SchioMese n 947

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SchioMese

Periodico di informazione dell’A lto Vicentino

anno XII n. 115 - novembre 2023

Cogito ergo Du Fer: intervista a Riccardo Dal Ferro - p.8 ◆ Nel ricordo di Vittorio Matino - p.12

230 giorni al centro della guerra

Lo scledense Matteo Pietrobelli, giovane documentarista in zone di guerra, dall’inizio dell’invasione russa ha trascorso 230 giorni in Ucraina, lavorando per varie testate e con più giornalisti, particolarmente per reportage di approfondimento.


Di mese in mese Due uscite in novembre A novembre Lira&Lira uscirà eccezionalmente anche a fine mese. Come redazione si è deciso di essere presenti con il mensile SchioMese in entrambe le occasioni. Questo primo numero novembrino, dunque, presenta una foliazione ridotta proprio per poter offrire ai lettori un secondo numero anche a fine mese.

SchioMese

Periodico di informazione dell’Alto Vicentino

Supplemento mensile di

Lira&Lira Direttore Stefano Tomasoni Redazione Elia Cucovaz Mirella Dal Zotto Camilla Mantella Grafica e impaginazione Alessandro Berno Per inviare testi e foto: schiothienemese@gmail.com Per le inserzioni pubblicitarie Pubblistudio tel. 0445 575688

Evviva, il liceo classico a Schio tiene ancora duro

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Stefano Tomasoni

dite udite, il liceo classico a Schio non se la passa per niente male. Questa è già di per sé una notizia, e dal punto di vista di chi scrive è una bella notizia. Eh sì, perché le statistiche dicono da tempo che nelle scuole superiori italiane – all’interno di un trend demografico penalizzato da indici di denatalità che si stanno facendo sentire in modo pesante sulle scuole elementari e presto arriveranno anche ai cicli successivi – va diminuendo il numero di chi sceglie gli studi umanistici, mentre aumenta quello di chi si orienta verso il liceo scientifico e procede tra luci e ombre l’andamento delle scuole tecniche e professionali. A passarsela meglio di tutti, sembrano essere gli indirizzi non tradizionali dello scientifico, quelli centrati sulle discipline cosiddette “Stem”, ovvero scienze, tecnologia, ingegneria e matematica. Ma se questo è il macro-quadro nazionale, a guardare i numeri delle presenze nelle scuole superiori scledensi si nota che la situazione presenta qualche distinguo. Gli studi classici, ad esempio, hanno perso anche qui una percentuale di iscritti negli ultimi 7-8 anni, ma ultimamente mostrano di riuscire a difendersi bene. Nell’anno scolastico 2017-18 lo Zanella, che in quel momento era ancora autonomo come liceo classico e linguistico, aveva 535 iscritti; ora ne ha 468, ma il numero da un paio d’anni è stabile o in leggero aumento. E questo, considerato il “mainstream” che da anni tende a dipingere gli studi umanistici come superati e inutili per incontrare poi il lavoro richiesto oggi, è già un signor risultato. Probabilmente sta pagando la scelta fatta della scuola, che ha aggiornato la propria offerta formativa creando due indirizzi, il “classico giuridico” partito da due anni con l’inserimento della materia diritto, e il “classico con potenziamento dell’asse scientifico”. Nell’anno scolastico in corso i licei scledensi si mantengono in buona salute e continuano ad attirare più della metà degli studenti. L’Itis ha avuto negli ultimi an-

ni un trend stabile con un picco nel 2022, il Pasini quest’anno ha fatto un balzo in avanti di quasi un terzo di iscritti rispetto all’anno precedente, il Garbin ha registrato una leggera flessione nella sede di Schio ma nel generale è in crescita. In generale, la tendenza oggi è quella a preferire le scuole che preparano la strada a una scelta universitaria rispetto a quelle che preparano a un ingresso diretto nel mondo del lavoro. In tutto questo, dunque, rimane il sollievo per il fatto che il liceo classico a Schio tenga ancora le posizioni più che dignitosamente. Sollievo, sissignore. Perché le sfide del mondo di oggi non si possono risolvere con la sola applicazione delle tecnologia.Anzi, proprio perché la tecnologia si sta spingendo verso orizzonti sempre più lontani (i traguardi raggiunti in poco tempo dall’intelligenza artificiale devono far pensare), diventa ancora più importante non trascurare i saperi che sviluppano il pensiero critico e la capacità di ragionare. C’è bisogno che le discipline tecniche si muovano coadiuvate dalle altre, c’è bisogno di dare ai giovani opportunità di sviluppare ragionamenti complessi e multidisciplinari. Perché il mondo del lavoro oggi è molto diverso da quello del passato, e in futuro lo sarà ancora di più. Si sente dire spesso che gran parte dei lavori che andranno per la maggiore tra 10-15 anni non sono ancora stati inventati: sarà magari una previsione eccessiva, ma la logica è quella. Lo ha detto bene la prof.ssa Laura Nota, ordinaria di psicologia dell’orientamento e dell’inclusione all’Università di Padova: “La riduzione della percentuale di iscrizione ai licei classici può essere letta come un dato allarmante perché è come se dicessimo che la scuola è strettamente finalizzata all’inserimento lavorativo, svalutandone il suo ruolo educativo. Stiamo tralasciando il valore culturale della scuola, enfatizzando il fatto che sembra essere uno strumento a solo vantaggio dell’inserimento nel mondo del lavoro”. Ecco il punto: la scuola oggi va vista come uno strumento per entrare presto e bene


Di mese in mese nel mondo del lavoro, oppure deve avere come obiettivo la formazione di una visione complessa della realtà, in grado di allargare la mente? Forse, immersi come siamo in una società sempre più basata sulle tecnologie, è arrivato il momento di difendere quel che resta della cultura umanistica, da tempo messa all’angolo sia dall’orientamento scolastico che – come conseguenza – dagli studenti e dalle famiglie, nella convinzione che per avere chance di entrare nel mondo del lavoro di oggi e di domani sia necessario puntare su una scuola immediatamente professionalizzante. Detto in poche parole, in un mondo ideale chiunque dovrebbe scegliere gli studi che sente più consoni alla propria indole e alle proprie passioni. Come ha scritto Nuccio Ordine, illustre italianista scomparso purtroppo da poco, nessun mestiere potrebbe essere esercitato in maniera consapevole se le competenze tecniche che richiede non sono subordinate a una formazione culturale più vasta: “Esistono saperi fini a se stessi che, proprio per la loro natura lontana da ogni vincolo

Lo Schiocco Quelli che Quelli che il problema del passaggio a livello vorrebbero risolverlo spostando la stazione ai Cementi così non serve fare altro e buonanotte al secchio. Quelli che vorrebbero passarci sopra con la strada costruendo una grande rotonda sopraelevata stile circonvallazione di Los Angeles. Quelli che vorrebbero passarci sopra con la ferrovia costruendo un terrapieno e proseguendo in quota stile sopraelevata di New York. Quelli che vorrebbero che la ferrovia passasse sotto e continuasse in trincea e in galleria fino alla nuova stazione sotterranea stile metropolitana di Parigi. Quelli che pensano che la soluzione di tutti i problemi di Schio sia la De-

stra Leogra, che toglierà il traffico pesante da via Baccarini, poi magari in futuro le fabbriche “a monte” di Schio si trasferiranno in zona industriale e sparirà il traffico pesante. Quelli come noi, che da quarant’anni – dai tempi di “Schio cul de sac” - vedono il dibattito cittadino ossessionato dai temi della viabilità e che adesso avrebbero voglia che ci si concentrasse con la stessa intensità su altri temi forse un pochino più importanti. Il futuro della scuola, ad esempio, visto che nascono sempre meno figli. I giovani che se ne vanno, gli anziani che aumentano, il lavoro che cambia, la sanità sempre più in mano ai privati. Cose così insomma. [S.T.]

pratico e commerciale, possono avere un ruolo fondamentale nella coltivazione dello spirito e nella cresciuta civile e culturale dell’umanità”.

E allora, per chiudere il cerchio e tornare da dove siamo partiti, evviva la bella notizia che il liceo classico a Schio dà segnali di tenuta. Forza Zanella. ◆


[4] ◆ SchioMese Copertina

“È una sfida che amo moltissimo – dice Pietrobelli -. La camera mi obbliga a osservare da vicino volti, situazioni belle e meno belle, dolori, gioie, i grandi eventi e i personaggi che scrivono la storia del mondo”.

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Mirella Dal Zotto

atteo Pietrobelli, trentenne scledense, è documentarista in zone di guerra, attualmente al seguito di Andrea Lucchetta, inviato Rai in Ucraina. Dall’inizio del conflitto ha trascorso 230 giorni in quel paese martoriato, lavorando per varie testate e con più giornalisti, particolarmente per reportage di approfondimento. Ha accettato un’intervista sul nostro mensile, fornendoci in esclusiva una serie di foto. Ama il suo lavoro ed è anche molto legato a Schio, dove spera di raccontare, appena possibile, le sue esperienze. “Ho vissuto a Schio fino alla prima media – ci dice - poi ho cominciato a girare, diplomandomi in Germania e laureandomi in Inghilterra. Fin da piccolo ho sempre cercato esperienze immersive, fossero campi scout, trekking di più giorni in montagna, nottate in tenda con gli amici. Possibilmente, però, si dovevano tradurre in qualche forma di impegno civico, che è sempre stato alla base delle mie azioni”. Cosa significa realizzare documentari in zone ad alto rischio?

“Mi sono innamorato quasi immediatamente del lavoro documentaristico, che unisce l’impegno civico alla sete di avven-

In queste pagine alcuni scatti fotografici realizzati da Matteo Pietrobelli nel teatro di guerra ucraino. Qui bambini che osservano una palazzina bombardata. Sotto, un uomo alla distribuzione di cibo a Kherson subito dopo la liberazione. Nella pagina a fianco in alto Matteo Pietrobelli con la sua videocamera e, sotto, una chiesa distrutta intorno a Lyman.

“Così racconto la guerra in Ucraina” Lo scledense Matteo Pietrobelli, giovane documentarista in zone di guerra, dall’inizio dell’invasione russa ha trascorso 230 giorni in Ucraina, lavorando per varie testate e con più giornalisti, particolarmente per reportage di approfondimento.

tura e alla passione per il racconto intimo, personale. Bisogna sapersi inserire all’interno di situazioni umanamente molto complesse, spesso avvicinandosi alle persone nei loro momenti più intimi o difficili, tutto con la camera in mano. È una sfida molto affascinante, professionalmente e umanamente. La linea morale da cavalcare è sottilissima, soprattutto ora: da una parte c’è la necessità di un racconto giornalistico efficace, che inevitabilmente deve appoggiarsi a difficoltà, dolore e sconforto per denunciare o comunicare con forza una situazione; dall’altra è essenziale rispettare chi incontriamo, che spesso si trova in momenti di fragilità assoluta, lasciando lo spazio che serve per vivere quel momento in tranquillità, rifiutando con forza di fare pornografia del dolore. Condivido appieno l’indignazione delle persone verso un certo tipo di giornalismo... Spesso, a casa, alcune immagini possono dare fastidio o essere considerate troppo forti, perché costringono lo spettatore a guardare qualcosa che non vuole vedere, ma che però a mio avviso va visto”. Capiterà sicuramente di dover girare immagini in tempi brevissimi…

“È una grande sfida tecnica: bisogna saper anticipare o reagire con estrema rapidità nelle varie situazioni; magari ci si trova a non filmare nulla per ore e poi a riprendere una sequenza centrale in un minuto, valutando il contenuto, la qualità dell’audio, la luce; occorre decidere come posizionarsi, quale inquadratura racconta meglio, valutare la sicurezza…Tutto ciò può aggiungere o togliere forza al racconto, le scelte giuste vanno fatte in tempi brevissimi: è una sfida adrenalinica”. Adesso è conosciuto e richiesto, ma come sono stati gli inizi?

“Molto molto difficili. Dopo la laurea in produzione cinematografica e televisiva conseguita a York, ho faticato anni per trovare lavori costanti o pagati sufficientemente. È stato un periodo alquanto duro, che ho superato solo grazie al supporto della mia famiglia”.

Ha detto che la sua è una scelta di vita, che voleva proprio fare questo lavoro: quali sono le motivazioni che l’hanno spinta a prendere una decisione così importante, che implica notevoli rischi?

“È semplicemente una sfida che mi piace moltissimo, non saprei cos’altro potrei fa-


SchioMese ◆ [5] re. Ho sempre voluto vivere in maniera empirica, vedere le cose e seguire le situazioni da vicino, capirle, esserne partecipe. Vengo catapultato costantemente in realtà del tutto diverse dalla nostra e la camera mi obbliga a osservare da vicino volti, situazioni belle e meno belle, dolori, gioie, i grandi eventi e i personaggi che scrivono la storia del mondo”.

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Qualche esempio?

“Ricordo una bambina irachena che ha perso i piedi a causa dei bombardamenti, un rifugiato afghano che ha provato a passare il confine europeo nei Balcani, una coppia di coltivatori di coca in Colombia, Guterres, Zelensky, uno sminatore ucraino... Sono tutti volti, tutte persone con cui abbiamo condiviso esperienze, parole, momenti. Come documentarista sono lì, al centro. Dietro ogni persona o fatto che riprendo, c’è l’esperienza che vivo raccontando; so che nel mio cammino vivrò molti momenti forti: saranno mille pepite d’oro da riporre, senza tante cerimonie, nel mio zaino, camminando fianco a fianco di amici e colleghi che condividono con me le stesse esperienze e che le capiscono fino in fondo. Mi sembra di far parte di una grande famiglia franca”. Una domanda personale: come ha reagito la famiglia quando ha saputo che doveva raggiungere il fronte ucraino?

“Sono partito i primi giorni del conflitto. I miei sicuramente erano preoccupati, ma mi hanno sempre aiutato rispettando le mie scelte. Ricordo una sera - ero tornato da poco per concedermi una pausa - in cui è arrivata una chiamata dell’ultimo minuto per ripartire, quasi immediatamente. Finché preparavo l’attrezzatura, mio padre si è dedicato con estrema cura e tenerezza a scrivere “PRESS” sull’elmetto. ‘Devi essere riconoscibile’, mi ha detto soltanto. Chissà come si sentiva lui, come si sentiva mia madre, ma erano entrambi lì ad aiutarmi, perché dovevo fare in fretta”. Penso le sia capitato di temere per la sua incolumità…

“Sì, ci sono state diverse occasioni in cui abbiamo avuto paura o in cui abbiamo fatto degli errori, ma niente di estremo. Altri colleghi hanno rischiato molto di più, so-

no rimasti feriti o sono morti. È essenziale che le grandi aziende mediatiche italiane adottino un sistema efficace di valutazione del rischio, che sappiano pianificare e supportare giornalisti e operatori”. Ma che idea si è fatto del conflitto ucraino?

“Posso dire che ora uno dei problemi dell’Ucraina è che la gente reagisce poco agli allarmi antiaerei, è come assuefatta e per continuare a vivere accetta il pericolo. Un giorno eravamo a Chasiv-Yar, alle porte di Bakhmut, la città che chiamano ‘il buco nero della guerra’, quando i russi hanno cominciato a bombardare e gli ucraini a rispondere al fuoco; nel fracasso assordante un signore del paese si è messo a urlare nella mia direzione, indicando degli alberi. Ho puntato la camera e ho visto dei soldati correre, ma nient’altro; in fase di montaggio ho capito che stava semplicemente indicandomi uno scoiattolo su un albero”. In Ucraina lavora a fianco dell’inviato Rai Andrea Lucchetta. Come si svolgono le vostre giornate?

“Ci svegliamo molto presto, tra le 5 e le 7, e ci mettiamo in macchina, alla ricerca di storie significative. Capita di fare dalle tre alle cinque dirette, girare e montare un reportage breve; una volta a settimana produciamo poi un documentario lungo, di approfondimento. Normalmente Andrea si occupa delle domande e dell’intervista, in seguito costruiamo la storia mettendo insieme la narrazione giornalistica con quella visiva, emotiva. I giornalisti lavorano in maniera diversa, ma Andrea lascia piena libertà e potere decisionale all’operatore, che poi provvede al montaggio”. Nell’ultima telefonata mi ha detto che in Ucraina, dopo lo scoppio della guerra tra Israele e Hamas, la situazione è più tranquilla: è ancora così?

“Dopo il massacro di 59 civili a Hroza, le questioni principali sono tre: la prima riguarda il fronte di Avdiivka, dove la situazione sembra essere molto tesa; la seconda è l’attesa di un attacco missilistico esteso,

perché ci si aspetta che la Russia, non appena caleranno le temperature, colpisca le infrastrutture energetiche per togliere acqua, riscaldamento ed elettricità alle città ucraine e convincerle alla resa, sopraffacendo le difese antiaeree; la terza questione è che la guerra in Palestina e le tensioni in Medio Oriente, che per la prima volta portano altrove l’attenzione mediatica occidentale, potrebbero avere conseguenze sugli aiuti all’Ucraina”. Pensa di rimanere ancora lì o c’è aria di trasferimento?

“Lavoro come freelance e in questi giorni continuano ad arrivarmi chiamate per Israele, mi aspetto di andarci a breve. Se non sarà così, da fine ottobre sarò in Centro America per un documentario sulla giustizia climatica, fino a inizio anno; poi, probabilmente, andrò in Nepal. Il tutto intervallato da vari progetti per la Rai in Ucraina o altrove”.

Lei è una persona con molti valori: professionalmente, quali sono i più importanti?

“Credo sia fondamentale cercare di creare un’informazione diversa, a largo spettro. Costruire un modo di raccontare complesso, avvincente, informativo e di qualità, senza fare melodramma. La Bbc ha un ottimo motto: educare, intrattenere e informare. Ho passato settimane in più, dopo lavori in zone di conflitto, per cercare di raccontare così. La mia più grande fortuna, e la mia più grande sfortuna, è che per me il mio lavoro non sarà mai solo lavoro”. Facciamo calare la tensione, Matteo: se in questo momento potesse tornar a Schio, dove andrebbe e cosa farebbe?

Andrei in montagna, immediatamente, e poi farei quattro chiacchiere con gli amici davanti a una bruschetta”. Cosa rappresenta Schio per lei?

“È uno dei miei punti fermi e mi piacerebbe poter usare ciò che riprendo per dare un contributo concreto al mio territorio”. ◆


[6] ◆ SchioMese Attualità

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Stefano Tomasoni

l lavatoio di via Manin e il suo giardinetto non sembrano attraversare un gran bel periodo di forma. O meglio, il lavatoio come manufatto sta tutto sommato bene. È quello che gli sta intorno che se la passa male e finisce per mortificare il manufatto storico. Quello di via Manin è l’ultimo lavatoio ancora presente in città (agli inizi del Novecento erano più di una ventina). La sua riscoperta risale alla fine degli anni Novanta: fino a quel momento era rimasto abbandonato e dimenticato lì nel suo angolino, ma in quello scorcio finale di secolo una bambina fece scaturire la scintilla della sua seconda vita. Spesso, si sa, i bambini vedono cose che gli adulti hanno sotto il naso da sempre e che trascurano perché concentrati su tante altre cose, più sull’insieme che sul particolare. Così capitò in quell’occasione. La ragazzina scrisse una lettera all’allora sindaco Berlato Sella per segnalare lo stato di abbandono del lavatoio e per chiedere che si facesse qualcosa per ridargli lustro. La segnalazione arrivò a segno e fece risvegliare l’attenzione sul manufatto, che peraltro presenta elementi di un certo pregio architettonico. Così fu predisposto un restauro, su progetto del capo dell’ufficio tecnico Pino Toniolo, e una sistemazione dell’area in-

Troppi rifiuti intorno a quel lavatoio C’è un angolo antico di città, ancora con una sua suggestione, che avrebbe bisogno di un rapporto diverso con… la spazzatura. Cominciando con lo spostare i bidoni dell’umido in un punto più nascosto e con il tenere più pulita nell’insieme via Manin.

torno, con l’installazione di alcune panchine di legno in stile fine ‘800 e con la piantumazione di calle, ortensie e siepi di bosco, ovvero specie arboree in uso ai tempi di Alessandro Rossi. Insomma, un bel lavoro, che restituì alla città un angolino di pregio di tutto rispetto, che da allora è tornato a far parte del patrimonio storico cittadino e non è più stato dimenticato, tant’è che sette anni fa un encomiabile intervento di manutenzione e ripulitura degli Alpini scledensi gli ha ridato nuovamente lustro togliendogli i segni del tempo. Dunque oggi il problema non è la struttura, che fra l’intervento di 25 anni fa e quello degli Alpini è in ottimo stato. Il problema è quello che gli sta intorno. I rifiuti, in altre parole. Non va per niente bene che se si fotografa il giardinetto e il lavatoio, a uscire in primo piano sia una batteria di cinque bidoni dell’umido, che oltretutto può capitare di trovare per giorni nella condizione illustrata dalla foto, ovvero stracarichi di sacchi abbandonati sopra e intorno dai soliti incivili. È senz’altro irritante la maleducazione e lo sciatto menefreghismo di chi butta i rifiuti in quel modo (nella foto, tra l’altro, è palese che più di qualche sacchetto non è di rifiuto umido ma di indifferenziata, per non dire del bidone centrale surrealmente rovesciato), ma “a monte” sono gli stessi bidoni che non vanno posizionati

in quel punto. L’invito che rivolgiamo ad AVA, l’ente gestore della raccolta, e al Comune è di provvedere a spostare il tutto in un punto meno visibile, che si può e comunque si deve trovare, perché il decoro urbano si tutela anche in questo modo, applicando senso dell’armonia pure nell’organizzare la raccolta dei rifiuti. Detto delle “scoasse”, una sottolineatura merita anche la statua in legno della lavandaia installata quasi quattro anni fa al centro del giardinetto, realizzata e donata dall’artista locale Adriano Danzo. L’opera purtroppo mostra già evidenti i segni del tempo e, considerata la visibilità che ha nel contesto in cui è inserita, non sarebbe male provvedere a un intervento di ripulitura prima che nel giro di qualche altro anno le intemperie la compromettano in modo irreparabile. Infine, allontanandosi appena dal lavatoio ma rimanendo in zona, non si può fare a meno di sottolineare la sporcizia in cui versa con troppa frequenza il tratto di portico sul lato sinistro di via Manin a pochi passi dal giardinetto. Complice il fatto che si tratti di un punto nascosto alla vista e di scarso passaggio, capita di trovare addirittura mucchi di rifiuti abbandonati, che finiscono col rimanere lì per giorni. Insomma, in via Manin non sarebbe male fare più attenzione ai rifiuti. Spostando i bidoni dal lavatoio e tenendo d’occhio i punti dove imperversano gli incivili. ◆



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Camilla Mantella

ultima volta che avevamo chiacchierato con Riccardo Dal Ferro, in arte Rick Du Fer, autore, divulgatore culturale, filosofo e performer teatrale, era il 2019 ed era in tour con il monologo “Seneca nel traffico”. Da allora il suo progetto di divulgazione filosofica – on line e off line - è cresciuto sempre di più, tanto che nel 2020, assieme al socio Federico Santolin Berto, ha aperto a Schio i Cogito Studios, uno studio di registrazione da dove viene trasmesso il fitto programma di approfondimenti e interviste che ha portato in città figure del calibro dell’attivista Marco Cappato e del giornalista Francesco Costa. Lo siamo andati a trovare agli Studios per farci raccontare come è evoluto il suo percorso nell’ultimo periodo e come proprio da Schio, a breve, partirà la Cogito Academy, la prima scuola filosofica che si ispira al fare filosofia come si faceva nell’antichità.

Ci eravamo lasciati nel 2019 con un progetto in espansione e ci ritroviamo, qualche anno dopo, in uno studio vero e proprio da dove vengono trasmessi contenuti seguiti da milioni di persone.

“Durante la pandemia mi sono reso conto che non volevo più lavorare da casa. In un momento dove tutti scoprivano il lavoro da remoto, mi rendevo conto che per poter far crescere il mio progetto avevo bisogno di scambi, incontri e relazioni. Avevo conosciuto Federico, fotografo ed esperto in progetti video, e con lui abbiamo deciso di fondare insieme una società e aprire i Cogito Studios, che nella prima sede si trovavano vicino alla Fabbrica Alta. L’apertura dello studio ci ha permesso non solo di avere un set più professionale, ma anche di poter accogliere gli ospiti dal vivo. Da allora abbiamo portato a Schio giornalisti, intellettuali, divulgatori, esperti in vari campi del sapere e abbiamo creato relazioni di valore che in alcuni casi si sono trasformate in vere e proprie amicizie. Quest’anno è entrato a far parte del team anche Valerio, grafico e al tempo stesso specialista nel seguire tutti gli aspetti organizzativi delle nostre attività e non escludiamo di allargare la squadra nel 2024. Fin da quando è stato possibile tornare agli appuntamenti in presenza nell’estate 2020 abbiamo accelerato anche sul fronte degli spettacoli dal vivo e delle conferenze: sono convinto che la filosofia vada fatta di per-

Cogito ergo Du Fer In città ha sede l’attività di divulgazione filosofica dei “Cogito Studios”, fondata da Riccardo Dal Ferro - meglio noto con il nome d’arte di Rick Du Fer - assieme a Federico Santolin Berto e che ogni mese raggiunge oltre due milioni di utenti tra attività on line e off line. E a breve partirà la prima Cogito Academy.

sona. Sono molto soddisfatto delle persone che ci seguono on line tramite i video su YouTube o i podcast sulle varie piattaforme audio (nel complesso raggiungiamo quasi 2 milioni di utenti al mese), ma considero il digitale una vetrina per lezioni, seminari e approfondimenti dal vivo. Nel frattempo ho pubblicato altri due libri per Feltrinelli, “Seneca tra gli zombie” e “La parola a Don Chisciotte” e a marzo ne uscirà un terzo”. Sembra proprio che ci siano moltissime persone interessate ad approfondire temi politici, culturali e di attualità con un taglio filosofico…

“Il nostro, soprattutto on line, è un pubblico davvero variegato. Riceviamo mail e commenti da ragazzini tredicenni e da professori universitari, da adulti appassionati e da anziani che magari non sono molto avvezzi al digitale ma che ci tengono a seguire i contenuti che diffondiamo. Proprio qualche giorno fa abbiamo ricevuto un messaggio da una signora ultranovantenne che ci teneva a farci sapere che segue sempre il nostro lavoro. Qual è, a suo avviso, la chiave di questo apprezzamento?

“Penso che stia nel fatto che porto solo contenuti che interessano in primis a me, senza seguire i trend del momento. Certo, quando rifletto sull’attualità è chiaro che parlo di temi che magari sono più noti, ma in ogni caso mi prendo sempre il tempo per approfondire e argomentare. Le persone seguono i nostri contenuti perché apprezzano la ricerca delle fonti,

la costruzione logica dei ragionamenti, la consapevolezza del pensiero e non perché hanno le mie stesse opinioni. Uno degli aspetti che apprezzo di più della community che si è creata attorno a questo progetto di divulgazione filosofica è che nei commenti si scatenano dibattiti, vengono mosse critiche costruttive, si crea insomma una discussione ragionata che fa bene al pensiero e che è il sale della filosofia. È un po’ questo il concetto alla base delle nostre attività e che riassumiamo spesso con l’espressione “combattere la zombificazione”: è possibile interrogarsi, dibattere, informarsi con cognizione di causa senza accettare passivamente punti di vista non ragionati o abbandonarsi a convinzioni che non sono state messe alla prova della logica e dello studio”. E si può fare tutto questo da Schio? Ci si potrebbe immaginare di doversi spostare in centri più grandi per far crescere progetti di questo tipo.

“In realtà il bello del nostro lavoro è che si può fare ovunque, senza contare che i costi di mantenimento di uno studio di registrazione qui sono di gran lunga inferiori a città come Milano, ad esempio. Io amo il mio territorio, mi piace abitare a Schio. In zona ho la famiglia, gli affetti e gli amici e penso che ci sia una qualità della vita più che buona. Certo, per contro diventa più faticoso e costoso portare qui gli ospiti, perché il nostro non è un territorio così centrale e quindi


SchioMese ◆ [9] dobbiamo preoccuparci di aspetti organizzativi e logistici che probabilmente non costituirebbero dei problemi in città più grandi”.

Attualità

E gli scledensi, dal canto loro, come rispondono?

Ecco, quello che mi rattrista un po’ è che per tre anni abbiamo cercato di portare a Schio figure di primo piano, spesso organizzando anche incontri pubblici, e nonostante le sale fossero piene gli scledensi hanno sempre latitato. Solo una piccola percentuale di persone presenti veniva infatti dalla città. Lo scorso anno, a dicembre, abbiamo organizzato per due giorni interi un Cogito Festival che ha attirato in città appassionati da tutta Italia – sono arrivati spettatori perfino dalla Francia – ma gli scledensi erano gran pochi, motivo per cui ci siamo interrogati se valesse la pena continuare a concentrare qui incontri di questo tipo. Senza fare troppe polemiche, penso che il nostro progetto non sia ben accolto da alcune associazioni culturali locali, che in passato hanno espresso forti dubbi e critiche sulle nostre iniziative”. Quindi stop agli eventi a Schio?

“No, ma cerchiamo di bilanciare gli sforzi e concentrarci anche su altre piazze. Tengo spettacoli e conferenze in tutta Italia, dove ho una risposta diversa. Schio rimane però il luogo da cui partono le nostre attività e dove spesso sperimentiamo nuove proposte. A questo proposito, la prossima primavera inizierà un progetto che mi sta davvero a cuore e che è il coronamento di quasi dieci anni di sforzi di divulgazione: abbiamo infatti deciso di fondare la Cogito Academy, una realtà unica in Italia, la prima accademia di filosofia che si ispira alla scuola stoica di Epitteto e che insegnerà a fare filosofia come si faceva nell’antichità. Affiancheremo a seminari e corsi on line lezioni in presenza, probabilmente nella zona del Tretto. Presenteremo tutti i dettagli in città tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo. I tempi sono ormai maturi, perché possiamo contare su una community

di appassionati che abbraccerà con entusiasmo questa nuova proposta”. Insomma, farete leva sulle relazioni, stavolta con gli utenti, create in anni di condivisioni e pubblicazioni.

“Uno degli aspetti che preferisco di questo lavoro è il potermi confrontare con le persone. Certo, è un lavoro tutto da inventare, spesso complesso e non è esente da ondate d’odio on line che spesso arrivano da chi non ci segue o non apprezza i contenuti che proponiamo, ma rispondere alle domande delle persone, aprire il dibattito e lavorare studiando è impagabile. Con un appunto, però: l’on line non può sostituire relazioni vere e profonde e chi ci segue solo digitalmente sa quanto insisto su

Tomasoni finalista al Premio Argentario La Maremma sorride a “Caccia al sindaco”. Il romanzo di Stefano Tomasoni - pubblicato da Piazza Editore e che racconta le rocambolesche vicende di una campagna elettorale sui generis in una cittadina vicentina di fantasia - è stato premiato come finalista al Premio letterario nazionale Argentario 2023, nella categoria Narrativa edita. Il riconoscimento è stato consegnato a Porto Ercole, località che con Porto Santo Stefano è il cuore dell’Argentario, il promontorio toscano ricco di bellezza naturale e di spiagge da villeggiatura, che a caccia di un sindaco molto particolare ci andò negli anni Settanta, eleggendo per dieci anni come prima cittadina nientemeno che Susanna Agnelli. [E.C.]

questo punto. I social possono essere degli strumenti formidabili per informarsi, approfondire e divertirsi, ma non devono sostituirsi alla vita reale. Motivo per cui, di recente, ho deciso di smettere di condividere anche i pochi contenuti di vita personale che pubblicavo su Instagram. Una scelta che non ci ha tolto pubblico – le persone ci seguono per altro, non certo per la mia vita privata – e che ho compiuto sia perché vivere pensando di dover condividere tutto ciò che di bello ci accade toglie valore alle esperienze e le distorce, sia perché mi sono accorto che stavo cadendo anche io in questo circolo tossico del mettersi in mostra e di basare il proprio valore sulla reazione altrui a ciò che pubblichiamo”. ◆




[12] ◆ SchioMese Cultura Dopo le prime esperienze espressioniste a tema sociale, Matino si indirizzò sempre più verso l’astrattismo facendo del colore l’elemento centrale della sua poetica. Vittorio Matino

“S

Elia Cucovaz

ono stata sorpresa, molto gradevolmente sorpresa, dalla numerosa presenza alla conferenza che la città ha voluto dedicare alla memoria di mio marito Vittorio Matino: oltre a tutti i posti a sedere occupati, c’erano persone in piedi anche nelle stanze adiacenti e perfino sulle scale”. A parlare è Nathalie Vernizzi, moglie dell’artista cresciuto a Schio e divenuto protagonista dell’astrattismo italiano, arrivando a esporre le sue opere in Europa e negli Stati Uniti, deceduto a Nizza nel 2022 all’età di 79 anni. Erano davvero in molti, di tutte le età, a gremire la sala al Museo Civico Palazzo Fogazzaro in cui si è svolta la conferenza “Vittorio Matino. L’opera e la persona”, promossa dal Comune di Schio, in cui sono intervenuti oltre a Nathalie Vernizzi, studiosa d’arte e docente universitaria oltre che compagna di una vita di Matino, la sorella Lucia e gli amici Giuliano Menato e frà Lino Breda. “Anche se da tempo il lavoro aveva portato Vittorio a trasferirsi a Milano, il nostro legame con la città è sempre stato vivo e intenso e qui ci sono ancora molti nostri amici e conoscenti che naturalmente erano presenti alla conferenza – spiega Nathalie Vernizzi -. Tuttavia ciò che mi ha sorpreso ed emozionato di più è stato il vedere molti volti giovani, intervenuti per appro-

Il folto pubblico presente all’incontro dedicato a Matino, a palazzo Fogazzaro

Nathalie Vernizzi

Nel ricordo di Vittorio Matino Una conferenza dedicata all’artista scledense scomparso due anni fa, tenuta dalla compagna di una vita Nathalie Vernizzi, è stata occasione per ricordare l’importanza di Marino nel panorama artistico italiano del Novecento.

fondire la conoscenza e anche tributare un omaggio alla memoria di un loro concittadino la cui opera, evidentemente, travalica le generazioni”. Denominatore comune della serata a Palazzo Fogazzaro è stata la volontà di ricordare l’uomo ancor prima dell’artista quotato a livello internazionale: la sua personalità solare, la sua empatia, la sua naturale predisposizione a creare legami profondi, la sua laica attrazione per la spiritualità. “Era un uomo tollerante nella vita e intransigente nel lavoro - continua Vernizzi - che pur nella costante evoluzione non ha mai ceduto alle mode e alle sirene del mercato, ma ha saputo fin da giovanissimo attrarre intorno alla sua arte una rete di collezionisti partita dal locale e oggi estesa in tutto il mondo”. Matino, nato nel 1943 a Tirana dov’era di stanza il padre, militare, e trasferitosi a Schio in tenerissima età, negli anni ‘60 iniziò a frequentare un gruppo di coetanei interessati all’arte, alla letteratura, alla politica. “Ma a quel tempo non c’erano i telefonini e internet. Le stesse pubblicazioni d’arte erano rare e preziose - racconta Vernizzi -. Quei circoli erano quindi fondamentali perché ci si scambiavano libri, riviste, esperienze. Una grandissima influenza su di lui l’ha avuta anche la Biennale di Venezia, dove si poteva entrare in contatto con i grandi artisti italiani e internazionali, in particolare gli americani”.

Dopo le prime esperienze espressioniste a tema sociale, Matino si indirizzò sempre più verso l’astrattismo facendo del colore l’elemento centrale della sua poetica. Nel 1971, incoraggiato dall’interessamento riscosso presso i primi mecenati scledensi, abbandonò l’insegnamento per vivere in tutto e per tutto della propria arte, trasferendosi a Milano con lunghi soggiorni di studio e lavoro a Parigi e New York. “L’esplosione cromatica delle sue opere è un punto di aggancio certamente molto forte per chi oggi intende avvicinarsi alla sua opera, ma è solo il punto di partenza – sottolinea la prof.ssa Vernizzi -. Davanti ai suoi quadri ci si può sentire in sintonia, provare sorpresa, spiazzamento, o anche rifiuto. L’importante è il rapporto fisico con l’opera, cosa che negli ultimi anni è stata più difficile a causa della lunga malattia di Vittorio”. Oggi Vernizzi, insieme al nipote Renzo Matino, anch’egli storico dell’arte, sta curando il catalogo generale delle sue opere in vista della prima mostra personale dopo la scomparsa, che si terrà a partire dal giugno 2024 alla Fondazione Biscozzi Rimbaud Museo d’Arte Contemporanea di Lecce. “Certo, sarebbe bellissimo poter organizzare una mostra anche a Schio visto che l’ultima volta che le opere di Vittorio sono state esposte nella sua città è stato negli anni ‘90. Sicuramente, visto il calore dimostrato, organizzeremo qui un altro incontro rivolto in particolare ai più giovani”. ◆



[14] ◆ SchioMese Cultura e spettacoli

Campus Company ha vent’anni (e celebra l’amore) La Campus Company, laboratorio teatrale per gli studenti delle superiori, realizzato dalla Fondazione Teatro Civico e dal Comune in collaborazione con gli istituti secondari di II grado e con il contributo di Avis Schio Altovicentino e Lions Club Schio, è partita ai primi di novembre con “Love&Love”. Il tema, scelto proprio dai ragazzi, verrà sviluppato a partire dalle parole di William Shakespeare nel “Sogno di una notte di mezza estate”. La regista e formatrice

Ketti Grunchi, con Delfina Pevere, condurrà i partecipanti alla condivisione del proprio sguardo sul tema dell’amore, visto nel contesto della vita e della cultura contemporanea e arricchito dalle loro riflessioni e scritture. Campus Company, al 20° anno di attività, ha fatto calcare finora il palcoscenico a oltre 600 ragazze e ragazzi, guidati da registi e attori professionisti: è uno dei progetti culturali, educativi e sociali di maggior impatto per la Fondazione. ◆ [M.D.Z.]

Peron al Parlamento europeo Un Quaderno per Domenico Marchioro Grande soddisfazione per Davide Peron, cantautore e autore, e per la moglie, Eleonora Fontana, attrice e autrice: il loro libro, “Giulietta sono io – Acqua torbia”, pubblicato quest’anno dalle Edizioni San Paolo con la prefazione di Ermes Ronchi, è stato presentato alla fine di ottobre a Palazzo Ferro Fini, sede del Consiglio Regionale del Veneto, e nella sede del Parlamento Europeo di Bruxelles. “Giulietta sono io” è anche uno spettacolo teatrale e i due artisti raccontano con grande sensibilità storie di donne dalla vita difficile; il libro e lo spettacolo contengono un testo di David Maria Turoldo, “In cammino verso l’altro”, che parla della bellezza del cammino come fonte di ricchezza e di crescita, con Dio come compagno di viaggio. Nel libro sono presenti inoltre dei QRcode che permettono di lasciarsi trasportare dalle musiche di Peron, composte appositamente. Lo spettacolo sarà a Cinisello Balsamo il 16 novembre, a Piovene e a Malo il 24 e il 25 dello stesso mese. ◆ [M.D.Z.]

Continuano, con passione e dedizione, le ricerche di Ugo De Grandis, storico della Resistenza.A metà ottobre ha presentato al Lanificio Conte un “Quaderno”, edito dal Centro Studi Igino Piva, interamente dedicato a una figura di alto spicco per la storia della sinistra italiana, quella di Domenico Marchioro (classe 1888), sepolto al Verano di Roma in una fossa comune che contiene i resti, fra gli altri, di Concetto Marchesi e Sibilla Aleramo. Ma chi era questo illustre personaggio scledense? Fu un militante socialista e antimilitarista prima della Grande Guerra, coinvolto nel processo di Pradamano, condannato nel 1917 e amnistiato nel ‘19; deputato socialista per due legislature, decadde dalla carica con l’avvento del fascismo. Da quel momento, per la sua attività clandestina, iniziò un calvario durato fino al ‘43: confinato alle Tremiti, incarcerato a Regina Coeli con l’intero gruppo del PC nazionale, amnistiato, rispedito al confino a Ponza e a Ventotene, liberato nel ‘43. Dopo l’8 settembre fu tra gli organizzatori della Resistenza nel Vicentino e, a guerra finita, tornò a Roma, dove rimase per vent’anni ai vertici del partito comunista, del sindacato tessile, di organizzazioni antifasciste. Fu membro della Consulta nazionale e anche capogruppo del Pci a Schio nei primi anni Sessanta. Morì nel ‘64. Indubbiamente, una personalità da ricordare, valorizzare e approfondire ulteriormente: a De Grandis il merito di averla tirata fuori per primo dalla polvere del tempo. ◆ [M.D.Z.]

Teatro anche per i più piccoli Dal 19 novembre al 14 aprile, di domenica pomeriggio, i piccoli spettatori potranno tornare al Civico per la nuova stagione dedicata alle famiglie. ”Vieni a teatro con mamma e papà”, rassegna realizzata dalla Fondazione e dal Comune di Schio in collaborazione con Arteven, proporrà sei appuntamenti tra circo, danza e fiabe. Aprirà la stagione, domenica 19 novembre alle 17, la compagnia Circo Pacco e chiuderà, domenica 14 aprile, La Baracca Testoni – Ragazzi, con un lavoro dedicato ai pic-

colissimi, da uno a quattro anni. Si potrà accedere con biglietto o con abbonamento: in questo caso, le tipologie sono diverse e tutte convenienti. Per avvicinare i bambini alla fruizione dello spettacolo dal vivo, la Fondazione Teatro Civico sta realizzando in questo periodo un coinvolgente progetto di visite guidate gratuite per le classi terze delle scuole primarie di Schio: oltre trecento alunni stanno scoprendo con occhi meravigliati gli affascinanti retroscena della macchina teatrale. ◆ [M.D.Z.]


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I ricordi di Luigi Bogotto a proposito del rifugio antiaereo tra asilo Rossi e Jacquard

Uno schizzo realizzato da Luigi Bogotto per illustrare come si diramava il rifugio all’interno

Circa sei anni fa, mi sono chiesto perché tutti parlano del rifugio antiaereo del castello e nessuno parla del rifugio antiaereo posto a fianco dell’asilo Rossi con la porta murata e coperta d’edera. Durante la guerra in quel rifugio ci sono entrato un ottantina di volte, il sottoscritto con la famiglia abitava in via Pasubio e, durante i soventi allarmi aerei, correvamo in quel rifugio. Con mia moglie ci recammo a chiedere informazioni alla biblioteca e con nostra sorpresa nessuno ne sapeva niente, nemmeno della sua esistenza. Mi ricordavo molto bene come era fatto e così ne feci una planimetria. Allora ci recammo all’ufficio tecnico, e la risposta fu uguale. Così andammo dal Sindaco Valter Orsi e lo mettemmo al corrente, non ne sapeva niente e consegnammo così la mia planimetria. Informammo le varie personalità a cui poteva interessare la scoperta, il Presidente del Consiglio Sergio Secondin come pure il Presidente della Protezione Civile. Devo dire, con mia grande soddisfazione, che nel 2017 i componenti della Protezione Civile con il suo Direttore Danilo Zambon hanno iniziato i lavori di ristrutturazione e che l’apertura al pubblico era prevista per l’estate del 2019, però mai avvenuta. Durante la seconda guerra, abitavo in via Pasubio n. 80. Mi ricordo, che nel periodo 1943-1945 sopra il cielo di Schio passavano continuamente squadriglie di caccia bombardieri Anglo Americani, cosiddet-

te “Fortezze Volanti” Boeing-B 17 e i Liberator. Di solito, circa 10 minuti prima del loro passaggio, suonavano a distesa le sirene delle fabbriche, in questo caso Lanificio Conte, Lanificio Rossi e Lanificio Cazzola, un burlo voleva dire mitragliamento, più suoni interrottamente voleva dire bombardamento, il suono era cosi forte, che si sentiva a chilometri di distanza. Suonavano tutte assieme e bisognava a tapparsi le orecchie per non diventare sordi. Il 14 febbraio 1945, mercoledì delle ceneri, per le scuole era festa, per gli operai delle fabbriche era una giornata lavorativa come gli altri giorni. Alcuni minuti prima delle ore 8 le sirene dettero l’allarme incominciando a suonare, a distesa, ma nel medesimo istante 8 aerei passarono a volo radente sopra Schio, allontanandosi verso Marano, ritornando dopo alcuni minuti mitragliando a tutto spiano. Al terzo passaggio sganciarono le prime bombe all’interno della Lane Rossi, in totale le bombe furono 16 sganciate in più riprese. Essendo a casa dalla scuola, eravamo io e mia sorella più piccola ancora a letto, a precipizio via di corsa, e a salti con mio padre e sorella giù per le scale, scalzo in mutande in mezzo ai vetri caduti da una vetrata, con i vestiti sotto braccio, in un attimo la strada fu riempita di gente, tutti correvano come pazzi gridando piangendo, la paura era evidente, era una cosa indescrivibile, ben presto le cantine, i sottoportici, e i sottopassaggi si stiparono

di persone in preda l’ansia e lo spavento. Assieme alla gente che correva siamo entrati nel rifugio, entrata a fianco dell’asilo Rossi, in un attimo fu riempito, gente poco vestita, qualcuno in ciabatte, altri vestiti alla meno peggio, anziani, bambini che piangevano, i cinque cameroni, circa m.8x5 si riempirono, molti si erano seduti sulle panche predisposte, altri in piedi, che correvano di qua di là per cercare i parenti, la confusione era terribile, e il vociare era enorme. La disperazione si era impossessata di noi, il pensiero era che mia madre si trovava in fabbrica, la cosa terribile era di non sapere se si fosse salvata dal bombardamento. La fortuna era dalla nostra parte, perché in mezzo a quella moltitudine di gente, in stato confusionale, trovammo mia madre. Tutti gli impiegati degli uffici, della fabbrica alta, assieme a molti operai, erano fuggiti ed entrati nel rifugio dalla seconda entrata situata all’interno del giardino Jacquard, lascio immaginare l’incontro, e i pianti fatti. Nel rifugio ci rimanemmo parecchie ore, e per parecchio tempo restammo al buio. La paura subentrò ancor di più e i bambini piansero più forte. Cessato l’allarme uscimmo e apprendemmo che alla Lane Rossi c’erano stati 11 morti e una cinquantina di feriti, qualcuno anche molto grave. Io avevo 11 anni, però il ricordo è presente, sono cose che non si dimenticano. Nei giorni feriali, quando di giorno suonavano le sirene che preannunciavano l’allarme, i bambini piccoli che si trovavano all’asilo venivano trasferiti immediatamente nel rifugio. Avevano costruito un corridoio, che dall’interno dell’asilo i bambini potevano entrare nel rifugio senza uscire all’esterno. Ricordo, che percorrevano questo tratto tutti in fila, parlando, vociando, ridendo, per loro era un gioco e un diversivo. Naturalmente, erano accompagnati dalle loro maestre e dalle suore, che cercavano in mezzo a quella confusione di tenerli buoni e calmi. Suor Lucia, Suor Maria, la direttrice Suor Luisa, entravano; per loro era riservato un camerone apposito, una volta finito il pericolo, ritornavano per questa via sicura, all’interno dell’asilo. Gli allarmi aerei a Schio furono circa 956. Luigi Bogotto



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