loro naturale assenza di glutine. Dai morbidi macarons alle paste secche, la farina di mandorle si presta a una vasta gamma di preparazioni, offrendo una piacevole alternativa per chiunque desideri evitare il glutine senza rinunciare al gusto.
E che dire dei classici “brutti ma buoni”? Questi dolci, composti semplicemente da albume d’uovo, zucchero e nocciole, rappresentano un’irresistibile tentazione per i golosi. Croccanti all’esterno e morbidi all’interno, i brutti ma buoni dimostrano che è possibile ottenere dolci deliziosi senza l’aggiunta di farina di frumento.
Infine, non possiamo dimenticare le meringhe, un dolce tradizionale che ha da sempre fatto parte della pasticceria classica ed è naturalmente senza glutine. Preparate con soli albumi d’uovo e zucchero, le meringhe sono leggere, croccanti e incredibilmente versatili, perfette da gustare da sole o come decorazione per altre creazioni dolciarie.
La pasticceria senza glutine offre un mondo di sapori e possibilità culinarie che soddisfano non solo le esigenze dietetiche ma anche i palati più raffinati. Grazie all’impiego di ingredienti di alta qualità e alla maestria dei maestri pasticceri, è possibile gustare dolci senza glutine che non temono confronti, celebrando la bellezza e la bontà di un’arte culinaria in continua evoluzione.
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Addio a Sergio Miccù
Ci lascia il “papà”
dei pizzaiuoli napoletani
Caro Direttore, non voglio sostituirmi a te ma credo che “Pizza e Pasta Italiana” debba dedicare almeno un pensiero a Sergio MIccù.
Grazie per la tua attenzione, Caterina.
Cara Caterina, hai proprio ragione.
Io ero piccolissimo e forse non avevo ancora mangiato la mia prima pizza quando Sergio Miccù, nel 1988, diede vita alla sua “casa”, l’Associazione dei Pizzaiuoli Napoletani. Pizzaiuoli, con la U, per ricordare sin dal nome il valore della tradizione di cui si è sempre professato uno strenuo difensore.
In uno degli ultimi incontri che ebbi con lui a “Tuttopizza” alla Mostra d’Oltremare di Napoli, la fiera che ha ideato e fatto crescere fino a renderla una delle più amate dai pizzaioli, mi riconobbe come “militan-
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Sergio Miccù
te” di Slow Food Campania e mi disse - con il fervore che lo contraddistingueva - che noi non potevamo assecondare le mode ma essere suoi alleati nel difendere la tradizione.
Posso dire che non mi stupii più di tanto ma non diedi grande seguito alle sue parole perché non avevo ancora visto ciò che stava già vedendo lui: la pericolosa deriva sciovinista del mondo della pizza. Miccù ha sempre creduto in quei pizzaiuoli con la testa bassa e le mani sporche di farina e con la sua APN aveva avviato nel 2004 le procedure per il riconoscimento europeo della Stg, Specialità Tradizionale Garantita, alla Pizza Napoletana. Non solo! Nel 2017 fu tra i primi a credere nella proposta di riconoscimento Unesco all’arte del pizzaiuolo napoletano. Anche in questo caso “pizzaiuolo con la U” per lasciare la firma della sua convinzione più grande: l’insostituibile importanza della tradizione più vera. Organizzatore del “Trofeo Caputo” e dei tanti “guinness
world record” sul Lungomare di Napoli, Miccù è stato il padre professionale di centinaia di giovani pizzaioli che, in Italia e nel mondo, vedevano Napoli come la stella polare a cui guardare per costruire il proprio futuro lavorativo. Grazie alla sua guida, APN è cresciuta ben oltre i confini nazionali, diventando punto di riferimento in tantissimi Paesi del mondo e oggi il già Vice Presidente dell’Associazione, il decano dei pizzaiuoli Antonio Starita, così lo ricorda: “Una grave perdita, un amico di tante battaglie, vinte per la difesa
e il riconoscimento della Pizza Napoletana nel mondo”. Ci uniamo a queste parole per ricordare un uomo che va via ma il cui pensiero e il suo insegnamento non ci abbandoneranno mai. Lo ricorderemo anche noi: lo abbiamo già fatto in occasione del “Pizza World Forum” al XXXI Campionato mondiale della Pizza, continueremo a farlo a “Tuttopizza” e soprattutto ci auguriamo di onorarlo attraverso le pagine di questa rivista.
Ciao Presidente!
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a cura della redazione
Il manuale del vero gaudente
Se siete cattolici, avete la Bibbia; se siete musulmani, è indispensabile il Corano ma se siete dei “santi bevitori” allora non può mancare nella vostra libreria il manuale del bartender scritto oltre un secolo e mezzo fa da Jerry Thomas, di professione – manco a dirlo – bartender.
Pubblicato per la prima volta nel 1862, contiene molte ricette di cocktail rimaste tutt'ora invariate. Grazie alla competenza del chimico, del farmacista e del produttore di alcolici Christian Schultz, sono presenti anche ricette per la confezione di liquori, cordiali e sciroppi.
112 pizza e pasta italiana maggio 2024
AL
UN LIBRO
MESE
Possiamo dire che non ci sia barman al mondo che non abbia guardato a questo libro di Jerry Thomas come alla “Bibbia” dei drink anche perché i grandi classici hanno fornito la giusta ispirazione alle ricette dei “tempi moderni”, modificate in ragione dei tempi, degli ingredienti, della creatività.
La filosofia di Jerry Thomas è chiara: “Un drink eccellente lo si cava solo da materiali eccellenti”. E su questo potremmo dire che la contemporaneità, a volte, non ha sempre migliorato la questione, anzi!
L’ultima edizione, pubblicata per i tipi di Feltrinelli, contiene due interessanti postfazioni: quella di Roberto Mussapi, rinomato scrittore italiano, che si occupa della letteratura o, per meglio dire, della poesia del bere. Il giornalista enogastronomico Allan Bay, invece, affronta la riflessione storica sulla "Bibbia" di Thomas.
Un libro per chi vuole cimentarsi con i cocktail, per chi vuole abbinarli bene alle proprie pietanze ma anche per chi vuole capire quando beve bene e quando no. Insomma, per tutti.
Autore: Jerry Thomas
Anno di prima edizione: 1862
In libreria ora con: Feltrinelli
Anno di pubblicazione: 2018
Pagine: 336
Prezzo di copertina: 13 euro
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