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2008
n o i i g e R Si celebra Emilio Rosetti
L’ingegnere italiano del nuovo volto dell’Argentina
Un fine settimana nel lusso sfrenato
Vagando per il salone dei sogni realizzabili
Il fumo
80.000 persone muoiono ogni anno in Italia o litic o p , ale ultur c o t men fondi o r p p o d’a Periodic
ità tual t a ed
Press Italia
REGIONI
Numero TRE | anno 2008
Supplemento al N. 681 di pressitalia.net Registrazione Tribunale di Perugia n. 33 del 5 maggio 2006 Diffusione via Web
Direttore Responsabile Alberto Cappannelli Direttore Editoriale Mauro Piergentili Redazione Giulio Rosi, Paola Pacifici, Mauro boschi, Gian Giacomo Bei, Maria Annunzia Selvelli, Matteo Scandolin, Franco Baccarini, Aldo Rondoni, Marco Carboni, Maria G. Nuti, Hector Gonzales di Villarica Progetto Grafico Mauro Piergentili In Copertina L’ingegnere Emilio Rosetti
EDITORIALE di Giulio Rosi
Uno degli aspetti più gratificanti del mestiere di divulgatore, è la possibilità di apprendere mentre si informa. A differenza della cultura che si assimila sui banchi di scuola, quella che si sperimenta in base ad una esperienza che non smette mai di arricchirsi, svolazzando con apparente casualità negli archivi inesauribili della storia e dell’attualità, è senza dubbio più intrigante. E divertente come leggere un buon libro. Soprattutto perché questa forma di ricerca, disinteressata, disimpegnata e svincolata dall’esigenza economica che generalmente condiziona un’impresa editoriale, porta verso risultati basati unicamente sul piacere di conoscere e di far partecipare. Ogni volta che, in base ad un fiuto affinato da una quarantina di anni di professione, scegliamo un tema e decidiamo di svilupparlo per poi pubblicarlo, riceviamo una salutare sferzata di adrenalina che ci compensa in anticipo. Questa, infatti, è la ragione per la quale il nostro giornale spazia con armonia fra temi concettualmente diversi, offrendo ogni volta una panoramica che, come risultato finale, pretende solo di interessare e divertire il lettore. Assistiamo così ad una rassegna che - partendo da temi di grande respiro, come la celebrazione di un grande italiano fin’ora quasi sconosciuto al grande pubblico, che ha fatto veramente onore al nome dell’Italia - con apparente distacco concettuale denuncia il danno che ancora reca il fumo, provocando decine di migliaia di morti all’anno. E così via per tutti gli altri temi trattati anche in questo numero. Ma che cos’hanno in comune tutti questi argomenti? Probabilmente niente o forse poco. Anche se sono tutti perfettamente aderenti ad un unico filone logico che si chiama conoscenza. Un elemento che contribuisce, anche se in minima parte, a farci sentire un pò più liberi di quanto si sentano coloro che, per disgrazia, vivono in luoghi dove la cultura, la religione e il pensiero, sono ancora appannaggio dello Stato.
VOLETE PARTECIPARE A FIERE TEMATICHE ED EVENTI INTERNAZIONALI IN SPAGNA: A MALAGA, TORREMOLINOS, FUENGIROLA E MARBELLA, SULLA COSTA DEL SOL? Assessorati a l t urismo e alla cultura, gruppi folcloristici e proloco, a ssociazioni d i artigiani, produttori a limentari, aziende v inicole, p ittori, scultori, agriturismi, bande musicali Chiamate l’Associazione Italiani in Spagna allo +34 670.030.227 eMail: info@italianinspagna.org Web: www.italianinspagna.org
COMMEMORATO IL PRIMO CENTENARIO DELLA MORTE Emilio Rosetti: l’ingegnere italiano del nuovo volto dell’Argentina Quest’anno ricorre il primo centenario dalla morte di Emilio Rosetti, ingegnere, fondatore della Facoltà di Ingegneria a Buenos Aires nel 1865, professore durante più di venti anni nell’Università di Buenos Aires; matematico, storiografo, designer di opere pubbliche e private che contribuirono allo sviluppo tecnico del Paese ed alla diffusione della cultura europea nell’ America latina. In Italia, a Milano, la Fondazione Nazionale “Italia - Argentina. Emilio Rosetti”, dedicata all’illustre ingegnere, ha inaugurato le celebrazioni con una cerimonia commemorativa nel Cimitero Monumentale di Milano, dove Rosetti è sepolto in un mausoleo che custodisce anche i resti della famiglia Moneta. Infatti, Rosetti sposò la sorella di Ernesto Teodoro Moneda, Premio Nobel della Pace in 1907. Nato in 1839 in Forlimpopoli, nel cuore della Romagna, Rosetti si era da poso laureato nel Politecnico di Torino quando lo chiamarono a Buenos Aires per assumere l’incarico di professore di matematica pura, creando le basi fondamentali per la creazione della Facoltà di Ingegneria. Assieme a Pompeo, fratello di Ernesto Teodoro Moneda, (che il Governo argentino aveva chiamato per progettare la maggior parte della rete delle ferrovie nazionali, opera che gli meriterà l’appellativo di “ingegnere di ferro”, Rosetti realizza il progetto del ferrovia transandina per unire Cile ed Argentina. Va comunque deto che le opere dell’ingegnere italiano per creare infrastrutture ed edifici pubblici sono molte di più, come per esempio il molo ed i tram in Paraná, il monumento all’esperto di diritto costituzionale Vélez Sársfield, il municipio di San Martin e la chiesa degli italiani Mater Misericordiae a Buenos Aires. Inoltre, il Governo argentino convocò ripetutamente Rosetti per affidargli la supervisione di opere fondamentali per la crescita sociale del Paese: scuole, ospedali e prigioni. Personaggio multiforme, viaggiatore curioso e instancabile, Rosetti sarà uno dei fondatori dell’ Istituto Geografico Argentino, della Società Paleontologica Argentina e della Società Scientifica Argentina. A lui si deve la nascita del primo Gabinetto di Fisica in Argentina, che i suoi contemporanei definirono un vero gioiello. Di questo benemerito italiano esistono molti studi editi in Buenos Aires, oltre ad articoli scientifici nelle riviste specializzate più
importanti. Il Governo, grato per il suo lavoro e per il suo impegno,gli ha dedicato un teritorio in Argentina. Rientrato in Italia nel 1885, nominato Console dell’Argentina, quando la sua fama era già arrivata a livelli eccellenti in Argentina, come risulta da innumerevoli documenti originali conservati presso la Fondazione, Rosetti si occupò soprattutto di ricerche storiche e geografiche sulla sua terra natale portando a buon fine una serie di opere significative che ancora si considerano fondamentali. Suo figlio Dooro, avvocato, non seguirà le orme di suo padre, ma quelle di suo zio, il premio Nóbel, Ernesto Theodore Moneta, che gli lascerà la presidenza della sua “Società protects the Pace e the Giustizia Internazionale.” Grazie al lavoro e all’impegno di Doro Rosetti, nella Costituzione Italiana di 1948 si formulerà l’articolo 11 che ripudia la guerra come strumento di attacco alla libertà dei paesi. È un caso unico tra tutte le Costituzioni di quell’epoca. La Fondazione “Italia - Argentina. Emilio Rosetti”, nata in 1997 per volontà dell’ultimo discendente di Rosetti, è arrivata ad essere Fondazione Nazionale nel febbraio di 2007, allargando i suoi orizzonti e le sue finalità anche in ambito internazionale. Per ricordare e diffondere l’opera multiforme e molto singolare di Rosetti, la Fondazione a lui dedicata ha organizzato a serie di eventi durante tutto il 2008, in collaborazione with Il Ministero dei Beni Culturali e l’Amministrazione Co-
munale di Forlimpopoli. Emilio Rosetti nasce a Forlimpopoli (ora in Provincia di Forlì-Cesena ) il 19 maggio 1839, da una famiglia nobile, poi decaduta, che lo avvia inizialmente al mestiere del padre, proprietario di una fornace. La facilità nello studio e le straordinarie doti d’apprendimento, spingono tuttavia Pellegrino Rosetti ad inviare il figlio ancora adolescente, prima a Firenze (dove, come scrive lo stesso Emilio in una delle pagine del suo fittissimo diario, preferisce anziché “ascoltare un certo Rossi, troppo occupato nel raccontare la storia di questo o quel Santo e a indovinare i numeri del lotto”, ammirare e disegnare in tutti i suoi scorci una delle più belle città del mondo), poi all’Università di Bologna, dove il Nostro si fa coinvolgere non poco dalle dimostrazioni popolari del tempo (sono i giorni della liberazione della Romagna dallo Stato Pontificio), nella Sezione di Matematica e Ingegneria. Chiamato sotto le armi a Torino, Emilio Rosetti prosegue in quella città gli studi universitari fino al conseguimento della laurea che avviene nel 1864. Le capacità del Rosetti appaiono così eccellenti che il Prof. Richelmy – Direttore della Scuola di Applicazione per Ingegneri di Torino – lo propone quale fondatore della Facoltà di Scienze Fisico-matematiche e Naturali dell’Università di Buenos Aires (1865).L’illustre medico e antropologo darwiniano Paolo Mantegazza, già nel 1854 giunto in Argentina , sembra sia stato contattato dal governo argentino
per segnalare i nominativi più interessanti di professori e giovani talentuosi italiani. Fra questi, il Rosetti che parte per Buenos Aires il 15 marzo 1865 con Speluzzi e Stroebel, fondatore quest’ultimo della paleonotologia nazionale, ed altre figure di rilievo che connotano in modo nuovo e diverso, dal punto di vista scientifico e culturale, il volto del Paese (non dimentichiamo che nel <gruppo> vi è anche l’ingegner Pompeo Moneta , chiamato a tracciare gran parte delle ferrovie argentine, e il Rosetti sposa la sorella di Ernesto Teodoro Moneta, unico premio Nobel per la Pace – 1907- in Italia). Professore di Geometria descrittiva, Architettura, Topografia, Geodesia, Costruzioni civili e idrauliche, Meccanica applicata, il Rosetti affianca – contemporaneamente – l’attività pratica. A lui vengono affidati compiti di rilevo, come il progetto di una ferrovia attraverso le Ande, la stazione ferroviaria di La Plata, luoghi di culto, monumenti. Il suo curriculum è un inno al valore di un italiano che ha onorato il proprio Paese. Ne annotiamo i punti più salienti: professore di scienze fisico-matematiche all’Università di Buenos Aires (dal 1865 al 1885), professore di fisica al Collegio Nazionale (dal 1865 al 1885), socio onorario fondatore della “Sociedad Paleontologica” di Buenos Aires (1886), consigliere dell’Amministrazione dell’Ospedale Italiano (dal 1871 al 1881), socio fondatore e primo presidente “Sociedad Cientifica Argentina” (1872), commissario governativo dell’Ufficio Brevetti (1875), socio fondatore e Consigliere dell’”Istituto Geografico Argentino” (1880), membro d’onore del comitato per la prima Esposizione Italiana (1881), delegato ufficiale della Repubblica argentina al Congresso Internazionale delle Strade
Ferrate (1887), membro del Comitato Internazionale di Milano (Italiani all’estero 1906), console della Repubblica Argentina (dal 1886). Ma la figura del Rosetti si distingue anche per le doti di poliedricità, sorta di personaggio rinascimentale, studioso, matematico, letterato, appassionato di astronomia e cartografia, di geografia e paleontologia. Amante dei viaggi che instancabile compie da Capo Nord all’Egitto, dalla Tunisia a Parigi, da Malta alla Germania. Più che frequenti i ritorni in Patria: a Milano, dove lo aspetta la moglie con i tre figli, ed a Selbagnone (vicino a Forlimpopoli), nella casa paterna. Le vacanze estive a Bellaria nella sua bellissima villa. Ritornato in Italia definitivamente, nominato Console, il Rosetti si dedica essenzialmente agli studi di storia locale e regionale, facendo ricerche tra archivi, musei, biblioteche ed infine pubblicando il poderoso “La Romagna. Geografia e storia” (1894) che viene considerata ancora oggi, pur con tutti i limiti giacobini ed elementari, la prima opera nella quale i confini della Romagna sono definiti in modo ra-
gionevole. L’ingegner Rosetti muore il 30 gennaio 1908 a Milano, a causa – fertur – di una broncopolmonite contratta andando a vedere i treni partire alla Stazione, così come faceva da ragazzino nella “sua” Forlimpopoli, e viene sepolto nel Cimitero Monumentale di quella città, dove i figli hanno provveduto a edificare un Sacrario dedicato alla famiglia Rosetti-Moneta, che lo scrittore Buzzati, in uno dei suoi articoli sul “Corriere della Sera”, definirà “ forse il più bel Monumento del Cimitero Monumentale di Milano”. Sempre i tre figli, Delio, Nino e Doro, donano al Comune di Forlimpopoli, nei primi anni ’20 del secolo scorso, un Asilo in stile Liberty alla memoria di Emilio e Teresa Rosetti. L’ultima discendente, la Sig.ra Diana Rosetti, nipote di Emilio, lasciò quanto necessario per istituire la “Fondazione Emilio Rosetti” nel 1997, nominando primo Presidente a vita il prof. Corrado Matteucci, mancato nel giugno 2005 Il 15 febbraio 2007 la Fondazione, alla guida del nuovo presidente, ing. Luciano Ravaglia, superato il momento di impasse dovuto alla lunga malattia e poi alla scomparsa del prof. Matteucci, diventa Nazionale assumendo il nome “Fondazione Italia - Argentina.
Emilio Rosetti”. E adesso parliamo della Fondazione che porta il suo nome .L’ultima discendente di Emilio Rosetti, la signora Diana, figlia dell’ingegnere Delio Ciro, quartogenito di Emilio Rosetti, viene rintracciata a Milano dal professor Corrado Matteucci (insegnante di lettere e figura di assoluto rilievo della cultura locale), già negli anni ’70 . Il 27 maggio 1997, con Decreto Regionale n. 825, nasce la Fondazione Emilio Rosetti grazie ad un primo lascito della signora Diana Rosetti, entusiasta istitutrice che mantiene sempre vivissimo il ricordo del padre e della famiglia Moneta Caglio (ricordiamo che Emilio Rosetti sposa la sorella del premio Nobel per la Pace E. T. Moneta, raffigurato nell’immagine sottostante) con la conservazione di materiale e documenti. Primo Presidente è il professor Corrado Matteucci che tanto si era adoperato in quegli anni per recuperare il patrimonio storico- culturale del Rosetti e per fare in modo che la città d’origine dell’ingegnere accogliesse una Fondazione a lui dedicata. Nel marzo 2002, a 96 anni, viene a mancare la signora Diana Rosetti, sepolta nel Sacrario della famiglia Rosetti presso il Cimitero Monumentale di Milano. Nomina la Fondazione ere-
de, donando importanti testimonianze dell’ingegner Emilio Rosetti e della sua attività in Argentina, affinché venga valorizzata la figura del nonno paterno. Purtroppo, dopo lunga malattia, scompare anche il primo presidente a vita della Fondazione, professor Corrado Matteucci: è il 27 giugno 2005. Dopo una prima fase di impasse, la Fondazione riavvia le attività e intitola il Comprensivo Scolastico di Forlimpopoli alla memoria dell’ingegner Rosetti. Dona, inoltre, l’aula di informatica alla nuova Scuola Media, dedicandola al professor Matteucci. Ricostituitosi il Consiglio di Amministrazione il 25 luglio 2005, viene successivamente eletto nuovo Presidente l’ingegnere Luciano Ravaglia che esercita la professione in architettura, urbanistica e pianificazione territoriale in Italia e all’estero ed è profondo conoscitore dell’Argentina, conservando tuttora l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica per il recupero, in Argentina, del patrimonio architettonico di derivazione italiana. Concluso il complicato iter burocratico ed amministrativo, adempiuti tutti gli obblighi, il 15 febbraio 2007, la Fondazione, divenuta “Fondazione Italia-Argentina Emilio Rosetti”, opera il passaggio a nazionale. Si ampliano
gli orizzonti e le finalità che diventano finalmente di grande respiro, così come avrebbe voluto la sua istitutrice. Giulio Rosi Didascalie: 1. I Consiglieri della Fondazione ricevuti dal Presidente Scalfaro; 2. Il Villino Rosetti a Bellaria; 3. Diana da ragazza; 4. Doro da bambino; 5. Emilio Rosetti in famiglia con le nuore.
INDIMENTICABILE WEEK-END NUOTANDO NEL LUSSO In totale immersione nel mondo magico dei sogni realizzabili
Arrivo a Vicenza in tarda mattina animato da una certa curiosità per questa ondata edonistica che da Shangai a Mosca, passando da Abu Dhabi, sta dilagando nel mondo. In particolare mi interessa capire come le aziende italiane stanno cavalcando questa tendenza del mercato mondiale.Mi reco subito al salone internazionale del lusso LUXURY & YACHTS (www. luxuryyachts.it), creazione di Luciano Coin alla sesta edizione, che si tiene alla Fiera di Vicenza.L’esterno della Fiera, opera dell’architetto Carla Baratelli, attrae subito gradevolmente il mio sguardo e ben mi predispone alla visita: una decorazione stile classico di colore bianco, chiaramente d’ispirazione palladiana, abbraccia il verde di una siepe al centro sulla quale poggia una gigantesca rosa rossa. Il giro degli stand è di una piacevolezza unica. Ovunque siete accolti con cortesia e professionalità ed ovunque vi offrono flute di champagne, tartine e sfizi gastronomici. Maledizione alla mia dieta! Ebbene confesso che ho resistito a lungo, ma sono infine capitolato di fronte ad una cioccolata speziata alla liquirizia con una punta d’oro. Si, proprio “oro”. Forse un rimando all’alchimia taoista ed all’elisir
di lunga vita? Chissà… quello che è certo è che è di una bontà unica!Lo spazio espositivo è ben 33.000 metri quadrati ed è praticamente impossibile visitarlo tutto come meriterebbe. L’offerta dei 250 espositori è talmente ampia che è inevitabile talvolta scadere nella banalità, ma, in ogni caso, vi si trovano sicuramente moltissimi oggetti interessanti ed intriganti novità.Cosa vi occorre? Un nuovo cellu-
lare od una camicia? Dovete cambiare gli infissi delle finestre o rifare i bagni? Tante le soluzioni, tutte all’insegna della qualità e di un lusso che spesso sconfina nell’eccesso. Come gli infissi con gli strass di Tonini e tutti gli altri oggetti di uso comune tempestati di pietre luccicanti. D’altronde, come mi spiegano i rivenditori, quasi tutte queste produzioni si rivolgono ai ricchi mercati arabi e russo che, si sa, hanno un senso estetico lontano da quello di noi old fashion europei.Se poi volete alzare il tiro, mettetevi al volante della ZONDA, la fuoriserie di Horacio Pagani. Appena 800 mila euro per una macchina esclusiva che è prodotta in soli 25 esemplari l’anno, tutti regolarmente prenotati ed esauriti con largo anticipo. Poi, motociclette che sembrano più adatte alla vetrina di un gioielliere che ad una pista, aerei privati, elicotteri, yachts… basta, ho bisogno di una pausa! Detto e fatto, ecco un graziosa hostess che mi invita a sdraiarmi vestito dentro NUVOLA: un’elegante vasca in granito della TECNODESIGN dove, avvolto in una membrana trasparente, mi immergo nell’acqua calda per un incredibile idromassaggio. Ristorato e gratificato, riprendo la passeggiata tra gli stand, sino a che un oggetto eccezionale rapisce la mia attenzione. E’ un monumentale lampadario due metri per due, creazione dell’artista veneta Gianna Sartori. Si tratta di un’opera ispirata al mito di Medusa, una fontana di luce i cui flutti sono serpenti da lei generati e che a lei ritornano. Non inducono paura, anzi, sembrano ispirare saggezza. Un indice volto al cielo sembra sostenere magicamente la monumentale
struttura con paradossale leggerezza. L’energia distruttiva evocata dal mito trova il suo equilibrio naturale e tutto l’insieme induce una sensazione di armonia nell’osservatore. Un’opera splendida e suggestiva, magistralmente realizzata utilizzando materiali grezzi, come ferro e vetro, da MM LAMPADARI, un’azienda trevigiana gestita da un team tutto al femminile. Visto che è l’8 Marzo, non potrei trovare maniera migliore per festeggiarlo che lodare donne come Gianna Sartori e la famiglia Mondin, che coniugando grazia e professionalità, tecnica ed arte, fanno onore a tutti noi italiani.Vado oltre… una rapida serpentina tra orologi e gioielli, passo attraverso la frescura dei giardini allestiti da TUSI ed arrivo ai raffinati arredi d’interni di Gastone Fioravanzo e Martino Pesavento. Appartiene a questo settore anche una realizzazione della ditta MELCHIORRI che ha colpito la mia attenzione. Infatti, non ho potuto evitare di soffermarmi su un allestimento d’interno particolarmente bello e pregiato nei materiali. “Bellissimo” mi sono detto “ma… cosa è?” Con un simpatico sorriso l’architetto Samantha Bolognesi mi ha tratto d’impaccio dicendomi le piace la nostra cucina? Come d’incanto compaiono alla mia vista i fornelli mimetizzati nel pianale ed i preziosi sportelli rivestiti in pelle si aprono mostrando il loro “segreto”.Beh, adesso sono proprio stanco, vado via, ma non senza fermarmi dieci minuti a contemplare le macchine d’epoca magistralmente restaurate da LUZZAGO. E’ un’atmosfere sognante quella che aleggia tra queste vecchie signore, che un miracolo tecnologico ha riportato all’antico splendore.Non ho certo potuto vedere tutta la mostra, ma mi sento ugualmente appagato e soddisfatto. Domani avrò un incontro importante.È il giorno dopo: domenica. Sta per avere inizio il nuovissimo Hotel Hilton di Venezia ospiterà PASSION YACTHS & EMOTIONS (http://www. passionye.com) mostra ultima nata del settore, ma per la quale si preannunciano già cose eccezionali. Sono le dieci e mi avvio con passo svelto verso il SALONE NAUTICO di Venezia dove mi attende la creatrice di PASSION, Samantha Berdin. Samantha è una donna giovane e molto preparata. Espone le sue idee con precisione e professionalmente. Parlare di lavoro con lei vuol dire esporsi ad una mitragliata di parole e dati che, però, non le fa perdere in grazia; ed il suo animo gentile è ben testimoniato da Grace, la deliziosa cagnetta che porta sempre con se.“Nessuna competizione con Luxury & Yacths. Noi partiamo da un concetto pro-
fondamente diverso”, esordisce. Mi spiega che la filosofia dell’altra manifestazione è quella di una fiera, mentre PASSION è piuttosto un evento. Mentre alla prima partecipano anche rivenditori e negozianti al dettaglio, a PASSION sarà presente sono una selezione di 50 produttori di eccellenza. In sintesi, un taglio meno commerciale e più elitario, perché se la passione è lusso, non sempre il lusso è una passione, sentenzia sicura Samantha. Il format di PASSION è assolutamente innovativo e coniuga: esposizione, eventi e cultura.L’esposizione si giocherà tra gli esterni del Molino Stuky Hilton dove si troveranno ormeggiati gli yachts dei cantieri italiani più prestigiosi: da FERRETTI a RIZZARDI, agli interni del prestigioso Hotel dove la CAMPARI accoglierà tutti i visitatori nella Red Passion Lounge. Le case produttrici utilizzeranno la cornice accattivante di PASSION per offrire alla loro migliore clientela eventi esclusivi e riservati, ma in sinergia con il resto dell’esposizione che si rivolge a persone che condividono un medesimo stile di vita. Non mancheranno certo la poesia e la musica a PASSION; in particolare, segnalo il concerto della nota violinista Kristin Lee che per l’occasione suonerà con uno Stradivari. Potremo ammirare le armi costruite da abilissimi arti-
giani per la Casa Reale di Spagna (almeno 250.000 euro a pezzo) ed i cavalli purosangue arabi. Ci sarà l’arte di Emanuele Seguso e Malcom Reid. L’haute couture vedrà protagonisti del calibro di ISAIA, Monique Lecerf e Domenico Longo. Dettagli d’autore con il calzificio BRESCIANI e la ricercata pelletteria JAZZ by SIRENA. Per la cura del corpo sarà presente Roy De Vita con la sua ultima esclusiva linea di cosmesi, Rituel de Vitalité. Per il fitness saranno presenti JACUZZI, TECHNOGYM e POWER PLATE. E tanti altri, tutti accuratamente selezionati con un criterio unico: l’eccellenza. Ai visitatori in macchina è consentito di parcheggiare al Salone Nautico (costo 6 euro) e poi fruire del servizio gratuito di collegamento con il Molino Stuky Hilton. Lo stesso servizio è garantito tra l’Hilton e gli altri grandi Hotel di Venezia. Oggi spostarsi in aereo in Europa è diventato veramente economico, ed allora perché non coniugare un weekend in una romantica Venezia d’Inverno con tanta piacevolezza? Roberto Rauty Didascalie: 1. Roberto Rauty con Samantha Berdìn; 2.. Salone nautico di Venezia; 3. Gianna Sartori e la famiglia Mondìn.
LA CONFINDUSTRIA DI TRAPANI CONTRO IL RACKET Per la prima volta affronterà la mafia in sede giudiziaria Per la prima volta Confindustria Trapani si costituisce parte civile in un processo per mafia e racket, nel quale è imputato un imprenditore associato che ha scelto il rito abbreviato, che sarà celebrato il prossimo 3 aprile. Il Gup di Palermo, Lorenzo Matassa, nell’udienza preliminare svoltasi presso l’aula “Bachelet” del carcere di Pagliarelli per il procedimento penale contro sette imputati di estorsione e associazione mafiosa che riguarda, fra l’altro, la vicenda della tentata acquisizione della Calcestruzzi Ericina (Pm Andrea Tarondo di Trapani), respingendo le eccezioni sollevate dalla difesa ha ammesso Confindustria Trapani, presieduta da Davide Durante e assistita dall’avvocato Giuseppe Novara, parte civile anche al processo che inizierà il 4 giugno, definendo l’associazione “parte offesa in quanto esercente interessi diffusi nel territorio”. Ormai è cosa nota che la Confindustria della Sicilia si difende a spada tratta contro la mafia, e contro una lista di attentati e minacce di morte che troppo spesso colpiscono i suoi membri, e che in l’anno scorso hanno preso di mira Andrea Vecchio e Marco Venturi, rispettivamente imprenditore del settore edile e presidente della camera di commercio di Catania. Tutti coloro che, pagando il pizzo, “collaboreranno” con la mafia, saranno infatti espulsi dall’associazione degli imprenditori. Alle parole hanno fatto regolarmente seguito i fatti e grazie ai suoi imprenditori la Sicilia ha assunto una connotazione nuova, ferma, fatta di convinzine che la mafia possa essere sconfitta soltanto sul suo terreno, sul quel suolo troppo e da troppo umilioato da igni genere di poteri quasi sempre accolti da una porzione marginale di locali, ma non di rado venuto da fuori, pilotato da lontano, gestito da cattedre invisibili. In questa nuova lotta la Confindustria è in prima linea. “Questa volta non abbiamo esitato – spiega Davide Durante – a costituirci parte civile, in applicazione di quanto deliberato da Confindustria Trapani circa l’impegno contro la mafia, e su questo fronte non faremo sconti a nessuno. E’ anche vero – ammette Durante - che l’avere scoperto che un nostro associato non agiva nella legalità ci ha amareggiato moltissimo”. “E’ indubbio – rileva Davide Durante – che in ogni caso si è arrecato un grave danno al sistema economico provinciale
rappresentato da Confindustria Trapani, soprattutto perché nessun sospetto si poteva nutrire riguardo all’integrità dell’imprenditore associato, fino al suo arresto avvenuto lo scorso 4 aprile. Nella vicenda in questione egli ha svolto un ruolo da protagonista anche coinvolgendo l’associazione nei confronti delle istituzioni pubbliche, e ciò ha sicuramente arrecato un danno rilevante a Confindustria e alle aziende associate, così come riconosciuto dal giudice”. “Prosegue così – aggiunge Durante – il nostro impegno contro mafia e racket, che si concretizza nell’applicazione del codice etico di Confindustria Sicilia e nell’attività dell’associazione antiracket
da noi promossa”. Il presidente di Confindustria Sicilia, Ivan Lo Bello, ha dichiarato: “La costituzione di parte civile di Confindustria Trapani ad un processo per mafia ed estorsioni, che segue analoghe iniziative delle associazioni di Palermo, Caltanissetta e Agrigento, è importante perché ribadisce anche in questa provincia la nettezza del nostro impegno per l’affermazione della legalità e conferma che su questo principio non faremo sconti a nessuno. Mi auguro che la decisione di Confindustria Trapani sia di ulteriore stimolo affinché sempre più imprenditori scelgano la strada della legalità”. Giulio Rosi
LA SICILIA DICE SI ALL’INNOVAZIONE ENERGETICA Nell’isola si registra elevati incrementi di consumo elettrico Secondo gli ultimi dati, dall’inizio dell’anno la Sicilia ha registrato il più alto incremento di consumi di elettricità in Italia. Ciò, aggiunto al costo dell’energia che in Sicilia è anche il più elevato del Paese, rende più urgente assumere decisioni che consentano di aumentare la produzione di elettricità e di ridurne il costo finale per i consumatori domestici e le aziende. Lo ha sostenuto a Palermo, inaugurando il convegno in corso presso Confindustria Sicilia, il presidente regionale di Federmanager, Beniamino Morgana, il quale, all’indomani del decalogo di Confindustria Sicilia alle forze politiche che prevede la realizzazione di termovalorizzatori e rigassificatori nell’Isola, ha dichiarato: “Le istituzioni devono prendere una decisione al più presto, non si può parlare per un periodo di queste cose e poi fare cadere tutto nel silenzio. Secondo noi – ha aggiunto Morgana – occorre dotare la Sicilia di termovalorizzatori e di rigassificatori per raggiungere efficienza e autonomia nella produzione di energia nel rispetto dell’ambiente, ottenendo così anche una riduzione delle tariffe. Inoltre, le istituzioni competenti devono assolutamente sbloccare l’autorizzazione dei progetti presentati per i nuovi parchi eolici, in quanto la tecnologia di cui disponiamo e l’elevatissima ventosità del territorio potrebbero addirittura consentirci di ridimensionare o chiudere qualche vecchia centrale inquinante”. Il tema si presenta quanto mai attuale e interessante, allaluce di quanto accade in Campania e alle problematiche sull’energia che si prevedono sempre più complesse col passare degli anni. La previsione è un concetto che si impone nell’ambito dei comportamenti politici responsabili. Chi non prevede, si troverà ben presto in situazioni gravi e irreversibili. Che l’iniziativa venga dalla Sicilia è fortemente indicativo di una volontà di ripresa e di autonomia che potrebbe scalzare i vecchi pregiudizi di una passività colpevole e connivente che hanno praricamente da sempre caratterizzato il quadro sociale dell’isola, rapprseenntadole come una irrecuperabile roccaforte della criminalità organizzata. I siciliani, invece, hanno detto basta. Basta con il racket, basta con la mafia, nasta con il malgoverno. Morgana ha lanciato un ulteriore allarme alle istituzioni: “Nel campo del
fotovoltaico la nostra tecnologia non è matura, bisogna finanziare la ricerca perché la maggior parte degli impianti che si installano adottano costose tecnologie straniere in regime di monopolio. Le nostre autorità devono investire nella ricerca scientifica affinché in Sicilia si arrivi a mettere a punto una moderna tecnologia capace di accrescere l’efficienza e ridurre i costi dei pannelli fotovoltaici, proprio nella terra dove è maggiore in Europa l’indice di irradiazione solare”. Appello subito raccolto dal viceministro per lo Sviluppo, Sergio D’Antoni: “In Sicilia – ha detto - bisogna intanto sviluppare la produzione di energia da fonti tradizionali. Così come siamo riusciti a sbloccare la costruzione di
rigassificatori a Rovigo e a Livorno, anche nell’Isola si deve puntare ai due rigassificatori previsti o, quanto meno, ad autorizzare uno dei due, a Porto Empedocle o a Priolo. Ciò per garantire una sufficiente produzione di energia per gli utenti domestici e le aziende, e anche per generare sviluppo dalle attività economiche collegate ai rigassificatori”. Secondo D’Antoni, poi, “in Sicilia si deve davvero puntare sulle energie rinnovabili, potenziando l’eolico e investendo in particolare sulla ricerca nel fotovoltaico. La tecnologia predominante è straniera e ciò ne rende il costo ancora non competitivo rispetto al rendimento”. Paola Pacifici
PROVINCIE: UN SECOLO DI STORIA MA VANNO RIVISTE Continueranno ad avere un ruolo importante sul territorio
La Provincia, in Italia, è un ente locale territoriale il cui territorio è per estensione inferiore a quello della Regione e comprende il territorio di più Comuni . La disciplina delle Province è contenuta nella Costituzione e in fonti primarie e secondarie che attuano il disposto costituzionale. Tranne quelle autonome, tutte le province fanno parte dell’Unione delle province d’Italia UPI. I compiti dell’organo sono di valorizzazione, promozione, supporto tecnico e politico e tutela delle necessità locali con il Governo, il Parlamento e gli organismi comunitari. L’Upi fa parte della Conferenza Unificata e della Conferenza Stato-Città e Autonomie locali. Il Presidente dell’Upi è Fabio Melilli (Presidente della Provincia di Rieti), mentre il suo Di-
rettore generale è Piero Antonelli. Si è svolta la celebrazione del centenario dell’Upi, Unione province d’Italia, con la partecipazione del presidente del Senato, Franco Marini. Il presidente dell’Unione delle Province d’Italia, Fabio Melilli, intervenendo alla cerimonia al Senato, ha dichiarato che “cancellando un’istituzione con forte legittimazione popolare e la sua rappresentanza politica, abbiamo la certezza che impoveriremmo il confronto e non renderemmo un buon servizio alla democrazia”. Mellili ha poi sottolineato che “se si riuscisse a ragionare di costi della politica al di fuori degli slogan e della propaganda, tutti noi giungeremmo con serenita’ alla conclusione che e’ in questo sistema di sovrapposizioni di funzioni e risorse suddivise in mille
rivoli, di inutili enti e burocrazie, che si annidano i veri sprechi”. E in tal senso Melilli ricorda che l’Upi ha chiesto ai partiti politici, a tutte le istituzioni, di stringere un patto per ridurre i costi della politica. Per il Ministro dell’interno Amato: “Esiste una dimensione minima al di sotto della quale la Provincia e’ inutile”, mentre per il Ministro per gli affari regionali, Linda Lanzillotta “le Province continueranno dunque ad avere un ruolo importante sul territorio a condizione che si avvii, rapidamente, con coraggio e senza corporativismi, il mutamento che dopo un secolo appare ormai necessario e non più rinviabile”. Per Vannino Chiti, Ministro dei rapporti con il parlamento, ripensare il ruolo delle province “non significa affatto ridimensionarne l’importanza, bensi’ ridefinirne e rilanciarne le funzioni nell’ambito del rapporto di leale collaborazione verso il basso, con i Comuni, e verso l’alto, con Regioni e Stato centrale”. Secondo il presidente del Senato, Franco Marini, serve un nuovo disegno organizzativo che dovra’ seguire una logica di semplificazione ed efficienza. Bisognerà abolire le province dove sono previste le citta’ metropolitane; semplificare gli uffici periferici dello stato; sfoltire drasticamente “la pletora dei vari enti intermedi settoriali che oggi si frappongono tra province e comuni”; favorire le unioni tra i piccoli comuni; razionalizzare le funzioni provinciali e comunali. “Seguendo con intelligenza politica questi binari - ha detto Marini durante la celebrazione per il centenario dell’Upi - potremo contribuire a sviluppare il nostro peculiare federalismo, sia sul piano organizzativo che su quello fiscale. Auspico che la prossima legislatura repubblicana possa vedere finalmente lo sviluppo di un confronto e di una collaborazione tra gli schieramenti politici per fare questi e altri aggiustamenti istituzionali, essenziali per la nostra coesione democratica, per rilanciare la nostra vita civile, economica e sociale in un tempo di grandi sfide aperte e di straordinarie potenzialità”. Mauro Piergentili
PER ESSERE LIBERE VOLEVANO ANCHE LE ROSE Un film di Alina Marazzi sull’emancipazione femminile
“Vogliamo anche le rose” è il titolo del docu-film scritto e diretto da Alina Marazzi, presentato alla sessantesima edizione del Festival di Locarno, prodotto dalla MIR Cinematografica con RAI CINEMA, Ventura Film e RTSI - Televisione Svizzera, in uscita sugli schermi italiani il 7 marzo, alla vigilia della Festa delle Donne. “Vogliamo anche le rose” racconta il profondo cambiamento portato dalla liberazione sessuale e dal movimento femminista in Italia a partire dalla fine degli anni Sessanta, fino a tutto il decennio successivo. Il film racconta fatti della storia recente con l’originalità di uno sguardo al femminile su vicende che videro protagoniste proprio le donne. Viene messa in secondo piano una presunta oggettività dei fatti a favore di un concerto di voci che raccontano quelle vicende in prima persona, intersecando la visione di quanto accadeva in quegli anni come risulta dagli archivi filmati dell’epoca (tra i quali vi sono quelli della manifestazione milanese di Parco Lambro, del giugno 1976, in cui 150.000 giovani dettero vita ad un happening liberatorio di quattro giorni senza precedenti), provenienti dalle fonti più diverse: istituzionali, pubbliche, militanti, private. Le storie, vere ed esemplari, riportate nei diari privati di tre giovani donne mostrano le ragioni più intime e personali che stanno alla base di questa rivoluzione sociale, dalla presa di coscienza della condizione femminile alla messa in discussione del primato maschile, fino ad una radicale revisione del rapporto uomo-donna. Anita, Teresa e Valentina provengono da diverse regioni d’Italia, ed appartengono a diverse classi sociali; eppure, sono accomunate dal fatto di essere donne e da un’uguale rivendicazione: non si riconoscono più in una società patriarcale, maschilista e maritale, che
le vuole madri efficienti, mogli obbedienti, figlie integerrime. Il diario di Anita racconta la difficile emancipazione dalla famiglia e dall’oppressiva figura paterna di una giovane adolescente milanese degli anni Sessanta; il diario di Teresa descrive la parabola psicologica e fisica di una ragazza pugliese alle prese con un aborto clandestino; quello di Valentina riporta l’esperienza di una femminista romana divisa tra amore e militanza. Storie personali di lotte di donne in un’Italia che sembra più lontana di quanto non sia e che si vorrebbe capace di non dimenticare il suo passato e alcune tappe della sua crescita culturale e civile. Ma anche un modo per guardare, attraverso la particolarità del caso italiano, la storia delle lotte delle donne dovunque ci siano o ci siano state, con la convinzione che non bisogna mai dare per acquisita nessuna conquista. “Vogliamo anche le rose”, è il terzo documentario di Alina Marazzi dedicato a storie e identità femminili. La regista, classe 1964, che vive e lavora a Milano, ha al proprio attivo “Un’ora Sola
ti vorrei”, in cui ricostruisce la figura di sua madre, che perse quando era bambina; e “Per Sempre”, in cui indaga le ragioni che spingono alcune donne a fare una scelta di vita definitiva all’interno di comunità monastiche. Di questo suo terzo lavoro, la Marazzi afferma che: “il film immagina gli eventi narrati nei diari ricorrendo a materiali di repertorio dell’epoca, accostandoli, forzandoli ed esaltandoli in una libera interpretazione che vuole andare al di là della ricostruzione storica per cogliere il più possibile tutta la verità emotiva e esistenziale di cui la storia è fatta. Fotografie, fotoromanzi, filmini di famiglia, inchieste e dibattiti televisivi, film indipendenti e sperimentali, riprese militanti e private, pubblicità, musiche e animazioni d’epoca e originali, oltre ai tre diari privati, sono la stratificazione visiva e sonora su cui riscrivere una storia del passato recente alla luce di un futuro incerto”. La regista milanese aggiunge: “Ho voluto ripercorrere la storia delle donne tra la metà degli anni Sessanta e la fine degli anni Settanta per metterla in relazione, a partire dal caso italiano, con il nostro presente globale, conflittuale e contraddittorio. Con l’intenzione di offrire uno spunto di riflessione su temi ancora oggi parzialmente irrisolti o addirittura platealmente rimessi in discussione”. La Marazzi si chiede dove siano approdate oggi queste donne. Che tipo di coscienza abbiano di sé. Quali siano ancora i traguardi da raggiungere, i desideri da esaudire, e come esse vivano le loro relazioni affettive, l’amore, la maternità. Il titolo del docu-film riconduce alla celebre contestazione delle operaie tessili del Massachusetts del 1912, il cui slogan era “Vogliamo il pane, ma anche le rose”. Si ringrazia l’Ufficio Stampa della Mikado Film, società distributrice del film, per il materiale fornito. Franco Baccarini
SI VA SULLA MONTAGNA, MA NIENTE FACILONERIA Il fascino dell’escurzionismo fra antichi rischi e nuove tecnologie
L’escursionismo è una forma di attività motoria basata sul camminare nel territorio, sia lungo percorsi (strade, sentieri, ecc.), anche variamente attrezzati, che liberamente, al di fuori di percorsi fissi. Complementari all’escursionismo, in quanto svolte in ambiente similare ma con altri mezzi di trasporto, sono le escursioni a cavallo, in mountain bike, in canoa,lo sci di fondo e lo scialpinismo. L’escursionismo è inoltre preliminare ad attività quali l’arrampicata e l’alpinismo. Spesso, derivando il termine dalla lingua inglese, viene indicato anche con trekking o hiking. Il primo termine deriva dal verbo inglese to trek, che significa camminare lentamente o anche fare un lungo viaggio. Il secondo deriva dal verbo inglese to hike, che significa camminare. Normalmente l’escursionismo si svolge in montagna o comunque in un ambiente naturale, e può essere accompagnata da attività naturalistiche quali il birdwatching, l’osservazione di specie botaniche o anche la visita di monumenti o fenomeni naturali posti lungo il percorso. L’escursionista seriamente motivato deve avere rispetto dell’ambiente che attraversa, evitare di fare rumore, rispettare i sentieri, non manomettere la segnaletica, non lasciare rifiuti (che potranno essere
compattati e trasportati fino ad un cestino, o meglio ancora a valle), non cogliere specie botaniche protette o molestare animali selvatici, accendere fuochi solamente in luogo adatto e con adeguata competenza, spegnerlo accuratamente prima della partenza, non gettare mozziconi di sigaretta accesi (e neanche spenti possibilmente). Per evitare problemi anche gravi, quali per esempio lo smarrimento o il trovarsi coinvolti in un temporale improvviso, è necessario pianificare in anticipo diversi elementi: il percorso, il profilo altimetrico, il dislivello complessivo, la natura del suolo, i punti di orientamento; la durata prevista, le tappe, i rifugi; le condizioni meteorologiche previste; l’abbigliamento e in particolare le calzature; l’equipaggiamento (accessori minimi, zaini, tende, fornelli da campo e stoviglie ecc); le scorte di acqua e alimenti. L’abbigliamento è naturalmente legato alla stagione, ma comunque si devono tenere in considerazione eventuali peggioramenti delle condizioni meteorologiche. Si dovrà sempre includere un abbigliamento impermeabile da indossare in caso di emergenza. Impiegare preferibilmente scarponi adatti al tipo di terreno che si affronterà e calzini specifici per l’escursionismo (in genere privi di cu-
citure e con struttura differenziata per un maggior comfort)). La tecnologia moderna offre diversi mezzi di orientamento e soccorso, tra cui telefono cellulare e GPS. Il telefono deve essere considerato però solamente un di più, non ci si deve fare un affidamento assoluto, poiché la copertura non è sempre assicurata. Più utile potrebbe essere un ricetrasmettitore radio in grado di operare su bande dove inviare richieste di soccorso. Per essere ragionevolmente sicuri di avere sempre un collegamento con la pianura occorre portare con sé un telefono satellitare, che è molto costoso. Anche il GPS potrebbe scaricare le batterie.Prima di partire è opportuno cercare di imparare bene il territorio sul quale ci si muoverà, in particolare i sentieri segnati, la posizione di eventuali punti di riferimento, l’altimetria e l’orientamento generale rispetto ai punti cardinali. Meglio è avere con sé una carta topografica dettagliata e naturalmente saperla leggere ed orientare correttamente. Per orientarsi rispetto ai punti cardinali lo strumento migliore è la bussola oppure un ricevitore GPS. Un buon escursionista è in grado di orientarsi anche guardando il sole (tenendo conto dell’ora del giorno) o le costellazioni di notte. Andrea Rosi
MA DOVE VAI SE HAI SENIGALLIA A PORTATA DI MANO? Sempre attraente l’antica colonia romana sull’Adriatico Per molti il suo nome evoca delle vacanze all’insegna della squisita cucina marchigiana, della gentilezza della gente e della tranquillità. È Senigallia. Il nome ricorda l’antica origine della città che la tradizione vuole fondata da un mitico “Brenno”, condottiero dei Galli. Prima colonia romana sull’Adriatico, Senigallia conosce momenti di grande fortuna e di profonda decadenza. La sua rinascita certa è databile alla metà del XV secolo, quando Sigismondo Pandolfo Malatesti la fortifica e ripopola il suo territorio. Dopo la sua sconfitta ad opera di Federico da Montefeltro, la città viene data in vicariato ad Antonio Piccolomini dal papa Pio II e, in seguito ad alterne vicende, concessa da Sisto IV a suo nipote, Giovanni Della Rovere, destinato a sposare Giovanna, figlia di Federico da Montefeltro al quale il pontefice ha conferito, in quello stesso anno, il titolo di duca Giovanni, l’anno dopo, è anche nominato Prefetto di Roma e riceve in eredità dal cugino Leonardo il Ducato di Sora.I ventisette anni del governo dei Della Rovere, che muore il 6 novembre 1501, segnano un periodo particolare nella storia di Senigallia: l’unico in cui la città è capitale di uno Stato che il “principe nuovo” crea nelle sue strutture fondamentali, dotandola di Statuti e di Catasti e ripensando l’assetto urbanistico, non solo con una più funzionale cinta muraria e con una più potente rocca, fulcro delle difese a mare, ma anche con lavori di bonifica della zona paludosa delle Saline, di arginatura del fiume Misa, con spazi verdi e “mattonando e saligando tutte le strade”. Giovanni ha a sua disposizione gli architetti di Federico da Montefeltro: Gentile Veterani progetta il rivellino; Luciano Laurana struttura il corpo centrale della Rocca nel quale ricava appartamenti che accolgano la corte in caso di emergenza ed effettua anche il collegamento con la piazza antistante; Baccio Pontelli realizza i quattro massicci torrioni che inglobano la parte residenziale.Signore di una piccola corte, segnata dall’austerità dei costumi e da una profonda religiosità, fa progettare da Baccio Pontelli per Senigallia il Convento e la Chiesa di Santa Maria delle Grazie. Egli non vedrà la fine dei lavori della complessa struttura, iniziata nel 1491, certamente destinata ad essere la tomba di famiglia e, forse, edificata per sciogliere il voto fatto alla Madonna e a San Francesco per
ottenere la grazia di un figlio maschio. Francesco Maria nasce nel 1490 e, per l’estinzione della casata dei Montefeltro, diventa duca di Urbino nel 1508, primo della dinastia roveresca destinata a durare fino al 1631.Città ricca continua la sua espansione dotandosi, nel XVI e nel XVII secolo, di altri monumenti tra i quali: il Palazzo comunale, il Palazzo del Duca, la Chiesa della Croce, ove è conservata la Deposizione di Federico Barocci, mentre dello stesso periodo è la bellissima Visita a Sant’Anna del Guercino, conservata nella Chiesa di San Martino. In età pontificia si trasforma da città-stato a città-mercato, anche nelle strutture architettoniche: i Portici
sul lungofiume sostituiscono le potenti mura volute da Guidobaldo II a metà del XVI secolo. Quattordici consolati esteri proteggono gli interessi dei mercanti che accorrono nei giorni della celebre Fiera franca della Maddalena, mentre nel XIX secolo essere patria del papa Pio IX consente alla città di Senigallia di vivere ancora da protagonista nella storia.Nei primi decenni del ‘900 si afferma l’immagine di Senigallia come sede privilegiata del nascente turismo balneare. Un monumento celebrò in modo splendido questa vocazione della città, la Rotonda a Mare inaugurata nel 1933. Maria Giulia Nuti
FRANCESCO E CHIARA, SANTI E PROTAGONISTI D’ITALIA Segnano le origini accompagnando l’evoluzione della suggestiva Assisi
Assisi è una città dell’Umbria in provincia di Perugia, situata sul fianco occidentale del Monte Subasio. È conosciuta per essere la città in cui nacquero, vissero e morirono san Francesco e santa Chiara, patroni d’Italia.Numerosi reperti archeologici indicano che Assisi trae le sue origini da un piccolo villaggio abitato dagli Umbri già nel periodo Villanoviano. La città si sviluppò a ridosso dei territori controllati dagli Etruschi, e orbitò sotto il loro potere fino al 295 a.C. quando, con la battaglia di Sentino, i Romani imposero il loro dominio anche nell’Italia centrale. Per Asisium (così era chiamata dai romani) fu un periodo prospero: innalzata a Municipium, diventò
un importante centro economico e sociale dell’Impero romano. Il suo toponimo ha origini prelatine, e conservando un’incerta etimologia, viene interpretato in due differenti modi. Città del falco, o dell’astore oppure dalla base latina ossa ovvero torrente con ovvio riferimento all fiume Assino.Con il crollo dell’Impero romano anche Assisi conobbe la buia età delle invasioni barbariche e, nel 545, fu saccheggiata dai Goti di Totila. Conquistata dai Bizantini, passò poco tempo dopo sotto il dominio longobardo divenendo, nell’XI secolo, libero comune. Dopo un periodo di guerre, nel 1174 fu assediata e conquistata da Federico Barbarossa, che diede l’investitura del-
la città al duca Corrado di Lutzen, detto anche Corrado di Urslingen. Pochi anni dopo, tra il 1181 e il 1182, nasce ad Assisi Francesco - figlio di Pietro di Bernardone e Madonna Pica - il futuro santo che, con la sua opera, segnerà la storia del luogo e dell’umanità.Nel 1198 il popolo di Assisi, stanco dei soprusi del duca di Lutzen, si ribellò scacciandolo dalla città. Successivamente la città passò sotto il dominio della Chiesa, dei Perugini, di Giangaleazzo Visconti, dei Montefeltro, di Braccio Fortebraccio da Montone, passando infine sotto il controllo di Francesco Sforza.Profondamente segnata dalle lotte intestine che videro sempre in contrasto i Nepis ed i Fiumi, Assisi venne assegnata alla Chiesa al tempo di papa Paolo III nel XVI secolo. Nel 1860, con plebiscito unanime, aderì al nascente Stato italiano.Durante la seconda guerra mondiale, nel periodo seguente all’8 settembre 1943 e all’occupazione tedesca, Assisi è letteralmente invasa dai profughi, tra i quali oltre 300 ebrei. Il vescovo Giuseppe Placido Nicolini - coadiuvato dal segretario, padre Aldo Brunacci, e dal guardiano del Convento di San Damiano, padre Rufino Nicacci – trasforma Assisi in uno dei centri principali della resistenza civile italiana all’Olocausto. Travestiti da frati e suore, nascosti nei sotterranei e nelle cantine, mimetizzati tra gli sfollati, provvisti di documenti falsi, gli ebrei rifugiatisi ad Assisi sono protetti da una vasta rete di solidarietà che si estende anche ad altre zone dell’Umbria. Grazie anche alla complicità dell’ufficiale tedesco Valentin Müller, che dichiarerà Assisi una zona franca ospedaliera, nessun ebreo sarà deportato da Assisi. Il vescovo Giuseppe Placido Nicolini e i padri Aldo Brunacci e Rufino Nicacci, ricevono nel dopoguerra l’alta onorificenza di giusti tra le nazioni dall’Istituto Yad Vashem di Gerusalemme, unitamente a Luigi e Trento Brizi che nel loro piccolo di negozio di souvenir vicino a piazza Santa Chiara hanno provveduto alla stampa di tanti falsi documenti di identita’. Nel 1985 il film The Assisi Underground di Alexander Ramati ricostruisce le vicende e i protagonisti di quegli anni. Nel 2004 la Medaglia d’oro al Valor Civile e’ conferita alla citta’ di Assisi per l’impegno civile dimostrato dall’intera popolazione. Gian Giacomo Bei
L’ISOLA DI ALBORAN, PICCOLA, PIATTA E CONTESA E’ diventata famosa perché nominata nel Bollettino ai Naviganti Alborán è una piccola isola (0,0712 km2) situata nell’omonimo mare ed affiancata a un altro isolotto disabitato, l’isolte de la nube. L’isola dista circa 50 km dalle coste settentrionali del Marocco e 90 km dal sud della provincia di Almería, in Spagna. L’isola consiste in una zona pianeggiante appena al di sopra del livello del mare; il punto più alto dell’isola misura 15 m d’altezza.Possedimento spagnolo fin dal 1540, fu conquistata dal pirata tunisino Al Borani nella battaglia di Alborán. A causa dell’alto valore strategico dovuto alla sua posizione, nel 1960 alcune navi da pesca appartenenti all’Unione Sovietica tentarono di installare una base sull’isola. Il governo franchista reagì inviando una piccola guarnigione della marina militare, che al giorno d’oggi è l’unico insediamento presente su Alborán, che inoltre ospita un faro automatizzato. Il vizio di invadere ed annettersi altri paesi il comunismo non l’ha mai perso. Neppure quando cercò di sottomettere l’Italia alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Se non fosse stato per il generoso sacrifico di migliaia di giovani americani e inglesi, sepolti in cimiteri come quello di Anzio, attualmente l’Italia starebbe nelle condizioni vergognose dei paesi ex sovietici. Per i neo comunisti di oggi - con Veltroni in testa, curiosamente travestito da democratico - gli americani ci salvarono solo dal nazismo. Dimenticando
che ci salvarono da un pericolo altrettanto devastante: il comunismo. L’isola di Alboran è l’esempio di un’aggressività sovietica che si accontentava di tutto, anche di un fazzoletto di terra, pur di estendere i suoi tentacoli per trasformare il mondo libero in una tetra propaggine dei gulag. Le andò male. Per nostra fortuna. Ma la piccola isola fa gola anche ad altri: infatti, assieme ad altre plazas de soberanía spagnole (Islas Chafarinas, Melilla, Peñón de Alhucemas, Peñón de Vélez de la Gomera, Ceuta), è un territorio rivendicato dal Marocco.L’isola appartiene dal punto di vista amministrativo all’ayuntamiento di Almería,
che è Spagna. Oltre a queste anche la piccola e disabitata isola di Perejil, a pochi metri dalla costa marocchina, per la quale nel 2002 vi è stata una prova di forza tra Spagna e Marocco, viene definita una plaza de soberanía.Attualmente i territori spagnoli adiacenti alle coste del Marocco sono rivendicati dagli irredentisti come parte del Grande Marocco. Minacce, proteste, ma senza conseguenze se non delle schermaglie più o meno diplomatiche, con le quali si contrattano sottobanco le zone di pesca e l’immigrazione clandestina. Alborán invece fu teatro di un vero e proprio scontro, avvenuto il 1 ottobre 1540 tra 10 galere spagnole comandate da Bernardino de Mendoza e una flotta di corsari berberi composta da 16 navi. Obbedendo alle direttive di Barbarossa nel 1540 si forma in Algeri una armata da tre galere, cinque galeoni, due bergantini, e sei fuste, con 900 rematori prigionieri, e 2000 soldati turchi, moreschi e valenziani. La comanda Alí Hamet, un dissidente sardo, e il suo generale di truppe da sbarco Caramaní, un ex-schiavo delle galere spagnole.Delle 16 navi algerine 10 furono prese, una affondò e quattro scapparono a vela e una a remi.Si liberarono a 837 prigionieri (rematori dei turchi) e si fecero 427 prigionieri.Quasi tutti i capitani turchi morirono, contando oltre 700 morti.Per gli spagnoli invece si contarono 137 morti e 500 feriti, tra i quali lo stesso Bernardino de Mendoza, che fu colpito in testa da un proiettile.Si celebrò a Malaga una processione per tutti i prigionieri liberati. Mauro Piergentili
DA TETRO CARCERE SPAGNOLO A PORTO PITTORESCO Porto Azzurro, ex Porto Longone, è adesso un’angolo incontaminato
Fino al 1947 si chiamava Porto Longone. Adesso Porto Azzurro. Gli venne cambiato nome perché il primo evocava il suo tetro carcere. E ricco di storia, anche. Infatti il profondo seno di mare su cui si affaccia, e che gli ha dato il primo nome, come dicono alcuni, è stato un pezzo di Spagna all’Elba.Il forte di Longone fu infatti fondato nel 1603 dagli iberici per contrastare un eccessivo rafforzamento militare, impresso dai Medici al loro granducato, e concretizzatosi sull’isola con la fondazione mezzo secolo prima della piazzaforte di Portoferraio. Longone diventava così un territorio estero di fronte al vicino porto toscano, ma anche rispetto al resto dell’isola, che si trovava sotto il governo del principato di Piombino. Una folle tripartizione per un territorio così piccolo, ma sintomatica di quali influenti interessi geopolitici si stavano giocando su di esso.Il battesimo del fuoco avverrà nel 1646, quando gli spagnoli non riusciranno a reggere l’assedio dei francesi e cederanno la piazza. La riconquisteranno appena quattro anni dopo con un altro assedio e con un impiego senza economia di mezzi e uomini, a segno di quanto gli stesse a cuore. Francesi e iberici, una volta tanto alleati nella guerra di successione spagnola, la difenderanno con successo contro gli assalti della coalizione imperiale, nel 1708. E ancora nel 1799, le truppe repubblicane transalpine tentarono di forzarne l’accesso, validamente contrastati dai napoletani,
a cui nel frattempo erano passati i presidi ex spagnoli in Toscana.Con il passare degli anni, mentre la sicurezza nei mari si andava stabilizzando, nacque un piccolo borgo di pescatori ai piedi del forte. Con l’avvento del turismo, Porto Azzurro ha colto in pieno l’occasione, tanto che oggi si può considerare uno dei paesi più vivaci dell’estate.Il cuore spagnolo della vecchia Longone è naturalmente il forte detto anche Beneventano, dal nome del suo fondatore. Il costruttore fu invece don Garcia de Toledo, che pare essersi ispirato a Bramante, e più segnatamente alla sua cittadella di Anversa. La smilitarizzazione del forte corrispose al suo inizio come carcere. Per questa ragione non è visitabile all’interno. Un vero peccato, anche perché le sue mura racchiudono un bell’esempio di barocco religioso spagnolo, come la chiesa di San Giacomo, definita dallo studioso locale Vincenzo Paoli “fastosa come un hidalgo”. In compenso un curato sentiero, che dal porto giunge a Barbarossa, permette di apprezzarne il perimetro murario esterno.Uno dei posti più belli dell’isola è il Monserrato. Anche in questa valle sembra ancora risuonare lo spagnolo. Quello più devoto della Controriforma, però. Infatti qui sorge il bel santuario della Madonna del Monserrato, che sembra rifare il verso del celebre luogo di culto catalano. Lo volle don Josè Pons, il primo governatore di Longone, fervente ammiratore di Nuestra Senora Nigra, che vi fece
consacrare una copia del dipinto di Montserras. Il paesaggio è veramente suggestivo e mistico, quasi fuori dal tempo, tanto da convincerci subito sul perché il buon Josè lo avesse scelto.La costa longonese (o portozzurrina, per utilizzare un termine moderno) non è molto estesa, ma conserva begli scorci. Su tutti Terranera, i cui scavi minerari hanno segnato l’ambiente: qui si trova un laghetto di acqua sulfurea dall’acqua verde intenso, separato dal mare da una striscia di sabbia ferrosa nera di pochi metri. E altre due spiagge note di Porto Azzurro sono Reale e Barbarossa, il cui nome evoca il terribile pirata che si vuole qui sbarcato per compiere una delle sue terribili incursioni. Giulio Rosi
ASOLO, NOME SEMPLICE DAL RICCO PASSATO Dove la storia si fonde con un’ottima qualità di vita Asolo, città preromana, prende il nome dal latino Acelum, a sua volta dal greco Akedon, che deriva da Ak, cioè «aguzzo». Asolo fu un importante centro abitato fin dal IX sec. a.C., dove è attestato un insediamento di Veneti. In periodo romano ebbe una notevole crescita fino a diventare municipio romano. Nel V secolo quando la città non era ancora stata cristianizzata, fu eletta sede vescovile (Cattedrale di Santa Maria Assunta) dal Patriarca di Aquileia, rendendola indipendente dalla Diocesi di Padova, a quel tempo molto estesa. Nell´anno 969 l’Imperatore Ottone I soppresse la Diocesi di Asolo e ne consegnò i beni al Vescovo di Treviso (città anch’essa originariamente in diocesi di Padova); in quel tempo le messe erano ancora celebrate col suono dei tamburi, successivamente aboliti dal Vescovo di Treviso. Asolo e la frazione di Pagnano furono delle località interessate dalle vicende umane e storiche che si svolsero tra il XI secolo e il XIII secolo e dalle numerose proprietà che videro protagonisti i vari componenti della famiglia degli Ezzelini. Proprietà che furono certosinamente accertate, censite e documentate dopo la loro definitiva sconfitta avvenuta nel 1260, anno
in cui gli abitanti di Asolo dovettero giurare fedeltà al Comune di Treviso. Gli Ezzelini, o Ecelini, sono un importante famiglia medioevale veneta. Di probabile origine tedesca, si stabilirono presso il castello di Onara (oggi frazione di Tombolo) dal 1035 circa al 1199 e per questo furono ricordati nei documenti dell’epoca come Ecelini de Onara. Successivamente, in seguito alla distruzione del castello di Onara, la famiglia si trasferì nel castello di Romano (attuale Romano d’Ezzelino). Il più noto esponente fu senza alcun dubbio Ezzelino III il Terribile, sicché si è soliti indicare la famiglia anche come Ezzelini da Romano. In seguito alle ritorsioni avvenute alla morte di questi, gli ultimi esponenti della casata furono trucidati il 26 agosto 1260. Con il XV sec., sotto la dominazione veneziana, la città conobbe grande splendore. Nel 1797 arrivò Napoleone e poi passò nell’ottocento alla dominazione austriaca. Nel 1866 passò al Regno d’Italia. Durante il regime fascista fu costituita la cosiddetta «Grande Asolo»: nel 1928 i comuni di Castelcucco e di Monfumo diventarono frazioni del comune di Asolo, per poi tornare autonomi nel 1946. Il podestà era il Dottor Giacomo Ra-
selli. Nell’anno 1844 un decreto imperiale riconosce ad Asolo il titolo di città. Nel 1911 venne inaugurata la tranvia Casella-Montebelluna. Pagnano d’Asolo (la frazione attualmente meno popolata) che ha una superficie di 6 kmq.Villa d’Asolo (che fino al 1974 si chiamava «Pradazzi») include anche le località di “Ca’ Giupponi” e “Lauro” ed ha una superficie di 5 kmq. Tra le maggiori testimonianze dell’antica città Acelum, l’Aqcuedotto è riconosciuto come uno dei più interessanti acquedotti scavati in cunicolo nella roccia. Il primo tratto è vistabile in piazza Angelo Brugnoli. La Rocca è il simbolo della città, posta in vetta al monte Ricco. La struttura, a poligono irregolare, risale alla fine del XII secolo e l’inizio del XIII secolo. Il Castelllo fu la reggia di Caterina Cornaro , oggi contiene il teatro Eleonora Duse. Il museo è ospitato nel Palazzo della Ragione, costruzione del 1400 con anessa Loggia affrescata con scene di battaglie. La cattedrale fu costruita su preesistenze romane e rimaneggiata da Giorgio Massari nel 1747. All’interno si può amirare la pala d’altare Assunta di Lorenzo Lotto e una copia dell’assunta di Tiziano Vecellio. Maria Annunzia Selvelli
IL MUSEO DELL’EMIGRAZIONE “PIETRO CONTI” Nato per raccontare la storia dell’immigrazione umbra Il Museo dell’Emigrazione di Gualdo Tadino è una struttura pensata più come luogo di memoria e di riflessione che come vero e proprio museo. Un centro studi con una biblioteca, una videoteca, un archivio ricco di documenti. C’è la vita di migliaia di umbri, le voci di poveri contadini, i canti popolari di chi è andato all’estero nella speranza di trovare un futuro più dignitoso. “Volevano braccia, sono arrivati uomini” è questa una delle frasi che più colpisce entrando nel Museo. “L’Italia è bella, ma il bello non si mangia” dice Cruciano Galli in una lettera in cui spiega ai genitori perché è emigrato. ”Mamma mia dammi cento lire che in America voglio andare” cantano malinconiche le mondine. Si rimane storditi camminando tra i piani della struttura. Si possono toccare i grossi bauli utilizzati dagli emigrati, le camice, gli attrezzi da lavoro dei minatori, i passaporti, i certificati di buona condotta, le vaccinazioni. Il percorso museale segue un iter alla rovescia rispetto al viaggio degli emigrati. Al primo piano c’è la sala dedicata all’arrivo, che racconta tutto quello che gli
umbri trovavano appena sbarcati. Si dà molto spazio al racconto del lavoro nelle miniere, perché questo era il lavoro di molti emigrati. Proprio qui colpisce la statua di Santa Barbara, la protettrice dei minatori. Una madonnina che era data di anno in anno alla miniera dove avvenivano meno incidenti. Sempre qui è proiettato un filmato sul ruolo che le donne ebbero nell’emigrazione, e di come proprio l’emigrazione abbia contribuito alla loro emancipazione. Al secondo piano c’è il viaggio. Ci sono degli schermi video e delle campane audio dove si può ascoltare il racconto di alcuni emigrati. C’è tutto quello che era necessario, i biglietti delle navi, i depliant delle compagnie di navigazioni, le valigie. È descritta la figura dell’agente migratorio che per alcuni aspetti lo possiamo avvicinare agli odierni scafisti. Al terzo piano c’è la partenza. Vengono raccontate le cause dell’espulsione, la crisi agricola, le difficili situazioni economiche, il problema dei latifondi. Ci sono pannelli informativi, documenti di partenza, passaporti, certificati di buona condotta, dichiarazioni di non praticato accattonaggio.
Nelle ultime sale ci sono infine la biblioteca, l’archivio video e quello dei vari documenti. La biblioteca non è ricchissima ma specializzata, con più di settecento volumi. Tutto il materiale è anche disponibile nel data base del computer attraverso delle parole chiave. Nel museo sono confluiti tutti i video della Rai, dell’Istituto luce, della televisione italiana svizzera che ci permettono di ricostruire la storia dell’emigrazione attraverso dei reperti autentici. La struttura è oggi un punto di riferimento fondamentale per chiunque è interessato a questo tema. Ogni anno ci sono più di quattromila visite, con delegazioni venute dal Belgio, dalla Francia, dal Brasile, dall’Argentina. Un’altra tipologia d’utenza è costituita dalle scuole, che lo utilizzano come un laboratorio didattico. Gli insegnanti fanno riferimento al museo per trattare il tema dell’emigrazione. Marco Carbone Per info: Museo Regionale dell’Emigrazione Tel. 0759142425 e-mail: info@emigrazione.it Sito internet: www.emigrazione.it
IL PRIMO LIBRO DI NARRATIVA DI MARCO CARBONE “Le donne sputano gratis”, raccolta di racconti beat da bere a tutte le ore Da alcuni giorni in libreria il primo libro di racconti di Marco Carbone, dal titolo “Le donne sputano gratis. Una raccolta di storie beat, provocatorie e divertenti, ciniche e trasgressive che hanno echi evidenti nella letteratura beat americana, e in quella italiana (Boccaccio, De Sade, Moravia etc). Siamo andati a fare quattro chiacchiere con il giovane scrittore napoletano che vive da diversi anni a Gubbio, per farci raccontare del suo lavoro. Perché questo titolo? “Il titolo Le donne sputano gratis è ripreso da una puntata dei Simpson’s. È un avviso affisso fuori ad un buffo locale. Significa letteralmente che le donne possono sputare gratis nella sputacchiera. E in effetti nella puntata in questione si vede Homer che entra in questo locale dove la gente sputavano nelle sputacchiere. Così come nel libro c’è una parodia della letteratura hippy e beat”. E la copertina? “La copertina è un importante quadro di Modigliani a cui ho cancellato alcune parti per ragioni di censura. L’opera d’arte finisce per essere irriconoscibile. Mi sembrava un modo chiaro per esprimere cosa penso della censura”. Quale è l’origine di questo libro? “Quando ho iniziato a scrivere questi brevi racconti volevo condensare in un solo libro tutti i mali della nostra società. Inconsciamente volevo che in un solo libro ci fosse tutto il peggio dell’umanità: la cattiveria, l’ipocrisia, la perversione, la violenza etc. Pensavo stupidamente che se tutto il male finisce in un libro il mondo che ci circonda sarà migliore. Sembrerà strano ma questi erano i miei pensieri. Ma i fatti di cronaca nera mi spiazzavano di continuo. Il peggio che potevo immaginare non era mai pari alla realtà. La realtà finiva per superare sempre la mia immaginazione”. Perché tante descrizioni erotiche? “E’ vero nel libro ci sono diverse descrizioni erotiche, ma non solo quelle. Ci sono anche racconti surreali, impossibili, violenti, divertenti, ironici. Questo libro parla della vita, ma anche della letteratura e
del cinema. Ho usato la pornografia e la violenza come metafora. Faccio un’operazione simile a quella di Tarantino e di Ferreri. Spero che i lettori intendano questo”. Cosa pensa della pornografia? “I film porno siano banali e fatti male. E’ cattivissimo cinema insomma; se di cinema si può parlare. In letteratura invece è un tema come un altro. La parola scritta non è mai volgare. Semmai lo è l’immagine”. Come giudica il suo libro? “Mi piacciono molto i racconti brevi, che mi sembrano più poesie che narrativa. Mi piace del mio libro la sua originalità, il fatto che sia ricco di storie, di personaggi, che voglia scuotere i lettori con delle immagini
forti, crude, che invitano a riflettere. Spero inoltre che sia scritto bene. In fondo in letteratura è ciò che conta di più”. Quando lo presenterà? “Il libro avrà prossimamente due presentazioni. Una al Cinema Astra di Gubbio, in collaborazione con il Cineclub22, con una serata nella quale verrà proiettato il film I Mostri di Dino Risi, che ha con il mio libro parecchie analogie. Ed un’altra a Gualdo Tadino in una serata organizzata in collaborazione con Arte & Dintorni, sul tema delle donne. Poi verso aprile e maggio due serate organizzate in collaborazione con la stessa casa editrice a Roma e a Napoli.”
DAL 1957 CHI DICE DONNA NON DICE DANNO L’usanza di regalare mimose è diffusa soprattutto in Italia
La Giornata Internazionale della Donna, comunemente però definita Festa della Donna è un giorno di celebrazione per le conquiste sociali, politiche ed economiche delle donne ed è una festività internazionale celebrata in diversi paesi del mondo occidentale l’8 marzo. L’usanza di regalare mimose in occasione della festa non è invece diffusa ovunque. L’8 marzo era originariamente una giornata di lotta, specialmente nell’ambito delle associazioni femministe: il simbolo delle vessazioni che la donna ha dovuto subire nel corso dei secoli. Tuttavia nel corso degli anni il vero significato di questa ricorrenza è andato un po’ sfumando, lasciando il posto ad una ricor-
renza caratterizzata anche - se non soprattutto - da connotati di carattere commerciale e politico. La prima giornata internazionale della Donna fu celebrata il 28 Febbraio 1909 negli Stati Uniti in seguito alla sua dichiarazione da parte del Partito Socialista Americano. Fra gli altri eventi storici commemora l’incendio della fabbrica Triangle (New York, 1911), dove 148 persone persero le loro vite. L’idea di istituire una giornata internazionale della donna fu per la prima volta presa in considerazione all’alba del 20° secolo quando la rapida industrializzazione e l’espansione economica portò a molteplici proteste sulle condizioni di lavoro. Esiste una famosissima leggenda
metropolitana secondo la quale alcune donne di fabbriche tessili e di confezioni avrebbero condotto tali proteste l’8 Marzo di tutti gli anni a partire dal 1857 nella città di New York, non ci sono prove sull’effettiva storicità di tale leggenda. Le lavoratrici protestavano contro le poverissime condizioni di lavoro e i bassi salari. Le contestatrici furono attaccate e disperse dalla polizia. Queste donne costituirono il loro primo sindacato dei lavoratori nello stesso mese due anni dopo. Le proteste dell’8 Marzo aumentarono d’intensità nei successivi anni, la più importante tra di esse fu quella del 1908 dove 15.000 donne marciarono attraverso New York richiedendo la diminuizione delle ore lavorative, aumenti cospicui dei salari e il diritto di voto. Nel 1910 si tenne la prima conferenza internazionale delle donne nell’ambito della seconda internazionale socialista a Copenaghen. In Italia, nel secondo dopoguerra, la giornata internazionale della donna fu ripresa e rilanciata dall’UDI (Unione Donne Italiane) associando nel contempo alla data dell’8 marzo l’ormai tradizionale fiore della mimosa. Nell’ovest fu commemorata comunque anche se con sempre meno successo, fino alla nascita del femminismo negli anni ‘60.Il 1975 fu designato come ‘Anno Internazionale dell Donne’ dalle Nazioni Unite. A partire da quell’anno la Nazioni Unite hanno cominciato a celebrare la giornata internazionale della donna l’8 marzo. Due anni dopo, nel dicembre 1977, l’assemblea generale delle Nazioni Unite adottò una risoluzione proclamando una “giornata delle nazioni unite per i diritti della donna e la pace internazionale” da osservare in un qualsiasi giorno dell’anno dagli stati membri in accordo con le tradizioni storiche e nazionali di ogni stato. Purtroppo l’origine di questa giornata è stata oggetto di strumentalizzazioni; una di queste riguarda in Italia il settimanale “La lotta”, edito dalla sezione bolognese del Partito Comunista Italiano, che nel 1952 pubblicò una storia rivelatasi poi un falso storico. Il settimanale comunista sostenne in un suo articolo che l’origine della festa sarebbe risalita ad un grave fatto di cronaca avvenuto nel 1908 a New York. In realtà non esiste alcun documento storico su questa fantomatica industria Cotton e sul suo incendio. Paola Pacifici
UNA FESTA NON SI NEGA NEPPURE AL PAPÀ Forse nata per raggioni commerciali si è affermata nel tempo
Il giorno di San Giuseppe è la festa del papà. Nei paesi anglosassoni, la festa del papà ricorre a Giugno e non ha alcun legame col santo in questione. Fino a poco tempo fa il 19 Marzo era festa nazionale. Da qualche anno, invece, la festa è stata abrogata, ed il giorno di San Giuseppe è diventato un giorno feriale qualunque. Ciò ha contribuito a sminuire i festeggiamenti che in tutta Italia si tenevano in questa giornata. Il 19 marzo tutti i papà sono festeggiati e ricevono regali o pensierini da parte dei figli. Questa festa diviene un’occasione per ricordare che “si è sempre figli di qualcuno” e per esprimere affetto e stima nei confronti dei “babbi”. I regali più tradizionali sono, i capi di abbigliamento, gli accessori, i profumi oppure un libro. E’ in ogni modo possibile sbizzarrirsi secondo il tipo di papà (sportivo, fumatore, manager); un regalo originale per tutti i papà.La festa del Papà è un giorno speciale per tutti gli uomini genitori, una figura, oggi sempre più rivalutata nell’ambito della famiglia.Le antiche origini, risalgono ai tempi babilonesi, quando un giovane ragazzo dal nome Elmesu scrisse al padre su una piastra di argilla un messaggio di augurio di buona salute e per una vita
duratura. Secondo alcuni fonti, questa usanza ebbe inizio proprio in Olanda nel 1936 e in occasione di questa festa i padri intraprendevano una gita per soli uomini. Oggi, tuttavia, la cosiddetta festa del papà viene celebrata più o meno frequentemente solo in alcuni Paesi europei, in giorni diversi e in modo differente da un nazione all’altra. Nei paesi anglosassoni, la festa del papà ricorre a Giugno e non ha alcun legame con alcun santo; in Olanda, viene festeggiata il 18 Giugno. Secondo questa stessa tradizione, riconosciuta anche dai Paesi Bassi, l’idea di creare un giorno per i bambini che possono onorare il loro padre nacque nel 1909 a Spokane, Washington, da una donna, Sonora Smart Dodd, mentre stava ascoltando il sermone nel giorno della festa della mamma. Sonora fu cresciuta dal padre, Henry Jackson Smart, dopo che la madre mori’ e volle far conoscere a tutti quanto questo premuroso genitore fosse importante per lei. Un genitore che le fece anche da madre, e che era corraggioso, altruista e soprattutto amorevole. Fu scelta la data del 19 Giugno, proprio perché il padre di Sonora nacque nel Giugno del 1910. La prima festa del papà fu celebrata proprio il 19
Giugno 1910 a Spokane, Washington. Nel 1924, il Presidente, Calvin Coolidge, proclamò la terza domenica di Giugno, giorno ufficiale del papà. Le rose sono il simbolo di questa festa, rosse, se il genitore è ancora in vita, bianche, in caso contrario. In molte regioni di Italia, questo atto viene ricordato con l’allestimento di un banchetto speciale; ad esempio in Sicilia, ogni 19 Marzo, è usanza invitare al banchetto in onore del Santo, tutti i poveri e in alcune città, due sacerdoti, in occasione dell’evento, servono gli affamati mentre un terzo predica per nove volte, tante quante le pietanze che venivano servite. Nel corso della stessa festa oltre ad essere associate altre due manifestazioni, quelle dei falò e delle zeppole che sono il piatto tipico dell’evento, si celebra anche la fine dell’inverno bruciando i residui del raccolto sui campi, mentre enormi cataste di legna vengono accese ai margini delle piazze con inni per San Giuseppe e salti da parte dei partecipanti. Con il saluto definitivo all’inverno e al profumo della primavera, si uniscono in questo modo, le vicende stagionali e gli antichi riti con la festosità e la devozione dei cristiani. Livia Gori Augias
AD UDINE GRANDE TRIONFO DELL’ALTA CUCINA Un’occasione preziosa per i cinque sensi e la volgia di capire
Il gusto, l’olfatto, il tatto, la vista, l’udito, la rivisitazione e la combinazione dei cinque sensi per sentire, conoscere e sopratutto capire la passione per l’alta cucina: una chiave di lettura, questa, per raccontare il successo del Festival di Alta Cucina - Alpe Adria Cooking 2008 sul quale è calato oggi il sipario lasciando nei padiglioni di Udine Fiere una traccia di odori e profumi a testimonianza delle performance di alto livello che si sono susseguite in una tre giorni di respiro internazionale che il vanto di aver proposto chef affermati e astri nascenti della migliore ristorazione. Un appuntamento che ha saputo riconfermarsi a pieno titolo come palcoscenico delle capacità, dell’innovazione, dell’interpretazione della tradizione e come opportunità imperdibile per ristoratori, cuochi, professionisti e operatori dell’enogastronomia, buongustai, gourmet, giornalisti della stampa specializzata e numerosi giovani studenti delle scuole di cucine e alberghiere che hanno avuto come maestri ben 24 grandi chef . Il Festival, realizzato con la collaborazione dell’Associazione “Jeunes Restaurateurs d’Europe” e di Turismo FVG, in partnership con Friuladria Crédit Agricole e con il patrocinio dell’Assessorato al Turismo del Comune di Udine, ha registrato una nutrita
e soprattutto motivata e attenta partecipazione di pubblico intercettando anche l’interesse di oltre 50 testate accreditate. Ingrediente del successo, oltre alla levatura degli chef relatori, è stata una formula organizzativa che ha saputo andare oltre la piacevolezza dello “spettacolo”, comunicando con semplicità ed efficacia la filosofia dell’arte culinaria fondendola con la strategia e l’innovazione. L’edizione 2008 di Alpe Adria Cooking resterà importante anche per le numerose e prestigiose presenze femminili: sette, infatti, le protagoniste in rosa del Festival, provenienti dall’Italia e dall’estero, mai così numerose e sopratutto rappresentative dell’eccellenza in cucina. Eccellenza che nella tre giorni di Udine Fiere ha toccato geografie e cultura diverse con chef provenienti dall’Italia, dalla Spagna, dall’Austria, dalla Croazia, dalla Francia e dalla Slovenia. Partendo dalla “cucina di prodotto contemporanea” di Andrea Berton (Trussardi Alla Scala), all’investigatore del pescato Angel Leòn (Aponiente), una delle figure più note della cucina Andalusa, alla cucina solare di Aurora Mazzucchelli (Ristorante Marconi), passando attraverso lo “chef dei profumi” Jordi Roca (El Cellerde Can Roca) per arrivare alle performance Nadia Moroni, (Il
Luogo di Aimo e Nadia), alla chef 3 stelle Bruna Santini (Dal Pescatore), accompagnati dal “gastrovac” dei fratelli Torres (Hotel Ristorante El Rodat), all’omaggio ad Alain Chapel di Flora Mikula, sono state numerose e diverse le opportunità per apprendere attraverso lo stile personale di ogni chef le diverse varianti dell’Alta Cucina. Ad affiancare i grandi chef non potevano mancare i grandi vini nei momenti di pausa pranzo del workshop quando ospiti, giornalisti e relatori hanno accompagnato le portate in menu con i migliori vini friulani (tra questi Vigneto Pittaro e Consorzio Tutela Vini DOC Friuli Aquileia) grazie alla collaborazione e al coordinamento di FederDoc FVG e alla professionalità dei Sommelier dell’AIS. Un appuntamento di successo e di carattere, come sottolineato anche dal Presidente di Udine e Gorizia Fiere Sergio Zanirato, che rafforza gli obbiettivi della società fieristica nel sostenere uno dei settori propulsivi della Regione, l’enogastronomia, attraverso il progetto di filiera espositivo “dalla Tella alla Tavola” che, promuovendo le eccellenze e le capacità dei suoi attori, valorizza il territorio e quindi il turismo e la ristorazione. Giulio Rosi
FUMO: IN ITALIA MUOIONO 80 MILA PERSONE ALL’ANNO Nella maggior parte delle nazioni non esiste protezione dai suoi rischi L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha pubblicato nuovi dati sulle misure di controllo sul tabacco che mostrano come solo il 5% della popolazione mondiale viva in Paesi in grado di proteggerli dai rischi del fumo e si rivela che il denaro raccolto da tasse sul tabacco supera di 500 volte i finanziamenti per le campagne anti-tabacco. Al fine di contrastare la diffusione del tabacco l’OMS ha suggerito l’attuazione del MPOWER ovvero di 6 strategie per la prevenzione dei rischi derivanti dal tabacco: monitorare l’uso del tabacco e attuare politiche per la prevenzione; Proteggere le persone dal fumo; Offrire aiuto per smettere di usare il tabacco; Avvertire sui pericoli derivanti; Far rispettare i divieti di pubblicità, promozione e sponsorizzazione; Aumentare le imposte sul tabacco. Il rapporto è stato l’occasione di attuare il monitoraggio di tutti gli stati partecipanti alla Convenzione, ciò ha permesso di analizzare la situazione italiana dove il 28,3% degli uomini e il 16,2% delle donne sopra ai 14 anni fuma. Il consumo di sigarette a metà degli anni 80 aveva raggiunto il massimo del suo sviluppo e ora in Italia – secondo quanto riferisce l’Arpat sono fumate 100.000 milioni di sigarette l’anno. La produzione delle “bionde” italiane è comunque in costante declino a favore di un incessante aumento delle esportazioni. Questa situazione è probabilmente legata al fatto che i prodotti da fumo sono ancora largamente pubblicizzati e promossi da radio e televisioni nazionali, nonché da giornali, quotidiani locali e i punti vendita. Non esiste infine un’agenzia nazionale o un ufficio tecnico che si occupi di controllare e ridurre la diffusione del tabacco, ma ogni anno circa 11.355.969 di euro sono stanziati dallo stato per campagne per la prevenzione dal tabagismo e strutture per la disintossicazione. Più preoccupante la situazione mondiale. Il tabacco
potrebbe fare un miliardo di morti nel corso del XXI secolo se i governi e la societa’ civile non si adopereranno per ridurne rapidamente il consumo, sempre secondo l’ultimo rapporto della Organizzazione Mondiale della Sanita’, pubblicato a New York. “Il tabacco ha ucciso nel XX secolo 100 milioni di persone nel mondo, e ne ucciderà un miliardo nel XXI se proseguiranno le tendenze attuali’’ afferma il documento, intitolato ‘Rapporto sull’epidemia mondiale di tabagismo’, presentato dalla direttrice generale dell’Oms, Margaret Chan, e dal sindaco di New York, Michael Bloomberg. “Da qui al 2030 le morti legati al fumo supereranno gli otto milioni, e l’80% di esse riguarderanno i Paesi in via di sviluppo’’ sostiene il documento. Lo studio fornisce statistiche sul consumo di tabacco e offre una serie di indicazioni, suddivise in sei punti, sulle misure che si possono adottare per ridurlo,
compresa quella che e’ stata definita la ‘Mpower’ e che riguarda le politiche possibili da avviare nei diversi Paesi del mondo per prevenire o ridurre l’abitudine al fumo nelle rispettive popolazioni. ll fumo sarà quindi il principale killer del prossimo secolo soprattutto nei paesi in via di sviluppo: Africa, ma soprattutto Cina e India, un mercato potenziale di 3 miliardi di persone che verrà colonizzato dalle multinazionali del tabacco ai primi segni di benessere. Secondo Piergiorgio Zuccaro, direttore dell’Osservatorio Fumo, Alcol e Droga dell’Istituto Superiore di Sanità, il miliardo di persone che moriranno a causa del fumo nel prossimo secolo, stando all’allarme lanciato dall’Oms, sara’ in buona parte nel “sud” del mondo, nei nuovi sterminati mercati che si preparano ad aprire le porte al tenore di vita occidentale, e, senza regole e leggi adeguate, alla prevedibile invasione di sigarette. Maria Giulia Nuti
TALASSEMIA: IN BILICO FRA COORDINAMENTI E RICERCA La Basilicata è capofila di un progetto sanitario interregionale
La talassemia - o anemia mediterranea o microcitemia - è una malattia ereditaria caratterizzata da un difetto nella sintesi dell’emoglobina, la proteina contenuta nei globuli rossi del sangue, che ha il compito di trasportare l’ossigeno alle diverse cellule del corpo e di eliminare l’anidride carbonica. La forma più diffusa in Italia e nell’area mediterranea è la beta-talassemia o anemia mediterranea, provocata da un’alterazione della catena globinica di tipo beta. Queste catene proteiche sono regolate da due geni che si trovano in due cromosomi omologhi, uno di origine paterna e uno di origine materna.In Italia si contano circa 2 milioni e mezzo di portatori sani, concen-
trati soprattutto in Sardegna e in Sicilia, nelle regioni meridionali, ma anche nel delta padano e veneto. Nelle diverse talassemie i quadri clinici sono simili, ma variano in gravità. La b-talassemia minor è clinicamente asintomatica. La b-talassemia major (anemia di Cooley) si presenta con sintomi di anemia grave.In Italia vivono oggi circa 7.000 persone affette dalla forma omozigote di talassemia. La Regione Basilicata e’ capofila di un progetto di ricerca sanitaria per la costruzione di una rete interregionale per la talassemia finalizzata alla individuazione dei piu’ efficaci percorsi diagnostico-strumentali e terapeutici per i pazienti affetti da talassemia e degli
strumenti condivisi per il monitoraggio dell’accumulo del ferro. Il progetto punta e mettere in rete 12 strutture operanti in varie parti d’Italia sulle problematiche della talassemia, tra cui l’Asl quattro di Matera, l’Asl Roma C, l’Azienda Ospedaliera Cervello di Palermo, il Policlinico di Palermo, l’Azienda Ospedaliera universitaria S.Anna di Ferrara, l’Istituto di fisiologia clinica del Cnr di Pisa, l’Istituto Scientifico biomedico euromediterraneo, l’Iridia e l’associazione microcitemici Campania. Il progetto di ricerca applicata (Hta-Thal) sara’ coordinato dal Dipartimento regionale Salute e dal Consorzio Cvbf di Pavia, ‘’ha un valore di circa 1,3 milioni di euro co-finanziato dal Ministero della Salute, dalla Regione Basilicata e dalla Fondazione Giambrone di Napoli. E’ stato inaugurato inoltre in Piemonte all’ospedale San Luigi di Orbassano il nuovo centro regionale Microcitemie, struttura universitario all’avanguardia nell’analisi e cura della talassemia, patologia di cui sono affette in Italia circa 7.000 persone, mentre si calcola che i portatori sani siano 3,5 mln. Nel centro, che offre prestazioni ambulatoriali, di day hospital e ricoveri ordinari, viene praticata un’innovativa terapia orale per rimuovere il sovraccarico di ferro dovuto a frequenti trasfusioni di sangue.E proprio in tal senso si apre una speranza per i malati di Beta Talassemia che ogni mese si devono sottoporre alle trasfusioni di sangue. L’equipe di ricerca dell’Istituto di Neurogenetica e Neurofarmacologia del Cnr di Cagliari diretta da Antonio Cao, che sta portando avanti a Lanusei il progetto ProgeNIA, ha scoperto che variazioni di un gene (BCL11A, coinvolto nei livelli di emoglobina fetale nell’adulto) sono particolarmente presenti in soggetti Beta Talassemici che presentano un quadro clinico attenuato e che quindi non devono sottoporsi a trasfusioni. L’implicazione clinica, in linea teorica, e’ immediata: manipolando il gene in coloro che si sottopongono alle trasfusioni si potrebbe arrivare ad una sorta di cura genetica, attenuando le implicazioni della malattia. In pratica la ricerca si muove piu’ lentamente e prima di arrivare ad una applicazione clinica occorre capire come funzione il gene e come sia possibile manipolarlo per ottenere il risultato desiderato. Pier Luigi Scapagnini
L’AGENZIA DEL FARMACO SULLA PILLOLA ABORTIVA In vista delle elezioni il tema è salito con forza alla ribalta Il tema dell’aborto, diffuso al livello di argomento politico in vista delle elezioni, ha portato alla ribalta molti aspetti che erano stati asosrbiti a livello sociale, alimentando diatribe che solo una chiara legislazione potrà derimere. Sembra comunque che la parte direttamente interessata, almeno in prima linea - cioè la donna - non abbia per il momento una parte determinante nella faccenda. Anche perché, come è logico, ci sono aspetti coinvolti che non hanno un peso indifferente sotto ilprofilo pratico ed economico. Come è noto, la prevenzione rappresenta da sempre una delle forme migliori per affrontare il problema e possibilmente eliminarlo. Prevenzione uguale cultura. La possibile commercializzazione in Italia della pillola RU-486 – la famosa “pillola del giorno dopo” - ha animato il dibattito politico, con evidenti ricadute sui media, tanto che per l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) si è resa necessaria una precisazione.”Si è conclusa – si legge nella nota dell’Aifa - una prima fase procedurale della valutazione tecnicoscientifica nell’ambito del Mutuo Riconoscimento della pillola RU-486; tale procedura è fissata nelle modalità dalla normativa europea, che definisce anche i tempi (90 giorni), entro cui la procedura si conclude per tutti i Paesi coinvolti nel Mutuo Riconoscimento, senza discrezionalità alcuna da parte delle Agenzie nazionali e quindi dell’AIFA”. Ma “la conclusione di tale fase – prosegue il comunicato dell’Agenzia - non comporta automaticamente la disponibilità del medicinale sul mercato. Come per tutti i casi di Mutuo Riconoscimento, dopo la prima fase sopra ricordata, la procedura prevede che l’Azienda produttrice del medicinale, invii all’AIFA domanda di commercializzazione e di definizione del prezzo ai fini della rimborsabilità”. “Successivamente la Commissione Tecnico Scientifica (CTS) dell’AIFA, a conclusione della procedura di negoziazione del prezzo, indica la classificazione del farmaco e le procedure di utilizzo e di dispensazione in coerenza con la legge 194”. E “l’atto finale di autorizzazione deve essere adottato dal Consiglio di Amministrazione dell’AIFA e solo a seguito di tale atto avviene la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale di autorizzazione alla commercializzazione”. Per Romano Colozzi,componente del Cda dell’Aifa e assessore alle Finan-
ze della Regione Lombardia, dunque, dal Consiglio di amministrazione (Cda) dell’Agenzia del farmaco (Aifa) non è giunta ‘’ancora alcuna autorizzazione alla pillola abortiva RU486’’ ed e’ dunque ‘’evidente che qualcuno vuole creare una sorta di accelerazione mediatica del processo di autorizzazione della RU486 con evidenti finalità politiche’’. E Colozzi precisa anche che ‘’la competenza per l’autorizzazione all’immissione in commercio della RU486, con buona pace di tutti, non e’ ne’ del Ministro della salute, né del Consiglio superiore di sanità, ne’ della Commissione Tecnico Scientifica, ma semplicemente del consiglio di amministrazione AIFA il qua-
le non è mai stato ancora coinvolto su questo provvedimento, e nel momento in cui questo avverrà assumerà le determinazioni che più riterrà opportune”. In assenza di comunicati ufficiali da parte dell’Agenzia del Farmaco è evidente che vi sia stata una sorta di comunicazione fantasma da parte di qualcuno sicuramente non autorizzato. L’attività della Commissione tecnico scientifica dell’Aifa non può ne’ deve avere rilevanza esterna, dal momento che essa rappresenta una struttura collaborativa di cui si avvale il Consiglio d’Amministrazione dell’Aifa con funzioni di mera consulenza interna. Giancarlo Tulli