Pizza e Pasta Italiana

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n°3

marzo '19

Pizza ine Pala Speciale

Pizza in Teglia


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pizza e pasta italiana marzo

2019

AZIENDE Campionato Mondiale della Pizza

p. 18 - 19

Castelli Forni

p.33

Cerutti Inox

p.107

Cirio - Conserve Italia

p.11

Cuppone

p.41

Delivery Oven

p.85

Dr Zanolli

p.15

Effedue F.lli Beretta

p.2 p.59

Farm Frites

p.103

Forni Pavesi Rimini

p.106

Gi Metal

p.31

Hanna Instruments

p.82

Host

p.66

Ind Molitoria Denti

p.47

Ind Molitoria Perteghella

p.63

Internorga

p.90

Kuma forni

p.67

La Torrente

p.58

Latteria Montanari

p.97

Le 5 Stagioni - Molino Agugiaro e Figna MAM - Eredi Malaguti Mecnosud Menu

p.25-95 p.105 p.43 p.116

Millberg

p.73

Molecola

p.115

Molino Bongiovanni

p.71

Molino Magri

p.29

Molino Naldoni

p.101

Molino Pasini

p.89

Molino Piantoni

p.55

Molini Pivetti

p.75

Molino Rachello

p.27

Moretti Forni

— Sommario — editoriale

6

Turismo & Gastronomia

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Il mondo 12 cambia e cambia l’alimentazione

Forno Mollica, se la Pizza incontra l’alta cucina

di Giampiero Rorato

di Patrizio Carrer

pizza news

a cura di Patrizio Carrer

prima pagina

a cura di Patrizio Carrer

10

Speciale

PIZZA IN PALA E PIZZA IN TEGLIA

p.9

Newplast

p.84

Nova Funghi

p.91

Novaltec est

p.3

O Sole Napule

p.7

OEM - Ali Group

p.77

PepsiCo

p.81

Pizza Eat

p.61

Prontofresco Greci

p.23

Rinaldi Superforni - Pinsa Romana

p.45

Sanfelici

p.93

SITTA

p.83

Smoki

p.111

Tanagrina Ind. Alimentare

p.51

Ventidue

p.65

Vito Italia

p.35

20

di Giampiero Rorato

16

24

Tra gourmet e street food: ecco la Pizza in Pala e la Pizza in Teglia

Declinazioni di Pizza in Pala e di Pizza in Teglia

a cura della redazione

a cura della redazione


sommario

ad ogni regione la sua pizza:

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Lombardia

La buona farinata di Franza & Co. 60

Giropizza 2018 Expo Riva Hotel: i numeri, le competizioni e gli eventi

1^ PARTE

a cura della redazione

di Caterina Orlandi

38

storie di alimentazione e

di Virgilio Pronzati

98

di gastronomia

62

Focacce d'Italia

92

eventi

La cucina al tempo della dinastia Tudor di Stefano Buso

la storia

102 La testimonianza di Marc Monnier

di Giampiero Rorato

della pizza

di Giampiero Rorato

42 Pane, Pizza e arte bianca, la parola a Carmelo Loiacono di Patrizio Carrer

Khorasan italiano: 48 il frumento del futuro di Giampiero Rorato

i gioielli d ’ italia

La Bresaola

di Caterina Vianello

52

360° 108 Conosciamo i lieviti per la pizza? la pizza a

il dolce

Il “Parco” Relais di Monaco di Giampiero Rorato

la birra

68

a cura della redazione

le aziende informano Molino Dallagiovanna

p. 36

Linea Dori

p. 37

Molino Bertolo

p. 84

Hildegard von Bingen di Alfonso Del Forno

Le donne del vino in festa

72

di Giampiero Rorato

Italmopa, il punto della situazione 78 a cura della redazione

la scienza

dell’alimentazione

86

Saltare la colazione influenza il peso di Marisa Cammarano

112 SCUOLA ITALIANA PIZZAIOLI

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pizza e pasta italiana marzo

— Editoriale —

2019

Turismo & Gastronomia Giampiero Rorato

S

appiamo tutti che c’è in Italia uno stretto legame tra il turismo e il mondo della ristorazione, con centinaia di miglia di turisti che arrivano ogni anno nel nostro Paese non solo per godere la bontà della cucina italiana, ma anche per imparare la cultura gastronomica italiana. Un esempio concreto lo offre il Campionato Mondiale della Pizza, celebrato annualmente nel nostro Paese, con pizzaioli che arrivano da tutto il mondo non solo per gareggiare, perché quanti arrivano vogliono anche conoscere, visitare pizzerie e ristoranti, confrontarsi, sperimentare e arricchirsi di nuovi saperi. Solo nel settore turistico, come scrive l’ultimo rapporto del World Travel and Tourism

Council, in Italia gli occupati diretti nel 2017 sono stati un milione e mezzo (1.490.500) con una tendenza che li porterà in dieci anni a quasi 1.800.000. Se poi aggiungiamo gli occupati indiretti si arriva a quasi 3.400.000, pari al 16,5 per cento degli occupati in Italia. Va poi ricordato – come scrive Gian Antonio Stella (Corsera del 6.2.u.s.) - che quanti lavorano in Italia nel turismo sono dieci volte di più di quanti lavorano nel settore chimico per cui si comprende quanto sia importante per Governo, Parlamento, partiti e sindacati dedicare la massima attenzione a questo settore. Non serve, infatti, ricordare che il turismo internazionale – una delle poche voci attive dell’economia italiana – alimenta

e non poco il mondo della gastronomia e della ristorazione, pizzerie comprese. Ci sono turisti che arrivano in Italia quasi solo per il “Tour enogastronomico” e visitano, secondo programmi predefiniti e ben organizzati, i migliori e più rinomati ristoranti italiani e le Cantine più apprezzate a livello internazionale. Questa rivista, fin dalla sua nascita oltre trent’anni fa, oltre a interessarsi con autorevoli apporti formativi e informativi al mondo della pizza, e ancora al Campionato Mondiale, e ad altre manifestazioni promozionali, continua ad essere presente nelle maggiori fiere internazionali e ha avuto sempre molta attenzione per la gastronomia, la ristorazione in generale e

il turismo. In questo mese desideriamo ribadirlo: il turismo è una delle colonne portanti dell’economia italiana; è importante per tutto il mondo della ristorazione, pizza compreso, per cui ci auguriamo che quanti sono preposti alla sua organizzazione, alla formazione del personale e al possibile aumento dei posti di lavoro per tanti giovani, specialmente al Sud, prendano a cuore questo settore, che negli ultimi anni, grazie a intelligenti scelte governative, sta mostrando una interessante vivacità. Come ha scritto Gian Antonio Stella: “Non tener conto delle opportunità che si spalancano con un numero di turisti mondiali sempre più grande sarebbe davvero assurdo…”.

www.giampierororato.blogspot.com

COLOPHON

PIZZA E PASTA ITALIANA Mensile di Pizza, Pasta, Enogastronomia e Cultura

PROGETTO GRAFICO Manuel Rigo, Paola Dus, Elena Cazzuffi — Mediagraf lab

Edito da PIZZA NEW S.p.A. Autorizzazione Tribunale di Venezia n. 1019 del 02/04/1990 Anno XXX - n.3 Marzo 2019 Repertorio ROC n. 5768

DIGITAL PUBLISHING Maura Trolese — Mediagraf lab

DIRETTORE EDITORIALE Massimo Puggina DIRETTORE RESPONSABILE Giampiero Rorato SEGRETARIA DI REDAZIONE Caterina Orlandi PUBBLICITÀ Patrizio Carrer, Caterina Orlandi RESPONSABILE PROGETTO David Mandolin REDAZIONE Via Sansonessa, 49 - 30021 CAORLE (VE) Tel. 0421/ 212348 - Fax 0421/81007 E-mail: redazione@pizzaepastaitaliana.it www.pizzaepastaitaliana.it

IN COPERTINA illustrazione di Laura Pittaccio STAMPA MEDIAGRAF S.p.A. Noventa Padovana (Pd) COMITATO TECNICO E REDAZIONALE Marisa Cammarano, Patrizio Carrer, Tony Gemignani (U.S.A.), David Mandolin, Gianandrea Rorato, Caterina Vianello, Laura Nascimben, Caterina Orlandi, Stefano Buso, Alfonso Del Forno. AFFILIAZIONI INTERNAZIONALI Pete La Chapelle (N.A.P.O. - Pizza Today, U.S.A.), P.M.Q. Steve Green (U.S.A.), P.M.Q. Russia, P.M.Q. Cina, Drew McCarthy (Canadian Pizza Magazine, Canada),

ASSOCIATO ALL’UNIONE ITALIANA STAMPA PERIODICA

PER LA PUBBLICITÀ SULLE RIVISTE: ITALIA Pizza e Pasta Italiana; U.S.A. Pizza Today, P.M.Q.; GERMANIA Buongiorno Italia TEL 0421.83148 — FAX 0421.81007 PER INFORMAZIONI, SOTTOSCRIVERE UN ABBONAMENTO O RICHIEDERE UN ARRETRATO: TELEFONARE AL NUMERO 0421 212348 dal lun. al ven.: 10:00 – 12:00 / 15:00 – 17:00 INVIARE UN FAX A 0421 83178 Servizio abbonamenti Pizza e Pasta Italiana INVIARE UNA MAIL A: abbonamenti@pizzaepastaitaliana.it L’abbonamento può avere inizio in qualsiasi momento dell’anno e dà diritto a ricevere 11 numeri della rivista. L’abbonamento andrà in corso dal primo numero raggiungibile.



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pizza e pasta italiana marzo

a cura di Patrizio Carrer

2019

PIZZA NEWS

USA, il 9 febbraio si è celebrato il National Pizza Day

G

li Stati Uniti festeggiano il loro National Pizza Day, una ricorrenza di cui è difficile rintracciare la nascita ma che ormai è diventata una prassi comune. Lo scorso 9 febbraio gli statunitensi hanno omaggiato uno dei loro cibi preferiti, basti pensare che, secondo diverse statistiche, ne vengono venduti oltre 3 miliardi ogni anno. Il 17% dei ristoranti negli Stati Uniti sono pizzerie e gli americani consumano a testa oltre 10 kg di pizza, il 93% la mangia almeno una volta al mese, generando un business da circa 35 miliardi di euro. La 'variante' preferita è quella ai Pepperoni, il salame piccante che rappresenta un vero e proprio must nel paese: ogni anno ne vengono consumati oltre 113 milioni di Kg. La più discussa, almeno per i puristi del nostro paese, quella all'ananas, nelle sue diverse varianti.

OEM, tutte le novità per la pizza e il baking

OEM

presenta la nuova linea di impastatrici serie ID dedicate sia agli impasti classici che a quelli impasti ad alta idratazione, e SuperTop Vario, l’innovativo forno elettrico multi-baking, dotato di tecnologia Optimus ® Baking technology, ideale per cotture di Pizze in Teglia e Pizza in Pala. I nuovi modelli di impastatrici hanno dimensioni ridotte e comandi laterali, in modo da poter essere collocate direttamente sotto il banco di lavoro. La capacità delle vasche va da 20 a 60 kg per ciclo di lavoro. Queste impastatrici sono dotate di uno speciale palo spacca-pasta con piedino per raccogliere anche i più piccoli residui d’ impasto, inoltre assicurano maggior potenza e velocità, e sono dotate di meccanica rinforzata. Il forno elettrico modulare SuperTop Vario 640 L è ideale per qualsiasi tipo di pizza: in Teglia, in Pala, Gourmet, ma anche focacce, croissant, torte dolci e salate ecc. Perfetto per una produzione intensa, grazie alla sua grande potenza (fino a 450°C) e all’esclusivo sistema Optimus ® Baking Technology, assicura performance di cottura eccezionali anche in condizioni di lavoro molto intense. Grazie alla Vaporiera (opt), alla camera rivestita in mattone refrattario e l’altezza della camera maggiorata, è adatto per svariati settori di utilizzo, pizzerie da asporto dalla grande produttività, locali con alta concentrazione di produzione per fascia oraria, pizzerie con posti a sedere, pizzerie e panetterie con produzione di pasticceria secca. La camera di cottura è 126x83x16, permette di cuocere pizze da 40 cm ed è ideale per la cottura delle teglie cm 60 x 40.



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pizza e pasta italiana marzo

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PRIMA PAGINA a cura di Patrizio Carrer

Gragnano, città della pasta Parmigiano Reggiano: caseifici aperti ad aprile

Un

weekend alla scoperta del Parmigiano Reggiano Dop: torna il 13 e il 14 aprile l'edizione primaverile dei caseifici aperti nel territorio emiliano. Due giorni di visite guidate, attività per i bambini e soprattutto di degustazioni in oltre 50 caseifici tra Parma, Reggio Emilia, Modena, Bologna e Mantova. Decine i produttori che apriranno le porte delle proprie aziende per permettere ai visitatori di assistere alla nascita del Parmigiano Reggiano e passeggiare nei magazzini di stagionatura. È l'occasione non solo per un fine settimana goloso ma anche per saperne qualcosa in più sui metodi di lavorazione artigianale del Parmigiano, tecniche che si tramandano da oltre nove secoli. E poi per i palati più gourmet sarà l'occasione per degustare le varie sfumature di gusto della Dop emiliana, dal Parmigiano Reggiano stagionato 12 mesi agli aromi di quelli stagionati anche 36 o 48 mesi. Aperto ai visitatori anche il Consorzio del Parmigiano Reggiano.

Un

decreto del Ministero delle Politiche Agricole e Alimentari, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, ha formalmente riconosciuto il Consorzio "Gragnano Città della Pasta" come Consorzio di Tutela. Il Consorzio riunisce 14 produttori che producono ogni giorno 3.500 quintali di pasta Igp, pari a 3 milioni di piatti, con un fatturato totale annuo di 300 milioni di euro in continua crescita, ed una quota export del 75%. Il boom dei prodotti italiani degli ultimi anni ha visto il Consorzio segnare un +7,2% nel biennio 2016/2017, con un trend positivo continuato anche nel 2018. Dati che mettono oggi Gragnano all'11/mo posto a valore tra le Dop e le Igo nazionali. I 14 soci del "Consorzio Gragnano Città della Pasta" si ripartiscono tra piccole realtà artigianali e top player del mercato. Uniti nel difendere i valori dell'artigianalità e della tradizione, oggi codificati nel severo disciplinare Igp che protegge una produzione legata a questo luogo fin dal XVI secolo; da qui sono partite tutte le principali innovazioni dell'industria nazionale a cominciare proprio dalle celebri trafile al bronzo. Nel 2003 la prima unione nel 'Consorzio Gragnano Città della Pasta' delle aziende storiche, eredi dei primi pastifici di 500 anni fa, e nel 2013 il conferimento dell'Indicazione Geografica Protetta.

Food Delivery, grande successo nel 2018

Il

food delivery si classifica come il settore più dinamico della ristorazione. E' quanto emerge da una analisi Coldiretti/Censis secondo cui sono ben sono quasi 19 milioni gli italiani che nell'ultimo anno con regolarità (3,8 milioni) e occasionalmente (15,1 milioni) hanno consumato a casa cibo ordinato tramite una piattaforma web da ristoranti e pizzerie. Nel 2018 - sottolinea la Coldiretti - più di un italiano su tre ha dunque ordinato dal telefono o dal pc pizza, piatti etnici o veri e propri cibi gourmet, con sempre più ristoranti di qualità entrati nel giro delle piattaforme come Just Eat, Foodora, Deliveroo, Bacchette Forchette o Uber Eats, solo per citare le più note, accanto alle quali si sono sviluppate numerose realtà locali. In cima alla lista delle motivazioni di ricorso al cibo a domicilio - rileva lo studio Coldiretti/Censis - c'è il fatto di essere stanchi e non avere voglia di cucinare (57,3%), ma c'è anche un 34,1% che indica di farvi ricorso in caso di cene con amici e parenti per stupire i commensali con piatti di qualità. La possibilità di farsi arrivare le pietanze pronte a casa facilita in questo modo l'organizzazione di momenti di convivialità anche quando non si avrebbe il tempo per mettersi ai fornelli.


CUOR DI PELATO. Insieme per toccare le stelle.

Densa e cremosa, Cuor di Pelato conserva tutta la dolcezza dei Pelati Cirio nella prima polpa ottenuta dal pomodoro italiano per eccellenza. Freschezza e qualitĂ per chi sa che, in cucina, al Cuor non si comanda.


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pizza e pasta italiana marzo

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Il mondo cambia

e cambia l’alimentazione Dobbiamo prenderne atto e comportarci di conseguenza di Giampiero Rorato

I

l mondo sta davvero cambiando: la popolazione del pianeta aumenta, diminuisce il rispetto per la natura, si praticano vasti disboscamenti, la terra si sta riscaldando, vaste aree del pianeta stanno desertificandosi, i ghiacciai delle montagne e dei poli hanno già iniziato a sciogliersi, l’acqua diventa un bene sempre più prezioso e intanto la stupidità umana continua a produrre guerre e carestie provocando enormi migrazioni di popoli, spesso ricacciati da chi sta economicamente bene, senza che i Governi dei Paesi più fortunati – quelli dell’emisfero Nord – si sforzino di capire i motivi di queste grandi migrazioni e li affrontino con intelligenza e decisione, spesso ignorando volutamente che compromettono il futuro dei loro concittadini.

Dobbiamo rendercene conto, consapevoli che questi enormi cambiamenti, causati in buona parte dalle attività umane, incidono direttamente sulla nostra vita e sulla vita delle generazioni future. Di conseguenza, dobbiamo non solo ripristinare un corretto rapporto con la natura, ma anche modulare i nostri ritmi di vita e la nostra alimentazione per garantire a noi stessi e a chi verrà dopo di noi – figli, nipoti, pronipoti – non solo di avere corpo e mente sani e pienamente funzionali, ma di essere capaci di convivere con la natura, rispettandola ed esaltandola per rendere il mondo migliore e più vivibile. E siccome possiamo farlo abbiamo tutti il dovere di contribuire a renderlo migliore di quello che oggi è.


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La nostra dieta Questa è una rivista soprattutto gastronomica, perciò si occupa di cibo e in un mondo che si presenta oggi molto diverso da come era qualche decennio fa anche l’alimentazione è decisamente cambiata.

1-

in casa si riducono le portate a pranzo e a cena, attualmente mediamente due, verdure comprese;

2-

nei ristoranti, eccezion fatta per i menù degustazione preparati per i cosiddetti buongustai, i clienti ordinano meno piatti che in passato;

Come è ormai ben noto, c’è in atto una lenta, ma costante, riduzione del consumo di carne, soprattutto di carne rossa; sta crescendo il consumo di verdure e di frutta di stagione, si fa più uso di proteine vegetali, quindi più legumi e frutta secca, in particolare noci; si ricorre sempre più spesso all’ottimo olio extravergine d’oliva italiano, riducendo il grasso di origine animale; si fa molta attenzione a non sprecare gli alimenti, acquistando solo quelli necessari. Negli ultimi due decenni, cioè dall’inizio di questo nuovo secolo, la dieta (questa parola significa esattamente “modo di mangiare” o “tipo di alimentazione”) degli italiani è notevolmente cambiata e lo confermano in particolare tre fatti:

3-

aumentano i clienti delle pizzerie, cioè aumentano coloro che, fuori casa, mangiano un piatto solo.


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Guardiamo al futuro La dieta Lancet È chiaro che se vogliano (dobbiamo) mangiare oggi in modo diverso dal passato, deve cambiare anche l’agricoltura e l’intero settore agroalimentare, che produce i nostri alimenti. Purtroppo, come scriveva domenica 3 febbraio l’illustre scienziato Roberto Defez ne “La Lettura” - il bellissimo settimanale abbinato al Corriere della Sera - le idee anche a livello di esperti sono piuttosto confuse e contradditorie e riportava, a tal proposito un servizio della prestigiosa rivista Lancet che “ha deciso di consigliare una dieta che salvi sia noi che il pianeta” (Food in the Anthropocene: the Eat- Lancet Commission on healthy diets from sustainable food systems – “ Il cibo nell’Antropocene - la Commisione Eat-Lancet sulle diete salutari da sistemi di coltivazione e allevamento sostenibili”, 16 gennaio 2019) . Dieta praticamente insulsa, impossibile da realizzare, sia per la dettagliata indicazione dei grammi di cibo al giorno (es.: 27 g di pollo, 46 g di albume d’uovo, 17 g di tuorlo, 232 g di riso, 6 g di olio di palma, ecc.), sia per le indicazioni sui prodotti da coltivare, poiché sembra privilegiare, fra l’altro, l’olio di palma all’extravergine di oliva. Se si seguisse la dieta proposta da Lancet, rivista scientifica per altri aspetti molto prestigiosa, serve, afferma Defez, “un forte aumento dell’uso di fertilizzanti azotati, aumenterebbe la produzione di gas serra e il consumo di combustibili fossili”. Abbiamo accennato al documento di Lancet, per invitare a riflettere sulle diete oggi più funzionali a una vita sana per noi e per le future generazioni e la conseguenza ci sembra abbastanza chiara.

“Tuttavia – conclude Defez – il documento di Lancet ha il merito che, una volta preparato, lo si può correggere e integrare. Ad esempio ora si vendono zucchine, melanzane, carciofi, pomodori e peperoni: nessuno di questi vegetali è stato coltivato all’aperto, tutti in serre riscaldate con gasolio se prodotti in Italia. I vegetali freschi che crescono ora in Italia sono cavoli, broccoli e verze, il resto ha un pesante impatto ambientale. Cominciare ad essere virtuosi ci fa bene e riduce un po’ i gas serra.” Ma la critica più pesante Roberto Fedez la fa al preconcetto di chi ha composto la “dieta Lancet” secondo cui le cose del mondo vanno giudicate da Nord e non da Sud. Se le affermazioni fatte per il Nord coincidessero anche con la realtà del Sud del Mondo – da cui parte il grande esodo moderno – non ci sarebbe nulla da dire, se cioè “esistessero vasi comunicanti tra il Nord e il Sud del mondo, tra gli Stati, tra le etnie, tra le confessioni e anche tra le regioni di uno stesso Paese. Mi pare piuttosto – conclude Roberto Defez - che si alzino muri, diffidenza, chiusura allo straniero e si vada a grandi passi verso un’illusoria anarchia. Sicuramente non è in programma un acquedotto che porti l’acqua dei laghi finlandesi al Mali.”

La nostra conclusione? Il mondo della pizza ha già compreso che serve una svolta e per questo numerosi pizzaioli per farcire le loro pizze si rivolgono a prodotti del territorio, coltivati in campo aperto e colti freschi nella loro stagione di maturazione. E questo è espressione di una seria professionalità che, pur in piccolo, contribuisce a rendere la nostra alimentazione più sana e il nostro mondo più vivibile.


AL MIO FIANCO NELLA COTTURA “Il forno è uno degli elementi per una buona pizza. Zanolli offre sempre il massimo e mi consente di testare le migliori cotture anche con le miscele più impegnative, come quella della mia pizza senza glutine.” FEDERICO DE SILVESTRI

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pizza e pasta italiana marzo

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Speciale

PIZZA IN P A L A E PIZZA IN TEGLIA


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Tra g ou rme t e s t r e e t fo o d :

e cc o l a Pizza in Pal a e l a P i zza in Te glia a cura della redazione

L

a rivista Pizza e Pasta Italiana propone per questo numero un focus dedicato a due ricette che in questi ultimi anni sono state letteralmente riscoperte e proposte al pubblico in tutte le pizzerie: la Pizza in Pala e la Pizza in Teglia. Può sembrare riduttivo - e lo è – dedicare solo poche pagine a queste due proposte, in effetti dietro a queste ricette c’è una lunga tradizione regionale di panificati, che tocca tante regioni italiane, dalla Liguria alla Puglia, passando per la Sicilia e il Lazio e che molto spesso si intreccia con il lavoro artigianale dei panificatori di tutta Italia. Va ricordato infatti che queste specialità nascono proprio nei forni, grazie al lavoro e alla tradizione di Maestri che nel corso degli anni hanno reso questi panificati delle eccellenze apprezzate a livello nazionale e internazionale. Il loro lavoro rimane tutt’oggi uno dei fiori all’occhiello della tradizione alimentare Italiana tant’è che alcune di queste eccellenze sono oggetto di tutela, a garanzia della loro storia e degli ingredienti che vengono utilizzati per la loro preparazione. È bene ricordare che l’origine di questi alimenti

è popolare e come la pizza rotonda, che a Napoli si consumava per strada, le pizze a metro e le focacce erano le antesignane del moderno street food. Ciononostante la duttilità di questi panificati permette sperimentazioni culinarie più complesse, dove per esempio la tradizionale focaccia viene recuperata e riproposta in chiave gourmet e con farciture di altissima qualità (e costo), come fa eccellentemente, fra gli altri, il ristorante stellato Marconi, con il nuovo concept “Forno Mollica”. Il recente salone internazionale della gelateria e della panificazione di Rimini è stata l’occasione per osservare come le aziende italiane siano in tal senso sempre più all’avanguardia: chi ha potuto visitare i padiglioni della kermesse romagnola avrà trovato molte novità, con farine, mix e semi - lavorati dedicati specificatamente a questi tipi di impasto. Ma la sola materia prima non può fare tutto: la bravura e la competenza dei panificatori, dei maestri pizzaioli e degli esperti di arte bianca è il valore aggiunto e ci auguriamo che queste pagine possano essere lo spunto per molti pizzaioli per riscoprire o re – inventare le proprie pizze.


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pizza e pasta italiana marzo

2019

SPEC IALE PI ZZA IN P A L A E PI ZZA IN T EGL I A

FORNO MOLLICA

se la Pizza incontra l’alta cucina di Patrizio Carrer


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sotto

Massimo e Aurora Mazzucchelli

L'

Italia è il paese delle eccellenze gastronomiche ed è anche la patria di tanti bravi professionisti della cucina, dell’arte bianca e della pizza, ma non capita molto spesso di ritrovare in un’unica proposta questi tre aspetti. E’ il caso del “Marconi” – a Sasso Marconi, Bologna – ristorante che da 10 anni vanta una stella Michelin e che di recente si è aperto all’arte bianca con il Forno Mollica.

Il cuore di ogni ristorante è la cucina e dietro ai fornelli del “Marconi” ci sono due fratelli: Aurora e Massimo Mazzucchelli, che con emozione raccontano il traguardo raggiunto “Questi sono stati 10 anni in cui abbiamo cercato la bellezza, o meglio ricercato la bellezza perché è proprio qui che si racchiude il concetto della nostra ristorazione intesa come ambiente, coccola, eleganza e cortesia”. “Le emozioni sono state tantissime quando l’abbiamo ricevuta. E’ stato un grande stimolo. Un cambiamento in meglio che ci ha portati, da giovani spericolati che eravamo, a tuffarci in una nuova identità del ristorante “Marconi”. La Stella Michelin ci ha dato i mezzi per andare oltre e credere nel futuro”, racconta Massimo Mazzucchelli.

FORNO MOLLICA Se una cena al ristorante “Marconi” offre un’esperienza gastronomica di alto livello e di grande qualità il forno “Mollica” è un’opportunità quotidiana per apprezzare i prodotti da forno dei fratelli Mazzuchelli. “Mollica” è un nuovo concetto di forno, uno spazio dal design contemporaneo, accogliente e luminoso. Un ambiente conviviale, allegro che allo stesso tempo diventa anche un bistrot, una pizzeria gourmet e una caffetteria. Quattro anime che convivono in un solo spazio curato in ogni dettaglio. Da “Mollica” è possibile fare colazione, pranzare con i colleghi e provare le pizze di Massimo Mazzucchelli o i piatti caldi della cucina, fare un aperitivo scegliendo un calice di vino naturale da accompagnare ad una pizza da dividere con gli amici, oppure cenare con una gustosa degustazione di pizze. “Forno Mollica” offre una proposta di pani realizzati con grani antichi, lievito madre, ma anche dolci da forno. Le pizze sono preparate con lievito madre e lasciate con una lunga maturazione, per favorirne la digeribilità (alcune proposte variano con

la stagionalità dei prodotti e realizzate negli ultimi mesi). Le palline del “Mollica” sono da 350 gr, più grandi rispetto alla media e se nel piatto sembrano piccole è perché viene usata una tecnica di stesura che la rende più spessa, un’ampia gamma di farciture, dalla classica pomodoro e fiordilatte, alle farciture gourmet con ingredienti più ricercati, alle focacce, ai panini con carne. Aurora Mazzucchelli spiega la filosofia di “Mollica” " Il fenomeno a cui stiamo assistendo nel settore del food potrebbe essere paragonato a quello della moda oppure della vita; tutto ritorna, tutto si trasforma come dei fotogrammi già visti che diventano solo più veloci! A parte tutto credo che il termine gourmet stia a identificare uno stile più che un concetto di qualità; la qualità sta nella materia prima e nella sapienza di sapere come utilizzarla. Per noi una proposta può essere sia innovatrice che tradizionale nel recupero e nel gusto senza dimenticare che tutto ciò deve essere pensato a livello salutistico...Prodotti sani, genuini, freschi e gustosi”.


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SPEC IALE PI ZZA IN P A L A E PI ZZA IN T EGL I A

Focaccia con Cime di Rapa, Topinambur, Burrata e Capperi credits photo newseventicomo relazioni pubbliche consulting

PROCEDIMENTO: Tagliare il Topinambur come preferite e farlo saltare con dell’olio e un pizzico di sale. Tagliare le cime di rapa, farle saltare con olio, sale e dell’aglio. Cuocere l’impasto della focaccia. Tagliare la focaccia a spicchi e farcire ogni spicchio a crudo con tutti gli ingredienti. Un filo d’olio extra vergine di oliva e portare in tavola. Impasto per la focaccia Per la Biga, 350 gr di Licoli, 175 gr d’acqua, 350 gr farina tipo 1. Unire licoli e acqua mescolare, aggiungere la farina. Miscelare insieme al liquido senza lavoralo troppo. Lasciare lievitare per 4 ore. Per l’impasto: 3750 gr farina tipo 1, 750 g farina tipo 1, 15 gr malto, 12 gr zucchero, 750 gr poolish, 125 gr olio EVO, 3250 gr acqua 125 gr sale. Impastare le farine con lo zucchero, il malto e la poolish. Iniziare a versare l'acqua a cui avremo unito l'olio, in prima velocità. Dalla seconda velocità, continuare a versare a filo l'acqua restante e per ultimo il sale. Deve risultare un impasto liscio e lucido. Togliere l'impasto dalla planetaria, dare le pieghe e lasciare a maturare per 1 ora e 30 minuti. Trascorso questo tempo fare le pezzature da 350gr, fare le palline della focaccia e mettere nelle cassette e lasciare a temperatura ambiente per circa 1 ora e 30. Riporre in frigo a 5.5° per 24 ore.

INGREDIENTI per farcitura — 100 gr Topinambur — 200 gr Cime di Rapa — 120 gr Burrata — 16 Capperi a crudo



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SPEC IALE PI ZZA IN P A L A E PI ZZA IN T EGL I A

Declinazioni di Pizze in Pala e Pizze in Teglia Giuliano Bressan

Pizza Caprina

INGREDIENTI per farcitura — Pomodoro — Stracciatella — Pomodorini Datterini — Salsiccia dolce — Origano

FASE 1: Impasto (per kg) — 900g farina 00 — 50g farina di riso — 25g farina multicereali — semola — acqua — lievito il tutto a riposare per 16/18 ore

— Formaggio caprino speziato — Pancetta all’aglio di Caderzone (Trento)

FASE 2:

— Scaglie di Parmigiano Reggiano

— acqua — olio EVO — sale

— Basilico fresco

Nonostante lavori ad Almisano di Lonigo in provincia di Vicenza da ormai 30 anni, Giuliano Bressan si sente un veronese doc, e al paese d’origine dedica ogni vittoria internazionale, nei concorsi di pizza a cui partecipa. Giuliano gestisce la pizzeria “La Roda” assieme alla moglie Annalisa e ai figli Mirko e Martina ed è stato più volte premiato in diverse gare di pizza: nel 1997 e nel 2000 vince il titolo di Campione Italiano di Pizza Dessert, nel 2007 con la sua pizza “Martina” – in onore della figlia – vince il titolo di Campione Mondiale e nel 2013 si laurea Campione Europeo di Pizza Classica. Le sue pizze sono una certezza per i clienti che riempiono ogni sera i tavoli de “La Roda”. La proposta di Giuliano Bressan è una Pizza in Pala farcita con prodotti di altissima qualità.


#EXPRESSYOURSELF MILANO, ORE 23:00 Ogni pizzaiolo ha una storia da raccontare che svela attraverso le sue ricette.

Come Mario, che ha fatto della creatività la sua cifra stilistica. Lui che ama sperimentare, ha scelto di mescolare la classica 00 con la Macinata a Pietra di Le 5 Stagioni. Il risultato? Ricco, intenso e autentico come la sua personalità. le5stagioni.it curtarolo@agugiarofigna.com ¦ +39 049 9624611


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Mattia Pivetta

pizza e pasta italiana marzo

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SPEC IALE PI ZZA IN P A L A E PI ZZA IN T EGL I A

Pizza in Pala con farina ai sette cereali “Sette G” Farcitura di cime di rapa e petto d'anatra marinato IMPASTO Utilizzo metodo Biga FARCITURA: — Cime di Rapa leggermente sbollentate e cotte in padella con olio EVO e aglio. — Mozzarella e Taleggio, per dare cremosità alla pizza, ma senza appesantirla. — A fine cottura delle fette sottili di petto d’anatra marinato a cui è stata bruciata la pelle per dare sentore di affumicato. — Guarnire con le foglie crude delle Cime di Rapa, condite con un po’ di aceto.

— 400 gr. farina 0 forza media — 600 gr. farina Sette G idratazione 83% — 30 grammi di Olio EVO. — 7 gr. di lievito, — 7 gr. di malto messo nel rinfresco, — 20 gr. di sale.

Mattia scopre la sua vocazione per il mondo degli impasti quando, a 18 anni, inizia a lavorare in una pizzeria nei weekend. In poco tempo nasce in lui una passione che lo porta a studiare e sperimentare varie tecniche, dapprima da autodidatta e in seguito attraverso percorsi formativi e di confronto i maggiori esperti del settore. La continua esperienza in differenti realtà del trevigiano gli permette di crescere e formarsi in modo completo, specializzandosi molto su topping, impasti e lavoro di squadra. Oggi è pizza chef presso la pizzeria Al 4, una nuova realtà nel contesto di H-Farm dove propone 3 diverse tipologie di impasto: La tonda classica, realizzata con biga e lunga maturazione; la pizza in teglino, con aggiunta di lievito madre e farine multicereali; la Pizza in Pala, con elevate percentuali di biga e di idratazione e una doppia cottura per aumentarne leggerezza e friabilità. In merito alla ricetta Mattia ci spiega“Ho scelto di dare al mio impasto una sensazione di “scioglievolezza” ad ogni morso, per questo ho scelto la farina ai sette cereali “Sette G”, un mix di cereali alternativi e germe di grano che mi garantisce spinta, estensibilità. Al palato l’impasto risulta croccante, mentre l’alta idratazione e il mix di cereali e germe, danno un prodotto altamente digeribile. Il condimento è dettato dalla stagionalità, mi permette di ottenere il massimo dai prodotti che utilizzo. Fondamentale è anche la sinergia con gli chef della brigata, con cui vi è un continuo scambio e confronto su preparazioni ed abbinamenti, per poter esaltare sempre al meglio caratteri e sapori delle materie prime.

— Mattia Pivetta Pizzeria "Ai 4"- Via per Meolo, 4 Roncade (TV)



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On Air

Stefano Miozzo FARCITURA — Rucola selvatica — Salmone affumicato artigianalmente — Burrata Pugliese — Semi di sesamo bianchi e neri tostato — Finger lime

IMPASTO declinabile sia per la Pala che per la Teglia — Base di farina di grano tenero Tipo ‘1’ a bassa raffinazione — Semolino di riso — Lievito madre disidratato — Farina di soia tostata — Acqua — Olio EVO — Lievito di birra

Vincitore dell’ultima edizione del Campionato Mondiale della Pizza per la categoria Classica, Stefano Miozzo, da Cerea (Verona) lavora presso il ristorante Le Forkette ed è tra i pizzaioli che ha ottenuto il più alto numero di riconoscimenti in una sola edizione del Campionato Mondiale della Pizza. Oltre al titolo per la categoria classica, nell’edizione 2018 della gara di Parma, Miozzo ottiene il terzo posto per la categoria Pizza a Due – assieme allo chef Manuel Baraldo – vince il premio Thriatlon (il punteggio più alto ottenuto dalla sommatoria di tre gare di cottura individuali), il premio speciale Parmigiano Reggiano e il titolo come miglior team con il Pizza Team Penelope. L’anno precedente, nell’edizione 2017 vince il titolo per la categoria Pizza in Pala e sfiora il podio per la categoria Gluten Free. Due anni di grandi successi, che proiettano il pizzaiolo veronese nella Hall of Fame del Campionato Mondiale della Pizza e confermano il valore le qualità di un grande professionista della pizza e della cucina. Per questo speciale di Pizza e Pasta Italiana Stefano propone una pizza in pala con una farcitura molto fresca, l’impasto è croccante e leggero grazie alla farina di riso, ma allo stesso tempo gustoso grazie alla farina di soia tostata. L’idratazione molto elevata migliora la masticazione della pizza e il lievito madre disidratato rilascia una profumazione persistente dopo la cottura.



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Alessandro Gatti

Pizza in Pala "Nina"

IMPASTO: — Metodo Biga, la farina è una miscela di tre tipi: tipo 00 forte, farina di tipo 1, farina di farro della Garfagnana – DOP FARCITURA — Culaccia — Crema di Burrata — Pesto genovese — Pomodorini confit

— Idratazione al 75%, sale, olio evo, lievito — Impasto a maturazione per circa 50 ore.

Originario di Massa, Alessandro Gatti è un pizzaiolo di lunga esperienza. Nel 1985 intraprende questa professione nell’attività di famiglia e dopo la consueta gavetta tra forno e banco di lavoro, nel 2004 apre “Ale’s Pizza”, pizzeria con servizio al tavolo, a domicilio e per asporto, a due passi dal litorale di Marina di Massa. Pur avendo una forte richiamo nel periodo estivo, la pizzeria di Alessandro Gatti è diventata un punto di riferimento 365 giorni all’anno per tutti i massesi e non solo. Grazie alla qualità degli ingredienti utilizzati, alla grande varietà di pizze proposte ( dalle tonde, alla Pala, alle pizze gluten free e molto altro) e alla simpatia di tutto lo staff della pizzeria, “Ale’s Pizza” è ad oggi tra le pizzerie più apprezzate della zona. Dal 2010 Alessandro Gatti è Istruttore della Scuola Italiana Pizzaioli – e dal 2016 con Percorso Formativo Certificato –, nello stesso anno diventa Giudice al Forno al Campionato Mondiale della Pizza e attualmente gestisce anche due pizzerie a Montpellier: “Il Pizzaiolo”. La ricetta di Alessandro Gatti si distingue per una lunga maturazione dell’impasto a temperatura controllata che, sommata all’alta idratazione, conferisce all’impasto della pizza digeribilità, croccantezza e sapidità.



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Pizza 307

FARCITURA — Spinaci — Mozzarella — Mozzarella di bufala di Mondragone — Parmigiano Reggiano stagionato 30 mesi

IMPASTO Farina 00 con forza alta, 80% di idratazione, maturazione in massa per 48 ore, dalle 6 alle 10 ore in lievitazione con le pagnotte. 5 grammi di lievito ogni kg ( fresco) 30 grammi di sale, 30 grammi di olio evo.

Yuri Passerini Yuri Passerini, classe 1983, è uno specialista della Pizza in Teglia. Il suo locale “Artepizza” che gestisce assieme al fratello Igor si trova nei pressi dei quartieri Aurelio – Portuense, ed offre un’ampia gamma di pizze tonde, ripiene, in Teglia, ma anche primi piatti e fritti. Recentemente ristrutturato il locale si è dotato di una sala interna con posti a sedere ed è uno dei punti di riferimento per la pizza nell’Urbe. Yuri Passerini è stato tra i pizzaioli ad aver il maggior numero di riconoscimenti per la Pizza in Teglia. Nel 2005 si classifica terzo al Campionato Mondiale della Pizza per la categoria Teglia, nel 2008 diventa Campione del Mondo per la stessa categoria, nel 2009 è ancora vice campione del mondo e l’ultimo titolo nel 2017 gli conferisce il secondo titolo del podio. La pizza proposta è quella che gli è valsa il titolo nel 2017.


Soluzioni tecnologiche avanzate e prestazioni incomparabili nella gamma dei forni professionali progettati per le esigenze della pizzeria moderna. Linee FORNI MODULARI e FORNI MONOBLOCCO Comandi elettronici o elettromeccanici per il controllo indipendente della temperatura. Resistenze disposte sul lato superiore e inferiore della camera di cottura. Controllo preciso della cottura. Elevata capacità produttiva e ridotti consumi energetici.

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SPEC IALE PI ZZA IN P A L A E PI ZZA IN T EGL I A

Pizza carciofi e crudo

Leo Spizzirri Originario di Chicago, Leo Spizzirri è un professionista della pizza e dell’arte bianca, ed ha alle spalle un lunga esperienza nel mercato americano dei panificati. Il suo percorso professionale lo porta prima a collaborare con i più importanti brand americani e canadesi del settore food e poi a conoscere alcuni dei più importanti maestri pizzaioli americani, tra cui il plurititolato Tony Gemignani. Qualche anno dopo Leo Spizzirri diventa Master Istruttore con Pecorso Formativo Certificato della Scuola Italiana Pizzaioli e nella sua Chicago, da il via nella “Pizza Culinary School”, ai primi corsi di pizza.

FARCITURA — 200 g Crema di Carciofi — 450 g Provola affumicata tagliata julienne — 400 g Ricotta — 200 g Prosciutto di Parma

IMPASTO

— 200 g Pomodori Ciliegini Gialli

10 kg farina 00 W390 4,5 kg di acqua 100 g lievito fresco *Con una temperatura ambiente di 20C, conservare la Biga fino a quando il pH è 5,5 (16-18 ore)

— 100 g Peperoncini dolci — 5 g Fiori edibili

Per il rinfresco Acqua Malto Sale Olio EVO


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LE AZIENDE INFORMANO

Molino Dallagiovanna:

Pizza in Teglia alla Romana “Monica”, di Pino Arletto

Molino Dallagiovanna G.R.V Srl Via Madonna del Pilastro 2, 29010 Gragnano Trebbiense (PC) Italia Tel. +39.0523787155 Fax +39.0523787450

Ingredienti

1 kg Farina “leDivine” Monica, 3 gr lievito, 750 gr d’acqua, 20g di sale, 20gr olio.

Procedura

Mettere la farina ed il lievito nell’impastatrice e ossigenare. Inserirel’80% dell’acqua totale e amalgamare. Inserire il sale e amalgamare; successivamente l’olio EVO e amalgamare. Infine inserire il restante 20% di acqua a filo a velocità 2. Lasciare in vasca per circa un’ora e mezza e ogni mezz’ora fare due giri di vasca a velocità 2. Mettere l’impasto in massa unica in frigorifero ad una temperatura di 4-5°C. Dopo 24h rigenerare facendo delle pieghe a croce e rimettete in frigorifero per altre 24 ore. (l’operazione si chiama puntata) Dopo 48 h totali stagliare e far lievitare di nuovo per almeno altre 2 ore (l’operazione si chiama appretto) Spianare e cuocere.

Condimento

Ricotta di pecora, Pecorino romano, Radicchio di Verona, noci, Olio EVO, prezzemolo. Amalgamare ricotta, radicchio, Pecorino e spalmare sulla base della pizza (cotta precedentemente) Spolverare con del Pecorino. In una boule lucidare altro radicchio con dell’olio EVO posizionando qualche foglia per dar colore alla base; aggiungere 5-7 noci a pezzi e del prezzemolo al quale abbiamo estratto la clorofilla precedentemente. Terminare con un filo di olio EVO. www.dallagiovanna.it

Chi è Pino Arletto Pino Arletto è figlio d’arte, cresciuto nella tradizione della pizzeria di famiglia, ha cominciato fin da giovanissimo ad appassionarsi a questo lavoro. Dopo aver perfezionato le sue abilità, Pino Arletto ottiene riconoscimenti di qualità per la pizzeria di cui è stato proprietario “Taglia Pizza di Pino Arletto”; il premio “Oscar qualità e Cortesia” del Gambero Rosso nel 2007 e nel 2008. Pino ottiene anche ottimi risultati in diverse gare di pizza, ed è stato spesso ospite di diversi programmi televisivi. Attualmente Pino si occupa di consulenze, docenze e ovviamente di pizza, con il team Molino Dallagiovanna come Tecnico Commerciale.


37 LE AZIENDE INFORMANO

Linea Dori 3000 SRL

Linea Dori S. R. L. Roma, Via di Vigna Girelli 48b Uscita 31 del Grande Raccordo Anulare (Via della Magliana) Tel. 06.65.67.16.26 335.52.46.972

D

al 1950 la Linea Dori 3000 srl è impegnata nella progettazione e nella realizzazione di utensili da lavoro in legno per panifici, pizzerie, ristoranti e hotellerie. I suoi prodotti in legno vengono realizzati esclusivamente con legnami non trattati chimicamente e la lavorazione viene effettuata senza l’uso di colle, o qualsiasi altro prodotto nocivo che venga a contatto con gli alimenti. I prodotti dedicati all’infornamento sono accompagnati da certificato di idoneità. Inoltre, tutti gli articoli destinati ad entrare in contatto con gli alimenti sono lavabili a mano, grazie alla finitura alimentare certificata di cui vengono trattati. La Linea Dori 3000 srl è in costante aggiornamento sia per quanto riguarda le certificazioni, infatti al momento è in lizza per adeguarsi alla certificazione GMP e ISO 9001, ma anche per quanto riguarda le esigenze dei propri clienti, cercando sempre di soddisfarli attraverso miglioramenti sia estetici, come la personalizzazione, che funzionali.

www.lineadori.com

A tal proposito, l’azienda ha lanciato a gennaio 2019, in occasione della fiera Sigep, una nuova linea di pale professionali per pizzaioli: ARIA. Questa linea è la prima realizzata interamente con legno di faggio multistrato evaporato selezionato, che include solamente pale con la testa forata, pensate per essere leggere, forti e funzionali eliminando quasi totalmente i residui di farina nel forno. Ad oggi la Linea Dori è leader nel settore e riconosciuta in tutto il mondo, grazie alla qualità molto elevata dei suoi prodotti, al suo continuo investimento in fiere internazionali e alle sue collaborazioni con riviste riconosciute universalmente.


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Focacce d’Italia


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UNA GRANDE REALTÀ GASTRONOMICA FRA TRADIZIONE ED EVOLUZIONE di Giampiero Rorato

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a focaccia è una delle più diffuse preparazioni alimentari italiane, in alcuni casi così importante da essere diventata emblema primario della tradizione alimentare d’una città e di un territorio. E il motivo è molto chiaro: la focaccia è un cibo semplice, fortemente radicato nella storia e nella tradizione, realizzato con prodotti locali, poco costoso e molto gustoso, una preparazione che ha superato indenne il volgere dei secoli regalando sempre grandi soddisfazioni a chi la gusta. Bianca, morbida o croccante, alta o bassa, ripiena o farcita, con o senza sale, più o meno unta, tanti luoghi d’Italia ne rivendicano il primato, ma, come sempre succede con le preparazioni gastronomiche più antiche, si tratta di un alimento la cui origine si perde nella notte dei tempi, proprio come la pizza, con cui la focaccia è strettamente imparentata, tanto che attualmente ci sono delle “focaccerie” che definiscono le loro focacce “pizze gourmet”, facendo, in verità, un po’ di confusione, anche se poi le regole e i nomi dipendono dalle nuove consuetudini e dall’uso corrente e, in un generale annacquamento linguistico, si pensa che le cose e/o le parole s’aggiustino.

Focaccia Romana

Focaccia con Mortadella

Nella veloce rassegna che presentiamo in questo numero, va detto che anche all’interno di una singola tradizione, sia quella genovese, pugliese, romana e altre, ci possono essere diverse varianti, introdotte anche in tempi recenti e ritenute migliorative e quindi adottate da fornai, pizzaioli, pasticceri, come il tipo di farina, dallo 00 alla semola di grano duro o come il lievito: chi impiega quello di birra e chi il lievito madre; lo stesso vale per i pomodori e per l’olio d’oliva, chi vuole l’extravergine migliore chi un normale olio d’oliva. Ma le differenze si sentono, eccome. Per questo negli ultimi tempi si trovano delle focacce che si potrebbero definire “gourmet”, vale a dire realizzate con i prodotti migliori, attentamente selezionati e preparate con grande attenzione sia nel rapporto tra gli ingredienti che per l’aspetto estetico. Fatto questo positivo, in un Paese come l’Italia altamente turistico, nel quale la cucina riveste una grandissima importanza per la sua straordinaria capacità attrattiva e perché viene ricordata a lungo dai turisti quando tornano nei loro Paesi.


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Focaccia di Recco

FOCACCE D’ITALIA

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ra le focacce italiane più famose c’è sicuramente la focaccia genovese, nota anche come Fugassa, una preparazione molto buona e abbastanza unta. È, immancabile sulle tavole tradizionali del genovesato e si mangia a colazione, a merenda, come spuntino o anche al posto del pane. Gli ingredienti sono: farina, acqua, lievito di birra, olio extravergine d’oliva ligure e sale. Proprio alle porte di Genova, c’è Recco, sulla Riviera di Levante e qui la focaccia è molto di versa da quella del vicino capoluogo. La focaccia di Recco, anch’essa molto famosa, è, infatti, sottile e ripiena di formaggio e va preparata da mani molto esperte. Tra gli ingredienti eccelle il formaggio locale fresco e morbido (la Liguria ha una ventina di tipologie molto interessanti), la base resta la farina e c’è anche qui l’ottimo olio extravergine d’oliva del territorio. Altra famosissima focaccia è quella barese, Credo sia interessante sottolineare che diffusa non solo in città e nei territori d’at- la base è il disco della pizza e ci viene da torno, ma in aree più vaste della Puglia. Gli pensare che la pizza sia più antica della foingredienti sono, oltre alla farina (meglio caccia, e quest’ultima non è altro che una semola di grano duro o di Khorasan), l’o- variante interessante dell’antica pizza, la lio d’oliva pugliese (la Puglia è la maggior “mensa” dei Romani, o il pane dei beduini produttrice italiana di olio d’oliva, anche se del deserto, cotto su pietre arroventate. E, l’ultima raccolta è stata scarsissima), la pa- grazie alla focaccia toscana, si può capire tata e un condimento a base di pomodorini come certi “focacceri” diano alle loro focace origano. ce il nome di “pizza gourmet”. E approfitto Risalendo verso Nord incontriamo la focac- dell’occasione per ricordare che la vera pizcia toscana, ricca di varianti. Gli ingredienti za è realizzata con materia prima di seria base sono comunque farina, acqua, lievito qualità, preferendo per quanto possibile i di birra, olio e sale. E qui merita un veloce migliori prodotti del territorio. Quindi, ad approfondimento, perché la base è un di- essere onesti e non parolai, la pizza è già di sco di pasta simile a quello preparato dai per sé gourmet, cioè un piatto per buongupizzaioli, poi condito con un buon extra- stai e se qualcuno vi aggiunge questa parovergine toscano e sale. lina francese lo fa perché teme che i clienti non capiscono che la sua è una buona pizza o una buona focaccia. Altra preparazione parente stretta della pizFocaccia za è la focaccia romana, meglio conosciuta Genovese come pizza bianca romana. Preparazione velocissima si può mangiare appena uscita dal forno oppure farcire con mortadella o prosciutto e fichi. Questa particolare focaccia si presenta alta, con una croccante crosticina esterna e, internamente soffice e morbida, ottima per essere farcita. Ma ci sono anche delle focacce abbastanza sottili, che molti chiamano “pizza scrocchiarella" o schiacciata croccante. Ecco dunque diverse varianti della storica focaccia o pizza bianca romana. E a Roma c’è anche la pizza bianca cà mortazza una delle storiche proposte dello street food romano. Per questo mese ci fermiamo qui, raccomandando a quanti amano la focaccia di collaborare perché non venga accantonata dalle tante “cose” moderna che giungono da ogni dove, perché la tradizione è anche Focaccia storia e cultura e, come nel caso delle focacBarese ce, anche una tradizione buonissima.


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Pane, Pizza e arte bianca: la parola a Carmelo Loiacono

— L'intervista —

di Patrizio Carrer

Bar, ristorante, panificio, pizzeria…Le declinazioni della ristorazione moderna sono tantissime. Un panificio per esempio può diventare un bar e offrire colazioni, primi piatti e molto altro ancora, un ristorante stellato può declinarsi anche come panificio e una pizzeria può diventare panificio. La ristorazione è sempre più ibrida e la contaminazione tra le proposte sono le parole d’ordine per chi vuole aprire un locale. Carmelo Loiacono è un professionista della pani-

ficazione, vive a Modena ma è originario di Cassabile, Siracusa, ed opera da anni come consulente, formatore e tecnico. Queste esperienze lo hanno portato negli anni a conoscere sia le esigenze dei fornitori, cioè i produttori di farine, mix e semi lavorati, sia le problematiche degli operatori, panificatori, pizzaioli e ristoratori. Per questi motivi abbiamo chiesto a Carmelo Loiacono un punto di vista su impasti, materie prime e metodologie di lavoro.



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Da quanto tempo lavora in questo settore? Cosa l'ha portata ad interessarsi di panificazione? Ho iniziato il mio percorso formativo frequentando l’istituto agrario per poi specializzarmi nel settore della panificazione ed industria molitoria. Dopo gli studi ho maturato la mia formazione e relative competenze nel canale GDO (pane, pasta, pizza, pasta e gastronomia) con l’incarico di progettare, aprire e gestire nuovi reparti di produzione e vendita all'interno di numerosi Ipermer-

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In base alla sua esperienza professionale, che caratteristiche devono avere le farine che utilizza per il suo pane? Ogni prodotto e metodo di lavorazione necessita della farina adeguata. Conoscere il comportamento degli impasti, garantendone un risultato ottimale che si ripete nel

— L'intervista —

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cati in Italia e in Europa. Dopo l’uscita dalla GDO, a metà del 2011, ho messo a disposizione ad alcune aziende molitorie le mie competenze professionali occupandomi di Ricerca e Sviluppo per la creazione di nuove miscele di farine per pane, pizza, pasticceria e pasta. Sempre per le stesse aziende curo, inoltre, l’assistenza clienti (professionisti, artigiani ed industria) in qualità di responsabile tecnico.

La pizza è da sempre associata alla panificazione e negli ultimi anni abbiamo assistito ad un vero e proprio boom di offerta di farine e semi lavorati per la pizza e le sue declinazioni. Qual è il suo punto di vista sull’argomento? La tendenza di oggi è la pizza contemporanea (gourmet) ormai divenuta un piatto d'eccellenza. Le tendenze vanno seguite rimanendo legati però alle tradizioni.

tempo, non è uno scherzo. Proprio di questo mi sono occupato negli ultimi anni per le farine professionali, verificarne le giuste caratteristiche per gli usi che ne competono.



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Stiamo assistendo ad un grande recupero delle tradizioni, sia nelle farine che nelle tecniche di lavorazione del pane e della pizza. Il lievito madre per esempio è diventato per tanti pizzaioli un must, ma sappiamo bene quanto sia laborioso e impegnativo il suo utilizzo. Personalmente credo che per fare la pizza con il lievito madre si debba aver maturato una grande sensibilità nella gestione di questo lievito. Inoltre è indispensabile avere a disposizione molto spazio per stoccare gli impasti che necessitano di una lunga lievitazione\maturazione. La pizza per sua natura non è un prodotto che deve durare nel tempo come il pane, pertanto, la sua digeribilità deve essere garantita attraverso una scissione degli zuccheri semplici delle farine in etili e carbonati.

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Se parliamo di tradizioni, viene quasi spontaneo parlare di prodotti locali. L’Italia è ricca di eccellenze legate al territorio e i panificati non fanno eccezione. Le focacce, le stirate, le pizze a metro, sono nate come specialità locali, ma ormai sono diffuse nei panifici e nelle pizzerie di tutta Italia. In base alla sua esperienza, che caratteristiche dovrebbe avere per esempio una buona Pizza in Pala? E una focaccia?

La Pizza in Pala deve essere fragrante fuori e morbida dentro, alveolata, mordendola ti deve scaturire sensazioni uniche come se stessi mordendo una nuvola ricoperta di un sottile strato croccante. Nel nostro paese vi sono infinite varietà di focaccia… Può essere rustica ed allo stesso tempo estremamente raffi-

— L'intervista —

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nata, adatta ad ogni occasione, dalla colazione al brunch, dal pranzo con gli amici alla cena a lume di candela. Alla base vi è la pasta di pane condita con olio e sale, alta e soffice o bassa e croccante, la focaccia nel nostro immaginario è legata alla vita di tutti i giorni, un piccolo lusso che ci concediamo, una gioia genuina.

Quali sono secondo la sua esperienza le tre caratteristiche indispensabili che un panificio – pizzeria dovrebbe avere? Il panificio o la pizzeria sono locali magici, devono rievocare sensazioni del passato quando la qualità data dal metodo tradizionale di lavoro era imprescindibile. L’ambiente dev’essere familiare, dove il vasto assortimento di pani, pizze, focacce, croissant, biscotti, dolci vari fatti con le migliori e innovative materie prime esprimono fiducia verso chi le ha lavorate con dedizione.



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K h or a sa n ita li a no: il fr ume nto d el f utur o di Giampiero Rorato


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Una nuova primavera per il più antico grano italiano

ul finire del secolo scorso, ma già da molto prima, nel Meridione d’Italia, soprattutto tra Abruzzo, Puglia e Basilicata, uno dei grani in assoluto più antichi lì coltivati, il Khorasan (Triticum turgidum, spp turanicum), era considerato alla pari se non inferiore agli altri tipi di frumento, nonostante avesse una storia e delle caratteristiche nutrizionali straordinarie e fosse sopravvissuto indenne e immune anche da incroci spontanei, ma soprattutto agli eventi, anche i più tragici - invasioni, guerre, carestie, emigrazioni, ecc. – che negli ultimi due millenni hanno colpito questa parte d’Italia. Poi, quando nel 1915 Nazareno Strampelli, uscito dall’Università di Pisa e trasferitosi a Rieti, diede inizio, proprio in Puglia, nelle terre del marchese Raffaele Cappelli, grande proprietario terriero e senatore del regno, alla produzione di un incrocio dedicato proprio al senatore, sembrò che il grano migliore in assoluto fosse proprio

quello che Strampelli aveva denominato “Senatore Cappelli”, per cui l’antichissimo e ottimo grano Khorasan lì coltivato da epoche immemorabili, venne ancor più trascurato. Ma, per le sue straordinarie caratteristiche e per nostra fortuna, quell’antichissimo grano non scomparve, anche se coltivato con amore da pochi agricoltori, nonostante la sua contenuta produzione per ettaro. Nel frattempo, dall’inizio di quest’ultimo secolo, cominciò a diffondersi a macchia d’olio in Europa, sostenuto da un marketing martellante, un ottimo grano prodotto nel Nord America, tra USA e Canada, un grano fatto conoscere non con il suo nome originario, “Khorasan”, ma con il marchio scelto dal suo proprietario – il signor Bob Quin -, cioè Kamut e l’esaltazione delle sue caratteristiche, intelligentemente presentate, lo fece – dico il cosiddetto grano a marchio Kamut – preferire dai consumatori italiani.

Il Khorasan italiano Poi, come capita ogni tanto, la storia prende una nuova strada, in questo caso migliore della precedente, e così, infatti, è successo al grano Khorasan italiano, grazie a Tommaso Carone, rampollo d’una famiglia di agricoltori di Altamura, da secoli legata alla terra, proprietaria di una azienda agricola nell’agro di Matera in Basilicata, al confine col territorio di Altamura, che è in Puglia. Questo figlio di contadini, ingegnere con lunghe e impegnative esperienze internazionali, aveva deciso di tornare a casa e continuare l’attività paterna prendendo la direzione dell’azienda agricola di famiglia, dove si produceva da sempre il grano Khorasan. L’ing. Carone, uomo dalle visioni lungimiranti e concrete, assieme ai figli Giovanni e Daniele, ha da subito coinvolto altri agricoltori lucani e pugliesi nella coltivazione del grano Khorasan, seguendo i più severi criteri biologici, a garanzia dei consumatori e qualificando il suo Khorasan con un secondo nome: “Santacandida”. Con Tommaso Carone, persona straordinaria per cultura e saperi scientifici, abbiamo assieme ripercorso la storia di questo grano, che è al di sopra delle classificazioni di “duro” e “tenero”, avendo caratteristiche uniche e inconfondibili. Nell’antichità, probabilmente fin dalla preistoria, veniva coltivato in tutta la Mezzaluna fertile, dalla Mesopotamia, tra i fiumi Tigri ed Eufrate e fino all’Egitto (dove si rifornivano anche Ebrei, Greci e Romani) e poi tra l’Anatolia (attuale Turchia) e l’Altopiano iraniano della provincia di Khorasan e, probabilmente dall’Egitto o dall’Anatolia, è arrivato in Puglia, già prima della fondazione di Roma, introdotto da gruppi di coloni greci.


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Le caratteristiche del Khorasan “Santacandida”

Il

merito di Tommaso Carone è stato sia quello di coinvolgere numerose aziende agricole “biologiche” pugliesi e lucane nella produzione dell’antichissimo – e autoctono da oltre duemila anni - Khorasan, realizzando così una filiera controllata che parte dalla campagna, arriva nei mulini e da qui, sempre sotto attento controllo, va o alla distribuzione, in particolare dai fornai artigiani, anche del Nord Italia e all’ Europa, o nei pastifici artigianali prescelti. Ma il merito dell’ing. Carone è stato soprattutto quelli di aver saputo rilanciare con intelligenza – per ora in Puglie e in Basilicata - questo grano meraviglioso, superiore per caratteristiche qualitative al Senatore Cappelli e ai suoi attuali eredi, lontanissimo dai glifosati e da altri prodotti chimici molto usati nel Nord America (tanto che l’acquisto italiano del grano dal Canada si è negli ultimi tempi più che dimezzato). Dalle analisi compiute, la semola del Khorasan biologico italiano “Santacandida” risulta ottima per produrre la pasta e la semola rimacinata e la sua farina danno pani, pasta fresca, pizza, biscotti, taralli e dolci di grande qualità e bontà, oltre che di facile digeribilità, cosa questa di rilevante importanza, anche per chi soffre di lievi allergie e intolleranze, anche se, come tutte le farine, non è adatta ai celiaci, contenendo l’9,80% di glutine secco (il grano duro ne ha l’11,60%) La pasta prodotta con questa farina ha, per fare un esempio, elevati valori di selenio (210 mcg su 100 g contro i 23 mcg del grano duro), potassio (439,50 mg contro i 272,50 del grano duro), magnesio (158 mg contro i 93 del grano duro), calcio (38 mg contro 13), ferro (3,90 mg contro 0,10) e fosforo (422,20 mg contro 355).

Sono sufficienti questi dati per capire l’alto valore del Khorasan biologico italiano “Santacandida”, che sta diffondendosi sempre più col duplice risultato di migliorare di molto la qualità del nostro cibo, valorizzando nel contempo la cerealicultura del Mezzogiorno d’Italia che, assieme all’olivicoltura, alla vitienologia, all’allevamento bovino e ovino e all’orticoltura sta crescendo ormai da anni, diventando uno dei punti forti dell’economia agroalimentare italiana, contribuendo a produrre veri posti di lavoro e a risolvere i problemi di molte famiglie del Sud Italia. E, sull’esempio di Tommaso Carone, che sta facendo conoscere all’Italia il Khorasan della Puglia e della Basilicata, è augurabile che altri grani antichi, come il Timilia siciliano, possano trovare intelligenti imprenditori per dar vita, anche nel settore cerealicolo, a un vero, serio e autorevole made in Italy, per valorizzare al meglio e in modo completo l’agroalimentare italiano, dal seme al campo e alla tavola. [Le foto sono dell’Archivio Santacandida”]


Per fare un’ottima pizza, ci vuole un’ottima mozzarella che conservi tutte le caratteristiche di un prodotto ormai considerato l’orgoglio della campania

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GIOI ELLI D'I T A LI A

Gioielli d’Italia:

La

Bresaola

di Caterina Vianello

Il suo valore è stato confermato dal riconoscimento del marchio Igp dal 1996


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I l be l c o l o r e r o ss o è i l t ra tto di s t i n t ivo che la r e n d e s i n da s ubi to in c o n fo n di b i l e. L’o cchi o più al l e n a to è po i i n g ra do d i c o g l i e r e i l bo rdo s curo appe n a a c c e n n a to per l a par t e ma g ra e i l c o l o re b ian c o p e r l a p a rte g ra s s a .

A

l naso il
profumo è delicato e leggermente aromatico; al palato, se le note salate arrivano per prime, poi è il gusto complesso e moderatamente saporito a catturare. Come molti altri salumi della tradizione italiana, la Bresaola rappresenta contemporaneamente un concentrato di saperi e usi antichi – a cavallo tra gusto e necessità di combattere le stagioni ed eventuali carenze di risorse disponibili – e un prodotto che non ha bisogno di altri ingredienti accanto perché ne sia compreso il valore. Se l’uso di conservare la carne mediante salatura ed essiccamento è comune a molte culture, è tuttavia la particolare conformazione della provincia di Sondrio a far sì che il prodotto possa essere considerato una eccellenza, il cui valore è stato confermato dal riconoscimento del marchio Igp dal 1996. Le prime testimonianze relative alla produzione della Bresaola risalgono al XV secolo ma le origini sono senz’altro antecedenti. La produzione rimane circoscritta all’ambito familiare sino ai primi decenni dell’Ottocento ed è solo con il 1900 che la lavorazione artigianale del salume diventa più consistente da varcare i confini nazionali e raggiungere la Svizzera.

La zona di produzione coincide con l’intero territorio della provincia di Sondrio in Lombardia, in cui si trovano due valli alpine principali: la Valtellina e la Valchiavenna. A quest’ultima la tradizione storico-letteraria attribuisce la paternità del prodotto. Il segreto della specificità della Bresaola dipende da diversi elementi: da una parte il clima, con l’aria fresca e asciutta e la temperatura piuttosto bassa della zona di produzione; dall’altra la scelta dei tagli migliori della coscia del manzo; da ultimo, infine, le regole precise seguite nelle fasi di lavorazione, che affiancano ad un determinato disciplinare anche i segreti custoditi e tramandati dai produttori (il sapiente dosaggio degli aromi naturali). Incerta è l’origine nel nome: chiamata in passato anche brazaola, brisaola o bresavola, pare che il suffisso “saola” possa ricondursi all’utilizzo del sale nella conservazione del prodotto. Alcuni ritengono che l’etimologia riconduca al germanico “brasa”, brace: anticamente, infatti, per riscaldare e deumidificare l’aria dei locali di stagionatura venivano utilizzati dei braceri, dai quali si sprigionava un fumo aromatico, ottenuto gettando bacche di ginepro e foglie di alloro su carboni ardenti di legno di abete. Altri fanno risalire il termine al dialettale “brisa”, che indica una ghiandola dei bovini fortemente salata. Con il tempo, in ogni caso, l’originario “brisaola” si è trasformato nell’odierno “bresaola”. L’originale a marchio Igp è prodotta

La zona di produzione coincide con il territorio della provincia di Sondrio in Lombardia


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GIOI ELLI D'I T A LI A

L’originale a marchio Igp è prodotta esclusivamente con carne ricavata dalle cosce di bovino dell’età compresa fra i 18 mesi e i quattro anni: i tagli utilizzati, che garantiscono non solo un prodotto eccellente dal punto di vista organolettico (per consistenza, morbidezza, gusto, colore, magrezza e assenza di nervature) ma anche nutrizionale (meno grasso), sono la fesa, la punta d’anca, la sottofesa, il magatello e il sottosso. Le carni, rifilate, vengono salate a secco, aggiungendo spezie, piante aromatiche, aromi naturali. La salagione varia dai 10 ai 15 giorni. Segue l’insaccamento di ogni singolo pezzo in budello naturale o artificiale. L’asciugamento dura in media una settimana. La stagionatura avviene in locali climatizzati, dal buon ricambio d’aria, ad una temperatura media tra i 12 ed i 18°C. Il tempo di stagionatura varia da 4 a 8 settimane.

I produttori aderenti al Consorzio utilizzano principalmente carne proveniente da allevamenti Europei e SudAmericani, di razza Charolaise, Limousine, Blonde d’Aquitaine e Garonnese, oppure Piemontese. Si impiega anche la razza pura di Zebù, dalle carni molto magre. Rispetto al passato, in cui prevaleva il sapore del sale, oggi le tecniche di lavorazione si sono affinate dando luogo ad un prodotto più dolce, morbido e gradevole al palato. La Bresaola è un salume molto nutriente, in assoluto il più povero di grassi, ricco di proteine, ferro, sali minerali e vitamine. A tavola il consiglio è quello di gustarlo dapprima in purezza, in fette sottili (0,6-0,8mm), per coglierne al meglio morbidezza e aromi. Poi può essere un ingrediente prezioso per dare personalità a piatti più complessi: tagliolini, risotti, involtini, insalate e strudel salati ne acquisteranno in personalità.

Il tempo di stagionatura varia da 4 a 8 settimane.



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A D OGN I R EGION E L A SUA PI Z Z A D O P, I G P, STG D'I T A L I A

−Lombardia −

“Ad o g ni regione la su a pi z z a” di q u esto mese è de di cata alla Lomb ard ia, ne l l o s pec if ic o la Val te l l i na che vanta un’a n ti c a tradizione di i n s a c c a t i e formag gi. La B res a ola, i formag gi Bi tto e Valte llina Case ra, i Pi z z o c che ri, il mie le , le m ele, u na comp le ssa c uc i n a t radizionale che si s po s a perfe ttame nte con i vi n i lo c ali.

L

a Valtellina è ricca eccellenze agroalimentari tramandate da molte generazioni, che hanno saputo deliziare i palati provenienti da tutto il mondo, specialità che oggi sono tutelate e garantite da consorzi e da marchi di qualità DOP e IGP. Oltre alle più note eccellenze, potrete gustare altri prodotti e specialità culinarie uniche nel loro genere e non facilmente imitabili. La “Slinzega” e il “Violino di capra”, la Polenta Taragna (con farina di mais e di grano saraceno, arricchita da formaggio e burro), la polenta 'cropa' (cotta nella panna), gli Sciatt, i Tarozz, i Chiscioi, per non dire dei dolci tipici come la “Bisciöla” (panettone di farina di frumento e grano saraceno con fichi, uvette e noci), il 'Panün cu'i fiic”, i 'Biscutin de Prost' e tanti altri ancora.


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ingredienti per l'impasto • • • • • •

1 l t a c qu a 1 , 5 K g f a ri n a c o n W tra 250 - 300 1 0 - 30 g r l i e vi to se c c o 2 g r d i m al to o ( 6 g ra m mi di z u cch e r o se mola to) 4 5 - 5 0 g r d i sa l e 5 0 o l i o EVO

procedimento M e tte re tu tta l a f ari n a n e l l ’imp a sta tr ice , ve rsa re l ’ac qu a f re d d a ( 5 - 1 0 g r a di), tu tto i l l i e vi to , i l m a l to e a m e tà de ll’imp a sto ve rsa re i l sal e e l ’ o l i o . A m a l g a ma r e f inch é l ’ i m p a sto avrà rag g i u n to i 25-26 g r a di. Fo rm a re l e p al l i n e d e l p e so di 1 ,2 - 1 ,5 Kg a se c o n d a d e l l o sp e sso re d i p iz z a de side r a to. Lavo rare l e p a g n o tte p e r rende r le de lla for ma d e si d e ra ta. A l rad d o p p i o d e lla p a g notta , ste n d e re l ’ i m p a sto d e n tro l e te g lie in modo c he a d e ri sc a p e rf e ttam e n te a i bor di. C op r ir e l e te g l i e c o sì p re p arate , o p p u r e , ne l ca so c he ri m an g a n o a l l ’ap e rto , s p e nne lla r le con d e l l ’ o l i o , e l asc i a rl e l i e vi ta re da 1 a 3 or e , a se c o n d a d e l l o sp e sso re c he si vu ole da r e a lla p i z z a.

per la farcitura: • • •

B re sa o l a D O P Fo rm a g g i o B i tto M o z z a re l l a F i o r d i La tte

In

−La ricetta−

foto la pizza realizzata dalla redazione di Pizza e Pasta Italiana

La focaccia valtellinese


p. 58

ott. 2016

pizza e pasta italiana

TITOLO


59 A D OGN I R EGION E L A SUA PI Z Z A - dop, igp, stg d'Italia -

Salumificio

Beretta

Il Salumificio Fratelli Beretta nato in Brianza nel 1812, grazie all’esperienza tramandata da sette generazioni, vanta tra i suoi prodotti un grande numero di specialità della salumeria italiana. La linea Fresca Salumeria è una gamma ampia e completa di affettati della tradizione, inclusi i prodotti DOP e IGP, serviti in pratiche vaschette confezionate. Per la produzione della Bresaola della Valtellina IGP, disponibile in formato 70g e 100g, vengono utilizzati solo tagli di prima categoria, i più pregiati e teneri, tratti esclusivamente dalla coscia di bovini di razze selezionate. La Bresaola della Valtellina IGP è tra i salumi che meglio risponde alle esigenze nutrizionali del consumatore attento alla propria alimentazione ed agli imperativi di una dieta salutistica, oltre a rappresentare un eccellente ingrediente per la raffinata gastronomia. Il contenuto proteico è elevato, la quantità di grassi molto bassa e l’apporto calorico ridotto. Via Fratelli Bandiera 12 - 20056 Trezzo sull'Adda (Mi) Tel 02909851 info@fratelliberetta.it www.fratelliberetta.it

"solo tagli di prima categoria, i più pregiati e teneri"


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La buona farinata da Franz & Co di Virgilio Pronzati

L

a farinata o meglio a fainâ, per i zeneixi non è solo una ghiottoneria ma un simbolo di genovesità. Una focaccia salata morbida e sottile alcuni millimetri, fatta con farina di ceci, acqua, olio d’oliva e sale, cotta nel forno a legna e, appena tolta dal forno, condita con un pizzico di pepe nero. Le sue origini affondano le radici in un lontano passato. L’etimo del nome farinata è sempre più certo che derivi dalla voce dialettale scribilita, ossia una sorta di sottile focaccia citata da Catone nel suo De re rustica. In un decreto del 1447 emanato dal Governo di Genova si

parla appunto della scribilita o scripilita, e delle norme che ne disciplinavano la produzione, la qualità dell’olio d’oliva, misura del testo e il prezzo: <Furnari quod pretium exigere debeant in coquendo scribilitas>. Quale prezzo debbono esigere i fornai, per cuocere le scribilite… Le antiche botteghe dove si faceva la farinata si chiamavano sciammadde ed erano quasi tutte collocate nei carruggi del centro storico genovese. Il curioso nome, deriva dal genovese fiammata. Nei secoli scorsi, coloro che la preparavano era chiamati farinatarii, poi fainotti.

Prima parte Termini usati nel Medioevo e coniati dalle Corporazioni della Repubblica di Genova, sotto il controllo del Magistrato delle Arti. L’Archivio di Stato di Genova, nel fondo Artium, conserva dei documenti molto antichi relativi ai Formaggiai e Fornai, risalenti, rispettivamente al 1458 e al 1464. Prima e dopo quegli anni, le cosiddette Arti interessate all’alimentazione, esclusi vino e olio, erano i Cuochi, Farinotti et Rivenditori di Farina, Fidelari (pastai), Formaggiari, Fruttaroli, Furnarii, Macellai, Molinari, Negiari (vendevano ostie e canestrelli), Orto-


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lani (diffusi nella bassa valle del Bisagno), Pollaroli, Pescivendoli, Rebaroli (che vendevano farina di castagna, segale, miglio ecc.). Unico anche il forno delle sciammadde, fatto a volta bassa, dove la temperatura del fuoco a legna è tra i 260° C ed i 315° C. Nella “sciammadda” venivano servite l’aurea farinata appena sfornata e le squisite torte di verdure caratterizzate dalla “prescinseua”. Un mangiare gustoso, nutriente e di poco costo, che si poteva consumare anche in piedi, in particolare la farinata che, spesso, si ci farciva un panino. Nel ponente cittadino, a Sestri e a Voltri veniva arricchita con i “gianchetti” (avannotti pesce azzurro), mentre nella parte occidentale della Liguria l’Imperiese, con cipolle affettate e rosmarino. A savona oltre a quella classica c’è quella bianca di farina grano. Nel levante genovese si trova nelle botteghe e trattorie di Chiavari, Sestri Levante, Santo Stefano d'Aveto e La Spezia. Introdotta anche in Francia e nota col nome socca a Nizza e cade a Tolone. In Piemonte in particolare a Ovada e Acqui Terme è chiamata farinata e belecauda. In Toscana, calda calda a Massa e Carrara, cecina a Pisa e Lucca, torta di ceci a Livorno. In Sardegna fainè ad Alghero e Sassari, fainò a Carloforte. All’estero, a Buenos Aires in Argentina e a Montevideo in Uruguay è fainà come a Genova, fatta e diffusa dagli emigranti genovesi. Lo stesso a Bonifacio in Corsica, introdotta dai genovesi. Non solo. Già i genovesi alcuni secoli prima, l’avevano introdotta in diverse regioni dell’Asia Minore. Le sciammadde erano frequentate non solo da scaricatori di porto e operai, ma da poeti, scrittori, pittori e cantanti, tra cui il futurista Farinetti e il cantautore De Andrè. Dopo questo lungo prologo, è d’obbligo una domanda: dove si mangia a Genova una buona farinata? In ben pochi locali. Non solo. La maggior parte delle botteghe e trattorie usano oli scadenti. Dove sicuramente troverete un’ottima farinata è nella Pizzeria “da Franz & Co “a Struppa. Continua nel prossimo numero… CREDITS foto di Mara Daniela Musante

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marzo

IL DOLCE

Un dolce signorile e di grande effetto

Il “Parco” Relais Monaco di Giampiero Rorato

L

a primavera sta sbocciando pur tra gli ultimi tentativi dell’inverno di frenarne il germogliare, ma se ci sono ancora delle giornate immerse nel freddo con fiocchi di neve che continuano a coprire le nostre montagne, è pur vero che, in giro, c’è ormai una gran voglia di primavera. Gettando il naso nelle cucine di alcuni seri collaboratori di questa rivista, ci siamo avvicinati al laboratorio di pasticceria d’uno dei più raffinati ed eleganti ristoranti della Marca Trevigiana, mentre una brigata stava elaborando un dolce che solo a guardarlo, pur da fuori, faceva venire l’acquolina in bocca. Ci accompagnava il giovane direttore dell’albergo-ristorante, il dott. Enrico Mazzocco, manager affermato e molto stimato, persona di straordinaria cultura e cordialità. “Non è un dolce difficile - ci diceva il direttore mentre i nostri occhi era puntati sul tavolo di lavoro - basta un po’ di pratica e attenzione, oltre naturalmente a una solida cultura professionale. Il nostro chef pasticcere, Domenico Longo, ha, fra le altre, una dote che mi pace molto: sa mettere assieme in rapporto equilibrato ed armonico sia prodotti di casa nostra, cioè veneti, con prodotti italiani e internazionali, offrendo a chi gusta dolci come questo delle sensazioni uniche e originali.” La curiosità e l’acquolina in bocca ci costringono, dove aver visto la brigata al lavoro, a fermarci in sala ristorante e gustare, dopo l’assaggio d’un paio di piatti pienamente soddisfacenti, una porzione di questo “Parco delle delizie” che lo chef ha voluto dedicare al Relais dove lavora. Mentre lo gustiamo, affascinati dalla vasta gamma di piacevolissime sensazioni, ci raggiunge lo chef Domenico Longo per aggiungere

una sua spiegazione: “Questo dolce nasce dall’idea di esaltare la frutta, preparando i diversi ingredienti uno per uno in modo che ciascuno alla fine regali le sue caratteristiche, i gusti, i sapori, la piacevolezza in bocca, senza confonderli tra loro. Può essere un gioco, ma un gioco gastronomico che esige conoscenza, equilibrio, gusto estetico, perché un ottimo dolce alla fine d’un pasto lo si ricorda a lungo con piacere.” In tempi di grande incertezza un dolce così ridà gioia e serenità e ci fa poi andare dove ci porta il nostro lavoro col volto sereno e il desiderio di tornare alla tavola del signorile Relais trevigiano, per continuare con Enrico Mazzocco l’interessante conversazione sulla gastronomia di questa terra e poi, con lo chef Domenico, rituffarci nei profumi e nei sapori di piatti e dolci meravigliosi.


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pizza e pasta italiana marzo

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IL DOLCE

La ricetta:

“Il Parco del Relais Monaco” —

Ingredienti 4 persone Per la crema al mango: 250 g polpa mango surgelata, 85 g zucchero, 150 g prosecco, 6 g gelatina in fogli. Per il pan di spagna all’albicocca: 160 g marzapane, 3 uova grandi, 50 g burro, 30 g farina 00, 4 g baking powder, 80 g albicocche secche. Per la crema al limone: n. 2 limoni non trattati (succo + buccia grattugiata), n. 2 uova, 5 g zucchero semolato, 30 g burro a pomata. Per la pasta lingue di gatto: 40 g burro, 50 g zucchero a velo, 50 g albume d’uovo, 50 g farina 00. Per la guarnizione: 12 violette cristallizzate, 12 margherite cristallizzate, 12 lamponi freschi, menta fresca, cocco rapè.

Per la crema al mango: fa bollire il prosecco con lo zucchero, togli dal fuoco, unisci la gelatina ammollata e strizzata, miscela bene e amalgama la polpa di mango. Abbatti di temperatura e utilizza dopo 3 ore di conservazione in frigo. Per il pan di spagna all’albicocca: fa montare le uova con il marzapane, unisci a filo il burro fuso a bagno–maria, e delicatamente a mano la farina setacciata con il baking powder. Per ultime le albicocche tritate. Metti il composto in uno stampo imburrato e infarinato e fallo cuocere a 170°C per 15 m. Per la crema al limone: fa cuocere a bagno-maria o nel bimby fino ad 85°C tutti gli ingredienti della crema tranne il burro. Una volta cotta passa al passino e unisci il burro a pomata. Abbatti di temperatura e conserva in frigo Per la pasta lingue di gatto: amalgama al burro a pomata lo zucchero a velo, unisci l’albume e in ultimo la farina. Sagoma in uno stampo a forma di farfalla e fa cuocere in forno caldo a 150°C. Togli dal forno e fa raffreddare su un matterello dandogli la classica forma ad apertura di farfalla. Composizione finale: sagoma su un piatto il perimetro con la crema al mango, versa all’interno la crema al limone, guarnisci con le farfalle di pasta lingua di gatto, il pan di spagna all’albicocca tagliato a cubetti, i lamponi, margherite e la menta fresca e una spolverata di cocco grattugiato.





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LA BIRRA

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Hildegard von Bingen, la donna a cui la birra deve tanto.

di Alfonso Del Forno

U

na delle materie prime fondamentali per la produzione della birra è il luppolo. Oggi più che mai è il grande protagonista mondiale della birra. Le sue infinite varianti caratterizzano le produzioni di grandi e piccoli birrifici, trovando la migliore espressione nelle birre artigianali. Le caratteristiche che rendono il luppolo famoso al grande pubblico sono l’aroma e l’amaro che conferisce alla birra, aspetti su cui ci si è spinti molto negli ultimi anni. Molti non sanno qual è il motivo per cui si è cominciato a usare questo ingrediente nella produzione della birra e per conoscerlo dovremmo fare un viaggio nel passato, arrivando fino al XII secolo. Proprio in quel periodo è vissuta una donna di grande ingegno e cultura, Hildegard von Bingen.

Nata nel 1098 a Bermersheim vor der Höhe in Germania, vive sin da piccola nell’Abbazia di Disibodenberg, dove a diciotto anni prende i voti e alla soglia dei quaranta diventa badessa. I suoi studi la portano a essere riconosciuta quale autrice di opere mistiche e filosofiche, compositrice di musica sacra e per le “visioni”, prese in esame per la santificazione avvenuta nel 2012 da Papa Ratzinger. Verrebbe da chiedersi che legame ci sia tra le attività di Hildegard e il luppolo. La risposta è tutta nella genialità della badessa benedettina che, tra i tanti studi, aveva indagato a fondo tutto ciò che riguardava la natura che la circondava. Il frutto di quest’analisi è tutto concentrato nell’opera dal titolo “Libro delle creature”. Realizzato come un’enciclopedia, i testi che compongono l’opera raccontano il mondo vegetale, minerale e animale, fotografando per la prima volta tutto ciò che esisteva in natura.


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LA BIRRA

Ogni singolo elemento è classificato e studiato, descrivendone le proprietà utili all’uomo, per nutrirsi e curarsi. Tra questi c’è anche una pianta spontanea infestante, presente nei boschi della valle del Reno in cui viveva Hildegarda: il luppolo. Lontano dall’idea moderna di questa pianta, il luppolo viene così descritto nel Libro delle creature: “Il luppolo è caldo e secco, contiene un po’ d’umidità e non presenta grande utilità per l’uomo, poiché aumenta in lui la melanconia, provoca tristezza nella mente e appesantisce le viscere. Tuttavia, grazie alla sua amarezza, blocca la putrefazione di certe bevande alle quali lo si aggiunge, al punto che possono conservarsi molto più a lungo”. Ecco dunque chiara la caratteristica che aveva trovato Hildegarda nel luppolo: era un conservante naturale. Questa caratteristica ha permesso a questa pianta di essere utilizzata nella produzione della birra come conservante, proprietà che tuttora risulta essere fondamentale, indipendentemente dalle proprietà amaricanti e aromatizzanti.

Interessante il suo utilizzo nel XVIII secolo nelle produzioni brassicole inglesi che dovevano raggiungere le colonie in India. Le birre percorrevano rotte navali molto lunghe e non esisteva nessuna tecnologia che permettesse la conservazione della birra durante il viaggio. L’unico metodo noto all’epoca per proteggere la birra era l’utilizzo di grandi quantità di luppolo. Questa scelta fa nascere uno degli stili birrari più noti al mondo: la India Pale Ale! Tutto questo dimostra quanto siano stati fondamentali gli studi di Hildegard per il mondo della birra e come una donna geniale sia stata capace di determinare il futuro della bevanda più antica del mondo. Esiste in Italia una manifestazione dedicata a Hildegard von Bingen e alla sua figura. Si svolge a Salerno il 17 settembre di ogni anno, giorno in cui la Chiesa Cattolica festeggia Santa Ildegarda. Il suo nome è Hildegard Day e la scelta del luogo non è casuale, visto che la badessa tedesca ha cominciato i suoi studi sulla natura partendo dai libri della Scuola Medica Salernitana. Chi ama la birra non può che amare Hildegard von Bingen. Cheers!

Illustrazioni di Antonella Manenti


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Le Donne del Vino in Festa C Dal 2 al 9 marzo si celebra in tutta Italia una festa meravigliosa con protagoniste le 800 Donne del Vino

a cura della redazione

’è in Italia un esercito di signore vere protagoniste dello straordinario successo del vino italiano nel mondo. Donne imprenditrici o che al vino dedicano studi e ricerche o che lo promuovono con grande capacità e competenza. Un esercito affascinante, come si vede in tutte le manifestazioni enologiche, a cominciare dal Vinitaly dove la presenza femminile è fondamentale, ma la loro presenza e la loro professionalità è ben visibile in tantissime cantine italiane, nelle associazioni professionali, fin nelle mostre consortili e paesane. Fortunatamente ci sono loro, non solo attente conoscitrici dei tanti vini italiani e internazionali, perché sono attente ai tanti cambiamenti in atto, attualmente molto più veloci che in passato. C’è un ritorno ai vitigni e ai vini autoctoni, in qualche area italiana trascurati per troppo tempo; c’è l’ingresso dei vitigni resistenti; c’è il crescente interesse per il bio; ci sono anche le mode che fanno fluttuare l’interesse dei consumatori ora verso questo ora verso quel vino. a sinistra

Le Basilicata Girls sotto

La delegazione Campania



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È un mondo in continua evoluzione, perché vi incidono anche l’andamento del tempo, le pressioni pubblicitarie e altri fattori non sempre avvertibili. E la stessa immagine del vino subisce dei cambiamenti. Ce lo ricorda anche Donatella Cinelli Colombini, presidente nazionale dell’Associazione Nazionale “Donne del Vino”: “L’immagine del vino del terzo millennio – dice - appare decisamente femminilizzata grazie al nuovo ruolo delle donne nella produzione, nel commercio e soprattutto nei consumi. Per 8.000 anni il vino è stato un ambito quasi solo maschile, ma ormai non è più così. Oggi le donne guidano un terzo delle cantine italiane e il 24% delle imprese commerciali al dettaglio del vino (dati Cribis- Crif). A livello mondiale sono loro a comprare la maggior parte delle bottiglie, il 40% dei corsisti wine expert Wset sono donne e in Asia, le giovani con gli occhi a mandorla stanno assumendo un ruolo protagonista del mercato. Ecco che la bellezza del vino diventa più importante che nel passato, proprio a seguito del maggior peso del giudizio femminile. Per loro infatti l’immagine conta, anzi conta molto».

Ma chi sono le “Donne del Vino”? Questo nome al femminile racconta un’associazione senza scopi di lucro che promuove con serietà e impegno la cultura del vino e il ruolo delle donne nella filiera produttiva e commerciale del vino. Nata nel 1988, conta oggi oltre 800 associate tra produttrici, ristoratrici, enotecarie, sommelier e giornaliste. Le Donne del vino sono in tutte le regioni italiane coordinate in delegazioni.

accanto

Sardegna Stefania Montisci sopra

Donatella Cinelli Colombini

qui accanto

Puglia Donne del Vino



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La Festa delle Donne del Vino

sopra

Donne del vino, il logo

Dal 2 al 9 marzo c’è ora la grande Festa delle Donne del Vino, una festa diffusa in tutta la Penisola, dalla Valle d’Aosta a Pantelleria, dal Friuli Venezia Giulia alla Sardegna. Ci saranno tanti eventi individuali e collettivi a tema «Donne vino e design», questo il tema 2019 della Festa. Sotto i riflettori la nuova estetica del vino coniugata al femminile Cantine d’autore, etichette, accessori da vino, packaging e linguaggi alternativi: questo e altro negli eventi dedicati al tema «Donne vino e design» che si svolgeranno in tutta Italia da sabato 2 al 9 marzo, tutti i giorni della settimana. Visite in cantina, performance, conferenze, piccole mostre, spettacoli organizzati dall’Associazione Nazionale “Le Donne del Vino”. Un modo per celebrare la Festa delle donne che diventa

Festa delle Donne del Vino e mette sotto i riflettori l’apporto di creatività, rinnovamento e qualificazione fornito del “gentil sesso” al proprio comparto produttivo. Un modo orgoglioso ma anche costruttivo per dire che il vino sta cambiando look e questa rivoluzione è rosa. Il mondo del vino diventa fashion, si lega alle scelte culturali delle persone che lo producono e lo consumano. La bottiglia e gli accessori da vino si trasformano in arredi civettuoli della casa e della tavola e non sono più solo strumenti di un servizio ben fatto. Persino il colore di etichette, packaging, luoghi e accessori del vino viene influenzato dalla femminilizzazione: meno blu, nero e grigio, più rosso e pastelli. Anche il linguaggio che viene utilizzato è spesso fuori dagli schemi, quando non di rottura rispetto alla tradizione, portando ad accendere la discussione sulle nuove forme di comunicazione. Alle meravigliose Donne del Vino in Festa va il saluto e l’augurio anche di questa Rivista e tutti noi alziamo assieme a loro un calice beneaugurante, nella certezza che la presenza delle donne nel mondo del vino significa bellezza, eleganza, buon gusto e sicuro successo.

qui accanto

Donne del Vino, foto di gruppo


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Italmopa, il punto della situazione A Rimini il convegno 2019 dedicato al settore molitorio italiano a cura della redazione

L

o scorso 20 gennaio si è tenuto a Rimini il convegno “Le farine di frumento tenero e la sicurezza alimentare” organizzato da Italmopa – Associazione Industriali Mugnai d’Italia. Il convegno, introdotto da Giorgio Agugiaro ( Presidente della Sezione Molini a frumento tenero) e moderato da Giuseppe Durazzo ( docente esperto di diritto alimentare), si è avvalso dei contributi di Francesco Pavone ( Coordinatore USMAF Puglia, Calabria e Basilicata del Ministero della Salute), Pietro Noè ( Direttore del Ministero della Salute), di Lorenzo Cavalli ( Presidente dell’Associazione Nazionale Tecnici Industria Molitoria) e di Manuel Mariani ( Direttore per l’Italia del “Quality and Food Safety” della Barilla).

I lavori si sono svolti nell’ambito della fiera SIGEP che tradizionalmente ospita ogni anno il convegno; l’incontro ha evidenziato il ruolo fondamentale dei controlli svolti sia dalle istituzioni che dalle aziende molitorio. In particolare, gli interventi di Pavone e di Noè si sono focalizzati sui controlli effettuati dagli organi ufficiali. Pavone ha evidenziato l’attività di controllo alle frontiere italiane svolta dagli USMAF che risponde pienamente a quanto stabilito dalle vigenti normative, comunitaria e nazionale, in materia, garantendo in tal modo la salubrità del prodotto importato. Noè, da parte sua, ha illustrato compiutamente le modalità e le frequenze dei controlli sia sulla materia prima frumento, sia sui prodotti trasformati farine. A fare la diffe-


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renza quindi è l’assoluta sicurezza che le aziende possono garantire sul prodotto finale della macinazione, ma la sinergia con gli organi ufficiali serve ad assicurare un pieno controllo sulla filiera, dal campo fino al sacco di farina. Il valore della sicurezza alimentare Come affermato da Giorgio Agugiaro: ‘la sicurezza alimentare costituisce un valore fondamentale e imprescindibile dell’industria molitoria, in particolare, nelle proprie strategie di approvvigionamento. Tale sicurezza è garantita da controlli puntuali effettuati, sul grano e sugli sfarinati, sia dagli organi pubblici preposti, sia dalle aziende del settore nell’ambito dei propri piani di autocontrollo, sia, infine, dai clienti dell’industria molitoria’

I controlli effettuati dai Molini in fase di accettazione del grano sono invece stati al centro dell’intervento di Cavalli: una corretta analisi del rischio sul grano in questa fase costituisce, infatti, condizione necessaria per garantire perfette caratteristiche igienico-sanitarie dei prodotti in uscita. Mariani ha altresì illustrato il punto di vista dell’industria della seconda trasformazione per la quale la gestione dei rischi rappresenta una parte importante delle attività per le aziende che producono prodotti da forno. Sia Cavalli che Mariani, infine, hanno evidenziato come le sfide derivanti dall’affermarsi di nuovi prodotti, integrali e biologici, impongano di fare ancora più attenzione al pericolo di contaminazione per garantire prodotti sempre più sicuri.


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Gli sfarinati da frumento tenero dedicati alla panificazione sono applicati ai più diversi utilizzi, dal pane, ai biscotti, dagli usci professionali a quelli casalinghi; secondo un’analisi riportata dai Italmopa tra il 2016 e il 2017 la fotografia del mercato interno è in chiaroscuro e questo può essere il segno di un cambiamento dei consumi.

M E R C AT O I N T E R N O

T O N N E L L AT E 2016

T O N N E L L AT E 2017

2. 5 23 . 0 0 0

2. 4 76 . 0 0 0

— Pe r past a

86.000

8 7. 0 0 0

— Pe r bisc o t t er i a

673.000

695.000

— Pe r usi domest i c i

230 . 0 0 0

222. 0 0 0

— Pe r pizze e altri u si

3 5 7. 0 0 0

371.000

— Pe r Pane

e s ost it ut i del p a n e

I consumi di farina per pizza crescono sempre di più mentre quelli del pane e dei suoi sostituti segnano il passo, probabilmente per un graduale ridimensionamento del consumo pro capite di pane da parte delle famiglie italiane (nel 2016 il consumo medio giornaliero era di 85 grammi a persona), a fronte invece dei consumi fuori casa – e in questo la pizza rimane la prima scelta – che sembrano essere sempre più forti.

Crescono invece le esportazioni delle farine, passate da 148.000 a 163.000 nel corso degli ultimi due anni, a dimostrazione di come anche nel mondo delle farine il Made in Italy sia sinonimo di qualità.



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UTILIZZAZIONE DEGLI SFARINATI DI FRUMENTO TENERO

Il Lievito Madre ottimale ha un valore tra 3.9-4.1 pH

destinazioni d’uso 2016 2017 t t 1.

M E R C AT O I N T E R N O - pe r pa ne e s o sti tu ti d e l p a n e 2 . 5 23 .0 0 0 2 .4 76 . 0 0 0

- pa ne 2 . 297.0 0 0 2 . 24 2 . 0 0 0 - pr o d ot t i s os ti tu ti vi d e l p an e 2 26.0 0 0 234 .0 0 0 - per pa s t a 8 6 . 0 0 0 8 7. 0 0 0 - per b i s co t t e ri a / l i e vi ta ti / m o n o d o se d a f or no 673 .0 0 0 6 9 5 . 0 0 0

Il modo migliore per misurare il pH è

- per u s i d o m e sti c i 230 . 0 0 0 2 2 2 . 0 0 0 - per pi zze ed a l tri u si 35 7. 0 0 0 37 1 . 0 0 0 - i m por t f a r i n e - 1 1 . 0 0 0 - 16 . 0 0 0

T O T. M E R C AT O I N T E R N O

hanna.it/pH-lievito-madre

3 .858.000 3.835.000 2 . Esportaz i o n i 14 8.000 163 .0 00 Total e fa r i n e 4 .006 .000 3 .998.0 00 Eq.frumen to 5 .4 13.000 5.400.0 00

Consigliato dal maestro Luigi Vianello

(Stime Italmopa)

World Best non traditional Pizza Las Vegas Pizza Expo 2011



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LE AZIENDE INFORMANO MOLINO BERTOLO via Dogana Vecchia n.10 31040 Pederobba (TV) 0423 64043 info@molinobertolo.it

#DiCarlo Masterclass: il tour firmato Molino Bertolo Dopo l’incredibile successo riscosso a Sigep 2019, Le Farine di Leonardo® sono pronte a farsi conoscere in tutta Italia grazie al tour di Masterclass che Molino Bertolo sta conducendo in tutto lo stivale assieme al Maestro Leonardo Di Carlo. Una serie di date che, mese dopo mese, vanno alla scoperta di ogni regione italiana per portare la semplicità di una rivoluzione. Cosa aspettarsi allora da #DiCarloMasterclass? Per i partecipanti, tutti professionisti panificatori, pizzaioli e operatori del settore food, la possibilità di presenziare ad una vera e propria masterclass alla scoperta di quattro prodotti che sono stati capaci di stupire in ogni loro apparizione. In occasione di Sigep, infatti, queste quattro farine sono state utilizzate per creare ogni giorno prodotti di ogni tipologia, con una spiccata predilezione per focacce multigusto sia farcite che non. Dall’impasto arricchito di pesto genovese ripieno di formaggio fresco e katsuobushi alla classica genovese, la focaccia creata con Le Farine di Leonardo® è stata un must riminese. Nessun segreto nella composizione, utilizzo e provenienza 100% Made in Italy delle quattro Le Farine di Leonardo® che non solo fanno della qualità un cavallo di battaglia, ma che stanno pian piano riconvertendo alla semplicità il panorama gastronomico italiano. Sebbene molte date siano già state confermate, e una buona parte della nostra penisola sia già toccata da #DiCarloMasterclass, altri appuntamenti sono in arrivo. Unica anche l’opportunità offerta dal Molino di richiedere la prenotazione di uno di questi appuntamenti presso il proprio laboratorio o nella propria zona: un valore aggiunto che molte aziende stanno ritenendo di offrire a clienti, colleghi e pubblico. Per valutare la possibilità è sufficiente contattare direttamente il Molino di Covolo di Pederobba ai riferimenti in calce. Le date già confermate sono consultabili sul sito del molino www.molinobertolo.it www.molinobertolo.it



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LA SCIENZA DELL'ALIMENTAZIONE

Saltare la colazione influenza il peso: Dott.ssa Marisa Cammarano - Biologa Nutrizionista

sconvolge i "geni dell’orologio circadiano" che lo regolano


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C

he trauma, il suono della sveglia! Ogni mattina, fermiamo quel fastidioso suono che ci ha, bruscamente, riportato alla realtà, agli impegni quotidiani, mentre abbiamo il desiderio di restare nel nostro letto altri due minuti, altri 5… Poi, con un sussulto, ci si rende conto che è tardi. Allora, ci si alza dal letto come una furia; una doccia veloce, e via alla velocità della luce. Nel frattempo, abbiamo messo sul fuoco la moka… Prima di uscire, ci si ustiona la lingua e l’esofago con un caffè nero bollente. Poi, di corsa, si esce per andare a lavorare. Se poi, restiamo incastrati nel traffico mattutino, l’ansia di far tardi, ci prende allo stomaco. A quel punto, ci si rende conto che il caffè si è trasformato in un mostro acido che corrode il nostro povero stomaco.

Così facendo, iniziamo la giornata in salita… Quando suona la sveglia, invece di girarci dall’altra parte, bisogna alzarsi, andare in cucina e darci un caloroso e dolce “buon giorno”. Non fare la prima colazione è come mettersi alla guida di un’automobile con il serbatoio vuoto: non serve a fare più strada né tanto meno a ottimizzare i consumi o a mantenere il veicolo in buono stato. Da recentissimi studi emerge che in Italia la percentuale di coloro che saltano completamente la prima colazione è circa il 17%, il 15% prende solo una tazza di caffè, mentre il 18% esce di casa digiuno per poi entrare frettolosamente in un bar per consumare una brioche ipercalorica e un cappuccino. E puntuali, si ingrassa.

Dunque, saltare la colazione è spesso associato all’obesità, al diabete, all’ipertensione e alle malattie cardiovascolari, ma l’impatto preciso dei tempi dell’orologio interno del corpo sui pasti, è meno chiaro. Una colazione “saltata”, ridotta o fatta male espone il nostro organismo a una serie di rischi. Aumenta la fame. Lo stomaco vuoto o semivuoto scatena la fame nervosa e la voglia di mangiucchiare qualsiasi cosa si incontri. Il metabolismo rallenta: non ricevendo la giusta dose di “carburante” sotto forma di cibo, si blocca. Si digerisce male. I succhi gastrici stimolati dall’assunzione di un caffè da solo scatenano fenomeni infiammatori che alla lunga irritano tutto il tratto digerente dando luogo a patologie molto serie. Una colazione bilanciata deve apportare circa il 20-25% delle calorie sul totale della giornata; mangiare dopo il risveglio, ovvero dopo un periodo di digiuno, fornisce all’organismo le energie necessarie per essere più attivo ed efficiente, cosa che invece non succede a chi affronta le incombenze della giornata con la pancia vuota; e inoltre, la prima colazione stimola il metabolismo e fa sì che non si arrivi troppo affamati al pasto successivo, né che durante la mattina si cada nella tentazione di colmare il “buco allo stomaco” con ogni genere di snack. Infatti, fisiologicamente il nostro organismo riesce a sostenere il digiuno notturno grazie alle riserve di glicogeno presenti nel fegato e in minor misura nei muscoli.


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LA SCIENZA DELL'ALIMENTAZIONE

Tale patrimonio energetico può, tuttavia, durare circa 8 ore nei bambini e fino a 12 ore negli adulti. Superato tale periodo di digiuno il nostro organismo deve attingere ad altre riserve energetiche (grassi e proteine) per ottemperare alle necessità metaboliche, con le ben note scorie che si possono accumulare nel sangue (corpi chetonici). Risulta pertanto estremamente importante fare il carico di carboidrati che ci permetta di disporre del glucosio, la più importante fonte energetica per il normale funzionamento delle cellule. Un nuovo studio, recentemente pubblicato su Diabetes Care, ha, inoltre, identificato l’effetto della colazione sull’espressione dei “geni dell’orologio” che regolano le risposte di glucosio e insulina post pasto sia degli individui sani che dei diabetici. Si dimostra, infatti, che il consumo della colazione innesca la corretta espressione del gene dell’orologio ciclico che porta ad un miglioramento del controllo glicemico. Il gene dell’orologio circadiano regola non solo i cambiamenti circadiani del metabolismo del glucosio, ma anche il peso corporeo, la pressione sanguigna, la funzione endoteliale e l’aterosclerosi. Consumare la colazione prima delle 9:30 del mattino rispettando, quindi, il giusto orario di assunzione del pasto, potrebbe portare ad un miglioramento dell’intero metabolismo del corpo, facilitare la perdita di peso nonchè ritardare le complicazioni associate al diabete e ad altri disturbi legati all’età.

La prima colazione dovrebbe, quindi, rappresentare un pasto completo anche dal punto di vita nutrizionale e contenere, dunque, le giuste proporzioni di macro e micronutrienti. E non importa se si preferisce il dolce o il salato: la scelta è talmente ampia che seguendo qualche semplice regola generale non è difficile creare la propria colazione su misura, un pasto che soddisfi gusto e salute. Carboidrati. Sono gli zuccheri che forniscono energia pronta per l’uso all’organismo (zuccheri semplici) o a rilascio un po’ più lento e aiutano a mantenere un adeguato livello di carburante nel corso della mattinata (zuccheri complessi). I cereali integrali sono un’ottima fonte di zuccheri complessi per la colazione, mentre la frutta fresca rappresenta la miglior fonte di zuccheri semplici. Attenzione invece a non esagerare con marmellate, zucchero e miele. Proteine. Fondamentali per la crescita e la rigenerazione dell’organismo, ma anche per fornire energia, le proteine per la colazione possono arrivare da fonti vegetali (bevande alla soia, frutta secca, semi) o animali (uova, formaggi, latte, yogurt). Grassi. Anche se quando consumati in eccesso risultano pericolosi, i grassi non possono mancare in una sana alimentazione. Quelli “buoni” da includere nella colazione possono derivare per esempio dalla frutta secca o dal cioccolato fondente e, in misura più limitata i formaggi (da scegliere con attenzione perché contengono anche una buona percentuale di grassi saturi, quelli “cattivi”).

Vitamine e minerali. Necessari, seppur in piccole quantità, per il buon funzionamento dell’organismo, questi micronutrienti sono presenti soprattutto in frutta (vanno bene anche spremute e centrifugati), verdura e cereali integrali. Concludendo si può affermare che non c'è nulla di più vero che dire

“Il buon giorno comincia dal mattino!”


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EV EN T I

I n umer i , le c o m pet i zi oni e gli event i: Expo Riva Hotel ha ospitato la Finalissima del Giropizza 2018

2016 | 2017

A cura della redazione

E

xpo Riva Hotel si conferma anche per l’edizione 2019 come uno dei saloni di riferimento per il settore Ho.Re. Ca in Italia. La sua collocazione strategica e il suo bacino di utenza ne fanno a tutti gli effetti uno dei saloni più interessanti per tutte le aziende che operano nel comparto accoglienza, food, servizi e attrezzature, e i numeri non fanno che confermare questi dati: più di 500 aziende presenti, 120 eventi tra seminari showcooking, competizioni e molto altro ancora e migliaia di professionisti che hanno affollato la fiera da domenica 3 a mercoledì 6 febbraio. “Quarant’anni di storia e quarant’anni di collaborazioni.” - ha esordito Carla Costa, Responsabile Area Fiere di Riva del Garda Fierecongressi - “Nella maggior parte dei casi si tratta di esperienze consolidate come quella con la rivista Pizza e Pasta Italiana ma, in questo senso, il lavoro di Expo Riva Hotel non conosce tregua. L’idea è quella di ampliare sempre di più la rete di rapporti che avvalora la fiera per renderla una fondamentale piattaforma di formazione, informazione, scambio e confronto per tutti i player dell’ospitalità e della ristorazione di oggi e di domani”.


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Expo Riva Hotel e la pizza Sempre più fermento sul mondo pizza che all’interno di Expo Riva Hotel è stato ampiamente rappresentato da numerose aziende di food, beverage e attrezzature. In questo senso la rinnovata partnership tra l’ente fieristico trentino e Pizza e Pasta Italiana ha dato il la per un ricco calendario di eventi dedicati alla pizza, in collaborazione con i docenti con percorso formativo certficato della Scuola Italiana Pizzaioli. Graziano Bertuzzo e il suo staff hanno aperto le attività con un interessante focus sull’abbinamento bollicine e pizza: un connubio tutt’altro che improbabile e che riscopre il vino come abbinamento ideale per la pizza. Ma la pizza è anche sinonimo di qualità, per cui quale migliore occasione per riscoprire le eccellenze gastronomiche e riproporle in chiave moderna? Lo showcooking dedicato ai professionisti della cucina e della pizza è stata l’opportunità per conoscere nuove ricette e proposte per il menù. Spazio anche per l’alternativa gluten free, con una demo organizzata dai docenti della Scuola Italiana Pizzaioli nell’ultima giornata.

in foto: la vincitrice Nicole Batzella

La Finalissima del Giropizza 2018, vince Nicole Batzella Il Giropizza chiude i battenti con una finale da incorniciare, dove i 44 finalisti, selezionati nel corso delle 6 tappe del 2018, hanno dato prova di grande professionalità e competenze tecniche. Ad aggiudicarsi la vittoria è la 24enne Nicole Batzella, di Viareggio, della pizzeria Manè sul Mare che assieme al secondo classificato Michael Perissinotto – 21 anni – e al terzo classificato Corrado Bombaci di Messina, sono tra i pizzaioli più giovani premiati ad una gara di professionisti.

sopra: la giuria della competizione

Partner dell’evento: Le 5 Stagioni – Molino Agugiaro e Figna Prontofresco Greci Zanolli forni Latteria Montanari Sanfelici Specialità Alimentari

La pizza di Nicole Batzella “Soffio di Mare” con pesto di zucchine, mozzarella fiordilatte, Gambero Rosso di Sicilia, burrata, Lardo di Colonnata, pomodorini gialli e rossi. “La ricetta è stata proposta anche in pizzeria, per un pubblico selezionato di clienti “ Afferma Nicole “ Ed è stata affinata per arrivare a questo risultato”. Una grande soddisfazione per questa giovane pizzaiola: “Fino all’ultimo non credevo di aver vinto, c’erano tantissimi campioni di pizza e classificarmi al primo posto è stata una grandissima emozione” “Questa vittoria la dedico ai miei genitori che mi hanno trasmesso la passione per questo lavoro e grazie ai loro insegnamenti sono riuscita ad ottenere questo splendido risultato”. 2016 | 2017


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EV EN T I

Di seguito il podio e primi dieci classificati:

2016 | 2017

Cognome

Nome

Pizzeria

Località

Prov.

punti

Batzella

Nicole

Manè sul Mare

Viareggio

LU

714

Perissinotto

Michael

Dal Campione

Eraclea

VE

707

Bombaci

Corrado

Villa Zuccaro

Taormina

ME

700

Momesso

Riccardo

La Strana Coppia

Nervesa della Battaglia

TV

690

Bianco

Marcello

Duchessa Gourmet Kingdom

Etoy -

SWS

688

Filippi

Daniela

Bella Gioventù

Malo

VI

688

Bonci

Benedetta

Nuovo Giardino

Fossombrone

PU

683

Baraldo

Manuel

7 Teste Pizza Concept

Caselle di Selvazzano

PD

680

Maccarrone

Giuseppe

Ara dell'Etna

Pedara

CT

676

Moro

Alessandra

Ale Pizza

Ottava Presa

VE

673

Bellocchio

Francesco

La nuova Europa

Balangero

TO

670

Bonazza

Luca

L’Angolo Goloso

San Biagio di Callalta

TV

670

La classifica con tutti i partecipanti è disponibile sul sito: www.pizzaepastaitaliana.it


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pizza e pasta italiana marzo

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S TOR I E DI A LI M EN T A Z ION E E DI GA S T RONOM I A


La cucina al tempo dei Tudor — Il mangiare del popolo inglese nel XVI secolo di Stefano Buso

D

opo quanto abbiamo scritto il mese scorso, eccoci al clou dell’argomento, iniziando dal menu dei disagiati, in pratica dal cibo di ogni giorno del popolo inglese. Quando lo scettro fu dei Tudor lo spartiacque tra il desinare dei patrizi da quello del popolino restò abissale, uguale a quello di ogni tribolato capitolo della storia e, come ebbe ad affermare Diogene da Sinope, la differenza tra il vitto del facoltoso da quello dello straccione poteva così riassumersi: il primo mangiava tutte le volte che voleva mentre il secondo quando poteva. Nel XVI secolo le case dei londinesi, umide e striminzite, non erano rifornite di acqua corrente, perciò sia per cucinare che per l’igiene personale bisognava ricorrere ai corsi d’acqua, scomodi da raggiungere e pericolosi. Non furono rari i casi di annegamento – metodicamente annotati da medici legali e scrivani – di povere donne accorse al fiume per lavare i panni o per far scorta d’acqua. Insomma, una scomodità non indifferente, ciò nonostante, quasi ogni casupola aveva un orticello nel quale erano coltivate erbe come timo, menta, rosmarino e altre piante officinali, utili sia in cucina che per la salute.

In quel tempo il popolo viveva anni luce lontano dagli sfarzi e dalle beghe dei Tudor e tirava avanti come meglio poteva, facendo buon viso a cattiva sorte. Di solito la carne (soprattutto maiale, coniglio o anche i volatili invisi ai lord come i piccioni e i merli) non era consumata quotidianamente come a Hampton Court, ma non era nemmeno un evento sporadico, poteva comunque essere sostituita da uova oppure formaggi. In alternativa c’era il pesce d’acqua dolce (sin dalla notte dei tempi cospicua riserva alimentare elargita da Madre Natura), non certo gradito quanto un succulento arrosto di maiale ma comunque nutriente. Capitolo curioso quello del pane, consumato sia dalla plebe che dai ricconi e fonte principale di carboidrati. Anzi, questo intervallo storico si caratterizzò giustappunto come il secolo della “pagnotta” come qualcuno argutamente annotò.

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STORIE DI A LIMEN TA ZIONE E DI GASTRONOMI A

Tre le tipologie in relazione alla qualità: il pane economico fatto con la farina di segale e abbastanza comune, il pane integrale destinato a chi possedeva qualche obolo da spendere dal fornaio, ed infine il più costoso, preparato con la farina bianca – “pane alla francese” – che era per i paperoni di allora. Altri ingredienti puntuali nella dieta del Rinascimento erano spezie e zucchero, ma non certo nelle cucine del popolo, poiché in queste cucine altre priorità avevano la precedenza. Diffusi invece gli ortaggi, i legumi e una discreta varietà di frutta, logicamente ciò che l’uggioso clima inglese permetteva. Gradite anche le marmellate specie di prugne, che servivano in più per la preparazione di dolci e dessert dei quali gli inglesi sono sempre stati grandi fan. La birra era una bevanda immancabile e buona per tutte le occasioni, sia nelle case che nelle taverne, mentre il vino una prerogativa delle tavole dei signorotti causa i costi proibitivi per accaparrarlo poiché il clima britannico non ha mai favorito la coltivazione della vite.

È importante sottolineare che a differenza del Medioevo dove era diffuso cibarsi con un unico piatto spesso e volentieri rappresentato da una zuppa brodosa e con più ingredienti carne compresa, a partire dal ‘500 anche le persone meno abbienti iniziarono a godere di un menu lievemente diversificato, segno che qualcosa stava lentamente cambiando. A prova di ciò durante il regno di Elisabetta I, all’incirca dopo il 1560, ci fu un momento in cui fu imposto al popolo il consumo coatto di pesce di mare, in pratica, il mangiar di magro per tre volte la settimana. Qualcuno, in questo solerte provvedimento potrebbe ravvedere un incipit caritatevole, come se l’imperiosa sovrana avesse a cuore la salute dei suoi sudditi; in verità era solo uno stratagemma sibillino per avvicinarli alle attività marinaresche per via degli ambiziosi progetti di espansione covati da Elisabetta e dal suo entourage di corte. Questo obbligo imposto dalla regina non sortì l’effetto sperato, poiché gli inglesi continuarono a preferire le gradi abbuffate di carne (quando ne avevano occasione) lasciando le peripezie culinarie dei sudditi inglesi, si giunge ai fasti culinari di casa Tudor, che per eccessi e qualità erano simili a quelli delle altre corti rinascimentali sparse qua e là per l’Europa.

— Nel prossimo mese concluderemo il nostro viaggio visitando le cucine reali e quelle dei lord, nelle regge e nei castelli d’Inghilterra.



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LA STORIA DELLA PIZZA

La testimonianza di

Marc Monnier 28

SOPRA Bourcard (1858) Il pizzaiuolo

di Giampiero Rorato

L

o scorso mese abbiamo citato una pagina dello scrittore e poeta svizzero Marc Monnier, e, come avevo preannunciato, ne riprendo in mano un passaggio perché merita un’attenta riflessione. “Le pizze - scrive Monnier nel 1861 - che vedo sono piene di aglio, tanto da attirare gli abitanti della Provenza [cui piace molto l’aglio]; ci sono poi vari tipi di erbe, delle sardine, della mozzarella che è un formaggio

molle, biancastro e appiccicoso e pure delle spezie che non conosco. Questa combinazione è deliziosa e non è riservata solo al popolino. Lungo via Toledo ci sono infatti dei pizzaioli borghesi e la bottega di uno di questi è frequentata da signore in crinoline e signori in abito nero. Quello che si mangia viene annaffiato con bevande complesse come lo sono le pizze: queste bevande dal nome che manda in estasi gli stranieri, si chiamano falerno, lacryma christi, marsala, ecc.”


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LA STORIA DELLA PIZZA

E che il pomodoro fosse un optional lo conferma Emmanuele Rocco tre anni prima di Monnier, quando descrive una pizza con mozzarella e basilico e aggiunge:

Le tipologie di pizza a metà dell’

800

Scrive dunque Monnier che a Napoli ci sono pizze piene d’aglio, cioè con molto aglio strofinato sopra il disco di pasta, tanto da piacere a-gli abitanti della Provenza che metterebbero l’aglio dappertutto. Ci sono poi pizze con sopra una farcia a base di erbe ed ortaggi; altre hanno come farcia delle sardine, altre ancora hanno il disco spalmato di mozzarella ed altre insaporite con delle spezie. Monnier – si noti bene – non cita pizze col pomodoro o con salsa di pomodoro, che già c’erano, ma è probabile che non le abbia trovata nelle pizzerie napoletane da lui visitate. Siamo, lo ricordo, nel periodo di trapasso dalle pizze napoletane originarie, semplici e piuttosto rustiche, alle pizze più raffinate come quelle preparare in onore della Regina Margherita quando arrivò a Napoli.

“Altre [pizze] sono coperte di formaggio grattugiato e condite collo strutto, e vi si pone disopra qualche foglia di basilico. Si aggiunge delle sottili fette di mozzarella” , quindi precisa a proposito del pomodoro:

“Talora si fa uso” , quindi se richiesto o a piacere del pizzaiolo, ma non come presenza costante. Eppure, già nel 1843, il celebre scrittore francese Alexandre Dumas, dopo una sua lunga esperienza napoletana, aveva scritto ne “Le Corricolo”, un volumetto contenente dei racconti sulla città di Napoli:

“La pizza è: All’olio; Al lardo; Alla sugna; Al formaggio; Al pomodoro; Ai pesciolini.” Quindi anche al pomodoro. Siamo nei decenni attorno alla metà dell’Ottocento, periodo straordinario per la storia italiana, ricco di fervore e di sperimentazioni; sono gli anni decisivi anche per l’impegno di molti giovani italiani che, sulla scia di Giuseppe Mazzini e Giuseppe Garibaldi, combattono per arrivare ad abbattere le frontiere che frantumavano l’Italia in tanti piccoli regni, granducati e ducati, per riuscire ad unire tutta la penisola in un solo grande Paese.



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LA STORIA DELLA PIZZA

Le bevande per la pizza

Dopo aver letto quanto ha scritto Marc Monnier sorge spontanea la domanda: quali bevande si accostavano nell’Ottocento alla pizza? Premesso che la pizza o la acquistava nelle pizzerie che s’aprivano sulle strade di Napoli e la si mangiava mentre si camminava – un vero e proprio street food ante litteram (cioè anticipato di un oltre un secolo e mezzo rispetto ai moderni street food) – oppure la si gustava nelle salette interne di certe pizzerie per la buona borghesia che si trovavano in via Toledo. Ed ecco la sorpresa:

Quello che si mangia – scrive Marc Monnier - viene annaffiato con bevande

complesse come lo sono le pizze [anche queste, preparate per la borghesia, erano abbastanza elaborate]: queste bevande dal nome che manda in estasi gli stranieri, si chiamano falerno, lacryma christi, marsala, ecc.”

Sissignori: niente birra ma vini di qualità, anzi di altissima qualità e anche dolci. E mi fermo qui, invitando i pizzaioli d’oggi, specie quelli che si richiamano con tanto fervore alla tradizione, a fare una seria riflessione e a trarne le conseguenze.

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Conosciamo i lieviti per parte 6 la pizza? a cura della redazione

Se l’acqua e la farina sono due ingre-

Se la storia dell’utilizzo di questo

dienti fondamentali per fare un impasto

fungo si perde nella notte dei tempi,

per la pizza, il lievito è il catalizzatore

è cosa nota, per esempio, che sia gli

che permette di trasformare la pasta nei

antichi Assiri che gli antichi Egizi ne

panificati che siamo abituati a consu-

conoscessero le proprietà. Le sue mo-

mare quotidianamente.

derne applicazioni in ambito chimico, farmaceutico e alimentare risalgono agli ultimi anni del 19esimo secolo, in coincidenza con lo sviluppo dell’industria chimica moderna. Sarebbe molto difficile sintetizzare in queste pagine più di 3000 anni di storia, per questo motivo cerchermo di spiegare le applicazioni e le caratteristiche del lievito in funzione del piatto che molto spesso raccontiamo nella nostra rivista: la pizza.


CHE COSA SONO I LIEVITI?

I

lieviti sono un gruppo di funghi monocellulari, di cui sono state individuate circa un migliaio di varietà. Per l’utilizzo alimentare il saccaromiceto più utilizzato è il lievito di birra, le cui applicazioni spaziano dalla produzione di pane, pizza, vino e birra. La struttura del Saccharomyces cerevisiae – il nome scentifico di questa varietà di lievito – si compone da una membrana cellulare esterna, il citoplasma e un nucleo centrale.

Le due principali attività di questo tipo di lievito sono legate alla presenza o meno di zuccheri semplici, alle condizioni ambientali, alla presenza di umidità e di ossigeno: queste varianti e le loro oscillazioni comportano la riproduzione cellulare del lievito oppure la fermentazione dell’alimento o della bevanda dove esso si trova, ma prima di capire questo processo tanto semplice quanto fondamentale è opportune conoscere le tipologie di lievito che sono destinate all’uso alimentare.


pizza e pasta italiana

L I E V I T I “ C H I M I C I ”, LIEVITI COMPRESSI E LIEVITO MADRE

Il comune lievito di birra, quello che familiarmente si è abituati a trovare nel banco frigo del supermercato, è chiamato in questo modo perché in passato si otteneva da depositi formatisi durante la fermentazione dei fusti di birra, mentre oggi deriva da un composto a base di melassa; successivamente, tramite una serie di processi industriali, il lievito di birra è compresso in panetti con una percentuale di acqua intorno al 70%. Lo stesso lievito viene disidratato riducendone l’umidità e ottenendo i granuli di lievito secco. Il Saccaromyces cerevisiae è un fungo che in presenza di ossigeno inizia a riprodursi: questo avviene grazie alla presenza dell’aria inglobata durante le fasi di impasto. In seguito, esaurito l’ossigeno, il fungo innesca un meccanismo di fermentazione che produce alcol etilico e la parte di anidride carbonica che serve per alveolare e rigonfiare gli impasti, prima e durante la cottura.

La lievitazione chimica è utilizzata in parecchi prodotti da forno professionali e molto spesso per i dolci da casa. Questo tipo di fermentazione produce anidride carbonica in cottura, rigonfiando l’impasto. Il lievito chimico, che non può certamente rientrare tra quelli di cui si è scritto fino ad ora è in realtà un composto in polvere formato da bicarbonato di sodio unito a un elemento acido che produce anidride carbonica durante la cottura. Questo tipo di reazione è generalmente innaturale per un lievito naturale, che ad alte temperature conclude la sua attività fermentativa. I primi lieviti in polvere vennero creati industrialmente alla fine del 1800. Un altro tipo di lievitazione chimica è rappresentata dal bicarbonato d’ammonio o ammoniaca per dolci che è utilizzato nella preparazione di biscotti particolarmente friabili. La controindicazione di questo tipo di agente lievitante è data appunto da sentore di ammoniaca che deve essere eliminato in cottura seguendo le giuste tempistiche. Uno dei lieviti chimici più diffuse è il cremor tartaro, le cui applicazioni spaziano dalla pasticceria alla panificazione.

Il lievito naturale o lievito madre o anche pasta acida, rappresenta un’altra importantissima branca della lievitazione biologica. Storicamente il lievito madre è stato scoperto dagli abitanti della Mesopotamia storica e dagli antichi Egizi, è stato utilizzato da sempre nella produzione dei panificati, gelosamente custodito da maestri dell’arte bianca, generazione dopo generazione, fino all’avvento del lievito di birra e dei lieviti compressi. Il lievito madre è stato riscoperto negli ultimi anni, diventando un must per tutti gli appassionati di arte bianca ed è un composto di acqua e farina che, lasciato fermentare a temperatura ambiente, sviluppa colonie di lieviti e batteri lattici che si riproducono e, in fase di impasto, hanno potere lievitante. La fermentazione è uguale a quello del lievito di birra con aumento di volume della pasta e alveoli nel prodotto cotto. A differenza del lievito compresso, con il quale ha in comune la presenza del Saccaromyces cerevisiae, la pasta madre sviluppa al suo interno molteplici colonie di lieviti e batteri lattici: la loro fermentazione sviluppa profumi e sapori particolari molto ricercati nel campo della panificazione. L’acidità maggiore presente negli impasti lievitati naturalmente permette inoltre una maggiore conservabilità del prodotto, ovvero un ritardo nel raffermamento dello stesso.

— continua nel prossimo numero —


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