NOVAGGIO Sotto la lente - Siro Camillo Muschietti (Volume 1)

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Siro Camillo Muschietti

NOVAGGIO sotto la lente

Non essendo né storico né scrittore, l’autore ha solo tentato con il materiale a disposizione di ricomporre un «puzzle» di Novaggio a prima vista irrealizzabile; tuttavia, con costanza, dedizione e volontà, è riuscito a realizzare un quadro del passato che perlomeno sottolinea quanto noi dobbiamo in termini di riconoscenza ai nostri intraprendenti antenati. La paziente e a volte difficile lettura dei libri conservati negli archivi, ha reso possibile la formazione di anelli che, uniti tra loro, portano alla conoscenza del passato del villaggio e della sua gente, passato che comporta altresì innumerevoli connessioni con i vicini di Miglieglia, di Breno, di Aranno, di Curio, ecc... Un passato intriso di bene ma anche rivelatore di qualche punto oscuro che occorre capire e accettare proiettandolo nel contesto storico di quel tempo.

Siro Camillo Muschietti

Volume 1

NOVA GG IO sotto la lente

Volume 1


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Indice

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Grazie … Il saluto del Sindaco Prefazione

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1.

Malcantone

19 23

1.1. 1.2.

Perché «Malus angulus»? Curiosità malcantonesi

29

2.

Novagio, Novazio, Novatio

29 29 35 41 44

2.1. 2.2. 2.3. 2.4. 2.5.

Il toponimo «Novaggio» Un po’ di storia antica paesana Novaggio „il più bel villaggio“ Stemma e gonfalone del Comune Il nomignolo dei Novaggesi

47 47 57 58 66 71 78 81 84 89 89 91 95 96 98 100

3.

Vicinia – Castellanza – Patriziato

3.1. 3.2. 3.2.1. 3.2.2. 3.2.2.1. 3.2.2.2. 3.2.2.3. 3.2.2.4. 3.2.3. 3.2.3.1. 3.2.3.2. 3.2.4. 3.2.4.1. 3.2.4.2. 3.3.

Sguardo al passato Il patriziato di Novaggio… ieri Litigi senza fine Il patriziato nella prima metà del XX secolo Cima Pianca: ristrutturazione o vendita? Il raggruppamento dei terreni Altre migliorìe in Cima Pianca Legna di castagno e bricolle Dalla fine della Seconda guerra mondiale al 1970 Gli anni del dopoguerra I tempi cambiano Cima Pianca rinasce con il PFZ Lo sviluppo del progetto 1973-93 Particolarità negli anni dopo il 1970 Il patriziato di Novaggio… oggi

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107 107 116 116 130 141 145 146 150 151 158 173 174 176 184 193 195

213 213 241 242 244 247 247 251 255 257 260 264 269 272

277 277 278 286 287 287 291 295 298 301 307 307

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4.

Dalla piazza alla Gesora

4.1. 4.2. 4.2.1. 4.2.1.1. 4.2.1.2. 4.2.2. 4.2.3. 4.2.4. 4.2.5. 4.2.5.1. 4.2.5.2. 4.2.5.3. 4.2.6. 4.2.7. 4.2.8. 4.2.9.

La piazza Francisco Ferrer Chiese, campanile, cappelle e cimitero La chiesa parrocchiale di San Siro San Siro a fine/inizio millennio: nuovi restauri Quattro vescovi, già a Milano – e uno di Pavia – a Novaggio I parroci di Novaggio Il vescovo di Lugano Il Santo Padre a Roma Il campanile Le campane L’orologio del campanile La bèdra sul campanile Ra Gesora La chiesa evangelica La cappella di Mavogno Il cimitero

5.

Novaggesi, e non, «ex grĕgis»

5.1. 5.2. 5.3. 5.4. 5.4.1. 5.4.1.1. 5.4.1.2. 5.4.1.3. 5.4.1.4. 5.4.1.5. 5.4.1.6. 5.5. 5.6.

Da Buzzi-Cantone a Tamburini Monsignori, Padri e Reverendi Maestranze edili I fornaciai di Novaggio Un murale e quattro famiglie Famiglia Del Mollo Famiglia Bertoli da Neroca (1) Famiglia Lozzio (1) Famiglia Berrtoli da Neroca (2) Famiglia Lozzio (2) Famiglia Muschietti Ufficiali, sott’ufficiali, soldati L’elenco continua …

6.

Libri scritti a mano

6.1. 6.1.1. 6.1.2. 6.1.2.1. 6.1.2.2. 6.1.2.3. 6.1.2.4. 6.1.2.5. 6.1.2.6. 6.2. 6.2.1.

La Municipalità risolve… Novaggio nell’Ottocento: dal 1816 al 1890 Novaggio fine Ottocento: dal 1892 al 1898 e poco oltre Problemi di vicinato Questioni finanziarie Situazioni familiari e private Problemi di personale e/o di collaborazione Attività contadine Igiene e salute, sicurezza e ordine pubblico Il Consiglio parrocchiale risolve… 1908-1918


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Vol. 2

7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20. 21. 22. 23.

Inizio Novecento: Novaggio cresce Novaggio in grigio-verde 1914-1918 Venti anni di pace Ancora anni di guerra Tre piccioni con due fave Lenta ripresa Il Consiglio parrocchiale 1918-1986 Pánta rheî: 1960-1990 e poco oltre La nostra gente e il nostro dialetto I toponimi di Novaggio e lo stradario Storie di strade e di ponti Acque chiare e reflue, fontane e pozzi Illuminazione pubblica Sanità pubblica Le nostre scuole Alberghi, ristoranti, osterie e… turismo Da albergo a ospedale

Vol. 3

24. 25. 26. 27. 28. 29. 30. 31. 32.

Artigiani, ambulanti e commercianti Posta cantonale poi federale (PTT) Due banche e un bancomat Corpo pompieri Novaggio Bande e bandelle e feste e divertimenti vari Vinera, Sciaroni, Pazz e Bavoggio Sport e sportivi tutto l’anno A come ARTE Cento ricordi, aneddoti e curiosità varie Conclusione Allegati Fulmini a ciel sereno Bibliografia e fonti

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Ai miei genitori Luce e Varíi – api operaie – e a mia moglie Gianna che ha sopportato le mie assenze e sempre mi ha supportato in questo lavoro


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Grazie …

… a tutti coloro che mi hanno aiutato … a Claudio Delmenico per il capitolo sul Patriziato di Novaggio; a Piergiorgio Demarta che non ha esitato ad aprire l’archivio di famiglia per rendere accessibile a tutti gli interessati tante fotografie e documenti inediti e grazie anche per il suo indispensabile contributo su innumerevoli particolari e sui capitoli I fornaciai di Novaggio, Corpo Pompieri Novaggio e Skater Hockey Club Novaggio Twins. Un ringraziamento vada a Giorgio Boggia per la sua spontanea collaborazione relativa ai capitoli sulla Posta e sulle Banche e a Moris Comazzi per i capitoli Banche e Scuola; e a Daniele Ryser, le cui vaste conoscenze, in special modo su Novaggio, mi hanno permesso di apportare la necessaria precisione a molti argomenti trattati. Profondamente ringrazio la nostra Armida per avermi concesso di riportare dai suoi scritti innumerevoli estratti e poesie, così come Flavio Gambazzi per aver potuto utilizzare delle immagini dal suo libro „Novaggio e la sua gente“. Un particolare pensiero di gratitudine lo rivolgo a Markus Schneider che ha rivisto e corretto moltissime fotografie. Documenti da internet e articoli di stampa dal 1842 al 1981 sono stati messi a disposizione da Gianni Ciscato, il quale si è adoperato altresì come rapido e attentissimo lettore. E non dimentico l’apporto concreto degli impiegati del Municipio che mi hanno facilitato l’accesso all’Archivio comunale nonché tutti coloro che con un giudizio, un ricordo, un consiglio, un documento mi hanno permesso di ricostruire particolari inediti: … Fernanda Giovannini-Corti, Mariangela Mattinelli, Antonio Frulli, Luca Cattalini, Elia Frulli, Luce ed Emilio Marcoli, Ebe Delmenico, Gianni e Valeria Pedersini, Mario Frulli, Claudia Pedrazzini-Schwarz, Daniele Pedrazzini, Andy Wildi, Renzo e Dario e Claudio Cattaneo, Marcel e Michel Ansermet, Bernardino Croci Maspoli, Piergiorgio Morandi, Rina Delmenico, Maria Demarta Marì du Grott, Romano Bertoli, Pastore Tobias E. Ulbrich, Elio Rotta, Felice Delmenico Ninèla, Beatrice Delévaux, Francesco Ruspini, Dani Muschietti, Franco Treccani, Ado Delmenico, Lida Lorenzetti, Merys Tamburini, Marcello Riccio, Valentino Delmenico, Loretta Guggiari, Sonia Delmenico, Sergio Brignoni, Sergio e Nadir Ghezzi, Lisa Ciscato, gli artisti tuttora attivi e coloro che qui ho certamente dimenticato ...

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Non da ultimo ringrazio Franco Demarta che, proponendomi di scrivere la storia del Patriziato, ha dato il primo impulso per la realizzazione di quest’opera. E naturalmente ringrazio mia moglie Gianna, che ha letto e riletto con spirito critico centinaia di pagine, e Valentino Müller e Stefano Zollinger che le hanno tutte riviste e preparate per la stampa, come le vedete. Per terminare ricordo che senza il generoso contributo finanziario degli enti qui elencati – che ringrazio di tutto cuore – la pubblicazione di questo libro non sarebbe stata possibile:

NOVAGGIO • Comune • Corpo Pompieri • Patriziato • Parrocchia

Società d‘assicurazioni • Agenzia generale Bellinzona • Agenzia generale Lugano

Banca Raiffeisen Malcantonese

Fondazione MALCANTONE

♥ ♥

Piergiorgio e Nadia Demarta Piergiorgio e Rita Morandi

Gravesano

Chiesa Evangelica Riformata Sottoceneri

Skater Hockey Club Novaggio Twins

Sci Club Monte Lema

Novaggio/Curio

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Il saluto del Sindaco

È con vero piacere che desidero ringraziare Siro Muschietti per aver ideato e realizzato questo importante documento dedicato al nostro amato Comune. Il risultato dell’enorme lavoro conferma, anche in questo caso, il particolare rapporto che lega da sempre Novaggio alla sua gente. Un legame profondo, al limite del razionale, guidato da emozioni e sentimenti. I tre volumi permettono al lettore di potersi muovere su più assi portanti. Il primo quello temporale, il secondo quello spaziale e il terzo quello tematico. Questa modalità consente sia una lettura progressiva, sia la ricerca puntuale in base all’attrattività dei temi. In aggiunta a quanto detto, la visione prospettica dell’autore alterna elementi oggettivi a riflessioni soggettive, che giocando tra loro permettono al lettore di completare il quadro aggiungendo sensazioni personali come fossero nuovi colori della tavolozza. Questa incredibile raccolta assume da subito un ruolo di riferimento per la storia di Novaggio, in particolare per le generazioni future, che vi potranno trovare informazioni e rimandi per meglio approfondire e quindi capire l’origine del Comune. Novaggio è speciale, Novaggio è coraggioso, Novaggio è attivo e proattivo; questo da sempre. Leggendo i capitoli emerge la vitalità che contraddistingue la popolazione di Novaggio e permette di meglio comprendere il cammino che ci ha portati ai giorni nostri. È impegno di ognuno di noi avere coscienza della memoria storica racchiusa in questi volumi per continuare il compito che da sempre si tramanda negli anni tra gli abitanti di Novaggio, dimostrazione autentica di democrazia e attaccamento, dove ognuno di noi, secondo il proprio ruolo, rende viva la Comunità giorno dopo giorno. Con questo lavoro, l’autore è riuscito a trasferire su carta l’affetto per la propria terra e per le tante vicende umane che si sono susseguite nella storia, permettendo al lettore di confrontarle con la propria sensibilità. Un libro è sempre, oltre che opera della passione, un atto d’amore. Paolo Romani Sindaco di Novaggio

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Una generazione che ignora la storia non ha passato ed è senza futuro (Robert Anson Heinlein)

Prefazione NOVAGGIO sotto le lente presenta, brevemente, nel suo 1° capitolo il Malcantone; questo per situare meglio Novaggio nel contesto storico-geografico e permettere al lettore di farsi un’idea di com’era la regione malcantonese nei tempi andati. Il 2° capitolo riassume le fonti più antiche relative a Novaggio, il suo toponimo, il suo gonfalone. Nel capitolo successivo è la storia della nostra regione, in senso lato, e quella del nostro Patriziato ad essere trattata in dettaglio. La lente d’ingrandimento – curiosa di scoprire particolari forse ancora sconosciuti – si posa quindi sulla piazza Ferrer, sulla chiesa, sul campanile e suoi immediati dintorni. Segue poi un capitolo importante a ricordo di Novaggesi e non (e sono molti) che nel passato e fino ad oggi hanno fatto parlare di sé, sono meritevoli di attirare la nostra attenzione e di avere la nostra riconoscenza. Il tuffo negli archivi e nella storia di Novaggio in tempo di guerra ci rende consapevoli di quanto la vita dei nostri concittadini fosse dura e piena di ostacoli. Vengono quindi trattati temi che sicuramente sono di interesse per il lettore: acquedotto, illuminazione pubblica, sanità, scuole, attività commerciali, alberghi e ristoranti. Ma anche le istituzioni del paese – che hanno fin qui accompagnato la vita comunitaria – sono trattate sotto il loro profilo storico: la Clinica militare, il Corpo Pompieri, la Posta, la Banca, le feste del paese. L’ultima parte dell’opera offre una passeggiata attorno a Novaggio, uno sguardo alle attività sportive e ai suoi campioni, un elenco degli artisti che lavorano e creano cultura e bellezza nel nostro paese. Cento ricordi e curiosità chiudono il tutto; ci sorprendono, ci fanno sorridere, ci portano ed esclamare … ma varda, anca chésta! Sottolineo per finire che la successione dei capitoli è scelta del tutto personale e priva di qualsiasi scala di valore.

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Di tanto in tanto il paragrafo 1 Ricordo che … riassume qualche ricordo personale; sono del tutto soggettivi e servono ad illustrare Novaggio come l’ho vissuto personalmente ma soprattutto a stimolare la memoria del lettore perché egli possa, con i suoi ricordi, completare e rivivere un passato più o meno lontano. A volte ho scelto di seguire il filo della storia presentando una successione di estratti da documenti d’archivio, spesso riportati senza commento, dando così al lettore quegli anelli che, uniti nella lettura, formano una catena che può facilmente seguire. Gli argomenti più consistenti sono invece trattati separatamente. Come si vedrà, la voglia di dare un nome ad un volto, ad una persona coinvolta nella storia che si racconta, è sincera e costante. Spero, così facendo, di riuscire a mantenere vivo il loro ricordo e tramandarne l’esempio ai posteri. Uno sguardo al passato ci aiuta a capire meglio il presente e chissà, a farci un’idea del prossimo futuro. I ricordi su cui si basano le nostre osservazioni sono per definizione imperfetti, poiché le immagini accumulate nella nostra memoria non sono nitide, non si possono toccare, non si possono udire; tuttavia sono talmente radicate in noi che non le possiamo cancellare. Alcuni ricordi sono nitidissimi, altri invece – la maggioranza per la verità – restano avvolti in una leggera nebbia. Essi ci dicono comunque da dove veniamo e ci indicano la via da seguire. Per fortuna alcune vecchie fotografie hanno supportato i vuoti di memoria e reso credibile il filo del discorso. Auspico far cosa grata all’interessato lettore – soprattutto se giovane – se cerco di dare una risposta alle possibili domande che possono sorgergli spontanee leggendo questo lavoro. Le precisazioni, i complementi, le spiegazioni sono introdotte da questo segno: 0.

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Malcantòn: u ghen va dées par fan vün bon

1.

Malcantone Il «Dizionario storico della Svizzera» (Historisch-Biographisches Lexikon der Schweiz) del 1934 alla voce Malcantone scrive: Kt Tessin, Bez. Lugano. Diese Gegend umfasst die Friedensrichterkreise Sessa, Magliasina und Breno und 18 Gemeinden. Der Name wird schon 1644 erwähnt. Es ist nicht bekannt, ob der Malcantone früher einen politischen oder Verwaltungsbezirk gebildet habe. Die Gegend gehöhrte im Mittelalter immer zum Luganertal. Canton Ticino, distretto di Lugano. Questa regione comprende i circoli di Giudicatura di pace di Sessa, Magliasina e Breno e 18 comuni. Il nome è citato dal 1644. Non è accertato se in passato il Malcantone formasse un distretto politico o amministrativo. Durante il Medioevo la regione appartenne sempre alla valle di Lugano. Le scarne informazioni del 1934 sono finalmente rielaborate, completate e tradotte nella stessa opera, all’inizio del nuovo millennio, da Bernardino Croci Maspoli. Nella versione elettronica del 2.3.2010 qui riprodotta si legge: MALCANTONE Regione TI, distr. Lugano; (1644: Malus angulus). La regione, formata dalla valle della Magliasina, della Lisora e da una piccola parte della valle del Vedeggio, presenta una marcata varietà naturalistica: dal paesaggio lacustre si raggiungono, attraverso le zone collinari, le zone montane (sopra i 1600 m). La sua superficie totale è di 7’635 ettari (oltre il 65% dei quali boscati); la pop. complessiva è di ca. 19’500 ab. (2006). La regione è composta da 19 com. (2008) ed è suddivisa in tre comprensori, Basso Malcantone (Agno, Bioggio – con Bosco Luganese, Cimo e Iseo –, Caslano, Magliaso, Neggio, Ponte Tresa, Vernate), Medio Malcantone (Astano, Bedigliora, Croglio, Curio, Monteggio, Novaggio, Pura, Sessa) e Alto Malcantone (Aranno, Alto Malcantone – con Arosio, Breno, Fescog-

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Riproduzione parziale della prima carta corografica che riporta il nome MAL CANTONE.

gia, Mugena, Vezio – Cademario, Miglieglia). Le prime tracce di popolamento risalgono al Neolitico, e divengono sicure e diffuse in alcuni casi durante l’età del Ferro (necropoli di Cademario), ma specialmente in epoca romana (Agno e Bioggio). Nel Medioevo sono attestati nella regione vasti possedimenti del vescovo di Como. L’economia tradizionale, basata su agricoltura di sussistenza ed emigrazione, presentava forme diverse: nelle regioni più alte gli alpeggi davano all’allevamento un carattere prettamente alpino, con frequenti transumanze anche sulle colline che sovrastano la pianura del Vedeggio, dove le famiglie più cospicue possedevano case, campi e vigneti. Nei comuni di pianura non era invece infrequente il latifondo misto alla piccola proprietà. L’emigrazione periodica (nel XIX e all’inizio del XX sec. anche definitiva) riguardava in genere mestieri dell’attività edilizia (fornaciai, muratori, stuccatori); mete privilegiate erano l’Italia centro-settentrionale, la Francia, la Svizzera centrale. Nel XIX sec. furono sfruttati intensivamente specialmente i giacimenti auriferi di Sessa, Astano e Miglieglia, mentre sul monte Torri fu attiva una miniera di ferro. Dagli anni 1950-60 sono in corso marcati fenomeni di suburbanizzazione della zona pedemontana, cioè sull’asse Bioggio-Ponte Tresa e, in modo più sfumato, lungo le direttrici che portano al Medio Malcantone. Il Malcantone è all’inizio del XXI sec. parte integrante della regione funzionale di Lugano. La sua configurazione aperta verso Lugano e l’area insubrica si riflette pertanto sull’evoluzione delle realtà territoriali e socioeconomiche della regione: lo sviluppo di attività industriali è ad esempio connesso alla presenza di manodopera frontaliera, mentre nell’alta valle il fenomeno dello spopolamento legato alla terziarizzazione dell’economia appare contenuto anche grazie alla relativa facilità di collegamento con l’agglomerato di Lugano. Nel 2005 vi erano nella regione ca. 9715 posti

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di lavoro, concentrati specialmente nei settori secondario e terziario (turismo), ma solo per un quarto occupati da domiciliati nel Malcantone. Dal 1976 è attiva l’Associazione dei comuni – Regione Malcantone, nata per promuovere e coordinare le iniziative regionali di sviluppo. Sembra che la carta geografica sopra riportata sia stata quella del lago di Lugano, disegnata (ma non datata) dal cappuccino Antonio Maria d’Albogasio, incisa da Barnaba da Appiano e dedicata al cardinale Odescalchi, Arcivescovo di Milano dal 1712 al 1737 e signore della Valsolda. Il Bertogliatti (Francesco, di Sessa, 1879-1951, docente, storico e scrittore) riferisce invece che la carta in questione „fu disegnata da due cappuccini, uno dei quali fu il padre Antonio da Sessa, in realtà un Manfrini de comitibus di Pirla-Monteggio“ (da: Paolo Norsa, Cademario – L’antico Comune, Tip. Rezzonico-Pedrini, Lugano, 1945). Il Malcantone è delimitato a nord e a ovest dai monti Tamaro, Gradiccioli, Magno, Poncione di Breno e Lema; a est dalla valle del Vedeggio; a sud dal lago di Lugano e dal fiume Tresa.

Cartina tratta da: Per sgravio suo e del comune – Uno sguardo sul Malcantone del ‘700, Associazione Museo del Malcantone, 2001

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Il Malcantonese, maggio 1904.

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1.1.

Perché «Malus angulus»? Non essendo per molti attendibile la spiegazione per la quale il nome Malcantone, ossia Malus angulus, provenga dalla presenza in questa terra di magli e mulini – opzione che vorrebbe far derivare Malcantone dal tedesco «mahlen» (macinare) – e tantomeno per essere un “Cantone maschio”, vediamo cosa scrive Ernesto Pelloni (1884 Breno – 1970 Lugano, pedagogo e scrittore) nella sua raccolta di testi vari dal titolo «Per il nostro Malcantone» (1957) e Virgilio Chiesa (1888 Bonzaglio – 1971 Lugano, insegnante e storico) in «Lineamenti storici del Malcantone» (1961). Scrive il Chiesa (opera citata, pag. 10-12): ... La parola Malcantone è composta di mal e cantone: mal viene dal latino malus, cattivo, e cantone sta per angolo di territorio; quindi, etimologicamente, Malcantone significa paese di cattiva fama. In origine l’appellativo si riferiva solo alla parte occidentale della Valle di Lugano, comprendente l’odierno circolo di Sessa e limitato dal confine politico monte Rogorio (sopra Astano), Sasso di Clivio, Termine di Monteggio, fiume Tresa, e verso la valle della Magliasina dai poggi Bedeglia di Bedigliora, Mondini, Pian Laveggio e Rocchetta sopra Ponte Tresa. Per la prima volta il vocabolo Malcantone ricorre negli atti della visita del vescovo di Como, Mons. Carafino, a Castelrotto, nell’anno 1644: «In Castro Rupto, Mali, ut vocant, anguli, alunnos malos esse clericos». Celiando, il prelato ritiene ovvio di trovare alunni cattivi i clerici di una parrocchia, la quale deriva il proprio nome da un castello abbattuto, situato per giunta nel Malcantone. Nello stesso secolo, si legge Malcantone in un elenco di Spese di peste e guerra per l’anno 1689: «… per un’andata facta di notte tempo nel mal Cantone, d’ordine dell’ill.mo signor Capitano... lire... soldi 5»… Il Pelloni ci ricorda che (opera citata, pag. 22-24): ... nel 1712, in una carta corografica del lago di Lugano (vedi più sopra), sulla regione situata a ovest di questo fu posta la denominazione Mal Cantone (due parole). Cita inoltre che: « … per l’ing. Oscar Camponovo, studioso della nostra Terra, molti sostantivi, aggettivi e nomi di persona o di località sono composti con il prefisso male – usato nel senso cattivo – e che questi nomi sono generalmente di origine medievale: maledizione, maldestro, malsano, malvestito, Malacrida, Malaspina, Malatesta, Campomalo, Vallis Mala (oggi Val Malenco), via Mala,... Ma anche Malcantone, ove male si deve interpretare non nel senso di cattivo, come in tutti i casi precedenti, ma meglio in quello di sterile, poco produttivo»... Continua il Chiesa: ... Il Franscini (1796 Bodio –1857 Berna) a proposito di Sessa scrive che la zona «ne’ tempi precedenti alla nostra rigenerazione, per esser la medesima assai discosta dalla sede del landfogto, vi spasseggiavano i misfatti ed era chiamata Malcantone». Senonché una tale accusa viene smentita da Francesco Bertogliatti (Storia di Sessa, 2a edizione 1943, pag. 117). Mons. Enrico Maspoli (1877 Magliaso – 1943 ibidem) vede riflessa nel nome «la condizione di un paese di confine esposto agli attacchi ed alle violenze... alle lotte tra Como e Milano durante il sec. XII... dove i Milanesi distrussero i numerosi castelli che costituivano la sicurezza e la caratteristica della regione. Malcantone dunque, non a causa della qualità del suolo o degli abitanti, ma a causa delle disgrazie esportate dall’ostilità di due città rivali».

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E Pelloni conclude: ... il Malcantone, per i Luganesi, è la regione donde vengono i temporali. Scrutando l’orizzonte verso il Lema, i Luganesi sono soliti esclamare: «Se ul temporal al vegn dal Malcantòn, metii i man in oraziòn». Più recentemente Ottavio Lurati1 in «La storia del nome Magliasina e Malcantone» – in Cooperazione, rivista settimanale, n° 10, 1981 – scrive che l’uso del termine Malcantone non è antichissimo, infatti: « … fin verso la metà del 1600 si parlava di Vallis Aroxii o Vallis Arosii (Valle di Arosio). L’introduzione di Malcantone (inizialmente utilizzato con valore ironico) è da mettere in relazione con il fatto che le zone relative risultavano in una posizione geografica ”fuori mano”… Si tratta quindi di un termine che designa un posto di dimensioni ridotte (un cantone) difficilmente accessibile…». Il colonnello Arnold Keller (1841 Lenzburg – 1934 Berna) nella sua opera «Militärgeographie der Schweiz und Ihrer Grenzgebiete» – la cui traduzione della parte relativa al Ticino è allegata al volume La frontiera contesa di Maurizio Binaghi e Roberto Sala – scrive: « … la parte di cantone situata tra il basso Vedeggio, la Tresa e la frontiera italiana, chiamata Malcantone per via delle sue numerose gole e per le sue colline boscose,…» (pag. 300, § b). A questo punto, a chi possiamo credere? Forse ha ragione il Chiesa quando osserva: «… non si erra affermando che lo spregiativo Malcantone venne affibbiato dalle genti delle terre vicine; attecchì, mentre s’ignora il motivo da cui ebbe origine». Oppure indovina il Museo del Malcantone, a Curio, quando asserisce: “Qualcuno ha provato a sostenere che il termine Malcantone significa il posto dei magli, dei mulini o addirittura dei meli. Ma la realtà è più semplice: il nome significa letteralmente brutto luogo, brutto angolo. Così ha voluto la storia che ne ha fatto da secoli una terra di confine, con tutti i vantaggi e gli svantaggi che questa condizione comporta. Da qui sono passate persone, merci e idee, ma anche soldataglie e interi eserciti; banditi, vagabondi, esuli politici e perseguitati di ogni genere hanno valicato da una parte all’altra la Tresa o il crinale del Monte Lema, a seconda delle opportunità. In origine il termine riguardava solo la valle della Tresa, dove l’uso è documentato dal XVII secolo, per poi comprendere anche la valle della Magliasina prima e in seguito la sponda destra della bassa valle del Vedeggio». E cosa dice il poeta del Malcantone? Maria CavalliniComisetti (Lisora di Monteggio, 1894-1978, maestra e scrittrice) nell’edizione del 1945 dell’«Almanacco malcantonese» descrive la nostra terra in questi lusinghieri temini:

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Ottavio Lurati (*1938, Chiasso) – scrittore, professore emerito ed accademico stimato e premiato a livello internazionale – ha retto e diretto la prestigiosa cattedra di linguistica italiana all’Università di Basilea.


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Croce sulla vetta dei Mondini sulla cui lapide si legge “A CRISTO REDENTORE, LE PARROCCHIE DEL BUONCANTONE, 1902“.

Quindi, per Maria Cavallini-Comisetti e per tutti i Malcantonesi non ci sono dubbi: il Malcantone avrebbe dovuto chiamarsi Buoncantone, come sta scritto sulla lapide posta sotto la croce eretta sulla cima dei Mondini. La croce sui Mondini venne eretta nel settembre del 1902 su iniziativa di don Pietro Maricelli, originario di Bedigliora, parroco di Astano. Cent’anni dopo, nel settembre del 2002, la gente dei villaggi vicini, nonché di tutto il Malcantone, ha festeggiato il primo centenario della croce, una delle prime ad essere innalzata sulle nostre montagne.

0 Molte furono le croci poste sulle vette più caratteristiche delle nostre regioni – e soprattutto d’Italia – a ricordo del Giubileo (il 22°) indetto da Papa Leone XIII2 con la sua Bolla Pontificia «Properante ad exitum saeculum», emanata nel 1899. In questa il Santo Padre proclamava l’anno 1900 – che apriva il nuovo secolo (il XX) – Anno Santo, invitando tutti i fedeli ad innalzare sulle cime dei monti il simbolo della Redenzione. Le croci di ferro, smontate in diversi pezzi, furono portate sulle vette dei monti a dorso di mulo o a spalla da uomini, donne e anche da numerosi bambini. Quelle in sasso o muratura richiesero il trasporto in loco dei materiali necessari. I festeggiamenti per l’inaugurazione furono ovunque solenni…

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Papa Leone XIII, nato Vincenzo Gioacchino Raffaele Luigi Pecci (1810 Carpineto Romano 1903 Roma), è stato il 256° vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica dal 1878 fino alla morte.

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La prima e la seconda croce sul Lema.

E la croce sul Lema? chiederà l’attento lettore. Ecco una succinta risposta. La prima Croce sul Lema3 Nel 1933 ricorreva il 19° centenario della morte di Cristo Salvatore. Il Papa di allora, Pio XI4, indisse l’Anno Santo. Molte vette delle nostre belle montagne già erano state consacrate col segno della Croce. Non così la vetta del Monte Lema, la montagna del Malcantone (1620 m/s.m.). Don Andina (vedi cap. 4) in quell’anno chiese al vescovo Mons. Bacciarini di poter celebrare la santa Messa sul monte Lema per il primo agosto. Il vescovo chiese: „C’è la Croce sul Lema?“ – „No, Eccellenza“. „Ebbene, disse il vescovo, avete una magnifica occasione. È l’Anno Santo…, si faccia promotore per la erezione di una Croce grande e bella. Così l’anno venturo, a conclusione dell’Anno Santo, sarà solennemente benedetta…“. Fu incaricato del progetto l’arch. Pietro Giovannini e Don Andina in persona si prodigò a raccogliere i fondi necessari con offerte entro e fuori il Malcantone. E così alla fine di luglio del 1934 la Croce dominava dalla sommità del Lema. Alta oltre dieci metri, con uno zoccolo di cemento armato, è formata d’uno scheletro di ferro, 3

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cfr. Don Leonardo Tami, Ur noss bel Malcanton, Edizioni San Giorgio, Lugano (1988), pag. 168 e Don Filippo Milesi, Omaggio al Can. Don Ferdinando Andina, La Buona Stampa, Lugano-Stazione, 1983, pag. 9. Papa Pio XI, nato Ambrogio Damiano Achille Ratti (1857 Desio, prov. di Monza e Brianza – 1939, Città del Vaticano) è stato il 259º vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica dal 1922 alla sua morte. Ratti fu un appassionato alpinista: nel periodo 1889-90 scalò il Monte Rosa, il Cervino e il Monte Bianco.


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rivestito di lamine di rame, i due bracci disposti secondo la linea di displuvio del monte e aperti verso le terre del Malcantone. L’inaugurazione avvenne la domenica 10 agosto 1934 e fu grande festa per tutti i Malcantonesi convenuti lassù in folla imponente, (ndr. tutto il clero malcantonese e oltre 1200 persone, un numero considerevole visto che si doveva per forza salire a piedi) ma fu particolarmente viva la soddisfazione per Don Andina che era stato l’anima di tutto. Una lapide venne incastonata nel piedestallo della croce: A Gesù Cristo Salvatore nel XIX secolo dell’umana Redenzione il popolo Malcantonese Anno Santo 1933-34 La croce sulla vetta del Lema costituì subito un importante punto di riferimento, un simbolo di fede e un segno di appartenenza ad un territorio specifico. Essa raggiungeva un’altezza di 11 m., aveva un’apertura dei bracci di 4,30 m. e un peso complessivo di 380 q.; la spesa totale per la sua realizzazione fu di CHF 6’300.– La seconda Croce sul Lema Per volontà della Parrocchia di Miglieglia, in occasione del Grande Giubileo del 2000, la croce del 1934 – ormai in condizioni precarie – venne sostituita. Forma e misure furono mantenute; la base in calcestruzzo venne risanata con l’aggiunta di un’area pavimentata in pietra, venne costruito un nuovo altare e installato un nuovo impianto di illuminazione per una spesa complessiva di ca. 70’000.– franchi. La croce, arrivata in elicottero, venne posata il 6 marzo 2000. La lapide recita: A Gesù Cristo Salvatore, il popolo malcantonese, rinnova riconoscente questo simbolo di fede Anno Santo 2000. Alla spesa contribuì anche il comune di Novaggio, come risulta dalla risoluzione municipale del 25.10.99, trattanda 4461: Contributo per la sostituzione della croce. Si decide a maggioranza di concedere un contributo di fr. 500.– per la sostituzione della Croce del monte Lema.

1.2.

Curiosità malcantonesi

(cfr. Maria Cavallini-Comisetti, Almanacco malcantonese 1959, pag 42-43, che qui riassumiamo)

… Il Malcantone contò sei castelli, e d’importanza: • il castello dei nobili Capitanei de Sessa. Caduto in rovina nel XV sec. sorgeva sull’altura detta Castel Monteggio, ove ora sta la chiesa dedicata a Sant’Adalberto e Santa Apollonia; • il castello d’Albeleto su terra di Croglio, sulle cui rovine sorse poi il villaggio di Castelrotto; • il castello medioevale di San Giorgio a Magliaso, da cui partì la scintilla che fomentò le lunghe guerre tra Como e Milano; • il castello di Caslano, o Castellano, che si ergeva come vedetta sul Sassalto; fu distrutto nel Medioevo in seguito alla battaglia sul lago di Lugano tra comaschi e milanesi. È rimasto il nome del villaggio, Caslano e della vicina Torrazza;

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Carta dei castelli del Malcantone, tra cui i piu importanti: Novaggio, Sessa, Castelrotto, Ponte Tresa, Caslano e Magliaso e tracciato dell’antica strada romana (cfr. Virgilio Chiesa – Lineamenti storici del Malcantone, 1961).

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• il castello di San Martino, sopra Ponte Tresa, di cui è rimasto il nome La Rocchetta. Fu pure teatro di scontri avvenuti nel Medioevo tra le milizie di Como e Milano; • il castello di pertinenza della Castellanza medioevale che comprendeva Novaggio, Curio, Banco e Bedigliora. Non si conosce precisamente la sua ubicazione. Pare sorgesse a Novaggio, su un cono a valle della strada per Miglieglia. È documentato la prima volta nel 1292. Ovviamente altri ne esistettero, poiché in molti villaggi è attestata o da ruderi o da accenni toponomastici la loro esistenza (Pura, Curio, Breno). Non tutti ebbero medesime funzioni; alcuni, i meno antichi, vennero ipotizzati «come granai ove gli abitanti incastellavano le ultime risorse, al sicuro dalle razzie e dai saccheggi». Terra di mulini, il Malcantone ne contò un numero rilevante, se si tien conto degli annessi torchi e magli. Erano scaglionati sul corso della Tresa risp. Magliasina, Lisora e Pevereggia. Nei comuni di Croglio, Monteggio e Sessa erano 18. Sul corso della Magliasina, da Breno alla foce, se ne contavano 10, torchi e magli compresi, ai quali il fiume forniva l’acqua per la produzione dell’energia a loro necessaria e da questi ha tratto il suo nome. Le rinomate peschiere delle anguille del XV secolo, ora scomparse, si trovavano dapprima sullo stretto di Lavena, alla Torrazza (Caslano); in seguito, per le alluvioni sulle rive del lago, vennero dislocate sulla Tresa. Da aggiungere la peschiera delle trote alla Magliasina. Nel XX secolo furono in efficienza nel Malcantone due miniere: quella di ferro tra Fescoggia e Breno e quella d’oro, alla Costa di Sessa, sotto Astano. Sfruttata già nel 1860 conobbe un periodo di fama, ma il filone, che contiene anche rame e argento, si rivelò troppo esiguo per uno sfruttamento su larga scala. La fonderia era sita su territorio di Monteggio, alla Ressiga. Chiusa e abbandonata nel 1953, al termine di importanti lavori di ripristino che si sono protratti per ca. due anni, la miniera d’oro di Sessa è stata riaperta ufficialmente, a scopo turistico – curiosità malcantonese di oggi – il 29 aprile 2018. Cave. La cava più importante della regione era quella della Torrazza, per lo sfruttamento della dolomia (ndr. roccia sedimentaria composta prevalentemente dal minerale dolomite) a uso industriale per la lavorazione di vetri e porcellane. Cave di sabbia si trovano lungo la vallata della Tresa: al Madonnone, a Barico e alla Ressiga di Monteggio. (ndr. … ricordiamo anche la cava di Moriscio e un paio di piccole cave a Novaggio: quella dove oggi sorge il Centro scolastico e quella sulla strada per Miglieglia, subito dopo la curva della Colombina). Le fornaci di Fornasette, scomparse anch’esse e che hanno dato il nome all’omonima località, erano in efficienza già nel 1600 per la fabbricazione di laterizi. Veniva utilizzato il terreno argilloso della regione. Sul finire dell’800 veniva sfruttata su larga scala la torbiera dei prati Vergani di SessaMonteggio. In seguito al prosciugamento di questi prati cessò l’estrazione della torba.

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La Miniera d’oro alla Costa di Sessa, sotto Astano.

Altra curiosità di ieri è la recente riscoperta delle meridiane, circa ottanta, che abbelliscono i nostri villaggi. Le più belle ed interessanti sono state unite per formare un «Percorso del sole», itinerario storico-didattico che porta dall’Alto al Basso Malcantone attirando l’attenzione su una trentina di meridiane, le più interessanti e differenti per tipologia, collocazione e datazione. La passeggiata inizia ad Arosio, dove si possono osservare la meridiana del 1664 sulla chiesa e un complesso di meridiane incise su un cubo posto sul sagrato (foto a fianco); si continua verso Mugena (facciata sud-ovest della parrocchiale) per poi raggiungere il restaurato maglio di Aranno; anche la meridiana che scandiva il lavoro è tornata a segnare il tempo. Praticamente illeggibile l’esemplare di Miglieglia, mentre notevoli sono i due orologi solari posti sulla facciata della sede del Museo del Malcantone a Curio. Bedigliora vanta sei orologi solari, tra cui quello di casa Bolli e quello di casa Vannotti con la scritta «Torna il Sole, non il Tempo». Insolite per le dimensioni le due meridiane di S. Maria a Banco di Bedigliora.

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Meridiana di Arosio sul Percorso del sole, intinerario storico-didattico che si snoda dall’Alto al Basso Malcantone.

L’itinerario raggiunge quindi Beredino dove una meridiana settecentesca si trova su una tipica casa con loggiati e a Sessa, dove si trovano almeno quattro orologi di valore storico. Una meridiana a scudo ricostruita in base a documenti d’archivio fa bella mostra nel cortile di casa Ballinari a Persico di Monteggio; restaurate anche le due di Busino. Si continua per Croglio, dove nella corte di casa Andina troviamo un orologio solare con tre sistemi di misura. A Pura c’è una meridiana sulla chiesa parrocchiale e una su di un edificio privato. A Magliaso ci sono due meridiane contemporanee mentre ad Agno una, quasi illeggibile sulla facciata della casa parrocchiale. L’itinerario si conclude a Bioggio, con due meridiane equatoriali – nel parco vicino al Centro sociale e un’altra privata – e una decorativa su casa Gianinazzi. Cfr. Il percorso del sole, Lugano-Turismo. Per maggiori informazioni sul tema vedasi Il cammino del sole nel Malcantone, di Aldo Morosoli, pubblicato da “Il Malcantone”, gennaio-febbraio, marzo 2018.

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Malcantón Ho caminò in du stradòn senza pagüra. Am sóm fermada a salüdaa. Ho vist fióo e prò vérd, de scià e de là du turnichè, üselitt sü par celèst, a guraa innaz e ’ndré. Ho cantò in sür sentee di sass, insem‘ ara muntagna; ò lavurò ra tèra négra e grassa da mi campagna. Ho tirò dré i sciavatt dent par stram de fò e de castegna, ò respirò r’arie frégia du bóff da tramuntana.

Armida Ryser-Demarta

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Ho pestò ra név fresca, bianca, legéra, lanzörin de diamánt ch’a picava e ch’a lüsíva. Ho curü visín ara róngia, dré a na föia ch’a nudava, purtade vie da curént. Giü, denanz ar lagh, ò remirò r’aqua increspada sòtt ar vént. Am sóm fermada a ciapaa in brascia, un fiörín visch e cuntent, par sentimm viva insem’ a lüü, viva e pulída. Ho cató na báge d’üga, marüdade sott ar sóo e a r’ho mangiade tüta, punciröö, par punciröö, lì, in sur prò di me vint agn. Quánc regórd e che magón! … Malcantón …


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A sii da Novacc... indré dal bànch!

2. 2.1.

Novagio, Novazio, Novatio Il toponimo «Novaggio» lat. novum ager nuovo campo, nuovo terreno coltivo. Forse da fatti alluvionali intorno all’anno 1000?

Il toponimo Novaggio risale molto probabilmente al sostantivo latino nŏvāle «campo lasciato sodo o incolto per un certo tempo, maggese; campo che si dissoda, si coltiva per la prima volta» con aggiunta del suffisso latino –ācěus con il quale in origine venivano formati aggettivi da sostantivi. Il suffisso -aceu può esprimere qualcosa di rozzo o di più grande oppure di meno buono, ed è diventato così nel tempo un suffisso accrescitivo o peggiorativo. In Italia settentrionale prevale la funzione accrescitiva. «Dizionario toponomastico dei comuni svizzeri» (DTS), pag. 653 A.Kristol (direzione), Huber Frauenfeld – Payot Lausanne

2.2.

Un po’ di storia antica paesana NOVAGGIO – Comune del distretto di Lugano. Nel 1148, Novagio; 1298, Novazio; 1467, Novatio; anche Novaxio. Appartenne con Banco, Curio e Bedigliora alla Castellanza di Novaggio sino al 1418. È nota un’assemblea del 10 febbraio 1421. I Vicini sono convocati il 31 maggio 1690… «Armoriale dei comuni ticinesi», pag.91 Gastone Cambin, Lugano, MCMLIII

ndr. Nel 1148, l’Abbazia di S.Abbondio di Como possedeva beni a Novagio, mentre nel 1298 il Capitolo della Cattedrale di Como risulta proprietario di immobili e di diritti fondiari.

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• • • • • •

Altre forme documentarie (come sopra DTS): 1244 Martini Mosoni de Novagio 1298 in territorio de Novaçio 1298 et in parte quamplurium hominum de Novaçio 1335 Comune loci de Novazio 1335 foci de medio centenario de Novazo 1502 Porini de Iermina de Novazio

Il volume «Curio e Bombinasco dagli albori» di Ernesto W. Alther e E. Medici (Armando Dadò editore, Locarno, 1993), alle pag. 15-16 conferma risp. aggiunge altre antiche menzioni relative a Novaggio. 1298 Importanti possedimenti dei canonici della cattedrale di S. Maria Maggiore a Como si trovano nel Malcantone. A Novaggio 2 consoli (ndr.: rappresentanti dell’autorità secolare, poi sindaci) e 19 abitanti – i quali, tranne 6, erano massari dei canonici – consegnarono i beni capitolari ai canonici. Le 13 masserie erano riunite in un gruppo. Tra le altre 73 unità, sono elencati coltivi, vigneti, boschi e selve, nonché un molino al quale erano cointeressati 8 affittuari… 1298 Nel Malcantone i villaggi di Novaggio, Curio, Banco e Bedigliora formano una castellanza, menzionata ancora, a parecchie riprese, dal XIII fino al XVIII secolo; essa conserva perennemente boschi comuni, tuttavia non sappiamo esattamente a quale castrum appartenesse. 1335 Solo per il Luganese ci è stata tramandata una suddivisione territoriale in centene, complessi territoriali ciascuno di circa una mezza dozzina di paesi con termini, che furono costituiti probabilmente a suo tempo in base ad un censimento della popolazione, e comprendenti ognuna circa 100 fuochi. Giungo al numero di 100 fuochi sommando le seguenti frazioni di centene: 25 foci de medio centenario de Novazo, a cui vanno aggiunti 25 foci de Bedaliola et de Bancho… 1372 quadam decima de Cuyro et Novatio viene affittata per flor. 1 per 5 anni. Nell’opera «Historisch-Biographisches Lexikon der Schweiz», Neuenburg, 1929, vol. V, pag. 311, si legge: NOVAGGIO (Kt. Tessin, Bez. Lugano). Dorf, polit. und Kirchengem. Novagio 1148; Novazio 1298; Novatio 1467. 1148 besass die Abtei St.Abbondio, 1298 die Kathedrale von Como in N. zahlreiche Güter und Grundrechte. Die Gem. Gehörte mit Curio, Banco und Bedigliora (1418) zur gleichnamigen castellanza; in der 1. Hälfte des 15. Jahrh. hatte sie dem Herzog von Mailand 13 Soldaten und Kriegsmaterial zu stellen. Bis 1632 entrichtete sie den Bewohnern von Miglieglia, Aranno und Bedigliora eine Kornsteuer; diese verzichteten darauf zu Gunsten

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ndr. L’assemblea della Castellanza dei tre comuni di Bedigliora-Banco, Novaggio e Curio si teneva davanti alla chiesa del S. Salvatore di Bedigliora, ubicata fuori dell’abitato, ad oriente, unita al cimitero. Documentata già dal 1419, nel periodo dal 1600 al 1653 la chiesa fu modificata con l’aggiunta delle volte e delle due cappelle laterali, assumendo una pianta a croce latina. Nella facciata, che poggia su un basamento a gradini e restaurata nella seconda metà dell’Ottocento, è inserito un portale barocco. All’interno il dipinto del Salvatore, del 1874, opera del pittore Melchior Paul von Deschwanden (Stans 1811-1881, pittore sacrale).

der neuen Pfarrei N., die sich 1632 von Agno ablöste. Die schon 1294 erwähnte Kirche S. Siro wurde 1600-1625 neugebaut, im 18. Jahrh. auch die seit dem 16. Jahrh. bekannte Kirche Sta. Maria von Carate. Die protestantische Kirche stammt aus dem Jahr 1902. Militärsanatorium 1922. Bevölkerung: 1626, 400 Einw.; 1801, 379; 1920, 397. Taufregister seit 1717, Eheregister seit 1777, Sterberegister 1678… NOVAGGIO (canton Ticino, distretto di Lugano). Villaggio, politico e parrocchia. Novagio 1148; Novazio 1298; Novatio 1467. Nel 1148 l’Abbazia di S. Abbondio – nel 1298 la Cattedrale di Como – erano proprietari a Novaggio di numerosi beni. Il comune costituiva con Curio, Banco e Bedigliora (1418) l’omonima castellanza; nella prima metà del XV sec. questa doveva mettere a disposizione del duca di Milano 13 soldati e materiale bellico. Fino al 1632 Novaggio doveva fornire una certa quantità di grano agli abitanti di Miglieglia, Aranno e Bedigliora; questi rinunciarono a partire dal citato anno a tale tassa in favore della nuova parrocchia di Novaggio che si era staccata dalla pieve di Agno. La chiesa di San Siro, già citata nel 1294, venne ricostruita nel 16001625, così come nel XVIII sec. la chiesa di Sta Maria del Carate conosciuta dal XVI sec. La chiesa protestante risale all’anno 1902. Il sanatorio militare al 1922. Popolazione: 1626, 400 abitanti; 1801, 379; 1920, 397. Registro delle nascite dal 1717, registro dei matrimoni dal 1777, registro dei decessi dal 1678 …

Altre interessanti informazioni su Novaggio ce le fornisce – come abbiamo già visto per la regione Malcantone – il nuovo «Dizionario storico della Svizzera», DSS, versione elettronica 20.8.2009, autore Bernardino Croci Maspoli. Novaggio – Com. TI, distr. Lugano, nel medio Malcantone; (1244: Novagio). Pop: 373 ab. nel 1670, 379 nel 1801, 441 nel 1850, 476 nel 1900, 432 nel 1950, 716 nel 2000. Tombe rinvenute nelle località di Pazz e Traversagna fanno risalire l’origine dell’abitato all’età del Ferro. Nel basso ME sono documentati beni del monastero di S. Abbondio di Como, mentre il capitolo del duomo vi possedeva una masseria e un mulino. Sono pure attestati (1294) case e fondi di proprietà del monastero degli umiliati di Astano. All’epoca, N. formava una castellanza con i com. di Curio, Banco e Bedigliora. Si hanno frammen-

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tarie notizie circa l’esistenza di alcune fortificazioni, ma nessuna prova certa della loro precisa ubicazione. La chiesa di S. Siro, parrocchiale dal 1632, risale al 1625, ma è documentato un edificio di culto omonimo già nel 1352. Alla fine del XIX sec. alcune fam. di N. fondarono una comunità evangelica, costruirono una chiesa (1902) e diedero vita a una scuola confessionale. Nel 1900 il medico Fausto Buzzi-Cantone costruì la Vill’Alta; la sua compagna, Alice Meier, aprì nel parco della villa un piccolo ospedale, che prestava cure mediche gratuite agli ab. del com. La villa venne in seguito acquistata dalla Conf., che vi installò un ospedale militare attivo dal 1922. Nel XIX sec. una miniera sfruttava un filone di galena argentifera e aurifera; era inoltre attiva una fornace. L’economia tradizionale affiancava agricoltura ed emigrazione; all’inizio del XXI sec. si riscontrava un marcato pendolarismo verso il fondovalle.

0 A partire dall’800 a.C. è il ferro il materiale più importante per la produzione di utensili ed armi, ciò che ha portato alla definizione di età del ferro (800-15 a.C.). Gli elementi decorativi dell’abbigliamento e il vasellame possono essere di ferro o, come in precedenza, di bronzo. Antecedente a questa è l’età della Pietra, il periodo in cui l’uomo, non conoscendo ancora l’uso dei metalli, ricavava dalla pietra le armi e gli utensili necessari alla sua sopravvivenza.

Vogliamo qui inserire alcuni dettagli relativi ai due ritrovamenti di tombe – a cremazione e altre – in località Pazz e Travèrságn (presso l’attuale Centro scolatico) che fanno risalire l’origine dell’abitato di Novaggio al 750 a.C. – 400 a.C. (vedi anche cap. 29). Alcuni dati ce li fornisce Virgilio Chiesa nella Rivista storica ticinese – Antiche tombe malcantonesi, 1938, n° 5, pag. 97; altri li troviamo nell’Atlante preistorico e storico della Svizzera italiana, vol. 1, di Aldo Crivelli.

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Gli oggetti ritrovati a Pazz (fonte: Archivio Ufficio dei beni culturali – Servizio archeologia, Bellinzona).

La pianta e la sezione delle due tombre rinvenute a Pazz.

Vicino al Giardino d’infanzia, nel luogo denominato Traversagne, l’estate 1935, mentre si cavava la sabbia, venne alla luce a un metro di profondità una tomba preromana a cassetta, di circa 50 cm. di lato, costituita da quattro lastre di pietra infisse nel sottosuolo e di un coperchio pure di pietra. Conteneva una scodella, una ciotola e una patera di terracotta, poste l’una dentro l’altra in modo da formare una breve piramide; conteneva inoltre una fibula di bronzo serpentiniforme (sic.), che gli archeologi ritengono ligure, ossia del primo popolo civile che occupò e abitò il nostro paese. Riguardo a Pazz, nel periodico Il Malcantone del 1° maggio 1942 leggiamo: All’Alpe di Pax (sic.) del signor Delmenico Antonio, furono scoperte, a circa cinquanta centimetri di profondità, due tombe che datano, secondo i competenti, dall’epoca dei liguri, circa 700 anni prima di Cristo. Nelle tombe furono rinvenuti diversi oggetti di terra cotta lavorata finemente, oggetti che furono asportati dagli agenti cantonali per essere depositati ed esposti nei musei. Il terreno è pianeggiante ed ha la superficie di circa mille metri quadrati. Può quindi darsi che a quell’epoca la località di Pax sia stata abitata e che il posto ove furono rinvenute le tombe fosse il cimitero. Il buon Antonio è fiero della scoperta e gentilmente accoglie i visitatori che si recano a vedere le tombe. Il già citato Aldo Crivelli ci svela alcuni dettagli della scoperta di Pazz. Egli scrive: Il signor Antonio Delmenico mentre stava bonificando un suo fondo posto su un terrazzo sul fianco della valletta di Cigello, trovava, a 30 cm di profondità, due tombe a cremazione che egli, con fine intuito, ebbe cura di conservare. Un grande sfaldone serviva da coperchio, quattro piode formavano i fianchi della cassetta che aveva sul fondo un’altra pioda. Vicino alle tombe, rovesciata, si trovava un’altra pioda di forma grosso modo triangolare, nella quale, con tutta probabilità, si deve riconoscere la stele di segnalazione come già s’è riscontrato nelle non lontane tombe della stessa epoca di Cademario. Le se-

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Le tombe dell’Alpe di Pazz. Antonio Delmenico con la famiglia e le autorità del paese (fonte: Archivio Ufficio dei beni culturali – Servizio archeologia, Bellinzona).

polture risalgono al VI sec. a.C. ed appartengono alla cosiddetta Civiltà del Ferro. Questa nuova scoperta, unita alle precedenti fatte sempre in territorio di Novaggio, acquista particolare importanza per la preistoria malcantonese, essendo un nuovo punto di collegamento tra Sessa, Banco, Aranno, Cademario e Breno, località già note per ritrovamenti dello stesso periodo. Inoltre – sempre sulla Rivista storica ticinese (1942, anno 5, n° 3) – troviamo un altro articolo di Aldo Crivelli dal titolo Due tombe a Novaggio in cui l’autore osserva: … questo nuovo ritrovamento, unito ai precedenti della stessa civiltà e sempre in territorio di Novaggio (n° mappa 4e-187b), acquista particolare importanza per la preistoria malcantonese, essendo un nuovo punto di collegamento tra le scoperte di Sessa, Banco, Novaggio, Aranno, Cademario, Breno. Il proprietario ha pure segnalato di aver trovato, non molto lontano dalla tomba, un’area mista di terra e carbone con qualche coccio che fa supporre sia stata una probabile ustrina, di cui già si ebbe l’esempio a Cademario. Dove è praticata la cremazione si trovano spesso i resti del rogo (ustrina) con cui il cadavere è stato combusto. Le ustrine si possono trovare anche nelle necropoli di inumati; in tal caso, bisogna dedurre che siano resti di roghi votivi. Sono facilmente riconoscibili perchè contengono solo rimasugli di ceneri e carboni… L’antichità preromana dell’abitato, indicata dai vari ritrovamenti archeologici del secolo scorso, è così confermata. Manca tuttavia ogni elemento per seguire le vicende del “vicus” nell’Alto Medioevo.

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Pianta del ritrovamento all’Alpe di Pazz.

2.3.

Novaggio “il più bel villaggio” Nel «Dizionario geografico della Svizzera», edizione 1905, scopriamo che Novaggio è il più bel villaggio del Malcantone. Novaggio (Kt Tessin, Bez. Lugano) – 640 m. Gem. und Pfarrdorf im Malcantone, 13 km nw. vom Bahnhof Lugano… Novaggio ist das schönste Dorf im Malcantone und mitten in Weinpflanzungen und alten Kastanienselven reizend gelegen… Novaggio (canton Ticino, distretto di Lugano) – 640 m. Comune e parrocchia nel Malcantone, 13 km a nord-ovest della stazione di Lugano… Novaggio è il più bel villaggio del Malcantone, adagiato in modo attraente tra vigneti e selve castanili…

Per il Galli e il Tamburini5 «das schönste Dorf im Malcantone» (1905) diventa sei anni più tardi «uno dei più bei villaggi del Cantone». Novaggio si adagia a cavalcioni del promontorio che separa il bacino della Lisora da quello della Magliasina. La sua posizione geografica ne fa uno dei più bei villaggi del Cantone. Vede il lago Maggiore, il laghetto di Ponte Tresa e la vallata della Magliasina sino ad Arosio. A mezzodì il suo orizzonte si estende lontanissimo sulle cime delle Prealpi lom5

Antonio Galli (1883 Bioggio – 1942 Piora) fu insegnante, giornalista, scrittore, Granconsigliere, Consigliere di Stato. «Scrittore di cronistoria paesana… dopo il Franscini nessun maestro elementare aveva percorso una carriera feconda come la sua…» (Ernesto Pelloni). Angelo Tamburini (1867 Miglieglia – 1941 Novaggio) insegnante, scrittore, Granconsigliere (vedi anche più oltre).

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Novaggio, 1933 (foto Schmidhauser), Plinio Grossi, Il Malcantone, Edizioni Edelweiss, 1984.


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barde, con un grand’arco che dal Gionnero o Generoso finisce al Monte Rosa, l’immenso colosso dalla sfolgorante armatura di ghiaccio «che il ciel sembra tener sovra le stelle». «Guida del Malcantone e della Bassa Valle del Vedeggio» di Antonio Galli e Angelo Tamburini, Lugano-Mendrisio, 1911

È ancora il Tamburini, grande entusiasta cantore della sua regione, ad incensare il suo villaggio di adozione nell’Almanacco Ticinese del 1937. Un terrazzo né ampio né ristretto, dolcemente, quasi insensibilmente in declino che congiunge le falde da nord a sud nei due civettuoli promontori: il Perosa e il Gheggio; è limitato, ad oriente, da un semiripido pendio, che scende fin giù nella valle dove vi scorre a volte impetuoso e a volte tranquillo il fiume Magliasina; a ponente invece il terrazzo va dileguandosi per trasformarsi in semplici e redditizi ronchetti fino al confine del Comune immediatamente viciniore di Banco da Bedigliora. Su questo terrazzo, tutt’affatto a nord, ai piedi del Perosa, anzi a questo già un po’ in groppa, un bel gruppetto di case si adagia con fiducia, con beatitudine… Novaggio! Paese caro per sé, per i suoi dintorni, per i suoi abitanti! Qui tutto è dolcezza, levità, serenità. È una specialità di questo paese arrivare ai novant’anni o giù di lì con l’aspetto di uomini sessantenni. È l’aria, è la sobrietà, è l’ambiente?… Novaggio è un siterello aggraziato, alla mano, che fa buon sangue e piace, per cui s’attagliano i versi …ed io che intesi quel che non dicevi, m’innamorai di te perché tacevi. La temperatura da noi è durante tutto l’anno sempre mite. Qui non abbiamo i grandi calori che si riscontrano nella vicina Italia, non i freddi intensi che registrano altre vallate ticinesi e molte contrade dei Cantoni confederati. Novaggio, luogo piacevole, pittoresco, ove spirano aure di libertà, aure di vita, pace e quiete. Anche la modernissima Wikipedia contiene informazioni dettagliate sul comune di Novaggio, corredate da una cartina che bene situa il territorio del Comune nel distretto di Lugano. Stato Cantone Distretto Circolo Lingua ufficiale Latitudine Longitudine Altitudine Superficie Popolazione tot Frazioni Comuni contigui

Svizzera Ticino Lugano Breno italiano 46° 01’ N 8° 51’ E 641 m s.l.m. 4,4 km² 843 ab. (2016) –––– Miglieglia, Aranno, Curio, Bedigliora, Astano e Dumenza (IT-VA)

0 Sul significato della sigla LVGA e della grafica dello stemma esistono molteplici ipotesi, ma non esistono interpretazioni ufficiali. La testimonianza più antica a colori dello stemma della città (sfondo rosso e la croce argentata con la sigla LVGA) risale al 1588 e la si trova su un attestato di benservito rilasciato dalla città al balivo (capitano reggente o landfogto) Sebastian von Beroldingen, originario del Canton Uri (documento visibile al museo di Altdorf).

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L’uso della V in luogo della U, secondo l’uso delle iscrizioni romane, fa credere che l’origine sia romana, quasi ad indicare effettivamente una legione. Un’altra interpretazione faceta indicherebbe che la sigla LVGA sia l’acronimo di “La Vera Giustizia Antica”. La versione corrente dell’Amministrazione comunale, comprovata da alcune copie di documenti datati 1208 e 1209 (gli originali sono andati persi) depositati nell’Archivio della Diocesi di Lugano, è che LVGA non sia nient’altro che l’abbreviazione del nome della città stessa. Ottavio Lurati fa risalire il nome della città attorno all’Ottavo secolo. Fa derivare Lugano dal latino lucus che significa bosco con il suffisso –ano che completava spesso il nome con il significato di relativo a, di proprietà di, vicino a. Secondo questa lettura, Lugano avrebbe il significato di insediamento situato vicino a un bosco (importante o sacro). La città condivide perciò l’origine del suo nome con Lugo di Romagna, Luco e Piano del Luco in provincia di Varese, Santa Maria di Lugana sul lago di Garda, il Dòss Lügan di Vacallo e ancora la Vall Lügana nel comune di Pura.

Distretto di Lugano e territorio del Comune di Novaggio.

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Il territorio di Novaggio e i comuni limitrofi.

I nostri confini Il territorio di Novaggio presenta una larghezza di ca. 1 km ed una lunghezza di ca. 4 km. Iniziando a nord, dal punto piÚ alto, il confine è delimitato dal Moncucco (1517 m.s.m), scende lungo il torrente Vinera fino alla confluenza con il fiume Magliasina (508 m.s.m), segue il fiume Magliasina, sale sul Gheggio (746 m.s.m), corre parallelo a nord-est della strada Curio-Bombinasco fino al ponte dopo Nerocco, continua in direzione nord seguendo il torrente fino ai Prati di Maggio (1037 m.s.m) per arrivare alla Forcola (1118 m.s.m) e alla frontiera con lo Stato italiano. I nostri vicini Miglieglia, Aranno Curio, Bedigliora, Banco, Astano Dumenza (Lombardia, prov. Varese)

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La prima esposizione nazionale si tenne nel 1883 a Zurigo. Le successive edizioni ebbero luogo nel 1896 a Ginevra, nel 1914 a Berna, nel 1939 a Zurigo, nel 1964 a Losanna e nel 2002 congiuntamente a Bienne, Neuchâtel, Yverdon-les-Bains e Morat.


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1964 Expo Losanna: piramide delle bandiere di tutti i Comuni svizzeri. cfr. Il libro dell’Expo, Payot-Hallwag, pag. 214-215.

2.4.

Stemma e gonfalone del Comune Gli stemmi comunali godono in Svizzera di una lunga tradizione; alcuni di loro risalgono al XII secolo. «Die Landi», l’esposizione nazionale svizzera6 di Zurigo del 1939 diede a questi un forte impulso, in quanto i gonfaloni di tutti i comuni svizzeri dovevano essere esposti nella «Fähnlistrasse», ufficialmente detta Höhenweg o «Via Alta». Così molti stemmi furono creati proprio in occasione della Landi. Anche durante l’Expo di Losanna del 1964 vennero esposti i gonfaloni di tutti i comuni svizzeri. Attraverso la raccolta degli stemmi e delle insegne si può meglio distinguere un Comune dall’altro, differenziandoli, analogamente a quanto avviene per i Cantoni e per gli Stati. Lo stemma è un simbolo di autonomia, di continuità; è anche la bandiera che fa rivivere la tradizione, alimenta il ricordo, l’attaccamento della gente alla propria terra. Esso riunisce in sé, aumentandolo, il patrimonio storico, intellettuale, tradizionale, folcloristico di ogni popolo. La raccolta e la selezione di tutti i dati bibliografici riguardanti la storia di ogni Comune ticinese iniziò nel 1939 e fu affidata all’Istituto Araldico e Genealogico di Lugano.Quindici anni di ricerche, di sopralluoghi, di fotografie, di indagini d’archivio presso municipi, patriziati e parrocchie nonché di spoglio di innumerevoli pubblicazioni e di articoli di stampa portarono nel 1953 – in occasione del 150° anniversario dell’entrata del Cantone Ticino nella Confederazione – alla pubblicazione del volume l’«Armoriale dei Comuni ticinesi» del compianto direttore arch. Gastone Cambin (1913 Breganzona – 1991 Lugano ), insigne studioso di araldica. In quest’opera – edita dall’Istituto Araldico e Genealogico di Lugano – sono raffigurati

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e descritti gli stemmi risp. i gonfaloni di tutti i Comuni ticinesi. Riguardo a Novaggio si legge quanto segue.

«Armoriale dei comuni ticinesi», pag. 91 Gastone Cambin, Lugano, MCMLIII.

Opera citata, tavola XI, n. 181.

Per quanto riguarda l’accettazione degli stemmi è bene ricordare che questi furono precedentemente approvati dall’Autorità competente, come risulta dai seguenti estratti dai Verbali Risoluzioni municipali risp. Libro Protocollo Assemblee comunali 1935-1955, pag. 259. 22.9.52/54

Stemma del Comune. Si approva il progetto di stemma del Comune allestito dall’Ufficio Araldico di Lugano previo alcune correzioni sulla caratteristica dell’uccello. 30.1.53/8

Gonfalone comunale. Si autorizza la confezione del gonfalone comunale tipo normale. 2.9.53/60-61

60. Ricorso al Lod. Dipt. Interno circa confezione gonfalone comunale. Con lettera 27 giugno 1953 il Lod. Dipt. dell’Interno in evasione di un ricorso fatto da cittadini di Novaggio in punto alla confezione del gonfalone comunale senza l’approvazione dell’Assemblea. Il Lod. Dipt. Interno consiglia il Municipio a voler sottoporre alla prossima assemblea il disegno per l’approvazione. 61. Gonfalone comunale. Prezzo. Si prende atto della spesa per la confezione del gonfalone comunale in fr. 392.– già dedotto il sussidio cantonale di fr. 98.–. Il Lod. Patriziato di Novaggio verserà fr. 196.– quale contributo votato dall’Assemblea patriziale. Riunione dell’Assemblea comunale del 20 dicembre 1953: … Al II° oggetto viene data lettura della lettera dell’Ufficio Araldico di Lugano che dà spiegazione circa i colori e la figura applicata al gonfalone. Notisi che dietro ricorso di alcuni cittadini il Lod. Dip.to Interni ha pregato il Municipio a voler sottoporre lo stesso all’approvazione dell’Assemblea. Vi sono in sala n° 34 cittadini quando il Presidente mette in

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Riunione dell’Assemblea comunale del 20 dicembre 1953.

votazione l’approvazione del gonfalone che viene approvato da n° 24 sì, 7 no e 3 astenuti. Esaurito l’ordine del giorno … Come si può osservare da quanto riportato qui sopra, il gonfalone di Novaggio fu oggetto di seria discussione poiché – ancora fresco di stampa – l’«Armoriale» del Cambin fece scoppiare a Novaggio una polemica relativa al pennuto scelto dallo specialista per lo stemma del comune: «Quella non è una gazza, è un corvo, e noi non lo vogliamo!». A quel tempo, a Novaggio, erano tutti cacciatori – o quasi – e perciò nessuno dubitava del loro giudizio; per di più, dalle nostre parti, il corvo non è che attiri la simpatia della popolazione, così nero e con quel suo gracchiare un po’ sgraziato. Sullo stemma del loro Comune i Novaggesi volevano una gazza, al limite una ghiandaia, volatili più «simpatici» del corvo. E poi si sentenziava: «Sa sem scgasc, ug va mìa un curbàtt in sü ra bandera, o no» (… se siamo gazze, non ci vuole un corvo sulla bandiera). Comunque, lo stemma comunale è un artefatto con molto dubbio fondamento. Forse ci fu incomprensione tra le parti, forse il nostro dialetto, il nostro intendimento, non venne capito o altro; sia come sia, il tempo ha ormai messo d’accordo quasi tutti.

0 Gazza. Questo corvide dal becco lungo e forte, possiede un bel piumaggio lucente, nero con varie iridescenze verdi-bluastre sul dorso, ali, gola e testa, mentre fianchi e addome sono bianchi. Misura circa 45 cm (~ 20 cm di coda) e pesa 150-250 grammi. La gazza si è adattata a qualsiasi tipo di ambiente. Vive nei boschi aperti, nelle boscaglie, nei coltivi e ovviamente nelle città e si nutre di piccoli animali invertebrati, frutti e semi; talvolta anche di piccoli vertebrati e di rifiuti lasciati dall’uomo. La gazza è considerata una specie opportunista perché in grado di modificare le proprie abitudini alimentari in base

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Gazza.

Ghiandaia.

alla disponibilità locale e alla stagione. La gazza può essere solitaria o gregaria durante tutto l’anno (in questo caso i maschi sono dominanti sulle femmine), ma al sopraggiungere del periodo riproduttivo la coppia si isola e diviene territoriale. Maschio e femmina sono fedeli l’uno all’altro (specie monogama), sebbene alcuni maschi conducano una vita piuttosto promiscua. Dal centro del proprio territorio ogni individuo emette degli strilli acuti così da comunicare ad eventuali partner o rivali la propria presenza e forza. In genere, nella tarda primavera è deposta l’unica covata dell’anno. Il nido, di solito piuttosto evidente, è costruito con radici secche, foglie e ramoscelli fra gli alti rami degli alberi. Sono deposte 5-7 uova che sono incubate per una ventina di giorni. I giovani lasciano il nido dopo circa un mese. Questo corvide non migra durante la stagione fredda, ma affronta l’inverno permanendo nella medesima zona. L’appellativo «ladra» viene dall’abitudine della gazza di prendere e nascondere oggetti luccicanti.

Quarant’anni più tardi il Municipio decide la sostituzione del vecchio gonfalone con uno nuovo, come risulta dal seguente estatto. 28.9.98/4033

Acquisto bandiera del Comune di Novaggio. Si decide di acquistare la bandiera comunale come da offerta n° 8102602 della ditta Heimgartner. Costo totale fr. 3’603,30 IVA compresa.

2.5.

Il nomignolo dei Novaggesi Nel 1929 Felice Gambazzi (vedi cap. 5) fondò l’Associazione «Pro Malcantone» ... per studiare, promuovere, eseguire e sussidiare quanto può concorrere al benessere e alla elevazione culturale dei Malcantonesi... Nel 1964, per commemorare il 35° della fondazione della Società e contribuire alla difesa delle nostre tradizioni e

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Gonfalone e stemma di Novaggio.

del nostro folclore, Maria Cavallini-Comisetti redige un volumetto intitolato «Nomignoli di paesi» nel quale raccoglie e presenta in tono spigliato e con molta sensibilità un patrimonio caro a tutti i malcantonesi. Sebbene l’evoluzione compia rapidamente passi da gigante, i nomignoli degli abitanti dei nostri paesi sono rimasti, si accettano e si tramandano di generazione in generazione, senza arrecare danno; anzi, in certi casi vengono inseriti nello stemma e nel gonfalone comunale. Novaggio: « scgasc » Chi mi disse che i novaggesi si onorano del nomignolo «Scgasc» ebbe un sorrisetto e aggiunse tra il serio e il faceto: «Ma... non gazze ladre, intendiamoci». Ohibò, si può dare della gazza a una persona senza minimamente sospettarla di aver le unghie lunghe. In verità se la gazza non è ladra, è chiacchierina, quindi la gente di Novaggio cordiale, accogliente, può vantarsi di saper fare a meraviglia la propaganda del suo paese così salubre, soleggiato e ben situato da costituire un centro turistico e una stazione climatica conosciuta e apprezzata. Non bisogna dimenticare che Novaggio si presta bene come luogo di pubblicità, centro di diffusione di notizie come una gazzetta in piena regola. Gente vien e s’incontra dai villaggi, da Breno, Miglieglia, Banco, Astano, Bedigliora, Curio. Quindi il nomignolo di «scgasc » ci sta come il cacio sui maccheroni. Gazza “chiaccherina” non più di altri malcantonesi e non ladra, benché pare che un giorno al mercato di Lugano dei Novaggesi abbiano alleggerito dei cittadini della loro borsa. Pare altresì che i venditori ambulanti alla fiera di San Provino, ad Agno – che esponevano sulla pubblica piazza su improvvisati banconi montagne di cianfrusaglie – rivolgendosi ai ragazzi stupefatti e curiosi dicevano: «A sii da Novàcc?... Alóra... indré dal bànch!».

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Armida Ryser-Demarta

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Tenere viva la fiamma, non venerare la cenere (Gustav Mahler)

3.

Vicinia – Castellanza – Patriziato ndr. Parte di questo capitolo si basa sul testo di Stefano Guidese Nutzungen ländlicher Gebiete im Wandel sozio-ökonomischer Gegebenheiten am Beispiel Novaggio TI (Utilizzazione di zone rurali col mutamento delle condizioni socio-economiche sull’esempio di Novaggio) – Lavoro di diploma, sez. VI, PFZ, cattedra di politica forestale, 1993 (trad. Aldo Massarotti, 1996)

3.1.

Sguardo al passato Lo sviluppo storico del Malcantone è premessa indispensabile per spiegare la nascita del patriziato, istituzione che ancora oggi riesce ad accendere gli animi dei discendenti delle più vecchie famiglie di Novaggio. Ma essendo la storia della regione Malcantone strettamente legata a quella del Sottoceneri e della vicina Lombardia, occorre dapprima riassumerne brevemente i punti salienti. • Come già citato più sopra, le tombe scoperte in località Pazz e Traverságn fanno risalire l’origine dell’abitato di Novaggio al periodo 750 – 400 a.C. A quel tempo la nostra regione era abitata dai Liguri; questi occupavano il Genovesato, la pianura del Po, le Alpi centrali e occidentali e la Gallia meridionale. Anche se ignota per noi la lingua ligure, noti invece non pochi vocaboli di questa: lemos (ontano) ha dato Lemo, oggi Lema, il monte principe del Malcantone. E ligure è il termine farù, castagne lessate col guscio. Sono suffissi liguri –asco, –esco, ed –usco, onde, per restare nel Luganese, Bombinasco, Capriasca, Davesco. • Nel 390 a.C. i Celti o Galli irruppero dalle Alpi occidentali nella valle del Po e fondarono Mediolanum, ossia landa di mezzo, Milano. Giunti successivamente nelle nostre terre si mescolarono ai Liguri vivendo assieme pacificamente. • Più tardi i Romani (225 a.C.) – con il console e generale Marco Claudio Marcello (ca. 268–208 a.C.) vincitore dei Galli insubri – conquistarono anche il

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Ticino meridionale. Il Ticino appartenne pertanto alla provincia romana della Rezia e lo rimase per quasi 800 anni. • Nel 568 d.C. i Longobardi invasero l’Italia del nord, cioè il territorio limitato dal Ticino, dal Po, dall’Adda e dalle Alpi e dominarono per due secoli questa regione. Il nostro paese divenne lombardo per il dialetto, le tradizioni religiose, artistiche, culturali, il costume e lo spirito. • Nel 774 i Longobardi furono sconfitti dai Franchi. Questi travolsero la resistenza dei Longobardi, discesero dalle Alpi occidentali sotto la guida di Carlo Magno e vinsero a Pavia il re longobardo Desiderio. Sotto il loro dominio il vescovo di Como ottenne giurisdizione sulla Val Lugano, alla quale apparteneva anche il Malcantone. Il vescovo fu il maggior signore feudale del Luganese. Durante la guerra decennale tra Como e Milano, la Val Lugano parteggiò per i Milanesi. I dettagli che ci concernono li troviamo in uno scritto di Oscar Camponovo dal titolo Episodi della guerra decennale (1118-1127) tra Milano e Como nel Sottoceneri pubblicato nella Rivista militare della Svizzera italiana, n° 35 (1963). Ne riportiamo qui un estratto. … L’avvenimento di guerra più notevole, per non dire unico in tutta la nostra storia, al quale si collega il Sottoceneri, fu il conflitto tra Milano e Como – protrattosi dal 1118 al 1127 e chiamato pertanto «guerra decennale tra Milano e Como» – poiché alcuni episodi di quella guerra si svolsero nel Luganese e, ciò che è sommamente eccezionale, sul lago di Lugano e sue località rivierasche. Quella guerra non venne combattuta come avviene ai nostri tempi. Essa fu una guerra medievale, cioè un seguito di combattimenti tra loro separati da lunghi intervalli. Scrisse appropriatamente G. Rovelli nella sua „Storia di Como“: «…Per lo più la guerra non facevasi continuamente, ma a diverse riprese. Sovente una battaglia, una scaramuccia, la conquista d’un castello, un assedio durato alcune settimane, un tentativo bene o mal riuscito era la unica impresa dopo la quale, sospese le ostilità, ciascuna delle parti si ritirava, e poi, scorsi alcuni mesi ovvero nell’anno vegnente, ritornava alla tenzone. La guerra dei dieci anni, dal 1118 al 1127 tra Milano e Como, ci porge l’idea di questa maniera di guerreggiare»… Gli avvenimenti dei primi anni 1118-1121 si svolsero a Como stessa e suoi dintorni, sul Lario e poi nel Varesotto e nella pieve di Uggiate. Solo nel 1122 i combattimenti si spostarono sul lago di Lugano e castelli rivieraschi. Ma il prologo della guerra ebbe già origine in una località del Luganese. A quel prologo converrà dunque risalire. Nel 1096 venne nominato, canonicamente, Guido Grimoldi da Cavallasca vescovo per la diocesi di Como, mentre da parte imperiale si eleggeva vescovo Landolfo da Carcano. Ne derivò che la diocesi comasca si trovò divisa in due parti. Il vescovo scismatico Landolfo da Carcano, scomunicato nel 1098 da Anselmo IV vescovo di Milano, aveva posto la sua residenza nel castello S. Giorgio di Magliaso che, come Val Lugano, apparteneva al contado comasco. Como, nel 1118, si propose di dare il colpo definitivo e decise l’assalto al castello di Magliaso. La guardia venne sorpresa e l’azione si svolse rapida. Landolfo venne fatto prigioniero e i suoi nipoti Lanfranco e Ottone furono trucidati. I Milanesi, indignati, dichiararono la guerra a Como, dando così inizio alla «guerra decennale». Quella guerra, che ebbe dunque le sue origini nell’assedio e nella presa del castello di Magliaso, si svolse poi, in parte, e come detto, nel Luganese e sul suo lago, poiché qui si combatterono «battaglie navali» fra i Milanesi, la cui base era a Lavena, e i Comaschi, con porto d’approdo a Melano, opportunamente sistemato e munito («munito fossa et lignea turri»). Due erano, all’inizio, le «navi da guerra» comasche e altrettanto quelle milanesi. Queste ultime rifugiatesi malconce, dopo un combattimento, a Lavena, vennero legate con forti catene

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Magliaso: castello di San Giorgio e chiesa dei Santi Biagio e Macario.

alla torre del castello di quella località. I Comaschi non riuscendo a impadronirsene cercarono ma invano di espugnare il castello. Diedero infine fuoco al villaggio, col quale andarono distrutte la torre e le temute navi…. P.S. Non potrebbe essere che l’appellativo malus angulus (per Malcantone) sia dovuto alla scintilla che scatenò la guerra decennale tra Como e Milano con l’azione al castello di Magliaso?

È documentato che nel 1148 l’abbazia di Sant’Abbondio – e nel 1298 la cattedrale di Como – possedevano a Novaggio numerosi immobili e diritti fondiari: 13 sedimi di case e 73 pezze di terre. Da un rogito (atto notarile) del 15 marzo 1294 emerge che „Gullielmus filus q.m. (ndr. quodam: figlio di …) Fhilipi Paniça de Novaçio”, ha venduto a frate Alberto, preposto al Monastero degli Umiliati di Lugano, diverse terre e case situate in quella località al prezzo di lire 42 di denari nuovi, dove la casa monastica possedeva già diversi fondi.

0 Gli Umiliati furono un movimento religioso proveniente da Alessandria, in Piemonte; fiorì in Lombardia e si sviluppò nel nord dell’Italia a cavallo tra il XII ed il XIII sec. Le sue origini si perdono nel mito. Fu uno dei molti movimenti spirituali sorti in contrasto ai costumi rilassati e alla ricchezza diffusa spesso ostentata dal clero e propugnava perciò un ritorno ad una vita più austera e frugale. Inizialmente condannati come eretici furono reintegrati con bolla di Innocenzo III. L’ordine venne soppresso nel 1571.

Nel XIII sec. i villaggi di Banco, Bedigliora, Curio e Novaggio formavano una „vicinia“ risp. una „castellanza“, così chiamata perché doveva provvedere alla manutenzione del castello, simbolo di sicurezza. Appartenevano alla castellanza i pascoli e i boschi sul fianco del Lema che scende dal Pian Pulpito a Cima Pianca, alla val di Carolì, di Bosco di Maggio e a occidente fin sopra Bombinasco al Sasso Lodo e ai confini di Astano; e vi appartenevano pure i Mondini degli odierni patriziati di Bedigliora e di Curio.

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Geografia locale.

La vicinia di antica origine romana continuò la sua esistenza nel „comune“, formato dalle famiglie più antiche di un luogo, che possedevano una comunione di beni, per lo più boschi e pascoli, detti comunantie. L’assemblea dei vicini o vicinanza si radunava normalmente per deliberare sulla piazza comunale. Alla vicinanza partecipava un vicino per fuoco, unus pro foco, di solito il padre di famiglia, pater familias. Verso la fine dell’anno, la vicinanza eleggeva il console che prestava giuramento davanti al capitano reggente o landfogto. Il console amministrava il comune, riscuoteva le imposte e pagava le spese; eseguiva le deliberazioni della vicinanza, rappresentava il comune davanti al giudice e doveva attenersi al mandato della vicinanza. Inoltre, aveva in custodia i pesi e le misure. La vicinanza eleggeva altresì i campari (ossia i custodi della terra con facoltà di denunziare ogni persona o animale sorpresi a far danno alla proprietà sia privata che comunale), gli estimatori e i determinatori, rispettivamente incaricati delle stime e dei termini (confini) dei poderi. La vicinia formata con i villaggi contigui a Novaggio era la cosiddetta „Castellanza de Novazi“ (ndr. come allora si chiamava Novaggio) e così chiamata perché doveva provvedere alla manutenzione del castello di Novaggio, posto su un

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rialto sottostante la strada che conduce a Miglieglia, e del quale sembra rimanga ancora oggi parte del muro di cinta. Non è da confondere con il castello di Miglieglia, posto su un promontario verso il fondovalle, vicino alla vecchia strada NovaggioMiglieglia (ndr. che passa per Vinera, secondo Virgilio Chiesa, opera citata). Come tutti i manieri nella valle della Magliasina questo di Novaggio serviva soprattutto alla protezione in tempi bellici, ma altresì come posto di polizia sulla strada che attraversava la valle e come posto di osservazione e punto di orientamento.

0 Vicinia (pronunciato vicìnia o vicinìa) è storicamente un termine utilizzato per indicare un insieme di persone abitanti nella medesima località con interessi o beni comuni. È altresì il termine antropologico che indica una comunità agraria di confinanti che condividono proprietà comuni delle regioni alpine e prealpine regolate e amministrate dalle assemblee vicinali. Il suo nome deriva da vicus-i (villaggio, in latino), dal quale deriva l’assemblea dei villani, ovvero degli abitanti della villa. Queste assemblee prendevano anche nome di vicinanze. Nel Medioevo la vicinia era lo spazio dove si conduceva la vita quotidiana; spesso includeva una chiesa e le botteghe degli artigiani. Vi vivevano famiglie per intere generazioni, di indifferente ceto sociale; era un nucleo di densa solidarietà sociale, le cui regole e comportamenti si discutevano e si decidevano in periodiche assemblee. Il termine vicinia assume diversi significati a seconda del contesto: in ambiti urbani indicava una specie di comitato di quartiere; in ambiti rurali aveva un significato simile all’odierna amministrazione comunale. Era consuetudine ritenere “vicini” gli abitanti originari di una località; essi erano i discendenti di famiglie che abitavano ab immemore nella località. Agli originari si contrapponevano i forestieri.

• Nel 1335, dopo numerosi disordini, i Visconti di Milano (signori della città dal 1277 al 1395) assunsero il dominio di parte del Ticino. In questo contesto ricordiamo che nella seconda metà del XV secolo, durante il dominio del duca di Milano, in tutto il Malcantone vi erano per ogni comune norme specifiche e ferree di reclutamento. Novatio (così designato allora) doveva mettere a disposizione del duca 13 uomini e materiale da guerra. • Lungo tutto il corso del XV secolo, i Confederati svizzeri si erano lanciati alla conquista delle valli a sud delle Alpi, in tre „campagne transalpine“ successive. Il Canton Uri conquistò definitivamente la Valle Leventina già nel 1440, dopo che tra il 1403 e il 1422 alcune di queste terre, già annesse con la forza da Uri, erano state perse. In questo contesto si ricordano tre importanti battaglie tra confederati e ducato milanese: quella di Arbedo (1422), di Castione (1449) e di Giornico (1478). • Successivamente, gli Svizzeri approfittarono delle invasioni dei Francesi in Italia che presero avvio a partire dal 1494. Infatti, nel 1500 – in una seconda campagna – Uri, Svitto e Untervaldo ottennero la città di Bellinzona e la Riviera, anch’esse peraltro già occupate da Uri nel 1419 ma perse nel 1422. Nel 1512, chiamate dagli Stati italiani per scacciare il re di Francia Luigi XII, le truppe dell’intera Confederazione rimisero alla testa del ducato di Milano Massimiliano Sforza, che divenne in sostanza un fantoccio degli Svizzeri. Questi

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I domini viscontei nel XIV secolo.

Monumento della battaglia dei Sassi Grossi, opera dello scultore Apollonio Pessina, inaugurato il 1° agosto 1937.

ultimi furono ricompensati con l’estensione del controllo militare non soltanto sugli attuali distretti di Lugano e Mendrisio ma ben oltre i confini attuali. Nel 1512, a seguito delle incursioni su Milano da parte dei Confederati e dopo la loro definitiva occupazione di Lugano, sorse la „Landvogtei“ di Lauis (designazione per indicare Lugano). Nell’odierna Provincia di Varese erano in effetti svizzere la Valtravaglia e la Valcuvia; in cima al lago di Como la terra detta «delle Tre Pievi» e infine anche parte della Val d’Ossola, a ovest del Verbano. Ma ben presto ci fu un cambio di situazione e già nel 1515, dopo la sconfitta patita dagli elvetici nella battaglia di Marignano (l’attuale Melegnano) a opera di Francesco I di Francia, il confine fu portato dove si trova attualmente. • Nell’anno 1515 prese dunque avvio il cosiddetto Periodo dei confederati. I territori che nel 1803 costituiranno il Canton Ticino erano suddivisi in otto baliaggi, in linea di massima corrispondenti agli attuali distretti. I baliaggi cisalpini non appartenevano però tutti ai tredici Cantoni, che formavano allora la Confederazione Elvetica. Infatti, mentre la Leventina dipendeva solamente dal Canton Uri, gli odierni distretti di Blenio, Riviera e Bellinzona erano baliaggi, oltre che di Uri, anche di Svitto e del semicantone di Nidvaldo. Il restante territorio ticinese, invece, era spartito in quattro baliaggi di proprietà comune dei dodici cantoni, i cosiddetti Baliaggi Ultramontani o Ennetbergische Vogteien. Il dominio confederato si manifestò praticamente solo in ambito giudiziario. Al di fuori di quest’ultimo il potere venne lasciato alle autorità locali. Questo permise fino a oggi la sopravvivenza del Patriziato e quella del Consiglio parrocchiale, cioè l’assemblea, eletta dai cattolici di un villaggio, che amministra le proprietà della parrocchia.

• Nel 1517 i comuni di Bedigliora, Aranno, Miglieglia, Caslano, Pura, Curio e Novaggio dovettero mettere a disposizione dei Confederati uomini e bestie per trasportare cannoni da Ponte Tresa a Luino, cannoni che erano serviti agli Svizzeri per l’assedio del castello di Lugano, allora occupato dai Francesi.

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• I „Landfogti dei 12 cantoni sovrani“, che tenevano tribunale a Sessa, furono in grado di mantenere il loro dominio sulla regione fino alla Rivoluzione francese. L’intera „Vogtei“ (baliaggio) doveva mettere a disposizione dei Confederati un contingente forte di 12’000 uomini. Quale autorità esecutiva il Malcantone designava un proprio Consiglio, come del resto le rimanenti „pievi“, cioè le parrocchie o comunità ecclesiastiche che allora erano dotate di qualche competenza politica.

0 Era denominato balivo o lan[d]fogto – in ted. Landvogt, Obervogt o Vogt, in franc. bailli, dal lat. ballivus, advocatus (difensore, avvocato, avogadro) – il rappresentante del potere signorile in un territorio circoscritto. I territori sottoposti all’autorità di un balivo si dividevano in: • baliaggi imperiali, creati allo scopo di amministrare i beni dell’Impero, e • baliaggi veri e propri, appartenenti ai cantoni e ai loro Paesi alleati. Nei baliaggi italiani questo funzionario era chiamato balivo o landfogto, a Lugano capitano reggente e a Locarno commissario. Di norma il balivo veniva scelto tra i membri del Consiglio ed era tenuto a prestare giuramento di fronte a questa assemblea; egli veniva nominato per un periodo determinato. Nell’amministrazione dei baliaggi comuni, ogni cantone sovrano proponeva il balivo attenendosi a un turno prefissato. Fra i compiti del balivo vi era soprattutto l’amministrazione della giustizia, delle finanze e del servizio militare. A seconda delle dimensioni del baliaggio e della sua distanza dal centro del territorio del cantone cui era soggetto, il balivo era obbligato a risiedere nella sua sede ufficiale oppure poteva esercitare la carica restando in città. Nel suo baliaggio egli doveva imporre il rispetto delle decisioni del sovrano e riceveva l’omaggio dei sudditi.

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Il balivo di Mendrisio nel suo palazzo (acquerello di Hieronymus Holzach).

Nel 1798 la Repubblica Elvetica abolendo i baliaggi soppresse anche la carica di balivo; nei distretti cantonali il titolo di balivo, ormai screditato, cadde definitivamente in disuso nel 1803. Dal Dizionario storico della Svizzera

La Vecchia Confederazione o Confederazione dei tredici cantoni era un pigro intreccio federale, creato dagli interessi dei singoli membri e mantenuto coeso dalle numerose alleanze incrociate tra le regioni alpine e le città dell’altopiano svizzero. Era formata essenzialmente dai Cantoni Sovrani (detti Orte in tedesco) e dai Territori Alleati (Zugewandte Orte). Tutta una serie di territori sottomessi (baliaggi) e protettorati completavano in modo mutevole la geografia elvetica. Questi, ad eccezione di Appenzello, esercitavano a turno la giurisdizione. I tredici cantoni della Vecchia Confederazione erano i seguenti: Cantoni fondatori Nuovi Cantoni Uri (1291) Lucerna (1332) Svitto (1291) Zurigo (1351) Untervaldo (1291) Zugo (1352) Glarona (1352) Berna (1353)

Soletta (1481) Friborgo (1481) Sciaffusa (1501) Basilea (1501) Appenzello (1513)

• A quello della Vecchia Confederazione seguì il periodo della Repubblica Elvetica (1798-1802) durante il quale, per decisione di Napoleone Bonaparte i baliaggi vennero riuniti a formare, nel 1798, due diversi Cantoni: Bellinzona e Lugano. Nel 1803, questi vennero poi definitivamente unificati in un nuovo soggetto, il Canton Ticino, la denominazione del quale venne decisa riprendendo il nome del fiume più importante del territorio.

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La Repubblica Elvetica nel 1799.

La capitale del cantone unificato venne posta a Bellinzona, ma Lugano non accettò questa risoluzione. Il problema fu risolto con la Costituzione del 1814, la quale stabilì che le tre città principali, Bellinzona, Lugano e Locarno, si alternassero ogni sei anni nel ruolo di capitale. Questa alternanza durò fino al 1878 quando Bellinzona divenne la capitale unica e permanente. Per la bandiera cantonale sembra siano stati favoriti, in onore a Napoleone, i colori dello stemma di Parigi. La bandiera fu scelta dal Gran Consiglio il 26 maggio 1803 e adottata il 27 settembre 1804, due mesi dopo la creazione del Cantone.

Stemma di Parigi, bandiera e stemma del canton Ticino

Benché alcuni Ticinesi, tra cui dei Malcantonesi, avessero combattuto per l’indipendenza dell’Italia, l’evoluzione centralistica in quel Paese favorì il legame del Ticino alla Confederazione federalistica. L’ulteriore sviluppo del Ticino nel XIX secolo recò essenzialmente l’impronta della separazione del cantone dai vescovadi di Como e Milano.

0 La Repubblica Elvetica fu uno stato unitario che sostituì l’antica Confederazione Svizzera dei tredici cantoni. Essendo un regime politico imposto dalla Francia e poco accettato dalla popolazione locale ebbe una durata molto breve, soli cinque anni.

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Durante la Repubblica Elvetica si tentò di sopprimere i „comuni dei vicini“ sostituendoli con il comune politico, dando a tutti gli abitanti del paese il diritto di partecipare alle assemblee e alla gestione del comune. Il progetto, in parte, non si concretizzò cosicché, oltre al comune politico simile a quello che conosciamo oggi, si lasciarono „governare“ anche i Vicini definendoli ufficialmente Patrizi; questi costituirono il Patriziato. A quel tempo il potere dei patriziati era grande poiché spesso possedevano numerosi pascoli, boschi, selve, stalle e sorgenti ossia beni determinanti per l’economia di tutto un villaggio. Pertanto non si riuscì mai a sostituire completamente il patriziato con l’istituzione del comune politico.

• Con la Mediazione napoleonica (1803-1813) e la susseguente Restaurazione (1815-30) il potere esecutivo del patriziato decadde. Questo venne assorbito dal Comune che, oltre alla gestione dei problemi comunali, si occupò anche di quelli del patriziato. Con la nascita dello Stato federale del 1848 i cantoni acquisirono, tra l’altro, amplie competenze di organizzazione interna. Dalla legge ticinese del 1856 sull’organizzazione dei comuni risulta che l’appartenza al patriziato era la condizione preliminare per il conseguimento della cittadinanza comunale e cantonale. Questa condizione, ritenuta anticostituzionale dal Consiglio federale, venne in seguito abrogata. Riassumendo la precedente descrizione della storia del nostro Paese e della nostra regione, possiamo affermare che questa costituisce l’ambito politico nel quale è sorto e si è sviluppato il patriziato. Tuttavia è importante anche la struttura politica interna di una regione o di un comune. Prima del 1798 i comuni e le vallate in Ticino godevano di una grande autonomia benché i baliaggi della Svizzera italiana fossero allora ancora dipendenti dal Popolo Sovrano della Confederazione. L’amministrazione veniva assicurata dagli organi locali ed era riconosciuta formalmente dall’autorità federale o cantonale. Il landfogto/balivo, assistito da delegati locali che partecipavano caso per caso alle decisioni, aveva soprattutto compiti giudiziari. I comuni o „vicinanze“ – come allora venivano designate le associazioni di compaesani – godettero quindi in pratica di una libertà illimitata e furono in tal modo uniche responsabili per le questioni interne o regionali. Nel Sottoceneri i compiti di polizia e quelli amministrativi, così come l’organizzazione della vita economica e della vigilanza sanitaria erano di competenza delle „pievi“ (parrocchie) e delle “comunità dei baliaggi“, che erano molto simili tra di loro. Non essendo il comune o „vicinanza“ l’unica istituzione politica nel paese, esso non possedeva una posizione di monopolio nelle questioni decisionali pubbliche nell’ambito del territorio comunale; per contro vi era una moltitudine di corporazioni e di strutture con carattere politico o quanto meno pubblico. Il patriziato era una di queste ultime.

Bisogna inoltre tener presente che i diritti politici non rappresentavano dei diritti individuali, ma bensì, come nel caso del patriziato, erano vincolati al concetto di „fuoco“ – espressione per focolare, intesa come economia domestica con un capo nella persona del padre – dove un solo membro di ogni „fuoco“ ne rappresentava gli interessi nell’assemblea. Il patriziato, in Ticino, è la comunità dei cittadini. In origine esso formava una corporazione prevalentemente di diritto privato con caratteristiche di diritto pubblico, in quanto i suoi membri godevano del diritto di voto nelle questioni politiche.

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Dal volume «Patriziati e patrizi ticinesi» di Flavio Maggi, Pramo edizioni, 1997, pag. 294.

Con l’evoluzione della società verificatasi dopo la Seconda guerra mondiale, il significato originale del patriziato al servizio della collettività andò sempre più scomparendo a causa della perdita della posizione di primato economico dei pascoli e dei boschi. Nel 1962 il Gran Consiglio del Canton Ticino ratificò una legge patriziale diretta principalmente contro la speculazione fondiaria. Un’ulteriore modifica concerneva il concetto di „fuoco“, fino allora presente e legalmente valido. Attualmente tutti i patrizi ottengono il diritto di voto a diciott’anni. Per contro il concetto di „fuoco“ sussiste ancora per l’ottenimento di beni naturali, come ad es. la ripartizione di legna da ardere proveniente dai boschi patriziali.

3.2.

Il patriziato di Novaggio… ieri Dal volume «Patriziati e patrizi ticinesi» di Flavio Maggi, Pramo edizioni, 1997, pag. 294, riporto il passo relativo a Novaggio. … è patrizio colui che è membro dell’antico comune e partecipa al godimento dei beni indivisi. L’antico comune si chiamava «vicinia»; chi vi era ascritto, era un «vicino». Le denominazioni «patrizio», «patriziato», applicate nel suddetto senso, sorsero nel 1798 e sono sancite da una legge del 1806. L’attinente (comunista) possiede gli stessi diritti politici del patrizio, ma è escluso dal godimento dei beni patriziali… È bene notare che la qualità di patrizio di un comune ticinese è assolutamente vuota di contenuto nobiliare … «Armoriale ticinese» di A. Lienhard-Riva, Società Araldica Svizzera, 1945, pag. XVIII

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1 Ricordo che … Ricordo che ai tempi della mia infanzia, i «beni indivisi» distribuiti dal patriziato si limitavano a legna da ardere, patate e mele che le famiglie patrizie potevano acquistare, in cassette di legno di ca. 20 kg, a bassissimo prezzo, presso la cancelleria comunale. Di questa offerta approfittarono anche i miei genitori. Oggigiorno i «beni indivisi» patriziali sono praticamente scomparsi; ognuno si compera le proprie patatine congelate e le mele di provenienza estera al supermercato. In quanto al riscaldamento, ci si affida a quello centrale a nafta, al solare, alla termopompa,…

3.2.1.

Litigi senza fine In mancanza di fonti attendibili, è da supporre che al decadentismo e alla scomparsa di tutti i castelli costruiti nel Malcantone, ca. nel XII sec., i pascoli a loro appartenenti siano stati divisi tra i „Vicini della regione“. Solo dopo il XIV sec. disponiamo di una prima, magra documentazione relativa alla „Castellanza“ formata dai comuni di Banco, Bedigliora, Curio e Novaggio. Un secolo più tardi, dopo la fusione di Banco con Bedigliora, compare il nome di „Castellanza dei tre Comuni“ il cui territorio era costituito da un grande appezzamento sul Monte Lema – tra la cima del monte e il motto Croce – e da una piccola porzione sui Mondini. Delimitazioni più precise del territorio fanno difetto. Nel XVI sec. un accordo con il comune di Miglieglia portò alla costituzione della „Castellanza dei quattro Comuni“, il che allargava verso nord-est il territorio della precedente unione. Quest’ultima castellanza durò fino al 1779. Nel corso di questo periodo non mancarono liti e dissapori per le pretese di proprietà e di utilizzazione delle diverse parti e beni, il che diede nascita il 2 agosto 1788 alle trattative per la divisione del territorio. L’„Istrumento di divisione“ allora allestito portò alla partizione della Castellanza in una „Castellanza dei tre vecchi comuni“ e una „Castellanza dei quattro“. Sulla porzione di territorio della nuova „Castellanza dei quattro“ tutti i quattro comuni avevano pretese di utilizzazione, mentre la porzione di territorio che ridivenne la „Castellanza dei tre“ era di esclusiva proprietà di Bedigliora, Curio e Novaggio, ossia delle parti iniziali. Nel 1799 le discordie portarono ad uno scambio di territorio tra Bedigliora, Curio e Novaggio. I primi, come stabilito nel 1788, rinunciarono alla comproprietà nella „Castellanza dei quattro comuni“ a favore della sola pretesa di proprietà sulla porzione dei Mondini che fino ad allora era parte della „Castellanza dei tre“. A questo punto i nuovi rapporti di proprietà si presentavano così: Miglieglia manteneva ancora solo la comproprietà nella „Castellanza dei quattro“ creata nel 1788; Novaggio – quale unico comune – possedeva pretese sia nella „Castellanza dei quattro“ sia nella nuova „Castellanza dei tre“ ma diminuita delle porzioni dei Mondini. Bedigliora e Curio avevano ancora solamente diritti nella „Castellanza dei tre“; in compenso avevano l’esclusiva pretesa di proprietà sul Monte Mondini.

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Il territorio del Patriziato di Novaggio (140 ha; 760-1500 m.s.m.).

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Documenti d’epoca che testimoniano quanto citato piu sopra (estratto da: Flavio Gambazzi, Novaggio e la sua gente, 1981).

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I nuovi rapporti di proprietà dall‘„Istrumento di divisione“ del 2.8.1788: nord-est (parte scura): Castellanza dei quattro Comuni; sud-ovest: Castellanza dei tre Comuni.

Nell’Istrumento citato, la delimitazione della „Castellanza dei tre“ viene descritta come segue: … dal principio del bosco grande dei faggi, nella parte più alta del bosco di Maggio, e diritto giù fino al Sasso Pioca, da questo sul sentiero che va a Cima Pianca e da qui fino al confine del pascolo, ossia fino al confine con Astano … Non è possibile ricostruire il tracciato esatto del confine; dalla raffigurazione risulta che la „Castellanza“ doveva essere più estesa poiché comprendeva anche la piccola porzione a nord con la cima del Moncucco. La superficie tratteggiata a sudest evidenzia la difficoltà dell’esatta localizzazione del Sasso Pioca nonché del sentiero che va a Cima Pianca. Astano non si dichiarò d’accordo con il contratto di divisione delle „Castellanze“ in quanto temeva la perdita risp. una limitazione del suo diritto di pascolo in comune con la „Castellanza dei tre“. Sulla base delle fonti di cui disponiamo, tale diritto fu ceduto dai tre comuni ad Astano nel 1749, al prezzo di lire cantonali 1250. Il motivo della vendita di un diritto di utilizzazione sulla „Castellanza“ rimane oscuro. Tuttavia, questa pretesa da parte di Astano fu causa di nuove discordie tra Novaggio, Curio e Bedigliora, da una parte, ed Astano, dall’altra. Lo sviluppo della questione prese fine nel contratto concluso il 27 agosto 1863 tra Bedigliora, Curio e Novaggio. Mediante tale atto, le pretese di proprietà sulla „Castellanza dei tre“ da parte di Astano passarono completamente a Novaggio; i comuni di Bedigliora e Curio ottennero per contro una grossa porzione della „Corte dell’Occhio“. Novaggio divenne così proprietario unico della „Castellanza dei tre“ e divise ulteriormente i diritti alla „Castellanza dei quattro“ con Miglieglia. Con la conclusione di tale contratto la situazione sul Monte Lema corrispose a quella rappresentata nella pagina seguente. La ricerca di una soluzione relativa alla discordia tra i vicini castellani è comprovata da un documento del 12 marzo 1858 (archivio privatoPiergiorgio Demarta) nel quale si legge:

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Estratto dalla Convenzione sul tracciato dei confini della „Castellanza dei tre“ conclusa il 27.8.1863: nord-est (parte scura): Castellanza dei quattro Comuni sud-ovest: Castellanza dei tre Comuni.

La Municipalità di Novaggio Alli Sig.ri Dottore Giuseppe Muschietti e Giuseppe Bertoli e Don Gioachino Gambazzi. L’Assemblea patriziale nella seduta di domenica giorno 7 del corrente marzo vi ha nominati suoi Deputati nelle seguenti operazioni: 1° Provocare uno scioglimento amichevole colle Comuni di Curio-Bedigliora-Miglieglia relativamente alle contraddizioni… 2° Per l’acquisto della quarta castellanza spettante alla Comune di Miglieglia a prezzo di stima… Novaggio, li 12 marzo 1858

0 … diritto ceduto ad Astano al prezzo di Lire cantonali …Viene qui spontanea una domanda: lire cantonali? Come si presentava la monetazione svizzera a quel tempo? La monetazione svizzera tratta delle monete emesse dalle diverse autorità nel territorio dell’attuale Confederazione elvetica. Le monete furono coniate per secoli da singole autorità locali, come città, abazie, vescovati o altri signori feudali. Nei secoli ci furono vari episodi di accordi monetari sia interni alla Svizzera sia con altri territori vicini. Ma fu solo con la Rivoluzione francese e la nascita della Repubblica Elvetica che si ebbe una prima unificazione della monetazione. Con la fine della Repubblica Elvetica il diritto di coniazione tornò alle autorità locali, questa volta rappresentate però esclusivamente dai cantoni. Dopo la guerra del Sonderbund, nel 1848, il diritto di coniazione passò dai Cantoni alla Confederazione e nacque quindi il franco svizzero. Monete cantonali. Poco prima della fine del 1813, con il Cantone Ticino unificato e libero, furono messe in circolazione in Ticino le nuove monete fatte co-

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niare dal Governo ticinese alla zecca di Berna, le prime monete del Cantone. Erano scudi d’argento di franchi 4 svizzeri, corrispondenti a lire 9,6 cantonali, coi relativi spezzati. La moneta raffigurava da un lato l’effigie di Tell che impugnava con la destra l’asta e sorreggeva con la sinistra uno scudo con i 19 cantoni confederati; dall’altro lato appariva l’emblema cantonale… Motta E., Bollettino della Società svizzera di numismatica 8/1889

Nella rivista Tiro Ticino n° 14/2008 si trova un interessante articolo di Fabio Luraschi, presidente del Circolo Numismatico Ticinese, relativo alle monete cantonali ticinesi che qui riporto come breve precisazione dell’argomento. La situazione storica e la circolazione monetaria Dopo il fallito tentativo di Napoleone di raggruppare i cantoni svizzeri in un unico Stato, la cosiddetta Repubblica Elvetica, grazie all’Atto di Mediazione del 1803 si tornava ad una situazione simile a quella del 1798, ma diversa, soprattutto per i nuovi cantoni tra i quali il Cantone Ticino. Il Ticino ricevette allora tutti i diritti di cui godevano gli altri cantoni, tra cui quello di battere moneta. Prima del 1798 in Svizzera circolavano molte specie diverse di monete; ogni cantone aveva le sue e per un viaggiatore che si spostava da Berna a Zurigo significava dover cambiare due o tre volte i soldi che aveva con sé. Per i territori del Ticino la situazione era leggermente diversa: si incontrava pochissima moneta dei vari cantoni svizzeri mentre circolava in abbondanza la moneta italiana, soprattutto quella di Milano, ma anche di altri stati quali Genova, Venezia e dello Stato Pontificio. I calcoli (e i prezzi) erano espressi in Lira Milanese. Questa era espressa con le seguenti monete: lo scudo (argento) composto da sei lire; la lira (argento) composta da 20 soldi; il soldo (mistura rame/argento) composto da 12 denari; il sesino (1/2 soldo; rame) composto da 6 denari e il quattrino (1/4 di soldo; rame) composto da 3 denari. Dopo il 1803 il cantone Ticino introdusse la Lira Ticinese. Era una moneta che serviva per le trattative ufficiali. Non si riuscì mai però a sostituire la Lira Milanese alla quale la popolazione era abituata. Qui di seguito alcuni prezzi del 1830-35 per capire il valore delle monete di allora: lo stipendio annuale del maestro di scuola elementare di Lugano era di 184 franchi svizzeri (di allora!), ossia 418 lire milanesi; un contadino guadagnava al giorno 2 lire milanesi, ma la gran parte era pagata in natura; 1 Kg di riso costava 11 soldi milanesi, ossia un quarto di franco; 1 litro di latte 4 soldi e 6 denari milanesi; 1 Kg di ricotta 15 soldi milanesi; 1 Kg di burro in inverno costava 2 lire milanesi, ossia 1 franco d’argento svizzero; una vacca ticinese buona 112 franchi svizzeri; 1 vacca da macello 28 franchi svizzeri; 1 Kg di carne di vitello 12 soldi milanesi; 1 litro di vino rosso da 4 soldi a 8 soldi milanesi; 1 Kg di agoni costava 7 soldi milanesi. Da notare anche che il premio per l’uccisione di un lupo era di 30 lire milanesi! ndr. A chi desidera approfondire l’argomento consigliamo la lettura del volume di Marco Della Casa La monetazione cantonale ticinese 1813-1848.

Tutto questo sembra alquanto complicato, ma occorre rilevare che i diritti di utilizzazione dei beni comuni erano molto importanti, se non essenziali, poiché formavano la base per lo sviluppo del territorio patriziale. Tuttavia, benché ora fosse stato stabilito giuridicamente chi, che cosa, dove e come poteva usufruire di detti

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Pietra di confine in zona Forcola (N=Novaggio).

beni, questo non fu, per lungo tempo, un motivo sufficiente per far cessare le tradizionali liti e contese tra i diversi aventi diritto. Le precedenti discordie in merito al tracciato dei confini della Corte dell’Occhio tra Curio, Bedigliora e Novaggio, da un lato, e al diritto di pascolo comune in Cima Pianca tra Astano e Novaggio, d’altro lato, continuarono, raggiungendo il culmine il 22 luglio 1897 allorquando Novaggio intentò causa ad Astano presso il Tribunale di Lugano. Tra l’altro sembra che un motivo per tale passo fosse il tentativo di Astano di permutare il suo diritto di pascolo comune con un indennizzo di terreno alla Forcola. Nel gennaio del 1903 – dopo diversi sopralluoghi – il Tribunale di Lugano prese la decisione seguente: „Novaggio rimane proprietario unico di tutta la „Castellanza“; Astano si vede assegnato il diritto di pascolo comune in Cima Pianca“. Questa decisione non riuscì comunque a sedare ogni litigio; ne fanno stato le numerose dispute verbali tra gli aventi diritto al pascolo comune e il fatto che anche oggigiorno il tracciato dei confini in zona Corte dell’Occhio e Forcola non viene riconosciuto dalle parti come univocamente fissato. Solamente dopo la Seconda guerra mondiale, allorché i pascoli in Cima Pianca non furono più regolarmente caricati e divennero vittima dell’abbandono, subentrò una certa tranquillità. Tuttavia, con la ripresa dell’utilizzazione dell’Alpe sotto forma di progetto di bosco didattico del Politecnico federale di Zurigo (PFZ), la vecchia questione del diritto di pascolo comune con Astano si riaccese. Una più semplice soluzione dei conflitti di utilizzazione in Cima Pianca viene descritta nella leggenda qui sotto riportata, tratta dal libro di Virgilio Chiesa L’anima del villaggio (Gaggini, Lugano 1934). Gesù pastorello fa da paciere sul Monte Lema La costiera di monti, che descrive un semicerchio tra la Regoria e i Gradiccioli del Tamaro, sembra un grandioso schienale, a cui s’appoggiano i territori d’una decina di comuni malcantonesi. I conflitti e le cause giudiziarie circa i termini delle singole proprietà comunali si trascinarono parecchi secoli. Sul Monte Lema, l’ampia e ricca pastura di Pian Pulpito, era pomo di discordia tra i Comuni di Astano, di Novaggio, di Curio e di Bedigliora.

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Un lontano calend’aprile, per definire una buona volta e per sempre la questione dei confini, salirono a Pian Pulpito i rappresentanti dei Comuni sopraddetti, i vecchi pastori del Lema e una Commissione di arbitri. Ogni parte espose le proprie ragioni, alcune suffragate da documenti. I pastori furono consultati intorno ai pretesi diritti dei due Comuni dal territorio più esteso, Astano e Novaggio, rispettivamente proprietari dei vicini alpetti di Monte e di Cimapianca. Gli arbitri, prima d’imporre il loro giudizio, suggerirono più d’una soluzione, sforzandosi di ottenere un accordo bonale. Invano! Ciascuna parte manteneva ostinata il suo punto di vista. Gli animi erano accesi e l’assemblea già tumultuava, allorché comparve nel mezzo di essa, tornata d’un subito silenziosa, un fanciullo in veste da capraio e d’una bellezza quale non videro mai i nostri monti. I lunghi e inanellati capelli biondi formavano una graziosa aureola al suo volto, bianco e rosa come una mela. Gli occhi parevano due fiori celesti, con incastonata una gemma scintillante di luce. L’abito era di velluto turchino e le zoccolette avevano le guigge adorne di ricami floreali. Con voce dolce e carezzevole, il biondo pastorello così parlò: “O buona gente, vogliate ascoltarmi! Giuro d’indicarvi i giusti termini de’ vostri quattro Comuni: Pian Pulpito è proprietà di Novaggio, ma vi ha diritto di pascolo anche Astano, il cui termine è a Forcora. I territori di Curio e di Bedigliora non oltrepassano i prati di Monte. La corte di Rösch (ndr. Corte dell’Occhio, erroneamente tradotta dal dialetto) è zona comune della Castellanza!”. E istantaneamente disparve. Tra quella gente stupìta, s’intrecciarono queste frasi: “Che stella di ragazzo!” “Ma dond’ è venuto?“ “E dov’è andato?” “Misteriosa apparizione!” “Era tutto candore e poesia!” “Assomigliava nel volto a Gesù fanciullo nella disputa tra i dottori, affrescato dal Pinturicchio, in una chiesa di Spello, nell’Umbria”. A tutti sbollì la collera. Ciascuno depose ogni risentimento e si sentì l’animo disposto alla conciliazione. “Ebbene?” interloquì un arbitro. “Stiamo a quanto ha dianzi detto il fanciullo, che il nostro Donato ritiene Gesù?”. Un “Sì” unanime fu la risposta. L’accordo venne vergato e firmato da tutti. A sera, su Pian Pulpito arse un immenso falò e le campane dei villaggi squillarono giubilanti a salutare la pace del Lema. Più importante della regolazione dei conflitti tramite una leggenda, sembra essere il fatto che esista una leggenda sulla lite per il territorio e la sua utilizzazione. L’esistenza stessa di tale storia fantastica dà un’idea dell’enorme importanza che la questione aveva per le parti coinvolte, come pure il fatto che solo Gesù Cristo e nessun altro era in grado di mettere pace sull’Alpe. Anche in tal modo viene ribadito che la sopravvivenza dei nostri avi dipendeva dai loro pascoli e boschi.

3.2.2.

Il patriziato nella prima metà del XX secolo La crescita della popolazione fece sì che le necessità della società non poterono più essere soddisfatte dalle risorse naturali a disposizione, per cui a partire dal 1850 iniziò una corrente migratoria. Molto più dell’emigrazione vera e propria in paesi lontani, la vita della regione venne influenzata soprattutto dall’emigrazione stagionale della forza lavorativa, in prevalenza maschile. «Via par mond» è un’espressione comune dialettale che significa «emigrare» nel vasto mondo per trovare lavoro e mantenere così, da lontano, la famiglia. Questo fenomeno non risparmiava né il nostro Malcantone né altre regioni del Ticino

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Il territorio del Patriziato di Novaggio (140 ha; 7601500 m.s.m.).

che non potevano offrire un sufficiente guadagno a tutti i loro figli, e così gli uomini emigravano oltre Gottardo oppure in Italia, in Francia, in Inghilterra, in Australia (vedi Allegato n° 1). Erano tempi duri in cui un operaio era pagato 40-50 centesimi all’ora; inoltre, per trovare un posto di lavoro, era consigliabile avere in tasca il giornale del partito giusto. A parte i contadini, gli uomini del Malcantone erano muratori, architetti, capomastri, stuccatori, pittori e fornaciai, ossia operai impiegati nella fabbricazione di mattoni e tegole nelle fornaci dell’Italia settentrionale o della Svizzera romanda. Gli emigranti partivano normalmente da carnevale ai «morti», ossia da primavera a novembre-dicembre. Chi rimaneva sgobbava dall’alba al tramonto lavorando la campagna. Le donne, lasciate sole, faticavano e soffrivano in silenzio, allevando i figli per i lunghi mesi durante i quali i marmocchi erano orfani di padre. Altro genere di emigrazione stagionale era quello degli spazzacamini e dei rosticcieri di marroni che si recavano, solo per un breve periodo, in Italia o in Francia, dopo la raccolta delle castagne.

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Erano le donne, mogli e madri, ad essere la spina dorsale della sopravvivenza della società paesana.

« A capissi o Malcantón parchè tanti i va lontán a capissi quii tosón che i è sciá na volta a l’ann » Bernardino Baroni, in Cent’agn de regòrd di Armida Ryser-Demarta

«Nei giorni feriali non c’era neppure da discorrere di lasciare la fornace. Si lavorava dalle stelle alle stelle, sull’aia arroventata da un sole in fiamma, quando poi non c’era da correre a trasportare le tegole sotto i portici, per sfuggire al temporale che voleva farne altrettante ‘quaglie’. C’era ben da pensare di andar all’osteria, nei giorni di lavoro!» Francesco Alberti, Il Voltamarsina, Bellinzona, 1932

L’emigrazione stagionale lasciava tutta l’attività agricola prevalentemente in mano alle donne, ai giovani e agli anziani rimasti a casa. Certo, gli uomini spedivano regolarmente alla famiglia parte dei soldi guadagnati o ritornavano a fine autunno con un cospicuo gruzzolo; tuttavia, erano le donne – mogli e madri – ad essere la spina dorsale della sopravvivenza della società paesana. Scrive il Tamburini nel 1926: Nella nostra valle è quasi esclusivamente la donna che deve attendere ai lavori agricoli ed alle cure di famiglia. Essa zappa la terra e la tien pulita dalle erbe e spande il concime sui prati, trascina legna, si sottopone ai pesanti carichi di fieno, di strame, di letame, di patate: è, in una parola, la bestia da soma. Oltre ai lavori pesanti per garantire le provviste invernali, incombeva alle donne l’educazione dei figli e la cura degli anziani e dei bisognosi. Al loro ritorno gli stagionali si occupavano, durante i mesi invernali, di procurare la legna per il fabbisogno della famiglia e provvedevano altresì ai lavori urgenti di riparazione della propria abitazione. Senza però dimenticare „la mazza“.

0 La mazza Fino agli anni Cinquanta del secolo scorso, la risorsa fondamentale per la tavola paesana era il maiale, il quale veniva largamente allevato nelle case conta-

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dine. Perciò, una delle tradizioni alimentari più importanti e radicate dell’intero Ticino era la mazza casalinga, con la quale si vuole definire una serie di prodotti ricavati dalla carne del maiale. Il termine deriva dall’espressione dialettale usata per indicare l’uccisione del maiale (ammazzare) risp. dall’arnese utilizzato, la mazza, per compiere l’operazione. Questa avveniva sul posto di allevamento dell’animale stesso, approfittando dei mesi freddi più adatti (cosiddetta mazza d’autunno, in novembre-dicembre), il che permetteva di rispettare regole igieniche empiriche, ma anche perché in quei mesi gli uomini ritornavano al paese dopo la stagione lavorativa passata lontano da casa. Il giorno della mazza era forse il più eccitante dell’anno, il cui risultato dipendeva in gran parte da chi si improvvisava beccaio o norcino e nella sua abilità e capacità nel trasformare la carne in gustose specialità conservabili per mesi e mesi, fino al prossimo inverno. Si facevano così le belle filze di luganighe (salsicce) da far cuocere subito; c’erano quelle da conservare, messe prima a maturare nella camera delle salsicce, poi in cantina, insieme con i salami, le mortadelle, la pancetta, ecc…

Il fenomeno migratorio fu anche veicolo di nuove idee, portò nei nostri villaggi un patrimonio culturale legato alla religione protestante o a ideologie anarchiche e comuniste le quali trovarono terreno fertile presso alcuni nostri lavoratori stagionali. Non ci si deve quindi meravigliare delle scissioni politiche e/o religiose avvenute in quegli anni d’inizio secolo poiché il Malcantone non è schiavo né di uomini, né di idee, né di sistemi; il Malcantonese vuole rendersi ragione di tutto. Nel periodo 1850-1950 il patriziato rappresentava una società di sussistenza, grazie agli introiti provenienti dall’affitto dei pascoli e dalla vendita di legna. Per Novaggio questi erano rappresentati principalmente: • dai pascoli dell’Alpe di Cima Pianca, • dalla cintura boschiva attigua sottostante • e dalla selva patriziale in Pianca Comune, la quale all’inizio del XX secolo venne utilizzata come “bene comune”7. Questo tipo di utilizzazione in comune del pascolo veniva designato con il nome di „pasquée“8. Da quando l’Alpe di Cima Pianca viene utilizzato come tale non risulta dalle fonti a disposizione. Certamente è sempre stato usato come pascolo comune o affittato a terzi. Essendo vietata la recinzione del territorio patriziale, ci si può immagi7

8

Con il termine beni comuni si designano i pascoli, i boschi e i terreni incolti destinati allo sfruttamento economico collettivo da parte dei membri di una comunità – costituita da uno o più villaggi, nuclei o insediamenti – che godono di questo diritto. Nell’ambito di un modello di economia rurale basata sull’avvicendamento delle colture, i beni comuni rappresentavano il terzo tipo di zona giuridico-economica, accanto ai campi coltivati e alle aree abitative con cortili e giardini (Dizionario storico della Svizzera). A Novaggio Pasquée era più esattamente la designazione del luogo, situato sopra l’abitato, nel quale venivano riunite le pecore prima della partenza per il pascolo.

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Territorio di Novaggio con terreni patriziati e terreni privati. Fondo patriziale – a forma di cuore rovesciato – e terreni privati a sud-est di questo. La zona detta “Prati di Maggio”, racchiusa nel fondo patriziale è terreno privato.

nare che in certi anni vi fu un vero e proprio caos di mucche (ca. 100), pecore e capre (ca. 2-300) di diversa provenienza. Accanto al patriziato esistevano coloro che si approvvigionavano in proprio, cioè quelli che provvedevano alla loro sopravvivenza fisica facendo capo alla loro proprietà agricola privata. Ciò avveniva principalmente anche mediante la coltivazione delle selve castanili, essendo la castagna alimento basilare della popolazione contadina della regione. La gestione delle selve castanili forniva altresì stanghe e pali di legno per la vite e per i pergolati e legname da costruzione e da ardere nonché castagne di qualità inferiore quale foraggio per il bestiame. Le radure delle selve servivano da pascolo fino alla caduta delle foglie, le quali venivano utilizzate come strame. I boschi di faggi e di querce fornivano principalmente legna da ardere. Ma non solo. Dal „Programma forestale“ del 1906 emerge che durante l’„Ancien Régime“ (XVIII sec.) nei sedimi di faggi in zona Prati di Maggio si praticava la produzione di carbone di legna che veniva trasportato a dorso di mulo a Luino e da qui via lago in tutta la Lombardia. Il materiale ramoso risultante dai tagli veniva raccolto in fascine e venduto in grandi quantità alle panetterie luganesi nonché esportato in Italia.

0 Il carbone di legna (o carbone vegetale, carbone artificiale o anche carbonella) è un combustibile prodotto dal processo di carbonizzazione della legna. E` un processo naturale che avviene durante la combustione della legna in presenza di poco ossigeno nella cosiddetta carbonaia, sotto il controllo di una figura altamente specializzata, il carbonaio. Il carbone di legna esiste da quando esiste il fuoco; il prodotto rientra all’interno dell’economia forestale.

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Calluna vulgaris o brugo; è una pianta spontanea appartenente alla famiglia delle Ericacee e al genere Calluna, di cui è l’unica specie. Si tratta di una suffruticosa, spesso erbaceo e perenne, che cresce poche decine di centimetri anche in larghezza e in altezza, è una aghifoglia e sempreverde. Talvolta è erroneamente chiamato con il nome di erica selvatica o erica.

Molto diffuso in Ticino era il cosiddetto „jus plantandi“: gli alberi fruttiferi di una selva patriziale venivano assegnati a una sola famiglia per la loro utilizzazione esclusiva; si gravava perciò una proprietà pubblica con un diritto privato di utilizzazione. Dalle fonti a disposizione non risulta a Novaggio un tale diritto; tuttavia, sembra che tale „jus plantandi“ esistesse sulla collina di Bavoggio. Siccome tale forma di utilizzazione restava per eredità in possesso della stessa famiglia, se ne deduce che nel corso del tempo ne sono derivate proprietà private. La suddivisione di Bavoggio in piccolissime parcelle – prima del raggruppamento delle proprietà nel 1926 – è una indicazione in tal senso.

3.2.2.1.

Cima Pianca: ristrutturazione o vendita? Il territorio del Patriziato di Novaggio venne ristrutturato nel 1906 con l’applicazione di nuove misure di gestione, di interventi boschivi e di utilizzazione, questo perché lo stato dell’Alpe era tutt’altro che ottimale. Molte parti della zona erano coperte da coltri di ginestre e di felci e proliferava altresì la calluna vulgaris. Furono inoltre accertate nei pendii più ripidi diverse escavazioni erosive dovute – secondo l’allora forestale di circondario – al frequente abbruciamento dei pascoli; questo avrebbe dovuto prevenire la crescita delle piante indesiderate ma aveva altresì effetti negativi sul compattamento del terreno. Nel contesto, varie furono le proposte per il miglioramento dei pascoli, per frenare l’erosione e per il rimboschimento; ma non risulta che tutte le misure proposte siano poi state effettivamente messe in atto. Negli anni successivi, ossia a partire dal 1907, iniziarono laboriose trattative per la vendita dell’Alpe di Cima Pianca – comprendente la casera (ristrutturata nel 1873), le stalle e il torbino – e l’annesso pascolo sulle pendici del monte Lema fino al Pian Pulpito. Restava espressamente esclusa dalla vendita la cosiddetta Corte dell’Occhio, i cui diritti sono riservati al Patriziato di Novaggio. Nella vendita era pure compreso il compascolo nei Mondini di Curio e Bedigliora, diritto riservato al Patriziato di Novaggio dagli istromenti divisionali del 1788 e del 1863. Interessato acquirente era Giuseppe Soldati di Neggio, abitante a Buenos Aires. Il Patriziato, venditore, e il signor Giuseppe Soldati, compratore, erano rispettivamente rappre-

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sentati nella trattativa dal prof. Giuseppe Bertoli e dal giudice federale dott. Agostino Soldati, fratello dell’interessato acquirente.

0 Giuseppe Soldati, quel nobile emigrante (CdT, 19.1.2013, P. Baroni) Il 20 gennaio 1913, dunque cento anni or sono, un malore improvviso era purtroppo fatale per Giuseppe Soldati, 49 anni, personalità emergente della nostra emigrazione oltremare. Ancora oggi a Neggio è ricordato come «nobile esempio dell’emigrante ticinese. Intelligente, avveduto, tenace, che col diuturno lavoro e col risparmio, assecondato da propizia fortuna, consegue un ingente patrimonio. E ritorna all’amatissimo paese per far buon uso delle sue ricchezze a beneficio della comunità». L’anno scorso, in occasione del centenario della Ferrovia Lugano-Ponte Tresa (FLP), era stato evocato come uno dei promotori, che successivamente, con un gesto decisivo, il 15 gennaio 1910, permise all’assemblea costitutiva di aggirare l’ultimo ostacolo: infatti seduta stante depositò sul tavolo i 160 mila franchi mancanti per la costituzione del capitale sociale. Nato nel 1864, aveva frequentato le scuole pubbliche in Ticino, studiato nei collegi di San Giuseppe a Locarno e Maria Hilf a Svitto, poi al Technicum di Friburgo. A differenza del fratello Agostino (che sarà fra l’altro giudice federale e fondatore del nostro giornale) Giuseppe propendeva maggiormente per le scienze e per l’imprenditorialità. Nel 1885 lo troviamo nel Nordamerica ma poi, aderendo all’invito dell’altro fratello, Silvio, eccolo a Buenos Aires, dove sviluppa il suo talento commerciale. Con i discendenti della famiglia De Marchi di Astano è attivo nel settore dei prodotti chimici e medicinali, inoltre in società immobiliari e bancarie. La sua attenzione cade su un territorio adiacente alla capitale argentina, che presenta analogie con gli sviluppi collinari e montagnosi del suo amato Malcantone. Ne acquista i terreni, li divide in lotti, fa costruire la scuola e la stazione ferroviaria. Agli altri emigrati offre in questo modo una alternativa all’altalenante (e spesso svalutato) corso della moneta argentina. Nasce così (1908) Villa Lugano, cui si aggiungerà Villa Soldati, un altro quartiere della trentina attuale di Buenos Aires, quartiere che richiama le origini e la provenienza del fondatore. Concede ai compratori grandi facilitazioni nel pagamento, regala per ogni lotto un numero considerevole di mattoni. A Villa Lugano sorgeranno fra l’altro un aeroporto e l’autodromo, poi teatro delle gesta del «grande» Juan Manuel Fangio. Nella colonia svizzera (e ticinese) il suo apporto, sempre caratterizzato dalla discrezione, risulta determinante per promuovere iniziative finalizzate a integrare la nostra emigrazione nella realtà argentina. Ricordiamo fra l’altro che uno dei più amati presidenti della nazione sudamericana fu Carlos Pellegrini, originario di Croglio (negli anni 1890-1892). Rientrato nel Malcantone poco più che quarantenne, Giuseppe Soldati si occupa di opere pubbliche. Nel 19071908 assume metà della spesa per la costruzione della strada che da Magliaso sale a Neggio. Promuove un’azienda agricola in loco e sul Lema acquista e fa ricostruire l’alpe di Cavalèra. Una scala ricavata nella parte rocciosa della parte sommitale del Lema viene da lui totalmente finanziata. Il suo progetto era di arrivare al culmine con una funicolare, anticipando quella che sarà poi la seggiovia, inaugurata nel 1952. Fra le altre iniziative di interesse pubblico da lui promosse spicca la Fondazione Giuseppe Soldati, per opere educative a favore della gioventù malcantonese.

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I tre fratelli Soldati in Argentina: Silvio, Agostino e Giuseppe.

Giuseppe Soldati sottopose al Patriziato di Novaggio una prima offerta di ca. CHF 10’000.– per: • l’acquisto dell’Alpe di Cima Pianca, prati ed edifici compresi, • la proprietà della cosiddetta 3a. e 4a. Castellanza, • i diritti di pascolo sulla Corte dell’Occhio e sui Mondini, • l’ottenimento di una striscia larga 50 m attorno al prato situato vicino all’edificio dell’Alpe. Inoltre, nel caso che l’acquirente intendesse costruire una nuova strada di accesso all’Alpe, il Patriziato si impegnava a concedergli gratuitamente una striscia larga 5 m lungo tutto il tratto di strada attraverso la Pianca. Venne anche stabilito: … il signor Soldati si impegna a promuovere lo sviluppo dell’agricoltura… l’Alpe deve essere trasformato in Alpe modello ed essere migliorato sotto ogni punto di vista… La vendita fu considerata come raccomandabile… l’Assemblea patriziale approvò le proposte… si costituì una Commissione per studiare nei dettagli le condizioni contrattuali. Nel frattempo la suddivisione dei pascoli alpestri con Astano venne abrogata e sospeso qualsiasi affitto dell’Alpe fino alla conclusione della trattativa. Diverse condizioni e discrepanze, soprattutto il prezzo d’acquisto proposto e la cessione di una striscia larga 50 m attorno al prato vicino all’edificio dell’Alpe, sembravano inaccettabili a taluni, il che indusse il Patriziato a mettere a concorso la vendita fissando più precise condizioni, ad es.: Art. 2 Prezzo di vendita CHF 11’900.– o al maggior offerente. Art. 3 In caso di costruzione della strada di accesso, il Comune mette a disposizione il terreno per il tracciato. La strada deve essere collegata alla strada Novaggio–Pazz. Art. 7 I diritti d’acqua del Vallone restano per metà in possesso del Patriziato. Il 15 novembre 1908 venne convocata l’Assemblea patriziale per la votazione sulla prevista vendita dell’Alpe a Giuseppe Soldati la cui offerta ammontava ora a

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Novaggio, li 31 gennaio 1913 Avviso: È convocata l’assemblea patriziale straordinaria, nella sala municipale, sabato 8 febbraio 1913, alle ore 10 antimeridiane per i seguenti oggetti: 1° Risolvere la vendita dell’Alpe di Cimapianca della Castellanza dei tre e dei quattro Comuni, nonché d’una striscia di terreno intorno al prato di Cimapianca, e concessione di terreno per costruzione di una strada e di una funicolare nella Pianca, vendita stata sospesa nell’assemblea patriziale del 10 marzo 1910. 2° Eventuali (archivio privato Piergiorgio Demarta)

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fr. 12’000.–. Dopo una vivace, a tratti violenta discussione – dovuta anche ai difensori di una clausola concernente il libero accesso al Lema – la vendita dell’Alpe venne rifiutata con 24 voti contro 23. Un mese più tardi la discussione si riaccese nuovamente a seguito di una nuova offerta del Soldati di fr. 12’500.–. Ma ora l’argomento decisivo si concentrava sul valore di stima di fr. 200.–/ha della superficie interessata di 852’159 m², il che portava il prezzo di vendita a fr. 17’000.– Sulla base di tale prospettiva, la cessione dell’Alpe Cima Pianca venne chiaramente respinta con 45 voti contro 25. Nel frattempo il Soldati acquisì i diritti d’utilizzazione di Miglieglia sulla „Castellanza dei quattro“. Sorpresi da tale fatto, i responsabili di Novaggio si rimisero in relazione con l’imprenditore (1912?) che questa volta era spinto da progetti di tutt’altro genere. Il Soldati voleva sfruttare turisticamente la zona con la costruzione di una strada Novaggio–Pazz e qui installare una funivia per Cima Pianca e il monte Lema. Il piano turistico comprendeva inoltre la costruzione di un albergo. Questo progetto avrebbe potuto essere realizzato in modo efficiente solo se tutto il groviglio di diritti di utilizzazione fosse appartenuto a un solo proprietario. Perciò Novaggio si adoperò un’ennesima volta per regolare la questione del diritto di pascolo di Astano. Quest’ultimo, avendo rimboscato il suo Alpe di Monte e non avendo a disposizione altri pascoli per il suo bestiame, ad eccezione del diritto di pascolo comune sulla „Castellanza“, pretese condizioni inaccettabili per l’acquisizione di questi ultimi da parte di terzi. Malgrado queste difficoltà il Patriziato di Novaggio, per assecondare la realizzazione del progetto turistico, giunse alla conclusione di un contratto di vendita della zona in questione al prezzo di fr. 17’000.–. Nel contratto venne altresì fissata la seguente clausola: Art. 7 La vendita è nulla se entro 10 anni non è stata prolungata fino a Novaggio la linea ferroviaria Lugano–Ponte Tresa… In questo caso il Patriziato ritorna senz’altro in possesso dei beni venduti. A seguito della clausola citata (Art. 7), la somma di fr. 17’000.– non venne versata in un unico versamento bensì Novaggio ottenne annualmente una rendita fino alla scadenza del periodo di dieci anni fissato nel contratto. Lo scoppio della Prima guerra mondiale interruppe dapprima qualsiasi ulteriore piano turistico.

0 Ferrovia Lugano-Ponte Tresa Il 15 gennaio del 1910 venne fondata a Lugano la Società delle Ferrovie Luganesi S.A. con lo scopo di costruire la ferrovia per collegare Lugano con Ponte Tresa. Promotori del progetto furono principalmente i fratelli dott. Giuseppe e Agostino Soldati e l’avv. Luigi Balestra. La linea a scartamento ridotto, della lunghezza di 12,2 km, venne inaugurata il 5 giugno 1912. Gli anni Sessanta videro la costruzione di una variante del tracciato, l’aumento della dotazione di mezzi rotabili e l’introduzione dell’orario cadenzato. Nel 2002, in occasione del 90° anniversario dall’inaugurazione, venne avviata un’opera di potenziamento delle infrastrutture e il raddoppio parziale della tratta Serocca-Bioggio.

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~ 1960 Ferrovia Lugano – Ponte Tresa.

In questo contesto occorre ricordare che nel 1914 esisteva, in concomitanza con la Ferrovia Lugano-Ponte Tresa, un progetto di ferrovia Ponte Tresa-SessaNovaggio, un tronco regionale che percorrendo la valle della Tresa saliva con lieve pendenza a Sessa per poi arrivare fino a Novaggio. Immaginiamo come sarebbe oggi il Basso e Medio Malcantone se si fosse realizzato anche quella tratta ferroviaria. La regione sarebbe stata sicuramente favorita e avrebbe conosciuto uno sviluppo paragonabile a quello odierno... ma con un secolo di anticipo! Nuovo Almanacco Malcantonese, 2008, pag. 11 ndr. Nel 1910 si pensava addirittura di far proseguire la ferrovia fino a Bioggio via NovaggioMiglieglia-Breno-Arosio per poi continuare verso Cademario e scendere a Bioggio. La nuova linea, della lunghezza di ca. 11 km, prevedeva la partenza dalla stazione di Ponte Tresa e, passando in galleria sotto la chiesa, raggiungere Madonna del Piano-Sessa-Banco-Novaggio. In tutto due ponti, sette gallerie e sette fermate. Alla stazione di Novaggio erano previsti quattro binari e una rimessa per le vetture. Costo dell’opera: 2 milioni.

Con la fine del conflitto si annunciarono gli eredi di Giuseppe Soldati, nel frattempo deceduto. Siccome era allora prevedibile il fallimento del progetto di prolungamento della FLP verso Novaggio, gli eredi Soldati volevano ottenere una modificazione del contratto al fine di attuare, ciò malgrado, l’acquisto della zona interessata. Il Patriziato promise loro di entrare nel merito in occasione dell’Assemblea del gennaio 1920, cosa che poi non avvenne. Fu così che nell’ottobre del 1923 gli eredi Soldati indirizzarono al Patriziato una lettera dal seguente tenore: … nel contratto dell’1.4.1913 … l’art. 7 reca: il contratto è nullo se entro 10 anni non è stata prolungata fino a Novaggio la linea ferroviaria Lugano – Ponte Tresa… In questo caso il Patriziato ritorna senz’altro in possesso dei beni venduti… pertanto, ai primi di novembre viene versato l’ultimo interesse ed il territorio fissato nel contratto di compera viene rimesso a disposizione del Patriziato. L’intera vicenda ebbe tuttavia ancora un piccolo strascico, essendo l’intenzione del Patriziato di accollare agli eredi Soldati il deterioramento degli edifici dell’Alpe di Cima Pianca causato da un decennio di abbandono e d’incuria. In tal senso l’Assemblea patriziale del 9 novembre 1924 intimò agli eredi Soldati di assumersi una

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parte delle spese di riattazione per un montante di fr. 2’650.–. Questa somma servì per le più urgenti riparazioni e l’Alpe mantenne tutto il suo valore. Con questo ebbero definitivamente termine le trattative di vendita dell’Alpe di Cima Pianca e della realizzazione di una funivia che avrebbe raggiunto da Pazz la vetta del monte Lema. Riguardo al nuovo progetto di funivia Miglieglia-Monte Lema9) il Municipio di Novaggio, sempre tenuto al corrente, prese anche posizione come risulta dai seguenti estratti dalle Risoluzioni municipali di quell’anno. 15.7.50/39

Seggiovia Mte Lema. Si approva il tenore della lettera inviata al sig. arch. Bordoli, Pres. Società Seggiovia Mte Lema, con la quale la Municipalità dichiara di prendere vivo interesse della cosa. 4.8.50/42

Seggiovia. Si prende atto della risposta della contessa de Miléant ad una nostra lettera circa la costruzione della seggiovia diretta al Mte Lema. 21.9.50/48

Seggiovia. Si prende atto della risposta del sig. Arch. Bordoli circa la costruzione della seggiovia con partenza da Miglieglia anziché da Novaggio. Un brevissimo riassunto della storia della funivia del Lema lo troviamo in: Virgilio Chiesa Lineamenti storici del Malcantone (1961) che qui riproduciamo. Seggiovia del Monte Lema L’ingegnere Gallo di Milano fu progettista, nel 1908, di una funicolare aerea da Astano alla cima del Lema. Intorno alla stessa egli tenne nel ristorante Elvezia di Astano una conferenza a un numeroso pubblico, tra cui si notavano gli avvocati Luigi Balestra, Antonio Battaglini, Mario Rusca e Giacomo Alberti. La funicolare rimase purtroppo un bel sogno. Alcuni anni dopo, il benemerito Giuseppe Soldati di Neggio si propose di formare una Società per il finanziamento di una ferrovia montana da Novaggio alla Cavalera del Lema. Ahinoi! La morte lo stroncava, prima che potesse farsi iniziatore della grandiosa impresa. Verso il 1950, la signora Caterina de Miléant, «innamoratasi della plaga, ammaliata dall’idea di realizzare, sebbene in forma più modesta, l’iniziativa di Giuseppe Soldati ne riprese lo studio». E con lodevole costanza riuscì a costituire una Società Anonima per l’impianto di una seggiovia Miglieglia — Lema, presieduta dall’avv. Piero Gilardi. La Società delle Officine von Roll, di Berna si assunse la parte meccanica, e la Società Brown-Boveri di Baden la parte elettrica. Diedero la loro opera l’ing. Zuberbühler, assistito dall’ing. Fulvio Balestra, il progettista e direttore dei lavori arch. Antonio Bordoli, l’impresario Franz Belletti. La seggiovia, lunga m. 2673 con un dislivello, tra le due stazioni di partenza e di arrivo, di m. 844, rappresenta tecnicamente un lavoro di grande arditezza e di mirabile perizia tecnica. La durata del percorso è solo di 18 minuti. L’opera è costata fr. 800 000. L’inaugurazione ufficiale avvenne il 13 luglio 1952. Fu servito un banchetto nel nuovo ristorante, costruito poco sopra la stazione terminale.

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L’interessato lettore che vuole conoscere la storia di detta funivia può consultare il volume MIGLIEGLIA Un tuffo nel passato, pag.153 e segg.

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3.2.2.2.

Il raggruppamento dei terreni In questo periodo di trattative per la vendita dell’Alpe di Cima Pianca si inserisce a livello comunale il problema, peraltro non nuovo, del raggruppamento dei terreni. “Ieri l’altro a Novaggio la bella, la buona, la provvida iniziativa del raggruppamento dei terreni non potè ottenere la maggioranza nell’assemblea dei proprietari. Ben 50 proprietari risposero all’appello, fra cui una trentina di donne, essendo i capi di famiglia quasi tutti emigrati. L’iniziativa venne vigorosamente sostenuta all’assemblea dai signori: A. Tamburini, Crispino Cantoni e prof. Bertoli, ma la maggioranza composta di donne incoscienti, nemiche dichiarate d’ogni utile innovazione, votò contro…”. Gazzetta Ticinese, 23.5.1906 (archivio privato Gianni Ciscato)

Eppure i vantaggi erano evidenti: i diversi appezzamenti dello stesso proprietario venivano riuniti in una parcella; si aboliva la servitù di passaggio da una parcella all’altra mediante costruzione di una rete di strade agricole; inoltre, essendo il perimetro delle nuove parcelle regolare questo semplificava la delimitazione ed evitava litigi; ecc. Di raggruppamento se ne riparlò nel 1913 e nel 1919; finalmente, nel 1926, ebbe successo.

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La suddivisione dei terreni di Novaggio all’inizio del Novecento risp. dopo il raggruppamento.

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Gli edifici di Cima Pianca dopo il restauro e il turbĂŹn.

Il funzionamento del precursore del moderno refrigerante lo troviamo nel dĂŠpliant Cielo e Terra edito da Malcantone Turismo (2009).

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3.2.2.3.

Altre migliorìe in Cima Pianca Nel settembre del 1928 l’Assemblea patriziale accettò il progetto elaborato dal Comune per alcune migliorìe da effettuare sull’Alpe, compresa la costruzione di una nuova strada di accesso. I lavori – assegnati alla ditta Destefani di Aranno – iniziarono nel corso della primavera successiva. Sorsero così gli edifici come li conosciamo oggi; in particolare venne riattata la casa d’abitazione, fu costruita una nuova stalla, venne captata l’acqua nell’avvallamento sito sopra il „turbín“ e fu costruita la strada che da Pazz porta a Cima Pianca, ancora oggi utilizzata. La spesa totale di ca. fr. 40’000.– venne sostenuta per il 65% dalla Confederazione e dal Cantone, mentre il resto di fr. 14’000.– fu coperto dal Patriziato. Per quest’ultimo, l’affitto dell’Alpe rappresentò in seguito nuovamente una fonte d’introito. Dai documenti consultati risulta che il primo „torbino“ costruito in Cima Pianca fosse della prima metà dell’Ottocento. Nel 1853 questo venne riattato da Domenico Demarta e rifatto nel 1886 da Massari Pietro con una spesa di fr. 99.–

Novaggio, 27 gennaio 1853 Codesta Municipalità dietro autorizzazione data dall’assemblea in data 8 gennaio 1853 à conceduto l’assemblea medesima di costruire il torbino vecchio (ndr. in sostituzione di quello) situato nella Pianca colla riserva al sig. Domenico Demarta fu Carlo che se il Comune venisse a fabbricare un alpe sul territorio patriziale il sudd. Demarta dovrà vendere il suddetto torbino … (archivio privato Piergiorgio Demarta)

0 «Ur turbín» – Costruzione rurale completamente interrata, con soffitto a volta, in luogo sorgivo e fresco, per la conservazione del latte e del formaggio prodotti negli alpeggi circostanti. Anno di costruzione 1600-1700.

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Nel libro Protocollo delle risoluzioni municipali, seduta dell’11.11.1929, si trova il resoconto redatto da Felice Gambazzi relativo ai lavori di ristrutturazione eseguiti in Cima Pianca nel corso del 1929. Relazione del sig. Gambazzi Felice, sindaco, sulla ricostruzione dell’alpe di Cima Pianca e annessi, e relativo collaudo dei lavori ivi eseguiti. Il sig. Sindaco Gambazzi dà lettura di una sua relazione circa le congetture e vicende dell’alpe di Cima Pianca, e collaudo dei lavori inerenti alla sua ricostruzione e migliorie compiutisi in quest’anno, e si risolve di trascriverlo qui di seguito in tutta la sua estensione per promemoria ai posteri. Dopo di avere subìto diverse vicende, l’alpe di Cima Pianca venne finalmente riedificato e inaugurato; eccone le fasi di sviluppo. L’Assemblea patriziale dell’8 novembre 1924 dietro proposta della Municipalità risolveva „si approva in massima la riattazione e ricostruzione dell’alpe di Cima Pianca e della presa e derivazione dell’acqua dalla sorgente soprastante il torbino e cantinotto per il latte, e si dà incarico alla Municipalità di fare allestire i relativi progetti e perizia. I progetti saranno sottoposti per una deliberazione definitiva“. L’Assemblea con voti affermativi trentadue (32), uno negativo ed uno astenuto accettava la proposta municipale. Il Municipio in seguito faceva allestire i progetti i quali furono poi sottoposti alle Autorità federali e cantonali per ottenere i sussidi come di legge. Nell’Assemblea patriziale del 9 novembre 1928 la Municipalità presentava i progetti dell’alpe e della strada d’accesso allo stesso, con messaggio invitante l’Assemblea ad accettarli. L’Assemblea patriziale con voti 17 favorevoli, 2 contrari e 2 astenuti, accettava i progetti presentati dalla Municipalità. All’Assemblea patriziale del 17 marzo 1929, la Municipalità presentava messaggio proponente la costruzione dell’alpe e della strada d’accesso nonché la votazione dei crediti necessari. L’Assemblea, pur riservandosi il diritto di deliberare i lavori, accetta il messaggio municipale con voti affermativi trentasette (37), 3 contrari e un astenuto. Il Municipio dopo d’aver esperito pubblico concorso per i lavori inerenti alla costruzione dell’alpe e strada, convocava l’Assemblea patriziale per il 14 aprile 1929 per risolvere la delibera di detti lavori. L’Assemblea accettava all’unanimità la proposta municipale, suffragata dall’adesione del Lod. Dipartimento Cantonale d’Agricoltura, di deliberare i lavori di ricostruzione di Cima Pianca e relativa strada d’accesso alla ditta Pelli-Destefani di Aranno, migliore offerente. Steso contratto colla ditta stessa deliberataria, essa principiava i lavori nel corso del mese di maggio di quest’anno e furono collaudati il giorno 31 ottobre pure di quest’anno. Il collaudo è stato fatto dall’egr. ing. sig. Mansueto Pometta, ispettore forestale in rappresentazione delle Autorità federali e cantonali. Per il Patriziato erano presenti i sigg. Gambazzi Felice, Presidente, Delmenico Riccardo, Vice-Presidente e il municipale Angelo Tamburini. Erano pure presenti i sigg. Ferretti Giuseppe di Banco, geometra dei lavori, Destefani, Sindaco di Aranno, Sotto-Ispettore forestale, gli impresari assuntori dei lavori Pelli e Destefani. Erano pure presenti alcuni patrizi. L’alpe di Cima Pianca che possiamo battezzare coll’aggettivo modello è composto della casera, la quale comprende 2 dormitori al 1° piano, a pianterreno la cucina ed un ripostiglio; nel sottosuolo la cantina del formaggio; dello stallone che può contenere una trentina di bovine; del cantinotto per il latte, il 1° piano del quale serve per riporvi la legna o il fieno. Una sorgente d’acqua potabile alimenta l’alpe. Un grande piazzale ombreggiato aggiunge estetica all’insieme dell’alpe. L’accesso è servito da una bella strada larga m. 1.80

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e lunga 2500 m. che principia a Pazz e che facilita l’ascesa a Cima Pianca anche con veicoli. Ben 40’000 mq. di pascolo furono nettati da cespugli e pietrame. La ditta assuntrice dei lavori si è sdebitata del proprio compito in modo encomiabile e con rara diligenza. Quest’opera è di alto valore morale per la popolazione nostra. Infatti, la ricostruzione dell’alpe nostro sarà di sprone a quanti posseggono alpi pressoché abbandonati. Un tale risveglio è augurabile, poiché segnerebbe il ritorno alle auspicate antiche virtù campagnarde, alla modesta quanto bella esistenza dei nostri avi. Qui io apro, con vivo piacere, una parentesi per assimilare all’opera di Cima Pianca quella dell’alpe di Magg. Il volonteroso nostro Vice-Presidente Delmenico Riccardo mandò esso pure a termine la ricostruzione di questo alpe di sua proprietà in modo da meritare le congratulazioni delle Autorità sussidianti e quelle di tutti coloro che si recarono lassù a contempla-

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26 sett. 1930 – Spesa inerente alla ricostruzione dell’Alpe di Cima Pianca.

re la bellissima casera, il grande stallone e l’acquedotto. Onore quindi al nostro egregio collega. E ora siano caldamente ringraziate le Lod. Autorità, federale e cantonale, per l’appoggio e per il grande aiuto che ci recarono nell’adempimento del nostro dovere in questa nostra opera di grande utilità pubblica; grande aiuto, ripeto, senza il quale non avremmo mai potuto realizzare tale ricostruzione. E qui sento il dovere di tributare nuovi migliori elogi ai due egregi impresari per la celerità colla quale essi condussero ed eseguirono i lavori, nonché per la benefattura dei lavori stessi. Questo elogio lo faccio tanto più volontieri pel fatto che l’impresa si è conformata minutamente alle prescrizioni senza il benchè minimo contrasto fra le parti. Un doveroso ringraziamento io rivolgo pure al sig. Ferretti, geometra, il quale malgrado i suoi ottant’anni adempì coscienziosamente al suo compito. Ringrazio inoltre il sig. Sotto-Ispettore forestale Destefani che portò il proprio contributo all’opera nonchè tutti gli operai addetti ai lavori. Felice Gambazzi fu Siro – Novaggio, novembre 1929

3.2.2.4.

Legna di castagno e bricolle Per il Patriziato, altra fonte di introiti era, da sempre, la vendita di legname per la produzione di tannino. Nel 1916 venne messo in esercizio a Chiasso un primo stabilimento per la fabbricazione di tannini, i quali fino allora – per la produzione locale di cuoio – venivano importati dalle nazioni vicine. A causa della guerra l’Esercito necessitava di grandi quantità di cuoio e l’industria svizzera del cuoio do-

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Banconota in vigore dal 1911 al 1958. Il boscaiolo di Ferdinand Hodler.

veva trovare in Patria un sito adatto a tale produzione. Essendo il tannino largamente presente nel legno di castagno e nella corteccia di quercia, il Ticino meridionale sembrò particolarmente adatto all’insediamento di un’industria del genere. Questa cominciò allora ad assorbire i quantitativi di legname che prima venivano esportati in Italia. L’industria dei tannini restò d’allora in poi, e per molti anni, il maggiore consumatore di legno di castagno indigeno. Ecco perché durante la Prima guerra mondiale e negli anni successivi il taglio della legna costituiva l’attività principale del Patriziato.

0 Tannino. Il termine venne impiegato per la prima volta nel 1796 per indicare una sostanza chimica presente negli estratti vegetali capace di combinarsi con le proteine della pelle animale in complessi insolubili, di prevenirne la putrefazione da parte degli enzimi proteolitici e trasformarla in cuoio. Questa capacità di legarsi ai composti contenenti azoto (proteine e alcaloidi) si riflette nella qualità astringente di molti vini rossi. Le fonti più ricche di tannini sono le cortecce di piante come quercia, castagno, abete, acacia.

Il fenomeno del taglio dei boschi si accentuò nel corso della Seconda guerra mondiale quando la fabbrica per l’estrazione di tannino di Maroggia-Melano (aperta nel 1929) divenne un grande consumatore di legna di castagno, con una media di 25’000 tonnellate all’anno, il che portò ad uno sfruttamento eccessivo. Angelo Tamburini, grande difensore della natura, a tale proposito, già nel 1930 scriveva: Una delle attrattive più simpatiche per il nostro villaggio va scomparendo. Se si va avanti così le belle selve castanili fra alcuni anni saranno un mesto ricordo. Sono alberi secolari che videro parecchie generazioni e pareva dovessero sfidare i secoli, che cadono inesorabilmente sotto la scure. In questi due ultimi anni le fiorenti selve castanili in «Bavocc», a «Pazz», a «Lic», «Arnett», «Prènegra», «Pieng», «Vinera» sono state completamente distrutte. Il castagno è l’albero benedetto della regione; è l’albero più utile che vi sia ed è il più modesto. Il castagno è l’albero della serenità e del sorriso e anche quello della Provvidenza. Ci offre un alimento sano, saporito, gustoso e nutriente; è l’albero nostro per eccellenza. Il castagno salvò più volte dalla fame la nostra gente: nelle carestie del 1802, 1816, 1848, 1852-55 e durante l’ultima Grande Guerra. Quando la coltivazione delle patate era ancora limitata

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e l’importazione dei cereali aveva un’importanza secondaria, le castagne costituivano uno dei principali alimenti per le nostre popolazioni ed il legno veniva adoperato per la costruzione di case, stalle ecc. Il castagno è l’albero del pane. La castagna come nutriente viene dopo il grano e l’orzo. Ma non erano solo i castani ad essere abbattuti: „… a Magg sorgevano noci colossali: ahimé! la scure vandalica del segantino distrusse quelle piante enormi che destavano ammirazione … “. Tuttavia, dopo la guerra, la richiesta si ridusse e i boschi saccheggiati si ripresero meravigliosamente. A causa della guerra si sviluppò sul territorio del Patriziato anche un’intensa attività di contrabbando con l’Italia. Le vie scelte dagli spalloni passavano per Cima Pianca e da qui attraverso la Forcola verso il Belpaese oppure per il Pian Pulpito-Fontana verso Dumenza.

Per evitare spiacevoli incontri con le guardie di confine i sentieri del contrabbando venivano perlopiù usati di notte e con cattivo tempo. Tattica corrente era quella di incontrarsi in un punto prestabilito per scambiarsi la merce: riso (dall’Italia) contro sale e sigarette (dalla Svizzera). Perciò non era una rarità che un piccolo drappello di portatori in fila indiana ritornasse a Novaggio con un carico di riso sulle spalle. Un altro modo di trasporto della merce di contrabbando era l’impiego dei fili a sbalzo che facevano capo a Pazz, usati per far scendere a valle la legna tagliata in altitudine; invece delle fascine si appendeva al filo, di tanto in tanto, un sacco di riso. I sentieri ancora oggi esistenti non sono necessariamente quelli usati dagli spalloni durante le due guerre mondiali.

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0 Filo a sbalzo o palorcio: impianto di trasporto a fune di tipo estremamente semplificato, molto simile ad una teleferica. Nella sua semplicità si può considerare l’antenato di tutti i sistemi di funivia aerea. Nella Svizzera italiana viene chiamato filo a sbalzo. Per essere definito tale è essenziale che l’impianto sia a semplice filo e senza sostegni intermedi. Può essere di qualunque lunghezza, non deve avere alcun tipo di motorizzazione e deve trasportare un solo carico per volta. Dal greco párolkos, il sistema è costituito essenzialmente di un filo o una fune flessibile tesa tra due punti di attacco, posti a differente altezza e serve per il trasporto a gravità di carichi di modesto peso (≤ 50 kg o, se la fune è metallica, ≤ 100 kg) quali balle di fieno, fasci di legna da ardere, tronchetti, fascine, ecc. affidati ed una sospensione scorrente sulla fune e fatti scendere a valle a velocità di anche 100 km/h. Per la sospensione si adottano soprattutto ganci di legno duro. La discesa dei carichi è incontrollata e non subisce alcuna azione di frenatura, a meno che il filo non sia posato in modo da avere un tratto in contropendenza presso l’arrivo; pertanto non si possono trasportare materiali fragili o di cui comunque si debba garantire l’integrità assoluta. Per attutire l’urto notevole dei carichi contro l’ancoraggio d’arrivo, si dispongono degli ammortizzatori la cui più semplice espressione è data da vecchi copertoni d’auto.

Durante la guerra il riso era razionato in ragione di 200 gr. per persona/mese; perciò era molto richiesto, per non dire di vitale importanza. La relativa carenza di derrate alimentari ebbe inoltre come conseguenza che la vecchia selva patriziale della Pianca venisse gestita come „frutteto“. Benché di castagne ce ne fossero sempre state in abbondanza, durante la guerra 1 kg di farina di castagne costava fino a 1 franco. Ad ogni fuoco, per il proprio fabbisogno, venne così assegnato sulla Pianca un certo numero di alberi da frutta, quasi una riattivazione dello „jus plantandi“ descritto più sopra. La selva così suddivisa tra i patrizi venne sfruttata fino nel periodo postbellico; con la rapida crescita economica degli anni Sessanta essa perse però rapidamente di importanza. In quel periodo di tempo, Astano sembra aver intensificato la propria economia alpestre cosicché sull’Alpe di Monte, rimboscato, si trovavano pecore che pascolavano sul territorio della „Castellanza dei Tre“. Naturalmente ciò contribuì a riaccendere le rivalità tra i patrizi „nemici“; tuttavia, quelli di Novaggio non contestavano ad Astano il diritto di pascolo comune bensì il fatto che gli animali trovati sul pascolo di Cima Pianca non appartenevano ai patrizi di Astano, per cui non avevano alcun diritto di saziarsi con quell’erba. Fino al 1945 il Patriziato di Novaggio era un tutt’uno col Comune. Alla fine del Secondo conflitto mondiale venne attuata – per altro preconizzata da oltre mezzo secolo – la divisione dell’amministrazione dei beni. Da allora in poi vi fu nuovamente

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un’Amministrazione patriziale e una comunale. Questa riforma diede nascita nel 1945 al primo Regolamento Patriziale di Novaggio, i cui articoli principali sono qui riprodotti. Art. 1 … Per la prima volta nessuno che non possa addurre legittimi motivi di esenzione … può ricusare la carica di membro dell’Ufficio Patriziale. Art. 9 Ogni anno viene praticata dall’Ufficio Patriziale, accompagnato da giovani patrizi, una ricognizione lungo i confini del Patriziato, al fine di controllare lo stato dei termini. Art. 14 I patrizi hanno diritto – oltre a quello di pascolo – di raccogliere felci, erica, strame e legna secca, senza tuttavia danneggiare le piantine e i cespugli. Per la raccolta delle castagne l’Ufficio Patriziale emana ogni anno delle speciali istruzioni. Art. 15 Alle famiglie non patrizie domiciliate a Novaggio spettano gli stessi diritti… dietro prelievo di una tassa. Art. 17

La legna da selve patriziali viene venduta mediante bando di concorso.

Art. 18 Ogni qualvolta l’Assemblea lo decide, può essere tagliata legna per i patrizi, tra i quali essa viene ripartita a prezzo di costo (taglio, preparazione e trasporto). Art. 19 L’Alpe di Cima Pianca viene affittato mediante assegnazione pubblica… L’Alpe viene affittato ogni volta per 3 anni.

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Art. 21

È vietato tagliare legna verde, strapparla o scortecciarla.

Art. 22

È vietato accendere fuoco nelle selve e nei pascoli patriziali.


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Art. 24 In caso d’incendio il Comune obbliga ogni patrizio ed abitante del Comune di età inferiore ai 60 anni a collaborare alla lotta antincendio. Art. 26 La Municipalità di Novaggio consegnerà all’Ufficio Patriziale tutto quanto riguarda il Patriziato e provvederà che siano pagate somme concernenti il Patriziato sino all’epoca del trapasso dell’amministrazione. …

Dalla fine della Seconda guerra mondiale al 1970 3.2.3.1. Gli anni del dopoguerra 3.2.3.

Se il periodo prima della guerra e quello immediatamente dopo poteva riassumersi in „più legna e più castagne“, a partire dagli anni Cinquanta questo cambiò in „meno legna e meno castagne“. Per il Patriziato – che intorno al 1950 poteva ancora fare affidamento sul ricavo dalla vendita di legna e dall’affitto dell’Alpe di Cima Pianca – la disponibilità sul mercato di combustibili fossili a buon mercato, che causarono il crollo dei prezzi della legna, rappresentò un danno importante, così come la pratica di sostituire il legname da costruzione con altri materiali d’opera. Il crollo definitivo dell’attività di gestione delle selve avvenne nel 1960 con la chiusura della fabbrica di tannino di Maroggia dovuta all’impiego sempre più marcato di prodotti sintetici. Anche il cambiamento delle abitudini alimentari della popolazione ebbe gravi conseguenze. Come abbiamo accennato, prima e durante la guerra la gestione delle selve era essenziale al sostentamento della popolazione, essendo fortemente limitata l’importazione di prodotti agricoli nonché la penuria di generi alimentari. Ora invece, ossia a partire dalla metà degli anni Cinquanta, l’offerta dei più svariati generi alimentari era copiosa e la castagna – che aveva sfamato gran parte della popolazione indigena – venne, con poca riconoscenza, cancellata dal menù poiché considerata un alimento della povera gente e ricordava i duri anni di guerra allorquando si mangiavano castagne tutti i giorni. Quindi, senza necessità sia di legna sia di castagne, la cura per la conservazione della selve non fu più garantita e queste, che ai nostri predecessori diedero la vita, deperirono lentamente. Parallelamente, ci si mise anche una malattia: il cancro della corteccia del castagno – endothia o chryphonectria parasitica – osservata per la prima volta in Ticino nel 1948 e importata dall’America. Questo contribuì alla rinuncia alle selve e fece temere la totale scomparsa del castagno come peraltro era già successo in America dove, all’inizio del XX secolo, la malattia, proveniente dalla Cina, aveva fatto strage dell’intero patrimonio di castagno. Fortuna volle che tale sorte non toccò all’Europa. Tale situazione fece sì che a Novaggio nel 1958 si procedette al taglio della selva patriziale della Pianca e alla vendita del legname alla fabbrica di tannino di Maroggia. Nell’assemblea di quell’anno venne dichiarato: „… meglio vendere oggi la selva colpita dal cancro prima che essa non sia più nulla…“. Quanto avessero ragione i fautori del taglio completo si venne a sapere un paio d’anni più tardi, allorché la fabbrica di Maroggia fu definitivamente chiusa.

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0 La castagna Una volta, del castagno non si sprecava nulla: il legno grosso serviva per costruire tetti e pavimenti, per fabbricare mobili e come legna da ardere; con la ramaglia si facevano le fascine; le foglie secche si usavano per coprire il pavimento della stalla e poi come letame per concimare i prati. Ma era soprattutto la castagna a rappresentare per la povera gente dei nostri villaggi l’alimento indispensabile durante i lunghi mesi invernali. Si preparavano: «mundéll» (caldarroste), «farü» (bollite nell’acqua con la buccia e consumate premendone la polpa in bocca) e «sctaià» (bollite nell’acqua senza la prima buccia). In generale le castagne si mangiavano accompagnate da un sorso di latte. Benché la castagna – per la diffusione della patata e del mais – perse importanza nel corso del ‘700, il castagno rappresentò comunque fino all’inizio del ‘900 una risorsa fondamentale per i villaggi del Malcantone. L’appellativo «albero del pane» descrive bene l’importanza alimentare di questo frutto nel passato. Con l’arrivo dell’autunno iniziava la stagione della raccolta, di cui si occupavano prevalentemente le donne. Ma le castagne si conservano poco e facilmente vengono rovinate dai «gianìn», i vermetti delle castagne. Era quindi necessario, se non indispensabile, trovare il modo di conservare per l'inverno questa preziosa risorsa. Un sistema in uso soprattutto nel Sottoceneri, chiamato «novena», permetteva una conservazione dai 5 ai 6 mesi: le castagne venivano immerse in vasche per nove giorni e in seguito lasciate seccare in un locale asciutto. In tutto il Ticino e nell’Italia settentrionale era altresì diffusa la tecnica dell’essicazione mediante affumicatura. Questa operazione veniva effettuata sia nel solaio di casa tramite un apposito manufatto, sia in costruzioni o spazi appositi che servivano alla comunità; in dialetto, entrambi erano denominati «grà». Nelle case si sfruttava il calore e il fumo del camino sempre acceso per riscaldare e per cucinare. In solaio, al termine della canna fumaria, le castagne venivano riposte sopra un graticcio; il calore e il fumo del fuoco al pianterreno le faceva essiccare nel giro di circa tre-quattro settimane. ndr. Per sapere tutto su questo tema vedasi il libro di Carlo Scheggia e Fabio Crivelli, Malcantone terra di castagni, Associazione Patriziati Malcantone, 2019

Ricci di castagne.

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Le castagne essicate venivano riposte in un sacco di iuta e battute sopra un ceppo per frantumarne la buccia e la pellicina che circonda il frutto.

Poi occorreva setacciarle per staccare gli ultimi residui della buccia.

Il risultato era un frutto secco, pulito e bianco pronto per essere conservato, come minimo, tutto l’inverno.


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3.2.3.2.

I tempi cambiano La crescita industriale verificatasi dagli anni Cinquanta in poi fu un ulteriore motivo per la mutazione socio-economica del paese. Le località situate in posti vantaggiosi dal punto di vista dei traffici acquistarono grande attrattività per l’insediamento di varie industrie e dal boom edilizio da esso generato. Il crescente fabbisogno di manodopera contribuì alla crescita dei salari; in tal modo il lavoro pesante e mal retribuito dell’economia forestale e agricola perse interesse. A questo si preferì un impiego offerto dall’industria e dai servizi della regione. La nuova situazione ebbe ripercussioni anche sull’emigrazione dei nostri compaesani all’estero e oltre Gottardo. Da allora in avanti non furono più i Ticinesi ad emigrare, bensì fu la manodopera estera a venire in Svizzera. Per Novaggio, situato a margine delle grandi vie di traffico, tale cambiamento significò che al posto di un’emigrazione stagionale ebbe inizio una emigrazione definitiva – soprattutto verso diversi cantoni della Confederazione – e in parallelo un movimento pendolare verso Lugano. Alla recessione dell’agricoltura contribuirono anche le aumentate esigenze igieniche per la tenuta del bestiame. Le stalle nel centro del paese non furono più tollerate e poiché molti contadini non avevano i mezzi per costruirne di nuove conformi alle prescrizioni, dovettero rinunciare all’attività. Per il Patriziato erano oramai tempi difficili, che si rispecchiavano peraltro nei verbali delle Assemblee. 7 febbraio 1953: „… La situazione non può essere considerata, con tutta la buona volontà, ottimisticamente, tanto più che non si può fare assegnamento tutti gli anni su entrate dalle vendite di legna …“. Inoltre: • l’Alpe di Cima Pianca non rendeva molto e i progetti turistici comprendenti strada, ferrovia e albergo vennero cancellati; • negli anni Cinquanta le assemblee venivano regolarmente rinviate per mancanza di partecipanti; anche questo è un indizio della perdita d’identità di un’istituzione che tempo addietro aveva grande significato. L’insicurezza finanziaria portò perfino nel 1959 all’introduzione di una tassa patriziale di fr. 2.– all’anno/patrizio; • negli anni Sessanta continuarono i colloqui con le autorità forestali cantonali sul progetto di ripristino delle selve colpite dal cancro. Per la prima volta nella storia del Patriziato i suoi beni (edifici, prati e selve) vennero fatti figurare nella contabilità come patrimonio e valutati in fr. 70’000.–. Le liquidità ammontavano a fr. 30’000.–; • nel 1967 vennero investiti in obbligazioni fr. 10’000.–, a prova del fatto che gli amministratori stimavano un investimento presso una banca più redditizio; • sempre nel 1967 il Patriziato concluse un contratto con la Casa degli Esploratori di Pazz (vedi cap. 29) per regolare i diritti di utilizzazione dell’acqua della sorgente sita su terreno patriziale; • alla fine degli anni Sessanta la Regìa federale degli alcol di Berna concesse al Patriziato l’autorizzazione per la costruzione di un locale di distillazione; più che per gli introiti dovuti al suo uso, l’alambicco patriziale era soprattutto destinato a tenere viva una tradizione vecchia più del Patriziato stesso.

0 La Regìa federale degli alcol (RFA) è il più vecchio istituto della Confederazione. Dal 1887 è al servizio della politica in materia di alcol ed è incaricata dell’applicazione della legislazione sull’alcol, in cui rientrano in particolare tutte le

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bevande spiritose e l’alcol ad alta gradazione (etanolo). Nella sua veste di autorità fiscale la RFA controlla tutti i prodotti assoggettati alla legge sull’alcol, vale a dire tutte le bevande spiritose, i vini dolci, i vermut, l’etanolo ad alto tenore alcolico, i prodotti di consumo a base di alcol, gli aromi e altro. I prodotti classici della fermentazione, come birra e vino, non rientrano nel campo d’applicazione della legge sull’alcol. Ai sensi dell articolo 105 della Costituzione federale che recita: «la Confederazione tiene conto in particolare degli effetti nocivi del consumo d’alcol», la RFA è responsabile della messa in atto delle disposizioni relative alla regolamentazione del mercato. Ai fini di un controllo capillare della produzione di alcol, la RFA dispone di un certo numero di rappresentati distribuiti regionalmente. Il loro compito è sostanzialmente quello di distribuire le Carte di controllo ai rispettivi produttori di distillati, controllarne le annotazioni, eventualmente ispezionare in loco la veridicità delle dischiarazioni e trasmettere il tutto all’Uffico centrale di Berna per la determinazione dell’imposta da pagare.

Nel protocollo di una seduta della Municipalità vediamo che il Comune doveva in qualche modo anche controllarsi da solo. 10.12.1932/292

Nomina dei componenti l’ufficio locale di vigilanza sulle distillerie. Si prende atto della lettera del 5 corr. della Regìa federale degli alcool, circa la nomina stata fatta sulla persona di Gambazzi Felice, e del municipale Cantoni Giovanni, a comporre l’ufficio locale di vigilanza sulle distillerie nel nostro Comune.

1 Ricordo che … Ricordo che, stranamente, se nella ristretta cerchia dei produttori di grappa il risultato dell’anno si commentava, solo tra intimi, dicendo « … mah; chest’ann la mè nàcia ben… », nei confronti dell’ispettore con la carta verde in mano il commento sullo stesso risultato era sempre mitigato, se non addirittura quasi negato «aah; chest’ann a no fàcc propi poca… ».

0 L’Acquavite viene prodotta direttamente con uva non precedentemente usata per produrre vino. La grappa – nome popolare per definire l’acquavite di vinaccia – è un distillato prodotto da vinacce ricavate esclusivamente da uve prodotte e vinificate in Italia o nella Svizzera italiana e a San Marino. Essa deriva dalla distillazione delle vinacce dopo la svinatura, da vinacce fermentate oppure da vinacce vergini fatte fermentare successivamente alla separazione dai mosti. Può avere un contenuto alcolico tra 37,5% e 60% vol., raggiunto direttamente nel caso delle grappe «pieno grado» oppure aggiungendo acqua, solitamente demineralizzata, nella giusta percentuale e proporzione al prodotto della distillazione. La qualità della grappa, come succede per il vino, dipende dal tipo e della qualità delle uve usate, ma anche dall’impianto di distillazione e dalle capacità tecniche del mastro distillatore.

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Il nuovo e unico alambicco di Novaggio.

Novaggio ebbe nel tempo parecchi alambicchi; il primo, alla fine degli anni Trenta, era situato sü in Perósa, in cà du Spulanìn (ossia al pianterreno della casa di Cantoni Domenico, ma a Novaggio sempre chiamato Giovanni). Un secondo si trovava in piazza di Matt; era quello du Belìi, quindi privato ma usato anche da pochi vicini. Il terzo – quello du Giuvanìn da Lisa – si trovava presso il ristorante Centrale e il quarto - ur lambìcc da Signora che aveva sostituito quello di Perosa – ubicato in fondo “ara Noga”. Negli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta erano quindi tre ad essere usati. In seguito, su decisione della RFA, vennero tutti chiusi alfine di concentrare l’attività di distillazione in un solo alambicco. Il Patriziato si rivolse allora al Municipio con la richiesta di aiutarlo a risolvere il problema. CC 16.4.74

Il Patriziato di Novaggio ha fatto domanda per ottenere dal Comune di Novaggio, alle condizioni da stabilirsi più tardi, una piccola parcella di terreno al „Magrino“ per costruire una piccola distilleria… Il Municipio si dichiara disposto a trattare la questione con l’Amministrazione del Patriziato, dicendosi ben disposto alla cessione desiderata. Le modalità verranno fissate tra Municipio e Patriziato all’atto del trapasso, alle migliori condizioni possibili (diritto di superficie per 99 anni, oppure compravendita a prezzo minimo, o cessione gratuita). Tutti si dichiarano d’accordo. L’attenta valutazione di tutte le varianti necessitò del tempo. Nel mese di giugno del 1976 si presentarono un paio di possibilità di scelta del terreno per la costruzione del tanto desiderato nuovo alambicco patriziale. Il Comune offrì un vecchio stabile di sua proprietà da adattare allo scopo. Finalmente un anno più tardi la decisione fu presa. 14.6.77/6037

Domanda di costruzione Patriziato di Novaggio. Viene concessa l’autorizzazione provvisoria al Patriziato di Novaggio per la posa di un prefabbricato in lamiera ad uso agricolo (alambicco) e più precisamente come da piani presentati…

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Tuttavia il nuovo alambicco del Patriziato dovrà attendere ancora mesi e mesi prima di essere costruito ed essere a disposizione dei distillatori nostrani. Sempre con sistema a fuoco diretto, venne costruito nel 1978, in zona Magrìn. Isidoro Muschietti, responsabile degli alambicchi negli ultimi quarant’anni, cedette nel 2004 il mandato al suo successore Arnoldo Delmenico che a sua volta lo passò a Felice Delmenico, Ninèla, tuttora responsabile.

0 L’alambicco discontinuo a fuoco diretto

Gli alambicchi discontinui, una volta esaurito il liquido da distillare contenuto nella caldaia, devono essere svuotati da tutte le sostanze non volatili prima di iniziare una nuova distillazione. L’operazione costringe ad interromperne il processo, da qui il nome “discontinuo”. Nell’alambicco a fuoco diretto la caldaia (C) è inserita in un forno dove il fuoco vivo (F) surriscalda il fermentato. I vapori generati salgono verso il duomo (D) e vengono convogliati, attraverso il collo di cigno (C 1), all’interno del refrigerante a serpentino (R) che li condensa raffreddandoli con un ricambio di acqua fredda.

Nei nostri villaggi c’è certamente ancora qualcuno che ricorda di aver aiutato, da bambino, un proprio familiare «a fare» la grappa. Infatti, quest’ultimo, dopo aver «caricato» l’alambicco e acceso il fuoco sotto la caldaia, assegnava al giovane accompagnatore il compito di aspettare – e l’attesa poteva durare anche più di un’ora – fino a che le prime gocce di «flema»10 si presentavano sulla sottile pagliuzza infilata nel tubo di scarico; era il momento di correre ad avvisare il mastro distillatore (padre, zio, …) perché poi lui si occupasse di «tirare» la grappa.

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Durante la prima distillazione la vinaccia viene a diretto contatto con il vapore: si forma la flemma, che è una grappa primitiva, a 25-35°, non bevibile. In seguito la flemma viene immessa nella caldaia e distillata una seconda volta.


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3.2.4.

Cima Pianca rinasce con il PFZ Dal 1927 le Sezione di economia forestale del Politecnico federale di Zurigo (PFZ/ETH) dispone dell’arboreto di Albisrieder-Berg (ZH), cioè di una „collezione viva di alberi e di arbusti che vengono studiati dal punto di vista botanico-sistematico, forestale, ecologico, estetico ecc., con lo scopo principale di seguire il loro comportamento per un’eventuale acclimazione come piante utili (essenze forestali, da ornamento e simili) e per la produzione di seme dai quali ottenere piantine (postime in vivaio) da trapiantare in zone per rimboschimento, parchi, giardini e a verde urbano“. Il Centro di Albisried si trova sull’altopiano; per completare la ricerca, lo studio e l’insegnamento di tali temi, il Politecnico era da tempo alla ricerca di boschi a sud della Alpi risp. di una zona tipica nella regione del Ticino meridionale per crearvi un arboreto. Reso attento dell’esistenza dello stupendo parco del Sanatorio militare di Novaggio, l’Istituto di silvicoltura, rappresentato dai prof. H. Leibundgut e E. Ott – visto anche la disponibilità della direzione del Sanatorio nonché dell’autorità forestale locale – giunse alla convinzione che il territorio del Patriziato di Novaggio, di ca. 140 ha che partendo da 760 m.s.m. giunge ai 1500 m, sarebbe stato luogo ideale come bosco-scuola per le sue ricerche e i suoi studi. D’altronde, i rapporti redatti dagli esperti descrivono bene le caratteristiche del bosco e gli scopi del progetto La zona di Cima Pianca è un buon esempio rappresentativo della situazione dei boschi cedui del versante sudalpino. Nelle parti più basse predomina il castagno con tutti i problemi di risanamento ben noti (cancro, abbandono delle selve, incendi, ...). Nelle parti medie troviamo nelle zone umide il faggio e sui pendii solatii la quercia. Questi pendìi ben esposti al sole sono purtroppo facile preda di rovinosi incendi (in 9 anni si sono contati ben 6 incendi nella zona Rogorio–Pianca). Nelle parti alte troviamo infine magnifici boschi di betulla intercalati da pascoli abbandonati dove predomina la felce e la ginestra. Ritenuti altresì tipici per il Ticino meridionale i problemi riscontrati nelle selve di Novaggio, gli specialisti non tardarono a fissare gli scopi da raggiungere dal nuovo impianto, ossia: • ripristino delle selve castanili malate, • trasformazione del bosco ceduo, ossia quello che si taglia periodicamente per la legna, • rimboschimento dei terreni a maggese e delle superfici bruciate.

0 Gli incendi sono sempre stati un pericolo costante per i nostri boschi. Negli ultimi cento anni innumerevoli furono gli incendi che imperversarono – soprattutto sui pendii esposti a meridione – sul Lema, in Cima Pianca nonché in zona Vallone, Cavalèra, Moncucco, Pian Pulpito e Cugnolo. Il fuoco come minaccia costante dev’essere sempre tenuto in considerazione, anche perché se si vuole produrre legname pregiato occorre sapere che boschi regolarmente colpiti dagli incendi non possono produrre legname senza difetti come richiesto dall’industria. Per contro, dopo un incendio, la vegetazione si riprende entro pochi anni.

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Incendi di boschi 1906-1976 (dallo studio di Stefano Guidese).

Nell’ottobre del 1972 si tenne una visita preliminare; quindi, in seguito al decorso positivo degli ulteriori accertamenti con i rappresentanti del Patriziato, venne firmato un contratto nel quale l’esecuzione del progetto venne affidata al citato Istituto di silvicoltura del PFZ. Su incarico dell’Ispettorato forestale cantonale venne altresì elaborato un progetto di utilizzazione che prevedeva una strada transitabile con autocarri fino al Pian Pulpito. Ma il costo di oltre 1,1 mio di franchi rese l’idea irrealizzabile. Oltre al ripristino delle zone boschive, l’edificio dell’Alpe di Cima Pianca doveva essere trasformato in un alloggio per gli operai e il diritto di pascolo di Astano riscattato, in quanto l’utilizzazione come pascolo è una servitù dannosa per le selve.

3.2.4.1.

Lo sviluppo del progetto 1973-1993 Le fasi principali dello stesso furono: • nel primo periodo di pianificazione, tra il 1973 e il 1986, vennero migliorati con interventi curativi 12 ha di bosco giovane; • nello stesso periodo vennero rimboscati ca. 23 ha di effettivi germogliati dai ceppi; • si ripristinarono 3,5 ha di superfici danneggiate dagli incendi; ulteriori aree bruciate vennero migliorate qualitativamente tramite misure di trasferimento; • i vecchi edifici dell’Alpe di Cima Pianca (abitazione e stalla) vennero ristrutturati, con spesa minima, per disporre di un buon alloggio per gli operai e di un deposito attrezzi con annessa una piccola officina; • il previsto riscatto del diritto di pascolo di Astano venne considerato come caduco a causa della cessazione dell’attività di pascolo durante il primo periodo di pianificazione e a causa del divieto generale di pascolo in rimboschimenti sussidiati dalla Confederazione; • la vecchia strada di accesso – del 1929, da Pazz a Cima Pianca – venne praticamente rifatta a nuovo e prolungata attraverso la Forcola verso Pra Fontana (Italia). Su questo tratto essa serve ora principalmente alla lotta contro gli incendi; è il motivo per il quale lungo tutta la strada forestale tra Cima Pianca e il confine di Stato sono state interrate sei cisterne contenenti ognuna ca.

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Edifici dell’Alpe di Cima Pianca (abitazione e stalla) e cisterna d’acqua sulla strada Cima Pianca–Forcola.

5’000 lt. di acqua. Le prime due sono alimentate dal torrente che nasce sotto il Pian Pulpito; le altre quattro tramite una condotta di pompaggio solidale, ossia dalla cisterna due alla tre, dalla tre alla quattro, ecc., sistema messo in funzione in caso di necessità dal Corpo Pompieri di Novaggio. Il dispositivo serve a proteggere le piantagioni, i boschi e gli edifici sul territorio del Patriziato di Novaggio, Curio ed Astano. Inoltre, serve anche a portare acqua a sostegno di operazioni di spegnimento incendi sul lato italiano (Alpe Fontana del comune di Dumenza). Nel 2016 il sistema venne verificato in occasione di un’esercitazione congiunta con i militi Volontari Antincendio Boschivo della Comunità Montana delle Valli del Verbano; il risultato fu del tutto soddisfacente. Volutamente non entriamo qui nei particolari specificatamente tecnici di silvicoltura (ndr. ramo delle scienze forestali che si occupa dell’impianto e della conservazione dei boschi e loro migliore sfruttamento economico), la comprensione dei quali richiederebbe una solida base scientifica. Riassumendo, e riprendendo il giudizio degli specialisti, si può tuttavia affermare che il progetto generale di ripristino del 1973 così come i progetti da questo derivati, furono pianificati in modo troppo ottimistico. Nel 1991 il prof. E. Ott constatò che le particolarità e le difficoltà riscontrate nel bosco di latifoglie insubrico non sempre sono state capite in modo adeguato e con la dovuta celerità. In tale contesto l’arboreto di Novaggio servì soprattutto come bosco da insegnamento.

All’inizio della messa in atto del progetto tutte le attività di silvicoltura, in mancanza di personale forestale indigeno qualificato, furono eseguite da curatori dell’arboreto di Albisrieder-Berg. Fu la ragione per la quale per eseguire a regola d’arte i lavori richiesti, qualitativamente impegnativi, si accettò dapprima il dislocamento di un’intera squadra forestale straniera. Più tardi, grazie all’iniziativa dell’allora forestale di circondario G. Benagli e dell’impegnato lavoro di sviluppo del forestale Carlo Scheggia, fu possibile fondare, sviluppare e assegnare il proseguimento del compito all’„Azienda forestale regionale Malcantone“ (AFOR). Da sottolineare che a questa azienda forestale – che impiega 8-10 forze lavorative permanenti, apprendista guardiaboschi compreso – nel 1987 è stato assegnato il Premio Binding per l’esemplare cura dei boschi.

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0 Il Premio Binding per il bosco è stato il maggiore premio in Svizzera in campo ambientale e uno dei riconoscimenti più importanti in Europa in questo ambito. La Fondazione Sophie e Karl Binding assegnava annualmente dal 1987 questo premio a proprietari o aziende forestali in Svizzera che si erano distinte per il loro impegno esemplare e a lungo termine nella cura e la conservazione dei boschi. Il Premio era dotato di una somma di CHF 50’000.– e di un contributo supplementare di CHF 150’000.– destinato al finanziamento di attività legate alla realizzazione di progetti. Per decisione del Consiglio di Fondazione, il 30.mo Premio Binding per il bosco fu anche l’ultimo (2016). I detentori del premio presentavano grandi diversità dal punto di vista delle regioni linguistiche, dei cantoni o delle forme di proprietà (comuni, patriziati, proprietari privati), ma soddisfavano i criteri di sostenibilità nei vari settori. I premiati in Ticino sono stati nel 1987 l’Azienda Forestale Regionale Malcantone e nell’anno 2000 il Patriziato di Olivone, Campo e Largario.

Grazie alla profonda collaborazione tra Patriziato, agenti forestali competenti per il settore, AFOR (ora non più esistente) e Corpo Pompieri il „Progetto Forestale Novaggio“ – finanziato dalla Confederazione (61%), dal Canton Ticino (30%), dal Politecnico federale (8%) e dal Patriziato di Novaggio (1%) – ha sviluppato nel corso degli anni un’auspicata dinamica propria e può oggi essere mantenuto in modo ottimale ad opera di curatori locali. Nel 2001, al termine del contratto con il Politecnico federale di Zurigo, il Patriziato – in collaborazione con le Autorità forestali – ha dato avvio ad un progetto la cui finalità è di stabilizzare i lavori precedentemente eseguiti procedendo altresì ad importanti diradi.

3.2.4.2.

Particolarità negli anni dopo il 1970 • Con l’accettazione del contratto con il Politecnico federale di Zurigo il Patriziato cedeva di fatto per dieci anni il suo territorio all’Istituto di silvicoltura del PFZ. Pertanto, in quegli anni le attività del Patriziato si concentrarono sulla politica comunale, sui diritti di utilizzazione delle sorgenti d’acqua e sulla caccia. Quest’ultimo interesse si ritrova nella domanda, rivolta dal Patriziato e accolta dal PFZ, di poter usare la stalla piccola di Cima Pianca quale capanna di caccia. • Nel 1978, per la prima volta nella storia del Patriziato, una donna – nella persona di Alice Delmenico – ottenne un mandato in seno all’Ufficio patriziale, ritenuto fino allora di assoluto dominio maschile. • Nel 1980 si introdusse un nuovo sistema di misurazione della legna da ardere: non più misurata e messa in commercio, come finora, a quintali bensì a „steri“ (ossia 1 st = 1 m³ = ca. 5 quintali a seconda del tipo di legna), pratica da lungo tempo abituale nel resto della Svizzera per vendere la legna evitando di doverla pesare. • Nel 1980 l’area del progetto venne ingrandita di 7 ha di bosco di castagno in zona Bedeia-Sciaroni, fondo acquistato a buon prezzo da parte del Comune alla Cassa pensione Migros, ditta che intendeva costruire un villaggio di vacanze per i suoi dipendenti.

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1 st = 1 m³ = ca. 5 quintali a seconda del tipo di legna.

Il custode di Cima Pianca, Enzo Losi.

• Nel 1986 il contratto d’affitto con il PFZ venne prolungato per altri dieci anni. Nel contempo al Dr. Ernst Ott, quale direttore del progetto, vennero conferiti i diritti di Patrizio onorario per i suoi meriti nei riguardi del Patriziato. Non voglio qui dimenticare colui che per tutti i lunghi anni di collaborazione del Patriziato con il PFZ ha assunto l’incarico di custode di Cima Pianca, Enzo Losi, lui pure patrizio. In sella al suo motorino saliva quasi ogni giorno alla casèra per dare un’occhiata al bosco, al prato, agl’immobili – ma anche ai „mobili“, ossia alle possibili prede non appena si fosse aperta la caccia. Il Cèch si intratteneva cordialmente con ogni passante davanti alla baraca messa a sua disposizione. A volte ci passava anche la notte. I rapporti da lui redatti all’intenzione del prof. Ott (i due si stimavano a vicenda) erano esemplari per precisione e concisione; inoltre davano garanzia a Zurigo che a Novaggio tutto era sotto stretto controllo.

0 Ritorna il cinghiale. A partire dal 1981 ricompare in Ticino il cinghiale, di cui alcuni esemplari – fuggiti dal parco varesino di Cunardo – avevano attraversato la Tresa e si erano insediati nel Malcantone lasciando le loro prime tracce sul monte Mondini. Nel territorio patriziale di Novaggio tracce simili vennero scoperte alla fine del 1983. Le caratteristiche della vegetazione del Ticino meridionale favorirono notevolmente il suo sviluppo, soprattutto nei boschi cedui di un tempo dove prevalevano faggi, querce e castagni; qui i cinghiali trovarono abbondante nutrimento e nascondigli. Il ritorno del cinghiale non portò solamente danni all’agricoltura. Il suo pronunciato grufolare, ossia lo spingere innanzi il muso grugnendo e cercando il cibo, produsse effetti positivi sul ringiovanimento delle selve. Inoltre, la sua fertilità favorì il ripopolamento del-

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Nessuno racconta tante balle come il cacciatore a valle.

ca. 1950 – Novaggio, un gruppo di amici cacciatori Da sin: Bruno Lorenzetti Gnapìn, Vespucci Demarta Puci, Ivano Delmenico, Enzo Losi Cèch; inginocchiati Cornelio Bertoli Toto e Leo Muschietti.

la specie e questo portò all’aumento dell’attività venatoria quale modo tradizionale di sfruttamento del territorio. Essendo stato il patrimonio animale cacciabile – uccelli, lepri e altri piccoli mammiferi – quasi totalmente distrutto nella prima metà del XX sec. a causa di una caccia intensa e a volte sregolata, ecco che l’arrivo del cinghiale non fu propriamente una „piaga“.

3.3.

Il patriziato di Novaggio… oggi Patriziato (in tedesco das Patriziat, in francese Bourgeoisie) è il termine con cui in Svizzera si identifica un ente di diritto pubblico che gestisce proprietà collettive. Per tradizione gli abitanti originari di città e villaggi avevano diritti sui boschi e altri terreni comuni e non volevano spartire tali diritti con i “nuovi cittadini”. Con la Repubblica Elvetica fu trovata una soluzione di compromesso, sostanzialmente ancora perdurante. C’è un “comune politico” che accoglie tutti i dimoranti. I beni comuni spettano invece agli “attinenti locali di antica data” detti anche patrizi e il loro organo è chiamato “comune patriziale”. Il Patriziato è un ente pubblico autonomo nei limiti stabiliti dalla Costituzione e dalle leggi, proprietario di beni d’uso comune da conservare e utilizzare con spirito vicinale a favore della comunità. Nel Canton Ticino ogni Patriziato deve essere riconosciuto dal Consiglio di Stato. Il Patriziato ha il compito di curare la conservazione dei beni patriziali, di garantirne l’uso pubblico e di valorizzare le tradizioni locali. Le principali basi legali sulle quali si fonda l’istituzione del patriziato sono: • la Legge organica patriziale (LOP) e • il Regolamento d’applicazione di detta legge (RALOP).

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Eros Ratti, Il Comune, Vol. I.

Gli organi del Patriziato, con il compito di amministrare secondo le competenze conferite loro dalla legge, sono l’Assemblea patriziale e l’Ufficio patriziale. L’Assemblea patriziale è la riunione degli aventi diritto di voto in materia patriziale; essa si raduna ordinariamente una volta all’anno, l’ultima domenica di marzo. L’Ufficio patriziale si compone di cinque membri, compreso il Presidente; è l’organo esecutivo del Patriziato. Nel Canton Ticino si contano 211 enti patriziali, su circa 130 comuni; i cittadini patrizi sono circa 90.000. I 17 patriziati malcantonesi sono proprietari di ben 2900 ha di territorio, soprattutto boschi e alpeggi. Dalla sua ricostituzione nel 1945 i Presidenti del Patriziato di Novaggio sono stati i seguenti (elenco completo dei Presidenti e dei membri dell’Ufficio presidenziale alla prossima pagina): • 1945-1956 Felice Gambazzi • 1956-1957 Roberto Cantoni • 1957-1965 Plinio Demarta • 1965-1994 Arnoldo Delmenico • 1994-2001 Dany Muschietti • 2001-2021 Claudio Delmenico

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Elenco completo dei Presidenti (linea scura) e dei membri dell’Ufficio presidenziale del Patriziato.

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L’attività dell’Ufficio patriziale è regolata sulla base del Regolamento patriziale di Novaggio del 1998; nei suoi 83 articoli (il Regolamento del 1945 ne comportava 29 e quello del 1968 solo 16) sono definiti: nome; beni patriziali (amministrazione e modi di godimento); appartenenza al patriziato e sua organizzazione (Assemblea; Ufficio patriziale; dipendenti del Patriziato nonché loro compiti e onorari) conti; Commissione della gestione; contravvenzioni; ecc. Per quanto concerne l’Alpe di Cima Pianca l’art. 13 stabilisce „… viene affittato mediante pubblico concorso a condizioni fissate dall’Ufficio patriziale sulla base di un Regolamento approvato dall’Assemblea“. Sul suo sito www.patriziatodinovaggio.ch il Patriziato si presenta in modo chiaro e succinto con informazioni, progetti, proposte di svago, ecc. Riproduciamo qui il testo introduttivo – anche a rischio di ripeterci – evidenziando in grassetto i passaggi chiave del testo. ll Patriziato è la corporazione degli abitanti dell’antica Vicinanza, proprietari collettivi di terre indivisibili, costituite in gran parte di pascoli, alpi e boschi. Oggi l’attività del Patriziato di Novaggio si esplica, soprattutto, nella gestione del progetto forestale dell’area boschiva e alpestre di Cima Pianca, concretizzatosi grazie alla lungimiranza dei membri dell’Ufficio patriziale che – nella metà degli anni Settanta – sono riusciti a convincere i responsabili della sezione forestale del Politecnico federale di Zurigo a scegliere quest’area per le loro ricerche. Grazie ai sussidi federali e cantonali nonché al contributo portato dal Politecnico, l’investimento finanziario effettuato è stato molto importante e i risultati concreti del lavoro, svolto in stretta collaborazione anche con l’Ufficio forestale di circondario, appaiono evidenti. Oltre a questi compiti, il Patriziato si è impegnato a mantenere in paese una distilleria, che funziona ancora a legna, aperta generalmente solo durante i mesi autunnali, ma che serve egregiamente i bisogni locali per la distillazione di vinacce e di frutta. Fino a qualche anno fa, quando il progetto forestale era nella fase di maggior sviluppo, il Patriziato forniva discreti quantitativi di legna da ardere e pali utilizzati in Leventina per i ripari valangari; grazie a questi introiti, è stato possibile corrispondere la partecipazione finanziaria che il Patriziato si era impegnato a versare per i lavori del progetto forestale di Cima Pianca. L’interesse per la legna d’ardere è decisamente calato, i costi per i tagli sono lievitati e il progetto richiede soprattutto diradi di pulizia, per cui in questi ultimi anni il Patriziato non ha più promosso vendita di legname. Fino alla fine del secolo scorso, quando la sopravvivenza degli uomini dipendeva dai loro pascoli e boschi, le terre che oggi non rappresentano un valore economico di pregio erano soggette ad aspre diatribe e l’archivio del Patriziato di Novaggio è alimentato soprattutto dagli incarti giuridici che hanno contraddistinto le dispute con i Patriziati vicini di Curio, Bedigliora, Astano e in parte anche Miglieglia, e che hanno portato alla costituzione delle due “Castellanze” dette dei quattro e dei tre Comuni, che regolavano i reciproci diritti. Anche se occorre dire che la fine dei conflitti si è avuta solo quando l’economia alpestre e di sussistenza ha perso la propria importanza. Oggi essere cittadini patrizi di Novaggio non comporta alcun vantaggio, né economico né d’altro tipo, e assieme alle modifiche apportate dalla nuova legge organica patriziale sull’acquisto della cittadina patriziale è questo uno dei motivi che rende difficile aggiornare i registri. Sono pochissimi coloro che annunciano al Patriziato i cambiamenti intervenuti nelle proprie situazioni familiari e i dati non sono più desumibili tutti dagli elenchi dello stato civile comunale.

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Se fino all’avvento della nuova LOP, che riconosce giustamente la parità di diritti fra i sessi nell’acquisizione e perdita della cittadinanza patriziale, tutti i cittadini patrizi di Novaggio erano Bertoli, Cantoni, Delmenico, Demarta, Fiori, Gambazzi, Lozzio, Massari, Muschietti, Rezzonico, adesso si vanno man mano inserendo nuovi cognomi attribuiti per via materna; alcune parentele originarie stanno invece subendo un lento ma inesorabile declino. I cittadini patrizi di Novaggio sono 742, dei quali 187 domiciliati all’estero, 148 in Svizzera, 293 in Ticino e solo 114 nel Comune. I fuochi sono 304, di cui solo 57 residenti nel Comune. Questi dati ci ricordano inequivocabilmente come anche Novaggio sia stato un Comune di emigrazione, che molti conterranei partiti in cerca di lavoro abbiano trovato ospitalità altrove, e che molti di loro non hanno più fatto ritorno costituendo una propria famiglia in Paesi più o meno lontani. Fra le nazioni di maggior emigrazione troviamo l’Argentina, l’Italia, il Perù e la Francia. Essere patrizi non costituisce quindi più un privilegio come poteva essere nel secolo scorso; può, semmai, conferire un maggior senso di appartenenza a terre e origini comuni (sempre che questo valore sia riconosciuto in quanto tale), che dovrebbe responsabilizzarci sia nella gestione territoriale futura sia nella ricerca e ricostruzione storiografica di un passato che comunque ci appartiene. L’Ufficio patriziale, per mantenere e rinnovare i legami fra i cittadini patrizi e anche con la popolazione, organizza – oltre all’assemblea ordinaria – due incontri ricreativi: un pranzo invernale e la ormai tradizionale festa estiva sull’alpe di Cima Pianca durante la prima settimana di agosto.

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1981 – Cima Pianca In questo bel gruppo di concittadini riconosciamo (dall’alto al basso e da sin. a ds.): Argo, Alice du Leo, Dani con moglie Armanda e figlie Silvia e Eugenie, Isa, Flavio, Diletta, Barbara, Antonietta moglie di Ado, Mando, Leo, Noldo, Antonella, Nino du Crespín, Rino, Claudio, Renzo, Hélène, Bianca, Iride, Ado, Sonia, Alice, Baiafa, Cèch, Concetta, Viturina, Marì du Canzio, Susi, Medardo, Marì du Pan, Franco Demarta, Leonie, Ninì, Toto, Renato, Leonie, Lucìa, Iso, Dino, Nino, Pietro, Bruno du Pan, Mirella, Leni.

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Novaggio è situato nel cuore del Malcantone.

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Ogni viaggio comincia col primo passo

4.

Dalla piazza alla Gesora Novaggio è situato nel cuore del Malcantone. Due linee ideali, tracciate una da Arosio a Madonna del Piano e l’altra da Caslano alla croce del Lema, s’intersecano a Novaggio, centro d’incomparabili vedute. Nuvasc L’è setò giü in sui pée du Perosa Cur un faa quasi preputent Propi cum u faress ‘na tosa Ch’è bela e ch’a voo fass vedée da gent ….… Armida Rieser-Demarta

Se vuoi conoscere i dettagli di un luogo, di una zona, di un paese, va a piedi, alla velocità dell’uomo non con quella impostaci dalle diavolerie moderne.

4.1.

La piazza Francisco Ferrer La piazza Francisco Ferrer è il centro del paese e – prima della circonvallazione – punto d’incrocio delle strade che portano a Banco, a Miglieglia e a Curio. Fino all’inizio degli anni Cinquanta la piazza era abbellita, dalla parte della via Noga, da una fontana che versava acqua in continuazione; verso sud è chiusa dal campanile e dall’imponente facciata della Chiesa parrocchiale; addossata al fianco occidentale della chiesa – a complemento ideale di questa – c’è lo stabile che fino agli anni Sessanta accoglieva sotto lo stesso tetto Municipio e Scuola elementare comunale. Danno direttamente sulla piazza i negozi del paese.

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NOVA GG IO sotto la lente

NOVITÀ — — — — — —

L’opera riassume la storia di Novaggio dalla fine del ’700 a tutt’oggi Una miniera di curiosità su Novaggio e la sua gente Molti riferimenti ai Comuni circostanti Innumerevoli fotografie in cui il lettore potrebbe riconoscersi Ideale per arricchire la propria biblioteca o per un regalo speciale 960 Pagine (3 vol. di 312, 316 e 332) con più di 1000 immagini!

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Siro Camillo Muschietti

NOVAGGIO sotto la lente

Non essendo né storico né scrittore, l’autore ha solo tentato con il materiale a disposizione di ricomporre un «puzzle» di Novaggio a prima vista irrealizzabile; tuttavia, con costanza, dedizione e volontà, è riuscito a realizzare un quadro del passato che perlomeno sottolinea quanto noi dobbiamo in termini di riconoscenza ai nostri intraprendenti antenati. La paziente e a volte difficile lettura dei libri conservati negli archivi, ha reso possibile la formazione di anelli che, uniti tra loro, portano alla conoscenza del passato del villaggio e della sua gente, passato che comporta altresì innumerevoli connessioni con i vicini di Miglieglia, di Breno, di Aranno, di Curio, ecc... Un passato intriso di bene ma anche rivelatore di qualche punto oscuro che occorre capire e accettare proiettandolo nel contesto storico di quel tempo.

Siro Camillo Muschietti

Volume 1

NOVA GG IO sotto la lente

Volume 1


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