Schio Mese n 938

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SchioMese

di informazione dell’Alto Vicentino

Il Museo Civico sarà biglietto da visita di Schio - p.8 ◆ Com’è vecchia la città - p.12

Chef Ballardin è nell’Albo d’oro

Claudio Ballardin è stato nominato presidente del Gruppo ristoratori della “Confraternità del Bacalà”, il sodalizio che da trent’anni lavora per salvaguardare e diffondere l’antica e originale ricetta del piatto più tipico della cucina vicentina. Ed è entrato nell’Albo d’oro della Federazione italiana cuochi.

Periodico
anno XII n. 107 - febbraio 2023

Torniamo a “SchioMese”, Thiene ora cammina da solo

Ed eccoci tornati all’originale. Dopo due anni e mezzo di “SchioThieneMese”, il mensile torna a chiamarsi più semplicemente “SchioMese”, così com’era nato e si era chiamato per i primi otto anni, o giù di lì. No, non è che abbiamo perso per strada Thiene o che l’esperimento non abbia funzionato. Anzi, si può dire che il mensile si sia sdoppiato. Da questo mese, infatti, su “La Piazza” - la pubblicazione sorella di “Lira&Lira” diffusa nel Thienese e oltre - ha preso il via la pubblicazione di un mensile tutto suo e che si chiama “ThieneMesePlus”.

Di fatto, una piccola sfida in più che il proprietario delle due testate, Paolo Dal Cucco, ha deciso di lanciare, pure in un momento non proprio semplice per la vita economica e sociale di tutti noi.

Due anni e mezzo fa si era deciso di implementare “SchioMese” con alcune pagine di attualità legate all’area thienese, e di pub -

SchioMese

Periodico di informazione dell’Alto Vicentino

Direttore

Stefano Tomasoni

Redazione

Elia Cucovaz

Mirella Dal Zotto

Camilla Mantella

Grafica e impaginazione

Alessandro Berno

Per inviare testi e foto: schiothienemese@gmail.com

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blicare dunque il nuovo mensile, ribattezzato “SchioThieneMese” sia su “Lira&Lira” che su “La Piazza”. Un’operazione che in pratica ha visto nascere un mensile diffuso in quasi 20 mila copie in tutto l’Alto Vicentino. Adesso, sempre Dal Cucco ha valutato che fosse il momento per fare un passo in più e dare a Thiene un mensile tutto suo, sulla scia di questo che da poco ha compiuto i dieci anni di pubblicazioni. Abbiamo raccolto quest’altra sfida e messo in piedi una mini-redazione thienese composta da 2-3 collaboratori, che appunto da febbraio si occupa di “ThieneMesePlus”. Quanto a noi, espunte le pagine thienesi, torniamo a realizzare un prodotto giornalistico concentrato su Schio. Le pagine, inevitabilmente, tornano a essere 24 pubblicità compresa, del resto due anni e mezzo fa erano lievitate a 32 proprio per l’aggiunta della “porzione” thienese. Continuiamo a fare quello che abbiamo fatto in questi dieci anni, raccontare e approfondire i fatti e l’attualità della città e del territorio, ma anche le storie e i personaggi che animano e arricchiscono il tessuto sociale scledense.

fregano della raccolta differenziata. Va prendendo sempre più piede, perlopiù in centro storico, la malsana abitudine di abbandonare interi sacchetti di rifiuti accanto ai normali cestini. Appoggiati a questi ultimi si trova di tutto: sacchetti dell’indifferenziata come quelli della foto, ma anche sacchetti dell’umido, così come sacchi blu della plastica-lattine o gialli della carta.

Tutto fa brodo. O meglio, tutto fa cestino. “Chissenefrega dei giorni del ritiro e del bidoncino del secco: lascio qui, tanto poi quando passano gli spazzini per svuotare il cestino portano via tutto loro, mica lo lasciano qua”, dev’essere il pensiero degli incivili di turno. Insomma, la nuova moda sta diventando quella di trattare i cestini

Poveri cestini dei rifiuti. Altro che sacchettini con le cacche dei cani, fazzoletti usati, cartacce, scatole di sigarette e altri piccoli scarti da tasca. Ormai il loro destino sta diventando quello di fare da riferimento per tutti i buzzurri che se ne

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Supplemento mensile di Lira&Lira e La Piazza
Di mese in mese

dei rifiuti come se fossero i vecchi cassonetti di una volta.

Poi ci sono quelli che il sacchetto dell’indifferenziata magari non lo abbandonano proprio accanto al cestino di turno, ma si fanno scrupolo di ficcarcelo dentro a forza, ingolfandolo e impedendo a chiunque altro di poterci gettare anche solo la carta di una caramella. Ulteriore variante è quella di chi, dopo aver consumato un qualche cibo d’asporto, lascia tutto in bella mostra sopra il “tettuccio” di metallo del cestino, così per almeno due o tre giorni cartoni sporchi della pizza e lattine vuote di birra restano lì a memoria del passaggio degli ineducati di turno.

Ma il malcostume dei rifiuti buttati alla “do cojo cojo” non finisce mica con il maltrattamento dei cestini. Nossignore. Un’altra tipologia di menefreghisti è quella di chi espone fuori di casa i sacchi blu o gialli quando gli fa comodo, anche tre o quattro giorni prima del ritiro. Inevitabilmente, i sacchi lì restano per mezza settimana o anche più. In via Fusinato capita spesso di trovare, già la mattina presto del giovedì, esposti in strada qua e là sacchi del colore di turno (ma c’è chi non rispetta nemmeno quello, o per sbaglio o per ulteriore me-

Lo Schiocco

La casetta del Lego

Tutto si può dire di questa casetta costruita nell’area del nuovo “parco inclusivo” di Magrè, dietro la sede della banca, tranne che non si faccia notare. Con quelle tinte così “schiote” e sgargianti fa venire in mente, oltre che un distributore di benzina anni Sessanta, le casette che una volta, da bambini, si costruivano con i mattoncini del Lego. Non le complicate composizioni di oggi, ma le semplici e basiche casette di cinquant’anni fa, fatte con strati di mattoncini di colori diversi e finestrelle bianche.

Allora perché non allestire all’interno di quell’edificio una sala piena proprio del Lego delle origini? Del resto, il “parco inclusivo” è pensato per accogliere tutti da

nefreghismo). In via Porta di Sotto c’è un punto in cui qualcuno è uso abbandonare il sacco giallo o blu, in bella vista, anche quattro giorni prima.

L’importante, in tutti questi casi, è liberar-

0 a 99 anni, e dunque è giusto che anche adulti e anziani possano andare lì e ritrovare i giochi dei tempi andati. Del resto la città invecchia e le nascite calano: per tornare ad avere più bambini in circolazione non resta che far sì che tornino a esserlo gli anziani. [S.T.]

si del sacco quando è pieno, e che le regole le rispettino i gonzi. Una volta fuori dalla porta di casa, i rifiuti sono un problema altrui. È suolo pubblico, quindi “fatti loro”, e che diamine. ◆

Di mese in mese

Quando un uomo con lo spiedo incontra un uomo con lo stoccafisso… è Claudio Ballardin che si sta guardando allo specchio. Non c’è Clint Eastwood che tenga. Perché dici Claudio Ballardin e tutti sanno di cosa si parla. Di cucina. E che cucina. Quella della tradizione valleogrina, valorizzata dalla qualità dei prodotti e delle ricette. Dici “da Beppino” e tutti pensano al carrello dei bolliti e allo spiedo di carne, le specialità intramontabili del ristorante aperto tanti anni fa da Beppino Zocca e “ereditato” poi da suo genero, chef Ballardin, appunto. Ed è tutto vero, il bollito rimane ancora oggi il piatto più richiesto del locale e sullo spiedo Ballardin ha scritto addirittura un manuale dalla A alla Z. Però il protagonista, in questo momento, è un altro. E il baccalà alla vicentina.

Perché di recente Ballardin è stato nominato presidente del Gruppo ristoratori della “Confraternità del Bacalà”, il sodalizio che da trent’anni è attivo per salvaguardare e diffondere l’antica e originale ricetta del piatto più tipico della cucina vicentina. È un po’ come essere alla testa del “braccio armato” dell’associazione che difende la cultura del baccalà: un gruppo formato da una cinquantina di ristoratori, perlopiù nel Vicentino ma in parte anche nel resto del Veneto e oltre, i più titolati e meritevoli del “bollino” di veri portabandiera della storica ricetta del baccalà. E far parte del Gruppo non è cosa semplice, uno dei requisiti è quello di garantire tutti i giorni la presenza del “bacalà alla vicentina” nel proprio menù.

Chef Ballardin, l’uomo dei bolliti, dello spiedo e del baccalà

Claudio Ballardin è stato nominato presidente del Gruppo ristoratori della “Confraternità del Bacalà”, il sodalizio che da trent’anni lavora per salvaguardare e diffondere l’antica e originale ricetta del piatto più tipico della cucina vicentina. Ed è entrato nell’Albo d’oro della Federazione italiana cuochi.

Essere stato nominato a capo di questo Gruppo non è l’unica soddisfazione arrivata di recente per lo chef scledense. Ce n’è un’altra di caratura più nazionale: la Federazione italiana cuochi ha istituito da poco un Albo d’oro che ogni due anni identifica e premia, per ogni regione, quattro figure eccellenti legate alla buona cucina: uno “chef patron”, un docente legato alla ristorazione, un allievo cuoco emergente e un decano; in questa prima edizione per il Veneto è stato premiato proprio Claudio Ballardin nella categoria “chef patron”. Con cerimonia nientemeno che a Montecitorio. La motivazione recita: “Per aver prodotto attraverso l’attività professionale valori e lavoro, ricchezza e sviluppo del territorio, trasformando lo straordinario mestiere della ristorazione nella vocazione e passione della propria vita”. Allora, chef, partiamo da questo premio: mica male, come riconoscimento, anche perché alla prima edizione hanno subito pensato a lei. Contento?

“Sì, è stata in effetti una manifestazione veramente importante, erano presenti politici, la stampa, la Rai, divulgatori di settore...Una bella soddisfazione”.

Arrivata a poca distanza dall’incarico alla guida dei ristoratori legati alla Confraternita. Che l’alfiere del baccalà alla vicentina sia di Schio è una soddisfazione stavolta per gli scledensi...

“Anche se chiamarlo baccalà è improprio. Il merluzzo viene pescato (la zona d’elezione è quella delle isole Lofoten in Norvegia), poi o viene essiccato o viene salato. Quello salato si chiama baccalà, quello essiccato si chiama stoccafisso. Qui nel Vicentino è consuetudine chiamarlo baccalà, però quello che si usa è lo stoccafisso essiccato all’aria. La base della ricetta è quella”. E sulla vera ricetta non si discute, giusto? “Certo. È una cosa alla quale dobbiamo fare sempre molta attenzione dal momento che il baccalà continua a essere sempre più richiesto, e ci sono in giro anche delle contraffazioni. Noi come Gruppo ristoratori cerchiamo di fare informazione e di portare avanti le regole della vera tradizione”. Quindi non è solo cucina, ma cultura del baccalà a tutto tondo?

“Sì. In tutte le occasioni che si presentano, o quando facciamo dei corsi, spieghiamo cos’è lo stoccafisso, quanto sia importante leggere bene le etichette quando lo si acquista, e ovviamente qual è la vera ricetta”. Il baccalà è sempre più richiesto, ha detto. Cos’è, una nuova giovinezza?

È un piatto che comincia a essere apprezzato anche all’estero. Qui da noi è il secondo piatto più richiesto, dopo il bollito. Dall’essere in origine un piatto povero è diventato un piatto ricercato. I cambiamen-

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Copertina
Claudio Ballardin con la moglie e i due figli. Tutta la famiglia ha un suo compito al ristorante “da Beppino”

ti climatici hanno contribuito a rendere la materia prima più costosa: ora in Norvegia incontrano più problemi a far essiccare il pesce, perché non hanno più il clima secco di una volta, e lo stoccafisso dev’essere essiccato all’aperto e a livello del mare, altrimenti ghiaccia e poi marcisce. Quindi questa combinazione di fattori – la necessità di combattere le contraffazioni e di rispondere a una richiesta in aumento – non fa che aumentare l’importanza del lavoro di divulgazione e informazione che fa la Confraternita e voi come ristoratori...

“Esatto, dobbiamo essere attenti a non perdere il prestigio che stiamo acquistando, dobbiamo salvaguardare la vera ricetta, stringere ulteriormente il disciplinare già esistente e fare informazione in tutti i modi. Tra l’altro il baccalà alla vicentina è diventato anche patrimonio dell’Unesco, ed è stato realizzato un francobollo dedicato al piatto: è la prima volta, in Italia, che un francobollo viene legato a un piatto gastronomico”. Veniamo a lei. Qual è, detta in sintesi, la storia di Claudio Ballardin?

“Sono nato qui a Giavenale, in campagna, la mia era una famiglia numerosa, con dodici fratelli. A 19 anni sono andato a lavorare al ristorante “da Beppino” e ho iniziato a dare un mano in sala e al bar, poi in un secondo tempo in cucina. I miei primi maestri sono stati i titolari, che poi sono diventati i miei suoceri, cioè Beppino Zocca e sua moglie. Da lui ho imparato la lavorazione delle carni e in particolare il saper acquistare le carni, distinguendo la qualità migliore. Ho imparato anche come gestire la clientela e come fare accoglienza: Beppino era un grande intrattenitore, il rapporto cordiale e caloroso con gli altri, con i clienti, faceva parte del suo carattere. Da mia suocera, invece, ho imparato l’importanza di non perdere mai di vista l’obiettivo di fondo: la qualità. Era una persona semplice, concreta, che sapeva distinguere la qualità; capitava che facessi un piatto un po’ elaborato e lei, assaggiandolo, dicesse che era bello ma non altrettanto buono. Col tempo, un po’ alla volta ho partecipato a buffet e lavorato con altri ristoranti, per mettere la testa fuori, conoscere la realtà. Ho partecipato a concorsi, ho anche aiutato la Nazionale cuochi, pur senza farne parte. Negli anni Novanta ho partecipato alle Olimpiadi della cucina a Francoforte e ai campionati del mondo in Lussemburgo, dove ho vinto una medaglia d’oro presentando la figura di un indiano fatto di pasta di pane. Le è tornato utile “mettere la testa fuori”?

“Certamente sì. Tornato a casa da quelle competizioni e da quelle esperienze, ho cominciato a pensare a quale volevo che fosse la mia caratteristica di ristoratore, tenendo presente la realtà del territorio. Mi sono

detto: siamo a Schio, la cosa migliore è non perdere le eccellenze della nostra tradizione gastronomica, anche dal punto di vista dei metodi di cottura, e aggiungere a questo un servizio, una carta dei vini, una cura nella presentazione dei piatti. Ho ripreso gli insegnamenti della suocera. Cosa intende quanto parla di eccellenze riguardo ai metodi di cottura?

“Ci sono tre metodi di cottura che non riusciamo a imitare con nessuna tecnica nuova. Uno è quello delle carni cotte nelle braci di legna: non c’è niente che abbia la qualità delle braci di legna. Un altro è quello del bollito cotto nell’acqua, che non ha pari. Il terzo è lo spiedo, che deve girare ore e ora a bassa temperatura rosolando le carni. Questi tre metodi di cottura fanno parte della storia millenaria, però sono ancora attuali e inimitabili. Guai a perderli, si tratta di applicarli alle nuove tecniche, al servizio. Alla fine se hai una buona qualità, ben presentata, accompagnata da persone preparate e da una buona carta dei vini, c’è poco da girare la frittata: con questi tre elementi andiamo sempre avanti, un classico che paga sempre”. E dire che quelli erano gli anni della “nouvelle cuisine”...

“Sì, sembrava che a fare i bigoli con l’arna si fosse retrogradi. Io ho fatto la scelta di curare i piatti puntando su tradizione e qualità e il tempo mi ha dato ragione, nel senso che oggi si parla di stagionalità, di tradizioni”.

A sviluppare questa filosofia, poi, a cavallo tra anni Ottanta e Novanta è arrivato il Gruppo Ristoratori Scledensi con le rassegne enogastronomiche itineranti. Quella, coordinata dall’Associazione Commercianti, è stata indubbiamente un’idea vincente per la crescita di una nuova consapevolezza della qualità della gastronomia scledense e della Val Leogra. “Quello è stato un momento importante. Il primo presidente del Gruppo Ristoratori è stato Umberto Zocca, che poi in un secondo momento passò la mano a me. In quegli anni abbiamo fatto cose importanti. Un’idea molto centrata è stata anche quella di chiamare degli esperti a farci scuola su certe lavorazioni, questo ci ha fatto crescere. Poi abbiamo organizzato le rassegne enogastronomiche, e lì l’elemento vincente è stato quello della collaborazione. In ogni appuntamento il ristorante che ospitava la serata lavorava insieme con un altro, in un’abbinata che consentiva a entrambi di imparare. Prima della serata si faceva una prova generale alla quale partecipavano chi aveva fatto la cena precedente, chi ospitava e chi avrebbe fatto la serata successiva. Questo perché quello che aveva fatto l’esperienza la volta prima spiegava agli altri quali erano stati gli inconvenienti o gli intoppi, e gli altri imparavano”.

Uno spirito di collaborazione nuovo per l’epoca, che è stato in effetti la carta vincente di quell’esperienza. Si può dire, col senno di poi, che sia stata fondamentale per far fare un salto di qualità alla ristorazione scledense?

“Eh sì, lavorare insieme è stato vincente. Una cosa la davi e tre le imparavi. Ci ha aiutato il fatto di fare gruppo. Siamo tutti professionisti, tutti abbiamo da imparare. Con le Rassegne abbiamo valorizzato i piatti tipici. Una volta chiuso quell’esperienza, abbiamo organizzato corsi di cucina, in qualche modo abbiamo precorso i tempi e anticipato quello che si vede oggi in televisione, con i programmi di cucina. Abbiamo fatto degli scambi anche con i veneti all’estero, siamo stati in Brasile e in altri paesi, facendo conoscere la cucina del nostro territorio”. A proposito dello spiedo, una delle tre tecniche di cottura che ha citato: lei ha anche dato alle stampe un libro sul tema, “I segreti dello spiedo”. È la summa di una carriera?

“Per certi versi sì. Ho scritto un libro sulle regole per cucinare lo spiedo: tutto quello che c’è da sapere, ho unito più di cinquant’anni di esperienza. C’è dentro tutto: come dev’essere fatto un focolare, uno spiedo, perché è importante il numero dei giri, perché serve quel certo tipo di farina per fare la ‘polenta onta’... Per ogni cosa c’è una spiegazione. Mi sono reso conto che occorre trasmettere le conoscenze in modo scientifico, sennò col tempo si perdono. E siccome in giro non ho trovato manuali completi sullo spiedo, ne ho scritto uno io”. ◆

SchioMese ◆ [5] Copertina
Tre generazioni... allo spiedo: in alto Beppino Zocca, al centro Ballardin senior e sotto Ballardin junior

Attualità

All’inizio di febbraio si è conclusa la mostra fotografica “Ho.Me” ospitata a Palazzo Toaldi Capra. L’esposizione è stata un’occasione per conoscere da vicino il programma di residenzialità “Le Chiavi di Casa”, iniziativa articolata in più progetti che puntano a una progressiva autonomia abitativa di persone con disabilità.

“Le Chiavi di Casa” è attivo sul territorio dell’Alto Vicentino da ben quindici anni ed è un esempio di come, attraverso il lavoro di rete, sia possibile costruire percorsi di inclusione che vanno a beneficio dell’intera comunità. L’elenco degli attori che hanno dato vita al programma, infatti, è lungo e variegato: dalla Fondazione di Comunità Vicentina, all’Ulss a tutte le cooperative e associazioni (circa una decina) che sotto il nome di AbitAzioni hanno creduto in questa iniziativa fin dall’inizio.

“Le Chiavi di casa” ha come obiettivo la garanzia di una progressiva autonomia abitativa per le persone con disabilità”, spiega Manuela Teso, coordinatrice del programma.

“Offriamo alle persone varie tipologie di soluzioni abitative. Si va dalle comunità alloggio, dove gli operatori sono presenti 24 ore al giorno e l’autonomia è più ridotta, ai gruppi appartamento, che ospitano 5-6 persone con operatori presenti dalle 40 alle 80 ore settimanali, fino agli appartamenti protetti, ad alto livello di autonomia, con operatori presenti dalle 4 alle 6 ore settimanali. Oltre a questi progetti di co-housing, ‘Le Chiavi di casa’ prevede percorsi di autonomia abitativa a domicilio, con persone seguite in famiglia o nelle proprie abitazioni indipendenti, e progetti propedeutici all’autonomia abitativa, dove si sperimenta il co-housing a piccoli gruppi fissi per alcuni giorni a settimana con l’obiettivo di dar vita, col tempo, a nuovi nuclei in grado di autogestirsi in appartamenti protetti. Inoltre a Casa Thiella, a Schio, diamo vita a laboratori diurni sull’esercizio dell’autonomia domestica: nel prossimo futuro il desiderio è quello di moltiplicare le attività laboratoriali”.

Tutti i progetti de “Le Chiavi di Casa” rientrano nella programmazione socio-sanitaria dell’Ulss, che si occupa della loro gestione, e sono stati avviati grazie a un importante contributo della Fondazione Cariverona.

“Le Chiavi di casa” compiono quindici anni

Compie quindici anni il programma di residenzialità per persone con disabilità nell’Alto Vicentino, che ha come obiettivo la garanzia di una progressiva autonomia abitativa”. Oggi le persone che vi prendono parte sono circa 180, perlopiù giovani e adulti tra i 24 e i 50 anni.

A oggi le persone che vi prendono parte sono circa 180, perlopiù giovani e adulti tra i 24 e i 50 anni: numeri importanti, che se da un lato rispondono discretamente alle necessità del territorio, dall’altro si scontrano con il dover prevedere, soprattutto in ragione delle disponibilità economiche del programma, percorsi di autonomia standardizzati anche laddove servirebbero soluzioni maggiormente personalizzate.

Ogni persona che anima “Le Chiavi di casa” è infatti un unicum e come tale va sostenuta nella sua individualità. Un’unicità che ha cercato di restituire anche la fotografa Marta Bortoli, recentemente vincitrice del Premio Fotogiornalismo dell’Italy Photo Award, che nell’esposizione al Toaldi Capra ha fatto emergere il significato della parola “casa” per le persone coinvolte nel programma di residenzialità.

“Con la mostra volevo smontare lo stereotipo del disabile sorridente, presente in molte campagne di comunicazione - racconta la fotografa -. Ho chiesto ai ragazzi e alle ragazze di portare un oggetto che rappresentasse casa e di scattare loro alcune fotografie su questo tema; ho scelto di ri-

trarli con un’espressione seria, a sottolineare il legame con l’importante tradizione del genere fotografico del ritratto. Volevo allontanarmi dal tipo di narrazione delle persone disabili ‘carine e simpatiche’ e far emergere la personalità di ciascuno. Durante il lavoro mi sono accorta delle mille sfaccettature della disabilità: credo sia un tema su cui dovremmo riflettere molto e fare un importante lavoro sociale e culturale per raccontare adeguatamente questa dimensione”.

“Ognuno dei partecipanti al programma di residenzialità ha il suo progetto di vita - conclude Teso -. Per quanto ‘Le Chiavi di Casa’ cerchi di proporre servizi il più differenziati possibile, non siamo esaustivi su tutti i bisogni espressi dall’utenza. Idealmente, ognuna delle persone coinvolte dovrebbe poter avere l’opporunità di godere di progetti su misura, che valorizzino le proprie peculiarità. In ogni caso siamo soddisfatti del lavoro di rete compiuto finora: ci ha permesso di normalizzare la vita di molti abitanti del territorio, dando loro l’opportunità di vivere e lavorare con un alto grado di autonomia”. ◆

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Alcune delle foto esposte alla mostra “Ho-Me” allestita a palazzo Toaldi Capra
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Attualità

Il PNRR finanzierà il progetto di restauro, accessibilità e digitalizzazione del Museo Civico “Palazzo Fogazzaro”, per un totale di 1 milione e 300 mila euro, il 100% delle spese preventivate per l’intervento. Il progetto prevede di migliorare la visibilità e la raggiungibilità del museo stesso con interventi di segnaletica in città e con la valorizzazione dei due ingressi, su via Pasini e piazza Falcone Borsellino. Al piano rialzato i visitatori troveranno la Collezione Civica, nel sottotetto sarà realizzata una sala ignifuga dove conservare la documentazione dell’Archivio Cibin Gori, prezioso per la storia locale e del Risorgimento. Qui troveranno nuova collocazione gli uffici, così da liberare spazio espositivo al piano rialzato. Nell’interrato verrà allestita un’esposizione permanente sul dirigibile e sul volo. Sono in programma anche guide adatte alla fruizione delle persone con disabilità visiva e uditiva, la realizzazione di modelli tattili di opere d’arte (statue, mezzi busti dell’Asilo Rossi e quadri, il dirigibile) e di edifici della città, per favorire l’esperienza sensoriale dei visitatori e degli ipovedenti; un’app racconterà in realtà aumentata le opere inamovibili o non accessibili, utili da conoscere per una lettura completa della storia e dell’arte scledense.

Ora, con la conferma del finanziamento, si procederà a sviluppare e approvare il progetto esecutivo, seguiranno la procedura della gara d’appalto per il lavori e le altre gare per le forniture di beni e servizi. Il bando prevede l’inizio dei lavori entro il 30 giugno di quest’anno e il collaudo finale entro lo stesso mese del 2026.

Dell’argomento abbiamo parlato con l’assessore alla cultura, Barbara Corzato. Dove si conta di convogliare più denaro? Sul restauro, sull’accessibilità o sulla digitalizzazione?

«In base al progetto presentato, la maggior parte dei fondi verranno impegnati per interventi di restauro, volti in particolare a rendere il Museo completamente accessibile a tutti. Un’altra parte importante dei fondi servirà per l’inserimento nel percorso di tutti quegli strumenti che consentano una fruizione ampliata, come sistemi audio per non vedenti, video in lingua, riproduzioni per esplorazioni tattili, audio guide, ausili per difficoltà motorie...». L’attenzione particolare alla disabilità ha permesso di arrivare con più sicurezza ai finanziamenti?

Il Museo Civico sarà biglietto da visita di Schio

«Era un requisito fondamentale del bando a cui abbiamo partecipato, dedicato proprio a proposte progettuali di intervento per la rimozione delle barriere fisiche, cognitive e sensoriali dei musei e dei luoghi della cultura pubblici». Cosa si conta di inserire nella Collezione Civica? «Nelle sale al piano terra verranno esposte una selezione di opere che comprende varie donazioni fatte al Comune, come i dipinti e le sculture delle collezioni Panciera e Calendoli e opere che illustrano la storia della tradizione artistica di Schio. Uno spazio importante, l’intero seminterrato, sarà dedicato al primo dirigibile italiano, costruito a Schio nel 1905 dal conte Almerico da Schio, e ai dirigibili “Ausonia” e “Ausonia bis” di Nico Piccoli, amico ed emulo dello stesso conte. Il museo ha l’obiettivo di divulgare la storia del volo, raccontando le scoperte e le realizzazioni di Almerico da Schio e Piccoli; a questo tema e alla storia della città sarà dedicata una sala multimediale immersiva».

Dirigibili e archeologia industriale saranno i punti di forza, ma dove verranno ospitate altre mostre temporanee importanti?

«Al piano nobile e al secondo piano, come già avviene; ci sarà un’attenzione particolare per il contemporaneo, in linea con quanto portato avanti finora, come la Biennale Internazionale di Carta».

Palazzo Fogazzaro era appartenuto al bisnonno di Antonio, Mariano, ma si è comunque di fronte

a una famiglia importante: è stato previsto un focus sui Fogazzaro?

«No, abbiamo preferito concentrare l’esperienza culturale sulla storia della città. Ad oggi l’obiettivo principale è quello di rendere il Museo Civico la porta di accesso alla conoscenza di Schio, farne un ideale punto di partenza e di arrivo per la sua esplorazione. Tutte le azioni previste puntano a raccontare Schio, catturando cuore e mente dei visitatori con l’approfondimento della sua storia, della storia dell’arte scledense e dando spazio all’arte contemporanea». Si stanno convogliando risorse ed energie per la promozione territoriale, è recente un accordo in tal senso tra l’amministrazione e Confcommercio: che ruolo avrà il Museo Civico?

«Per poter promuovere efficacemente un territorio e la sua storia è fondamentale poter contare su un museo sempre aperto e capace di raccontare le caratteristiche della città. Il Museo Civico, dunque, avrà un ruolo centrale nell’ottica della promozione del territorio. Sarà il biglietto da visita di Schio».

Sono previsti periodi di chiusura per gli interventi?

«Gli interventi inevitabilmente prevedono dei periodi di chiusura al pubblico, speriamo parziale, del Museo. Cercheremo di far sì che siano ridotti al minimo, e in ogni caso le attività culturali e le esposizioni proseguiranno al Lanificio Conte e a Palazzo Toaldi Capra». ◆

Grazie ai fondi europei, Palazzo Fogazzaro verrà restaurato per ampliare i propri spazi espositivi con un attenzione particolare alla fruizione del museo da parte dei visitatori con disabilità.
[8] ◆ SchioMese

Attualità

Uno studio demografico ha verificato che Schio presenta indici di anzianità superiori alle medie nazionali, regionali e provinciali, che testimoniano un forte processo di invecchiamento della popolazione.

Oggi a Schio quanti sono gli anziani (over 65 anni) rispetto alla popolazione totale? Quanti erano vent’anni fa? E quanti saranno tra vent’anni? Rispondere a queste domande è particolarmente importante per una lungimirante pianificazione delle politiche socio-economiche locali.

La sfida è duplice. Da una parte, infatti, c’è da fare i conti con l’evidenza che Schio è sempre di meno una “città dei bambini”, dato il numero sempre in calo dei nuovi nati. Dall’altra c’è il processo inarrestabile di invecchiamento della popolazione, che pone di fronte a numerosi problemi, ma anche ad opportunità.

Per affrontare questi temi le percezioni soggettive non sono sufficienti. Per questo l’associazione di cultura politica “Schio Polis” ha commissionato alla ricercatrice in statistica dell’Università di Padova Chiara Gargiulo, uno studio dal titolo “Schio 20222042. Evoluzione demografica e scenari futuri”, presentata in un convegno a Palazzo Toaldi Capra.

La ricerca parte analizzando la storia demografica di Schio degli ultimi 40 anni, che si può dividere in tre fasi: una sostanziale stasi fino alla metà degli anni 90, un forte aumento dal ‘96 al 2013 (+8%) a cui è seguita una fase calante (-2%) fino agli attuali 38.500 abitanti. Questo andamento, tuttavia, è stato fortemente influenzato

Com’è vecchia la città

A Schio per ogni anziano over 65 ci sono 2,5 persone in età lavorativa (15-64 anni), mentre nel 1992 questo rapporto era di uno a quattro. Un dato che mette in guardia circa la sostenibilità del sistema e della popolazione.

dalla componente migratoria: anche negli anni del “boom” i residenti di nazionalità italiana diminuivano (-4%) e il trend si è confermato nell’ultimo decennio (-1,4%). Un altro dato è che Schio presenta indici di anzianità superiori alle medie nazionali, regionali e provinciali, che testimoniano un forte processo di invecchiamento della popolazione. Oggi per ogni anziano (over 65) ci sono 2,5 persone in età lavorativa (1564 anni), mentre nel 1992 questo rapporto era di uno a quattro. Un dato che, secondo l’autrice: “mette in guardia circa la sostenibilità del sistema e della popolazione”. Cosa dobbiamo aspettarci, dunque, nei prossimi 40 anni?

Secondo le stime ottenute applicando i modelli statistici, si evidenzia che la popolazione anziana continuerà a crescere a un ritmo ancora più rapido rispetto a quanto osservato fino a ora. Nel 2042 gli anziani scledensi vedranno una crescita relativa rispetto a oggi di oltre il 30% sul totale della popolazione.

Riprendendo il rapporto già considerato poco sopra, tra vent’anni si stima che per ogni over 65 ci saranno appena 1,6 persone in età lavorativa. Parallelamente ci si deve aspettare una progressiva diminuzione delle altre componenti della popolazione, in particolare nelle fasce tra i 15 e i 19 anni e tra i 40 e i 64, con forti ripercussioni sul mercato del lavoro.

L’invecchiamento della popolazione determinerà un numero sempre maggiore di “grandi anziani” (over 85). Si stima addirittura che il numero di ultracentenari quadruplicherà. Rispetto a oggi, inoltre, crescerà il numero di anziani coniugati (+ 43% gli uomini e + 69% le donne) e residenti nella propria abitazione, anche se in valore assoluto aumenterà la richiesta di posti in casa di riposo (550, contro i 460 di oggi).

“Affidiamo questo studio alla nostra città e al Comune di Schio in particolare - afferma il presidente dell’associazione Schio Polis, Mario Benvenuti - sperando che si possa estendere anche agli altri Comuni sul territorio. Su questi dati infatti sarà necessario confrontarci con tutte le competenze disponibili per individuare le risposte adeguate a nuovi bisogni. Lo faremo senza paura di ripensare l’assistenza, chiudendo esperienze di oggi per ripensarne di nuove”.

Una riflessione quanto mai urgente se si considera - per rispondere alle domande iniziali - che vent’anni fa gli anziani rappresentavano meno di un quinto della popolazione totale di Schio, oggi sono un quarto e nel 2042 saranno più di un terzo. “Puntare a migliorare la qualità della vita degli anziani - conclude Chiara Gargiulosignifica non sprecare l’opportunità rappresentata dalla crescente longevità”. ◆

[12] ◆ SchioMese

Attualità

Reso ufficiale dalla re-inaugurazione dell’1 febbraio scorso, il recupero del Civico adesso è finalmente completato e il teatro dispone ora di tutti i 498 posti a sedere previsti dal progetto iniziale. Si è concluso il terzo e ultimo lotto di restauro del Teatro Civico, che ha portato al completamento del loggione, dei palchetti e delle opere edili e impiantistiche. A questo impegno, ammontante a un milione e 150 mila euro, per la maggior parte a carico all’amministrazione comunale, si è affiancato un intervento Art Bonus finalizzato a rendere più accessibile e confortevole il teatro con l’acquisto di poltroncine per la galleria e l’installazione di una piattaforma elevatrice che rende il palcoscenico fruibile anche da persone diversamente abili.

Ma più che dell’evento di riapertura, di cui il quotidiano locale ha ampiamente dato conto, vogliamo soffermarci qui su una piccola storia che in qualche modo si intreccia con i lavori condotti in questi anni sul teatro cittadino. È la storia di una gatta che qualche anno fa, durante una delle fasi del (lungo) restauro, aveva preso dimora al Civico, quasi volesse controllarne da vicino i lavori. Una gatta randagia del Quartiere Operaio che a un certo punto aveva smesso di vagabondare, era entrata da una finestra dell’edificio trovata aperta durante i lavori e aveva preso possesso del teatro, scegliendo in particolare come “residenza ufficiale” un’intercapedine sotto il palcoscenico. Operai e restauratori trovavano di tanto in tanto le tracce del felino e qualche in-

Il Civico visto dal nuovo loggione. Al centro la gatta,dipinta nella finestra murata in fondo all’ala laterale del Civico, sembra fare la guardia al teatro

La gatta del Civico

A margine della riapertura dello storico teatro cittadino, inaugurato il 1° settembre scorso, ricordiamo la piccola storia della gatta dipinta sulla finestra murata nel retro dell’edificio.

confondibile segnale del suo passaggio, ma niente di più: la gatta non si lasciava avvicinare e si teneva a debita distanza da ponteggi, argani e carriole. Per settimane si era aggirata quatta quatta tra la platea, i palchi, i camerini, finendo per essere chiamata da tutti semplicemente “gatta”.

Una presenza tanto appartata da risultare pressoché invisibile, ma comunque amica. Fonte però di una preoccupazione: e se rimaneva nascosta e inavvicinabile anche dopo l’apertura del teatro, finendo magari con lo sgattaiolare fuori e saltellare sul palcoscenico e tra il pubblico durante un concerto di Mozart, un balletto di danza classica o una commedia di Molière?

Alla fine aveva risolto il busillis lei stessa e un giorno se n’era andata senza tanti saluti, tornando tra i gatti del quartiere.

A quel punto, però, era ormai diventata quasi una mascotte. Così quando a Natale del 2016 si è arrivati in fondo anche all’ultima tranche di lavori, quelli per il recupero della facciata e delle pareti esterne, Giancarlo Crosara, il pittore edile che si era occupato delle colorazioni esterne e interne del teatro, ha avuto una bella pensata: all’esterno dell’edificio ha scelto la finestra cieca all’angolo tra la parete laterale di destra e il retro e, nel dipingere i contorni e gli infissi della finta finestra, ha aggiunto un personale ritocco: ha preso pennello e colori e ha dipinto la misteriosa e solitaria “gatta del Civico”. «Ho buttato lì l’idea quasi per gioco con Eva Corte, restauratrice della ditta Verde Veronese - ricorda Crosara -. In una decina di minuti ho dipinto la gatta. Poi quando nei giorni successivi è arrivato il sindaco Orsi con la giunta a prendere visione dei lavori e ha guardato la finestra, gli ho fatto nota-

re per scherzo che, senza farci caso, avevo disegnato la gatta che... guardava verso sinistra, e lui si è messo a ridere».

Grazie al singolare “quadro” dipinto da Crosara, da allora l’impressione è che la gatta sia tornata a prendere possesso del “suo” Civico. O che non se ne sia mai andata davvero. Così, a chi transita giù in strada lei appare lì, pacifica e sorniona. Rivolta, forse con un pizzico di nostalgia, verso le strade e le case del Quartiere Operaio. ◆

I quattro incontri del “Dalla Costa”

Prenderanno il via il 2 marzo gli incontri primaverili del Centro di Cultura “Card. Elia Dalla Costa”; si svolgeranno al giovedì, a partire dalle 20.30, al Lanificio Conte, escluso l’incontro del 16 marzo, programmato in Sala Calendoli.

La prima conferenza, “Dalla pandemia al metaverso: rischi e opportunità dell’innovazione tecnologica”, verrà affidata al general manager Gianmarco Montanari. Il 9 marzo la fotografa Sara Melotti tratterà il tema “Che cos’è la bellezza?”. Il 16 marzo, una storia di amore e di pace, “Sulla strada del perdono”, con l’insegnante Gemma Capra Calabresi Milite. Il 23 marzo il ciclo di incontri si chiuderà con una tema di estrema attualità: “Dal Mediterraneo all’Ucraina, la guerra ai diritti umani”, con il giornalista e scrittore Nello Scavo.

Tutte le serate sono a ingresso libero. [M.D.Z.]

[14] ◆ SchioMese
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Attualità

L’anno scorso Carlotta Zorzi

è stata inclusa nella lista dei “Leader del Futuro” da INvolve HERoes, ha vinto l’award di Lead5050 per “Donna in Tecnologia” dell’anno, un riconoscimento europeo.

è una giovane scledense tra le “top leader” femminili del futuro. È Carlotta Zorzi, che alle soglie dei trent’anni ha già ricevuto numerosi premi di caratura internazionale come leader femninile emergente. Nata e vissuta a Schio fino ai 19 anni, oggi abita in Inghilterra, lavora nell’ambito delle tecnologia e utilizza le sue competenze per ridurre le disuguaglianze sociali e rendere il mondo un posto migliore.

Nel 2021 è stata tra le vincitrici del “TechWomen100”, premio istituito da WeAreThe City, organizzazione che celebra le donne che hanno un impatto nell’industria tecnologica e aiutano la crescita del genere femminile nel settore. Nel 2022 è stata inclusa nella lista dei “Leader del Futuro” da INvolve HERoes, ha vinto l’award di Lead5050 per “Donna in Tecnologia” dell’anno, un riconoscimento europeo per il suo lavoro come mentore per facilitare l’ingresso e la leadership femminile nell’ambiente tech. Ha anche ottenuto il primo premio istituito da Forward Leadies a livello europeo come Leader Emergente per l’impegno nel favorire donne e appartenenti a minoranze etniche ad accedere a ruoli remunerativi nel settore tecnologico, e ha vinto il primo premio come Mentore dell’Anno, riconoscimento di Women of The Future.

Il suo percorso è ispirante e l’abbiamo contattata per farcelo raccontare. Carlotta, quando ha iniziato la sua avventura all’estero?

“Sono partita da Schio dopo il diploma al liceo linguistico Zanella, nel 2009. Ho inizia-

C’è Carlotta tra le donne leader del futuro

È nata a Schio, ma vive da oltre dieci anni in Inghilterra ed è uno dei volti più promettenti per la crescita della leadership femminile a livello internazionale. Il suo percorso formativo e professionale l’ha portata a vincere riconoscimenti internazionali e a impegnarsi per un cambiamento positivo della società.

to a lavorare su questo obiettivo già dalla terza superiore, perché dovevo assicurarmi di raggiungere una certa media per poter accedere all’educazione alla quale aspiravo. Ho ottenuto l’ammissione a una delle università di Edimburgo, la Edinburgh Napier University, e sono emigrata in Scozia da studentessa a 19 anni. Quando ho lasciato Schio avevo solo tanta determinazione, un sogno nel cassetto e sapevo che sarei andata a vivere con una famiglia scozzese”. Come è stata la sua esperienza alla Edinburgh Napier University?

“È stata davvero arricchente. Nei primi mesi ho fatto subito richiesta alla mia università per studiare all’estero e sono stata accettata dalla San Jose State University, nel

cuore della Silicon Valley. A 20 anni mi sono quindi spostata nuovamente per un anno, cominciando a lavorare per alcune start up tecnologiche. Rientrata a Edimburgo ho ottenuto la laurea nel 2013 con i risultati più alti del mio dipartimento (Computing, Engineering and Creative Industries): su 600 studenti, sono stata l’unica a ottenere tutti e quattro i premi accademici previsti, tra i quali quello per la migliore tesi dell’anno”.

E poi?

“Terminato il percorso scozzese, mi sono spostata in Svezia, alla Lund University, per completare un master in International Marketing & Brand Management. Subito dopo sono rientrata in Gran Bretagna

[16] ◆ SchioMese

per lavorare a Londra per organizzazioni che si occupano di media globali. In breve sono poi passata a lavorare per industrie tecnologiche, con esperienze in Oracle e Shopify”.

Di cosa si occupa oggi dal punto di vista professionale?

“Gestisco le partnership per Shopify, azienda che opera nell’e-commerce: ho un ruolo commerciale focalizzato sulla creazione di relazioni che siano di valore tanto per i partner quanto per l’impresa per cui lavoro, con l’obiettivo di far crescere tutti i business coinvolti. Affianco a questa attività nel mondo corporate anche quella di career coach per quanti desiderino iniziare un percorso professionale nel settore tecnologico: supporto le persone a entrare nel settore anche se non hanno un network di riferimento, sia come consulente freelance che come collaboratrice della start up newyorkese ‘School 16’, che aiuta studenti da tutto il mondo con background meno privilegiati ad accedere a ruoli business nell’ambiente tecnologico. Ogni anno, poi, tengo lezioni all’Università del Sussex su marketing, ecommerce e tecnologia. Faccio inoltre parte di un network che mette insieme start up, investitori e consigli di amministrazione e sono nel board di una piccola start up che si occupa di tecnologia nel mondo fitness e in quello del College di Hastings, che ha una popolazione estesa di studenti che vivono attorno alla soglia di povertà e per cui mi impegno con iniziative e idee che possano colmare le disuguaglianze sociali”.

Tiene anche conferenze?

“Sì, è un’attività che amo molto. Concentro i miei interventi sulle opportunità che la tecnologia offre per creare una società più

giusta ed equa. Ho prodotto anche contenuti podcast per WomenOnBoards per incoraggiare più giovani donne a farsi spazio nei consigli di amministrazione”.

Era quello di cui si immaginava si sarebbe occupata quando è partita da Schio?

“Quando sono partita non avevo la più pallida idea che sarei finita a fare queste cose: a 19 anni il mio sogno era quello di lavorare in un’agenzia di film trailers! Quando poi mi sono avvicinata a quell’ambiente mi sono resa conto che non era il tipo di vita che volevo fare. Spesso pensiamo che si debba per forza avere un piano chiaro fin dall’inizio, ma secondo me è più utile avere una visione a lungo termine della persona che si desidera diventare. Questo permette di visualizzare i passi successivi senza calcolare ogni mossa in partenza – risparmiandosi un bel po’ di ansia – e di rimanere aperti all’imparare come navigare le onde (un mare calmo non ha mai fatto un buon marinaio) rimanendo umili e coltivando un buono spirito di osservazione”.

A dieci anni dalla partenza, grazie a tutte queste attività, ha iniziato a ricevere importanti riconoscimenti internazionali. Ricevere un premio è il coronamento di un lavoro portato avanti con impegno e dedizione: quali sono stati i maggiori sacrifici che l’hanno portato a essere la professionista che è ora?

“I sacrifici hanno principalmente a che fare con la gestione del tempo. Con un lavoro full time il tempo che non spendo con i miei affetti lo dedico per intero al ruolo di mentore e coach. È un’attività perlopiù di volontariato che mi porta a supportare tanto donne e ragazze che desiderano avere più controllo sulla loro carriera, quanto persone che provengono da gruppi sociali sotto rappresentati. Sono convinta che in molti potrebbero trarre giovamento da un lavoro nel mondo tech, perché generalmente parlando paga molto bene (basterebbe una persona a nucleo familiare che lavori nel settore per ridurre lo stato di povertà di molte famiglie) ed è più aperto di altri all’inclusione femminile e ad assumere le persone più per le loro soft skills che per le competenze nel settore”.

Quali sono i valori che ispirano un percorso così significativo come il suo?

“Penso sinceramente che sia responsabilità di ciascuno di noi rendere il mondo che viviamo più giusto. Sfortunatamente molte persone pensano ancora che siccome loro hanno fatto fatica allora devono far fatica anche gli altri, ma il mio motto, ripreso da una citazione della poetessa Maya Angelou, è “Se impari, insegna. Se ricevi, dai”. Io sono partita da un background semplice, non avevo connessioni, mezzi o relazioni importanti alle spalle: lavorare nel mondo della tecnologia all’estero mi ha cambiato

la vita, mi ha permesso una forte mobilità sociale e ora desidero che anche altri possano avere le stesse occasioni. Con le persone che aiuto parlo di tutto, da come negoziare un salario a come affrontare i colloqui di lavoro, così che possano cogliere tutte le opportunità possibili. Mi piace molto sostenere i percorsi di crescita femminile, lavorando sull’autostima e sul pianificare con chiarezza gli obiettivi: in questi anni ho supportato donne che hanno aumentato il loro salario del 45%, che hanno iniziato a dedicarsi al public speaking, che hanno cambiato carriera. È meraviglioso assistere alla crescita di persone che pensavano che i propri obiettivi non fossero raggiungibili”.

Ritorniamo alla Carlotta che è partita da Schio nel 2009: cosa direbbe alle giovani ragazze scledensi che faranno la maturità quest’anno?

“Circondatevi di persone che sostengano la vostra crescita, non abbiate paura di chiedere aiuto e non dimenticatevi di aiutare quanto potete, in qualsiasi modo siate capaci, senza aspettare che siano gli altri a chiedervelo. Domandate riscontri a chi avete accanto: come posso fare meglio?

Cercate di capire in cosa siete brave e, se non trovate risposta, dedicatevi ad attività di volontariato che vi permettano di sperimentarvi e comprenderlo. Fallite, esplorate cose nuove, ascoltate le storie di altre persone con orecchio umile e attento. Prendete decisioni ponderate e intenzionali, costruitevi una visione che vi aiuti a capire quali passi intraprendere. Non abbiate pausa di sbagliare: il fallimento sta solo là dove non si impara nulla dall’errore. Godetevi il viaggio e ricordate, lungo la strada, di riflettere su cosa state imparando”. ◆

Attualità SchioMese ◆ [17]

Spettacoli

Assistere a spettacoli come “Supplici” di Euripide, diretto magistralmente da Serena Sinigaglia, riconcilia con tanti tentativi, a volte non riusciti, di rivisitare i classici. L’attualità del testo, scritto nel 423 avanti Cristo, è impressionante: qui Euripide, praticamente unico fra i classici greci, parla di pacifismo e amore fra i popoli, scegliendo come portavoce un gruppo di donne che supplicano la restituzione delle salme dei figli morti in battaglia. Al Civico le sette straordinarie attrici della compagnia ATIR hanno aiutato il pubblico a paragonare i fatti di un tempo apparentemente lontanissimo con quelli che stanno accadendo oggi nel mondo. L’amore per i classici della regista, che a Schio aveva già proposto “Le Troiane” e “Romeo e Giulietta”, fa sì che lei riesca a specchiarli nella contemporaneità. Per farlo può contare su attrici che sono convincenti anche nei ruoli maschili e che mostrano una gestualità curata, efficace ed evocativa; i costumi sono splendidi e le scene, centrate su una roccia che via via è pulpito, tribuna, trono, altare, rogo, sanno aumentare il dramma anche con il sapiente aiuto delle luci. ATIR prosegue nell’intento di offrire un teatro diretto, chiaro, che stimoli la riflessione. E il pubblico capisce e risponde positivamente.

Civico re-inaugurato da un grande Arlecchino

Bravi, bravissimi quelli di Stivalaccio Teatro, che con il loro “Arlecchino muto per spavento” hanno inaugurato alla grande il Civico completamente restaurato e a piena capienza. Lo spettacolo, in doppia replica, ha registrato il pienone per due volte, prova tangibile di quanto il pubblico scle-

Euripide, Arlecchino e la poesia che spiega la vita

In quest’inizio d’anno il Civico riaperto ha fin qui ospitato la compagnia ATIR con la tragedia greca “Le Supplici”, Stivalaccio Teatro in piena commedia dell’arte e un poliedrico Lorenzo Maragoni tra racconti e versi sui valori del quotidiano.

dense, e non solo, sia entusiasta della compagnia vicentina, fra le pochissime in Italia a saper unire recitazione, canto, danza, combattimenti, lazzi, intrallazzi e tanta improvvisazione.

Dieci attori sul palco, fra cui il regista Marco Zoppello, che ha adattato il soggetto originale, nei panni del protagonista; ma ad aver brillato non è stato certo solo lui: qui siamo di fronte a una compagnia nel senso puro del termine, perché ogni attore trova il suo spazio e viene valorizzato dagli altri interpreti. Un gran lavoro di squadra, in cui il contributo di ognuno è prezioso; il pubblico, poi, è spesso coinvolto direttamente, così come si faceva nella Commedia dell’Arte, e la partecipazione diretta è valore aggiunto. Regia effervescente, scene e costumi curati e d’effetto, realizzati con particolare attenzione al riutilizzo e ai materiali di basso impatto. Giovani, geniali, generosi e… giganti in scena: teniamocelo stretto, il teatro dello Stivalaccio! (TFM)

Maragoni in racconti e in versi Davanti a Lorenzo Maragoni, campione mondiale di Poetry Slam a Parigi nel ‘22, bisogna porsi semplicemente… in attesa: di ciò che farà, di ciò che dirà, di ciò che riuscirà a condividere con il pubblico. È stato sul palco del Civico per un’ora, solo soletto, raccontando e verseggiando senza mai fermarsi. Poesia contemporanea? Teatro? Chiacchierata? Di tutto un po’: un mélange solo apparentemente leggero, che però in realtà tocca corde profonde e grandi argomenti comuni come l’amore, il lavoro, la quotidianità, il passare degli anni, la vita insomma.

Tutto può diventare poesia, tutto può diventare teatro, il come va ricercato. Maragoni lo sta facendo con onestà intellettuale e con leggerezza profonda, a volte riuscendoci di più, a volte di meno. Piacevole da ascoltare, sorprendente riconoscersi proprio tanto in quel che dice e che sa trasformare in versi. ◆

Arrivano i Musici di Guccini (poi Caccamo e Alice)

Scoppiospettacoli di Max Capraro organizza, come di consueto a primavera, tre serate all’Astra: sabato 18

marzo con “I Musici di Guccini”, giovedì 27 aprile con il comico Filippo Caccamo, venerdì 12 maggio con Alice canta Battiato. Il primo concerto con “I musici di Guccini”

è un progetto proposto dai musicisti storici, da sempre al fianco del maestro modenese: Juan Carlos Biondini (voce e chitarra), Vince Tempera (tastiere), Antonio Marangolo (sassofono), Pierluigi Mingotti (basso elettrico) e Ivano Zanotti (batteria). Considerato che Guccini non fa più concerti, tocca a loro dare continuità e valore

a un patrimonio musicale e poetico come pochi. Sul palco dell’Astra, raccontando anche esperienze di vita vissuta a fianco di Guccini, faranno ascoltare canzoni che tuttora emozionano e che fanno parte della storia della musica italiana: Il vecchio e il bambino, L’Avvelenata, Auschwitz, Dio è morto, Canzone per un’amica, Noi non ci saremo, Cyrano. Una serata che ha già entusiasmato i palcoscenici di molte città italiane, sul filo del ricordo più prezioso, quello che delinea il futuro. ◆ [M.D.Z.]

[18] ◆ SchioMese
I Musici di Guccini

Spettacoli

Nel finale dello scorso anno la città ha ospitato alcuni spettacoli di notevole interesse e valore, alcuni dei quali ci sembra doveroso commentare ora in un veloce excursus riassuntivo.

Il compleanno dell’Accademia

“L’anno che verrà” è stato lo spettacolo che l’Accademia Musicale di Schio ha donato alla città in occasione del suo quindicesimo compleanno. “Ci concentriamo oggi nei progetti e negli eventi per le scuole – ha affermato il direttore artistico Dario Balzan, - con l’appoggio dell’amministrazione comunale e di una quindicina di aziende che credono nel valore della musica”. Dopo un ricordo riservato a chi era vicino all’associazione, ma che purtroppo non c’è più, la parola è passata al trio Servillo-Girotto-Mangalavite. Chi si aspettava il “solito” tributo a Lucio Dalla nel decennale della morte, è rimasto spiazzato dagli arrangiamenti inusuali, dall’estro e dall’improvvisazione di tre artisti che si sono appropriati di musiche e parole del cantautore bolognese, il quale avrebbe volentieri permesso le loro intrusioni. Accanto a brani noti, il trio ha affrontato anche pezzi meno popolari, affidando il bis a “L’anno che verrà”, come messaggio di speranza.

La prima volta di Pennac

All’Astra un folto pubblico ha partecipato a “Dal sogno alla scena”, in cui Daniel Pennac, scrittore di grande successo, ha portato sul palco alcuni suoi racconti in cui il sogno risulta essere il grande protagonista. Ad affiancarlo, due ottimi attori napoletani, Pako Ioffredo e Demi Licata che, con mimica marcatamente partenopea, sono riusciti a far comprendere al meglio alcuni passaggi.

Lo scrittore parlava in francese e Ioffredo, in simultanea, traduceva. Con franchezza, per noi, ma anche per altri, sarebbe stato più utile capire il napoletano stretto proposto nel primo racconto, ma la gestualità è stata per fortuna alquanto esplicativa. La pièce, in sé, è semplice ed essenziale, si affida a gesti caricati e a parole d’effetto, ma il grande protagonista è proprio il sogno, che aleggia dall’inizio alla fine: una scena ridotta al minimo accompagna funambolismi onirici in cui si parla di Maradona, di Fellini, di famiglia, di lavoro, di vita. Qualcuno si aspettava qualcosa di più im-

Tra Dalla, Pennac e la grande musica

Nel finale dello scorso anno la città ha ospitato alcuni spettacoli di notevole interesse e valore, alcuni dei quali ci sembra doveroso commentare ora in un veloce excursus riassuntivo.

pegnato? Forse, ma mettendo il sogno in scena Pennac ci ha fatto superare la sottile linea di confine tra lettura e recitazione e tra realtà e immaginazione. E se è vero che siamo fatti della stessa sostanza dei sogni, testi di confine come questo aiutano a esserne consapevoli.

La storia del Civico

Ha debuttato al Civico un suggestivo racconto teatrale itinerante che ne racconta la storia: “Il Signor C.”. A curare l’allestimento - un’esperienza scenica che intreccia le vicende di resistenza e rinascita del teatro con frammenti della grande Storia e di storie di teatro e vita vissuta - è stata la Compagnia Stivalaccio Teatro. Alvise Camozzi si è occupato della drammaturgia, mentre hanno recitato i bravi Sara Allevi, Valentina Brusaferro e Pierdomenico Simone. Nel foyer Simone, trasformato nel sindaco di allora, ha ricordato i momenti salienti per il teatro d’inizio secolo: l’inaugurazione, l’incendio del ‘16, la prima guerra mondiale in cui lo stesso Civico fungeva da deposito per le munizioni, gli incontri di pugilato, gli entusiasmi per gli spettacoli di trasformismo, di illusionismo e per le opere liriche. All’interno del Civico gli spettatori hanno ascoltato registrazioni radiofoniche storiche. All’interno del Ridotto sono

stati ricordati i rivoluzionari anni Settanta e la petizione del ‘79 al sindaco, in cui erano state raccolte centinaia di firme a sostegno del recupero del teatro. E poi, dal 2004, l’inizio della rinascita, con quel Lotto Zero proposto da una donna di teatro, Annalisa Carrara, che ha diretto la Fondazione per molti anni e che ha gettato le basi per un recupero condiviso e originale. Spettacolo da replicare nelle scuole.

Ed è tornato il Concerto di Capodanno

È tornato al Civico anche il tradizionale appuntamento con il Concerto di Capodanno, bloccato per due edizioni dalla pandemia. Il teatro ha ospitato due serate con la grande musica (ouvertures, arie d’opera, valzer), grazie a Imprese e Cultura, un gruppo di aziende del territorio che offrono il gala lirico organizzato dalla Fondazione. Sul palco, tanti bravi giovani musicisti dell’Orchestra Giovanile Regionale Filarmonia Veneta, diretta per l’occasione dal maestro Giovanni Costantini. Novità di quest’anno, le coreografie della danzatrice Marta Giovanna Tabacco, che ha emozionato con il tema della Notte. Il tutto esaurito di entrambi gli appuntamenti è stato una garanzia per rinnovare l’incontro di fine anno anche per il 2023. ◆

[20] ◆ SchioMese
Lo scrittore francese Daniel Pennac nello spettacolo ospitato all’Astra

Attenzione a non indurre in errore il lupo

isogna tutelare la natura. Il lupo è parte della natura, quindi il lupo va tutelato”. Credo che la tenace difesa del lupo si basi anche su sillogismi come questo. Dall’altra parte ci sono gli allevatori che ogni tanto si trovano con qualche animale sbranato. Forse è difficile nel nostro territorio conciliare le due esigenze. Pazienza se devi sacrificare qualche capretto, lo Stato potrà sempre risarcirti. Prima di avanzare pretese, tu però allevatore fa il tuo dovere: metti attorno al gregge reti abbastanza alte e robuste da resistere agli attacchi oppure, siccome il gregge si sposta, e tu dovresti seguirlo con il tuo carico di reti e di pali, meglio ancora sarebbe

Detto tra noi

che ti dotassi di cani abbastanza aggressivi come i maremmani, per contrastare i lupi. E se poi questi cani, sbagliando obiettivo, attaccano gli escursionisti?

È abbastanza inquietante leggere sul Giornale di Vicenza 14.10.22 che in contrà Dalla Vecchia (luogo bellissimo del Tretto) sono stati uccisi dai lupi quattro camosci e una capriola. Per fortuna che per gli uomini non c’è alcun pericolo. Gli uomini fanno schifo ai lupi, hanno un odore che li respinge. Hanno nel loro dna la memoria di una guerra persa contro gli umani. Per la verità le leggende che ci sono stati tramandate (che, si dice, contengano spesso un nucleo di verità) sui lupi non sono molto tranquillizzanti per noi: dal lupo di Gubbio a Cappuccetto rosso e nonna.

Mariano Castello, scrittore molto apprezzato dai lettori, inizia in questo numero una collaborazione con il mensile, attraverso una rubrica in cui offrirà il suo punto di osservazione sulla città. Visto... dal Castello, appunto

Una volta, per tranquillizzare la gente, in televisione è intervenuto un esperto: “Se vi incontrate a tu per tu con un lupo, che sarebbe un’esperienza bellissima, state fermi, non vi muovete e non mostrate di aver paura. Dopo un po’ il lupo andrà via. Se vi metteste a correre il lupo potrebbe scambiarvi erroneamente per una preda. Il lupo negli ultimi cento anni e oltre non ha mai attaccato l’uomo. Quindi dobbiamo essere tranquillissimi, quando ci avventuriamo nei nostri boschi, speriamo solo di avere la fortuna di vederne qualcuno, perché sono animali schivi, che non si fanno vedere”. Però bisogna stare attenti a non farsi scambiare per una preda, inducendo in errore il lupo.

Per inviare lettere e contributi a SchioMese, scrivere a: schiothienemese@gmail.com Si prega di inviare i testi soltanto via posta elettronica e di contenere la lunghezza: testi troppo lunghi non potranno essere pubblicati a prescindere dai contenuti.

Guerre vecchie e nuove, ma la musica non cambia

Quando guardo in Tv la guerra in diretta, quella voluta dalla vecchia ex Unione sovietica di Putin contro l’Ucraina, abitata dalla stessa etnia protoslava, la mia memoria vola alla seconda guerra mondiale e alla situazione di Schio di quel tempo. Nato nel 1938, ero un piccolo allievo dell’asilo Rossi, in caso di allarme aereo eravamo sicuri nel rifugio sotto il castello a cui si accedeva direttamente dall’asilo. L’altro rifugio era sotto una montagnola di Magré al di là della Giolgara; per arrivarci c’era un ponte pedonale in legno come prolungamento di via Rossi, di cui rimangono alcuni piloni sul torrente Leogra, sempre più in secca e pieno di vegetazione.

Allora la guerra fu una trovata di Hitler, pazzo da legare, ma pieno di seguaci; la prima guerra mondiale era nata come risposta all’uccisione di un principe reale. Quella di oggi? non si sa esattamente il motivo, ma le cause della guerra sono

sempre insufficienti per giustificarla. Nella secondo guerra mondiale, i monti che circondano la nostra città ci hanno protetto dalle incursioni aeree, ma forse Schio non era così importante da essere colpita dalle bombe. Tuttavia nelle città italiane gli aerei alleati hanno scaricato molti proiettili di ogni tipo contro i civili. A Schio l’unico bombardamento importante avvenne alla Lanerossi da parte di otto caccia con due bombe ciascuno. L’asilo fu solo in parte danneggiato (due vetrate vicino all’entrata) e rimanemmo a casa per due settimane.

Una notte Pippo, l’aereo notturno inglese che mitragliava se vedeva luce, scaricò la sua bomba presso la stazione ferroviaria di Schio, proprio sopra una catasta di traversine di legno per la ferrovia. Stavo dormendo in via Milano; lo spostamento d’aria spalancò la finestra della camera e mi svegliai di soprassalto. Quindi tutti al rifugio nella cantina dell’abitazione.

Alcuni caccia mitragliarono le littorine in deposito alla stazione, nel giorno di san Giuseppe, il 19 marzo. Nella porta della casa, ora proprietà di Mano Amica, c’è il segno di un proiettile di quel giorno. Quindi, nonostante l’ occupazione tedesca, a Schio non abbiamo avuto particolari problemi e danni materiali a causa della guerra.

Ma dove c’è la guerra, come oggi in Ucraina, sei in pericolo ovunque. E noi europei, chi più, chi meno, ne avvertiamo le conseguenze di tipo economico e di tipo politico.

Da noi ci sono anche i pacifisti a senso unico, quelli che sono contro la guerra solo se chi la provoca è un loro nemico. Personalmente sono sempre stato contro qualsiasi guerra, non importa chi la provoca e perché.

Si spera che sia l’ultima, ma questa è solo una speranza, un’illusione.

[22] ◆ SchioMese

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