Pizza e Pasta Italiana

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n° 9 ottobre '16



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pizza e pasta italiana

AZIENDE Avanzini Bruciatori pag. 105 Birra Peroni pag. 73 Cad – David Forni pag. 103 Castelli Forni pag. 47 Consorzio Aceto Balsamico di Modena IGP pag. 91 Cuppone Ovens pag. 17 Ds Food pag. 15 Dr Zanolli pag. 116 Eredi Malaguti pag. 11 Eurial pag. 87 Familia pag.34 Ferrara Food pag. 45 Fiera di Catania, Ristorahotel Sicilia pag. 107 Fiera di Dubai, Gulfood Manufacturing pag. 104 Fiera di Milano, Host pag. 64 Fiera di Milano, Tuttofood pag. 77 Fiera di Padova, Tecnofood pag. 55 Fiera di Rimini, Beer Attraction pag. 75 Fiera di Rimini, Gluten Free expo pag. 97 Fiera di Torino, Gourmet Expoforum pag. 107 Fiera di Vicenza, Cosmofood pag. 69 Forni Pavesi Rimini pag. 57 Gi.Metal pag. 99 Greci pag. 83 Latterie Montanari pag. 21 Lidia pag. 46 Lilly Codroipo pag. 93 Liner pag. 89 Molino Agugiaro & Figna pag. 37, 85 Molino Dallagiovanna pag. 23 Molino Denti pag. 67 Molino Magri pag. 29 Molino Pasini pag. 7 Molino Piantoni pag. 51 Molino Pivetti pag. 59 Molino Polselli pag. 115 Molino Spigadoro pag. 2 Moretti Forni pag. 81 Novaltec pag. 25 Oem pag.27 Omega Distribuzione pag.65 Pizzaway pag. 65 Pizzamaster pag. 9 Rispo Surgelati pag. 33 RPM pag. 71 Sanfelici Conserve pag. 3 Sitta pag. 39 Smoky Elettromeccanica pag. 35 Tanelli pag.40 Vecogel pag. 41 Velma - Pastaline pag. 53 Viander pag. 63

SOM 30 SPECIALE GRANI ANTICHI

6 EDITORIALE

di Giampiero Rorato

8 PRIMA PAGINA 10 PIZZA NEWS 12 — È ora di cambiare di Giampiero Rorato

— Gli antichi

grani della Sicilia: realtà e prospettive. Incontro col dott. Domenico Proto di Giampiero Rorato

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SPECIALE GRANI ANTICHI

SPECIALE GRANI ANTICHI

— E’ possibile conoscere la filiera del pane e della pasta?

— Il pane di Venezia

di Giampiero Rorato

di Caterina Vianello

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SPECIALE GRANI ANTICHI

SPECIALE GRANI ANTICHI

— Il Khorasan

— Luca Vidorin un moderno artigiano del pane

di Giampiero Rorato

di Giampiero Rorato


MARIO 48 SPECIALE GRANI ANTICHI

— Il valore nutrizionale di carboidrati e creali in pane, pizza e pasta dott.ssa Marisa Cammarano Biologa Nutrizionista

56 SPECIALE GRANI ANTICHI

— La storia della pizza 1^ parte

di Giampiero Rorato

60 LA PIZZA IN ITALIA Acqua di pomodoro, la pizzeria di Heinz Beck nel cuore della Costa Smeralda di Patrizio Carrer

66 LA PIZZA NEL MONDO — Escuela Appyce La pizza all’altro capo del mondo di Caterina Vianello

72 L'ANGOLO DELLA BIRRA

Le birre a bassa fermentazione tedesche

94 QUESTIONE DI GUSTO

di Alfonso Del Forno

78 DUE STRAORDINARI AMBASCIATORI DEL VINO

— La pizza e le guide gastronomiche di Nives Piva

— I vini armeni e Raboso di Giampiero Rorato

98 IL TURISMO

— Motore

dell’economia e fonte di conoscenze di Laura Nascimben

84 — Flavours

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of Italy L’Italia in Norvegia

di Caterina Orlandi

- Il Giropizza d’Europa - European Gluten free Trophy

di Caterina Orlandi

88, 92 DAL CAMPIONATO MONDIALE DELLA PIZZA — Sanfelici Conserve — Acqua Dolomia

94 NOVITÀ DALLE AZIENDE — Aceto Balsamico di Modena IGP — Eredi Malaguti Mam Forni — Eurial

108 SCUOLA ITALIANA PIZZAIOLI

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pizza e pasta italiana

EDITORIALE

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o scorso mese di settembre la nostra rivista ha dedicato le sue pagine alla pizza napoletana che è una delle espressioni più qualificate del made in Italy, oltre ad essere il piatto quotidianamente più richiesto e consumato in Italia e nel mondo. Oltre al tema delle tipicità italiane che sviluppiamo ogni mese, quello della qualità del cibo che mangiamo è un argomento sul quale intendiamo continuare a informare puntualmente i nostri lettori, poiché, anche grazie all’impegno quasi trentennale di questa rivista, è aumentata la consapevolezza che non si può accettare tutto a occhi chiusi e non lo si può proprio, visto che oltre la metà del cibo che si mangia in Italia è di origine estera e spesso non sappiamo da dove derivi e come sia stato prodotto. In questo numero abbiamo quindi voluto dedicare uno “special” alla filiera del pane, della pizza e della pasta, partendo dalla conoscenza dell’origine dei grani e delle farine, la cui scelta è fondamentale per avere prodotti - pane, pasta, pizza - di sicura qualità, desiderando contribuire a far meglio conoscere questo importantissimo aspetto della nostra alimentazione Da questo mese, poi, in continuità con lo speciale dello scorso mese dedicato alla pizza napoletana, iniziamo a raccontare in modo approfondito la storia della pizza, gettando anche lo sguardo su una pizzeria o una pizza interessante o su un aspetto tecnico da tener presente quando si confeziona una pizza, avvalendoci di ottimi specialisti del settore. In questo numero c’è molto altro e ci auguriamo di poter essere sempre più vicini ai nostri lettori, anche per rispondere al loro desiderio di conoscere le tante tematiche relative al vasto e complesso mondo della ristorazione.

PIZZA E PASTA ITALIANA Mensile di Pizza, Pasta, Enogastronomia e Cultura

COMITATO TECNICO E REDAZIONALE Marisa Cammarano, Patrizio Carrer, Giuseppe Dell’Aquila, Tony Gemignani (U.S.A.), David Mandolin, Gianandrea Rorato, Caterina Vianello, Laura Nascimben, Fabio Iacozzilli

edito da PIZZA NEW S.p.A. Autorizzazione Tribunale di Venezia n. 1019 del 02/04/1990 Anno XXVI - n.9 Ottobre 2016

AFFILIAZIONI INTERNAZIONALI Pete La Chapelle (N.A.P.O. - Pizza Today, U.S.A.), P.M.Q. Steve Green (U.S.A.)Abbie Jarman (Pizza, U.S.A.) Hidenao Takahashi (Pan World Inc., Giappone) Kazuko Nagamoto (ICT, Giappone) Takeshi Tanaka (Quattro Stagioni, Giappone) Drew McCarthy (Canadian Pizza Magazine, Canada), Valeria Vairo (Buongiorno Italia).

Repertorio ROC n. 5768 DIRETTORE EDITORIALE Massimo Puggina DIRETTORE RESPONSABILE Giampiero Rorato SEGRETARIA DI REDAZIONE Caterina Orlandi PUBBLICITÀ Patrizio Carrer, Caterina Orlandi RESPONSABILE PROGETTO David Mandolin REDAZIONE 30021 CAORLE (Venezia) via Sansonessa, 49 Tel. 0421/ 212348 - Fax 0421/81007 E-mail: redazione@pizzaepastaitaliana.it www.pizzaepastaitaliana.it

ASSOCIATO ALL’UNIONE ITALIANA STAMPA PERIODICA

PER LA PUBBLICITÀ SULLE RIVISTE

PROGETTO GRAFICO Manuel Rigo e Paola Dus

di Diego Cusano

ITALIA Pizza e Pasta Italiana SPAGNA RRR Revista de Restauración Rapida, Pizza y Restauración U.S.A. Pizza Today, Pizza, P.M.Q. Steve Green INGHILTERRA Pizza, Pasta & Italian Food GERMANIA Buongiorno Italia

STAMPA MEDIAGRAF S.p.A.

TEL 0421.83148 - FAX 0421.81007

— Mediagraf lab DIGITAL PUBLISHING Maura Trolese — Mediagraf lab IN COPERTINA illustrazione

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ABBONAMENTI E ARRETRATI — PER INFORMAZIONI, SOTTOSCRIVERE UN ABBONAMENTO O RICHIEDERE UN ARRETRATO: TELEFONARE AL NUMERO

dal lunedì al venerdì dalle ore 10 alle ore 12 dalle ore 15 alle ore 17

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L’abbonamento può avere inizio in qualsiasi momento dell’anno e dà diritto a ricevere 11 numeri della rivista. L’abbonamento andrà in corso dal primo numero raggiungibile. di Giampiero Rorato


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pizza e pasta italiana

PRIMA PAGINA di Patrizio Carrer

A Roma, la Finalissima di Chef e Pizza Chef Emergente

Trofeo Caputo 2016, a Cozzolino la Stg, ad Antonio Sorbillo la classica

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ndrea Cozzolino, giovane pizzaiolo di origine partenopea ma residente in Australia si aggiudica la vittoria nella categoria Specialità Tradizionale Garantita, alla 15esima edizione del Trofeo Caputo ( Napoli 6,7 settembre). Una grande emozione per Cozzolino, trasferitosi tre ani fa a Melbourne per aprire la sua pizzeria “Zero95”, al secondo posto Ciro Magnetti, della pizzeria “Olio e Pomodoro doc” di Melito di Napoli. E, al terzo posto, il giapponese Kengo Yoshiha. Per le altre categorie in gara, vince Antonio Sorbillo ( pizzeria Sorbillo, Napoli) la categoria pizza Classica, mentre Pasquale White di Taiwan vince il riconoscimento per la migliore Pizza di Stagione. Per la categoria Teglia il primo posto è del casertano Vincenzo Gagliardi ( Pizzeria Il Trancio e la Ciociara), per la categoria Metro/Pala, Giuseppe Celio ( Napoli, pizzeria Lucignolo Bella Pizza). Il trofeo per la pizza gluten free è ad appannaggio di Gianluigi Villani ( O Golfo di Napoli, Brescia), per la pizza American Style, vince il Marco Quintili ( Pizzeria il Limoncello, Ciampino – Roma), tra i pizzaiuoli più giovani invece il più bravo è stato Antonio Magnetti. Il pizzaiuolo più veloce è Simone Fortunato, mentre Gabriele Carotenuto si aggiudica il premio speciale PizzaVillage.

Fipe propone il boom fiscale per i ristoratori

al 22 al 24 ottobre presso le Officine Farneto a Roma, si svolgerà la Finalissima di Emergente per decretare i migliori chef e pizzaioli emergenti del 2016. Cooking for art, la rassegna che include oltre alle gare di cucina e di pizza anche un’importante vetrina dedicato i prodotti e ai vini made in Italy, sarà la tappa conclusiva della maratona nazionale organizzata da Witaly e Luigi Cremona. Un anno fatto di gare e selezioni che hanno visto impegnati tanti giovani talenti nelle gare parallele di cucina e di pizza. A contendersi il premio per la gara Chef saranno: per il NordOvest: Marcello Tiboni - Locanda Walser Shtuba; per il Nord-Est: Francesco Brutto - Undicesimo Vineria; per il Centro, grazie all'ex-aequo: Ciro Scamardella - Metamorfosi e Giuseppe Lo Iudice - Retrobottega; Per il Sud: Isabella Benedetta Potì - Bros. A contendersi il premio per la gara Pizza Chef saranno: per il Nord-Est: Indrit Haraciu - O'Fiore Mio; per il Nord-Ovest: Matteo Moretti- Ristorante Pizzeria Lo Scalo; per il Centro, grazie all'ex-equo, Pier Daniele Seu - Gazometro 38 e Pierluigi Madeo - Pizza Man; Per il Sud, Ex-equo anche qui, Angelo Rumolo - Grotto Pizzeria Castello e Francesco Vitiello - Casa Vitiello.

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miliardi di euro di consumi turistici, la seconda motivazione di scelta dell’Italia, l’elemento di maggior successo durante il soggiorno. È il biglietto da visita con cui la ristorazione si presenta sulla scena della competizione globale per contribuire a mantenere e migliorare la quota di mercato dell’Italia nel turismo mondiale, considerando che nei prossimi anni il numero degli arrivi internazionali passerà da 1 a 1,4 miliardi. Al riconoscimento dei turisti e del mercato si aggiunge ora quello del Governo che, proprio nei giorni scorsi per bocca del presidente del Consiglio, si è espresso a favore dell’estensione ai ristoranti del bonus fiscale sugli investimenti per ristrutturare e digitalizzare le imprese. “Finalmente un provvedimento che andrebbe oltre il significato economico e le convenienze che saprà generare - dichiara il Presidente di Fipe - Federazione Italiana Pubblici Esercizi - Lino Enrico Stoppani - perché sarebbe la dimostrazione di una concreta attenzione verso il settore che da sempre lamenta difficoltà e richiede interventi di sostegno, per rafforzare il suo importante ruolo, non solo economico, ma anche sociale, culturale e di immagine per il Paese. Rilanciamo le parole del Presidente del Consiglio e sollecitiamo Governo e Parlamento a trovare le necessarie coperture nella prossima.

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pizza

NEWS Dare nuova forma: dalla lavorazione artigiana al taglio del formaggio per un gusto più pratico

La passione nell’offrire al consumatore tagli e formati innovativi dei migliori formaggi è il segreto della continua crescita Tanelli. <<Ogni formaggio aspetta il suo cliente, si atteggia in modo d’attrarlo…>> Così scriveva Italo Calvino nel racconto “Il museo dei formaggi” della raccolta di novelle Palomar. Osservando i prodotti, il protagonista della storia si sente come al Louvre, dietro ogni “oggetto” espo-

sto si cela la civiltà che gli ha dato forma e che da esso prende forma. Questo è ciò che rende speciale il lavoro dell’azienda Tanelli dal 1977. Ricercare soluzioni innovative, formati sempre differenti, pack moderni che comunichino il sapere dell’artigianalità. Tra cubetti, scaglie, julienne e grattugiato, l’obiettivo è sempre quello di semplificare e rendere migliore la degustazione del formaggio.

La storia dei forni MAM la trovate ancora oggi alla pizzeria Nelson di Modena, e nasce negli anni ’60 per “colpa” di una sfida tra il proprietario della pizzeria ed Aurelio, il fondatore della nostra azienda: “Voglio un forno per cuocere la pizza” disse Nelson, e Aurelio, già esperto metalmeccanico operante anche nel settore delle cucine e delle stufe a legna, lo creò. Negli anni ’80 Aurelio si è poi spinto oltre Oceano, ideando il primo forno per il mercato americano, iniziando così l’avventura internazionale dei forni MAM. L’esperienza, la forza d’innovazione e la continua ricerca sono la costante comune che da allora hanno portato MAM Forni ad essere un’azienda qualificata, oggi alla terza generazione di produttori ed esportatori di forni! L’azienda modenese produce forni a legna, a gas o combinati dagli standard qualitativi elevati, che permettono ai clienti, di potere

lavorare con estrema facilità e con bassissimi consumi di utilizzo. Per la produzione dei forni viene da sempre usato materiale refrattario di ottima qualità che garantisce una resa superiore nella fase di cottura dei cibi riducendo i costi di energia (legna e/o gas), di manutenzione e ottimizzando le prestazioni. I forni MAM, inoltre, si distinguono da quelli dei concorrenti per lo spessore superiore dei piani di cottura e delle cupole. Totalmente Made in Italy • Montato e funzionante in giornata e quotidianamente pronto all’uso in 30 minuti. L’impasto di refrattario di alto spessore permette bassissimi consumi e ottime prestazioni • Tecnologia all’avanguardia smontabile e riposizionabile • 40 anni veri di esperienza • Ora anche personalizzabile nell’immagine!

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È ORA DI C AM B I A R E di Giampiero Rorato

L’Italia, scrigno di bellezza, deve recuperare velocità a difesa delle sue attività produttive e dell’intero mondo ristorativo


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inalmente l’Italia ha la possibilità di muoversi e riprendere la corsa, se lo vogliamo noi. L’Italia è un piccolo borgo nel grande villaggio globale, ma possiede valori che altri non hanno o hanno in quantità e qualità molto minore. L’Italia è davvero il Paese del Bello e del Buono, questa rivista lo sta documentando da quasi trent’anni. La ristorazione italiana è al top mondiale, grazie a una storia lunga quasi tre millenni che merita brevemente riassumere.

Attorno al 750 a. C., arrivarono in Sicilia e nell’Italia meridionale i primi coloni greci portando in una terra ferace la loro cultura, il loro lavoro, le loro piante - vite, ulivo, mandorlo e pistacchio compresi - i loro prodotti e la loro cucina. Settecento anni dopo, con l’espansione di Roma in Europa, nel Nord Africa e nel Vicino Oriente, in Italia arrivarono altre nuove piante, nuovi ortaggi, nuovi prodotti fra cui le spezie e la birra, nuovi piatti e nuove tecniche di cottura.


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pizza e pasta italiana

Caduta Roma giunsero in Italia le popolazioni nordeuropee più diverse, fra cui i Longobardi che introdussero lo spiedo ancora in auge nel Nord Italia. Nell’827 sbarcarono in Sicilia gli Arabi portando anche loro diverse nuove piante fra cui limoni e arance amare, il carrubo, il gelsomino, il carciofo e ancora il riso, lo zucchero e le spezie. Dopo l’anno 1000 Venezia diede vita a importanti commerci con Costantinopoli e Alessandria d’Egitto e fece della città dogale la capitale mondiale del commercio delle spezie e dei vini (greco, soprattutto Malvasia). Lo stesso fecero le altre Repubbliche marinare. Genova, Pisa, Amalfi, incrementando i commerci marittimi e portando a casa quanto di buono trovavano nei loro viaggi. Ma non è finita: in Italia

arrivarono anche Svevi, Normanni, Francesi, Spagnoli e tanti altri ancora e tutti lasciarono i segni della loro cultura e della loro civiltà. Infine ci fu, nel 1492, la scoperta dell’America, da dove arrivarono patate, fagioli, peperoni, pomodori, il cacao, i tacchini, le anatre mute e molto altro ancora. La cucina italiana, che ha saputo elaborare tutti questi prodotti secondo il proprio gusto e la propria arte gastronomica, è oggi la più interessante del mondo, non solo grazie a una natura generosa di ottimi prodotti agroalimentari, ma per i tanti apporti dei popoli che nel corso dei secoli invasero non sempre pacificamente il nostro Paese e quello che oggi l’Italia possiede è un patrimonio che all’estero ci invidiano.

Ma il Bello che caratterizza l’Italia è dato anche dalla moda italiana, guardata con invidia da tutti gli altri popoli, senza dimenticare una natura stupenda, paesaggi da sogno, musei di straordinaria ricchezza, città d’arte che lasciano incantati i tanti turisti che arrivano in Italia, oltre, naturalmente, al lavoro e alla sapienza di tante generazioni che non si sono risparmiate per rendere grande e bella l’Italia.


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CONSERVARE E RINNOVARE —

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e l’Italia è un Paese privilegiato – piccolo, stupendo e prezioso borgo all’interno del villaggio globale – è anche vero che ha il dovere di essere sempre al passo coi tempi, non accontentandosi pigramente di camminare come le tartarughe o, peggio, come i gamberi. Per molti aspetti l’Italia è ferma alla metà del secolo scorso, quando l’80 per cento degli italiani erano contadini – i “cafoni”, raccontati in Fontamara da Ignazio Silone - quando gran parte della popolazione non arrivava alla quinta elementare, quando l’analfabetismo era molto diffuso e ci volle il maestro Alberto Manzi a insegnare a leggere e a scrivere ai tanti analfabeti. Erano gli anni tra il 1960 e il 1968 con la trasmissione TV non ancora a colori “Non è mai troppo tardi”, che gli anziani ricordano ancora. Paragonando quei decenni all’oggi si capisce benissimo che ora l’Italia è del tutto diversa da allora e non può avere delle istituzioni come in quegli anni ormai lontani. Il nostro Paese ha bisogno di una scossa forte, ha bisogno di rinnovarsi per essere al passo coi tempi, per velocizzare l’attività delle istituzioni impastate e incrostate di burocrazia, per diminuire drasticamente i costi pubblici che spesso rappresentano delle ingiustificate e incomprensibili prebende per pochi (anche troppi) privilegiati, per renderci credibili presso gli altri popoli, in Europa e nel mondo.

E cambiare dipende solo da noi, sapendo che rinnovare l’Italia significa rilanciarla, rendere più snella la burocrazia, diminuire il peso delle tasse (buona parte serve per mantenere la politica) e ciò è indispensabile per rendere sostenibile le attività produttive, gli stessi ristoranti, le pizzerie, i panifici, le pasticcerie. Fra poco saremo invitati a compiere delle scelte: rinnovamento contro conservazione; futuro contro passato. Il futuro è nelle nostre mani, non c’entra più la grande politica, finalmente le scelte le dobbiamo fare noi e sarebbe vero autolesionismo rinunciare a cogliere questa straordinaria opportunità e ad appropriarci di questo diritto. Pensando al settore ristorativo di cui questa rivista è interprete, ascoltandone costantemente esigenze, richieste e aspettative, credo veramente che sia giunto il momento di dare una svolta al nostro Paese, guardando con serenità e serietà al futuro, che immagino con meno pastoie burocratiche, più veloce nelle decisioni della politica e della giustizia, più capace di competere ad armi pari con le altre potenze internazionali, avvalendosi delle moderne tecnologie che stanno alimentando un mondo nuovo, ben diverso da quello dell’ultimo dopoguerra, quando, oltre che nelle scuole, anche negli uffici più importanti, del governo, delle industrie, della finanza si scriveva con penna e inchiostro, oggetti che oltre la metà della popolazione italiana non ha mai conosciuto.

a fianco

Il maestro Alberto Manzi

Le giovani generazioni, in particolare, decisamente proiettate nel futuro, non riescono a capire perché esistano ancora tanti ostacoli alla loro voglia di fare e di impegnarsi, perché ci sia così tanta fatica a trovare un lavoro dignitoso, perché il mondo degli adulti (quelli “vecchi”, s’intende) sia spesso contrario a far entrare aria nuova nel nostro Paese, bloccando l’indispensabile e non più rinviabile rinnovamento delle istituzioni, a tutti i livelli.

Abbiamo davanti un’occasione unica, facciamo in modo di non perderla.



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È possibile conoscere la filiera del pane e della pasta? di Giampiero Rorato

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ormai risaputo che la produzione del grano che avviene in Italia riesce a soddisfare poco più di un terzo del reale fabbisogno interno, per cui i restanti due terzi devono essere importati dall’estero, tenendo conto che una notevole quantità di pasta prodotta in Italia prende poi la strada dell’estero. E poiché il grano estero, proveniente dall’Est europeo, soprattutto dall’Ucraina, dalle Americhe e da altre parti ancora, di cui spesso non si conosce l’origine, le tecniche produttive e il modo di conservazione, costa molto meno del grano italiano il rischio è che molti agricoltori abbandonino la produzione di grano facendo diventare l’Italia ancor più dipendente dall’estero. Come riportano i media e come puntualmente precisano le Associazioni di cate-

goria, all’inizio dell’estate un quintale di frumento duro nazionale valeva 19 euro a Foggia e a Bologna restava appena sopra i 20 euro. Non è compito di una rivista come questa affrontare le grosse problematiche che riguardano il complesso mondo del grano e della farina con conseguenza sulle attività produttive di pasta e pane, anche perché le possibili soluzioni passano attraverso seri accordi internazionali e soprattutto una più moderna organizzazione produttiva e commerciale in Italia, tutte cose che riguardano il Governo, le Regioni, le Associazioni di Categoria e ancor più una più concreta e capillare educazione alimentare degli italiani, che non passa purtroppo attraverso le tante trasmissioni pseudo gastronomiche delle varie TV.


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Il mercato globale del grano e i suoi effetti molto negativi per l’economia italiana: problemi e proposte

Il grano duro italiano Questa rivista è impegnata fin dal primo numero a difendere, valorizzare e promuovere i prodotti italiani, compreso il grano duro e ha più volte mostrato possibili modi per far diminuire la dipendenza dell’Italia dal grano estero, sia tenero che duro, ben sapendo che ci vuole una grande campagna di seria informazione e di conseguente educazione alimentare, oltre agli indispensabili interventi delle istituzioni a sostegno di una maggiore e più qualificata produzione cerealicola. Una delle strade, comunque, già esiste, ed è stata intrapresa da un buon numero di mulini italiani e da pastifici grandi e piccoli che da diversi anni promuovono con impegno e passione la pasta prodotta con ottimo grano duro italiano. Fra gli interessanti e positivi esempi che fanno scuola e che meritano di essere conosciuti ne ricordiamo qualcuno, ma ne esistono molti altri, felici se altre aziende vorranno informarci e stare al nostro fianco in un’opera di corretta informazione ai nostri lettori e ai consumatori. La Società Mediterranea Servizi Globali di Bari, ad esempio, produce una pasta col marchio Santa Candida, con farina di grano duro Khorasan prodotto totalmente in Puglia e regioni limitrofe e di anno in anno aumenta la produzione perché aumentano i coltivatori che conferiscono il grano Khorasan da loro prodotto. La semola Khorasan e le farine biologiche sono ottime non solo per la preparazione di pane, e pasta, ma anche per realizzare focacce, biscotti e dolci. Ma quanti operatori – pastifici, panettieri, pizzaioli - lo sanno? La stessa Barilla, per la pasta che mette sul mercato col marchio Voiello impiega un grano italiano, il grano Aureo, coltivato in Abruzzo, Molise, Puglia e Campania che ha una quantità di proteine tale da competere con il grano nord americano.


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A sua volta il Pastificio Granoro con sede a Corato (BA) si avvale del Molino de Vita per produrre una semola di grano duro che nasce da un eccellente frumento duro pugliese prodotto dai soci della Cooperativa Apricena. Una scelta simile l’ha fatta il titolare del Mulino Armando in provincia di Avellino, stringendo un patto produttivo con gli agricoltori del territorio che coltivano un grano duro italiano secondo le direttive dei tecnici del mulino, che poi acquista quel grano e impiega la semola nel suo pastificio, garantendo ai consumatori, come le aziende prima citate, una filiera totalmente italiana del prodotto. Il Pastificio Sgambaro di Castel di Godego (TV), fa coltivare da numerose aziende agricole riunite in cooperativa dell’ottimo grano duro italiano, quindi nel mulino di proprietà trasforma quel grano in semola per produrre poi nel suo moderno pastificio un’ottima pasta di filiera totalmente italiana che porta il nome di famiglia. Non tutte le aziende che affermano di produrre la pasta con “grano italiano” specificano poi, come sarebbe necessario, le varietà di grano duro impiegato, cosa assolutamente necessaria per dare ai consumatori la certezza che si tratta di vero grano italiano e non di grano ottenuto in Italia da sementi prodotte dalle multinazionali. In quest’ultimo caso parlare di “grano italiano” e, ancor peggio, di “pasta italiana” è eticamente falso, perché non è l’arte pastaia ma la farina impiegata che garantisce l’autenticità italiana di una pasta.


saremo presenti dal 12 al 15 Novembre ‘16 al COSMO FOOD di Vicenza -padiglione 1 settore restaurant presso lo stand Marchi SpA


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Il futuro non aspetta Abbiamo comunque riportato alcuni esempi che indicano una possibile strada da percorrere anche da altri mulini (e già altri la percorrono) e sappiamo bene che le paste da grano duro italiano di antica storia, come il Khorasan, o di storia più recente come il Senatore Cappelli rappresentano una piccolissima percentuale della pasta consumata in Italia e di quella esportata nel mondo. È anche vero che questa pasta di filiera tutta italiana costa di più della pasta prodotta con grani stranieri, che, comunque, arrivando in Italia, sono sottoposti per campione agli esami richiesti dalla legge e, quindi, si presume rispondano agli standard qualitativi e igienicosanitari previsti dalla legge. Se ci fosse un deciso impegno di coordinare e possibilmente uniformare i programmi delle istituzioni e delle associazioni di categoria (Confagricoltura, Coldiretti, Cia, Consorzi Agrari, Cooperative Agricole, ecc.), riguardanti il settore dei grani, per passare poi ad accordi con mulini e pastifici, pian piano si arriverebbe a una maggior produzione di buon grano italiano sia duro che tenero (in Italia terra disponibile ce n’è ancora molta). E non sarebbe poi difficile convincerci e convincere i consumatori che la pasta prodotta con grano italiano, quindi con filiera conoscibile e dichiarata, è di gran lunga migliore di quella prodotta con grano dalla filiera sconosciuta e, per la piccola differenza di costi, la maggioranza dei ristoranti e delle famiglie italiane, se adeguatamente e correttamente informati, non avrebbero difficoltà a scegliere pasta totalmente italiana.

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cina e del made in Italy, in un mondo sempre più standardizzato, nel quale la difesa dell’identità alimentare italiana è un valore che non può essere in nessun modo trascurato, pena il concreto pericolo di diventare colonia delle multinazionali, anche se a qualche impresa molitoria, a diversi pastifici e a panettieri ciò fa comodo, dal momento che, attualmente, dal grano alla pasta i prezzi aumentano circa del 500% e quelli dal grano al pane addirittura del 1400%. Vogliamo pensarci?


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pizza e pasta italiana

di Giampiero Rorato

Il Khorasan antico grano prezioso, millenario orgoglio del Sud Italia, ma sul Khorasan serve fare chiarezza.

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Grano Rosso

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uccede spesso ed è successo anche pochi mesi fa (26 febbraio) al più diffuso quotidiano italiano di confonder – grazie a un ottimo marketing strategico e all’enorme potere della comunicazione - il nome di un grano con quello di un marchio. Quel giorno, infatti, il quotidiana presentava nella pagina di gastronomia la ricetta intitolata: “La tagliatelle di kamut e zenzero con burro e foglie di basilico”. L’errore, per ignoranza, per furbizia o trascuratezza, è molto diffuso, anche in non poche pizzerie dove si esibisce con disinvoltura “Pizza al kamut”, dimostrando una ingiustificabile ignoranza sul mondo del grano e delle farine. Per tali motivi ci sembra dunque utile, oltre che necessario, fare chiarezza, augurandoci che panettieri e pizzaioli, che più di altri usano la farina di grano Khorasan, non cadano in questo stupido e incomprensibile errore.

L’abbiamo scritto altre volte: non esiste nessun cereale o pseudocereale che si chiami kamut, per cui nessun cerale, nessun pseudocereale e nessuna farina possiede questo nome o può chiamarsi, anche indirettamente, con questo nome. La parola kamut è un nome di fantasia che un imprenditore nordamericano ha usato per lanciare un suo prodotto ed è quindi soltanto un marchio commerciale, debitamente registrato e usabile solo dal proprietario e da chi ne compra i diritti, pagando naturalmente quanto richiesto dall’imprenditore. Da quanto abbiamo scritto risulta chiaro che per utilizzare il nome kamut serve l’autorizzazione della Kamut International ossia della società fondata da Mr Quinn nel 1989 che ne detiene il brevetto.


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pizza e pasta italiana

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Triticum Turgidum

Ora, come ormai tutti sanno (o dovrebbero sapere), il grano con la cui farina è stata confezionata la ricetta delle tagliatelle prima citata ha un nome diverso e ben preciso, inconfondibile, trattandosi del Khorasan. Gli studiosi ritengono che il grano Khorasan, prodotto da secoli, in qualche caso da millenni, anche in Sud Italia (Puglia, Basilicata, Abruzzo, Molise e Campania) derivi dall’antichissimo Triticum turgidum ssp. Turanicum il cui nome popolare è grano rosso Khorasan di antichissima origine iraniana (o di altra area montuosa della Mezzaluna fertile, nei pressi del Caucaso) e possiede caratteristiche simili agli altri grani “dicocchi” esistenti, come sono il farro (Triticum dicoccum) e il grano duro (Triticum durum o Triticum turgidum). Va precisato che tra Lucania, Sannio e Abruzzo un tipo di grano Khorasan, e precisamente il Triticum Polonicum, detto Saragolla, molto conosciuto in tutto il Mezzogiorno italiano, era coltivato da anni molto lontani in piccole superfici terriere per uso famigliare e lo è ancora oggi, molto più che in passato, e impiegato per la produzione di pane, pasta e pizza.

È poi cosa nota a chi ha studiato questi ottimi grani che il Khorasan è una varietà di frumento con un glutine molto destrutturato: l’eventuale maggiore digeribilità che gli è attribuita è simile a quella che si riscontra quando si consumano prodotti a base di farro, di grano monococco e di grano Senatore Cappelli e che distingue il Khorasan da molti altri grani è soltanto la strutturazione del glutine. Come abbiamo poco fa ricordato il Khorasan è coltivato in Italia da tempi molto antichi nella zona compresa tra Marche– Abruzzo–Molise–Lucania e Irpinia ed è conosciuto sia con il nome scientifico della sua varietà (Khorasan), sia con il nome comune di Saragolla ed è iscritto nell’elenco delle varietà coltivate e reperibili in Italia nel sito del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali. A questo punto ci è doveroso aggiungere, a scanso di qualsiasi equivoco, che il Khorasan a marchio Kamut® è un grano ottimo, al pari del Khorasan italiano, e così la farina con esso prodotta, come correttamente afferma l’azienda del signor Quinn, ribadendo comunque, a correzione di un’errata credenza popolare, che non esiste nel mondo un grano che si chiamo kamut.


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pizza e pasta italiana

Il Khorasan italiano Ecco un modo serio ed esemplare per valorizzare e promuovere il grano Khorasan italiano.

Abbiamo preso spunto da un articolo di giornale non certo per spirito polemico la cosa sarebbe oltremodo sciocca e lontanissima da questa rivista - ma perché si tratta di un errore purtroppo ripetuto molto spesso anche da cosiddetti esperti, un brutto errore che reca grave danno all’immagine del Khorasan italiano, con la cui farina è prodotta, fra l’altro, un’ottima pasta presente in commercio. Per limitarci ad un esempio, ricordiamo una pasta di semola ottenuta da grano Khorasan e messo in commercio con il nome Khorasan Santacandida® (ita.santacandida-italia. com/chi-siamo). E ci piace qui sottolineare l’intelligente impegno dell’ing. Tommaso Carone, che coi figli Giovanni e Daniele produce questo grano in modo biologico, nel territorio di Matera, coinvolgendo altri agricoltori della zona, facendolo poi macinare in un Molino artigianale di Genzano di Lucania (PZ). La semola ottenuta viene affidata a pastifici lucani, pugliesi e abruzzesi per la produzione di pasta artigianale biologica trafilata in bronzo. La semola rimacinata e le farine sono impiegate, oltre che per la produzione di pasta, anche per produzione di pane, di pizza (attualmente sempre più apprezzata), focacce, pasta fresca, taralli e prodotti da forno, dolci.

Siamo convinti che sia finalmente arrivata l’ora non solo di essere orgogliosi ma di esprimere a voce alta l’orgoglio di avere in Italia dei prodotti agroalimentari, che sono, per unanime convinzione degli esperti internazionali, fra i migliori al mondo ed è un nostro dovere civico di italiani sentirci impegnati a difenderli, valorizzarli e promuoverli. Non per nulla nel mondo viene venduta come fosse di origine italiana una grande quantità di prodotti dal nome italiano o segnati nella confezione da un bel tricolore – pasta, riso, salumi, prosciutti, formaggi, olio extravergine d’oliva, vino, ortaggi, frutta, ecc – proprio perché all’estero conoscono l’altissima qualità dell’agroalimentare italiano e molte aziende estere gabbano per italiani prodotti che non lo sono in nulla, procurando all’Italia un danno calcolato attorno a 60 miliardi di euro l’anno.

È dunque nostro dovere - e dovere che questa rivista assolve fin dal primo numero - difendere lo straordinario patrimonio agroalimentare italiano con fermezza e intelligenza, combattere le credulonerie, le contraffazioni e gli imbrogli, non cadendo in pericolosi errori, a volte purtroppo voluti, pensando in tal modo di attrarre più clienti. In verità si fa del male all’agroalimentare italiano che ha prodotti – come il Khorasan italiano – che il mondo ci invidia e dei quali dobbiamo essere gelosi custodi, intelligenti valorizzatori e tenaci promotori.

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Gli antichi grani della Sicilia: realtà e prospettive INCONTRO COL DOTT. DOMENICO PROTO

di Giampiero Rorato

Nel lontano passato la Sicilia era il granaio di Roma, per la sua grande produzione di frumento. Ma oggi qual è la situazione per quanto riguarda la produzione di grano? L’abbiamo chiesto al dott. Domenico Proto, grande esperto, innamorato della sua splendida isola.

“Diodoro Siculo definì il periodo compreso fra la fine della seconda guerra punica (210 a.C.) e la prima rivolta degli schiavi (139 a.C.), come “il sessantennio felice della Sicilia” e questa “pseudo felicità” era dovuta soltanto al fatto che in Sicilia non ci furono guerre; per il resto le cose andarono assai male. Dopo la distruzione di Cartagine, la Sicilia cessò di essere il centro nevralgico del Mediterraneo e pertanto l’interesse di Roma per l’isola cominciò a scemare. L’isola subì una lenta decadenza e rimase aperta all’ingordigia di pretori, di avventurieri e di speculatori di ogni specie che si impadronirono dell’Ager publicus, determinando la scomparsa della piccola proprietà e il sorgere dei latifondi, posseduti da poche famiglie. Alcune città si spopolarono, nelle campagne il lavoro libero si contrasse, gli schiavi, divenuti numerosi dopo la conquista dell’Oriente, sostituirono gli agricoltori, l’agricoltura a poco a poco cedette il posto alla pastorizia e alla monocoltura del grano, che rese la Sicilia “il granaio del popolo romano”. Celebre è il detto di Catone il Censore (234139 a.C.), secondo cui la Sicilia era “il granaio della repubblica, la nutrice al cui seno il popolo romano si è nutrito”. Contemporaneamente consistenti appezzamenti di terre furono abbandonati o resi inutilizzati, rimanendo esposti all’erosione e preclusi ad un uso sociale con gravi ripercussioni sulle popolazioni autoctone a cui vennero sottratti i benefici delle attività agricole. Come se ciò non bastasse il bisogno crescente di legname utile per la costruzione di abitazioni, sup-

pellettili e navi, provocò quel lento processo di disboscamento, cominciato con i Greci, che finì per modificare radicalmente l’aspetto dell’altipiano ibleo, rendendolo un brullo tavolato di steppa. Il disboscamento incontrollato dette impulso all’industria navale e al commercio, soprattutto con Gallia, Spagna e Africa. Venendo ai nostri giorni, in Sicilia, nel 2015, sono stati seminati a grano duro circa 290.000 ettari; di questi sono oggi coltivati a “grani antichi” solo qualche migliaio (da 3 a 5 mila ettari) . I “grani antichi siciliani”, appartengono alle “varietà locali da conservazione”; si tratta cioè di popolazioni, ecotipi e varietà naturalmente adattate alle condizioni locali e regionali e minacciate da erosione genetica e che hanno un interesse economico, scientifico, ambientale. Queste varietà, a differenza di quelle selezionate attraverso il miglioramento genetico classico (che sono composte da individui identici tra loro, con un germoplasma omogeneo) possono presentare un certo grado di eterogeneità (spighe che possono differire leggermente le une dalle altre per altezza, morfologia e altri caratteri). L’importanza riconosciuta a livello comunitario e nazionale alle varietà da conservazione, ha fatto si che venisse istituito uno specifico registro per le varietà locali da conservazione e che venissero emanate delle norme per la registrazione, certificazione e commercializzazione del materiale sementiiero di tali varietà (D. Leg. 149 del 2009, decreto 17 Dicembre 2010).”


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Anche in un passato non lontano la Sicilia era famosa per la produzione di grani antichi, in particolare la varietà Tumminia e c’erano anche altri tipi di grano. Quali grani antichi sono oggi coltivati in Sicilia?

“Attualmente l’interesse sempre crescente per i “grani antichi” e la rapidità con cui si stanno diffondendo i prodotti da essi derivati è in corso di organizzazione e necessita di interventi urgenti per la certificazione e l’identificazione del seme. Infatti in Sicilia non è ancora ben consolidato il punto di partenza di questa filiera cioè la produzione e commercializzazione di “seme certificato” che può dare garanzie di una filiera tracciata e solida, con una forte connotazione locale e con uno stretto legame al territorio. Ad oggi la garanzia sulla identità di un raccolto (cioè l’appartenenza ad una varietà locale) è affidata solo alla dichiarazione del granicoltore che la commercializza. In molti casi quest’ultimo però non è attrezzato per effettuare un controllo efficace delle impurità varietali e della presenza di altre specie. Molti lotti di “grani antichi” oggi stoccati e commercializzati nella nostra regione sono, infatti, impuri a causa di inquinamento sia da altre varietà (locali e non) o di altre specie (grano tenero, orzo, avena, ecc.). Questo rappresenta un grande problema per lo sviluppo della filiera che oggi non riesce a garantire la purezza della semente, delle produzioni e non crea i presupposti neanche per la successiva certificazione di prodotto. Il sistema di certificazione previsto dalla normativa vigente per le “varietà da conservazione” e quindi anche per i “grani antichi” prevede che “ai produttori agricoli residenti nei luoghi dove le varietà da conservazione si

sono evolute e che provvedono al loro recupero e mantenimento è riconosciuto il diritto di vendita diretta in ambito locale di modiche quantità di sementi o di materiali di moltiplicazione prodotti nella loro azienda” (D.L. 149/2009). L’iscrizione delle varietà da conservazione al registro per le varietà locali da conservazione è gratuita e avviene su richiesta di enti pubblici, istituzioni scientifiche, organizzazioni, associazioni, singoli agricoltori, previo parere favorevole delle Regioni competenti per territorio (Decreto 17 dicembre 2010). Presso la Regione Siciliana nel 2012 è stata istituita la Commissione tecnico-scientifica per la valutazione delle richieste di iscrizione al Registro nazionale delle sementi – sezione varietà da conservazione, che ha lavorato e portato alla registrazione di 3 varietà siciliane da conservazione: Stracciavisazzi (sin. Perciasacchi, Fr. duro), Timilia a reste nere (Fr. duro) e Maiorca (Fr. tenero); per altre varietà l’iter di valutazione era stato avviato. Da oltre due anni però la commissione non viene più convocata. In conseguenza della situazione di stallo della commissione regionale, allo stato attuale solo un agricoltore ha avuto la possibilità di registrare le tre varietà sopra menzionate (10 ha per ciascuna varietà); quest’ultimo pertanto, a seguito di specifica richiesta all’ente ufficiale di certificazione (CREA-SCS di Palermo), ha avviato le necessarie operazioni di certificazione del seme ed i relativi controlli di verifica in campo”.


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Quali sono le caratteristiche nutrizionali degli antichi grani siciliani?

“I grani antichi siciliani sono da sempre considerati prodotti d’eccellenza per le virtù benefiche e per gli effetti positivi sulla salute .Infatti, grazie al clima caldo e secco della Sicilia crescono senza subire alterazioni chimiche da micotossine e aflatossine, hanno un basso contenuto di glutine facilissimo da scindere per essere digerito dall’organismo quindi sinonimo di altissima digeribilità e leggerezza. Grazie al basso indice glicemico e alla conseguente bassa produzioni di insulina da parte del pancreas riducono l’accumulo di tessuto adiposo, conservano straordinarie caratteristiche che li rendono ideali per combattere disturbi intestinali e diabete. Inoltre, non avendo subito alterazioni genetiche a differenza dei grani moderni , favoriscono una corretta digestione sollevando l’organismo da pesantezza e dolori addominali . I grani antichi siciliani essendo ricchi di fibra, tendono ad

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attirare acqua rigonfiandosi come delle spugne all’interno dello stomaco dando cosi un senso di straordinaria sazietà favorendo il transito intestinale, quindi sono consigliatissimi per chi soffre di stitichezza cronica . La molitura a pietra e non a cilindri come quella effettuata per la molitura dei grani moderni rende inalterati i principi nutritivi del chicco di grano. Il fatto che questi grani siano da sempre esistiti in Sicilia e non importati li rende resistenti a infestanti e parassiti il che rende il prodotto realmente biologico senza quindi la necessita di usare prodotti chimici dannosi per la salute umana proteggendo l’organismo dall’insorgenza di tumori. A tutto ciò va aggiunto che i grani antichi siciliani contengono elevate quantità di Acido Folico ,Riblofavina e Vitamine del gruppo B (B 1 – B3 – B5) e tra i sali minerali spiccano Potassio, Fosforo, Magnesio e Calcio.”

È possibile, attualmente, rilanciare in Sicilia la produzione degli antichi grani locali e realizzare con queste farine pane, pasta e pizza, per esaltare la tipicità agroalimentare di uno dei luoghi più affascinanti del Mediterraneo e attrarre, anche con questi contributi gastronomici, oltre ai tanti altri che l’isola può vantare, il turismo internazionale?

“Ritengo proprio di si. La mia Sicilia oltre ad essere la culla del Mediterraneo attraverso l’Arte, la Cultura la Storia, la straordinaria bellezza dei suoi borghi, circondata da uno splendido mare e tracciata da sublimi colline e sontuose montagne, è abitata da un popolo che con umiltà, sacrifici, semplicità, bontà d’animo e voglia di vivere soffre e gioisce con lei, ha dimostrato in passato e oggi ancor di più che se vuoi qualcosa devi guadagnartela con sudore come i nostri avi han fatto

fin ora. Per questo credo che anche e soprattutto attraverso i circuiti enogastronomici che ne esaltano profumi sapori tipicità maestranze si possa riemergere da qualsivoglia crisi dando il meritato lustro a questa terra meravigliosa tramandando da generazioni a generazione l’arte non solo del fare …..ma del fare bene con amore passione coraggio e sudore . Ricordo che anche J.W Goethe nel suo viaggio in Sicilia del 1787 ha definito la Timilia “dono prezioso di Cerere.”



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Può parlarci del suo personale impegno per valorizzare gli antichi grani siciliani?

“Sono cresciuto e vivo tutt’ora a Cerami (En), in greco Keramos che vuol dire argilla cotta piccolo paesino all’interno del parco dei Nebrodi, da una famiglia che ha fatto della laboriosità del sudore dei sacrifici la propria forza. Nonno Michele e Nonna Maria sin da quando io ero “picciriddo” mi raccontavano aneddoti di una vita piena di sacrifici, rinunce, sofferenze dove durante e in prossimità del dopo guerra “la fame” tra la popolazione regnava sovrana non c’era niente e quel poco che c’era doveva essere diviso tra tante…..forse troppe bocche ….non tutte le famiglie si potevano permettere di avere il pane e la pasta . E ancora, mi raccontavano com’era bello ai tempi “mietere il grano spiga dopo spiga…..granella dopo granella” e ritrovarsi tutti bambini e adulti nell’aia, vedere volare la paglia trasportata dal vento e il formarsi di quei cumuli di grano essenziali per nutrirsi ……. Mi ricordo quando aiutavo nonna a impastare il pane nella “maidda” e le sue gocce di sudore che gli trasparivano nel suo splendido viso …..quando l’impasto era pronto lei con delicatezza lo metteva sul “letto per farlo crescere“ e poi ancora nel forno rigorosamente a legna ….iniziare a sentire il profumo la fragranza il sapore …..che bella festa. Ora tutto è cambiato o quasi …..le multinazionali hanno imposto i loro di grani quelli che per aumentare le rese sono stati modificati e le conseguenze si vedono, e come che si vedono! …vedi celiachia e intolleranze varie…

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Il pane P a Venezia La città dei dogi produceva un tempo nei suoi formi dell’ottimo pane: l’auspicio è che i “pistori” veneziani riscoprano e rilancino l’arte dei loro antichi predecessori

er parlare del pane a Venezia, prima ancora di mettere piede in un panificio (con la raccomandazione di trovarne uno che il pane lo faccia ancora e non si limiti a scongelare e cuocere delle porzioni precotte di un preparato arrivato da chissà dove) è bene alzare gli occhi verso le mura delle abitazioni mentre si fa una passeggiata. Camminando per le calli infatti vi capiterà certamente di imbattervi in qualche nizioleto (letteralmente “lenzuolino”: si tratta della tipica indicazione stradale veneziana, dipinta a mano direttamente sugli intonaci e sui muri delle case), che riporta la dicitura “calle del pistor” (ma ci sono anche innumerevoli sottoportici e ponti). Ebbene la denominazione “pistor” è il punto di partenza per raccontare una storia fatta di regole rigidissime, scuole d‘arte – oggi diremmo associazioni di categoria – varietà gastronomiche e gusti cittadini che studiati oggi ci fanno guardare all’antica Repubblica di Venezia come a un modello da imitare.

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Ai tempi della Serenissima i pistori erano gli artigiani che impastavano e davano forma al pane: distinti dai forneri (i fornai) e dai rivenditori di pane. Riuniti in corporazione sin dal 1333, dovevano sottostare a regole rigide per garantire non solo uno standard qualitativo del prodotto ma anche delle condizioni di lavoro corrette all’interno della bottega. A conferma dell’attenzione che la Repubblica rivolgeva al settore della panificazione, poi, è particolarmente interessante un censimento del 1471, che ci fornisce un dato significativo sul numero delle pistorie e sulla loro dislocazione in città: erano 17 (poi 20) quelle nei pressi di San Marco (Ranieri da Mosto ci ricorda che il pane veniva venduto dalle balconate delle botteghe addossate al campanile) e ben 22 (poi 25) quelle vicino a Rialto, per un totale che impressiona se rapportato a quello odierno. Lo conferma Paolo Stefani, a capo di Colussi (forno storico veneziano fondato nel 1840), presidente dell’Associazione veneziana panificatori e vice presidente dell’associazione nazionale: “l’attività dei panificatori in città sta vivendo un periodo di progressiva riduzione. Ad oggi possiamo contare su una trentina di forni che lavorano in modo artigianale”. Motivo di tale inaridimento della professione, che finisce per avere ricadute non solo economiche ma anche e soprattutto gastronomiche oltre che più generalmente culturali, è, secondo Colussi, una combinazione di fattori legata alla mancanza di spirito imprenditoriale, all’assenza di un aggiornamento professionale da parte degli addetti ai lavori, ai costi dei locali, oltre che alla concorrenza con i prezzi apparentemente più bassi di coloro che producono pane di bassa qualità o si limitano a cuocerlo, facendolo arrivare già precotto e poi surgelato.

La strategia per contrastare un fenomeno che sembra inarrestabile – e che purtroppo si lega anche a un progressivo spopolamento della città e a una sua sempre più crescete trasformazione in città a misura di turista mordi e fuggi – è quella di differenziarsi, di proporre un prodotto qualitativamente di valore e arricchito da uno studio sulle farine, sui tipi di lavorazione e sulle forme.” Lo avevano ben capito i veneziani della Repubblica, imprenditori ante litteram, che non si limitavano certo a un unico tipo di pane, ma diversificavano l’offerta a seconda dei clienti e delle loro possibilità economiche. Ecco allora che esisteva il pane albus (bianco), di tota farina (farina integrale), traverso (di farina setacciata), buffetto (pane di lusso, di puro fior di farina, arricchito di burro e zucchero), il pan biscoto (una sorta di galletta, preziosissima perché destinata a comporre le scorte alimentari che venivano utilizzate durante la navigazione: la ricetta era tenuta segreta e veniva preparata dai pistori dell’Arsenale di Venezia) oltre che, in periodi bellici particolarmente critici, anche il pane di miglio (non molto amato dalla popolazione, a dir la verità). Altrettanto vari erano le forme di pane: bovoli (cioè chiocciole: si tratta di uno dei pani più antichi, riprodotto anche in un mosaico della Basilica di San Marco), bine (4 pezzi attaccati per i fianchi), filoni (3 pani attaccati per la lunghezza), ciope (nate dalla divisione delle bine in due), bastoni, (filoni più lunghi, arrotolati e sottili alle estremità), bigarani (ottenuti attaccando due pezzi ripiegati su di sé), colombine (da cui deriva il dolce pasquale), mantovane (di influenza lombarda), montasù (due pani disposti uno sull’altro, leggermente storti), pan tedesco (preparato dai pistori tedeschi e impastato con farina di segale), trecce, vedove (affini ai bastoni) e rosete, dalla forma simile ad una rosa derivanti dal pan francese (molto leggero) e ancora oggi uno dei pani più amati in città, per le quali Paolo Stefani dice che ci vuole una manualità particolare per realizzarle, capacità riconosciuta solo ai fornai più capaci.


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Nelle vostre passeggiate veneziane, oltre a cercare tracce di pistori sui nizioleti, approfittate anche di un altro preziosissimo documento per accostarvi alla storia del pane in città: in Salizada Santi Apostoli, sotto un porticato che vede passare turisti ignari, c’è una bellissima stele di marmo. Fatta erigere dal Doge Alvise III Mocenigo risulta di estrema attualità: in essa sono infatti contenuti una serie di divieti, reati e corrispondenti pene legati alla produzione e vendita del pane, a conferma dell’importanza del prodotto e del ruolo che Venezia assegnava alla categoria economica dei panificatori. L’auspicio è quello che, vista la storia cittadina e il livello altissimo delle sue legislazioni, si possa trarre insegnamento dalla storia veneziana, promuovendo la produzione e il consumo di pane di qualità, non accontentandosi di prodotti scadenti, chiedendo varietà di lavorazioni, farine e forme, per dar modo così a un’arte antichissima, quella dei panificatori, di riprendere le forze ed essere fonte di arricchimento, non solo economico ma anche culturale, di una città unica e straordinaria come è Venezia.



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pizza e pasta italiana

luca vidorin un moderno artigiano del pane di Giampiero Rorato

innamorato dei grani storici italiani, non vuole né la chimica né i cosiddetti miglioratori, ma pane in assoluta purezza e questo gli ha garantito il successo

I

ncontrare Luca Vidorin e sua moglie Giovanna significa entrare appieno nel mondo delle farine, del pane, dei dolci e soprattutto di un’alimentazione di alta qualità, seria, attentamente studiata e selezionata, sana e funzionale ai bisogni dell’organismo. Luca, ben noto e stimato maestro veneto del pane, da sempre studioso di grani e farine, ricco di saperi professionali, con laboratori di panificazione e di dolci e negozio di vendita a Falzé di Trevignano (TV), è figlio d’arte e fin da piccolo ha sognato di diventare panettiere. A 24 anni lascia il forno paterno per vivere nuove esperienze e nel 2002 gli è offerta l’occasione di gestire un forno tutto suo e da quel momento inizia il suo percorso ricco di speranze, di paure, di tante prove, di insidie burocratiche, di difficoltà economiche, ma è fermamente deciso a non fermarsi di fronte


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,

l amore per i grani ai rischi d’impresa, perché superare tutte le difficoltà e produrre pane d’alta qualità da grani italiani rappresenta il suo riscatto personale e gli permette di capire chi è, come persona e come professionista e che cosa si propone in concreto da dare alla gente che arriva nel suo negozio in un’epoca nella quale il mondo è sempre più globalizzato e dipendente dalle multinazionali. “Ho sempre creduto all’aspetto emozionale del consumatore, in quell’emozione che il cliente prova ascoltando ciò che so e gli racconto del mio lavoro, del pane e dei dolci che produco ed offro, della materia prima attentamente selezionata che utilizzo; il tutto in relazione a un bisogno che ogni cliente vive quando entra nel mio panificio.” Ascoltando i clienti, le loro esigenze e preferenze, l’azienda di Luca Vidorin si sviluppa sempre più, migliorando la propria immagine ed è conosciuta anche da consumatori di altri paesi grazie non solo all’ottima qualità del pane che produce ogni giorno, ma anche a un’estesa varietà di pani sfiziosi e stagionali dalle forme più artistiche. Luca non segue tanto i pani della tradizione, badando di più alla qualità degli ingredienti impiegati – farina, acqua, sale e lievito – cui poi aggiunge qualcosa di nuovo, ma neppur questa severità produttiva lo soddisfa, ritenendo che ciò sia già superato e, per quanto operi già bene e con piena soddisfazione dei clienti, ritiene non sia questa la vera maestria di un moderno artigiano del pane che studia con amore la natura, le caratteristiche e le potenzialità del proprio lavoro. E allora comincia a chiedersi come operare per mantenere intatte le caratteristiche nutrizionali degli ingredienti che impiega; come operare per ottenere da quegli ingredienti il meglio delle loro potenzialità; come comportarsi nel suo lavoro per restare legato all’idea che “madre terra” è sempre riuscita a nutrire l’uomo senza dover intervenire con metodi invasivi, come i bombardamenti molecolari, aggiunte di prodotti chimici e quant’altro è distruttivo per l’equilibrio della natura. Su queste problematiche Luca studia e lavora a lungo, sostenuto dalla moglie che, a contatto coi clienti, ne sente i commenti e le emozioni quando raccontano le loro impressioni sul pane che hanno gustato.

antichi Nel corso del suo lavoro Luca conosce farine ottenute da grani italiani storici e antichi, ma fino a qualche anno fa la filiera era ancora lunga e poco controllabile. Poi viene a sapere che anche nelle campagne vicino al suo paese c’è chi inizia a coltivarli. Allora, d’accordo con sua moglie, s’incontra con gli agricoltori e instaura con loro un ottimo rapporto che, per Luca, significa il rinnovamento dell’arte bianca con grani di alto pregio, il ritorno a un’alimentazione pura e sana e, nel contempo, il rilancio della propria attività Luca ama tutti i grani realizzati nella prima metà del secolo scorso da Nazareno Strampelli. Ma ha una preferenza per il “Gentil rosso”, che è, mi dice, “un piacere del mio palato, non del mio cuore, perché con il cuore amo tutti i grani antichi e storici, quelli prodotti nelle nostre campagne prima degli invasivi interventi genetici mirati alla grande resa e quantità. Di conseguenza la resa per me non influisce nei miei principi, anzi, con una buona conoscenza tecnica si riesce più ad apprezzare questi grani pressoché poveri di glutine.”


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pizza e pasta italiana

Il

Quale mezzo sale

Fra i pani prodotti da Luca Vidorin c’è il “mezzo sale”, frutto di un è un progetto che ha come obiettivo il mangiar salutare, frutto della collaborazione tra l’Associazione Italiana Panificatori e il Ministero della Salute. “È uno dei primi progetti in cui ho creduto e aderito - ci dice il nostro maestro del pane – per il quale è stato redatto un disciplinare di ricetta che prevede l’utilizzo di metà sale rispetto a un normale utilizzo (quindi l’1 % sulla farina) mirato a ridurre la pressione arteriosa, quindi migliorare la funzionalità dei vasi sanguigni e dei reni, aumentando la resistenza delle ossa”.

pane

chiede la gente “La nostra clientela si sta evolvendo assieme a noi e sono sempre meno quelli che chiedono i pani tradizionali o “tipici” che produciamo come la mantovana, la rosetta, la piava, il montasù o il bigarano che sono legati per lo più al primo dopoguerra , ma che di fatto oggi non assomigliano neanche lontanamente ai pani del passato neppure nell’aspetto. Oggi, infatti, li possiamo avere lucenti, leggeri e striati solo grazie all’utilizzo di grani moderni che possono resistere allo stress fisico della lavorazione prima strumentale poi manuale e sono grani importati in Europa prevalentemente dopo gli anni ’60 e mi riferisco in particolare ai grani stranieri creati dalle multinazionali. La maggior parte dei miei clienti, in possesso di una buona cultura alimentare, sceglie pani ottenuti da grani alternativi, storici o antichi e ci seguono in ciò che proponiamo e sono sempre pani con corretta fermentazione, di alto valore soggettivo oltre che oggettivo, perché, oltre ad essere buoni e sani, soddisfano appieno il palato di chi li consuma . Ci sono inoltre clienti che chiedono pani con un utilizzo dello 0,1% di lievito, quelli con l’1% di sale, quelli con un ridotto contenuto in glutine, quelli con l’utilizzo di madre bianca o di farro, fino a quelli con grani alternativi o antichi.”


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pizza e pasta italiana

Il

futuro del

panettiere artigiano Chiedo a Luca Vidorin, che è un vero pioniere della nuova emergente arte panificatoria, come vede il futuro della sua professione. Non fatica a rispondermi. “Dopo molti anni di lavoro vedo l’opportunità per l’artigiano panettiere di riconquistare il suo ruolo di professionista di fiducia, diventando fidabile vettore di informazioni, con la sua bottega considerata indispensabile luogo di sereni incontri, di pace e convivialità, grazie ai prodotti che sforna. Per questo il futuro panettiere artigiano dovrà diventare intelligente e serio protagonista delle scelte dei grani, consolidando un rapporto sempre più stretto con l’agricoltore che produce il grano, realizzando quindi una filiera corta e cortissima. Solo poi arriverà il mugnaio che dovrà avere molta cura del grano scelto dal panettiere, realizzando una macinazione che lui sa fare benissimo. Il mugnaio funzionale ai panettieri non deve essere un miscelatore di grani e di farine (quando va bene) o di chimica (quando va male), tantomeno preoccuparsi di togliere intraprendenza o creatività ai panettieri creando mix a suo piacere. Voglio provocare gli artigiani come me a diventare sovrani della propria professione, sovrani della propria personalità, sovrani del proprio corpo, perché anche noi siamo “vita”e come tale dobbiamo mangiare bene e per questo altrettanto bene abbiamo l’obbligo di trattare i nostri clienti, i nostri “fratelli”, i nostri figli.”

Luca Vidorin ha ragione: con tutto il pane estero surgelato che arriva ogni giorno nei supermercati, spesso dannoso per la salute, tornare al pane buono, naturale, come facevano le nostre donne fino alla metà del secolo scorso è un privilegio che dovrà essere per tutti e spero succeda presto, appena gli artigiani del pane torneranno ad essere p seri e didabilirotagonisti nei paesi e nei quartieri delle nostre città.

a fianco

Luca e la moglie Giovanna Vidorin


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pizza e pasta italiana

IL VALORE NUTRIZIONALE DI CARBOIDRATI E CEREALI IN PANE, PIZZA E PASTA Dott.ssa Marisa Cammarano biologa nutrizionista


I CARBOIDRATI SONO TRA I GRANDI PROTAGONISTI

la scienza dell'alimentazione

DELLA DIETA MEDITERRANEA, SONO LA SUA ENERGIA PULITA. IL CARATTERISTICO LENTO ASSORBIMENTO, INFATTI, È OTTIMALE PER LO SFRUTTAMENTO METABOLICO DELL’ENERGIA. INCOMINCIAMO DAL NOME: CARBOIDRATI, IDRATI DI CARBONIO, GLICIDI O GLUCIDI, AMIDI, ZUCCHERI; NOMI DIVERSI PER INDICARE LA PRINCIPALE FONTE DI ENERGIA UTILIZZATA DAGLI ESSERI UMANI.

C

on l’eccezione della fibra, che l’intestino umano non è attrezzato a demolire con adeguati fermenti, i carboidrati rappresentano dal punto di vista metabolico l’energia pulita. Una specie di benzina verde considerato che all’interno delle cellule umane la demolizione chimica dei carboidrati ha come risultato finale la produzione di energia con liberazione di acqua ed anidride carbonica, senza formazione di scorie e residui tossici. E’ necessario sapere, però, che i carboidrati possono avere tempi di digestione e riflessi metabolici diversi, a seconda della loro struttura più o meno complessa, perciò vengono suddivisi nelle tre categorie: monosaccaridi, disaccaridi e polisaccaridi. Il gruppo chimicamente più semplice è costituito dai monosaccaridi che sono, molecole singole dal sapore dolce. Tipici esempi ne sono il glucosio o il fruttosio di cui è ricca la frutta. Quando i carboidrati sono formati da due molecole di monosaccaridi si parla, invece, di disaccaridi ed a questa categoria appartengono il saccarosio (il comune zucchero estratto dalla canna o dalla barbabietola), il maltosio (ricavato dai cereali) o il lattosio del latte. Questi due gruppi comprendono quindi gli zuccheri semplici, così denominati per distinguerli dai polisaccaridi o carboidrati complessi

a cui appartiene il polisaccaride più importante per la nutrizione umana, cioè l’amido che si ottiene da cereali, patate, legumi. Per molte persone il termine carboidrati è sinonimo di ingrassamento, soprattutto quando si tratta di pane, pasta, patate o legumi, senza neppur tener conto che gli alimenti citati non contengono soltanto amido ma anche una discreta quantità di proteine vegetali, tutt’altro che insignificanti per l’equilibrio della dieta. Da molti anni si raccomanda, ormai, che almeno il 50/55 % delle calorie necessarie all’uomo provenga dai carboidrati complessi (ma non più del 10 per cento dallo zucchero e dai cibi e dolciumi che lo contengono sotto forma di glucosio, fruttosio, lattosio, maltosio e saccarosio). Inoltre si sottolineano alcuni aspetti che possono meravigliare quanti hanno sempre considerato cereali, legumi e patate, come i maggiori responsabili della dilagante obesità. Fermo restando che alla base di qualsiasi aumento ponderale c’è sempre uno squilibrio tra calorie introdotte e calorie consumate ( si incomincino a modificare le abitudini sedentarie e non soltanto a ridurre la dieta), un’alimentazione ricca di carboidrati è meno “ingrassante” rispetto ad una povera di carboidrati ma ricca di grassi.

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pizza e pasta italiana

LA SCIENZA DELL’ALIMENTAZIONE I carboidrati, specialmente quando sono ricchi di fibra, saziano rapidamente e consentono di non eccedere nelle porzioni; le diete ricche in carboidrati, a parità di peso, hanno un minor contenuto energetico rispetto ai grassi; il processo di conversione in grasso di deposito a partire dai carboidrati è più dispendioso di quanto non sia quello che può ottenersi dagli stessi grassi alimentari. I cereali rappresentano i vegetali più largamente consumati al mondo. Questo è dovuto principalmente alla loro diffusione ad alla completezza dal punto di vista nutrizionale. Tra i cereali ricordiamo l’avena, il frumento, il mais, l’orzo, il riso e le segale. Appartengono, nella maggior parte dei casi, alla famiglia delle Graminacee.

alimento

carboidrati (g)

proteine (g)

grassi (g)

calorie (kcal)

Amaranto

65,25

13,56

7,02

371

Avena

66,27

16,89

6,9

389

Bulgur

75,87

12,29

1,33

342

Crusca

64,51

15,55

4,25

216

Crusca di avena

66,22

17,3

7,03

246

Crusca di mais

85,64

8,36

0,92

224

Crusca di riso

49,69

13,35

20,85

316

Farro

70,19

14,57

338

Germe di grano

51,8

23,15

2,43 9,72

360

Grano

68,03

15,4

1,92

329

Grano duro

71,13

13,68

2,47

339

Grano germogliato

42,53

7,49

1,27

198

71,5

13,25

3,4

343

Khorasan

70,38

14,7

2,2

337

Mais

74,26

9,42

4,74

365

Mais bianco

74,26

9,42

4,74

365

Miglio

72,85

11,02

4,22

378

Orzo perlato

77,72

9,91

1,16

352

Quinoa

64,16

14,12

6,07

368

Riso

79,95

7,13

0,66

365

Riso glutinoso

81,68

6,81

0,55

370

Riso integrale

77,24

7,94

2,92

370

Riso parboiled

80,89

7,51

1,03

374

Segale

75,86

10,34

1,63

338

Sorgo

74,63

11,3

3,3

339

Teff

73,13

13,3

2,38

367

Triticale

72,13

13,05

2,09

336

Grano saraceno



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pizza e pasta italiana

LA SCIENZA DELL’ALIMENTAZIONE La riscoperta del ruolo dominante dei carboidrati complessi, quelli a più lento assorbimento, nell’alimentazione di un onnivoro come l’uomo, ha rivalutato il modello alimentare italiano, basato sulla pasta e sulle verdure, facendone un prototipo da imitare. Nei confronti della pasta si sta diffondendo ovunque un’attrazione positiva che la comunità scientifica ha promosso indirettamente con l’avallo delle osservazioni epidemiologiche sui rapporti tra diete e malattie cardiache, come l’infarto, e con l’emanazione di linee guida dell’alimentazione, tutte in favore dei carboidrati complessi. Ma un aspetto tecnico ha dato e potrà dare ulteriore risalto alla supremazia dietetica della pasta ed ancor più della pasta integrale nei confronti del riso o di altri farinacei: il cosiddetto “indice glicemico”. Con il termine di indice glicemico si indica il diverso effetto che gli alimenti esercitano, a parità di contenuto in carboidrati, sull’innalzamento della glicemia. Gli alimenti poveri di fibre e rapidamente scomponibili nei processi digestivi, come lo zucchero o le patate, immettono troppo rapidamente il loro glucosio nel sangue con brusche variazioni della glicemia e con un sovraccarico metabolico. Viceversa, altri alimenti, come i legumi e la pasta, offrono più resistenza agli enzimi digestivi e cedono più gradualmente il loro glucosio con il vantaggio di squilibrare meno la glicemia e di garantire più a lungo il senso di sazietà.

Questi aspetti sono tutt’altro che trascurabili per le popolazioni dei Paesi industrializzati, dove maggiore è il contrasto fra le diminuite necessità energetiche e l’accresciuta quantità e qualità dell’offerta alimentare. Importante è anche il significato protettivo delle fibre alimentari, abbondantemente contenute nei cereali naturali, per capire i vantaggi che la pasta ed ancor meglio la sua versione più “integrale” possono avere su altri cibi ricchi di carboidrati ma privati delle fibre come il riso brillato (prescritto per questo motivo nei disturbi intestinali). Chiunque abbia pratica di diete dimagranti sa bene che l’improvvisa abolizione della pasta provoca o aggrava la stitichezza, proprio per la mancanza di quella fibra che veniva fornita abitualmente dalla pasta. A contrastare l’immagine positiva della pasta, però, c’è il preconcetto popolare che la pasta faccia ingrassare e questo sospetto, per quanto ingiustificato com’è facile dimostrare, incide negativamente sui consumi. Troppe persone, che hanno uno stile di vita caratterizzato dalla sedentarietà li spinge inesorabilmente verso il sovrappeso, si privano della pasta etichettandola a torto come cibo ingrassante. E’ vero però che bisogna rifarsi alla quantità ed ai condimenti per giudicare il contributo, modesto od eccessivo, che un piatto di pasta può dare al totale giornaliero delle calorie.


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pizza e pasta italiana

LA SCIENZA DELL’ALIMENTAZIONE

Sarà soltanto l’eccesso delle calorie introdotte, rispetto a quelle realmente consumate, a determinarne l’accumulo sotto forma di grasso. Tutto qui, senza incolpare né la pasta, né i formaggi, né gli altri cibi. Anche la cottura ha la sua importanza. Non è soltanto una questione di gusto ma la cottura della pasta deve essere al punto giusto, meglio un po’ al dente che scotta, anche per motivi digestivi. E’ bene ricordare, però, che la digestione dei carboidrati inizia nella bocca per effetto della ptialina, un enzima capace di semplificare le lunghe catene dell’amido, trasformandole in strutture meno complesse e quindi più aggredibili dai succhi gastrici ed intestinali. Per questa ragione la pasta va masticata e gustata con calma.

Se la digestione di una pasta scotta è certamente più lenta, il ruolo dei condimenti è ancora più determinante nel prolungare la permanenza nello stomaco. Qualsiasi grasso contribuisce a rallentare il passaggio dallo stomaco all’intestino: la valvola pilorica è una sorta di dogana dove ai grassi si richiedono tempi di attesa quasi doppi rispetto a proteine e carboidrati. La pasta può essere accusata, in teoria, di non essere un alimento completo ed equilibrato. Tutto ciò è vero, almeno dal computo delle tabelle dietetiche, perché la pasta manca di grassi e le sue proteine scarseggiano di due aminoacidi importanti come la lisina e la treonina. Ma nessuno mangia la pasta del tutto scondita. Bastano un paio di cucchiaini di formaggio o del ragù per riequilibrare la completezza del piatto. La quantità di proteine, carboidrati e grassi varia da un tipo all’altro di pasta. La presenza di altri ingredienti, oltre alla semola di grano duro e all’acqua, potrà causare variazioni più significative, ad esempio sul livello di grassi e delle proteine se la pasta contiene uova e sul livello di fibra alimentare se la pasta è integrale. Le paste ripiene possono contenere molti grassi per la presenza di ingredienti come formaggio, uova, pesce, carne etc..



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pizza e pasta italiana

DOVE E QUANDO NASCE QUESTO NOME

LA STORIA DELLA PIZZA


N

la storia della pizza

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ello scorso mese di settembre questa rivista ha edito un numero speciale dedicato alla Pizza Napoletana, ripercorrendo velocemente in un articolo i primi millenni della storia della pizza. E ci sembra arriva-

to il tempo per soffermarci in modo più preciso, con corretti riferimenti storici e una seria presentazione dei prodotti impiegati, alla storia di questo piatto straordinario. La pizza è attualmente il piatto più diffuso nel mondo, e il più importante e gustato ogni giorno da una buona parte della popolazione mondiale, sicuramente al primo posto nella graduatoria dei piatti in assoluto più consumati. A completare la parte storica presenteremo ogni volta una pizza che può essere normalissima o “creativa”, con la rispettiva ricetta,confezionata da bravi pizzaioli, per mostrare l’enorme versatilità di questo piatto lanciato nel mondo dalla cultura e dalla tradizione alimentare italiana.

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pizza e pasta italiana

IL NOME Prendiamo in mano il “Grande Dizionario della Lingua Italiana” (Utet, 1986) e, alla parola “pizza”, si legge: “Focaccia di grano o altro cereale, salata o dolce, per lo più di forma rotonda e piatta” e subito dopo si legge che il nome pizza si riferisce “in particolare [alla pizza] salata, di farina di grano, condita con olio e salsa di pomodoro (e altri infiniti ingredienti, come acciughe, mozzarella, funghi, origano, basilico, prosciutto, ecc. che ne determinano numerose varianti spesso dotate di denominazione specifica più o meno di fantasia). ”Il “Vocabolario della Lingua Italiana” dell’Istituto della Enciclopedia Italiana (1991), così illustra la parola “pizza”: “Preparazione culinaria a base di farina di grano (o anche di granoturco, castagne, ecc.), impastata con acqua o latte, lievito, uova e olio o sugna, o burro, con l’aggiunta di ingredienti vari e cotta in forno generalmente in forme rotonde e basse: pizza dolce, salata; pizza pasquale (o di Pasqua), pizza rustica, diversa nelle varie regioni e consistente, per esempio in Umbria e in Toscana, in una focaccia di farina, uova, formaggio, pepe e ciccioli, levitata e ben cresciuta. In particolare, sottile focaccia fatta di farina impastata con acqua e lievito, spianata a mano in forma rotonda, variamente condita e cotta in forno, generalmente a legna: pizza alla napoletana o pizza napoletana; pizza margherita; pizza alla marinara o pizza marinara; pizza ai funghi, al prosciutto, pizza capricciosa,

NEL MEDIOEVO pizza (alle) quattro stagioni, ecc. Pizza a taglio o a metro, quella disposta in apposite teglie rettangolari e cotta in forni elettrici, che viene venduta a peso. A Roma, denominazione di una schiacciata di pasta di pane cotta in forno e condita con sale e olio crudo che si mangia come il pane, spesso con in mezzo prosciutto, ricotta o altro (è detta anche pizza bianca, per distinguerla dalla pizza rossa, quella cioè condita con pomodoro.” La “Grande Enciclopedia Illustrata della Gastronomia (Marco Guarnaschelli Gotti, Mondadori, 2007) così definisce la parola pizza: “È un termine proprio dell’area centro-meridionale italiana, genericamente usato per indicare una sorta di schiacciata di farina di grano o di altro cereale, salata o dolce, di forma piatta o rilevata, di solito tondeggiante. A datare dal XIX secolo, la forma napoletana, condita con olio e salsa di pomodoro oppure arricchita con acciughe, mozzarella, funghi, origano, basilico, prosciutto, ecc. è diventata la “pizza” per antonomasia, diffusa in tutta Italia e nel mondo intero. Oltre a questa esiste in Italia un infinito numero di altre pizze, perché il termine è generico e significa in generale anche focaccia, torta e simili. Anche il nome antichissimo varia nella grafia e nella pronuncia (la pinza veneta, la pitta calabrese).” Siamo partiti da alcune definizioni del termine e del prodotto, redatte da autori attuali, anche se non del tutto precise, per mostrare subito ai lettori che cosa leggeranno nella nostra storia, precisando che il termine “pizza”, che nel corso del tempo ha conosciuto diverse varianti, sia nella grafia, sia nel significato, ha davvero origine molto antiche, anche se il prodotto “pizza” è ancor più antico di diversi millenni rispetto al nome “pizza”, come vedremo nei prossimi capitoli.

Se vogliamo ancorarci a fonti certe, dobbiamo riferirci alle prime citazioni del termine “pizza” che appaiono nei primissimi libri di cucina, apparsi in Italia nel basso Medioevo e il primo che cita questa parola è il Liber coquinarum bonarum che è una tarda ripresa, sempre in lingua latina, del Liber de coquina, scritto probabilmente nell’entourage della corte angioina, fra il XIII e XIV secolo. Nel dettare la ricetta dei tortelli assisiani l’autore del Liber coquinarum binarum scrive che con la stessa mistura (ma senza la radice di enula) si può, se piace, “facere piççam”, rendendo il composto un poco più morbido e spargendovi sopra mandorle intere spellate e uva passa. Indagando negli archivi, lo studioso mediovalista Enrico Carnevale Scianca scrive ne “La cucina medioevale” (Leo O. Olschki, 2011): “Attestazioni precedenti si rinvengono, in altre fonti, nel 997 a Gaeta, dove “duodecim pizze” a Natale e a Pasqua (insieme con altri generi alimentari, quali polli e carne di maiale) costituiscono un donativo supplementare, oltre al canone in grano e vino, per l’affitto di un mulino sul Garigliano, È ragionevole pensare che in questo caso il termine pizza indicasse tutt’al più un pane di qualche particolare raffinatezza, come avveniva anche con turta. La parola compare ancora in documenti abruzzesi del 1195 e del 1201; a Roma nel 1307; nella forma petta ad Aquileia nel 1249 e a Cividale nel 1297; nella forma pinza a Rimini nel 1256; e torna a fare capolino nei ricettari di cucina soltanto nel primo quarto del XVI sec., nella forma dissimilata picza, rivelandosi a questo punto una torta ripiena vera e propria (come deve essere quella del citato Liber coquinarum boinarum), scoperta o richiusa, ad una, due o più sfoglie. Le pizze sfogliate che appaiono poco più tardi nel ricettario di Cristoforo di Messisbugo (1557), sono invece specie di focaccine di pasta sfoglia fritte nel burro e inzuccherate, riproposte da Bartolomeo Scappi (1570), il quale ultimo presenta una discreta carrellata di varianti, tutte denominate pizze sfogliate e confezionate con pasta abbastanza grassa, stesa sottilmente, cosparsa di burro e poi ripiegata varie volte su se stessa in diverse maniere, ed ogni volta spianata. Pice sfogliate catelane sono ancora elencate da Domenico Romoli (1593) tra il fabbisogno di un banchetto.” Questi sono documenti d’epoca medioevale, a partire dall’anno 997 e arrivando fin dentro il Rinascimento con le citazioni degli ultimi tre autori. Dunque è chiaro che il termine pizza appare in Italia solo qualche anno prima del Mille, riferendosi però a prodotti che nulla hanno a che vedere con la pizza moderna.

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pizza e pasta italiana

Acqua di Pomodoro, la pizzeria di Heinz Beck nel cuore della Costa Smeralda. sopra

Interni della pizzeria Acqua di Pomodoro

di Patrizio Carrer

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a Costa Smeralda è il fiore all’occhiello dell’offerta turistica in Sardegna e in questa splendida località apre le sue porte la pizzeria “Acqua di Pomodoro”, all’interno del Resort Poltu Quatu, ad Arzachena (OT). La pizzeria “Acqua di Pomodoro”, punto d’incontro fra tradizione e innovazione, propone un menù ottimamente calibrato, con impasti bio e materie prime di alta qualità, una scelta variegata di pizze classiche, con impasti multicereali e, come si dice oggi per le pizze di qualità, gourmet. Nata da un’idea dello chef pluristellato Heinz Beck (ristorante “La Pergola” di Roma) la pizzeria “Acqua di Pomodoro” è stata inaugurata lo scorso giugno, arricchendo l’ampia offerta del Resort sardo, che conta 10 locali in grado di soddisfare le esigenze di tutta la clientela.


p. 61 Dietro al banco di lavoro un bravo pizzaiolo di origine veneziana, Luigi Vianello, con un curriculum prestigioso fatto da tanti anni di esperienza sia in Italia che all’estero, e con un ampio palmares di premi e riconoscimenti nazionali ed internazionali. A Luigi Vianello abbiamo chiesto da dove deriva il nome del locale. “Si tratta di un’idea di Heinz Beck – ci ha risposto - che ha deciso di proporre in menù un impasto di pizza con l’acqua ottenuta dai pomodori, un’idea che si è rivelata vincente, perché le pizze preparate con questo impasto sono state tra le più richieste”. “Acqua di pomodoro” è un locale che segue il flusso turistico, quindi chiaramente estivo. E la stagione sta ora terminando per cui abbiamo chiesto a Luigi Vianello qual è il bilancio di questa prima stagione della nuova pizzeria e come ha lavorato con la supervisione di uno chef pluristellato come Heinz Beck?” “Non è facile trarre un bilancio di questo primo anno, non abbiamo ancora uno storico degli incassi o delle pizze servite, però ci sono state sere in cui abbiamo sfornato più di 200 pizze; non male per un locale con circa70 posti a sedere. Ho avuto il piacere di lavorare con un team affiatato e professionale e poi stare fianco a fianco con un maestro come Heinz Beck è uno stimolo continuo, per migliorarsi e a dare il massimo”.

“Qual è il cliente tipo dell’ “Acqua di Pomodoro”? “Famiglie, coppie, giovani. È una clientela variegata, come quella che viene in vacanza a Poltu Quatu. Visti i tempi di permanenza dei turisti è difficile tracciare l’identikit del cliente tipo, però chi viene nella nostra pizzeria sa bene che troverà qualità, gusto e soprattutto una grande attenzione e una grande cura nella preparazione della pizza”. Ogni pizzeria ha la sua pizza della casa, o il suo pezzo forte, e abbiamo chiesto a Vianello qual è quello dell’Acqua di Pomodoro”? “Abbiamo 3 proposte principali a seconda del tipo di impasto: la classica, la pizza con impasto di farina multicereali e quella che chiamiano gourmet realizzata con acqua di pomodoro. Lavoriamo con farine di forza medio-alta, per permettere maturazioni da 24 a 48 ore: è una scelta di qualità per garantire sempre pizze buone, croccanti e digeribili. Le pizze che sono andate più forte quest’anno? Sarei tentato di dirti tutte, vista la qualità proposta, però due in particolare sono state particolarmente apprezzate: la Spada e l’Appetitosa”.

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Luigi Vianello, Master Istruttore Scuola Italiana Pizzaioli aggiunge gli ultimi ma fondamentali tocchi sulla sua pizza

Conclusa questa prima stagione con Heonz Beck cosa riporti a casa da questa esperienza?” “Tante soddisfazioni umane e professionali: l’opportunità di collaborare con un maestro come Heinz Beck non ha paragoni. Quando ho cominciato questa avventura ero pieno di entusiasmo e anche ora che è finita, nonostante la stanchezza e la fatica, non vedo l’ora di tornare all’opera, per poter mettere a frutto l’esperienza dell’Acqua di Pomodoro”.


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pizza e pasta italiana

Nel salutarci, Luigi Vianello ci dà gli ingredienti di due delle pizze più richieste nella Pizzeria “Acqua di pomodoro”.

Pizza “Spada”

Ingredienti: mozzarella, pomodori ciliegini, pepe rosa, rucola in uscita, pesce spada affumicato, glassa di aceto balsamico., oltre naturalmente alla palla di impasto ben maturo.

Pizza Appetitosa

Ingredienti: mozzarella, pomodoro, melanzane, formaggio Peretta sarda, speck, oltre alla palla di pasta.


La Bontà è una Scelta

Viander Spa Loc. Bufaloro, 20 - 06089 Torgiano (Pg) - tel. 075.985169 www.viander.it


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pizza e pasta italiana

OSSERVATORIO HOST

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Fiera Milano porta il Made in Italy su uno dei mercati più vivaci con l’accordo tra HostMilano e Restaurants Canada.

poco meno di un anno dall’inizio di Host, il salone internazionale dell’accoglienza, Fiera Milano conferma partneship importanti e di prestigio in tutto il mondo, ultima in ordine temporale la partnership con Restaurants Canada, la più importante associazione canadese del furicasa. La partnership prevede molteplici azioni che esemplificano il duplice obiettivo della strategia di internazionalizzazione del Gruppo: valorizzare le eccellenze italiane sia attraendo business nel nostro Paese sia proiettando le aziende italiane nel mondo. HostMilano, leader mondiale nel suo settore, punta di diamante della nuova strategia. Secondo stime della stessa Associazione, nel 2015 il fuoricasa nel Paese nordamericano ha raggiunto il valore di 74,9 miliardi di dollari canadesi (CAD), pari a 51,8 miliardi di euro, con una crescita del 4,1% sul 2014. Si prevede che il 2016 segnerà il venticinquesimo anno di aumento ininterrotto, con un ulteriore +4,2%, raggiungendo un volume d’affari di 78 miliardi di CAD (54,6 miliardi di euro). In una recente survey il 45% degli associati ha confermato che nel primo trimestre di quest’anno ha incrementato il proprio business rispetto allo stesso periodo del 2015. In tutto il Canada i punti di consumo sono più di 94mila e si calcola che accolgano oltre 18 milioni di visite ogni giorno. Lo scorso anno il fuoricasa ha rappresentato il 38,2% della spesa alimentare totale (era il 36,8% nel 2010). I segmenti che si contendono la parte del leone sono la ristorazione quick-service (26,8 miliardi di CAD, equivalenti a 18,5 miliardi di euro) e quella full-service (25,9 miliardi di CAD, pari a 17,9 miliardi di euro). “La partnership tra HostMilano e Restaurants Canada – sottolinea Corrado Peraboni, AD di Fiera Milano – esemplifica al meglio la nostra strategia di internazionalizzazione, che punta a portare le eccellenze italiane nel mondo e al contempo portare il mondo in Italia. Nell’economia sempre più interconnessa di oggi, le fiere fisiche sono ancora più essenziali, ma con un ruolo profondamente rinnovato. Non solo piattaforme di business per l’incontro domanda-offerta, ma fattori trainanti delle filiere di riferimento, a cui devono fornire servizi a tutto campo a supporto di una vera politica industriale. In questo senso HostMilano, da sempre riferimento mondiale per l’innovazione e le nuove tendenze nell’ospitalità professionale, è una delle nostre punte di diamante e questo accordo ne è un’ulteriore conferma”.



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pizza e pasta italiana

Escuela Appyce LA PIZZA ALL’ALTRO CAPO DEL MONDO



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pizza e pasta italiana

ESCUELA APPYCE

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Un bel gruppo nutrito di studenti della scuola Appyce

e sfide mondiali, oltre all’aspetto relativo alla competizione, sono delle ottime occasioni di confronto e di apprendimento reciproco, per guardare un po’ più in la del proprio paese e conoscere culture e interpretazioni diverse. Accade così anche, e soprattutto, per le sfide gastronomiche, che diventano degli spazi preziosi per osservare, assaggiare e magari trarre ispirazione. In occasione dell’ultimo campionato mondiale della pizza, svoltosi a Parma dall’11 al 13 aprile scorso, abbiamo avuto l’opportunità di vedere al lavoro un professionista argentino, che oltre ad averci fatto conoscere una rilettura della pizza “in lingua argentina”, ci ha anche raccontato una piccola parte della tradizione gastronomica del paese, con uno sguardo particolare alla città di Buenos Aires, e alle sempre più numerose iniziative per far crescere professionisti della ristorazione, della panificazione e della pasticceria. Javier Labakè è il direttore della “Escuela Appyce”: il nome significa “Asociación de Propietarios de Pizzerías, Casas de Empanadas y Afines”. Si tratta di un’associazione fondata nel 1939 e nata con lo scopo di riunire imprenditori della ristorazione, dell’arte della panificazione, della pizzeria, della pasticceria e professionisti di empanadas (le semilune di pasta ripiene di carne, verdure e formaggio, tipiche della cucina argentina).

“Escuela Appyce”: il nome significa “Asociación de Propietarios de Pizzerías, Casas de Empanadas y Afines”.


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pizza e pasta italiana

ESCUELA APPYCE a destra

Una delle lezioni offerte da APPYCE

di Caterina Vianello

L’associazione ha fatto nascere, circa 10 anni fa, una scuola professionale con sede a Buenos Aires: l’obiettivo - ci spiega Labakè – è quello di avviare alla carriera professionale ristorativa i ragazzi di età superiore ai 18 anni. Molti i progetti che coinvolgono anche i ragazzi down o con disabilità, sia nell’insegnamento e nell’avvio al lavoro, sia attraverso una serie di iniziative di solidarietà che sono diventate dei veri e propri appuntamenti annuali seguitissimi in città: l’ultimo in ordine di tempo (15 marzo scorso) è stato la realizzazione della pizza più lunga di Buenos Aires, 60 metri di impasto per 3000 porzioni, il cui incasso derivante dalla vendita è stato interamente devoluto in beneficienza. Per chi voglia intraprendere una carriera in ambito culinario, sono cinque i rami della scuola tra i quali si può scegliere: pizzaiolo e empanadero, cuoco, panadero, pasticciere, professionista della pasta fresca e salse. Accanto alle materie più prettamente pratiche, la formazione prevede anche corsi teorici di igiene, amministrazione, nutrizione, enologia e marketing: non solo abilità e conoscenze tecniche proprie dell’ambito gastronomico, ma anche una preparazione che consenta la nascita di figure che sappiano lavorare nel mondo della cucina con spirito imprenditoriale. La scuola vanta 350 alunni e oltre ai corsi a pagamento, più lunghi e completi, grazie a finanziamenti pubblici ne sono previsti anche di gratuiti (della durata di circa 3 mesi), che coinvolgono circa 1200 allievi. La formazione, per i pizzaioli, dura 1 anno e mezzo e permette di accedere ad un’occupazione che in una capitale internazionale ed in continua espansione non conosce crisi.

LE PIZZE IN ARGENTINA La tradizione della pizza argentina, tuttavia, è diversa da quella italiana. Nonostante sia un paese di emigrazione italiana, la cucina e il gusto argentino si sono progressivamente adattati alle risorse agroalimentari locali, mescolandosi poi con le culture gastronomiche autoctone e degli immigrati provenienti da altri paesi, in particolare da Spagna ed Europa dell’Est. Ecco allora che la pizza argentina è prevalentemente in pala o in teglia. E, tra le due, quella più amata e quella che gli argentini considerano come “tradizionale” è la seconda. Al turista che passeggi per Buenos Aires non sfuggiranno di certo i numerosi locali che la preparano: con una quantità di lievito per kg molto alta (40 g), quella argentina è una sorta di focaccia, decisamente alta e molto condita. Le teglie rotonde e fumanti contengono un disco di pasta morbido, spesso circa 3 cm, che di solito viene diviso in 8 fette, capaci di “sfamare” 3 o 4 persone. La farcitura risente dell’influenza della cucina italiana per la presenza della mozzarella, ma l’uso di cipolla e prosciutto e di una combinazione di verdure e formaggi riflette il gusto tipicamente argentino. Nonostante la presenza massiccia della carne nella

cucina argentina, è raro – ci svela Labakè – utilizzarla sulla pizza. La tradizione preferisce che a esaltare il gusto del manzo siano le empanadas, cotte in forno, in cui la carne, tritata, speziata e aromatizzata, trova un ottimo accompagnamento nelle verdure e nel formaggio. Per questo abbiamo chiesto a Javier Labakè come mai per la pizza con la quale ha gareggiato (nella categoria Pizza a Due”), abbia scelto la carne come ingrediente principale della farcitura. La sua risposta è stata significativa: “ho voluto preparare una ricetta che rappresentasse Italia e Argentina, in modo tale da rendere omaggio agli elementi migliori dei due paesi”. Ecco allora un impasto dai tratti “italiani” quanto a spessore e quantità di lievito, e una farcitura in cui il numero limitato degli ingredienti si è rivelato la scelta migliore e più corretta per valorizzare l’elemento di punta della cucina del paese di Labakè, la carne appunto. L’entusiasmo e l’umiltà con cui Javier Labakè ha affrontato la competizione ci sono sembrati esemplari e ci fanno pensare che, in cucina, il dialogo e il confronto tra culture diverse siano molto più semplici, immediati e sinceri che in tanti altri contesti. L’auspicio è che la politica possa trarne insegnamento.



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pizza e pasta italiana

LA BIRRA

Le birre a bassa fermentazione tedesche

di Alfonso Del Forno


Lasciati conquistare dal gusto inconfondibile della

prima birra italiana gluten free.


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pizza e pasta italiana

LA BIRRA

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e lager sono le birre quantitativamente più presenti nel mercato della birra internazionale. Quando si parla di questa famiglia birraria, il primo pensiero va alle classiche “bionde” presenti in gran parte dei ristoranti e pizzerie, soprattutto tra le produzioni industriali. È interessante scoprire che le birre di “bassa” offrono una varietà di scelta che, da un punto di vista cromatico, vanno dal giallo dorato scarico al nero. Le più conosciute tra queste – come già questa rivista ha ampiamente scritto in un recente passato, raccontandone la storia - sono sicuramente le Pilsner. Nate nel 1842 a Plzen in Repubblica Ceca, trovano grande successo soprattutto in Germania e in gran parte dei paesi dell’Europa

continentale. Dal colore giallo dorato, le Pilsner sono state le prime birre belle da vedere, al punto da aver introdotto l’utilizzo del bicchiere in vetro nel servizio. Il gusto gioca sull’equilibrio tra la dolcezza data dal malto d’orzo e l’amaro dei luppoli, presente soprattutto sul finale del sorso. Molto simili alle Pilsner, ma con una quantità di amaro decisamente meno presente, sono le Helles, in cui prevale una dolcezza sempre molto equilibrata, caratteristica che rende questa tipologia di birra molto apprezzata da gran parte dei consumatori che non amano le birre amare. Una via di mezzo tra queste due tipologie, in termini di amaro, è la Dortmunder Export, caratterizzata da un grado alcolico leggermente più elevato (intorno ai 6°) perché

pensate per l’esportazione. Le birre sopra citate sono tutte estremamente limpide per effetto di lunghe maturazioni a bassa temperatura che permettono la precipitazione delle sostanze presenti in sospensione nella birra. Questa caratteristica, invece, non appartiene alle Keller, birre chiare non filtrate, un po’ velate e corpose. Rimanendo sotto i sei gradi alcolici, ci sono birre che cominciano ad avere colorazioni tendenti all’ambrato. Tra queste ci sono le Vienna e le Marzen. Queste ultime, quando ancora le produzioni non erano industriali e seguivano le stagioni, erano le birre prodotte a marzo, le quali, dopo una maturazione della durata di novanta giorni circa, erano pronte per essere bevute durante tutta l’estate.



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pizza e pasta italiana

LA BIRRA

Arrivati a fine settembre, a ridosso della ripresa delle produzioni di ottobre, c’era la necessità di smaltire le scorte ancora presenti nelle cantine. Proprio per ovviare a questa necessità, nasce la festa più nota nel mondo della birra, l’Oktoberfest a Monaco di Baviera. Le birre di bassa fermentazione sono anche scure, passando dalle tradizionali Dunkel alle Schwarzbier, birre nere di bassa gradazione alcolica e dalle caratteristiche note tostate e morbide. Salendo di gradazione alcolica (oltre i 6°) si entra nel mondo delle Bock. Spesso ambrate, esistono anche versioni chiare, chiamate Maibock o Heller Bock. Queste birre sono decisamente più morbide al sorso, poiché l’influenza del malto d’orzo è sicuramente prevalente rispetto alla luppolatura, senza però essere stucchevoli. Si tratta di birre complesse, avvolgenti e dall’amaro finale ben bilanciato. Le versioni più forti, sia in termini di grado alcolico che di ricchezza di aroma e gusto, sono chiamate Doppelbock. Queste, oltre a essere più alcoliche delle classiche bock, hanno caratteristici sentori di caramello e di morbide note tostate. L’amaro del luppolo è appena percettibile, ma ben bilanciato nell’equilibrio generale. Scorrendo l’elenco degli stili birrari appartenenti alla famiglia della bassa fermentazione, si scopre che l’offerta di birre è molto ampia e variegata, cosa che in parte contrasta con quello che abitualmente si è abituati a immaginare quando si pensa alle lager. Il fatto che un’intera famiglia birraria, contraddistinta dalla bevuta semplice e pulita, possa offrire una gamma di prodotti così diversi tra loro, in termini sia di aroma e gusto che di grado alcolico, lascia intuire che il mondo della birra è decisamente più complesso di quello che ci si aspetti. Scoprirne le sfumature, per chi ama la birra, è sicuramente uno dei percorsi più intriganti da intraprendere.


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pizza e pasta italiana

Brillanti ambasciatori tra Veneto e Armenia


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Messaggeri di pace, amicizia e solidarietà

C’è da molto tempo uno stretto rapporto tra il Veneto e l’Armenia ed è un rapporto culturale che abbraccia diversi settori, a cominciare da quello religioso, con solide radici anche nell’affascinante mondo del vino. Nell’angolo del palazzo Ducale che guarda verso Riva degli Schiavoni e il Ponte dei Sospiri c’è un maestoso bassorilievo che mostra Noè con l’albero della vite e i veneziani sanno da sempre che la vite è giunta in terra veneta, per strade, a volte misteriose, dalle pendici del Caucaso dove Noè approdò con la sua arca dopo il diluvio. Oltre a questo, la storia ci dice che già nell’XI sec. Venezia e il regno armeno si scambiarono accordi che sancirono privilegi reciproci in campo commerciale, grazie ai quali i veneziani poterono risiedere agevolmente in Armenia e gli armeni trovarono vantaggiosa ospitalità a Venezia. In una città che stava diventando sempre più cosmopolita, come è dimostrato dalla sua toponomastica, gli armeni, essendo cristiani, non hanno avuto difficoltà ad inserirsi in ogni parte della città, anche se il sestiere di S. Marco diventò una delle aree privilegiate.

foto gentilmente concesse da Carlo Favero

Qui, e precisamente in parrocchia S. Zulian, nel 1235 venne ufficialmente consegnata alla comunità la sua Casa Armena (Hay Dun), in Calle delle Lanterne, oggi Calle degli Armeni, anche per ospitare gli armeni di passaggio e lì accanto, in Rio Terrà de le Colonne, c’è la quattrocentesca chiesa di Santa Croce degli Armeni, ancor oggi aperta al culto cattolico apostolico di rito armeno. Poi, il 26 agosto 1717, la Repubblica cedette l’isola di San Lazzaro a un gruppo di monaci armeni, guidati da Mechitar in fuga da Modone, dove avevano trovato ospitalità dopo essere fuggiti da Costantinopoli per le persecuzioni dei Turchi. L’8 settembre dello stesso anno Mechitar e i suoi monaci presero possesso dell’isola, restaurarono i vecchi edifici e ne costruirne di nuovi, trasformarono i terreni circostanti in uno splendido giardino e oggi l’isola di San Lazzaro degli Armeni, dove i monaci, guidati da padre Elia, conservano una biblioteca straordinaria e importanti opere d’arte, è uno straordinario punto di riferimento per tutti gli armeni della diaspora.


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pizza e pasta italiana

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Vigneti e Monastero alle pendici del monte Ararat

Il rapporto Veneto-Armenia si è ulteriormente consolidato sul finire dello scorso decennio quando un gruppo di vignaioli trevigiani è partito per il Paese caucasico interessato a visitare e conoscere la terra natale della viticoltura. Giunti in Armenia, i vignaioli trevigiani hanno incontrato un vino somigliante del Raboso del Piave, l’Areni e hanno voluto saperne di più. L’Armenia é un Paese montuoso situato nel Caucaso meridionale, tra Europa e Asia, con la maggior parte del territorio sopra i 1000 metri. Il clima secco e arido con giornate molto calde e notti fresche risulta particolarmente adatto alla coltivazione della vite e il cuore della viticoltura armena è la regione di Vayotz Dzor nel sud del Paese e gran parte dei vigneti è coltivati a 1200-1400 metri di altezza. L’altitudine conferisce al vino prodotto un’inconfondibile eleganza e finezza, con profumi marcati e i terreni vulcanici e rocciosi gli donano un profilo snello e minerale. La regione del Vayotz Dzor, per i vini straordinario lì prodotti, è considerata tra i grandi terroir a livello mondiale.

Quella zona interessò molto i vignaioli trevigiani e, a seguito di ulteriori contatti con le istituzioni e i vignaioli locali e della vicina Valle dell’Ararat, nel 2012 fu concordato di realizzare nel Trevigiano un vigneto di Areni e nel Vayots Dzor un vigneto di Raboso Piave. Non è stato solo uno scambio di viti, ma l’inizio di un importante progetto denominato “Treviso per l’Armenia”, un’iniziativa di cooperazione internazionale che vede la Provincia di Treviso come capofila assieme alla Scuola Enologica “Cerletti” di Conegliano, all’Istituto di Ricerca CRAVIT di Conegliano, alla Congregazione dei Padri Mechitaristi Armeni dell’isola di San Lazzaro (VE), la Confraternita del Raboso Piave, il Comune di Vazzola (TV), Unindustria Treviso e, per parte armena, la Fondazione Civiltas Yerevan Armenia, The Mekhitarist Center of Armenia (Yerevan, Armenia), l’Armenian Scientific Centre viticulture, fruit-growing and wine making (Merzdavan, Armenia), l’Armenian Wine Consortium (Yerevan, Armenia), l’EDVAG Group (Yerevan, Armenia), la Regione del Vayots Dzor (Armenia) e l’Armenian Trade Network.



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pizza e pasta italiana

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La più antica cantina del mondo dentro la Grotta degli Uccelli

Ci vuole fantasia, ma soprattutto la solida e ponderata sapienza contadina per immaginare l’Areni e il Raboso come ambasciatori fra due popoli, capaci di dar vita a rapporti sempre più stretti, coinvolgendo illustri personalità, come la celebre scrittrice armena Antonia Arslan, autrice de “La masseria delle allodole”, nel quale racconta in modo mirabile e commovente il genocidio del suo popolo a opera dell’impero ottomano, avvenuto tra il 1915 e il 1916. Non è stata dunque una semplice avventura ma un’operazione dai forti contenuti culturali e civili che continua nel tempo regalando molte soddisfazioni ai veneti e agli armeni.

La cantina era completa di pressa, l’uva veniva pigiata con i piedi e il mosto ottenuto versato in contenitori di terracotta, chiamati karasi, destinati alla vinificazione e alla conservazione del vino. I ritrovamenti di raspi e vinaccioli nella grotta comprovano che fu proprio lì che vennero eseguite le prime vinificazioni dell’umanità. Questa straordinaria scoperta ha suscitato un grande interesse a livello internazionale e non é ancora del tutto chiaro quali fossero le funzioni del sito archeologico della grotta Areni-1 e si presuppone che, nella lontana preistoria, fosse usato come tempio e che lì venissero eseguiti dei riti sacri che includevano l’uso del vino.

Nel 2012 in terra trevigiana sono state piantate 900 viti di Areni e grazie a questo vino, imbottigliato all’inizio dell’estate 2016, molti veneti e italiani hanno riscoperto l’Armenia e la sua antichissima storia vitivinicola, come anche la spesso travagliata storia civile e religiosa, compressa com’è tra potenze di altre religioni e dalle marcate mire espansionistiche. Nelle varie visite effettuate in questi ultimi anni dai veneti in Armenia sono stati scoperti luoghi fantastici legati al vino, come la Grotta degli Uccelli con la più antica cantina del mondo, risalente a 6100 anni fa.

Su tutte le vigne del Vayots Dzor domina imponente il Monte Ararat (alto 5.165 m. e il nome significa “luogo di Dio”), sempre innevato ed il monte sacro degli Armeni, alle cui pendici scesce l’arca di Noè dopo il diluvio.. E lì attorno, in luoghi spesso appartati, s’innalzano antiche istoriate croci di pietra, chiese silenti e caratteristici monasteri a ricordare che l’Armenia è stato il primo Paese ad accogliere la religione di Cristo, introdotta dagli apostoli Bartolomeo e Taddeo, dichiarata religione di stato nel 301 dal re Tiridate III, convertito e battezzato con tutta la sua corte dal vescovo Gregorio Illuminatore.

Quanti partecipano al Progetto e molti altri enti e persone coinvolti o ad esso vicini, sono convinti che grazie a questi due vini – l’Areni armeno e il Raboso Piave - ci sarà anche in Italia una migliore conoscenza della storia armena, del terribile genocidio che ha sterminato gran parte di quel popolo, ma si potranno conoscere anche le sue tante stupende bellezze paesistiche, archeologiche e architettoniche e religiose, i suoi ottimi prodotti agroalimentari, a cominciare dalle albicocche (il cui albero è l’emblema stesso del Paese) e le molte possibilità di sviluppare rapporti culturali, religiosi ed economici capaci di arricchire entrambi i Paesi. E meriterebbe che l’Europa riservasse più attenzione a questo piccolo ma stupendo Paese.

di Giampiero Rorato



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pizza e pasta italiana

Foto su gentile concessione di Nicola Noventa Photography, fotografo Padovano trasferitosi ad Oslo — www.nicolanoventaph.com

di Caterina Orlandi

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slo conosciuta anche come Christiania è una città del nord Europa ed è la capitale e la più grande città della Norvegia è stata teatro di un importante evento legato al Made in Italy, organizzato dall’Ambasciata Italiana ad Oslo con la presenza dell’ambasciatore Giorgio Novello e della moglie Bianca e dalla pizzeria Eataly, ove opera l’attento e capace Elio Corsi, vincitore di diversi eventi organizzati da questa Rivista.

L’ITALIA IN NORVEGIA: “FLAVOURS OF ITALY” DA EATALY OSLO — Evento organizzato dall’Ambasciata Italiana ad Oslo e da Eataly Ristorante nel centralissimo ed elegante quartiere di Aker Brygge.

sopra da sx.

Elio Corsi, l’ambasciatore Giorgio Novello e il direttore Scuola Italiana Pizzaioli Massimo Puggina

Flavours of Italy è un evento itinerante che si fermerà in diverse tra le più importanti città della Norvegia per far conoscere ciò che rende grande l’Italia, l’industria del buon cibo associato alla moda e alle macchine d’epoca, in questo quadro si stanno anche raccogliendo dei fondi poi da predisporre per il terremoto che ha avuto luogo ad Amatrice e zone circostanti lo scorso 24 agosto. Durante la simpatica serata del 3 settembre, assieme a diversi momenti conviviali si è cercato di trasmettere, come succede per altro in tante occasioni in tutto il mondo, il messaggio di quanto l’Italia e il saper fare italiano siano per questa nazione il fiore all’occhiello, che però va coltivato e fatto conoscere. La serata, promossa congiuntamente da Eataly Ristorante e dall’Ambasciata d’Italia, in collaborazione con altri 7 partner (Illy, Club Lancisti Norvegesi, Museo dello Scooter, Associazione Vespisti Norvegesi, Pizza e Pasta Italiana/Scuola Italiana Pizzaioli, Renato Manzi, Dolce Vita) nell’ambito dell’Evento Itinerante “Under the sign of excellence”, si è incentrata sulla cucina italiana, con la pizza come ospite d’onore e l’offerta di tante altre specialità.


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Naturkraft Pizza Napoletana: l’unico lievito madre per pizza prodotto da un molino italiano. Creato nel nostro Centro di Ricerca&Sviluppo insieme ai maestri pizzaioli dell’Associazione Verace Pizza Napoletana, è il frutto di una tecnologia unica e originale Le 5 Stagioni. Ricco di lieviti naturali, facilita la stesura della pizza, conferisce una doratura più omogenea al cornicione, rende l’impasto più resistente alle alte temperature. Il risultato è una pizza migliore: più fragrante, dal sapore più ricco, molto più digeribile. www.le5stagioni.it

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pizza e pasta italiana

a sinistra

Accolti dal Direttore Tobias Saltoft Schelin e dallo chef Elio Corsi, gli ospiti hanno vissuto un programma intenso ed articolato, che muovendo dalla cucina e dalla ristorazione ha offerto un ideale percorso attraverso alcuni aspetti del nostro Paese. Diverse esibizioni di pizza acrobatica sono state offerte da Giorgio Nazir, affermato protagonista della specialità a livello internazionale.

Giorgio Nazir, esperto nel volteggio della pizza sotto

Harald Bergsaker, Presidente del Club Lancisti Norvegesi

La serata ha anche consentito una presentazione di altri settori di eccellenza italiana. Harald Bergsaker, Presidente del Club Lancisti Norvegesi, ha richiamato la lunga tradizione della casa torinese sia nel design che nell’engineering, e ha presentato la sua splendida Lancia Zagato d’epoca. Il Direttore del Museo della Vespa Tom Arheim e il Direttore del Vespa Club Old Boys Harald Øhlckers hanno presentato una selezione della loro prestigiosa collezione di Vespa. Particolarmente apprezzate le opere del fotografo italiano Renato Manzi, con il loro raffinato gioco di richiami alla pittura classica rivissuta con modalità profondamente originali in delicato equilibrio tra movimento e cristallizzazione dell’attimo. Nel suo saluto introduttivo, l’Ambasciatore italiano ad Oslo Giorgio Novello ha collocato l’iniziativa nel contesto dell’Evento Itinerante e ha sottolineato proprio i vari registri della presenza italiana in Norvegia, evocati nell’occasione con richiami al design, all’engineering, all’arte, all’associazionismo, alla formazione, che hanno avuto come filo conduttore la straordinaria qualita’ della nostra cucina. L’Ambasciatore ha anche ricordato il dramma del terremoto che ha colpito l’Italia centrale e presentato la lodevole iniziativa di Eataly Ristorante di devolvere una somma per la ricostruzione per ogni piatto di amatriciana offerto e consumato dagli ospiti nel corso della serata.

a destra

lo chef Elio Corsi

Il connazionale Jonathan Rizzi, originario proprio di quelle terre, ha mandato un segnale di speranza e fiducia invitando tutti i partecipanti a visitare le zone colpite dal sisma tra un paio d’anni.



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pizza e pasta italiana

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da oltre quarant’anni, è presente sul mercato professionale specializzato delle forniture di prodotti per la pizza

Le radici emiliano lombarde ci portano ad essere specialisti della tradizione italiana dei salumi e formaggi: crudo di Parma, culatello, coppe, salami, spalla cotta e prosciutti cotti alta qualità, formaggi selezionati ed affinati, parmigiano reggiano, grana padano, gorgonzola, mozzarella di bufala e fior di latte per pizza ed un infinito elenco delle eccellenze italiane. Le nostre farciture (prodotti agroalimentari a denominazione di origine e a indicazione geografica riconosciuti dall'Unione europea, certificati DOP e IGP) provengono da tutta Italia (come i pomodori pelati di San Marzano, oli extravergine, carciofi pugliesi, acciughe di Cetara e di Aspra, capperi di Pantelleria, olive di Cerignola) e tantissimi altri, una lunga selezione di prodotti alta-

mente vocati alla pizza. Nei tanti anni di collaborazione con “Pizza e Pasta”, non potevamo che essere in prima fila all’evento mondiale del campionato della pizza dove si sono esaltati i migliori pizzaioli, i migliori prodotti presenti sul mercato e quindi una vetrina universale importantissima per il Made in Italy che dà entusiasmo e lustro a tutto il settore. SANFELICI HIGH QUALITY FOOD



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pizza e pasta italiana

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raggiungendo gli obiettivi fissati. A fronte di questi risultati, l Italia si posiziona come mercato europeo prioritario. Obiettivi a 4 anni e 9 anni molto ambiziosi, con adeguata organizzazione commerciale, logistica, ed un’offerta di prodotti sempre più vasta. Sarà presente al Sial Hall 7 Stand 7C078 per presentare la sua ampia gamma di formaggio da pizza, capra, IQF. Presenterà pure nuovi lanci Grazie allo sviluppo del mercato di capra in italia, e le esportazioni italiane di prodotti finiti che utilizzano la capra come ingredienti, il comparto Capra continua a svilupparsi, sia in fresco che IQF.



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Per la farcitura, la ricetta originale della pizza vincitrice di Coppola e Pisciotta (a proposito… ancora complimenti per la vittoria!) prevede: una base crema di asparagi freschi verdi, bucce di asparagi croccanti saltate, spugne di albume cotte a 200° per 15 minuti su forno statico e, per terminare, cialde di Parmigiano Reggiano a decorazione, preparate in forno per pizza a 200° per 5 minuti.

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La pizza e le Guide gastronomiche L’attesa delle guide sta tramontando, ormai sono altri gli strumenti di informazione preferiti dai consumatori

A voler dirla tutta, le guide gastronomiche da un po’ di tempo sono più seguite dai ristoratori che dai consumatori, avendo questi ultimi molti altri mezzi per informarsi sui ristoranti. Innanzi tutto gli stessi quotidiani e le riviste anche generaliste hanno apposite rubriche per presentare i ristoranti, magari anche stroncandoli, se l’esperto censore lo ritiene necessario per una corretta informazione. Probabilmente il più serio recensore di ristoranti è ancora Edoardo Raspelli che non ha mai dovuto (voluto) rispondere dei suoi giudizi a padroni, ritenendosi al servizio dei lettori e quando anni fa la proprietà della guida da lui sapientemente curata (l’Espresso) si lamentò dei suoi giudizi e lo invitò a modificarli non ebbe timore a dimettersi immediatamente. Poi, per chi desidera individuare un ristorante meritevole, c’è il passaparola e i social sono pieni di informazioni. Ma non succede sempre come ha fatto Raspelli e le guide, espressione di gruppi editoriali legati chiaramente a degli interessi, si affidano spesso e volentieri a un volontariato interno più o meno competente, a giornalisti delle testate del gruppo, a soci dei club collegati, anche se non mancano esperti seri e capaci che magari visitano i ristoranti quando possono (Michelin) e le critiche non mancano (Valerio Massimo Visintin docet)


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Le pizzerie Da un po’ di tempo nelle guide sono recensiti anche agriturismi e pizzerie, naturalmente quelli più conosciuti dagli “ispettori” di zona o più reclamizzati dai media e lo scopo dichiarato è quello di allargare le proposte, visto che agriturismi e pizzerie sono attualmente i locali più frequentati. In questo mese desidero fermare l’attenzione sulle pizzerie che rappresentano ormai la colonna portante dell’alimentazione fuori casa, soprattutto in Italia ma anche in tante altre parti del mondo e non per nulla all’estero c’è un vero esercito di pizzaioli italiani, dalla Norvegia al Giappone, dal Sud Africa alla Russia, dagli USA al Brasile, dalla Cina alla Nuova Zelanda e ci sono già in molti Paesi esteri degli ottimi pizzaioli locali di scuola italiana (se veda, ad esempio, in Giappone). Come sono valutate dalle guide le pizzerie? Sanno gli “ispettori” che in questi ultimi vent’anni le pizzerie italiane hanno compiuto passi da gigante sulla strada della qualità o sono ancora fermi alle pizzerie del passato dove si attendevano spesso delle mezze ore, si spendeva poco e ci si accontentava di quello che arrivava

in tavola, purché fosse un cibo caldo, anche se poi non faceva dormire la notte? Sanno quegli “ispettori” che da diversi anni ci sono pizzerie che rivaleggiano con la ristorazione di qualità e moltissime pizzerie sono locali migliori di tanti ristoranti, per la cura del locale, l’ospitalità calda e piacevole, la cortesia e velocità del servizio, la bontà della pizza e degli altri piatti serviti, l’ampia scelta di birre anche artigianali e contadine e di vini eccellenti e per un rapporto qualità/prezzo molto conveniente? A far crescere qualitativamente e molto il mondo della pizza sono intervenuti diversi fattori, come l’aumentata esperienza e professionalità dei titolari e dei pizzaioli, la disponibilità sul mercato di farine eccellenti e di ottimi prodotti per la farcia e, in particolare, lo sottolineiamo con forza, il grande lavoro delle scuole, nelle quali, attraverso corsi specifici e graduati, un numero crescente di pizzaioli aumenta le proprie conoscenze e affina le proprie tecniche operative. E più cultura professionale significa anche più amore per il proprio lavoro e per il proprio locale e attualmente le pizzerie ben

di Nives Piva curate sono moltissime in tutta Italia, con tavoli comodi, belle tovaglie e tovaglioli sui tavoli, piatti e posate da ristorante, calici appositi per il vino, per la birra e per l’acqua. E ormai, nella quasi totalità delle pizzerie, oltre a una buona scelta di pizze, si possono trovare altri piatti sia caldi che freddi, antipasti caldi e freddi, prosciutti e insaccati vari, diversi tipi di paste, carne sia bianche che rosse, verdure grigliate e diversi tipi di dolci anche fatti in casa. In questi casi arrivano in tavola pane e crackers, del buon olio extravergine d’oliva italiano in bottiglia, sale e pepe: un servizio che è spesso migliore di quello che si trova in tante trattorie (ma anche tante vecchie e care trattorie italiane, col profumo di casa, sono buonissime e sono le più frequentate). Delle numerose ottime pizzerie sparse


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QUESTIONE DI GUSTO

per l’Italia, la cui storia comincia a Napoli nel corso dell’Ottocento, le guide sanno poco, le trascurano privilegiando quelle che con un termine inesatto chiamano “pizzerie gourmets” dove si servono “pizze gourmets”. In verità il termine “gourmet” significa “raffinato buongustaio” e, per estensione, si può intendere pizza per raffinati buongustai. Ma quand’è che una pizza può ambire a simili caratteristiche? Forse quando sopra il disco di pane si mette un’aragosta ? Siamo seri! in foto

Lo chef Massimo Bottura

Le pizzerie gourmet È vero che ci sono dei pizzaioli che tendono a fondere l’arte del pizzaiolo con quella del cuoco, impiegando per farcia prodotti tipici della buona cucina, come è altrettanto vero che la pizza di qualità è sostanzialmente quella prodotta con materia prima ben selezionata, frutto di impasti corretti e di lunga lievitazione, con farce di ottima materia prima sapientemente equilibrata tale da regalare giuste emozioni. Ci sono pizzaioli che lavorano così, attentissimi nello scegliere le farine, i prodotti migliori per le diverse farce, esperti negli impasti, severi nel seguire la lievitazione, bravissimi nel preparare con palline mature i dischi di pasta, sapienti nell’equilibrare le farce sia storiche che creative e calibrare giustamente le cotture. E non hanno anche questi titolo per essere chiamati, anche se il termine è improprio, pizzaioli gourmets? Troppi gourmands (golosoni, avidi) girano col taccuino degli appunti per poi spedire alla redazione della guida il loro giudizio e molti non hanno ancora capito, come insegnano la grande Nadia Santini, una delle più stimate e prestigiose cuoce del mondo e, con lei, Heinz Beck, uno dei massimi chef internazionali, che le emozioni non nascono da piatti ricchi e abbondanti, ma da piatti essenziali, puliti, precisi ed equilibrati, perché sono questi piatti ad emozionare. Gli altri piatti sono spesso più adatti ad ingozzare, quindi piatti per gourmands. Ed è da aggiungere che non sempre è il costo che qualifica la bontà di una pizza o di un piatto, ma la qualità intrinseca e si possono gustare ottime pizze ed ottimi piatti anche a costi contenuti.

Va quindi convintamente sostenuto l’impegno di tanti seri e bravi pizzaioli che, senza suonare tromboni e grancasse, senza inventarsi nuovi concetti di pizza (che cosa significa?), lavorano ogni giorno con impegno, bravura e professionalità, riempiendo il proprio locale di clienti affezionati che arrivano anche da lontano perché le pizze sono stupendamente buone, il prezzo corretto, l’ospitalità bella e sorridente.



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IL TURISMO

IL TURISMO, MOTORE DELL’ECONOMIA E FONTE DI CONOSCENZE

H Ristoranti e pizzerie devono essere all’altezza delle richieste del turismo internazionale in rapidissimo sviluppo

di Laura Nascimben

IN FOTO La passerella di Christo sul lago d’Iseo

a scritto il grande intellettuale francese Pierre de Charentenay, gesuita, scrittore e docente universitario, con grandi esperienze internazionali, in un importante saggio pubblicato da “La Civiltà Cattolica” e da “L’Osservatore Romano”: “Nel 2015 un miliardo e 200 milioni di persone nel mondo hanno attraversato le frontiere per attività turistiche. Dopo un calo del 4 per cento nel 2009, dovuto alla crisi finanziaria, questo settore dell’economia ha avuto un incremento medio annuo di più del 4 per cento, sebbene rimanesse molto esposto alle congiunture economiche o politiche. Il turismo è diventato un gigante dell’economia, che crea milioni di posti di lavoro e alimenta grandi settori, come quello alberghiero o i trasporti. È un’immensa organizzazione del tempo libero, che può orientarsi verso il divertimento, lo sport o la cultura, e spesso ha anche una dimensione umana che permette l’incontro tra culture. I flussi turistici internazionali hanno già una loro storia. Dopo gli anni Cinquanta il turismo — riservato fino a quel momento a una élite ricca dal punto di vista culturale e finanziario — si è democratizzato, mentre l’economia mondiale godeva di una forte crescita. L’ultimo decennio del XX secolo è caratterizzato da una vera euforia degli spostamenti: le frontiere vengono abbattute una dopo l’altra, la caduta del muro di Berlino apre l’Europa dell’est a milioni di visitatori. Uscito dall’apartheid, il Sud Africa diventa un luogo di nuove scoperte. La Cina a sua volta si apre molto lentamente, fino a diventare una meta per milioni di turisti. È l’età dell’oro dello sviluppo turistico, con una grande facilità di entrare e circolare in molti Paesi che in precedenza erano stati interdetti agli stranieri. Voli charter arrivano un po’ dappertutto nel mondo. Si può andare per qualche giorno alle Hawaii, alle Antille o alle Isole Mauritius. Le crociere su navi immense diventano popolari. Nuove mete estendono ancor più il ventaglio dei territori da visitare: la Croazia, Cuba, il Vietnam, e da qualche anno anche il Myanmar.


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IL TURISMO

Il turismo di massa Esistono decine di forme di turismo, dal turismo medico al turismo dei vini. Tuttavia si può classificare il turismo secondo alcune grandi categorie. Innanzitutto, il turismo di massa, che comprende milioni di viaggiatori con offerte a buon mercato, sicure e programmate in anticipo. Per questi viaggiatori non ci sono sorprese né iniziative da prendere. Il cliente è invitato a rilassarsi e a lasciarsi guidare. Ed è proprio ciò che egli desidera. Questo è soprattutto il caso di anziani che cercano l’esotismo in condizioni di sicurezza e di comfort. Un primo tipo di turismo di massa riguarda i viaggi alla scoperta di nuovi Paesi, di nuove regioni, di nuovi luoghi. Esso si realizza spesso sotto forma di viaggi organizzati da agenzie specializzate. I cinesi o i giapponesi utilizzano volentieri questa modalità, che permette loro di visitare l’Europa senza conoscerne né le lingue né i costumi. Così è più facile servirsi di un’agenzia specializzata, se si vuole visitare in modo sicuro il Myanmar o il Tibet, o andare tra le piramidi Maya del Messico, piuttosto che organizzare autonomamente un viaggio in regioni sconosciute, lontane e talvolta pericolose. Con questa modalità o individualmente, milioni di persone visitano ogni anno le città di Roma, Berlino, Londra o New York, Pechino, Rio de Janeiro e i luoghi di Machu Picchu, le cascate del Niagara o la tomba del Taj-Mahal. Il turismo di massa è anche un turismo di svago, che è in grande crescita e ha un immenso potenziale. Esso comprende i Parchi Disneyland, che ogni anno accolgono milioni di persone. Comprende anche le crociere su navi appositamente attrezzate. Queste

hanno accolto circa 13 milioni di turisti nel 2004, e 23 milioni nel 2015 (con un incremento annuo del 7 per cento a partire dal 1980). La maggior parte degli americani va nei Caraibi, e ora sempre più nel Mediterraneo. Gli appassionati di luoghi esotici lontani possono percorrere i fiordi norvegesi o le coste dell’Antartico, o fare in 107 giorni il giro completo del mondo. Se la democratizzazione di questa formula è stata facilitata dalla costruzione di navi che possono trasportare fino a 6000 passeggeri, continuano a esserci formule di lusso in imbarcazioni più piccole e più lussuose. Volendo ampliare l’offerta, intere città si attrezzano per diventare mete di divertimento, come Dubai, che punta per il suo avvenire sul turismo internazionale, grazie alla sua compagnia aerea a basso costo Emirates. Un terzo tipo di turismo di massa è il turismo sportivo, che offre molteplici attività al mare, in montagna o in centri sportivi. D’estate, milioni di persone lasciano le città per raggiungere le località balneari. Parimenti le attività sportive invernali provocano lo spostamento di moltissimi sciatori. D’estate, le montagne possono essere invase da camminatori che approfittano di luoghi magnifici e di un’aria più fresca di quella delle valli e della pianura. La libertà individuale si manifesta anche attraverso attività estreme in alta montagna o attività di immersione nel mare.

IN FOTO Turisti visitano la fontana di Trevi a Roma



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IL TURISMO

A DESTRA Il gesuita Pierre de Charentenay

Il turismo specializzato A differenza del turismo di massa, ci sono vari tipi di turismo specializzato, come il turismo storico alla ricerca di luoghi caratteristici di un certo periodo storico, come le spiagge dello sbarco in Normandia; o il turismo culinario, che organizza percorsi per gustare la cucina di una data regione; o il turismo medico e dentistico, che unisce le cure mediche (in genere molto meno care che nei Paesi di origine) con la scoperta di nuovi territori. L’Ungheria, ma anche Abu Dhabi, si sono specializzati in questo campo. Nell’ambito di questo settore medico, le stazioni termali e i centri benessere attirano una clientela regolare. Il turismo musicale invita alla scoperta di festival o di concerti specializzati e di luoghi musicali famosi nel mondo. Anche il turismo dei musei è un’attività molto sviluppata, specie nel Nord America e in Europa, che abbonda di opere d’arte. Il turismo religioso è anch’esso molto attivo, per far scoprire religioni sconosciute, o per permettere la pratica del pellegrinaggio. Il settore del turismo è dunque ricco di promesse. Per il 2030 si prevede un numero impressionante di turisti: 1,8 miliardi di viaggiatori.” (Da “L’Osservatore Romano” 7 agosto 2016).

Turismo & Gastronomia L’acuta e intelligente analisi del gesuita francese Pierre de Charentenay, attento e ascoltato studioso dei problemi del mondo attuale (che nel suo studio affronta anche i problemi e i lati oscuri del turismo moderno), quando prevede che fra poco più di dieci anni il movimento turistico internazionale interesserà un miliardi e ottocento milioni di persone, obbliga anche il mondo della ristorazione a studiare questo aspetto della vita moderna. Ristoranti e pizzerie saranno necessariamente sempre più protagonisti, per rispondere alle necessità fisiologiche dei turisti e già lo sono, ma devono attrezzarsi sempre meglio, studiare corretti menu e giusti prezzi per le varie tipologie di turisti, dotarsi di personale adeguato, conoscere correttamente alcune lingue – inglese, cinese, giapponese, russo, spagnolo, portoghese, tedesco, francese, ecc. – avere locali invitanti ed ospitali. E non c’è tempo da perdere, se non si vuole essere messi ai margini del fenomeno turistico, che rappresenta sempre più, come ha scritto Pierre de Charentenay, un formidabile “motore di sviluppo economico” con capacità di offrire lavoro a un numero crescente di persone.


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RHS: RISTORA HOTEL SICILIA Pasticceri e gelatieri, panificatori e pizzaioli, barman e chef, tutte le figure professionali del mondo della ristorazione si incontrano a Ristora Hotel Sicilia, l’evento fieristico rivolto agli operatori del settore alimentare, dell’accoglienza e in generale dell’ho.re.ca che ritorna con la tredicesima edizione dal 12 al 15 novembre prossimo a Catania. Il centro fieristico Etnafiere all’interno di Etnapolis, il primo parco commerciale all’avanguardia di Belpasso, a pochi chilometri da Catania, si prepara ad accogliere le aziende leader nel settore dell’ho.re.ca che rappresentano attrezzature, arredi, semilavorati e servizi in una superficie espositiva di 5.000 mq che, oltre ad essere vetrina per le ultime novità nel settore del food, sarà un grande laboratorio che coinvolgerà i visitatori in percorsi formativi fatti da workshop, seminari, competizioni e cooking show a cura di Maestri qualificati ed esperti del settore. RHS 2016, organizzata da Expo Mediterraneo del Sistema Confcommercio Catania, sostenuta da FIPE, Assipan e Federalberghi regionali, è divenuta punto di riferimento per le aziende del settore alberghiero e della ristorazione della Sicilia, Calabria e Malta e imperdibile occasione per arricchire la rete di contatti tra aziende e operatori del settore. Il successo di Ristora Hotel Sicilia si deve anche ai partner che da anni contribuiscono a rendere l’evento sempre più attrattivo e di grande interesse grazie al loro contributo. Ristoworld Italy, l’associazione che si occupa della valorizzazione della cultura enogastronomica italiana, promoverà la grande Rassegna Internazionale Italian Style che vedrà sfidarsi professionisti del settore ristorativo, gli Istituti alberghieri, Paritari ed Enti di Formazione Regionale in gare di cucina, cake design, cioccolato, pizza e tanto altro. Oltre alle dimostrazioni che si svolgeranno nei vari stand a cura delle aziende espositrici, RHS 2016 ha concentrato un ricco calendario di appuntamenti nella grande arena dove sarà allestita una cucina tecnologica che, nella giornata dedicata al pane e ai suoi derivati, ai settori della pizza e della pasta, vedrà protagonisti i pizzaioli dell’Associazione Italiana Pizza e dell’Unione Pizzaioli Italiani sfidarsi in una gara… all’ultima pizza! Grande attesa per il seminario sui grani antichi e il loro impiego nel settore pizzeria a cura dell’associazione Simenza.

Nella giornata dedicata alla pasticceria e al gelato l’associazione Maestri della Gelateria Italiana con i siciliani Placido Prestipino e Giuseppe Rizza porterà in fiera la professionalità e le conoscenze sul gelato artigianale, sulla diffusione dell’immagine e della qualità di uno dei prodotti più conosciuti nel mondo. La squadra dell’associazione Duciezio, in testa il presidente Salvatore Farina, sarà protagonista di percorsi atti alla valorizzazione del patrimonio storico e culturale della dolceria, pasticceria e gelateria siciliana.


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docenti Chiara Manzi: Culinary Nutritionist e Presidente di Art Joins Nutrition Academy, laureata in Nutrizione Umana e Dietetica presso l’Università di Navarra. È presidente dell’ASSIC, Associazione per la Sicurezza Nutrizionale in Cucina. Fabio Sebastiani: Master Istruttore con Percorso Formativo Certificato della Scuola Italiana Pizzaioli il cui responsabile tecnico è Graziano Bertuzzo. Fabio Sebastiani è il primo istruttore della scuola ad aver completato

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Il 50% delle ore è dedicato alla pratica in cucina. Il restante 50% è in aula per lo studio della nutrizione da applicare alla preparazione della pizza materiale didattico

Durante il corso i docenti forniranno agli studenti materiali didattici relativi alla parte teorica di Culinary Nutrition e alla parte pratica attestato

Il corso prevede il rilascio di un attestato di partecipazione al corso “Pizza e Benessere”. costi: 2.500 € + IVA Per Informazioni ed iscrizioni 0521.1640539 o scrivere a info@cucinaevolution.it 0421 – 83148 oppure info@scuolaitalianapizzaioli.it


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SCUOLA ITALIANA PIZZAIOLI presenta:

Corso Alta Formazione per Pizzaioli CAORLE (VE) DAL 7 AL 11 NOVEMBRE 2016

destinatari Il corso si rivolge a pizzaioli esperti che intendano affinare il proprio bagaglio tecnico per attivarsi consapevolmente verso un complessivo perfezionamento del prodotto offerto al cliente. obiettivo del corso Formare e realizzare un nuovo concept di imprenditore pizzaiolo, che sappia porsi sul mercato con competenza tecnica e capacità organizzativa. Il metodo di insegnamento mira a coniugare spunti teorici ed applicazioni pratiche, in un’ottica di confronto con professionisti di fama nazionale ed internazionale. contenuti e docenti Fondamentale il contributo dei docenti molti dei quali esterni alla scuola, di comprovata esperienza e competenza, che rappresentano, ciascuno nel proprio ambito, un riferimento di eccellenza nel panorama italiano.

lunedì 7 novembre Lo stato dell’arte sulle principali tecniche di impasto in pizzeria secondo Scuola Italiana Pizzaioli. martedì 8 novembre A confronto con un tecnologo alimentare specializzato in molitura e sfarinati con Mirko Passuello. mercoledì 9 novembre Un esperto panificatore ci insegna quali impasti avvicinano il mondo della pizza e della panificazione. giovedì 10 novembre Pizza Gourmet: come ottenere una pizza buona, di alto livello qualitativo ma equilibrata. Con la Dott.ssa Marisa Cammarano, Biologa Nutrizionista, accompagnata dallo Chef Executive Rudy Speranzoni per le preparazioni e le ricette. giovedì 11 novembre Marketing e Social Network nel settore della Ristorazione. Con Giuseppe Vignato, Consulente di Marketing e Orientamento d’Impresa.

metodologia didattica Le lezioni a valenza pratica, con dimostrazioni ed esercitazioni a carattere individuale, si svolgeranno ne rinnovato laboratorio attrezzato ad uso professionale presso la Sede di Scuola Italiana Pizzaioli. materiale didattico Durante il corso i docenti forniranno agli studenti materiali didattici specifici relativi ai diversi settori disciplinari. A ciascun iscritto inoltre un Kit della scuola con la divisa del corso. attestato Il corso prevede il rilascio di un attestato di partecipazione al corso. costo: 2.000,00 EURO + IVA info ed iscrizioni: Per maggiori informazioni ed iscriversi al corso è possibile visitare la pagina “corsi avanzati” del sito scuolaitalianapizzaioli.it o chiamare lo 0421 83148 info@scuolaitalianapizzaioli.it


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i nostri corsi prenotazioni 0421.83.148 — oppure dal sito internet: www.scuolaitalianapizzaioli.it

Sede nazionale CAORLE

Lo Staff della Scuola responsabile didattica e coordinamento attività:

certificato n. it11/0050

responsabile area tecnica:

David Mandolin

Graziano Bertuzzo

coordinamento e segreteria: Patrizio Carrer, Caterina Orlandi, Donatella Dorigo, Cristina Mandolin

info@scuolaitalianapizzaioli.it

tel. 0421.83.148

CORSI BASE IN PARTENZA

dal 17 al 21 ott. dal 14 al 18 nov. dal 12 al 16 dic.

CAORLE er Ma s tt t or E u r t s I PFC

info

0421.83.148

abile s n o p s e R area tecnica

er Ma s tt t or e u r t s I PFC

info

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0421.83.148

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GRAZIANO BERTUZZO

MAURO PASINI

ANGELO SILVESTRINI

Altre sedi PADOVA

COMO

C/O SIRMAN S.p.a CORSI BASE IN PARTENZA

dal 10 al 14 ott. dal 28 nov. al 2 dic.

er Ma s tt t or e I s t r uF C P

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CORSI BASE IN PARTENZA

dal 14 al 18 nov. dal 28 nov. al 2 dic.

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dal 21 nov. al 2 dic.

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06.56.99.232 347.49.68.426

GIANLUCA PROCACCINI

PISTOIA - C/O PALA PIZZA GIMETAL ter M a st t o r e I s t rPuF C

CORSI BASE IN PARTENZA

dal 17 al 21 ott.

ter M a st t o r e I s t rPuF C

ter M a st t o r e I s t rPuF C

dal 14 al 18 nov. dal 5 al 9 dic. info

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Puglia, Basilicata, Sicilia, Calabria

BARI - ALBEROBELLO - C/O CORSI IN PARTENZA

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info: tel. 080.246.1249 / e-mail: info@istitutoeccelsa.it

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dal 3 al 7 ott. dal 21 al 25 nov. dal 28 nov. al 10 dic.

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Anche in caso di nuove sedi, l’affiancamento iniziale dei nostri Master Istruttori garantisce che il metodo di insegnamento e l’attenzione alla qualità complessiva dei corsi sia la stessa che si può riscontrare sul mercato italiano.

Qualora foste interessati all’apertura di Scuola Italiana Pizzaioli in un paese estero, e ritenete di avere le qualifiche adeguate, potete contattare il nostro staff per un colloquio conoscitivo.

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