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SchioMese

Periodico di informazione dell’Alto Vicentino anno XII n. 109 - aprile 2023

Attenti a quei Pfas

Il quotidiano francese “Le Monde” ha disegnato una mappa dell’inquinamento da Pfas in Europa, dalla quale emerge che il Veneto è una delle regioni più colpite, con dati che in passato hanno reso allarmante anche la situazione scledense. Vediamo come e perché.

Immagine grande: fonte quotidiano Le Monde

Immagine piccola: fonte Arpa Veneto

Il Campus ora ricorda Carlo Gramola - p.6 ◆ Hanno chiuso i fratelli Miotto - p.8

La Settimana enigmistica non ci sceglie?

Èandata così: eravamo lì intenti a sfogliare la Settimana enigmistica, quando siamo arrivati alla consueta pagina dedicata al cruciverba di “Una gita a…”. Ma sì, quella dove bisogna trovare la località italiana di turno, rispondendo alle definizioni inserite all’interno dello schema, che corrispondono a sei “bellezze” offerte da quella località, illustrate da altrettante fotine che comprendono di default il municipio e il panorama. Foto in cui non si vede mai anima viva e le strade e le piazze sono deserte, al massimo ci può scappare un’auto in lontananza, dall’analisi attenta della quale puoi risalire all’epoca della foto: anni Sessanta o Settanta? No, dai, qualcuna sembra anche recente...

Insomma, siamo in questa pagina dell’immarcescibile “Settimana” ed ecco che a un certo punto, dopo aver osservato le fotine per cercare di individuare il paese o quantomeno la regione di appartenenza (la si intuisce spesso dal paesaggio o dalle facciate delle case e delle chiese), ci è venuta spontanea una domanda: ma com’è che non c’è una volta che capiti di incappare in una località vicentina o anche solo veneta? Siamo sfortunati noi, lettori non sempre attenti della rivista, o trattasi di “gombloddo” enigmistico antivalleogrino? Quello che ci sembra certo è che in tanti anni di “Una gita a…”, a Schio la “Settimana” non ci è mai venuta. Perché altrimenti saremmo venuti a saperlo, figurarsi. Per carità, la Settimana è uscita finora in

circa 4.750 numeri e i comuni italiani sono più di 8 mila, quindi tempo davanti ce n’è. Però sai com’è, come diceva il personaggio di Diego Abatantuono in una scena di “Mediterraneo”, chi vive sperando muore c… Vabbè, quella roba lì.

Così ci siamo detti: la Settimana enigmistica non ci sceglie? E allora lo facciamo da soli. Et voilà: nella pagina a fianco ci siamo fatti in casa il nostro bel cruciverba, con tanto di fotine dei monumenti e dei punti caratteristici della città, e con tutte le definizioni al loro posto. Tutto facile facile, a portata di tutti. Chi ne ha voglia, può esercitarsi, con poca fatica, inserendo nello schema le soluzioni alle definizioni. “La méta della nostra gita” è al 39 orizzontale..

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E allora lo facciamo noi

UNA GITA A.....?

ORIZZONTALI: 1. Così si beve la birra al “Molo 517” – 5. Quelli delle scarpe si stringono – 9. Mancini lo è della Nazionale di calcio – 11. Il nome di battaglia da partigiano di Valentino Bortoloso – 17. Foto 1 – 20. Henry, famoso mezzofondista keniota degli anni Settanta – 21. Foto 2 – 22. L’attore che interpretava il capufficio di Fracchia –25. Il punto dell’eclittica in cui Terra e Sole sono più distanti – 27. Foto 3 – 29. Foto 4 –31. Lo sono quelli delle navi abbandonate – 32. Al centro del trullo – 33. Organismo vegetale che infastidisce quando si fa il bagno in mare – 35. Liliana Segre lo è a vita –37. Il nome del Cardinal Dalla Costa – 39. La méta della nostra gita (Vicenza) – 41. È caratteristico quello del caffè – 42. Sigla del tricoloroanisolo – 43. Il nome di battesimo del regista di Gran Torino – 45. Voto di sufficienza – 46. Era la sigla dei voli di Alitalia

– 47. Foto 5 – 51. La desinenza dei verbi della prima coniugazione – 52. Buio, oscuro – 53. Le vocali in onirico - 54. Il gruppo rock di Kurt Cobain – 58. Publio Ovidio _____ - 59. Precede Beta nel nome del personaggio dei fumetti – 60. Foto 6

VERTICALI: 1. Un messaggio di posta elettronica non desiderato – 2. Maiale in inglese – 3. Intelligenza Artificiale – 4. Nuo -

va Zelanda - 5. Altro nome (desueto) della matita – 6. Utilizzare, impiegare – 7. Il figlio dello zio – 8. Fondò l’azienda Olivetti (iniziali) – 9. La “facciata” di un libro – 10. Sostengono i fili dell’energia elettrica – 11. Un’acqua che diventa bevanda – 12. Quarant’anni fa ce n’era una in Piazzetta Garibaldi dove adesso c’è l’omonimo bar – 13. Quella della Ginestra è tristemente famosa per l’eccidio commesso nel 1947 dalla banda di Salvatore Giuliano – 14. Il primo fiume italiano – 15. Confusione detta in napoletano – 16. Marsupiale australiano – 18. Rumore di una sforbiciata – 19. Deceduta – 23. Crescono in cima alle dita - 24. E così ___ - 26. Film di Jerzy Skolimowski - 28. Li hanno in comune canzoni e aromi – 30. Erosione del rivestimento interno dello stomaco - 33. Nome arabo – 34. Bolzano sulle mappe tedesche – 36. Prima combinazione vincente nella tombola - 38. Grafia abbreviata delle vecchie lire – 40. Gruppo di due vocali consecutive appartenenti a due sillabe diverse – 41. Piccole lesioni all’interno della bocca – 44. Diminutivo di Antonio – 48. Titoli di Stato – 49. Faceva coppia con Gian – 50. Precedeva “Attack” in un famoso programma televisivo per bambini – 55. Sigla di Venezia – 56. Olanda nelle targhe – 57. Aosta

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54 55 56 57 58 59 60
Foto 3 = 27 orizz. Foto 6 = 60 orizz. Foto 5 = 47 orizz. Foto Moreno Eberle Foto 1 = 17 orizz. Foto Marialuisa Bottene Foto 2 = 21 orizz. Foto Marco Rossetto Foto 4 = 29 orizz.
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Foto Moreno Eberle

Copertina

La mappa di “Le Monde” evidenzia la presenza di un hotspot nella zona industriale tra Schio e Marano, con dati più critici relativi a 2 campioni analizzati tra 2018 e 2019. Le ultime analisi dell’Arpav disponibili, del 2021, evidenziano basse concentrazioni di Pfas nelle acque sotterranee. Il rapporto per il quinquennio 2013-2018 relativo alle acque superficiali dava risultati incoraggianti per il bacino del Leogra, più preoccupanti, anche se non oltre i livelli di guardia, per quello del Timonchio.

I Pfas non risparmiano nemmeno Schio

Il quotidiano francese “Le Monde” ha disegnato una mappa dell’inquinamento da Pfas in Europa, dalla quale emerge che il Veneto è una delle regioni più colpite, con dati che in passato hanno reso allarmante anche la situazione scledense. Vediamo come e perché.

Lo hanno intitolato “Forever Pollution”, che in italiano potremmo tradurre come “Inquinamento Permanente”: si tratta di un dettagliatissimo report, di elevata qualità scientifica, diffuso recentemente dal quotidiano francese “Le Monde” che, assieme ad altri 17 partner scientifici prevalentemente europei, è riuscito a disegnare la mappa dell’inquinamento da Pfas nel vecchio continente.

Un lavoro enorme, che ha raccolto e sistematizzato migliaia di dati relativi alla contaminazione da Pfas, sostanze perfluoro alchiliche ultra tossiche persistenti nell’ambiente.

Il Veneto, e soprattutto la provincia di Vicenza, risultano duramente colpiti da questo tipo di inquinamento chimico generato dalle attività industriali, con la zona del Basso Vicentino allo sbocco della valle dell’Agno a registrare da anni i numeri più allarmanti.

La mappa di “Le Monde” racconta un’Europa dove praticamente nessuna regione è esente da questo tipo di inquinamento. Le aree maggiormente colpite sono quelle a

più avanzato tasso industriale. Il Benelux, la Germania, il sud della Gran Bretagna, la Pianura padana spiccano tanto per il numero di siti dove si è riscontrata contaminazione da Pfas, quanto per la concentrazione di industrie utilizzatrici di Pfas (per la produzione di plastiche, vernici, pitture, pesticidi, tessuti water proof e altri beni di largo consumo). I cosiddetti hotspot, siti dove la contaminazione riscontrata è pericolosa per la salute, sono oltre 2 mila, e tra questi compare anche Schio.

La dorsale dell’inquinamento che va dalla Danimarca al Nord Italia è stata evidenziata in ottica conservativa: significa che laddove c’erano dei dubbi, gli esperti che hanno compilato il report si sono tenuti sui campionamenti con livelli più bassi. La realtà potrebbe essere ben peggiore dei numeri presentati.

I Pfas in Veneto e a Schio

Per anni la vulgata comune ha guardato ai Pfas come ai risultati di scarti di produzione di industrie localizzate in alcune particolari aree geografiche. Nelle nostre zone, Pfas è sempre stato sinonimo di inquinamento nella valle dell’Agno, come se le falde acquifere e i sistemi ambientali lavorassero a compartimenti stagni e il passo

di Priabona fosse il limite invalicabile che proteggeva l’Alto Vicentino dagli scarti tossici che erano toccati ai cugini della bassa “val di là”.

La realtà dei fatti è che il Veneto è la regione italiana più inquinata in assoluto da Pfas, quella dove sono stati riscontrati il maggior numero di siti contaminati riconosciuti. Certo, c’è anche da dire che qui i campionamenti si fanno da oltre un decennio e che altre zone d’Italia non analizzano i Pfas contenuti nelle proprie acque superficiali e profonde, ma la sostanza non cambia.

Il nostro terreno, la nostra acqua, l’ambiente in cui viviamo sono contaminati da inquinanti chimici che al momento non si sa come smaltire del tutto.

La mappa di “Le Monde” evidenzia la presenza di un hotspot nella zona industriale tra Schio e Marano Vicentino. Qui, nel corso degli anni, si sono fatte più indagini, che hanno fornito i numeri utili agli esperti del quotidiano francese per tracciare il loro disegno dell’inquinamento.

I dati più allarmanti riguardano 2 campioni analizzati, uno raccolto nel 2018 nelle acque superficiali, con una concentrazione di 451 nanogrammi di Pfas per litro di acqua e l’altro raccolto nel 2019 nelle ac-

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que profonde, con una concentrazione di 791 nanogrammi di Pfas per litro di acqua. Sopra i 100 nanogrammi per litro, la concentrazione viene definita pericolosa per la salute.

Negli anni successivi sono stati verosimilmente eseguiti alcuni lavori di bonifica e i campioni sono tornati a valori che non superano i 100 nanogrammi per litro. Nel 2022, le ultime analisi considerate da Le Monde evidenziano una concentrazione, per la nostra zona industriale, che va dai 38 ai 66 nanogrammi per litro.

I possibili rischi

Trattandosi di composti chimici, le combinazioni tossiche sono innumerevoli e al momento l’Agenzia Europea per l’Ambiente ne conta circa 4700. Fare prevenzione è difficilissimo, perché il progresso tecnologico produce composti chimici sempre nuovi che solo a distanza di tempo possono essere dichiarati più o meno inquinanti. Ciò che sappiamo è che i Pfas si accumulano nel tempo, tanto nell’uomo quanto nell’ambiente in cui vive, inquinando soprattutto l’acqua potabile. I livelli di guardia raggiunti nell’ultimo decennio sono il frutto di attività industriali che hanno avuto inizio alla metà degli anni ’50: nel nostro contesto sono il prodotto indesiderato di un’industrializzazione a tappe forzate di un Veneto passato nell’arco di trent’anni dalla povertà contadina al benessere portato dalle fabbriche. Al momento i rischi per la salute più evidenziati riguardano l’impatto negativo che i Pfas hanno sulla tiroide, sui livelli di colesterolo, sui carcinomi alla mammella, ai reni e ai testicoli, sul fegato e sulle malattie infiammatorie intestinali, come la colite ulcerosa. Nelle donne in gravidanza, alte esposizioni a Pfas possono causare ipertensione e preeclampsia (gestosi) o un maggior rischio di aborto, oltre a basso peso alla nascita dei bambini. Nei neonati e nei più piccoli, si è scoperto che i Pfas possono causare risposte ridotte ai vaccini, obesità, pubertà anticipata. Inoltre sembra che abbiano un effetto negativo sulla fertilità tanto maschile quanto femminile.

La risposta del territorio

Dal caso Miteni in avanti, da quando cioè si è scoperto che il livello allarmante di Pfas nell’Alto Vicentino stava causando danni alla popolazione e all’ambiente, le agenzie di controllo si sono mosse per analizzare la situazione.

L’Arpav, l’Agenzia regionale per la prevenzione e protezione ambientale del Veneto, esegue indagini periodiche. Le ultime disponibili, del 2021, evidenziano basse concentrazioni di Pfas nelle acque sotterranee.

Il rapporto compilato per il quinquennio 2013-2018 relativo alle acque superficiali dava risultati incoraggianti per il bacino del Leogra, più preoccupanti, anche se non oltre i livelli di guardia, per quello del Timonchio.

Anche ViAcqua, responsabile dell’approvvigionamento dell’acqua potabile, fa controlli periodici i cui risultati condivide con Arpav e Ulss. Al momento sembra che tutte le acque superficiali scledensi, da Santissima Trinità a Poleo, da Ca’ Trenta al Centro, da Giavenale alla zona industriale siano pulite e sicure.

“Al momento non c’è un allerta sul tema per quanto riguarda il comune di Schiodichiara l’assessore alle Politiche ambientali, Alessandro Maculan -. Gli enti locali non hanno competenze sui controlli, che vengono fatti da Arpav in quanto agenzia terza indipendente, e al momento tutto è nella norma. Questo però non significa che il tema dell’inquinamento da Pfas non ci preoccupi molto e siamo pronti a segnalare tutte le eventuali criticità che dovessimo riscontrare. In passato la zona industriale di Schio aveva fatto registrare dei dati allarmanti – penso che potrebbero essere proprio questi i numeri che poi sono finiti nel report di ‘Le Monde’ – che avevano dato avvio alla bonifica dell’ex area Lanerossi in accordo con la proprietà privata del sito. Purtroppo questo tipo di inquinamento è ancora troppo poco trattato e conosciuto e si tende a relegare a quelle aree dove ci sono stati negli anni i maggiori scandali ambientali. Tuttavia il nostro ecosistema è unico e interrelato e

i Pfas sono un problema di tutto il mondo industrializzato”.

Si tratta, spiega Maculan, di puntare a sensibilizzare la popolazione e collaborare con gli addetti ai lavori perché i cittadini siano sempre più consapevoli dei problemi ambientali. “Abbiamo aperto un tavolo di lavoro con Isde, l’Associazione Medici per l’Ambiente, e il desiderio è quello di organizzare serate pubbliche aperte a tutti gli scledensi – dice l’assessore -. Inoltre teniamo attentamente monitorato, assieme proprio ad Isede, Ava e ViAcqua, quello che è il trattamento dei fanghi da depurazione, altro tema molto delicato su cui è aperta una discussione sull’opportunità o meno di termovalorizzare questi scarti, data la carenza di studi scientifici sul tema e la possibilità che producano ulteriori sostanze inquinanti”. ◆

SchioMese

Periodico di informazione dell’Alto Vicentino

Supplemento mensile di Lira&Lira

Direttore

Stefano Tomasoni

Redazione

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Mirella Dal Zotto

Camilla Mantella

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Alessandro Berno

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Per le inserzioni pubblicitarie

Pubblistudio tel. 0445 575688

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L’inaugurazione

Attualità

Fine di una dimenticanza. Carlo Gramola, sindaco di Schio dal 1957 al 1970, artefice di scelte epocali per la città come l’individuazione e la nascita della zona industriale e l’intuizione del “polo” scolastico, finalmente ha ricevuto quell’omaggio e quel riconoscimento che mancava da parte della sua comunità, L’amministrazione comunale ha deciso di intitolare l’intera area del Campus scolastico appunto a Carlo Gramola. Lo ha fatto con una cerimonia che ha visto anche l’inaugurazione del nuovo “palestrone” dello stesso Campus, il parallelepipedo bianco costruito tra il “Pasini” e il liceo “Zanella” (più bello dentro che fuori, per inciso).

Si tratta di un passaggio significativo, e soprattutto dovuto. Perché se c’è un personaggio scledense del recente passato che ancora non aveva ottenuto un minimo di riconoscimento pubblico da parte delle istituzioni, per il ruolo svolto nel determinare il progresso della città, questo era Carlo Gramola. Chi scrive aveva perorato la causa dell’intitolazione all’ex sindaco di una via o di “qualcosa” di significativo in ambito cittadino già da una decina d’anni. Gramola, sindaco di Schio dal 1957 al 1970, è stato il sindaco che ha messo in moto lo sviluppo di Schio negli anni Sessanta, creando le condizioni perché si producesse il boom economico e sociale che in quel periodo. Il suo merito storico principale è quello di aver avuto l’intuizione di destinare allo sviluppo produttivo quella che oggi è diventata la grande zona industriale, una delle meglio organizzate e urbanizzate del Veneto. Ovviamente i meriti di aver fatto crescere in modo bilanciato quell’area sono

Il Campus ora ricorda Carlo Gramola

Finalmente colmata una mancanza che durava da troppo tempo: l’area del Campus è stata intitolata all’ex sindaco Gramola, che negli anni Cinquanta e Sessanta ebbe l’intuizione della zona industriale e del “polo” scolastico.

anche di chi a Gramola è succeduto, ma ad aver fatto scattare la scintilla è stata la sua amministrazione.

Ma anche in campo scolastico ci mise del suo, acquistando come Comune i terreni dove oggi c’è il “campus delle scuole” e cedendoli alla Provincia perché ci costruisse appunto gli istituti superiori. Ed ecco dunque il senso dell’intitolazione dell’Area Campus, luogo dove si concentrano le scuole, dunque i giovani e dunque, appunto, il futuro.

“La palestra – ha spiegato il sindaco Valter Orsi - è stata pensata come punto di riferimento per la crescita, l’educazione e la formazione dei giovani, tutti obiettivi cari a Carlo Gramola, che per primo ha intuito l’importanza di garantire la presenza di una cittadella degli studi e si è impegnato concretamente per la realizzazione di ciò che oggi è un Campus frequentato da migliaia di ragazze e ragazzi da tutto il territorio”. “Spirito di servizio: così nostro padre riassumeva quel suo mettersi a disposizione gratuitamente della comunità, essere parte attiva del senso civico, il mettere al primo posto il bene comune – ha detto la figlia, Serenella Gramola -. Fin da giovanissimo si è dedicato all’impegno nel mondo cattolico, sindacale, politico, ma forte è stata la sua attenzione per i giovani e la loro istruzione. Ha saputo unire lo spirito industriale di Schio all’importanza di offrire istruzione e formazione alle nuove generazioni, tessendo un filo ideale tra la creazione della zona industriale e la cittadella degli studi, le due sue intuizioni più lungimiranti. Siamo qui perché il suo esempio possa ricordare ai giovani che lo studio, l’amore per la conoscenza sono valori preziosi”.

Adesso, dunque, l’intitolazione del Campus a Gramola mette fine a un’assenza che stava diventando davvero troppo lunga, per un personaggio che ha lasciato il segno su temi oggi decisivi per la crescita di una comunità, il lavoro e l’istruzione. E che andava ricordato. ◆

Lo Schiocco

Nuove iniziative commerciali

Via Porta di Sotto, si sa, ha le sue criticità, non soltanto dal punto di vista del decoro, spesso latitante in vari modi e forme, ma anche, a volte, dal punto di vista dell’igiene pubblica. C’è però qualcuno che pare si stia dando da fare per rivitalizzarne quantomeno il commercio, in questo caso aprendo un negozio di rivendita rifiuti. E lanciando una nuova iniziativa promozionale, lo Sbaracco delle scoasse. [S.T.]

[6] ◆ SchioMese
della palestra del Campus e, sotto, la targa apposta poco distante, a suggellare l’intitolazione del polo scolastico a Carlo Gramola

I Miotto nrel 1993 si inventarono anche “Il presepe più pesante del Veneto”, con i personaggi che avevano una stazza notevole e si sistemavano sotto Natale nella barchessa di fianco al negozio, travestiti in modo improbabile, raccogliendo offerte andate sempre in beneficenza.

Dopo quarant’anni, hanno chiuso la loro attività i fratelli Miotto, noti in città per la loro rivendita di vini e birre di qualità. Tantissimi scledensi sono passati nel loro locale-abitazione di via Almerico da Schio, dove l’assaggio veniva sempre offerto con un sorriso e una pacca sulla spalla.

I fratelli sono tre: Piero, Paolo e Francesco. Quest’ultimo ha fatto parte del trio per una decina d’anni, unendo all’attività commerciale la passione per la musica, con il gruppo rock “John Gulasch & i Kanederli”, che a suo tempo ha spopolato in feste e sagre. Poi, a proseguire sono stati solo Piero e Paolo, il primo dotato di gusto e olfatto sopraffino per scegliere i vini, il secondo addetto soprattutto alla parte più strettamente commerciale: insieme, si sono sempre completati vendendo alla clientela, composta soprattutto da privati, vini sfusi provenienti da cantine selezionate del Veneto, del Friuli, del Trentino e del Piemonte. Unitamente al vino, consigliavano i momenti per travasarlo e imbottigliarlo, appassionando gli avventori che acquistavano la divina bevanda passandola poi in bottiglie che qualcuno personalizzava pure; i clienti dei Miotto, tra un passaparola e l’altro, erano sparpagliati in tutto il Trive-

Brindisi di saluto per i fratelli Miotto

Un piccolo tassello di storia del commercio e del costume cittadino se ne va: dopo quarant’anni ha chiuso i battenti la rivendita di vini e birre di via da Schio.

neto, ma anche in Liguria e in Emilia Romagna.

“Qualcuno si è commosso quando abbiamo detto che ce ne andavamo in pensione - dice Paolo – ma purtroppo non abbiamo trovato familiari disposti a sostituirci e nemmeno qualcuno propenso a rilevare l’attività. La passione per il vino ce l’ha trasmessa papà, dirigente all’ex Inam di Schio e grande appassionato di vini. Siamo dispiaciuti di non essere riusciti a passare il testimone”.

“A me viene il groppo in gola - continua Piero – però mi rendo conto che la vita è fatta di periodi che iniziano e finiscono. Ricordo i nostri primi anni, molto duri ma pieni di entusiasmo; ho lasciato un lavoro sicuro al Lanificio Conte per dedicarmi alla mia passione, ma non me ne sono mai pentito. Abbiamo avuto delle belle soddisfazioni, soprattutto dai clienti, e con parecchi abbiamo stretto amicizia, tant’è che abbiamo deciso di fare con loro, ma anche con chi si trovava a passare dalle nostre parti, una festa finale di chiusura”. E chi, fra clienti, conoscenti e passanti casuali, non ricorda “Il presepe più pesante del Veneto”? I Miotto se lo sono inventati a partire dal ‘93, con un ristretto gruppo di amici: i personaggi avevano una stazza notevole e si sistemavano sotto Natale nella barchessa di fianco al negozio, travestiti in modo improbabile, pronti a raccogliere offerte che, negli anni, sono andate alle famiglie bisognose della città, ai terremotati, al Cuamm-Medici per l’Africa... Nel corso del tempo, l’idea del presepe si è via via potenziata e perfezionata, tant’è che l’iniziativa è stata trasmessa da reti televisive e raccontata anche in radio dal “Ruggito del

coniglio”. Il presepe è stato realizzato fino alla pandemia e poi non è più stato ripreso, anche perché un paio di componenti storici sono venuti a mancare.

E qui ci sentiamo sicuramente di affermare, in barba a strani dettami europei, che il vino dei Miotto faceva (del) bene… ◆

Dopo un periodo sperimentale, sono stati definitivamente regolamentati i cosiddetti “parcheggi rosa” in piazza Statuto e in piazza Almerico. L’istituzione di due stalli sosta in entrambe le piazze cittadine, riservati alle donne in gravidanza e con bambini piccoli, risale a luglio 2015. All’epoca si confidò nell’educazione civica dei cittadini per il rispetto della particolare destinazione d’uso dei parcheggi, anche perché a quel tempo non erano normati in alcun modo dal Codice della Strada. Due anni fa è poi arrivata una norma che ha integrato il Codice, definendo per questi spazi le caratteristiche tecniche della, segnaletica, i requisiti e la procedura per ottenere il diritto di utilizzo. È previsto infatti ora il rilascio di un “permesso rosa” che viene rilasciato per veicoli a servizio di donne in gravidanza o a genitori con bambini di età non superiore a due anni, accompagnata dalla relativa documentazione di certificazione.

Chi possiede il permesso rosa ha dunque diritto alla sosta gratuita negli stalli contrassegnati, per un massimo di due ore, in modo da garantire il ricambio dei potenziali utenti, con obbligo quindi di esporre sul cruscotto sia il pass che il disco orario.

La procedura richiede una tantum il pagamento di 10 euro per spese d’ufficio.

“Parcheggi rosa”, adesso ci sono le regole per usarli
I fratelli Miotto, per decenni presenza vivace nel panorama commerciale e sociale scledense
[8] ◆ SchioMese
Attualità

Attualità

Quel ramo di via Camin che volge a sud, tra il campo sportivo a fianco del cimitero di Magrè fino al mercatino missionario, tutto buche e ghiaino… avrebbe proprio bisogno di una bella regolata. Sono anni ormai che quel tratto di strada bianca, compreso appunto nel tracciato dell’interminabile via Camin, viene usata in modo improprio da non pochi automobilisti che la interpretano come asse alternativo di attraversamento del quartiere, creando disagi e anche qualche discreto pericolo per chi invece ne fa uso per passeggiate o per entrare e uscire legittimamente da un proprio appezzamento di terra. Ai tempi del lockdown da Covid questo sterrato è stato usato anche per “svicolare” qualche divieto di uscire di casa e ridurre il rischio di essere beccati in castagna. Adesso, però, con il ritorno sia della normalità che della bella stagione, che porta camminatori e ciclisti a frequentare più volentieri i punti più agresti e panoramici della città, sarebbe il caso di regolamentare il traffico di questa strada bianca. A spiegarne bene i motivi è uno dei suoi assidui frequentatori a piedi o su due ruote, che incontriamo appunto lungo il percorso.

“La strada bianca, già di suo stretta di carreggiata tanto da far transitare un solo autoveicolo, è un accesso ai proprietari dei fondi coltivati, quindi vi passano principalmente mezzi agricoli e altri veicoli. E

Usi e abusi dello sterrato di via Camin

La parte sterrata di via Camin che corre tra il campo sportivo a fianco del cimitero di Magrè e il mercatino missionario è usato in modo improprio da automobilisti che lo prendono per un asse alternativo di attraversamento del quartiere, creando disagi e pericoli per pedoni e famiglie a passeggio.

tuttavia viene utilizzata anche da gente che vuole evitare di incappare in controlli con autovetture datate e non a norma, a giudicare dalle condizioni e dal forte odore di benzina agricola, o comunque altamente inquinanti. Essendo immersa nella campagna, la strada è molto frequentata per passeggiare da adulti e bambini, mamme con neonati in carrozzina, anziani, disabili… tutti, ogni qualvolta transita un automezzo, devono stringersi sul ciglio della stradina per lasciare il passo, ed è spesso un disagio, soprattutto quando sono presenti pozzanghere create da qualche pioggia. Il

Lo Schiocco

Interpretazione di una foto

Di questa immagine, scattata all’angolo tra via Maraschin e via Rossi, secondo noi ci sono tre possibili interpretazioni.

1) È un’opera d’arte concettuale pronta per la Biennale di Venezia e simboleggia il calore della famiglia, con i due genitori uniti e affiatati e il figlio leggermente più scostato perché già reclama la propria indipendenza.

2) È un richiamo alla saga di Guerre Stellari, con la fotocopiatrice che rimanda al robot C1-P8 e i due container gialli che si rifanno al simpatico D-3BO, l’umanoide giallo dorato che si muove tutto a scatti.

3) È un atto di denuncia contro lo stato di abbandono del Villino Rossi: la fotocopiatrice in disuso addossata al muro di cinta dell’edificio vuole ricordare il

diroccamento avanzato di quello che un tempo fu l’Ufficio delle entrate, dove quei macchinari abbondavano.

Poi vabbè, ci sarà magari anche chi nella foto vorrà per forza vederci una vecchia fotocopiatrice in disuso abbandonata nottetempo da qualche gretto incivile con più mani che neuroni. Però bisognerebbe proprio essere aridi dentro per vederla così, dai. [S.T.]

passaggio di auto e moto è anche una fonte di possibili rischi rappresentati ad esempio da qualche sasso che può schizzare dalle ruote e colpire qualcuno, più facilmente ad altezza di bambino”.

Ci sarebbe da ridire, peraltro, non solo su chi transita in auto per passare da parte a parte del quartiere, ma anche su certi passeggiatori che portano a spasso il cane –magari pure di discreta taglia – tranquillamente senza guinzaglio e a volte senza curarsi di tenerselo quantomeno vicino, lasciando cioè che se ne vada avanti di dieci metri o scordandoselo indietro di altrettanto. Capita che, a farglielo notare, rispondano quasi regolarmente “ma è buono, non fa niente”, mettendo la mano sul fuoco circa il comportamento di quello che rimane un cane e accettando il rischio di dover scucire un anno di stipendio di risarcimento nel caso che un giorno o l’altro il buon cane abbia una reazione inconsulta contro un altro cane o un passante. Ma restando al problema del transito delle auto, intanto per mettere un po’ di ordine lungo questo tratto sterrato di via Camin si potrebbe cominciare con l’installare dei cartelli di divieto di transito a tutti i veicoli a motore non autorizzati, consentendo ovviamente l’accesso ai proprietari dei fondi e a chi deve fare delle lavorazioni in zona. Certo, in mancanza di telecamere o di controlli da parte dei vigili, sarà difficile che la situazione cambi in modo significativo, ma magari la presenza di divieti ben chiari può scoraggiare almeno quelli che ancora si fanno qualche remora a infrangere in modo palese una norma. ◆

[10] ◆ SchioMese
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Attualità

Si avvicina il momento dei bilanci per la mostra “Porte del Pasubio. 1916-2022”, ospitata da ottobre a Palazzo Fogazzaro e la cui apertura è stata prorogata di un mese, arrivando fino al 1° maggio. Bilanci che si prospettano già positivi, considerato che a oggi sono già 8 mila i visitatori.

Curata da Claudio Rigon, scrittore, fotografo, storico, ricercatore e insegnante di fisica, che già aveva firmato la precedente esposizione sul centenario della Strada delle 52 Gallerie, la mostra racconta gli ultimi cento anni del Rifugio A.Papa, inaugurato nel 1922 sul sito dove era stato costruito uno dei più importanti avamposti del fronte bellico.

L’esposizione è davvero ricca, soprattutto per quanto riguarda le testimonianze fotografiche. Il lavoro certosino e filologico che è stato compiuto sul recupero delle fotografie, molte delle quali inedite e provenienti da archivi privati sparsi su tutto il territorio nazionale, è notevole e consente di ricostruire tanto il punto di vista di chi ha vissuto il conflitto nella zona di porte del Pasubio quanto quello di chi, subito dopo la guerra, ha iniziato ad appassionarsi della montagna e delle sue bellezze naturalistiche.

Il percorso di visita si sviluppa in quattro sezioni. Nella prima si approfondisce la costruzione del “Milanìn” del Pasubio, il complesso di costruzioni eretto per coordinare

La mostra sul Pasubio supera quota 8 mila

le attività al fronte durante il primo conflitto mondiale. Nella seconda si illustra la nascita, dalle ceneri di questo complesso, del primo Rifugio Pasubio. Nella terza si racconta di un crescente interesse per la montagna, degli sforzi dell’Ente Provinciale del Turismo per promuovere il complesso del Pasubio, con l’apertura della Strada degli Eroi e l’inizio dell’ascesa in autovettura alla cima, con le prime gite in corriera. Nella quarta si riflette sullo sviluppo del Rifugio Papa e sulle sfide di un escursionismo che si vuole sempre più rispettoso e sostenibile.

“Con questa mostra abbiamo ripercorso la storia di un luogo caro a tutto il territorio e che oggi è conosciuto a livello internazionale grazie ai numerosi turisti che frequentano le nostre montagne - spiega l’assessore alla Cultura e alla promozione del territorio, Barbara Corzato -. I tanti visitatori hanno apprezzato le oltre trecento fotografie in mostra e hanno avuto modo di conoscere da vicino le vicende di un luogo nato per essere ‘casa’ per i soldati durante la prima guerra mondiale. Ci hanno fatto piacere soprattutto gli apprezzamenti dei

più giovani, che non si aspettavano di vedere così raccontate le nostre montagne. Le visite degli studenti dei vari istituti scolastici del territorio sono state un modo per far scoprire ai ragazzi la ricchezza del nostro passato e per far comprendere come la pace in cui oggi viviamo, pur nelle difficoltà dell’odierno contesto internazionale, non va data per scontata: è necessario lavorare per scongiurare guerre e crudeltà che solo un secolo fa funestavano la vita di coloro che vivevano alle porte del Pasubio”.

Dal punto di vista organizzativo è stata apprezzata la soluzione del biglietto di visita aperto, che consente agli interessati di poter tornare a godere della mostra anche dopo aver già effettuato un primo ingresso, data la mole dei contenuti esposti. Quasi un visitatore su due è effettivamente tornato una seconda volta per completare il percorso o approfondirne alcune parti. Ben costruito anche il sito internet dedicato all’esposizione, che propone suggerimenti escursionistici sui luoghi raccontati in mostra e offre consigli per godere del territorio circostante. La possibilità di prenotare direttamente on line una visita guidata, curata da Biosphera, è stato un ulteriore segno dello sforzo fatto per divulgare al pubblico il progetto.

Si dovrà attendere ovviamente il dopo-chiusura per un bilancio finale, ma al di là dei numeri, è già un’evidenza il fatto che proposte come questa, rese possibili dalla collaborazione tra ente locale e soggetti privati (CAI Schio in primis), arricchiscano l’offerta turistico-culturale locale. ◆

A oggi i visitatori di “Porte del Pasubio 1916-2022”, allestita a Palazzo Fogazzaro, sono già 8 mila. E la proroga dell’apertura fino al 1° maggio fa immaginare un bilancio finale ulteriormente in positivo.
[12] ◆ SchioMese

Cocci di ceramica antica in una casa di via Mazzini

La “fossa da butto” era un tempo il luogo in cui venivano smaltiti i rifiuti. Era una buca nel terreno, abbastanza vicina alla cucina, anche se per il passato, in un’economia parsimoniosa anche per i benestanti, il rifiuto organico doveva ridursi a poca cosa. Sicuramente venivano buttati gli oggetti non più utilizzabili: stoviglie rotte per esempio e residui di cibi non più commestibili.

Oggi la scoperta di queste fosse rappresenta un evento fortunato, perché spesso contengono frammenti di ceramica che sono un indicatore del grado di evoluzione di una collettività. In via Mazzini di recente, durante i lavori di ristrutturazione di una casa, ne è venuta alla luce una. Contene-

va un certo numero di coloratissimi frammenti, appartenenti a manufatti di epoche diverse. Il terreno appariva smosso già in precedenza, perché in quel posto negli anni Novanta del Novecento era stato realizzato un bagno: quelli che avevano eseguito i lavori allora, non dovevano aver fatto caso a questi reperti che si trovavano mescolati alla terra. Anzi probabilmente hanno contribuito a frammentarli ancora di più a picconate. Quello che riportiamo in questa pagina (il più interessante) è parte di una ciotola, riccamente decorata all’interno e lasciata grezza all’esterno. Si nota un volto di profilo, con una strana acconciatura a riccioloni, disegnato con grande sicurezza, incidendo la creta; il volto è circondato da eleganti volute vegetali. L’oggetto ha

un diametro di 18 centimetri e un’altezza di 6. Questo tipo di ceramica, che è detta graffita, ha origini molto antiche e i primi esemplari provenivano dall’oriente. Secondo un esperto, il reperto risalirebbe al sedicesimo secolo. Come si può vedere non si tratta di manifattura seriale, che anche in quelle epoche remote era molto vivace e che permetteva di produrre grandi quantità di oggetti con tratti veloci e sommari di pennello, ma siamo di fronte a una cosa, rifinita nei particolari.

Forse sarebbe interessante che qualche esperto di ceramiche antiche dedicasse un po’ del suo tempo allo studio di questi reperti. Magari ne potrebbe uscire un nuovo capitolo di storia scledense, marginale fin che si vuole rispetto ai grandi eventi, ma probabilmente non banale.

“Nel paese del tesoro” è il titolo di un prezioso libro di memorie locali pubblicato nei mesi scorsi da Lucio Remeres Allari. Il sottotitolo spiega già bene il filone narrativo del lavoro: “Racconti, storie e leggende di un paese della val Leogra”. Il paese è quello dove l’autore è nato e vissuto a lungo, prima di trasferirsi a Schio, ossia Pievebelvicino. Il libro, però, non è un viaggio nostalgico alla ricerca del tempo perduto, ma è piuttosto la testimonianza briosa e divertita di un mondo che, come ricorda nella prefazione Giuseppe Rubini, era “fatto di corse fra compagni, di giochi ripetitivi ma sempre nuovi, di scherzi architettati con sottile ironia”. Dunque non pagine di rimpianto, ma di “consapevole tributo verso amici e luoghi, avventure e personaggi che hanno contribuito alla crescita dell’autore”. I ricordi partono dagli anni Quaranta e Cinquanta, passano per le “bande” che i ragazzini all’epoca creavano fin dall’asilo nei diversi quartieri, ognuna con un suo capo riconosciuto, arrivano alla scuola elementare, alle prime giostre arrivate in paese, al piccolo cinema di Pieve e ai giochi (“costruire un arco, una fionda, una tromba, le frecce, pistole o fucili a elastico, spade, scudi, il forte, il casotto di frasche ma

Quando il vero tesoro è la memoria del paese

“Nel paese del tesoro” è il titolo di un libro di memorie locali di Lucio Remeres Allari. Il sottotitolo spiega già bene il filone narrativo: “Racconti, storie e leggende di un paese della val Leogra”.

anche aerei di legno o barche da far navigare sul Leogra o sul Livergon”).

Una sezione del libro è espressamente dedicata a “storie di paese, persone e personaggi”, ecco allora “Gioanin col piffero”, “L’omo con la barba”, Gildo, Tarzan, il “prete da corsa”, Bepi (raccontato da Silvino Marzotto), e altri ancora.

Una buona fetta del volume è dedicata al “tesoro del Mantese”, mitica storia di paese fatta girare nel 1939 da un paesano, Vittorio Mantese, che all’epoca aveva raccontato di una sua fantomatica scoperta, tra dedali di gallerie e un misterioso tesoro addirittura di epoca etrusca o romana, inventandosi

tombe con iscrizioni indecifrabili, ossa di cavalli con preziose bardature, statue e gioielli. Una vicenda che era finita per un mese sui giornali (anche nazionali) e sulla bocca di tutti, e che nei decenni successivi sarebbe stata in qualche modo tenuta viva dai ricordi dei paesani, finendo per far fantasticare generazioni di bambini, tra cui quella di Allari. Ecco allora i capitoli del libro dedicate ai ricordi legati alla ricerca di un tesoro che teneva vivo quel bisogno di fantasia e di avventura che alberga in ogni bambino. Ma alla fine il vero tesoro è quello della memoria di paese che Allari qui contribuisce a preservare, mettendola nero su bianco. ◆ [S.T.]

VISTO
CASTELLO /3 [14] ◆ SchioMese
DAL

Attualità

In questi 100 anni, in effetti, i valori dello scoutismo sono diventati parte della stessa identità cittadina. Attraverso Schio 1° e tutti gli altri gruppi scout scledensi, sono passate migliaia di persone che oggi partecipano a ogni ambito della vita comune.

Gli scout di Schio 1°

compiono cent’anni

Il gruppo scout Schio 1° si prepara a festeggiare il suo primo secolo di strada con un ricco programma di attività che dall’8 fino al 25 settembre coinvolgerà oltre ai membri attuali, anche i “vecchi” scout del gruppo e l’intera cittadinanza. Tutti avranno l’opportunità di camminare, costruire qualcosa con le proprie mani, mettersi in gioco, sedersi intorno a un fuoco per cantare o cucinare: uno degli obiettivi di questo evento è infatti quello far conoscere meglio agli scledensi le tecniche, lo stile e i valori dello scoutismo che da cento anni è di casa nel cuore della città. I ragazzi e le ragazze dal fazzolettone giallo e rosso infatti sono presenti con le loro attività in centro fin dal 1923, anno di fondazione del gruppo presso l’Oratorio dei Salesiani. In seguito lo Schio 1° si è trasferito a Palazzo Boschetti, il cui parco ospita a tutt’oggi la sua sede, animata ogni sabato pomeriggio da tanti bambini e ragazzi. Un gruppo che gode ancora di ottima salute a giudicare dal numero di iscritti: sono ben 170 i tesserati, in un arco di età che va dall’infanzia, con i Lupetti e le Coccinelle, e via via a salire attraverso i “Reparti” femminile e maschile, il Clan e la Comunità Capi.

I ragazzi e le ragazze dal fazzolettone giallo e rosso sono presenti con le loro attività in centro fin dal 1923, anno di fondazione del gruppo presso l’Oratorio dei Salesiani. In seguito lo Schio 1° si è trasferito a Palazzo Boschetti, il cui parco ospita tuttora la sede.

“Noi scout siamo molto attenti a dare importanza alle cose importanti” spiegano Francesco Galbusera e Silvia Sartore, capigruppo dello Schio 1°. Lo stesso cammino scout infatti prevede cerimonie per celebrare tutti i suoi momenti più significativi: le promesse, i passaggi, le partenze… “E a maggior ragione - continuano - sentiamo la necessità di dare importanza al centenario del nostro gruppo, che, senza dubbio, rappresenta per tutti noi un traguardo straordinario”.

Questo anche perché in tutti questi anni, come sottolineato dai capigruppo, la proposta scout, basata sulla vita all’aria aperta, il servizio verso gli altri e il cammino di fede, pur essendosi evoluta nella forma, è rimasta la stessa nella sostanza.

“Aver mantenuto la nostra identità e il nostro stile, nonostante tutti gli sconvolgimenti che hanno interessato Schio e il mondo dal 1923 a oggi, è una conferma del fatto che le nostre scelte non devono poi essere così fuori dal mondo”.

Si prepara l’evento di “compleanno”

In questi 100 anni, in effetti, i valori dello scoutismo sono diventati parte della stessa identità cittadina. Attraverso Schio 1° e tutti gli altri gruppi scout scledensi, sono passate migliaia di persone che oggi partecipano a ogni ambito della vita comune.

“E ci piace pensare - continuano Galbusera e Sartore - che questa esperienza abbia

lasciato in ciascuno un seme: l’invito del nostro fondatore Baden Powell a lasciare il mondo un po’ migliore di come lo abbiamo trovato”.

Proprio per rendere ancor più solido il legame con la città, il gruppo ha voluto aprire alla cittadinanza le celebrazioni del centenario. “E per lo stesso motivo, nel nostro progetto educativo per i prossimi anni, abbiamo voluto mettere al centro l’attenzione per Schio e per il nostro territorio. Nonostante proprio gli ultimi tempi, a causa della pandemia, siano stati particolarmente difficili per portare avanti le nostre attività, oggi più che mai è forte nei giovani la voglia di rimettersi in gioco”.

Questo evento dunque, il cui lavoro preparatorio è iniziato già da due anni, sarà non solo un momento per la grande famiglia di Schio 1° in cui ritrovarsi e riunirsi, ma anche un’occasione speciale in cui la città può avvicinarsi al mondo scout e imparare a conoscerlo meglio. “Le porte della nostra associazione - concludono i capigruppo - sono sempre aperte, senza preclusioni, a tutti i ragazzi e le ragazze dagli otto anni in su che vogliono vivere insieme a noi questa grande avventura… che continua”.

Il programma del centenario si articolerà in due fasi. La prima, aperta a tutta la cittadinanza, si svolgerà il secondo e il terzo fine settimana di settembre, in Valletta e a Palazzo Boschetti, sede del gruppo. Sarà l’occasione per imparare giocando alcuni

[16] ◆ SchioMese

degli aspetti e delle tecniche più caratteristici dell’esperienza scout, oltre che a raccontare la storia dello Schio 1° attraverso una mostra che ne ripercorrerà il primo secolo di storia sfogliando l’archivio fotografico del gruppo e che rimarrà visitabile almeno fino a fine mese.

Due giorni di festa al Tretto

Il secondo momento sarà invece associativo, rivolto ai membri attuali e passati del gruppo e alle loro famiglie e si svolgerà sabato e domenica 23 e 24 settembre a Bosco di Tretto. Sarà un’occasione per vivere e rivivere insieme due giorni di scoutismo con camminate, pasti comuni preparati dalla cambusa di gruppo, alzabandiera, un grande gioco… e naturalmente il cerchio serale attorno al fuoco di bivacco con i canti e la classica animazione scout, cui seguiràtempo permettendo - la veglia alle stelle e il pernottamento in tenda.

Fra le attività rivolte a tutti i ragazzi e ragazze di Schio, venerdì, sabato e domenica 8, 9 e 10 settembre, in Valletta, ci saranno laboratori di costruzioni in legno, in cui saranno realizzate con tronchi e legature di corda le tipiche strutture da campo, un gruppo di canto per provare insieme le più belle canzoni scout accompagnate dalla

chitarra, la scuola di cucina “trapper” per bambini, in cui si impareranno tante ricette da preparare direttamente sul fuoco di bivacco, una caccia al tesoro speciale basata sull’uso di mappe interattive, il laboratorio “casaro per un giorno” e la bottega artistica.

Il fine settimana successivo a Palazzo Boschetti saranno invece aperti vari laboratori artistici (cianotipia, quilling, produzione di sapone con olio di oliva) e di tecniche di espressione tipiche dell’animazione scout, un corso per la mappatura del territorio basato su Open Street Map e ancora la bottega del casaro. La sera sarà organizzata una veglia di canti intorno al fuoco e a pranzo pic-nic libero per tutti i “vecchi” scout. E altre attività sono ancora in fase di organizzazione.

gruppi che cureranno ciascuno un’attività o un momento fra i tanti previsti”. Finora gli ex scout che hanno risposto all’appello sono stati una sessantina, ma molti altri sono attesi come partecipanti alle celebrazioni. ◆ SchioMese ◆ [17]

A fare da regia a questo ricco programma è un’apposita commissione istituita all’interno della comunità capi del gruppo Schio 1° e composta da Francesca Totti, Stefano Marchesini, Edoardo Bassan e Daniela Collicelli. “Il primo passo ufficiale è stato quello di far circolare una lettera di invito fra gli ex scout del gruppo per coinvolgerli nella scelta e definizione delle varie attivitàspiega Francesca Totti -. In seguito abbiamo lavorato per facilitare la formazione di Attualità

Spettacoli

Gli appassionati di jazz li attendevano da quando sono stati annunciati in stagione e per Paolo Fresu e Rita Marcotulli, il Civico è risultato gremito in ogni ordine di posti. Si tratta di musicisti che non hanno bisogno di presentazioni, sono l’anima del jazz italiano e risultano molto apprezzati anche a livello internazionale. Non avevano mai suonato insieme, però, e con questo loro concerto, che sta girando per l’Italia con grande successo, hanno dimostrato, oltre a una tecnica impeccabile, una sensibilità e un affiatamento unici.

Sono dei ricercatori del bello nella musica, e lo fanno a volte in maniera semplice e diretta, altre introducendo un po’ di elettronica, per tuffarsi in una contemporaneità che non disdegnano e che permette loro di sperimentare e di esplorare. Improvvisano con eleganza, sfruttando ogni sonorità dei loro strumenti: il pianoforte per la Marcotulli, la tromba e il filicorno per Fresu. Al Civico hanno proposto, fra l’altro, le loro versioni di “Non ti scordar di me”, di “Terra mia” di Pino Daniele (con cui hanno collaborato più volte), di una splendida lauda del 1200, brani di De André, affidando i bis a colonne sonore che hanno composto per il cinema. Una serata raffinata, giunta dritta dritta alla testa e al cuore, con un’istantaneità di sensazioni che solo la grande musica, e i grandi interpreti, sanno dare.

La danza di Favale e delle Supplici

In prima regionale, il Civico ha ospitato “Alce”, spettacolo di danza contemporanea di e con Fabrizio Favale e Le Supplici, inserito nel Festival Danza in Rete che fa capo al Comunale di Vicenza. Favale, uno dei principali autori e interpreti della danza italiana, particolarmente orientato all’astrazione, ha scandagliato in questo lavoro il rapporto uomo-animale, mettendo in scena un gruppo di ballerini molto affiata-

Primavera tra jazz, danza e musica da camera

Marzo e aprile hanno riservato, per gli appassionati, un concerto jazz di Paolo Fresu e Rita Marcotulli, una serata di danza contemporanea con Fabrizio Favale e Le Supplici e un concerto del quartetto d’archi “Le corde del mondo”

to che ha saputo portare il pubblico in una dimensione-altra, aiutandolo a immaginare foreste e mari abitati dove si muovevano con tecnica ineccepibile, alternata a movimenti insoliti copiati proprio dagli animali, dei ballerini in grado di sincronizzarsi alla perfezione.

Ci sono stati notevoli assoli e duetti, ma colpiva soprattutto il legame del gruppo, che si scomponeva e ricomponeva con rapidità e precisione. Le musiche, oniriche, ritmate, a tratti rarefatte, hanno accompagnato tutti i passaggi e contribuito a creare suggestioni. Alquanto poetico il finale, unico momento in cui un essere umano si è avvicinato all’alce per porgergli del cibo, stabilendo così il legame uomo-animale che è sempre stato e sempre sarà.

Ulteriori appuntamenti con Danza in Rete Festival saranno sabato 29 aprile, alle 18 in Piazzetta Garibaldi e alle 21 al Civico.

Avviato il ciclo di musica da camera

In Sala Calendoli si è tenuto il primo dei tre concerti di musica da camera programmati nell’ambito di Schio Musica, per avere in scena giovani e talentuosi interpreti di livello internazionale. È toccato al quartetto d’archi “Le corde del mondo” inaugurare

la breve rassegna, partita con un buon successo di pubblico.

Il gruppo, nato all’interno del Conservatorio “Benedetto Marcello” di Venezia, conta su quattro musicisti: tre provenienti dall’est Europa e una dal Venezuela. Attivi alla Mostra del Cinema e al Carnevale di Venezia, a Schio hanno proposto una celebre serenata e un divertimento di Mozart e altri brani di Debussy, Ravel e Bregovic. Li abbiamo preferiti in questi ultimi, anche se l’esecuzione dei pezzi mozartiani è risultata di tutto rispetto.

Campus Company ha fatto “Goal!”

I ragazzi della Campus Company, guidati da Ketty Grunchi e Cristina Pevere, si sono cimentati in “Goal!”, alla scoperta dello spirito di squadra, della collaborazione e del valore dello sport, attraverso il racconto di una storia realmente accaduta, in cui un gruppo di ragazze milanesi dà vita alla prima squadra di calcio femminile nell’Italia del fascismo, tra mille difficoltà. Lo spettacolo è stato dedicato a tutte le donne che amano la libertà e che stanno combattendo per questo. [M.D.Z.]

[18] ◆ SchioMese
Il quartetto d’archi “Le corde del mondo” Rita Marcotulli e Marco Fresu hanno fatto ancora una volta il pieno al Civico con il loro repertorio jazz

Spettacoli

Oltre al recupero, domenica 30 aprile, del concerto con I Musici di Guccini, rimandato per l’influenza di uno dei componenti del gruppo, Scoppiospettacoli organizza all’Astra, a maggio, altre tre serate. Sabato 6, appuntamento con il cabarettista Paolo Cevoli nel suo “Andavo a 100 all’ora”, in cui racconterà com’era la vita senza internet, cellulari, tv in bianco e nero: una spiegazione esilarante rivolta principalmente ai nipoti e ai ragazzini di oggi, ma anche nostalgico revival di un tempo in cui “non era meglio”, ma forse sì... Cevoli, classe 1958, noto al grande pubblico per una decennale partecipazione a Zelig (ricordate l’esilarante macchietta dell’assessore Palmiro Cangini?) farà ridere di noi stessi, per poi tornare, nei giorni a seguire, alla sua professione ufficiale: consulente nel settore della ristorazione, pensa un po’. Ha iniziato a far ridere proprio nell’albergo di famiglia a Riccione, ha gestito il Grand Hotel di Rimini e ha una laurea in legge. Far ridere è comunque la sua gratificazione più grande.

Domenica 7, serata in onore di Fabrizio De André; lo spettacolo, diretto da Emiliano Gallegani, ricorda Faber anche con video esclusivi e porterà lo spettatore dritto dritto nel mondo del cantautore genovese, dove la libertà di espressione e l’attenzione per gli emarginati erano al primo posto. Venerdì 12, già sold-out, “Alice canta Battia-

Prima i Musici, poi Cevoli, Faber e Alice

to”, con Alice, Carlo Guaitoli (pianista, direttore d’orchestra, collaboratore del cantautore siciliano) al piano e Chiara Trentin al violoncello. Si ascolterà l’omaggio autentico ed elegante che la cantante farà al suo maestro, a cui era legata da profonda amicizia e forte affinità artistica; nel 2016 un tour li aveva visti insieme, con grande successo di pubblico e di critica. Stavolta Alice sarà sola sul palco a cantare, fra gli altri brani, “I treni di Tozeur”, “Prospettiva Ne-

vsky”, “Il vento caldo dell’estate” e anche quella canzone, “Per Elisa”, che Battiato e Giusto Pio le avevano scritto per il Sanremo dell’’81, portandola alla vittoria. Venerdì 19 Eleàzaro Rossi, comico della stand-up comedy, “nato” su Youtube ma arrivato al grande pubblico grazie a Le Iene, proporrà i suoi irriverenti monologhi in “L’ora di religione”, toccando quei rapporti familiari che gli stanno così a cuore da riversarli impietosamente sul palco.◆ [M.D.Z.]

La stagione ha chiuso con irriverenza

Achiudere la stagione della Fondazione Teatro Civico è stato uno spettacolo irriverente, di rottura, disturbatore di quiete coscienze provinciali poco avvezze, a teatro, al linguaggio violento e scurrile: un turpiloquio quasi blasfemo che però, dopo un inizio a voci altissime e così incalzanti da impedire spesso la ricezione delle battute, si è via via ridotto e alla fine ha trovato una sua ragion d’essere e un suo riscatto.

Con “Miracoli metropolitani” di Carrozzeria Orfeo, al Civico la Fondazione ha “osato” scuotere le coscienze con un testo che mette in scena i brutti, gli sporchi e i cattivi: uno chef stellato costretto a sfamare intolleranti, un’arrampicatrice sociale con

i follower come scopo della vita, un ragazzo autorecluso e maniaco, un carcerato che vuol fare l’attore, un professore aspirante suicida, un’ex brigatista madre fallita ma pronta a nuovi attentati, un’immigrata incinta con il rischio di essere cacciata da un paese che rifiuta lo straniero: tutti falliti, soli, alla deriva, che però alla fine fanno emergere la loro umanità e sorprendentemente si riscattano. Attorno a loro, un disastro ambientale causato dall’esplosione delle fogne, con liquami che ricoprono materiali, azioni e pensieri.

L’autore, Gabriele Di Luca, s’è aggiudicato con “Miracoli metropolitani” la selezione nel programma americano Italian Playwrights Project di scrittura creativa,

per la drammaturgia originale ancorata al presente; in effetti, sono andati in scena coloro che oggi sono i nuovi emarginati, che parlano e agiscono così. Forse si poteva tagliare qualcosa, perché due ore e mezza, per uno spettacolo con queste caratteristiche, sono troppe e può dare fastidio essere catapultati ai margini sociali. Però non si può fingere che non ci siano. ◆ [M.D.Z.]

L’Astra si prepara a ospitare quattro spettacoli da sold out: i Musici di Guccini, il comico Cevoli, una serata dedicata a De Andrè e Alice che canterà Battiato. Al Civico la Fondazione ha “osato” concludere il programma testrake scuotendo le coscienze con un testo che mette in scena i brutti, gli sporchi e i cattivi.
[20] ◆ SchioMese

Detto tra noi

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Raccolta differenziata, bidoni del secco e sacchetti dell’umido… forse nel 2023 si può fare di meglio

La raccolta dei rifiuti in città ultimamente evidenzia qualche problema per il comportamento poco civile di taluni e anche per certi disagi derivanti da altri aspetti, come già riportato sul mensile di febbraio. A mio parere sarebbe ora che il Comune facesse un autocritica in proposito. Non che il sistema sia inadeguato, ma ritengo che sia migliorabile. Gradualmente si potrebbe rimettere in funzione i cassonetti di raccolta per la plastica e per la carta, come quelli in uso in altre realtà come S.Vito, Malo, Marano, Thiene e anche Torrebelvicino, dove sono previsti i bidoni porta a porta del secco, ma hanno i contenitori per la carta e per la plastica. Intanto si consentirebbe di non assistere allo spiacevole spettacolo di montagne di sacchi gialli e blu e talvolta anche di altri colori, disseminati dappertutto e in particolare in punti centrali della città. Inoltre non si sarebbe costretti a “conservare” da qualche parte carta, contenitori di alimenti in alluminio e/o di plastica maleodoranti, in attesa del ritiro quindicinale. E poi i bidoni del secco… farei una statistica per conoscere quanti effettivamente li utilizzano.A sentire i commenti fra la gente è un vero tormento: disagi per chi abita

in grandi condomini, magari senza garage o cantina, e doverli portare giù per le scale, persone disabili, anziani senza ascensore… Il secco dovrebbe poter essere conferito in appositi contenitori come avviene nei paesi citati, non solo per evitare di conservare chissà dove e per quanto tempo sacchetti di rifiuti che possono essere fonte di odori sgradevoli, ma anche per il rischio di attirare animali (gatti, topi…) per la natura di rifiuti quali lettiere, barattoli di alimenti e altro.

La scelta del bidone unifamiliare per il secco mi sembra sia stata una forzatura. Gli scledensi da cittadini diligenti, loro malgrado, si sono attenuti, ma la situazione dopo un primo tempo di “rodaggio” sta inesorabilmente degenerando: piuttosto che sorbirsi il traffico dei bidoni, qualche “furbetto” scarica i pochi rifiuti giornalieri dove gli fa più comodo e capita, come nei cestini pubblici ma anche in quelli davanti ai supermercati, andando a fare la spesa. Tra l’altro una volta svuotati, i bidoni, se non ritirati subito, rimangono tutto il giorno “abbandonati” talvolta anche in mezzo alla strada, a causa della fretta che hanno gli operatori, che non si curano né di rimetterli al posto di prima, men che meno

E se al passaggio a livello bastasse ridurre i tempi d’attesa?

Molti hanno in tasca la soluzione per risolvere il problema del passaggio a livello della ferrovia Schio-Vicenza. La soluzione di spostare la stazione in periferia mi sembra la più assurda, come lo sarebbe chiudere e bloccare per sempre la ferrovia. Le stazioni ferroviarie sono ovunque in centro, per chiari ed evidenti motivi. E noi abbiamo la fortuna di avere ancora l’unica ferrovia secondaria nel Vicentino, salvata dopo diversi tentativi di eliminarla.

Sollevare la strada ferrata e passarvi sotto sembra la soluzione migliore, ma sarà un lavoro lungo e costoso. Nel frattempo gli esperti ferroviari potrebbero studiare un metodo rapido e immediato per ridurre i tempi di attesa con un sistema elettronico che tenga chiuse le sbarre soltanto per un paio di minuti, come avviene in altre località. Sarebbe come la fermata ad un

semaforo rosso. Tuttavia non mancano altri percorsi alternativi che non utilizzano quel passaggio a livello.

Giuseppe  Piazza

Lo abbiamo scritto anche noi tempo fa. Prima di partire con invasivi sottopassi o cavalcavia, non si può lavorare sulla riduzione dei tempi di attesa? Oggi le sbarre si abbassano quando ancora mancano 4 minuti al passaggio. Ci saranno standard di “sicurezza estrema” da rispettare, ma per 30 secondi effettivi di passaggio del treno si perde un’enormità di tempo inutilmente fermi alle sbarre. Se si riuscisse a ridurre l’attesa a un paio di minuti, il problema sembrerebbe risolto. E però forse no, perché nei progetti la linea dovrebbe diventare una “metropolitana di superficie” con navette ogni mezz’ora, e a quel punto saremmo daccapo: tempi più brevi ma doppio numero di treni. [S.T.]

di chiudere il coperchio, col rischio di trovarli con qualche sorpresa dentro oppure, in caso di pioggia, anche pieni di acqua… Cambiare sistema e strategia potrebbe dissuadere coloro che utilizzano i cestini stradali per gettare di tutto. E almeno non si assisterebbe a scene come quelle degli addetti costretti, durante la raccolta, ad “agganciarsi” all’autocarro per poi scendere e saltare come canguri a prendere al volo il sacco blu o giallo e azzeccare il buco del camion come a pallacanestro; non si può fare di meglio nel 2023? Se non altro per la raccolta dell’umido e del secco, utilizzando automezzi attrezzati per svuotare i bidoni automaticamente.

In alcune nazioni del Nord Europa i rifiuti vengono conferiti in contenitori sotterranei e in qualche caso direttamente da casa tramite convogliatori domestici. E oltre al riciclo del materiale viene utilizzata la biomassa come fonte di energia. Ma forse per noi è ancora fantascienza.

Il rischio per i pedoni arriva sempre più anche da chi sfreccia in monopattino

Sottoscrivo in pieno la rimostranza di Mariano Castello in SchioMese di marzo riguardante l’uso alquanto disinvolto del loro mezzo da parte di molti ciclisti, soprattutto giovani, che non considerano le conseguenze che ne possono venire a loro, ma particolarmente alle persone che malauguratamente si vengano a trovare sul loro passaggio.

Alla denuncia di Mariano Castello voglio aggiungere due altri appunti che gli enti preposti alla tutela del cittadino dovrebbero tenere in considerazione.

A correre a forte velocità sfiorando spesso i pedoni sono ora anche gli utenti del monopattino, i quali sfrecciano non soltanto sui marciapiedi, ma persino nelle gallerie del centro cittadino. E, davvero, il rischio e la paura che il passante prova nel vederseli arrivare rasente tutt’a un tratto alle spalle o di fianco non è da poco.

Stando così le cose, mi chiedo, con molto disappunto, come mai il controllo da parte della vigilanza locale, un tempo perfino eccessivo, sia oggi così carente.

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