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L’acqua
Bene prezioso e maltrattato
Alberto Sordi
Indimenticabile ed inimitabile Nu
Periodico d
’approfondimento culturale, politico ed attualità
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Press Italia REGIONI Numero UNO | anno 2008
Supplemento al N. 615 di pressitalia.net Registrazione Tribunale di Perugia n. 33 del 5 maggio 2006 Diffusione via Web
Direttore Editoriale Mauro Piergentili Direttore Responsabile Alberto Cappannelli Progetto Grafico Mauro Piergentili Redazione Giulio Rosi, Paola Pacifici, Mauro Boschi, Gian Giacomo Bei, Maria Annunzia Selvelli, Matteo Scandolin, Franco Baccarini, Aldo Rondoni, Marco Carbone, Maria G. Nuti
L’EDITORIALE di Giulio Rosi
Il 2008 è cominciato all’insegna della “mondezza”. In tutto il mondo, le televisioni hanno rigirato impietosamente il coltello nelle nostre ferite, descrivendo l’Italia come un paese sommerso dai rifiuti. Ovviamente non è vero, la zona interessata è minima, ma lo spettacolo devastante dei cumuli di sporcizia lungo le strade di Pianura, non ha certo contribuito a dare una immagine edificante della nostra civiltà. È semplicemente assurdo sapere che centinaia di netturbini vengono pagati da molti anni per non fare niente. È scandaloso pensare che i soldi delle tasse, che tutti i cittadini pagano spesso con sacrificio, siano finiti nelle casse del più bieco clientelismo senza che nessun giudice, neppure quelli normalmente si scatenano per apparire in televisione, abbia sentito il dovere di bloccare la situazione che ha ridotto un intero paese in una fogna infettiva a cielo aperto. Come si sia potuta accumulare tanta schifezza col beneplacido dei politici locali e nazionali non riusciamo a spiegarcelo. Si parla di un impossibile smaltimento, di tempi lunghi, di provvedimenti drastici e di spese, tante spese, troppe spese che forse non risolveranno il problema. Perchè ogni giorno l’accumulo aumenta. Di fronte alle dimensioni di questo disastro ci domandiamo cosa potrà fare un commissario come Gianni De Gennaro, uomo di grande spessore, ma ancora poco pratico di miracoli. Troppo tardivo il recupero del bravo Guido Bertolaso, ignorato dai politici quando cercava di porre dei provvedimenti in tempo. Adesso poi è arrivato l’Esercito, l’onesta panacea delle malefatte altrui. A parte il fatto che per smaltire le montagne di rifiuti occorrono anni e miliardi di euro, perchè i camion pagati dai contribuenti si stanno arrugginendo ed i netturbini rimangono con le braccia incrociate? E ancora, perchè non si puniscono i colpevoli di questa sciagura? La vicenda, fatte le debite differenze, ci ricorda il disastro di Cernobyl, causato dall’incuria. Ma quello era un paese comunista, totalitario, dove l’essere umano non vale niente. Noi, almeno a quanto vogliono farci credere, siamo una democrazia. O no?
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Terza Pagina HA SESSANT’ANNI E UN PO’ LI DIMOSTRA L’ANNIVERSARIO E LA STORIA DELLA NOSTRA “CARTA MAGNA” L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. Chi non ricorda l’articolo uno della nostra Costituzione? Quest’anno la nostra “carta magna” compie 60 anni e in parte li dimostra. La sua storia è recente e lontana nello stesso tempo. Nel 1946 si stabillì che il popolo si sarebbe espresso sulla forma istituzionale dello Stato con un referendum. Il Governo di allora, guidato da Alcide De Gasperi, fissò come data delle consultazioni il 2 Giugno 1946, contemporaneamente all’elezione dei componenti dell’Assemblea Costituente. Il primo di luglio 1946 l’Assemblea Costituente elesse il primo Capo Provvisorio dello Stato: Enrico De Nicola e scelse, in proporzione alla consistenza numerica dei primi partiti, i rappresentanti della commissione incaricata di progettare la Costituzione. Il progetto definitivo fu presentato e il 22 Dicembre 1947 l’assemblea lo votò a scrutinio segreto.Cinque giorni dopo il Capo dello Stato promulgò ufficialmente la Costituzione della Repubblica e questa entrò in vigore il 1º Gennaio 1948. Da quel momento inizia la nostra storia moderna, guidata dalla madre di tutte le altre leggi, codici, regolamenti, e normative che oggi regolano, bene o male, il civile convivere. Ma anche le madri disgraziatamente invecchiano. La Costituzione è frutto del nostro passato, una precisa registrazione degli eventi e dei fatti del nostro vissuto sociale, è la sua sintesi abilmente esauriente e pertanto in essa è racchiusa la nostra identità; è la casa comune che ha consentito al popolo italiano negli ultimi cinquant’anni di affrontare e superare le tempeste storiche, salvaguardando nell’essenziale la pace, la libertà, i diritti fondamentali degli individui e quelli delle comunità. Essa ha contribuito a formare l’identità nazionale, per cui oggi non è possibile pensare al popolo italiano separato dai suoi istituti di libertà, dal grande pluralismo dei corpi sociali, dalla distribuzione dei poteri, dalla partecipazione popolare, da
quella passione per il bene pubblico che tuttavia, osservanco i degradanti fatti dell’immondizia partenopea, sicuramente necessita di alcuni aggiustamenti per poter diventare un ideale sentito da tutta la popolazione. Ma come tutte le medaglie, anche la Costituzione presenta un’altra faccia: quella del deterioramento cronologico. Quando venne scritta si usciva da una dittatura e le eccessive esigenze di protezione erano legittime. Attualmente però non sono pochi coloro che ne chiedono un doveroso adeguamento alle realtà del Paese. Da un lato si prende drammaticamente atto del progressivo distacco della Classe Politica dalla realtà della Nazione, dall’altro la maggior parte dei cittadini onesti e preoccupati per le sorti dell’Italia, si rende conto che è impossibile risolvere solo attraverso le
elezioni la situazione del Paese. Attualmente sono in molti a pensare che una intelligente riforma costituzionale potrebbe essere l’arma democratica ideale nelle mani dei cittadini, a patto che questi la facciano propria, attraverso un referendum, come hanno dimostrato con mezzi indubbiamente più drastici e poco adatti alla nostra mentalità, le rivoluzioni americane e quella francese. Se lasciano questa possibilità alla classe dirigente il destino è segnato, perchè le classi dirigenti, come è spiegato nel famoso libro “La Casta”, tendono solo a perpetuare se stesse sperperando allegramente i soldi dei cittadini. Il tutto all’ombra e alla faccia della povera Costituzione, umiliata e sottomessa da coloro che per primi la dovrebbero difendere e rispettare. ■ Mauro Piergentili
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Regioni L’ABRUZZO APRE AL MERCATO DEL BRASILE
DUE AGENZIE DI PROMOZIONE TURISTICA ED ENOGASTRONOMICA
A marzo 2008 si terrà l’inaugurazione delle due agenzie di promozione turistica ed eno-gastronomica dell’Abruzzo, che la Feabra (Federazione della associazioni di abruzzesi del Brasile) aprirà nello stato di San Paolo: una nella centralissima Avenida Estados Unidos, a due passi dall’Avenida Paulista, la “Wall street” dell’America latina, sede di banche, multinazionali del nostro Consolato e della Camera di commercio italo-brasiliana; l’altra a Ribeirau Preto, a 300 chilometri dalla capitale economica del Brasile e dell’intero continente sudamericano. La sede a San Paolo, con vetrine sull’avenida, sarà soprattutto agenzia di promozione turistica dell’Abruzzo, con annesso show-room e sala degustazione dei nostri prodotti eno-gastronomici. La sede nell’interno della stato paulista sarà, invece, più centro operativo
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al servizio dell’esportazione, disbrigo pratiche burocratiche e commercializzazione dei produttori agro-alimentari e vitivinicoli abruzzesi. Questo progetto-pilota, proposto dal presidente della Feabra, Franco Marchetti, imprenditore aquilano emigrato in Brasile 20 anni fa, è stato approvato dal Cram-Servizio Emigrazione della Regione Abruzzo e dall’Assessorato regionale all’Agricoltura. La proposta della Feabra è la prima risposta alla più importante, dal punto di visto economico, delle linee guida tracciate dal presidente del Cram, Donato Di Matteo al Consiglio regionale degli abruzzesi nel mondo, di cui Marchetti è componente in rappresentanza del Brasile insieme a Rita Blasioli Costa (originaria di Manoppello) che nel più grande e importante stato dell’America latina è anche presidente dell’InterComites. Di
Matteo alla prima riunione del Cram a Turrivalignani (Pescara) del febbraio 2006 indicò che era diritto e dovere, sia degli abruzzesi emigrati (circa 1,3 milioni, tanti come quelli residenti in regione) sia della Regione, di sfruttare finalmente appieno la rete delle nostre Associazioni e Federazioni in Italia e all’estero e realizzare qualcosa di concreto a sostegno del turismo in Abruzzo (non solo quello di ritorno) e promuovere all’estero il territorio, la sua cultura e soprattutto la sua eno-gastronomia. In passato, ha più volte ricordato Di Matteo, la Regione non ha mai colto il desiderio spontaneo dai nostri emigrati nel mondo di voler essere, oltre che “ambasciatori” anche “rappresentanti” del prodotto Abruzzo in tutte le sue peculiarità, davvero uniche in Italia ma, al tempo stesso, poco conosciute in un mondo che, ancora oggi, “non sa dove sia la nostra regione nella Penisola”, come lamentano i nostri corregionali all’estero, che sono da sempre i primi consumatori e promotori del “made in Abruzzo”. Già diverse Associazioni e Federazioni di abruzzesi nel mondo si sono prenotate per aprire altrove le agenzie “Abruzzo” (Canada, Australia, Argentina, Rho-Milano, Svizzera e Spagna). La priorità occupazionale sarà data ai giovani brasiliani di origine abruzzese. La Feabra ha inviato in Abruzzo Rafael Petrocco e Juliano Prado, due giovani italo-brasiliani che hanno così potuto conoscere i principali percorsi turistici e rappresentato la Feabra all’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università di Teramo insieme alla professoressa Maria Cristina Prando. Nell’ultimo giorno, accolti dall’amministratore dell’azienda Pierluigi Francini, responsabile anche di Confindustria Abruzzo, hanno fatto visita al nuovo stabilimento della “Luigi D’Amico”, produttrice del famoso Parrozzo e di altre specialitá abruzzesi. Ovviamente hanno visitato tutti i parchi con la collaborazione dell’abate di Pescasseroli, padre Romolo Mariani, abruzzese e già missionario per molti anni in Brasile. ■ Gian Giacomo Bei
Regioni NON CRIMINALIZZIAMO LA CALABRIA UN DEPUTATO CONTRO LE GENERALIZZAZIONI DEVASTANTI Il Los Angeles Times continua nel trend - che è diventato quasi una moda dei media americani - di raccontare negativamente il nostro Paese, e in questo caso mettendo nel mirino addirittura un’intera regione, la Calabria, come terra di illeciti e di corruzione. Un articolo a tre voci da Gioia Tauro, intitolato non a caso “Little-known mafia is cocaine king” del 27 dicembre, racconta il traffico della cocaina e del primato mondiale - secondo loro - della ‘Ndrangheta in questo business illegale. A questo proposito, il deputato Massimo Seracini, eletto nelle liste UDC per il Nord e Centro America, ha rilasciato via Inform la seguente dichiarazione:” Non devo, non posso e non voglio entrare nel merito delle accuse e delle dichiarazioni riportate nell’articolo, ma intendo esprimere un commento da cittadino italiano emigrante e da uomo pubblico, che rappresenta con orgoglio negli Stati Uniti i valori della nostra democrazia per lo scudo crociato. La nostra millenaria italianità - ha precisato il deputato - nella quale quella calabrese spicca per il suo storico contributo, non puo’ essere offesa da un resoconto giornalistico caricaturale da film hollywoodiano alla spaghetti western, che descrive la ‘Ndrangheta come: “una misteriosa e spietata rete di 155 famiglie radicata nelle colline selvagge della Calabria”. Il parlamentare ha ribadito che la Calabria non sta nell’ Arizona dei senza legge, ma nella Magna Grecia, nella culla della civiltà, che nell’ottavo secolo prima di Cristo era il centro culturale da cui e’ partita la civilizzazione del mondo moderno. La Calabria e l’Italia non devono essere criminalizzate e raccontate con questa superficialità giornalistica che infanga tutto e tutti e sorvola apposta il vero problema dell’uso della droga, che è il vero catalizzatore dei traffici illeciti e non viceversa. “Spero ardentemente - ha puntualizzato Massimo Seracini che il mio sdegno sia condiviso dai due calabresi doc eletti a rappresentare nel Parlamento i cittadini italiani residenti nell’America Centrale e Settentriona-
le: il Senatore Turano, che addirittura e’ anche un portavoce ufficiale della Regione Calabria in USA, e l’onorevole Bucchino, perché l’onore della Calabria e dell’Italia non può essere offeso e calpestato in questa maniera scandalistica”. Secondo Massimo Seracini, chi ha responsabilità pubbliche ufficiali come loro, deve uscire allo scoperto e condannare questo metodo infamante di raccontare un popolo che ha tanto contribuito, con le sue braccia prima e con i suoi premi Nobel dopo, al benessere e alla crescita di questo grande Paese che ci ospita, ma che non ha ancora imparato a rispettarci, come tutta la storia dell’emigrazione italiana negli Stati Uniti dal 1890 in poi dimostra. L’illegalità e la criminalità vanno sempre condannate - afferma Seracini - ma, come è scritto in tutti i codici,
la responsabilità penale è individuale e non collettiva. “Criminalizzare la Calabria per le colpe di alcune sue “mele marce” - sostiene il parlamentare itaiano - è un esercizio giornalistico al massacro, che penalizza milioni di persone e una parte splendida dell’Italia, che non si deve accettare come italiani, perché ingiusto, immorale e soprattutto stupido”. La protesta assume più rilevanza, alla luce di una vecchia denuncia dell’Osservatorio sulla Legalità e sui Diritti, un organismo onlus internazionale, circa le attività della Compagnia statunitense Air America, che secondo l’osservatorio veniva usata per trasportare droga nel sud-est asiatico. Un traffico di cui erano a conoscenza gli alti poteri. Se questo era vero, altro che folclore mafioso calabrese! ■ Maria Annunzia Selvelli
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Regioni ITALIA, CANTO E MUSICA A CHICAGO CON
L’ACCADEMIA VENETA VOCE ARTE
I grandi progetti nascono piano piano, ma quando si concretizzano rivelano la loro grandezza. Ed è un progetto davvero ambizioso quello che l’Accademia Voce Arte e Comunicazione di Riese Pio X (Treviso) accarezzava da tempo: quello di offrire ai propri allievi un soggiorno di studio presso la prestigiosa Northern Illinois University di Chicago, università dove si è preparata la cantante americana Cheryl Porter, da tre anni docente presso la scuola fondata da Diego Basso alla quale è legata da un rapporto esclusivo. Saranno numerosi gli incontri musicali programmati nell’aprile 2008 a Chicago, per i talenti dell’Accademia di Riese: due settimane intense di apprendimento e di concerti per aprirsi ad un’esperienza internazionale di assoluto prestigio.Lo annuncia felice la
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stessa Porter, che in questi giorni sta ultimando la realizzazione di ben tre nuovi CD (che si aggiungono alle decine da lei già incisi) e si sta apprestando ad una stagione natalizia di concerti che conterà una trentina di appuntamenti con la sua voce potente ed ispirata. “Sono legata all’Accademia di Diego Basso oramai da tre anni spiega - e sono stati molti i bei concerti e le belle esperienze che ho realizzato con gli allievi dei miei workshop di total voice, nei quali abbiamo lavorato sempre sulle caratteristiche personali, stimolando ogni partecipante ad una migliore comprensione di sé stesso osservando le caratteristiche degli altri, e a rafforzare la motivazione personale nel conseguire il proprio obbiettivo”. Esperienze raccolte in cd realizzate dagli stessi allievi, alcuni dei quali nel
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COMUNICAZIONE
frattempo hanno intrapreso una carriera professionistica nel mondo della canzone, che la cantante americana ora vuole rafforzare con questo nuovo appuntamento a Chicago. “Era da tempo che con Diego accarezzavamo l’idea di portare l’Accademia a Chicago prosegue la cantante - ed ora finalmente possiamo annunciare che nell’aprile 2008 intraprenderemo questo viaggio nel cuore della musica afroamericana, viaggio che ho già iniziato a Riese Pio X con il coro gospel Singing in the Spirit”. Altro progetto ambizioso il master “Voci d’estate” che il celebre basso americano Myron Myers terrà proprio a Villa Eger, sede dell’Accademia, nel mese di luglio quale corso internazionale di perfezionamento in canto lirico con cantanti professionisti ed emergenti provenienti da tutto il mondo (iscrizioni già giunte da Israele, Brasile, Usa, Spagna, Germania e Austria): stage che si concluderà con un grande concerto dei partecipanti accompagnati dall’Orchestra Filarmonia Veneta.Grazie alla trascinante personalità di Cheryl Porter, quindi, e all’accurata preparazione dei suoi giovani talenti, l’Accademia Voce Arte e Comunicazione diventa sempre più internazionale, come sottolinea Diego Basso “Abbiamo la fortuna di poter contare di alcune insegnanti davvero straordinarie, come Cheryl Porter ma anche come Enrica Bacchia, Liliana Tami, Sonia Fontana e Giulia Tomasi, nonché l’attrice Gloriana Ferlini e la coreografa Anna Larghi , che portano quotidianamente le loro importanti esperienze internazionali ai nostri studenti per dare alla nostra scuola una dimensione sempre più internazionali. La trasferta a Chicago ed il master internazionale che ospiteremo nel 2008, saranno insomma il sigillo d’eccellenza sulla nostra attività realizzata con grandi docenti e grande attenzione verso gli studenti, le loro esigenze e le loro caratteristiche”. ■ Maria Giulia Nuti
Personaggi L’INDIMENTICABILE E INIMITABILE SORDI
È STATO UN’AUTENTICA OPERA D’ARTE DEL CINEMA ITALIANO Ogni occasione è buona per ricordare il grande Alberto Sordi, una autentica opera d’arte nela storia del cinema italiano. L’inizio dei un hovo anno ce ne offre lo spunto. L’Albertone nazionale, uno dei più popolari attori del cinema italiano, è nato a Roma il 15 giugno 1920 dal direttore d’rchestra Pietro Sordi e dall’insegnante Maria Righetti. Nel corso della sua carriera ultracinquantennale ha recitato in circa 150 film. La sua avventura artistica è cominciata con alcuni programmi radiofonici popolari e lavorando come doppiatore. Sin dal 1936 affronta diversi campi dello spettacolo: fantasista, comparsa in alcuni film, imitatore da avanspettacolo, boy di rivista e appunto doppiatore. In quegli anni vince il concorso della MGM come doppiatore dell’allora sconosciuto “Ollio” americano, caratterizzandolo in modo inconfondibile con la sua originalissima voce e cadenza. Nel 1942 è il protagonista de “I tre aquilotti”, di Mario Mattoli e nel frattempo si afferma sempre più nel mondo della rivista di varietà, di gran lunga lo spettacolo teatrale più seguito dagli italiani anche negli anni drammatici e tristi della guerra. Nel 1943 è al “Quirino” di Roma con “Ritorna Za-Bum”, scritto da Marcello Marchesi con la regia di Mattoli. L’anno dopo segue il debutto al “Quattro Fontane” con “Sai che ti dico?”, sempre di Marchesi con regia di Mattoli. Successivamente prende parte alla rivista “ImputatiSalziamoci!” di Michele Galdieri ed il suo nome appare per la prima volta in grande nei manifesti dello spettacolo. Il suo debutto nel mondo della televisione risale al 1948, quando, presentato alla neonata Rai dalla scrittrice Alba de Cespedes, conduce un programma di cui è anche autore, “Vi parla Alberto Sordi”. Con l’occasione incide anche per la Fonit alcune canzonette da lui scritte, tra cui “Nonnetta”, “Il carcerato”, “Il gatto” e “Il milionario”. Grazie a queste esperienze ha dato vita a personaggi che sono la base primaria della sua grande popolarità e che gli permettono d’interpretare “Mamma mia, che impressio-
ne!” (1951) di Roberto Savarese. Il 1951 è anche l’anno della grande occasione, del salto di qualità. Passa dalla dimensione delle riviste e dei film leggeri a caratterizzazioni più importanti, soprattutto considerando quelle a fianco di un grande Fellini. Sordi è ormai una star, un vero e proprio mattatore del box-office: solo nel ‘54 escono tredici film da lui interpretati, fra cui “Un americano a Roma” di Steno, nel quale reinterpreta Nando Moriconi, lo spaccone romano con il mito degli Stati Uniti. Sempre nel ‘54 vince il “Nastro d’argento” come miglior attore non protagonista per “I vitelloni”. Successivamente, Sordi darà vita ad una galleria di ritratti quasi tutti negativi, con l’intento di tratteggiare di volta in volta i difetti più tipici ed evidenti degli italiani, a volte sottolineati con fare benevolo altre volte invece svi-
luppati attraverso una satira feroce. Nel ‘66 Sordi si cimenta anche come regista. Ne scaturisce il film “Fumo di Londra”, che si aggiudica il “David di Donatello Ma Sordi è stato un grande e ha potuto esprimere il suo poliedrico talento anche nell’ambito del cinema drammatico. Una prova famosa per intensità è quella di “Un borghese piccolo piccolo” che gli valse l’ennesimo “David di Donatello” per l’interpretazione. Nel 1994 dirige, interpreta e sceneggia, insieme al fedele Sonego, “Nestore - L’ultima corsa”. Ha avuto molti riconoscimenti assegnati anche da istituzioni accademiche, con due lauree “honoris causa” in Scienze della Comunicazione. Scompare all’età di 82 anni il 25 febbraio 2003 nella sua villa di Roma, lasciando un grande vuoto nel cinema e le costume italiano. ■ Andrea Rosi
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Cultura QUESTA IN BREVE LA MASSONERIA MA PER CAPIRLA BENE OCCORRE CONOSCERE LE SUE ORIGINI
Le origini della massoneria sono uno dei problemi più discussi e discutibili in tutto il campo della ricerca storica. Per la verità, se si vuole comprendere esattamente che cos’è la massoneria, la questione delle origini non può essere ignorata. La risposta esoterica al bisogno di risolvere le contraddizioni della società pluralista nascente, si rivela nel modo più caratteristico nella nascita della leggenda dei Rosacroce, secondo cui il “nucleo segreto” che sta dietro alle diverse religioni – e le unifica – sarebbe stato noto fin dal Medioevo a una confraternita di iniziati. Tra i numerosi luoghi dove molti che si appassionano alla leggenda nel Seicento cercano i Rosacroce, ci sono anche – specie in Inghilterra e in Scozia – le antiche corporazioni di arti e mestieri, che stanno perdendo la loro importanza economica, ma conservano un ricco corpus di simboli e di leggende. La corporazione dei liberi muratori – freemasons in inglese; franc maçons in francese; da cui poi gli italiani frammassoni e massoni – che comprende i lavoratori della costruzione dai muratori agli architetti, ha un leggendario rigoglioso ispirato a costruzioni famose dell’antichità, dall’arca di Noè al tempio di Salomone. Non potrebbero
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trovarsi in questa corporazione – si chiede qualcuno – i segreti dei Rosacroce? Nobili e borghesi appassionati di esoterismo e di misteri rosacrociani si fanno così ricevere, pagando il dovuto, nelle “logge”, che però sono una espressione più recente, della corporazione dei “liberi muratori”, pur non essendo né architetti né muratori. Il fenomeno – che secondo studi recenti di David Stevenson sarebbe iniziato in Scozia negli ultimi anni del Cinquecento – alla fine del Seicento è così diffuso che ormai in Gran Bretagna non è più sufficiente parlare di freemasons o masons: occorre specificare se si tratta di massoni “operativi”,cioè lavoratori della vecchia corporazione, oppure “accettati” , cioè esoteristi che sono entrati nelle logge alla ricerca di segreti rosacrociani, ovvero curiosi che si fanno “accettare” per ragioni sociali o passione antiquaria per le tradizioni corporative. L’espressione “speculativi” si affermerà nei primi decenni del Settecento per indicare i non “operativi” che hanno aderito alle logge per ragioni esoteriche e filosofiche culturalmente impegnative e distinguerli dagli “accettati” che sono mossi da semplici motivi di curiosità o sociali. Che cosa trovano nelle logge della
corporazione muratoria gli “accettati” e gli “speculativi”? Forse meno di quello che si aspettano. In Inghilterra le organizzazioni locali “operative” erano chiamate nel Medioevo misteres, parola che più tardi – trascritta in mystery, “mistero” – comprensibilmente emozionerà gli esoteristi. Ma in realtà la parola inglese arcaica mistere era una semplice corruzione dell’italiano “mestiere” - termine che evidenzia l’importanza dell’Italia per l’attività dei costruttori - e dunque non faceva allusione a nessun “mistero” occulto. Gli elementi decisivi per la formazione del successivo rituale “speculativo” che si trovavano nella massoneria “operativa” britannica erano sostanzialmente due. Da una parte vi era un corpus di leggende contenuto nelle cosiddette “Costituzioni manoscritte della massoneria”, i cui testi principali sono due manoscritti, Halliwell (più conosciuto come Regius) e Cooke, che risalgono agli anni 1390-1410. Questi manoscritti contengono due diverse leggende sulle origini della muratoria: una più antica – che è stata chiamata la “storia antica breve” – e una più recente, la “storia nuova lunga”. ■ Giulio Rosi
Cultura VI INSEGNIAMO A LEGGERE IL COLOSSEO CURIOSANDO FRA I BUCHI, GLI ANFRATTI E I FAMOSI FINESTRONI L’avete mai notato? La superficie esterna del Colosseo è cosparsa di buchi. Sull’origine dei numerosi fori, che derivano in realtà dalla antica presenza di raccordi metallici la cui funzione era quella di tenere uniti i blocchi di travertino, sono state date innumerevoli spiegazioni L’area dove è attualmente situato il Colosseo all’inizio doveva essere immaginata come una valle racchiusa tra i colli della Velia, Palatino,Celio, Oppio, e Fagutale ed era attraversata da un corso d’acqua che correva in direzione del Tevere lungo un percorso che segue grosso modo l’attuale via di San Gregorio. E’ stato possibile ricostruire l’aspetto originario,modificato prima da Nerone e in seguito dai Flavi, grazie agli scavi effettuati anche negli ultimi anni che hanno portato alla luce resti della monumentale fontana conosciuta come la Meta Sudans e i resti delle terrazze e dei portici fatti costruire da Nerone intorno a un laghetto artificiale conosciuto come lo Stagno di Nerone e al centro della sua ricca e fastosa residenza oltre a reperti ancora più antichi. Primi esempi di impianti stradali sono da datare alla fine del VI secolo a.C. quando venne effettuata la bonifica del corso d’acqua che lambiva la Velia. L’attuale ingresso del Colosseo è situato sul lato meridionale, all’altezza dell’asse minore dell’anfiteatro. Lo stato di conservazione della cavea e la piena visibilità dei sotterranei dell’arena (all’epoca coperti da una pavimentazione lignea), non danno la possibilità di ridare un’immagine realistica dell’edificio, ma danno in cambio un aiuto a comprendere come fosse strutturato il sistema dei corridoi e dei passaggi interni. I quattro livelli esterni corrispondono internamente ai diversi settori delle gradinate. I due ingressi monumentali situati sull’asse minore era destinati alle autorità politiche e conducevano a due pulpiti centrali dei quali sfortunatamente non è rimasto niente; per il pubblico esisteva tutta una serie di percorsi obbligati, ripetuti simmetricamente nei singoli quadranti della cavea. Il primo settore
era destinato ai senatori. La vicinanza all’arena favoriva la vista per gli spettacoli, ma portava notevoli rischi per gli illustri spettatori presenti; per evitare possibili incidenti venne costruita un’alta e robusta transenna lungo il bordo dell’arena.Tra il muro del podio e il bordo dell’arena si aprivano ventiquattro nicchie, rivestite di cocciopesto e con pavimentazione in travertino. Il sistema di raccolta e canalizzazione delle acque porta a supporre che queste nicchie fossero latrine. Sul lato dove è situato l’attuale ingresso, oltre una cancellata si possono vedere delle strutture appartenenti a un passaggio sotterraneo che è ricordato dalle fonti come il luogo del tentato e bieco assassinio dell’imperatore Commodo. Il terzo settore è raggiungibile da rampe di
scale molto ripide, situate in posizione diametralmente opposta rispetto a quelle che davano accesso al secondo settore; questo settore era a sua volta diviso in due fasce dette imum e summum, ed aveva il maggior numero di posti a sedere. L’ultimo settore era formato da strutture in legno e coronato da un portico di ottanta colonne con capitelli corinzi e compositi. Il complesso sistema di rampe e passaggi permetteva afflusso e deflusso, garantendo il rispetto della distribuzione dei posti strutturati per fasce sociali. Per chi lo visita oggi, il Colosseo appare come un magnifico rudere pieno di incavi e di vuoti finestroni, con la fascia esterna mozzata in senso obliquo. Per vederlo com’era veramente basta chiudere gli occhi. E sognare. ■ Maria Vitali
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Cultura FRA LE BELLE ICONE DI FRASCINETO QUATTRO
SECOLI
DI
Il Museo è sorto in Frascineto, Cosenza, per volere dell’ Amministrazione Comunale guidata dall’ingegner Domenico Braile che ha reso fruibile al pubblico la ricca collezione dell’Archimandrita Paolo Lombardo, nonché la raccolta del professor Gaetano Passarelli, della dottoressa Lucilla Del Guercio, del signor Manolis Anghelakis, dell’ingegnerMario Tazzi e del signor Antonio Panaiotis Ferrari. Il Museo, punto di forza e di eccellenza della cultura Bizantina in Calabria, rappresenta un polo di attrazione culturale dedicato all’arte, alla spiritualità, alla storia ed alla liturgia bizantina, pertanto riunisce conoscenze strettamente legate all’ambiente circostante italo-albanese di tradizione bizantina. Il percorso interno è articolato sui vari livelli dell’edificio. Il primo introduce nel mondo bizantino, nel secondo sono esposte le icone. Non mancano particolarità e pezzi rari. Il percorso esterno permette di vedere tradotte nella realtà quotidiana le conoscenze acquisite sull’icona e la tradizione bizantina. . Si possono visitare, quindi, la chiesa attigua dell’Assunta (sec. XVIII), la chiesa di San Basilio ad Ejanina e la chiesa di San Pietro, monumento nazionale (secc. X-Xl /XVII).Le icone non sono opere d’arte secondo il concetto occidentale, ma opere destinate attraverso il disegno e la simbologia dei colori a trasmettere un messaggio sacro ed essere venerate. Il loro
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LITURGIA E
SPIRITUALITÀ
raggruppamento è stato perciò fatto per tematica al fine di sottolineare il principio base dell’iconografia espresso al Concilio Niceno II (787) in cui si dice che l’arte è del pittore, ma quel che è rappresentato è compito della Chiesa. Questo perché fedeli di ambiti geografici e lingue diverse potessero cogliere quanto raffigurato pur nella varietà degli stili. La collezione di icone esposta è di oltre 250 pezzi, provenienti da varie località della Russia, Bulgaria, Grecia, Romania e Serbia. Presentano stili e maestranze diversi, fatture di alto livello e popolari. Vi sono icone da chiesa e di devozione
BIZANTINA
familiare espresse in forme e dimensioni varie. Si possono così contemplare icone semplici e popolareggianti accanto quelle impreziosite da cornici e rivestimenti metallici (rize); icone dipinte secondo la tecnica tradizionale (tempera e uovo) accanto a quelle dipinte a tecnica mista (tempera-olio); icone su legno e su smalto; di bronzo o su tela dipinta ad olio,che coprono un arco di tempo che va dal XVII agli inizi del XX secolo. Sono poi esposti paramenti diaconali e sacerdotali greci e russi cuciti negli anni ‘30 e ‘40 dal sarto, maestro Francesco Ferrari, per suo fratello, papàs Sepa, già parroco di Frascineto. Vi sono calici russi, patene, incensieri, lampade e arredi liturgici in argento provenienti dall’ambito balcanico, spesso finemente cesellati secondo le tradizioni dei vari popoli o dovuti a maestranze che operavano sotto influssi stilistici ottomani. All’ingresso del Museo sono esposte 280 medaglie celebrative di vari avvenimenti civili e religiosi essenzialmente pontificie che abbracciano vari pontificati (da Clemente XIII -1773- a Giovanni Paolo II 2005). Vi sono perciò medaglie coniate dalla Zecca dello Stato, dalla Scuola Vaticana e da rinomati laboratori italiani ad opera di grandi maestri. Si tratta di una raccolta rara e inconsueta, posta in espositori originali che permettono la visione di ambedue le facciate. Pur non avendo un legame diretto con la peculiarità del Museo, è stata esposta per arricchire il patrimonio espositivo e trasmettere lo spirito del collezionista spesso non dedito a raccolta di opere di un solo settore. ■ G.R.
Storia VIVA I POMPIERI DEL PASSATO REMOTO FIN DALLA ROMA ANTICA LOTTAVANO EROICAMENTE CON IL FUOCO L’istituzione delle prime milizie organizzate per lo spegnimento degli incendi risale al 289 a.C. (Tacito negli “Annalis”) Nel 22 a.C. Augusto istituì un corpo composto di 600 schiavi preposti alla vigilanza notturna e alla estinzione degli incendi. L’organizzazione, in seguito fu estesa portando il numero a 7000 liberti, organizzati in 7 coorti su 49 centurie ognuna guidata da un tribuno e tutte da un Praefectus Vigilum. Conseguenza del tipo del servizio effettuato presero nome di Vigiles. Nel terzo secolo presero la denominazione di Militia Vigilum. L’esistenza di guardie del fuoco è provata da un decreto di Clotario II, re dei franchi, (595); ad esse vennero affidati i compiti di sorveglianza notturna di prevenzione e spegnimento degli incendi. Ma verso la fine del secolo VIII si verificò il rapido declino anche di questa e di altre istituzioni: esso fu causato in massima parte al disinteresse e dall’ostracismo delle autorità politiche e civili del tempo. Si formarono allora delle associazioni private a carattere religioso o anche laico che annoveravano tra i loro scopi sociali il reciproco aiuto in caso di incendi. Ebbero tuttavia esistenza breve e tormentata fino a quando i regnanti del tempo, inspiegabilmente, almeno in apparenza, le proibirono con appositi editti. Pochissimi storici hanno saputo approfondire queste pagine ignorate di martirologio dei remoti antenati dei Vigili, costretti a combattere il fuoco clandestinamente. Carlo Magno (IX secolo) ripristinò le misure contro gli incendi senza ricostituire comunque un corpo speciale. Lo fece nel 1254 il re di Francia Luigi IX che organizzò dei servizi di pattuglia contro il fuoco oltre ad un corpo di militi resi più forti numericamente da Filippo il Bello. In Italia si andava organizzando in quegli anni una struttura rimasta poi celebre nel mondo e presa a modello in tutta Europa per circa due secoli ancora: il Corpo della Guardia del Fuoco di Firenze. Come in tutti i centri medioevali, i tipi urbanistici di quella città avevano favorito nei secoli bui incendi catastrofici: strade strette e tortuose e case multipia-
no in gran parte in legno avevano alimentato gravissimi sinistri che avevano minacciato più volte la sopravvivenza di interi paesi. Nel 1334 un decreto del Governo della Città di Firenze riepilogò e descrisse una organizzazione preposta alla difesa contro il fuoco che si chiamava. Nel 1416 i Magistrati della Repubblica Fiorentina emanarono lo Statuto intitolato: “De modo et forma circa extinguendum ignem in civitate Florentìae” che completava e modificava tutte le disposizioni precedenti. Non è certo che la guardia fosse dotata di macchine da incendio, almeno nei primi decenni: successivamente lo fu indipendentemente dal fatto che a questi tipi di macchinari dedicasse la sua attenzione il più grande ingegnere di tutti i tempi: Leonardo da Vinci. Infatti gli studi di idraulica lo portarono ad
occuparsi in particolare del moto dell’acqua. Dopo aver enunciato centocinquanta anni prima di Pascal il principio fondamentale della idrostatica, studiò l’idrodinamica e le sue leggi e primo fra tutti l’idromeccanica. Nel 1578 J.Besson presentò un progetto di una pompa da incendio, montato su di un carro, funzionante con sistema di compressione dell’acqua con un pistone comandato da una vite senza fine. La pompa fu successivamente perfezionata in Germania nel 1602 da Ashansen e venduta al Comune di Norimberga. Altre “macchine” per spegnere gli incendi furono studiate in varie parti d’Europa. In Francia, anche per i numerosi disastrosi incendi che devastarono Parigi tra il 1618 e 1667 venne riformato l’ufficio del Luogotente civile. ■ Mauro Piergentili
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Eventi I SOTTERRANEI DELL’UMBRIA MEDIEVALE
PERUGIA APRE AL TURISMO L’ANTICA FORTEZZA DEI BAGLIONI
La stupenda Perugia sta per celebrare un imporante avvenimento, l’apertura al pubblico della celebre città medievale che si stende nel suo sottosuolo. È la parte più interessante di un’Umbria meno nota, meno conosciuta, ma sempre presente sotto i nostri piedi. È l’Umbria sotterranea, che possiamo percorrere lungo numerosi percorsi in grado di svelarci molteplici informazioni storiche e archeologiche, che si sommano al già ricco patrimonio che abitualmente viene visitato. Partendo dal capoluogo umbro, troviamo la “Perugia sepolta” visitabile con un percorso adesso meccanicizzato che penetra e attraversa nell’edificio della Rocca Paolina, tra i resti del quartiere medievale appartenuto alla Famiglia Baglioni. La roccaforte venne fatta erigere da Paolo III Farnese nel perdiodo
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1540/43, su disegno modificato in corso d’opera di Antonio da Sangallo il Giovane come fortezza sul Colle Landone. La poderosa fortificazione fu demolita nel 1860 dopo l’annessione della città al Regno d’Italia. Oggi di quella poderosa struttura rimangono i resti del quartiere medievale con le antiche strutture abitative, alcune strade come ad esempio la Via Bagliona, cortili e piazzette, forni, botteghe e la duecentesca casa di Gentile Baglioni con la torre intatta e l’isolato di Ridolfo e Braccio Baglioni. Anche Orvieto presenta un mondo sotterraneo, “Orvieto underground”, un labirinto di cavità scavate nel corso di tremila anni nel masso su cui sorge la città. Si può conoscere l’etrusca “Velzna”, l’Ovieto medievale e rinascimentale in uno straordinario viaggio a ritroso nel
tempo. La visita guidata alla “Orvieto Underground” rappresenta, perciò, lo strumento più appropriato per entrare in contatto con questo nuovo, particolarissimo aspetto culturale di una città estremamente ricca di storia e di “gioielli” artistici. Oltre 5 chilometri di cunicoli e gallerie, più di trenta cisterne, preromane, romane e medievali, cinquecento pozzi di varie epoche formano il ricchissimo patrimonio sotterraneo della città di Todi. La datazione dell’intero sistema è riferibile al I secolo a.C., quando la città di Todi divenne prima municipium, quindi Splendissima Colonia.Differente è la natura del massiccio del Monte Cucco: estesissimi fenomeni carsici sotterranei infatti scavati per milioni di anni da imponenti corsi d’acqua animano come veri e propri mondi chiusi il cuore della montagna raggiungendo dimensioni davvero considerevoli. Narni con le strutture ipogee di San Domenico offre l’occasione per un viaggio particolare della chiesa ipogea a navata unica coperta da volta a botte, con pareti scavate direttamente nella roccia e ricoperte da intonaco affrescato; oppure nell’ambiente in pietra bianca e rosa, sede in origine del Tribunale della Santa Inquisizione. Todi, le sue Cisterne Romane di Piazza del Popolo, oltre 5 chilometri di cunicoli e gallerie, più di 30 cisterne preromane, romane e medievali, 500 pozzi di varie epoche formano il ricchissimo patrimonio sotterraneo della città. Un articolato sistema di architetture ipogee che percorrono il colle nel suo interno, creato nei secoli sfruttando in modo sapiente le caratteristiche geomorfologiche del terreno. Di suggestivo interesse è anche Amelia che con i sotterranei di Piazza Matteotti presenta dieci sale di origine romane edificate nel III secolo avanti Cristo. Il fascino di questi luoghi, mantenuti intatti nel tempo dal buio e dalla difficile accessibilità, ci fa credere che esistano molti altri luoghi sotterranei che nessuno vedrà mai. Anche se sono vicinissimi, proprio sotto i nostri piedi. ■ Paola Lungarini
Eventi ROMA, LA CAPITALE DEL BUON VINO UN
FESTIVAL
PER
Dal 29 febbraio al 2 marzo, i grandi vini arrivano nel cuore di Roma!Roma wine festival, è il nuovo evento del vino grazie al quale - nella prestigiosa cornice dello spazio etoile di piazza San Lorenzo in Lucina - cultori ed appassionati del vino, operatori della ristorazione alla ricerca di nuove etichette di pregio con cui impreziosire la propria lista dei vini, curiosi del buon gusto e del buon bere avranno l’opportunità di degustare i grandi vini italiani – e non solo - vivendo un vero e proprio grand tour dell’Italia del vino. Roma Wine Festival vede come promotori Marco Panella (l’assonanza con il nome dell’inossidabile politico abruzzese non deve trarre in inganno) - fondatore della società di comunicazione publica Ian d’Agata - e Massimo Claudio Comparini, rispettivamente direttore e vice direttore dell’International Wine Academy of Roma, esperti di vino tra i più apprezzati in Italia, collaboratori di riviste internazionali ed autori della Guida d’Agata & Comparini ai migliori vini d’Italia, quest’anno alla sua terza edizione.Un’accurata selezione delle aziende partecipanti, seguita direttamente da d’Agata e Comparini, e l’opportunità di dare visibilità ad alcuni dei territori del vino più rappresentativi del nostro paese. Sono quelle che sin d’ora si presentano come le chiavi di lettura di un successo annunciato.Grandi vini italiani, quindi, e aziende che, grandi o piccole che siano, fanno grande - per ricchezza, varietà ed eccellenza diffusa - la vinificazione italiana, saranno protagonisti assoluti della manifestazione. Il tutto con i produttori che, testimoni della passione della loro vita, presenteranno e serviranno direttamente al pubblico i loro vini migliori. Al mondo del vino ed a riconoscimento di percorsi professionali, imprenditoriali e culturali di eccellenza. Roma Wine Festival dedica anche alcuni awards: il miglior museo del vino, la migliore strada del vino, la migliore etichetta per innovazione della visual communication, il miglior contributo per la salvaguardia dei vitigni autoctoni, saranno premiati
CONOSCERE,
SCEGLIERE
domenica 2 marzo. Roma Wine Festival si distingue, anche, per una decisa vocazione internazionale.Grandi esperti del vino, quali Jean Claude Berrout – enologo, autore di vini tra i primi al mondo come il Petrus - Charles Metcalfe – co-fondatore di Wine international e co-chairmen dell’International Wine Challenge di Londra - Bernard Burtschy – giornalista ed esperto della Revue du vin de France - e grandi importatori di vino italiano come gli statunitensi Marc De Grazia e Neil Empson, parteciperanno a Roma Wine Festival, animando incontri e workshop riservati in esclusiva ai produttori iscritti alla manifestazione. E si berrà secondo le regole. L’operazione più importante è il travaso del vino in una caraffa o in un decanter. Nel caso dei vini invecchiati, è probabile che ci sia del deposito
E
DEGUSTARE
sul fondo: se risale verso il collo della bottiglia, si smette subito di versare e ol vino va rimesso nella bottiglia in verticale per farlo scendere. I vini giovani andrebbero fatti ossigenare per almeno una mezz’ora in modo da farli “aprire”, esalando tutti i loro aromi. Tutto questo e molto più, sarà presente alla grande rassegna dei vini. La vocazione internazionale di Roma Wine Festival va incontro anche al grande pubblico, cui è riservata la straordinaria opportunità - grazie alla partecipazione del Conseil dei Grand Cru di Bordeaux, che presenterà in degustazione una trentina dei loro migliori chateaux - di degustare alcuni tra i migliori vini francesi.Grande attesa, quindi, per un appuntamento da non perdere perché a Roma Wine Festival esserci fa la differenza! ■ Giancarlo Tulli
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Eventi IL FESTIVAL DEI VALORI E DEGLI IDEALI SETTIMANA DELL’AMICIZIA FRA I POPOLI A RIPATRANSONE
Procedono a ritmi serrati i preparativi della 18ª edizione dell’ “Helios Festival – settimana dell’amicizia fra i popoli”, che vedrà la Città di Ripatransone con il suo storico Teatro “Mercantini” protagonista nelle giornate del 18 e 19 Aprile, quando si concluderà con la tradizionale manifestazione internazionale. Come ogni anno collaboratori e partecipanti provenienti dalle varie regioni italiane e dalle diverse culture, si incontreranno per condividere esperienze, progetti, riflessioni sui grandi temi dell’educazione, tutto in una atmosfera serena, creativa e d’amicizia. Lo spirito è sempre la volontà di indicare ai giovani la via della non violenza, della legalità, della giustizia , della partecipazione e della pace. Lo fa attraverso gli strumenti della poesia, della musica, dell’arte, dello sport e dell’informazione. Intanto, i ragazzi delle scuole
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di ogni ordine e grado sono invitati a cimentarsi in attività didattiche e laboratori per partecipare alle sezioni del festival loro riservate. Eccole: la XVIII Rassegna Internazionale “Piccolo Poeta” diretta ai ragazzi dai 6 ai 20 anni, suddivisi di età scolare; il XVIII Trofeo al Miglior giornalino scolastico in stampa e/o online; il Trofeo alla narrativa e alla saggistica che in linea con la dichiarazione del 2008 anno dei Diritti Umani propone agli studenti delle scuole medie primarie e secondarie di cimentarsi sul tema dei “Diritti umani”; il Trofeo allo studente sportivo. Ma Trofeo Helios è anche per il Maestro d’Italia, assegnato sulla base di segnalazioni provenienti dall’Amministrazione scolastica e dalle famiglie. Il premio è assegnato per sottolineare l’importante ruolo svolto dalla scuola elementare nella formazione del ragazzo e per sottoli-
neare lo “spirito speciale” che da sempre anima il “Maestro” o “Maestra”. Com’è tradizione verranno poi assegnati anche il Trofeo Helios Marche, il Trofeo Dafne ed altri riconoscimenti a personaggi del mondo della Cultura, dell’Arte, della Musica, dello Spettacolo, dello Sport, del Volontariato e al Pianeta “Donna”. Promosso dalla Helios e dai suoi partner, il progetto è nato nel 1989, antesignano di una visione di una scuola viva, aperta al territorio e più sensibile alle istanze di una società che già si annunciava sempre più complessa. In tanti hanno sottoscritto il progetto: dal grande Carlo Bò, Senatore della Repubblica e Magnifico Rettore dell’Università di Urbino che invitava la sociologa e giornalista marchigiana Giuditta Castelli: “Continua con la stessa forza”, ai Rettori delle diverse Università Marchigiane fra le quali Camerino ha avuto un ruolo determinante; i Ministri della Pubblica Istruzione, l’Unicef nella persona del suo presidente nazionale Arnoldo Farina; Telefono Azzurro, Fai, Wwf, Croce Rossa Italiana, Filo d’Oro, Lega Ambiente, il Coni, l’Ordine dei Giornalisti, la Rai, i maggiori giornali italiani e varie emittenti radio-televisive. Scriveva nel 1992 Maria Teresa Mircoli Castagna, oggi ispettrice del Ministro della Pubblica Istruzione “L’ha capito bene le presidente Giuditta Castelli: occorre coinvolgere la Scuola nel suo insieme e la Scuola collegata organicamente alla Società, per progettare e realizzare con interventi effettivamente stimolanti, quali quello del Piccolo Poeta a partire dagli interessi reali del fanciullo, dalle sue motivazioni profonde, dai suoi bisogni di appartenenza, di identità, di autonomia, di significato. In fondo, Giuditta Castelli ci invita a riscoprire come educatori, la centralità di un linguaggio che fa parlare di cose vere, di sentimenti autentici , che fa interpellare gli uomini fra loro, in nome di quei valori culturali, ideali eterni, che accompagnano l’umanità nei suoi fermenti epocali”. Un progetto semplice ed ambizioso, ma soprattutto socialmente rilevante. ■ Giulio Rosi
Eventi UNA MUSICA CHE DIVENTA BENEFICENZA UN CONCERTO PER LA FEDE E LA GIOIA DI STARE INSIEME La quinta edizione del concerto Nazionale di beneficenza pro romitaggio di Gerusalemme organizzato dalla comunità Shalom di Palazzolo sull’Oglio - comunità fondata da Suor Rosalina Ravasio - si terrà il 12 gennaio 2008 ore 20,30 al Palatenda di Palazzolo sull’Oglio, in provincia di Brescia. Come ogni anno l’impegno e l’adesione all’iniziativa va sempre in crescendo. I volontari sono sempre più partecipi e crescono ad ogni edizione, così come gli artisti che interverranno, tra veterani e nuove partecipazioni, sono sempre più coinvolti ed entusiasti di condividere insieme questa esperienza regalando al pubblico uno spettacolo emozionale che parla con parole semplici e dirette, che parla di fede, gioia e speranza, semplicemente che parla di Gesù. Nelle precedenti edizioni non è mai mancato lo spirito di condivisione e comunità lo scorso anno hanno partecipato più di 4000 spettatori; ed anche per questa imminente data ci auguriamo che tale caratteristica domini la serata facendo accorrere tutti numerosi e pieni di desiderio di condividere con gli altri la propria fede e quale modo migliore se non attraverso la musica. Il concerto di beneficenza pro romitaggio di Gerusalemme potrebbe essere un vero e proprio festival della musica cristiana, ma è anche il festival della fede e della gioia di stare insieme.e della Solidarietà. È un momento di condivisione e di vita caratterizzato dall’apporto che gli artisti regalano con la loro musica che diventa il denominatore comune di un linguaggio universale che avvicina anche le distanze più incolmabili. E la musica non può che essere un portatore di pace perfetto per questa iniziativa dedicata al sostentamento dell’orto degli ulivi di Gerusalemme. Un messaggio universale regalato ad una terra di conflitti e diversità, un messaggio di pace e di speranza. La carrellata di artisti si presenta già ricca, anche se potrebbe ulteriormente crescere grazie alle adesioni che continuano ad arrivare. Padroni di casa, i ragazzi della
Shalom con la loro Shalom Band, una Comunità che si prefigge con lo scopo di recuperare i ragazzi dalla tossicodipendenza e dai disagi giovanili, da mesi stanno preparando questo spettacolo perché si rinnovi anche quest’anno il clima di festa delle precedenti edizioni. Non mancherà la partecipazione di alcuni tra i più storici partecipanti all’iniziativa che ogni anno ci presentano testimonianze sempre più intense e profonde come, Mons. Giovanni d’Ercole, giornalista televisivo della Rai, e Desirè presentatori della manifestazione. Quest’anno la carrellata si arricchirà anche della partecipazione di artisti nei quali la vocazione religiosa o di impegno verso il prossimo hanno caratterizzato la loro vita e l’hanno poi tradotta
in musica, in testi ricchi di esperienza e realtà della vita che ci circonda ogni giorno nel volto di chi ci sta accanto. Saranno presenti Charlie Cinelli noto cantautore bresciano Don Paolo Auricchio sacerdote-cantautore e cappellano del carcere minorile di Nisida con la sua esperienza vocazionale in mezzo ai giovani, Giancarlo Airaghi cantautore portatore di una spiritualità formata negli anni del volontariato ed il giovane Mattia Zuffellato che ha saputo tramutare la sua passione per la musica in ringraziamento per il dono della vita. Diceva Sant’ Agostino: “Cantare è pregare due volte”. Anche quest’anno il Concerto pro romitaggio di Gerusalemme suona come una preghiera. ■ Paola Pacifici
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Ambiente ADDIO PETROLIO, ECCO L’AUTO ELETTRICA NONOSTANTE I PROBLEMI TECNICI SI STA FACENDO STRADA
L’aumento del prezzo del carburante sta diventando un vero e proprio segnale di allarme. Per quanto tempo potremo fare il pieno senza dover ipotecare la casa? Ma soprattutoo, per quanti anni ancora avremo il petrolio? Stando alle previsioni, fra un paio di decenni, se non si fa qualcosa, le automobili tradizionali te le regaleranno, perchè il prezzo del rifornimento costerà più della macchina. Per accogliere preparati questi drammatici eventi, da molte parti del mondo si stanno studiando, con apprezzabili risultati, soluzioni energetiche alternative per la trazione meccanica. Quella che attualmente appare la più concreta riguarda l’auto elettrica. Ce ne sono già molte, alcune in circolazione. Ne abbiamo selta una, a caso, al solo scopo di fare dare una speranza a chi vede la fine del petrolio come la fine del mondo. Si tratta
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della Reva, un’ auto elettrica già commercializzata in Italia, che ha un’ autonomia di 80 Km e velocità massima di 65 chilometriall’ora. I consumi sono da auto elettrica, si ricarica in due ore e mezza per l’80 per cento della sua capacità con la carica rapida, ma aanche in 6 o 7 ore con quella lenta. È una quattro posti che porta due bambini posteriormente ed ha un peso di 750 chilogrammi. Con la ricarica veloce l’autonomia è di 65 chilometri. L’auto è stata garantita per 2 anni, senza alcun riferimento al chilometraggio, ma le batterie sono state garantite solo per un anno. Il motore è da 13 Kw. L’auto può circolare quando c’è il blocco del traffico, si ha l’esenzione del bollo per 5 anni e per l’assicurazione si ha il 50 per cento di sconto sulla RC, ma non tutte le assicurazioni lo praticano. Essendo omologata
per 4 posti, in verità sarebbe meglio dire due più due, può portare due adulti e due bambini, considerato pure che il peso massimo trasportabile non consente di portare quattro adulti. Inoltre percorre tranquillamente 50/60 km giornalieri e non ha problemi di riserva energetica. I prezzi di listino per la standard sono di 12.570 euro per il modello base, mentre per la versione con aria condizionata, stereo MP3 e apertura centralizzata si arriva a 14.652 euro ed a 15.780 euro per il modello lusso, arricchito da interni in pelle. Come fonte di energia dispone di 250 chilogrammi di batterie al piombo che permettono una ricarica piuttosto rapida, per questo l’auto pesa 750 chili. È garantita 3 anni e 40 mila chilometri, comprese le batterie che hanno una vita media da 3 a 5 anni. Il consumo elettrico è bassissimo e si colloca sui 1.5 centesimi di euro per kilometro.Le gomme sono molto gonfiate e il confort è basso per avere bassi consumi, diminuendo la pressione dei pneumatici aumenta l’attrito e quindi salgono i costi chilometrici. Il baricentro è basso perché le batterie sono sul pianale dell’auto e quindi la stabilità del veicolo è ottima. Si presume che con una guida sportiva si disponga di una autonomia di 60 chilometri, ma con una guida normale - su percorso urbano - i chilometri disponibili salgono ad 80. Se poi si inerisce un dispositivo detto “economy” si dovrebbe arrivare ai 100 chilometri, ma con accelerazioni lentissime. Il sistema di recupero dell’energia in frenata non dovrebbe essere molto efficiente, tanto che si parla di recupero nei rallentamenti più che nelle frenate. Il risparmio più grande sta nel combustibile, supponendo una percorrenza annuale di 10 mila kilometri si ha in cinque anni un risparmio di benzina rispetto una piccola utilitaria pari a 4000 euro, pari ad un terzo del costo della Reva. In più c’è il bollo e l’assicurazione risparmiata e tutti i vari eventuali incentivi. Ovviamente occorre fare attenzione al costo dell’energia elettrica controllando bene la bolletta Enel. ■ Guido Alessandrini Pagano
Ambiente ACQUA, BENE PREZIOSO E MALTRATTATO QUEST’ANNO È DEDICATO A QUESTA GRANDE RISORSA VITALE Il 2008 è l’anno dedicato all’acqua, una risorsa vitale per tutti e un elemento prezioso per la maggior parte della popolazione terrestre. Kofi Annan, dal suo osservatorio privilegiato di Segretario delle Nazioni Unite, scrisse che il consumo di acqua dolce si è sestuplicato tra il 1900 e il 1995 più del doppio del livello di crescita della popolazione. Circa un terzo della popolazione mondiale già vive in Paesi considerati ad emergenza idrica - questo accade quando il consumo supera del 10% il totale dell’offerta-. Se questo trend dovesse continuare, 2/3 della popolazione della terra vivrà in queste condizioni nel 2025. Per partire da una situazione fondamentale occorre esaminare i dati sul rapporto mondiale esistente fra acqua dolce e salata. Il volume totale d’acqua sulla terra è di 1.4 miliardi di Km cubi; il volume delle risorse d’acqua dolce è di 35 milioni di Km3, o il 2,5% del totale; di queste risorse d’acqua dolce 24 milioni di Km cubi o il 68,9% è sotto forma di ghiaccio e di neve permanente in regioni di montagna, nelle regioni dell’Antartico e dell’Artico; 8 milioni di Km cubi o il 30% è situato sottoterra. Questo costituisce circa il 97% di tutta l’acqua dolce che potenzialmente può essere utilizzata dagli uomini. L’acqua dolce contenuta nei fiumi e nei laghi è di 105.000 Km cubi o lo 0,3% del totale dell’acqua dolce mondiale. Il totale dell’acqua dolce disponibile per gli ecosistemi e per gli uomini è di 200.000 Km cubi d’acqua, che è l’1% di tutte le risorse d’acqua dolce e solo lo 0,01% di tutta l’acqua della terra. Si stima che ogni anno circa 502.800 km cubi di acqua evapora da oceani e mari, il 90% di quest’acqua evaporata (458.000 km cubi) ritorna direttamente negli oceani attraverso precipitazioni mentre il restante (44.800 km cubi) cade sulla terra. Per quanto riguarda l’Italia, va detto che il nostro Paese è uno tra i più ricchi d’acqua del mondo Ha una elevata capacità idrica, pari a 155 miliardi di metri cubi di disponibilità annua teorica d’acqua per usi civili e produttivi, il che significa 2700 metri cubi
per abitante. Il 97 per cento dell’acqua dolce in Italia è nelle falde acquifere, ma le irregolarità dei de flussi e inefficienze riducono questa disponibilità a 110 miliardi di metri cubi e a 2.000 metri cubi pro-capite. L’acqua effettivamente utilizzabile per tutti gli usi scende a poco più di 2.000 litri a persona al giorno. Come è noto, un italiano su due beve solo acqua minerale perché non si fida dell’acqua del rubinetto, l’Italia è prima in assoluto nel consumo pro-capite d’acqua minerale. Nel frattempo la disponibilità d’acqua diminuisce ogni anno, le località in emergenza idrica crescono di numero, i costi ed i prezzi dell’acqua sono in rapido aumento. Il 15 per cento della popolazione italiana, ossia circa otto milioni di persone per quattro mesi l’anno – da giugno a settembre - è sotto la soglia del fabbisogno idrico minimo di 50 litri di acqua
al giorno a persona. L’acqua erogata ogni anno è pari a 8 miliardi di metri cubi. Tuttavia un terzo dell’acqua disponibile in Italia si disperde dunque lungo le reti fatiscenti e corrose degli acquedotti, mentre il 30 per cento dell’acqua che entra nelle condotte idriche si perde per strada e non arriva nelle case. Anche il 40 per cento dell’acqua per irrigazione si perde lungo le tubazioni dalle sorgenti, dagli invasi alle prese e agli idranti. L’inquinamento costituisce il maggior pericolo per le riserve idriche, inoltre siamo il Paese che consuma più acqua in Europa, il terzo al mondo dopo Canada e Stati Uniti. E per finire, il riciclo e il riutilizzo dell’acqua in Italia non esistono, non sono praticati. In due terzi della terra l’acqua è un regalo divino. Se non stiamo attenti, presto lo sarà anche per noi. ■ Alessandra Bossi
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Ambiente IL FASCINO SEGRETO DELLA “MONNEZZA”
UN TERMOVALORIZZATORE NON SI DEVE NEGARE A NESSUNO
Le recenti proteste dei cittadini contro la costruzione di un termovalorizzatore vicino ai centri abitati ci riportano ad un tema particolarmente importante per il sistema della gestione dei rifiuti in Italia: la termovalorizzazione. Un termovalorizzatore è un inceneritore di rifiuti in grado di sfruttare il contenuto calorico dei rifiuti stessi per generare calore, riscaldare acqua ed infine produrre energia elettrica. L’impiego dei termovalorizzatori sembra essere una via di uscita dal problema delle discariche ormai stracolme. Pur essendo molto meno inquinanti rispetto ai vecchi inceneritori, i termovalorizzatori non eliminano in ogni caso l’emissione di diossine nei fumi di scarico dispersi nell’atmosfera circostante. Un fatto su cui concordano ormai tutti, costruttori, medici e tecnici. Basti pensare che non esiste una soglia
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minima di sicurezza per le diossine e possono essere nocive per l’uomo a qualsiasi livello di assimilazione (US Environment Protection Agency 1994). Motivo che già di per sé è sufficiente per comprendere lo stato d’animo dei cittadini e le mobilitazioni sociali in questo senso. Secondo la legge Ronchi bisognerebbe quanto più possibile recuperare materiali ma allo stato attuale si premiano i processi che impediscono il recupero dei suddetti materiali. La termovalorizzazione per assolvere al suo compito in maniera ottimale dovrebbe non precedere bensì seguire un processo accurato di raccolta differenziata che preveda ci si informi dalle industrie sulle caratteristiche che deve avere la materia recuperata per poter essere utilizzata come materia prima nei cicli produttivi (separando accuratamente il vetro dal-
la plastica, dalla carta, dall’alluminio, etc). Anche la materia destinata ai termovalorizzatori (le cosiddette ecoballe) dovrebbe avere precipue caratteristiche tali da scongiurare quanto più possibile un eventuale rilascio di sostanze nocive nell’ambiente, ma questo passaggio purtroppo in alcuni casi non avviene ancora con la necessaria trasparenza e accortezza. E’ necessario inoltre sempre procedere ad un attento esame dell’impatto sull’ambiente specifico a cui il termovalorizzatore è destinato e sulla salute dei cittadini, come dovrebbe avvenire per qualsiasi scelta di ordine pubblico. L’ubicazione degli impianti non è un problema di secondaria importanza. Prioritarie sono trasparenza e concertazione delle scelte con i cittadini del luogo. Solo in questo modo potrà avviarsi una concreta collaborazione tra cittadini e amministrazioni nella complessa gestione del sistema rifiuti. In Europa ogni ano si producono quasi 1,3 miliardi di tonnellate di rifiuti. Non si devono comunque confondere i rifiuti in generale con quelli urbani. Considerando la popolazione UE di 375 milioni di abitanti, ogni abitante in Europa produce ogni anno 527 kg di rifiuti. Rifiuti da smaltire in qualche modo. Nonostante gli sforzi nel recupero e nel riciclaggio, la discarica resta la soluzione ancora più praticata per il 54% dei casi. Il 27% dei rifiuti urbani entra nella filiera del riciclaggio o del compostaggio. Il 19% restante dei rifiuti è avviato all’incenerimento con o senza recupero di energia (termovalorizzatori). La situazione italiana: l’Italia produce ogni anno 29 milioni di tonnellate di rifiuti solidi urbani (dato 2001). La politica della gestioni rifiuti è ancora fortemente orientata alle discariche dove viene stoccato il 67,1%. Il 24,2% dei rifiuti segue altre strade (compostaggio, riciclaggio) mentre solo il restante 8,7% dei rifiuti viene incenerito tramite gli inceneritori o termovalorizzatori. Si tratta di strutture affidabili come funzionamento e insostituibili a parità di spesa e rendimento. ■ Giulio Rosi
Ambiente IL BOOM DELLE CALAMITÀ NEL 2050
RIDURRE LE EMISSIONI, È QUANTO EMERGE DAL PROTOCOLLO DI KYOTO I negoziati di Bali hanno rappresentato “un’opportunità “ unica per porre gli interessi dei poveri del mondo al centro del dibattito sui cambiamenti climatici. I Paesi industrializzati devono “dare prova di leadership” e ridurre le emissioni di gas serra entro il 2050 di almeno l’80% rispetto ai livelli del 1990. Se così non sarà , la desertificazione e le altre calamità legate al surriscaldamento rischiano di far precipitare i Paesi più poveri “in una spirale discendente”, in cui centinaia di milioni di persone verrebbero esposte “a malnutrizione, carenza idrica, rischi ecologici e perdita dei mezzi di sostentamento”. E’ il messaggio che arriva dall’ultimo Rapporto sullo Sviluppo umano dell’Undp, il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo, dall’emblematico titolo “Resistere al cambiamento climatico”. Il Rapporto viene pubblicato in un momento chiave per i negoziati relativi a un accordo multilaterale per il periodo successivo al 2012, data di scadenza dell’attuale periodo di adempimento del Protocollo di Kyoto. Con i governi che si preparano a riunirsi a Bali, Indonesia, per discutere il futuro di Kyoto, le Nazioni Unite ammoniscono il mondo “a concentrarsi” sull’impatto dei cambiamenti climatici sullo sviluppo, che potrebbe determinare inversioni di tendenza senza precedenti nella lotta alla povertà e nei settori dell’alimentazione, della salute e dell’istruzione. In base a questi elementi, la tendenza a sdrammatizzare i pericoli del cambiamento climatico deve rientrare in un doveroso esame di coscienzanfatto in poiena regola. Anche se in certi casi si registra un effettivo allarmismo. “Quello che lanciamo è un monito ad agire, e non un grido di disperazione”, ha commentato Kevin Watkins, autore principale del Rapporto e direttore dell’Ufficio di riferimento. “Lavorando insieme con determinazione”, ha argomentato Watkins, “possiamo vincere la lotta contro i cambiamenti climatici”, sottolineando che “permettere che la finestra temporale a disposizione per risolvere il problema si chiuda, sarebbe un fallimento
morale e politico senza precedenti nella storia dell’umanita’”. Il Rapporto propone anche un mix di tasse sulle emissioni, sistemi più rigorosi di contenimento e scambio di quote di emissioni, la regolamentazione del settore energetico e una cooperazione internazionale a sostegno del trasferimento di tecnologie a basso impatto. L’approccio al problema, dunque, per gli esperti dell’Undp dovrebbe essere a “due binari”: da una parte una mitigazione “mirata a contenere il riscaldamento nel Ventunesimo secolo entro i due gradi”, dall’altra una cooperazione “rafforzata” sull’adattamento climatico, per permettere una riduzione delle emissioni dei Paesi in via di sviluppo del 20 per cento entro il 2050, rispetto ai livelli del 1990. Sebbene questi ultimi Stati, infatti rappresentino una quota crescente delle emissioni globali, sono i Paesi ricchi i principali responsabili dell’accumu-
lo del debito di carbonio. Il voluminoso documento di 450 pagine lo dimostra, sottolineando che, “se ogni povero sul pianeta generasse le stesse emissioni di un europeo medio, servirebbero quattro pianeti per far fronte all’inquinamento”. Cifra che sale a sette, se si considerano le emissioni di un australiano, e a nove per quelle di un nordamericano. La Russia ha accettato un significativo aumento del prezzo delle importazioni di gas dal Turkmenistan. Lo ha annunciato Gazprom, facendo crescere il timore di un’impennata dei prezzi per i clienti europei. “Il prezzo del gas nella prima meta’ del 2008 sarà di 130 dollari e nella seconda meta’ di 150 dollari’’, spiega il gigante energetico russo in un comunicato, riferendosi al prezzo per 1.000 metri cubi. L’attuale prezzo pagato dalla Russia e’ di 100 dollari per 1.000 metri cubi. ■ Aldo Rondoni
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Cinema L’EPOPEA DEGLI SPAGHETTI WESTERN
CREARONO UN FORTUNATO FILONE RICCO DI ORIGINALITÀ E IRONIA
“E continuavano a chiamarli spaghettiwestern” è il titolo della rassegna organizzata a Roma, alla metà del mese di ottobre 2007, dalla Cineteca Nazionale e dal Centro Sperimentale di Cinematografia, presso il cinema Trevi. E’ l’occasione per ricordare un genere che ha accolto il favore di larga parte del pubblico di massa ma anche di una buona parte della critica, soprattutto relativamente ai capolavori - universalmente ri-
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conosciuti come tali - di una firma come quella di Sergio Leone. A questo genere cinematografico, era già stata dedicata una retrospettiva - contenente ben 32 film - alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia 2007, curata da Manlio Gomarasca e Marco Giusti, a dimostrazione della sempre crescente attenzione dedicata a quest’epoca di parte del cinema italiano, che nulla ha a che fare con la rievocazio-
ne - in questi ultimi anni - della cosiddetta “commedia sexy all’italiana”, nota anche come B-movie, che - pur sdoganata da una piccola parte di critici coraggiosi - resta una spanna al di sotto del western all’italiana, che - pure - al proprio interno nasconde qualche B-movie. Innanzitutto, vediamo di segnare le coordinate precise di questo genere filmico. Innanzitutto, da un punto di vista temporale, va detto che i film che passano per spaghetti-western, o - per dirla nell’altra maniera nella quale sono conosciuti in tutto il mondo - Italo-Westerns, vanno dagli anni Sessanta a tutti i Settanta, con qualche residuo di poco conto nel decennio successivo. Va sottolineato che in quegli anni il genere western, tradizionalmente statunitense, era già tramontato; pertanto, il merito del rilancio di questo filone cinematografico è totalmente italiano, e non è frutto di un’imitazione o della copiatura di un qualcosa in auge altrove, soprattutto oltreoceano (come, invece, era accaduto qualche anno prima con le pellicole dedicate alle figure mitologiche). Negli States, patria del western, inizialmente l’Italo-Western è stato accolto con diffidenza e malcelato fastidio. Ma nel giro di pochissimi anni, i prodotti filmici importati dall’Italia hanno avuto un sempre maggior successo, sia di pubblico che di critica. Ricordo che ai tempi in cui frequentavo la scuola di sceneggiatura del compianto Leo Benvenuti, egli - amico di Sergio Leone e co-autore della sceneggiatura di “C’era una volta il West” - ci raccontava della straordinaria meticolosità usata da Leone nel preparare questi film, fino all’aneddoto di quando si recò negli States solo per vedere come fossero fatte le pavimentazioni dei saloon, per poterla ricostruire fedelmente in Italia. Questa precisione, quest’attenzione al particolare, è stata molto apprezzata negli Stati Uniti. In qualche modo, gli spaghetti-western hanno fine nel momento in cui, una volta spentosi il momento vincente del genere, si è passati alla parodia dello stesso
Cinema genere, in particolar modo con il filone di straordinario successo che ha visto protagonisti Bud Spencer e Terence Hill, tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta. Un successo molto più commerciale che non di critica, che - però - non può essere sottovalutato, in considerazione del fatto che molte di quelle pellicole sono ai primissimi posti degli incassi italiani di tutti i tempi. Oltre alle coordinate temporali, è opportuno ricordare i nomi dei protagonisti di quest’epoca e di questo genere del cinema italiano. Tra i registi, oltre al capostipite Sergio Leone, vanno ricordati, tra gli altri: Sergio Corbucci, Sergio Sollima, Tonino Valerii, Lucio Fulci, Duccio Tessari. Invece, tra gli attori, meritano una menzione: Clint Eastwood (lo ricorderete come “l’uomo senza nome”), Lee Van Cleef (Sabata), Bud Spencer e Terence Hill (quest’ultimo veste i panni di Trinità), Klaus Kinksi, Gian Maria volontà (Indio), Eli Wallach (Tuco), Franco Nero (Django), Mario Brega (che, successivamente, avrà grande notorietà al fianco di Carlo Verdone, che lo utilizza per le straordinarie doti comiche naturali), Gianni Garko (Sartana), Jack Palance, Tomas Milian (nei panni di Chucillo; poi, anch’egli lo ritroveremo in veste comica nei panni del poliziotto Nico Giraldi, inventato dallo sceneggiatore Mario Amendola e dal regista Bruno Corbucci), Giuliano Gemma (Ringo), Fabio Testi, Charles Bronson (Armonica). Molto apprezzate sono state anche le colonne sonore, ideate e dirette da alcuni tra i più grandi compositori italiani di tutti i tempi: si va dal recente Premio Oscar Ennio Morricone a Luis Bacalov, da Piero Umiliani e Riz Ortolani, da Piero Piccioni (noto anche per le colonne sonore dei film di Alberto Sordi) ad Armando Trovajoli. Non si sa bene come sia nata la stagione fortunata dello spaghetti-western. Sicuramente l’antesignano è stato Sergio Leone, che - mentre nascevo nel 1964 a Roma - a pochi chilometri di distanza (nelle campagne di Manziana) ricostruiva il paesaggio western per girare “Per un pugno di dollari”! Sulla scia di questo grande successo, altri film sono stati ambientati, con budget economici piuttosto limitati, intorno a Roma, nel
cuore della Sardegna ed in altre zone rigorosamente italiane (tranne qualche trasferta in nord-Africa). In un momento nel quale il cinema entrava sempre più prepotentemente nel sociale (prima la lettura del boom economico; poi, i temi di Antonioni legati all’incomunicabilità tra le persone; etc.), un gruppo di autori rileggeva il genere western americano, non copiandolo, ma dandogli una nuova lettura e nuova vita. Tra i film presentati alla rassegna romana, ricordiamo: “Django” (1965), di Sergio Corrucci, con Franco Nero, José Bodalo e Loredana Nusciak; “100.000 dollari per Ringo” (1966), di Alberto De Martino, con Richard Harrison, Fernando Sancho, Gérard Tichy e Lee Burton; “El Desperado” (1967), di Franco Rossetti, con Andrea Giordana, Rosemary Dexter, Dana Ghia e Franco Giornelli; “10.000 dollari per un massacro” (1967), di Romolo Guerrieri, con Gary Hudson (Gianni Garko), Loredana Nusciak, Claudio Camuso; “Ognuno per sé” (1968), di Giorgio Capitani, con Van Heflin, Gilbert Roland, Klaus Kinski e George Hilton; “Ehi amico... c’è Sabata, hai chiuso!” (1969), di Gianfranco Paro-
lini, con Lee Van Cleef, William Berger, Pedro Sanchez (Ignazio Spalla) e Nick Jordan (Aldo Canti); “Matalo!” (1970), di Cesare Canevari, con Lou Castel, Corrado Pani ed Antonio Salines; “Il grande duello” (1972), di Giancarlo Santi, con Lee Van Cleef, Peter O’Brien (Alberto Dentice), Marc Mazza e Jess Hahn. Tra gli spaghetti-western non presenti alla lodevole rassegna tenutasi nella capitale, vanno ricordati i film di Sergio Leone: “Per un pugno di dollari” (1964), “Per qualche dollaro in più” (1965), “Il buono, il brutto, il cattivo” (1966), “C’era una volta il West” (1968). Meritano una menzione anche “Una pistola per Ringo” (1965) di Duccio Tessari e “Quien sabe?” di Damiano Damiani. Chissà che la rassegna organizzata dalla Cineteca Nazionale ed il nostro breve passare in rassegna questi titoli non conduca qualche cinefilo a voler rintracciare questi film, noleggiarli e rivederli con un’ottica diversa da quella dell’epoca d’oro dello spaghetti-western; oltre ad essere l’occasione, per i più giovani, di conoscere una stagione originale del cinema italiano. ■ Franco Baccarini
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Libri LA SQUISITA CUCINA DEL VATICANO
TUTTI I SUOI SEGRETI RIVELATI DA UNA SCRITTRICE SPAGNOLA
Eva Celada, giornalista e scrittrice, è autrice di molti originali libri di gastronomia ed è stata insignita di prestigiosi riconoscimenti, fra cui tre edizioni del “Premio Gourmand”. Ha ricevuto la menzione speciale dell’Accademia Spagnola della Gastronomia di Palencia, sua città natale; è direttore dell’Agenzia di Stampa “Hydra”, direttrice e presentatrice del programma gastronomico
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televisivo “Con mucho gusto”, trasmesso sull’emittente Popular TV, e collaboratrice della Catena radiofonica COPE, con il programma “Al sur de la semana”. In questa intervista ci parla del suo libro sui segreti delle cucine vaticane. Una sequenza di curiosità storiche, gastronomiche e culturali, partendo dalla prima cena della storia cristiana, che precedette il sacrificio di Gesù, fino alla la
cena per l’incoronazione di Benedetto XVI. Squisite delizie mai conosciute, curiosità e aneddoti, ottenuti attraverso un estenuente lavoro di investigazione durato anni. Più di cento ricette fin’ora inedite, venti secoli della migliore cucina del mondo. Come ha ottenuto le informazioni? Il Vaticano non usa dare questo tipo di informazione, “troppo domestica”, perciò dovetti arrangiarmi. In Spagna attraverso la COPE ( la radio della Chiesa), in Italia cominciai con il farmacista del Vaticano, il quale mi presentò il cuoco interno al Vaticano, che a sua volta mi spiegò come funzionavano le cucine. L’incontro fu determinante perchè mi permise di avere contatti con dei cuochi esterni che si occupano della cucina di rappresentanza. Intervistai il corrispondente dell’agenzia EFE che lavorava da oltre vent’anni in Vaticano, potei parlare con una monaca spagnola che per tre decenni si era occupata della sala da pranzo di Santa Marta, conobbi le monache che avevano servito Giovanni Paolo II, intervistai la giornalista vaticanense Paloma Gómez Borrero, parlai con i titolari dei ristoranti dove mangiano i cardinali, chiesi informazioni ai fornitori alimentari del Vaticano, conobbi cardinali di varie nazionalità, parlai con uno degli ultimi esponenti della nobiltà nera, insomma fu un lavoro duro, complesso e difficilissimo. Lei l’ha definita “la cucina mediterranea più squisita del mondo”; cos’è che la rende così tale? La qualità dei prodotti, la squisitezza delle eleborazioni, il gusto nella presentazione, il servizio splendido e “vocazionale”: insomma ha tutto. I menù sono quelli originali, ma vengono adattati al gusto del Papa, sia nell’origine dei piatti sia come modo di preparazione. È mediterranea perchè i suoi ingredienti per eccellenza sono olio, legumi, verdure, pesce, vino... ma anche internazionale, perchè contiene alcuni dei migliori prodotti del mondo, che vengono inviati direttamente dalle Conferenze Episcopali dei vari Paesi. Come è stata l’influenza della cucina nel Cristianesimo? Molto importante, giacchè il mangiare è sempre stato un elemento di controllo dei fedeli e il misuratore del loro livello economico; per questa ragione, du-
Libri rante i secoli, si preteso che i fedeli non mangiassero carne per diversi giorni alla settimana, con il pretesto che si considerava poco spirituale l’abbondanza nel mangiare. Probabilmente, proprio la scarsità di cibo faceva sì che la gente provasse molto piacere quando mangiava. Va detto che, parallelamente al divieto, esisteva un fiorente mercato di “bolle” pontificie che dispensavano dalla proibizione di mangiare la carne. Il Papa più goloso e il più buongustaio? Benedetto XVI è un Papa molto goloso, anche se abbastanza austero per quanto riguarda la quantità di alimenti. Probabilmente il più buogustaio è stato Papa Roncalli, Giovanni XXIII. Santa Teresa disse:“Anche in minestra si può trovare Dio”. Le sembra possibile? La frase esatta è “perfino in una zuppa ci sta Dio”. Per me significa che se si fanno le cose con amore, mettendoci il meglio di se stessi, dedicando l’anima, lo spirito e la volontà nel dare da mangiare a qualcuno, si compie un atto di generosità, di bontà e di amore nel quale c’è per forza Dio. Sono stati fatti molti “peccati di gola” nelle mese dei Papi? Effettivamente alcuni Papi e i loro cardinali hanno mangiato in eccesso. Comunque è vero anche che molti di quei banchetti, attraverso una suntuosa cucina “di rappresentanza” e quindi di immagine, dovevano rappresentare il “potere” del Vaticano che era molto grande. Che sensazioni ha provato addentrandosi nei “segreti” delle cucine vaticane? Di entrare in un mondo affascinante, pieno di leggende. Di entrare nella storia occidentale attraverso la “cucina”. In Spagna, infatti, usiamo l’espressione “entrare fino alla cucina”, per dire che quando si entra in una cucina, di quella casa si conosce tutto. Uno dei momenti più significativi del Cristianesimo è l’Ultima Cena. Quale importanza ebbe il mangiare? Fin dalla liberazione del popolo giudeo da parte del popolo egizio, si sta celebrando una cena considerata di Pasqua, la quale prevede ancora gli stessi alimenti, e cioè agnello, pane azimo, purea, frutta secca, erbe amare, lattuga, quattro coppe di vino e un uovo sodo. Anche oggi si continua a celebrare. L’Ultima Cena in realtà fu una cena di Pasqua, come mi rivelò il direttore spirituale dei rabbini spagnoli, poichè coincide nella forma, nella data e nelle caratteristiche con quel tipo di cena. Pertanto si tratta di un gende avvenimento gastronomico per
la Cristianità, per quanto riguarda la rivelazione religiosa; però a livello culinario non possiamo considerarlo u grande evento, in quanto non si preparò espressamente nessun cibo per celebrare il congedo da Gesù. Alcune teorie dicono che non si consumò l’agnello, per non sacrificare un animale a similitudine con il sacrificio che stava per affrontare Cristo. “A tavola non si invecchia mai?” Per questo i Papi vivono a lungo? Normalmente i Papi arrivano a tarda età in buona salute, ma nemmeno i cardinali mangiano male. Certamente ricevono cure notevoli, anche a livello gastronomico e culinario. Mangiano molto bene, con attenti controlli a livello nutrizionale e non c’è dubbio che questo contribuisca alla loro longevità. Quali sono le differenze fra i gusti degli ultimi due Papi? Giovani Paolo II era un Papa con meno conoscenza dell’alta gastronomia. Gli piaceva mangiare molto e preferiva la cucina polacca, fatta in gra parte di zuppa e patate condite, ma arrivò ad apprezzare anche la cucina italiana. Gli piaceva il buon vino e un bicchierino di fine pasto. Senza dubbio Benedetto XVI è più conoscitore della buona cucina; suamadre era cuoca in un piccolo albergo della Baviera. Preferisce piatti meno contundenti, però ben preparati. Praticamente è astemio, le piace far meren-
da con un caffè e latte, è un appassionato di agrumi, mangiando beve suco di arancia e il suo gelato preferito è quello al mandarino. Comunque è molto sobrio e cena raramente, con una semplice zuppa di semola. Quanto dell’antico protocollo papale resiste nella cucina vaticana? Molto poco. Oggi il Papa suole sedere separato dal resto dei commensali, normalmente al vertice di una tavola fatta a “V” , mentre alla fine del XIX secolo mangiava sempre da solo. Ancora oggi si adorna la tavola con fiori bianchi e gialli - come i colori della bandiera papale - mentre le tovaglie continuano ad essere di filo bianco e bianchi sono bicchieri e posate, però il servizio è più semplificato rispetto ai tempi passati. Come spiega che in un mondo di soli uomini, la cucina sia in mano alle donne? Eterna domanda. Diciamo che preferiscono una cucina simile a quella delle loro madri rispetto a quella di un grande chef. Questo almeno per la quotidianità. Cosa fece Leonardo da Vinci per la tavola? Cose importanti, perchè era a capo del cerimoniale della Corte di Ludovico il Moro e introdusse l’uso della salvietta, delle posate e di alcune buone usanze nella maniera di mangiare che fino a qual momento era stata rozza. ■ Paola Pacifici
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Libri HUSH SEGOVIA, IL SENTIMENTO È POESIA VERSI
DI
MARCO
CARBONE
PER
RICOSTRUIRE
senso, come senso autentico del vivere, della libertà. Ritengo perciò che l’amore di cui Marco si fa cantore sia strategia salvifica, itinerario filosofico di conoscenza e di superamento della fatica di vivere. Un amore che quasi anestetizza e rende sopportabile il peso del reale. Ma l’amore che dai versi trapela, al di là della galanteria del vocabolario, è anche assenza d’amore, amore non corrisposto, amore finito o non realizzato che in parte e questo lascia spazio a considerazioni spesso sconsolate che mettono a nudo la natura umana, la lacerazione che attraversa l’esistere, la separazione irreversibile dal prenatale. Va riconosciuto a Marco Carbone il merito – non da poco – di non demordere di credere fino in fondo nella poesia, nella sua capacità di redenzione e di salvezza. E questo come atto di fede non è poco: è un confidare nell’uomo, a prescindere o oltre le lordure di cui è ed è stato capace. È un atto di fede e come tale va preso, anche se lo stesso autore, nella raccolta, sembra più volte vacillare o prossimo alla resa, alla constatazione che forse per la poesia, per l’amore i tempi non sono propizi. Ma trova sempre la forza per ribadire, con il Cirano gucciniano, “dentro di me sento che il grande amore esiste, / amo senza peccato, amo, ma sono triste”. ■ Enrico Cerquiglini
HUSH SEGOVIA...!
MARCO CARBONE
La poesia è sempre un atto di amore, in pri- i versi. La luna – elemento principe di ogni mis amore per la parola, per la suggestione romanticismo – appare in Carbone deformasonora che la combinazione dei fonemi è ta dalla lente dell’(auto)ironia, assume più la capace di creare; è amore anche fidare nelle parvenza di una presenza oleografica e letteparole ritenendole in grado di ricostruire un raria che di referente e osservatrice partecipe senso dell’esistere e dell’agire, di ricomporre dei destini degli innamorati o dei disamorati. armonicamente il disarmonico e il disorgani- È, mi viene da pensare, più la luna jannacciaco. È amore e atto di fede riporre nella poesia na (la luna è una lampadina) che il contatto quanto di più notevole e secreto appartenga trascendente, il filo teso tra amore e infinito, al genere umano, quindi al suo sentire, in- né alla luna si demanda il ruolo di intermediadifferentemente dal tema che il testo poetico ria, di complice. È presenza, talvolta avanzo affronta. Quando la poesia si colloca, anche di un tempo già consumato, non riesumabile tematicamente, in ambito amoroso il rischio se non artatamente. E un ruolo importante lo che si corre è quello di collidere con la tradi- gioca, in questa raccolta, l’umorismo e l’irozione o di rimanerne schiacciati o di limitarsi nia che cercano di smussare i toni più duri ad un manierismo che poco ha in comune con e drammatici. Direi anzi che se di romantila vera arte. Hush Segovia… di Marco Carbo- cismo si può parlare è di un romanticismo ne non rientra in queste categorie. Muovendo letterario e filosofico, di una ricerca di asso– potrebbe essere altrimenti? – dalla tradi- luto che possa, almeno parzialmente, scortare zione italiana, ricchissima di poesia amoro- l’uomo fuori dal tempo storico e collocarlo in sa, riesce abilmente a sottrarsi dai rischi del una dimensione in cui urgenze e quotidiani genere e approda ad un linguaggio poetico affanni possano eclissarsi in una ricomposicomposito e dal respiro autonomo. La versi- zione, almeno illusoria, dell’unità. Ma se queficazione di Hush Segovia…, pur risentendo, sto romanticismo è presente, più come archenotevolmente in alcuni testi, della struttura tipo che come possibilità, non porta l’autore endecasillabica, tende a sciogliersi su metri a stravolgere la realtà, anzi ve lo immerge in irregolari, a rompere l’ortodossia metrica modo totale. Risaltano le cose, le diuturne occon frequenti enjambements, alcuni dei quali cupazioni domestiche, il quotidiano rapporassolutamente eretici, quasi a rimarcare nel tarsi con la precarietà, intesa in senso reale, laversus una pausa del dire, una frattura ritmica vorativa, affettiva e ideologica in un binomio che diventa spia di cesure e censure del senti- di fede e scetticismo che investe affettività e re. Questo non significa che Marco Carbone vita sociale con un velo di malinconico sarnon abbia padri poetici, ampiamente rintrac- casmo. L’universo amoroso, giocato spesso ciabili volume1975. (Montale, Saba, anni D’Antoni elegiaci, galanti ed erotici, non è tutnato a Napoli il 18nel Gennaio Da alcuni vive asulavora nunzio, Pavese, Caproni, Merini, ma anche to l’orizzonte poetico di Marco Carbone: la re in Scienze politiche e giornalista pubblicista. Ha pubblicato Garcia Marquez, Neruda, Garcia Lorca, etc.), complessità del mondo reale e condizionante he “L’Unicorno” (Prospettiva Editrice, 2003) e “The best of ma il linguaggio poetico che tesse si distansi insinua a volte con versi secchi, spiazzanti ano, 2005). È autore di testi teatrali (depositati presso la SIAE) zia dai modelli, rifugge da ogni sospetto di e sentenziosi: “Il Vesuvio presto scoppierà. ena con gruppi teatrali da lui fondati. È membro direttivo plagio, diventa autonomo con stilemi propri I politici si vendono la democrazia. Il bastiAndreas Segovia” di Napoli con la quale organizza e riconoscibili. L’amore è il tema dominante mento è carico di immigrati” o, in altro tesicali in Italia e all’Estero. Nel 2006 ha vinto (terzo posto) il ma non è il solo. L’amore in Carbone è imsto, “i comunisti mangiano i congiuntivi” o erugia” con la silloge poetica “Canzoni per Carmen”, oltre ad merso in una realtà che non può essere trasce“dimmi la verità, quella che si tiene celata al erosi riconoscimenti e menzioni speciali. Di prossima pubblisa, anzi in essa si immerge fino a farla colare popolo per disprezzo” o “fintanto che il bema raccolta di racconti dal titolo “Le donne sputano gratis”. nelle metafore, nelle immagini di derivazione nessere del prossimo / non m’appartiene, io letteraria, di un realismo magico capace di in quanto homo aeconomicus / posso comtiche all’opera il suo indirizzo mail è il seguente: sospendere e di riattivare l’esistente. Più vol- piere qualsiasi delitto”. Non abbiamo quindi ero.it te Carbone parla di romanticismo, lasciando una poesia amorosa tout court ma una poesia intendere un’inclinazione al sentimentalismo, che si realizza in una lettura complessa del alla fantasticheria, all’assoluto idealismo, ma vivere, del sopravvivere e che trova forse un questo romanticismo non sviluppa la sua poe- senso, o meglio, si auspica di trovarlo, in un hio chitarrista (1903), Pablo Picasso, Art Institute of Chicago sia: è un dato di fatto, una notizia a margine, sentimento totalizzante e taumaturgico come un sostantivo che poco o punto condiziona l’amore. L’amore quindi come portatore di
L’ESISTENZA
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MARCO CARBONE
HUSH SEGOVIA...!
Musica DA CINQUANT’ANNI SVOLAZZA NEL BLU
IL SUCCESSO DI MODUGNO FESTEGGIA MEZZO SECOLO DI VITA Nel 1958 il Festival di Sanremo entra per la prima volta nella leggenda. Gran parte del merito va assegnata a Domenico Modugno, che in coppia con Johnny Dorelli trionfa con “Nel blu dipinto di blu”. Grazie a quella folgorante intuizione, la canzone italiana comincia davvero a “Volare” in tutto il mondo. Domenico Modugno è considerato il padre dei cantautori italiani e come autore interprete è tra i più grandi d’Europa. Nacque il 9 gennaio 1928 a Polignano a Mare (Bari), un paesino dalle case bianche a picco sul mare.Dal padre Cosimo comandante del Corpo delle Guardie Municipali a San Pietro Vernotico (BR), imparò fin da piccolo a suonare la chitarra e la fisarmonica ed ereditò una grande passione per la musica, componendo la sua prima canzone a 15 anni. Insoddisfatto della vita di paese, a 19 anni scappò di casa e andò a Torino, la città più a nord d’Italia, dove si adattò a fare il gommista in una fabbrica. Ritornato al paese per fare il servizio militare, ripartì per Roma dove pur d’iniziare la sua carriera artistica si mise a fare ancora una volta i più umili mestieri. Partecipò al concorso per attori al Centro Sperimentale di Cinematografia, dove fu ammesso e dove, successivamente, vinse la borsa di studio quale migliore allievo della sezione di recitazione. Nel 1951, ancora allievo, prese parte al film “Filumena Marturano” di Eduardo De Filippo e nel 1952 a “Carica eroica” di De Robertis dove interpretava la parte di un soldato siciliano che canta la “Ninna Nanna” ad una bambina. E’ da questo episodio che nacque la leggenda del “Modugno siciliano”. Sempre nel 1952 è “attore giovane” in teatro nel “Il borghese gentiluomo” di Molière (Compagnia Tatiana Pavlova) e prende parte ai films “ Anni facili” di Zampa (1953) e all’episodio “La giara” con Turi Pandolfini e Franca Gandolfi, del film di Giorgio Pàstina “Questa è la vita” (1954). Nel 1953 si presentò al concorso musicale radiofonico “Trampolino” e dopo prese parte alla trasmissione “Radioclub” in onore di Frank Sinatra. Fu allora che Fulvio Palmieri della Rai
gli offrì una serie di trasmissioni radiofoniche intitolate “Amuri... Amuri” della quale egli stesso scriveva i testi ed in cui faceva il regista e, insieme a Franca Gandolfi, l’attore e persino il rumorista. .Nel 1958 partecipò al festival della Canzone Italiana a Sanremo con “Nel blu dipinto di blu”, coautore Franco Migliacci, che vinse il primo premio, rivoluzionò la canzone italiana e dette inizio al boom della vendita discografica italiana fino ad allora molto bassa. Volare” fu tradotta in tutte le lingue, fu in testa alle classifiche di tutto il mondo, anche in America del Nord, in cui si vendettero milioni e milioni di copie tanto che nel 1958 gli furono assegnati due Grammy Awards, uno come disco dell’anno e uno come canzone dell’anno 1958.Anche il Cash Box Bilboard gli conferì l’Oscar per la migliore canzone dell’anno e ricevette in dono dalle industrie musica-
li tre dischi d’oro, uno per il migliore cantante, uno per la migliore canzone e uno per il disco più venduto.Nel corso di una tournée gli furono offerte le chiavi di Washington e la stella di sceriffo di Atlantic City. Per quattro mesi ininterrottamente gli altoparlanti di Broadway e le stazioni radio suonarono le originali note di “Volare”.Nel 1959 rivinse il primo premio del Festival di Sanremo con “Piove” e nel 1960 il secondo con la canzone “Libero”.Nel 1961 dopo un anno di inattività per un incidente avuto, debuttò come protagonista nella commedia musicale “Rinaldo in campo” di Garinei e Giovannini, di cui compose anche tutte le musiche e che fu definito: “Il più grosso successo teatrale di tutti i tempi avvenuto in Italia”.Muore a Lampedusa il 6 Agosto 1994 nella sua casa davanti al mare. ■ Stefania Vinciguerra
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Musica UNA SPAGNA TUTTA PER COCCIANTE IL
PAESE
IBERICO
La Spagna porta fortuna ai cantanti italiani. Specialmente se sono bravi. Riccardo Cocciante ha raggiunto il successo nei paesi spagnoli parallelamente a quello Italiano e prima di quello Francese. Già infatti dal 1974 Cocciante si è imposto con “Bella sin alma” oltre che in Spagna anche in tutto il Sud America. Addirittura, volendo fare un paragone , in quegli anni, il successo Spagnolo e sud Americano dell’artista è stato superiore a quello ottenuto in Italia. Nel corso degli anni ha saputo proporsi con astuzia senza avvertire più di tanto il peso della sua casa discografica che lo spingeva ad incidere in ben quattro lingue. Dopo “Bella sin alma” e “Cuando termina un amor” (dall’album “Aqui”) pubblica il più intimista “El Alba” che viene ben accolto specie in Spagna, ottima considerazione ottengono canzoni come: “El abrecartas”, “Era ya todo previsto” e
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CHE
GLI
HA
DATO
“Se que debo marcharme”. Quando esce “Concierto para Margarita” Richard era già una star nei paesi Latini, in Spagna il disco esce anche in lingua Italiana, in Sud America è primo in molti paesi, bene anche in Brasile! Il successivo lavoro “Richard Cocciante” include “Just for you” che spopola in Sud America. Gli anni ’70 si chiudono con l’uscita di “Yo canto” altro successo. Dal 1980 in poi Richard si concentra sulla sua produzione Francese, riesce però a pubblicare “Al calor de tus ojos” (inedito in Italia), disco questo molto bello e toccante. Nel 1983 sorprende tutti, esce infatti “Sinceridad” che lo ripropone ancora una volta ai vertici delle classifiche. Con “Cuestion de feeling” tocca un punto molto importante della sua carriera, ottimo successo ottiene anche “Paraisos intimos”. Si può dire che Richard tra la metà degli anni ’70 e i primi anni ’90 è il
MOLTO
SUCCESSO
cantante Italiano più amato in Sud America, la testimonianza è data oltre che dal numero di dischi venduti anche dall’abbraccio che il pubblico latino gli ha dato nel corso delle sue tournée. In Venezuela ad esempio, nel 1988, un suo concerto (a Caracas) viene definito da un importante quotidiano come “uno dei migliori shows dell’anno”. Richard per un breve periodo (tra la fine del 1988 e il ’90) si trasferisce con la moglie a Miami. In aggiunta ai concerti, il cantante rivisita il suo repertorio imponendosi principalmente in Messico dove pubblica una delle sua raccolte più riuscite “Por un amigo mas” che include successoni come: “Por un amigo mas” (incisa anche da Pedro Fernandez), “Cuando el amor rompe en ti”, “Yo renacere”e “La Ola”. Negli anni ’90 si nota un progressivo abbandono del mercato sud Americano. Ma quali sono nel dettaglio i paesi dove maggiore è stato il successo? Si inizia dalla Spagna (con “Bella sin alma”, “El Alba”, “Margarita”), dall’Argentina (con “Cuerpo sin alma” e “Margarita”), dal Cile, dal Perù e dal Venezuela (con “Bella sin alma”, “Cuerpo sin alma” e “Margarita”) ma anche (un pò più tardi) dal Brasile (“Margherita”). In seguito la popolarità si è estesa al Messico (“Sinceridad”, “Por un amigo mas” e “Yo renacere”) ed è diminuita in Spagna. In generale il paese che ha amato di più il nostro Richard è stato il Cile. Oltre agli album di inediti Cocciante ha pubblicato moltissime raccolte che a secondo del paese in cui sono uscite includevano brani diversi. Tornando agli anni ’90, tra il ’93 e il ‘94 esce “Inventos y experimentos” e nel 1995 “Un Hombre feliz”. Nel 2003 esce in Cile “Exitos en vivo” (versione in un solo cd di “Istantanea”). Nel 2005 “Songs” passa abbastanza inosservato in Spagna pur contenendo la bellissima “Ella”. Una nota meritano anche i vari cantanti che hanno interpretato le canzoni di Richard: dal già citato Pedro Fernandez a Sabu a Manolo Otero da Jose luis Rodriguez a Yolandita Monge e molti altri ancora. ■ Belen Esteban Rodriguez
Musica PLATTERS, NON PIÙ UNICI, MA IMMORTALI LA NASCITA DI
NUOVI
Molti gruppi di colore si formarono nei primi anni 50 sulla scia degli Ink Spots e dei Mills Brothers, utilizzando il cosiddetto doo-wop style per dare consistenza e armonia agli impasti vocali. In questo contesto, nel 1953 nacque a Los Angeles il quartetto dei Platters, formato da Tony Williams, voce solista, David Lynch, tenore, Alex Hodge, baritono (poi sostituito da Paul Robi), Herb Reed, basso. Il manager-produttore Buck Ram, dopo averli messi sotto contratto, volle aggiungere una voce femminile al gruppo, la quindicenne Zola Taylor.Nel 1955 i Platters firmarono per la Mercury Records e, entrando per la prima volta in sala di incisione, decisero di riproporre un brano firmato da Buck Ram, dal titolo Only You, che avevano già inciso in precedenza per la Federal, ma senza successo. Ad accompagnarli c’era questa volta la band di Ernie Freeman (1924-1981), famoso arrangiatore, pianista e direttore d’orchestra che sarebbe intervenuto anche nelle prime incisioni di Paul Anka. La Mercury, però, non fu entusiasta del brano e ritenne opportuno distribuire il disco solamente nel limitato circuito ‘nero’. La promozione di Only you ricadde pertanto sulle spalle di Ram e della sua collaboratrice Jean Bennett che portarono avanti la loro battaglia sicuri che la vittoria finale avrebbe loro arriso.La ascesa di Only you nell’universo delle note risale al giugno del 1955, quando la Bennett intraprese un lungo viaggio attraverso gli Stati Uniti con la ferma intenzione di lanciare il complesso. Questa, però, si accorse che molti distributori non erano nemmeno al corrente dell’esistenza di Only you e che quanti, invece, erano a conoscenza del gruppo, si dimostravano scettici. Ma la Bennett non si dette per vinta e a Cleveland, città del famoso disc jockey Alan Freed, fu ricevuta con molta simpatia dai promotori locali i quali avevano già ascoltato la canzone, dimostrandosi interessati a saperne di più sul quintetto. I Platters infatti avevano una serie di caratteristiche che li rendevano unici: il leader Tony Williams veniva dalla tradi-
GRUPPI
NON
LI
zione gospel, aveva cantato nei cori di chiesa senza amplificazione, aveva una voce risonante e impostata; in secondo luogo, la scelta di farsi accompagnare da una sezione d’archi oltre che dalla ritmica rendeva i brani dei Platters più adatti a essere scelti come “lenti” nelle feste tra amici; infine, la voce femminile costituiva una vera novità nei gruppi doo-wop. Così, grazie al lavoro della Bennett, alcuni disc jockey cominciarono a “passare” alla radio Only you e nell’agosto del 1955 la canzone era già sulla buona strada per diventare un successo internazionale. Nel mese di ottobre era già salita al quinto posto delle classifiche pop, nonostante il brano fosse stato inciso anche dagli Hilltoppers di Randy Wood, un gruppo “bianco” che era riuscito a piazzare Only you nei primi dieci posti delle classifiche. Nel
HA MAI
CANCELLATI
1960, il solista Tony Williams decide di mettersi in proprio. Di qui una serie di rimaneggiamenti, anche pesanti, nella formazione e l’utilizzo del nome “The Platters” da parte di ciascun componente che decideva di formare un proprio gruppo, tanto che si è venuta a creare nel tempo una paradossale situazione, che dura ancora oggi, in cui circa un centinaio di gruppi vocali continuano ad esibirsi nei circuiti revival, usando più o meno legittimamente il nome “The original Platters”. Ma le loro canzoni - da Only you a Twilight time fino a The Great Pretender, indipendentemente da chi le interpreti rimangono dei pilastri immortali nella storia della musica melodica popolare, continuando a marcare molti periodi di vita, di amore e di ricordi sentimentali. ■ Carlo Maria Savini
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Curiosità ASINO? BEN ALTRO CHE UN SOMARO! LE QUALITÀ “UMANE” DI QUESTO DOCILE E SIMPATICO QUADRUPEDE
A Mijas, un ridente paesino della Spagna meridionale, il servizio di taxi viene svolto con dei simpatici somarelli. Ovviamente si tratta di una trovata turistica, ma la scelta è motivata anche dalla difficile orografia urbanistica che non permette facile accesso agli automezzi. Spagna a parte, gli equidi, quali asini, muli e cavalli, hanno rivestito in passato un ruolo fondamentale come animali da soma. Assieme al cavallo erano il petrolio dei nostri antenati. Oggigiorno, pur essendosi ridotta la loro importanza come mezzo di traporto, sono ancora un valido aiuto per gli allevatori in alpeggio e per i pastori, quando si presenta la necessità di spostare del materiale a passo “di vacca” o di “pecora”, in particolare in situazioni geografiche disagiate, montane od in assenza di vie carrabili, quando l’utilizzo di mezzi meccanici può essere assai difficoltoso se non impossibile. Negli ultimi anni, i
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cavalli e gli asini hanno suscitato notevole interesse sia per il loro utilizzo nel campo dell’assistenza ai disabili che per il loro utilizzo in attività ludico-ricreative.L’asino, ossia il latino Equus asinus - detto anche ciuco o somaro - è un quadrupede domestico da soma e da traini leggeri. Anche se è stato identificato spesso come simbolo di ignoranza e zotichezza, ben superata da molti rappresentanti del genere umano, l’asino è invece un simpatico mammifero ed un ottimo animale da “compagnia”, il cui allevamento può fornire soddisfazioni. Molte sono infatti le sue doti: ha un ottimo olfatto di cui si serve per avvertire la presenza di sostanze, animali, piante senza prenderne contatto. Anche il suo gusto è raffinato: fra gli erbivori è quello che apprezza la maggior varietà di sapori, tanto che popolarmente è chiamato “raffinato giardiniere” in quanto sa gustare fiori, piante ornamentali, gem-
me tenere, frutti e cibarie. Il suo udito è pure ottimo, mentre la vista invece è limitata, ma in comoenso è in grado di vedere dietro di sè. Sviluppata è inoltre la sensibilità del labbro superiore, che viene utilizzato nella scelta del cibo e dello zoccolo, che contiene punti recettivi molto utili durante il cammino notturno.Il suo raglio indica spesso uno stato di malessere, ma non sempre. L’asino si lamenta quando si trova in situazioni disagiate e quando soffre di solitudine, ma può anche essere espressione di saluto e di richiamo dei propri simili.In cattività può vivere anche 40 anni. Per allevare un asino di piccole dimensioni, è necessario disporre di un locale per il riposo notturno. L’asino infatti predilige il caldo e l’asciutto. Più che dal freddo rifugge dall’umidità e dalle piogge, ed avverte per tempo i temporali e cerca un luogo dove ripararsi prima che questi si scatenino. Per il suo allevamento si consiglia l’utilizzo di un locale con una abbindante lettiera di paglia. L’asino dorme dove e quando può, favorito dalla tranquillità, dalla sazietà e dalla scarsità di luce. Anche quando è bene alloggiato alterna il sonno in piedi a momenti in cui rimane beatamente coricato. Per il suo allevamento è necessario disporre anche di un pascolo di almeno 300 metri quadrati. Da tenere presente che gli asini in genere hanno paura dell’acqua corrente e delle rive fangose dei fiumi. Allevare un asinello, tanto per compagnia come per il lavoro, oltre che rappresenatre una divertente esperienza, è certamente un modo per salvare dall’estinzione le razze tipiche italiane.Il numero di asini, muli - incrocio fra asino e cavalla - e bardotti - incrocio fra cavallo e asina - allevati in Italia è crollato negli ultimi quarant’anni, scendendo da 846.000 capi a solo 43.000. Si tratta di un crollo veramente notevole che potrà portare, se non si interviene con misure drastiche ed efficaci, alla possibile estinzione delle nostre preziose razze di asini, che invece dobbiamo salvare. Perchè un asino è tutt’altro che un somaro! ■ Giulio Rosi
Curiosità LA CERAMICA CON I SUOI SEGRETI UNA
MAGICA
FIGLIA
Nell’opificio Rubboli, antico laboratorio di ceramica gualdese si opera con i forni a muffola e con la ginestra per la terza cottura. Qui è gelosamente nascosto il segreto della ceramica a riverbero. Un profumo particolare emana la ginestra che Maurizio e Antonio Rubboli gettano nel fuoco vivo dei forni a muffola. Poi Maurizio chiude la porta del laboratorio. C’è un segreto da tenere nascosto, un segreto antico. Dopo alcuni minuti ci fanno accomodare nella sala espositiva dell’opificio. È Maurizio Tittarelli Rubboli che ci racconta la storia della sua famiglia. “Quando ero piccolo sentivo parlare dalla mamma e dalle zie di riverbero, muffole, provini, oro, rubino, segreto. Solo tempo dopo ho capito cosa significavano tutte quelle parole, cosa era il segreto: la ricetta dell’oro e del rubino, la formula per ottenere la ceramica a riverbero.” Maurizio è figlio di Gina Rubboli, e pronipote di quel Paolo Rubboli che alla fine dell’Ottocento riscoprì a Gualdo Tadino la tecnica della ceramica a lustro. Dopo la morte di Paolo la moglie Daria, vedova con tre figli continuò la tradizione. Successivamente l’opificio passò ai due fratelli Lorenzo e Alberto. Lorenzo morì presto nel 1943 e per alcuni anni fino al 1955 continuarono le tre figlie Livia, Gina, ed Ivana. Alberto invece continuò la sua attività sino al 1975, l’anno della sua morte. “Alla metà degli anni novanta” continua Maurizio “ho incominciato a studiare, ricercare, raccogliere informazioni sulla mia famiglia. Poi insieme a mio fratello Luca abbiamo ristrutturato due dei forni usati da Lorenzo, e con Antonio abbiamo continuato l’attività”. “Non ho problemi a dire che questa tecnica è unica al mondo. Viene rifatta anche a Deruta e da altre parti però questi sono soltanto tentativi.
DEL
GENIO
E
Perché l’oro e il rubino legata a questa cottura specifica la facciamo solo noi.” Quale è la differenza con l’altra ceramica artistica di Gualdo Tadino? L’altra ceramica di Gualdo è un’imitazione che è nata da questa famiglia. Si usa applicare dei resinati chimici ai manufatti, che in terza cottura vengono cotti nei forni a gas. Il risultato è molto diverso perché si ottengono due strati piuttosto uniformi di colore. La nostra invece è una ceramica che può restare anche duecento anni. Come funzionano questi antichi forni a “muffola”? Questa tecnica era stata usata nel Cinquecento da Mastro Giorgio da Gubbio. Cipriano Piccolpasso l’ha codificò nel testo I tre libri dell’arte del vasaio dove la descriveva nei minimi dettagli. Noi facciamo oggi quello che faceva Mastro Giorgio, nella stessa maniera, con gli stessi forni. Dopo la seconda cottura si applicano i due impasti
NIPOTE
DEL
FUOCO
segreti di famiglia, uno per l’oro e l’altro per il rubino, i due riverberi. Poi il pezzo viene sottoposta ad una terza cottura nei cosiddetti forni a muffola. Qual è il futuro di questo opificio? Io qua ho un progetto ben definito, di creare un museo bottega. Ci sono già stati degli incontri con il Comune. Forse trasformeremo questo opificio in uno spazio museale. Quale è il senso della sua arte? A me la ceramica piace perché è un lavoro certosino, preciso. Mi dà molto il senso della fragilità. I manufatti di ceramica sono molto preziosi ma si possono rompere con estrema facilità. Capita molto spesso che nella terza cottura il pezzo si rompa. A volte non vengono belli e bisogna buttarli via. Lo dice anche il Piccolpasso “…spesse volte di 100 pezzi di lavori a fatica ve ne sono 6 buoni…”. La bellezza di questa arte sta tutta qui. È difficile. ■ Marco Carbone
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