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La pizza tra cucina intima e cucina pubblica
All’interno del triangolo culinario teorizzato da Levi-Strauss tuttavia vi sono anche differenze tra le tipologie di cottura, in particolare tra l’arrosto e il bollito, le due modalità di cottura più diffuse da cui poi hanno avuto origine tecniche e strumenti giunti fino ai giorni nostri.
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Il bollito è infatti cotto dentro un recipiente con tipologie diverse di liquidi, l’arrosto invece fuori, quasi sempre al contatto diretto col fuoco.
Non è un caso che la pizza assecondi in maniera quasi didascalica questa propensione: quella “napoletana” (così come quella “classica”) è infatti cotta direttamente sulla pietra a contatto “quasi diretto” col fuoco e gli ingredienti sono - secondo tradizione - posti sulla pizza quasi sempre a crudo e cotti con essa, senza trattamenti preliminari. La pizza nel ruoto o al tegamino invece è discendente diretta di quella pizza che si cuoceva insieme al pane e che era una squisitezza da portare in tavola per deliziare la famiglia. Richiede però un passaggio in più: uno strumento, un recipiente per l’appunto in cui cuocere. Oggi la ricerca costante di innovazione ha portato agli onori delle tavole anche quest’ultima ma l’obiettivo spesso dichiarato dai pizzaioli è proprio quello di riprendere una tradizione familiare, il che conferma quanto appena scritto.
Cosa dire però a proposito della cottura degli ingredienti? Come detto poche righe sopra, in origine sulla pizza non era abitudine porre prodotti pre-cucinati né tantomeno inserire ingredienti dopo la cottura del disco di pasta. Oggi invece la pizza contemporanea prevede sempre più preparazioni cucinate a parte, alcune delle quali richiedono l’inserimento sulla pizza dopo che questa sia stata cotta, esattamente come avveniva sulle mensae, gli impasti di acqua e farina che nell’antica Roma fungevano da piani di cottura e piatti di portata. Nulla di nuovo sotto il sole, dunque ma solo una pratica che rinvigorisce il legame con la tradizione di una “ricetta leggendaria”.