SchioMese
Periodico di informazione dell’Alto Vicentino
anno XIII n. 125 - settembre 2024
Sei mesi da pediatra in Mozambico - p.10 ◆ Cresce il problema dei gatti abbandonati - p.14
Periodico di informazione dell’Alto Vicentino
anno XIII n. 125 - settembre 2024
Sei mesi da pediatra in Mozambico - p.10 ◆ Cresce il problema dei gatti abbandonati - p.14
Dopo la pausa estiva, il confronto politico è tornato a incendiarsi su un tema da sempre caldo: il futuro dell’impianto di smaltimento dei rifiuti di Ca’ Capretta. Le posizioni sulle scelte future divergono, con il Comune di Schio a sostenere una tesi e quasi tutti gli altri Comuni soci di Ava a sostenerne un’altra. Abbiamo ricapitolato la situazione.
SSupplemento mensile di Lira&Lira
Direttore
Stefano Tomasoni
Redazione
Elia Cucovaz
Mirella Dal Zotto
Camilla Mantella
Grafica e impaginazione
Alessandro Berno
Per inviare testi e foto: schiothienemese@gmail.com
Per le inserzioni pubblicitarie
Pubblistudio tel. 0445 575688
Stefano Tomasoni
ettimana dopo settimana, va prendendo corpo la nuova piazza Statuto. I lavori proseguono e la tempistica del progetto dice che tutto dovrebbe essere finito entro Natale. La curiosità di vedere come sarà cambiato quell’anonimo rettangolo di parcheggi che ci siamo sciroppati per tutti questi decenni, lo ammettiamo, è tanta.
Sulla carta, cioè guardando il progetto e i disegni iniziali, ci viene da dire che forse si poteva osare di più con la riduzione dei posti auto. Anzi, la diciamo tutta: per noi la piazza Statuto del futuro avrebbe anche potuto essere completamente liberata dalla funzione della sosta. Perché lo si è detto tante volte, Schio è una città senza una piazza vera, ossia senza uno spazio inteso come vera “agorà”, come luogo di incontro e di socialità, un vuoto urbano che serva a dare respiro e a bilanciare i tanti pieni di un centro abitato. No, piazza Falcone Borsellino non vale: non ci sembra che la si possa considerare una piazza, ma piuttosto una specie di piastra polivalente per attività ludiche e sportive, visto che da tempo è uno spazio usato da bambini e adolescenti per giocare a pallone, girare in triciclo, bicicletta o skateboard o serve al massimo in qualche week end per ospitare bancarelle di street food. Dunque il rinnovamento di piazza Statuto poteva diventare l’occasione giusta per creare la piazza che manca. Ma stiamo ragionando “sulla carta”, appunto. Prima di tirare le somme è necessario vedere il risultato finito, quindi meglio sospendere il giudizio e aspettare la fine dei lavori. Nell’attesa, però, c’è un particolare su cui ci sembra giusto discutere adesso, finché si è in tempo per farlo. Ci riferiamo alla questione del monumento che è previsto debba trovare posto sulla “pedana” rotonda realizzata a due terzi della piazza, verso il municipio. Fino a oggi il progetto prevedeva che venisse collocata lì non una statua qualsiasi, ma il monumento ad Ales-
sandro Rossi che da sempre sta all’interno del giardino Jacquard, realizzato da Achille Alberti nel 1899, un anno dopo la morte del padre della patria scledense. Nei piani iniziali, quella statua andava presa e portata, appunto, nella nuova piazza Statuto. Le notizie più recenti fanno pensare che non sarà più così, perché la Sovrintendenza ai beni architettonici, che deve approvare l’intervento, non ha ancora dato l’autorizzazione al trasferimento, e la novità di queste settimane è che l’amministrazione pare abbia preso atto di questo temporeggiare dell’ente e stia cercando una soluzione alternativa.
Per quanto ci riguarda, siamo contenti di questo ripensamento, perché spostare il Rossi dello Jacquard in piazza Statuto sarebbe un errore e una forzatura.
Il primo a dirlo, del resto, era stato già un anno fa non uno qualsiasi, ma il professor Giovanni Luigi Fontana, oggi presidente dell’Accademia Olimpica, già assessore alla cultura e all’urbanistica di Schio e soprattutto massimo studioso di Alessandro Rossi e della storia dell’industria vicentina. “Lo spostamento e la decontestualizzazione della statua costituirebbero uno sfregio all’unità del complesso monumentale, alla volontà dei cittadini scledensi di allora e alla memoria storica della città – aveva detto all’epoca Fontana -. La statua fu collocata allo Jacquard con il preciso intento di celebrare i “padri fondatori” della grandezza industriale di Schio: Sebastiano Bologna, Francesco e Alessandro Rossi. Un insieme ‘dinastico’ inscindibile, con la stessa valenza simbolica dei medaglioni in terracotta del Boni posti sulla facciata del teatro Jacquard per onorare le ‘glorie’ della storia scledense. Piazza Statuto, che era la corte interna del grande opificio Garbin, non ha nulla a che vedere con questa storia”. Ora, dunque, il ripensamento circa lo spostamento della statua, complice il mancato via libera della Sovrintendenza, ci pare una buona cosa. Un po’ per i motivi addotti dal prof. Fontana, posto tra l’altro che con
lo spostamento ne uscirebbe impoverito, o comunque alterato, lo storico giardino che pure si sta cercando di rilanciare. Ma soprattutto perché il monumento rossiano non sarebbe in grado di valorizzare la nuova piazza e di farla partire con il piede giusto. Diciamocela tutta: la statua di Rossi in questione è bruttina. Sì, insomma, è una delle classiche rappresentazioni che si usava fare a fine Ottocento di un personaggio illustre, ma è priva di sufficiente ieraticità e vira piuttosto sul dimesso. Il senatore appare con lo sguardo basso, il cappello in mano e una giacca fuori misura. Come se avesse dei brutti pensieri, quasi stesse valutando di vendere il lanificio a una multinazionale perché oberato di debiti. Una statua così, che si inserisce bene nel contesto tardo romantico del giardino voluto da Rossi, non contribuirebbe al rilancio della nuova piazza Statuto, ma ne renderebbe la ripartenza meno “sprintosa” e un tantino deprimente.
A nostro avviso quella che serve a una piazza Statuto rinnovata è una scultura che in questo caso – ci perdoni il buon Rossi - non guardi al passato, ma al futuro. Una scultura moderna e più impattante del monumento rossiano, qualcosa che vada oltre la
canonica rappresentazione di un personaggio storico e che lavori invece sul simbolismo, giocando con materiali legati al tessuto industriale di oggi, come ad esempio l’acciaio. Nessuna pretesa di arrivare alla sfera di bronzo di Jo Pomodoro che troneggia davanti al ministero egli esteri a Roma, ma l’idea è quella: una scultura di una qualche potenza e suggestione, capace anche di dare forza a una piazza che, anche nella nuova veste, continuerà ad avere inevitabili limiti di attrattività, considerata la tipologia degli edifici che la contornano.
Potrebbe essere, per dare l’idea, un’opera artistica che in qualche modo richiami il maestoso cedro del Libano che ornava la piazza fino a una quindicina d’anni fa. In definitiva, con questa faccenda del monumento si presenta in realtà un’occasione d’oro: quella di imprimere alla piazza quel “colpo d’ala” e di immaginazione che al progetto di rifacimento scelto sembra mancare, per toglierla dall’anonimato urbanistico in cui è sempre stata immersa e regalarle un punto di vista originale. Dai, che si può fare. ◆
“Cercheremo il dialogo per tentare di far comprendere che la riconversione industriale di AVA, graduale e prospettica, è un’opportunità prima ancora che un problema», sostiene la sindaca di Schio, Cristina Marigo.
“La chiusura della Linea 2 ridurrebbe la capacità di trattamento all’impianto, costringendo all’apertura di una nuova discarica e porterebbe a un impoverimento di bilancio o a un’esplosione della tassa rifiuti”, dicono gli altri Comuni.
DElia Cucovaz
opo la pausa estiva, il confronto politico è tornato a incendiarsi su un tema da sempre caldo per tutti gli scledensi: il futuro dell’impianto di smaltimento dei rifiuti di Ca’ Capretta. Una questione annosa proprio perché polarizza l’opinione pubblica in due posizioni contrapposte, che rappresentano tuttavia due facce di una stessa medaglia. Da una parte c’è l’efficienza della termovalorizzazione come metodo di smaltimento alternativo allo stoccaggio in discarica, più sostenibile sia dal punto di vista ecologico che economico. Dall’altra parte ci sono le preoccupazioni per la qualità dell’aria - e quindi per la salute - di chi abita intorno alla ciminiera, le cui emissioni risultano entro i limiti di legge, ma non per questo lasciano tutti tranquilli.
Negli ultimi dieci anni le amministrazioni scledensi hanno adottato nettamente quest’ultima posizione, cercando di spingere per un depotenziamento dell’impianto in favore del riciclo. Tuttavia all’ultima assemblea dei soci, che raggruppa i 31 Comuni altovicentini titolari dell’impianto, soltanto Schio ha difeso questa posizione. Tutti gli altri (con le eccezioni di Marano e Torrebelvicino che si
Dopo la pausa estiva, il confronto politico è tornato a incendiarsi su un tema da sempre caldo: il futuro dell’impianto di smaltimento dei rifiuti di Ca’ Capretta. Le posizioni sulle scelte future divergono, con il Comune di Schio a sostenere una tesi e quasi tutti gli altri Comuni soci di Ava a sostenerne un’altra. Abbiamo ricapitolato la situazione.
sono astenuti e dell’assente Cogollo del Cengio) hanno invece votato a favore del nuovo “masterplan” proposto dal gestore dell’impianto, la società partecipata “Alto Vicentino Ambiente Srl”, in sigla AVA; un piano che prevede il potenziamento della capacità di smaltimento dalle 85 mila tonnellate annue attuali fino a ben 120 mila tonnellate, facendo di Ca’ Capretta un polo regionale della termovalorizzazione. Una scelta tutt’altro che banale, per la quale si prevede un investimento di 80 milioni di euro.
In questo contesto Schio, socio di maggioranza di AVA con il 24% delle quote nonché comune che ospita l’impianto sul proprio territorio, ha scelto di sostenere una via divergente, arrivando a farsi mettere in minoranza dagli altri Comuni. Un fatto che non poteva non incendiare la polemi-
ca intorno alla scelta dell’amministrazione Marigo, ancora fresca di insediamento. Abbiamo voluto ricostruire le posizioni delle diverse parti in gioco per provare a rendere più chiare le tesi, gli obiettivi e i prossimi passi di questa complessa partita a scacchi giocata intorno al ciclo integrato dei rifiuti.
La posizione dell’amministrazione scledense «L’impianto di Ca’ Capretta inquina “a norma di legge”, ossia entro i limiti stabiliti dai regolamenti vigenti», risponde Cristina Marigo, sindaco di Schio, nel chiederle se sia preoccupata per la salute dei suoi cittadini. «Tuttavia - continua - a suo tempo come soci di AVA avevamo dato mandato alla direzione di ricercare tecnologie per ridurre le emissioni. Invece il Cda uscente,
quale ultimo atto del suo mandato, ha presentato il piano per il potenziamento della Linea 2, chiedendone l’immediata approvazione: un modo di procedere che rappresenta un’anomalia eclatante».
Secondo il primo cittadino scledense l’investimento proposto renderebbe sì AVA un player molto importante, «ma unicamente nel settore dell’incenerimento, senza poter così sfruttare un altro mercato che oggi tocca l’80% dei rifiuti: il recupero della materia. Un business che si sta deliberatamente scegliendo di lasciare ad altri. Nonostante le posizioni divergenti cercheremo innanzitutto il dialogo per tentare di far comprendere che la riconversione industriale di AVA, graduale e prospettica, è un’opportunità prima ancora che un problema».
L’altro argomento dell’amministrazione scledense è quello delle proporzioni tra i rifiuti prodotti a Schio e nell’ambito dei Comuni soci di AVA e quelli che invece sonoe saranno sempre più in futuro - importati da altri territori per essere trattati a Schio. «Sulla base dei dati attuali, i 31 comuni soci non producono più di 18 mila tonnellate di rifiuti annui e il trend calante ci farà scendere sotto le 15 mila tonnellate nel 2030 –dice Marigo -. L’impianto già oggi non serve soltanto i soci, ma la quasi totalità dei comuni appartenenti al Consiglio di Bacino Vicenza. Oggi quest’area allargata produce all’incirca 60 mila tonnellate di secco e in prospettiva futura arriverà a produrne 50 mila, gestibili dall’attuale impianto che ne smaltisce 85 mila. Siamo nettamente contrari a far sì che l’impianto cresca in modo da poter gestire 120 mila tonnellate, ossia più del doppio del necessario, perché questo sproporzionato incremento snatura la funzione e il ruolo che l’impianto scledense aveva assunto al momento della sua
costruzione, perdendo il giusto equilibrio tra le esigenze del nostro territorio e il servizio reso a terzi».
Cosa dicono gli altri sindaci
Quali sono invece le ragioni che hanno spinto la stragrande parte dei sindaci dell’Alto Vicentino a decidere in senso opposto rispetto a Schio?
«Dal punto di vista ambientale il nostro impianto è uno dei più monitorati d’Italia e anche sotto il profilo economico AVA è una società in salute con bilanci in attivo - hanno reso noto con un comunicato congiunto -. La presenza nel territorio del termovalorizzatore, inoltre, non ha mai limitato la raccolta differenziata, che negli anni è cresciuta sempre portando i Comuni a livelli molto elevati (mediamente oltre il 77%), portando invece le tariffe rifiuti pagate dai cittadini ai livelli più bassi del Veneto e d’Italia».
La maggioranza delle amministrazioni socie di AVA ritiene che la chiusura della Linea 2 prospettata da Schio non consentirebbe di accogliere tutti i rifiuti del Bacino Vicenza: «Ridurrebbe la capacità di trattamento all’impianto di 22 mila tonnellate l’anno, costringendo all’apertura di una nuova discarica dato che il sito attuale di Grumolo delle Abbadesse è prossimo alla saturazione. Inoltre porterebbe a un grave impoverimento di bilancio con una perdita stimata di 400 mila euro annui o un’esplosione della tassa rifiuti con aumenti a doppia cifra».
L’unica strada coerente con gli interessi locali e la pianificazione regionale, quindi, resta per essi il potenziamento dell’impianto.
Le opposizioni scledensi
Di fronte alla posizione di relativa debolezza dell’amministrazione scledense, le
minoranze consiliari di Schio non si sono astenute dall’esprimere il loro giudizio. «Il modus operandi adottato dal Comune di Schio sul tema è assolutamente discutibile - stigmatizza il leader della coalizione di centrosinistra Cristiano Eberle -. La pubblicazione, su stampa e social, di dati non puntuali, di informazioni sommarie e anche di peculiari illazioni prive di raziocinio, sono in parte attribuibili al sindaco e ad alcuni assessori. Il bilancio politico di quanto accaduto certifica l’isolamento del Comune di Schio, incapace di assumere un ruolo guida nell’Alto vicentino e di governare i processi decisionali a beneficio del territorio. È indispensabile pianificare un percorso di confronto con le comunità locali, cittadini e associazioni, sul futuro piano industriale di AVA. La priorità è mantenere l’impianto sotto il controllo pubblico locale e in tal senso ben venga la strategia di AVA di avere un ruolo determinante nell’intero bacino vicentino, un ruolo di leadership che consenta di mantenere un rigido controllo sul termovalorizzatore».
Anche il capogruppo consiliare di Fratelli d’Italia Alex Cioni non le manda a dire sul tema. «L’obiettivo dei civici in salsa 5 Stelle capitanati da Cristina Marigo non è il depotenziamento, bensì la chiusura dell’impianto di Cà Capretta. Al netto della raccolta differenziata che, dove possibile, va implementata e migliorata, l’alternativa all’incenerimento dei rifiuti rimangono le discariche e, per noi scledensi, il serio pericolo di mandare al macero milioni di investimento messi a terra per infrastrutturare la rete del teleriscaldamento in zona industriale. Marigo e compagni dovrebbero spiegare agli scledensi come si può conciliare il Piano d’azione per l’energia sostenibile e il clima (Paesc), in cui loro stessi hanno certificato il miglioramento complessivo della qualità dell’aria della nostra zona proprio in conseguenza della presenza dell’impianto di Cà Capretta, con la narrazione comunicativa dai tratti terroristici sul medesimo impianto». ◆
Stefano Tomasoni
alle poco più di 20 mila tonnellate che ingurgitava quarant’anni fa, appena nato, l’impianto di smaltimento di Ca’ Capretta è cresciuto ed è diventato via via più vorace fino a divorarne oggi grossomodo 80 mila, avendo per il futuro un punto d’arrivo che – se prevarrà il piano di investimenti programmato e osteggiato dal Comune di Schio - potrebbe avvicinarsi alle 120 mila tonnellate. Uno “stomaco” che nel corso del tempo ha tenuto costantemente alta l’attenzione del mondo ambientalista, della popolazione in generale e ovviamente della politica, su un impianto che è diventato fondamentale per la gestione dei rifiuti in ambito regionale, e che oggi è più che mai al centro di diatribe, dibattiti e polemiche.
E del resto, oggettivamente, se in quarant’anni lo sviluppo delle linee di trattamento ha portato a quadruplicare la massa di rifiuti che arriva ogni anno a Ca’ Capretta, gli scledensi (e non solo loro) hanno più di qualche buona ragione per stare con le antenne sollevate a controllare i numeri dell’impianto, i progetti della società Alto Vicentino Ambiente che lo gestisce, i dati sui fumi prodotti e sulla qualità dell’aria in val Leogra.
All’inizio della sua storia, del resto, Ca’ Capretta era piuttosto diverso da quello che è oggi. All’epoca l’impianto serviva 29 Comuni riuniti in un apposito Consorzio, con sede a Schio sotto la presidenza di Armando Antoniazzi. La popolazione servita era di 133.500 persone, la quantità di rifiuti lavorata settimanalmente si aggirava intorno alle 450-500 tonnellate.
Ancor più diversa rispetto a oggi era, in quegli anni, la “cultura” ecologica diffusa nella società, appena agli albori, in un’epoca in cui ancora non si parlava di raccolta differenziata e si tendeva a fare... di ogni scoassa un fascio. A dare un’idea di cos’erano quei primi anni Ottanta, da questo punto di vista, viene in aiuto un articolo pubblicato sul Giornale di Vicenza del 22 ottobre 1983, a firma – ci si perdoni l’autocitazione - del sottoscritto, a bilancio dei primi dieci mesi di funzionamento del centro. “Il compito dell’impianto è quello di trasformare i rifiuti, non di incenerirli né di riciclarli – spiegava l’articolo -. Il risultato finale è la produzione del “compost”, un materiale organico che svolge funzioni simili a quelle del concime naturale, e di energia elettrica. Non va sciupato nulla: il ferro viene recuperato mediante una elettrocalamita; il vetro,
Agli albori, nel 1983, l’impianto di smaltimento aveva uno “stomaco” che digeriva ogni settimana 450-500 tonnellate, pari a 22-23 mila all’anno. E tra i rifiuti che arrivavano con i camion capitava di trovare di tutto, perfino un ciclomotore, quintali di sassi, carriole di filati e contenitori in cemento.
portato a 1100 gradi, si trasforma in silice; la cenere, che si produce con la combustione della materia inorganica, può essere impiegata per formare il sottofondo delle strade”. Tutto bello, finché dentro lo “stomaco” dell’impianto arrivavano i rifiuti “giusti”. Il problema era che in quel periodo eravamo tutti abituati ancora a gettar via di tutto senza troppi riguardi.
“È estremamente dannoso gettare nei cassonetti delle immondizie, il cui contenuto viene portato interamente a Ca’ Capretta, oggetti e materiali che non possono essere ‘digeriti’ dallo stomaco dell’impianto – riferiva a questo proposito il giornale -. È capitato di scoprire, sotto gli occhi allibiti degli operatori, un ciclomotore intero e numerosi quintali di sassi di grosse dimensioni scaricati con incredibile imprudenza nei cassonetti. È facile immaginare il danno che questi oggetti possono compiere sui meccanismi dell’impianto. Se si producessero danni gravi, sarebbe necessario fermare l’impianto, con tutto ciò che ne deriverebbe”. L’articolo dice poi anche il fatto che, per non farsi mancare niente, “di recente sono state rinvenute numerose carriole di filati, di stoffa in ottimo stato e un gran numero di contenitori di fiori in cemento pressoché intatto”.
Erano anni, in effetti, in cui tanti pensavano che una volta gettati nei cassonetti, i rifiuti scomparissero in un universo a parte, come se non fossero mai esistiti. E mica soltanto i singoli cittadini, c’erano anche aziende che a quel tempo si alleggerivano dei rifiuti in allegria.
“Occorrerebbe un esame di coscienza anche da parte delle industrie – proseguiva l’articolo – di quelle perlomeno che tendono a servirsi dell’impianto per smaltire i propri rifiuti, facendo un uso distorto dei cassonetti (…). Qualcuno fa orecchio da mercante alla legge e così a Ca’ Capretta giunge un sovrappiù di rifiuti in media del 20%, ma con punte anche del 60%. Ciò significa che anziché le previste 375 tonnellate alla settimana, ne arrivano costantemente 450-500, costringendo a far lavorare a pieno ritmo l’impianto e gli addetti, eliminando la sosta del sabato e della domenica. (…) Una legge che non viene rispettata è anche quella che impone la copertura dei camion che trasportano i rifiuti. All’impianto arrivano quasi tutti regolarmente scoperti, e le norme igieniche vanno a farsi benedire”.
Un altro mondo, insomma. Sotto tutti i punti di vista. Quella che non è cambiata, in quarant’anni, è la capacità di Ca’ Capretta di creare contrapposizioni e polemiche. ◆
VISTO DAL CASTELLO /16
AMariano Castello
settembre di ogni anno noi pensionati, con la passione per l’orto, facciamo un primo consuntivo della stagione. Molte tegoline: però tegoline e teghe fanno una sfuriata di un mese e dopo è finita. Ho conosciuto gente che era nauseata a dover mangiare tegoline ogni giorno per un mese. Io le mangio abbastanza volentieri anche per lunghi periodi, ma alla fine darei soldi per mangiare qualche cosa di diverso, fossero pure ravi. Ho imparato l’arte dell’ortolano dopo i quarant’anni: anche questa abilità, come quella di andare in bicicletta, la devi affinare da giovane, altrimenti sarai sempre lì lì sul punto di cascare o di rovinare verdure. Per fortuna che ho avuto un bravo maestro. Attilio era un mio vicino e mi diceva come fare: “Mai inpiantare la semensa picola in cressare (si intende in crescere di luna). Se no la piantina la cresse ela, ma la va sù de ganba e la va suito in galo”. “Attilio, come mai che la salata la xe vignù a ciasse?” “Quela là la xe tuta nibia. Quando che
càpita sta peste de nibia, la roba la s’inibia”. Mi pare di aver capito che questa nebbia di cui parlava Attilio non era la nebbia che vediamo qualche volta d’inverno, ma qualche cosa di infido che viaggia nell’aria e che in poco tempo ti rovina tutta la salata e che ti lascia solo degli sparuti ciuffetti ammalati. Ma le cose più importante da cui guardarsi sono i bai delle patate e le lumeghe rosse: se non togli i bai dalle piante uno a uno, dopo qualche giorno ti restano solo bacheti. La lumega poi ti mangia tutto. Ho conosciuto uno (ortolano come me) che si vantava di aver annientato duemila lumeghe in un solo giorno, mettendo un punto di sale sulla gobba della lumega stessa. Il terreno prima di inpiantare va preparato vangandolo: meglio di tutto sarebbe metter sotto letame, ma, se non lo hai devi per forza usare quello liofilizzato di cavallo che vendono in sacchi al consorzio: sono i famosi graneti. Tanti, di nascosto dai vicini e con il favore delle tenebre, buttano anche un fià di urea e, siccome si vede da distante perché è bianca candida, la zappano subito sotto perché scompaia alla vista di male-
Tra le vie del centro torna la “Manchester d’Italia” riportando alla luce la storia e la cultura dei primi del ‘900.
La rievocazione storica “Schio, la Manchester d’Italia”, che lo scorso anno ha registrato grande successo di pubblico, fa il bis (sabato 21) tra le vie del centro storico, riportando alla luce la storia e la cultura dei primi del ‘900 in città, ricreando l’atmosfera di inizio XX secolo nei punti chiave della Schio di Alessandro Rossi, come il giardino Jacquard, l’asilo Rossi, il parco della Fabbrica Alta, via Carducci e via Pasubio. Il programma prevede un benvenuto da parte dei figuranti in abiti del primo ‘900, visite guidate nei luoghi storici con l’associazione Trama, letture a tema organizzate dalla libreria Qui Virgola e da Schio Teatro 80, un’esposizione di documenti storici all’ingresso della biblioteca che saranno visibili per un paio di settimane e la possibilità di gustare specialità locali in un mercatino allestito in via Carducci, con prelibatezze a chilometro zero e birre artigianali.
Selezionata e supportata nell’ambito del Bando Cultura del Comune, l’iniziativa è stata ideata e portata avanti da “Progetto Ophélie”, organizzazione culturale fondata dalla scledense Tullia Mantella e dalla piovenese Elena Deganello, giovani professioniste nel settore enoturistico e culturale, con la passione per la storia locale. Da quest’anno la manifestazione è supportata da Ascom Schio e Cuore di Schio, con il contributo di sponsor come BVR Banca.
“La prima edizione ha riscosso un ottimo successo in termini di presenze; il pubblico era eterogeneo e proveniente anche da fuori provincia - affermano le organizzatrici -. Siamo state orgogliose di questo primo risultato, ci teniamo a ricordare e valorizzare l’epoca rossiana a cavallo tra fine ‘800 e inizi del ‘900, determinante per lo sviluppo della città, e speriamo di replicare i consensi della scorsa edizione”. ◆
voli. La verdura diventa uno spettacolo, ma l’urea che vendono in bottega è sostanza chimica che pompa la roba. Così ottieni la patata più grossa della provincia o la melanzana più potente di Schio, delle quali si vedono qualche volta le foto sul Giornale locale, in mano a sorridenti coltivatori. Qualcuno ha anche voluto fotografare la zucchina più grande dell’Alto Vicentino, senza considerare che le zucchine sono buone se piccole. E quindi una zucchina esageratamente grande non sarebbe da presentare come un trofeo, perché vuol dire che ti ha fregato: nascosta tra le foglie ha continuato a crescere e tu non te ne sei accorto. Ma sono tante le cose che bisogna sapere per fare questo lavoro: tu sai cosa sono le piove false? No? Vedi che non sai niente.
Far bene l’ortolano non è così facile come si potrebbe credere e se non sei esperto rischi di venire pesantemente deriso da altri ortolani, che sono battaglioni di pensionati per lo più frustrati dall’eccesso di tegoline che ogni anno si devono mangiare durante la sfuriata. ◆
Ma la fioriera in mezzo alla pista ciclabile in fondo a via Pasubio avrà un senso o è una di quelle cose che capita di fare sovrappensiero e poi nessuno le mette più in discussione? Che sia stata messa volutamente lì per creare un ostacolo alle biciclette e costringere i ciclisti a scendere, così da non rischiare di scontrarsi con un’auto in arrivo dal monumento e pronta a girare su via Monte Ciove? Però se fosse così bisognerebbe mettere ostacoli in tutti i punti in cui le piste ciclabili incrociano una strada. No, non regge. Dunque boh, non sappiamo perché la fioriera stia lì in mezzo ai piedi. Anzi, ai pedali. A meno che un addetto particolarmente sensibile e romantico, anziché una pista ciclabile, non abbia voluto creare una pista ciclaminabile. [S.T.]
CCamilla Mantella
hiara Guariento, scledense ventinovenne, è una specializzanda in Pediatria dell’Università di Padova. Da qualche settimana si trova a Beira, seconda città più grande del Mozambico dopo la capitale Maputo, dove è attivo uno dei più grandi ospedali pediatrici di quel paese. Ha raggiunto il Mozambico grazie a un progetto promosso dai “Medici Con l’Africa Cuamm” che consente agli studenti dell’ateneo patavino di fare un’esperienza riconosciuta all’interno del percorso formativo e al tempo stesso di misurarsi con la realtà sanitaria dei contesti in via di sviluppo. L’abbiamo raggiunta telefonicamente per farci raccontare le sue prime impressioni. Dottoressa Guariento, perché ha scelto di andare proprio in Mozambico? Qual è il valore di un’esperienza di questogenere in un contesto così diverso dal nostro?
“Dopo la laurea in medicina ho trascorso tre mesi di lavoro in Tanzania con un’altra organizzazione. È stata un’esperienza professionale e umana incredibile, che mi ha fatto maturare la decisione di specializzarmi in pediatria e di tornare il prima possibile in Africa. Il progetto Junior Project Officer del Cuamm, riconosciuto dall’università di Padova, mi permette di trascorrere sei mesi in Mozambico. Sono sicura che sarà anche stavolta un’esperienza incredibile, tanto dal punto di vista professionale quanto umano. Il Cuamm è presente a Beira da molto tempo e l’ospedale pediatrico dove ho iniziato a lavorare è uno dei più importanti del paese: spero di riuscire a portare il mio contributo e aiutare quanti più bambini possibile”.
Cosa l’ha colpita di più in questi primi giorni in Mozambico? Quali le principali difficoltà quotidiane che affronta?
“Il Mozambico è un paese in via di sviluppo, con tutto ciò che questo comporta. Le disuguaglianze economiche e sociali sono la norma e in città grandi come Beira si vedono quartieri edificati con abitazioni in muratura accanto alle baraccopoli. Dal punto di vista sanitario le periferie e le aree rurali dispongono di centri di salute dove i livelli di assistenza sono molto carenti, mentre nelle città ci sono strutture più organizzate, come quella in cui opero. Anche in quest’ultimo caso, però, le cure prestate hanno standard molto inferiori rispetto a quelli a cui siamo abituati. Le difficoltà principali sono legate alla carenza di far-
Chiara Guariento, scledense specializzanda in Pediatria, è da qualche settimana nel paese africano, dove trascorrerà sei mesi di lavoro e formazione nell’ospedale di Beira, nell’ambito di un progetto promosso dai “Medici Con l’Africa Cuamm”. “Sarà un’esperienza incredibile, tanto dal punto di vista professionale quanto umano”, dice al telefono dalle corsie dell’ospedale.
maci, strumenti e risorse: capita spesso che il livello massimo di cure prestabili sia inadeguato rispetto a ciò di cui ha bisogno il paziente. Scontrarsi costantemente con il limite, questo è ciò che rende più complicate le nostre giornate”. Quali sono le patologie pediatriche che vi trovate a gestire più di frequente? Quali le maggiori necessità dei bambini nell’area dove si trova? “Dobbiamo distinguere le patologie pediatriche da quelle neonatali, entrambe trattate qui a Beira. In pediatria ci troviamo a dover curare le malattie infettive tipiche di quest’area geografica: la malaria, la tubercolosi, il tifo, l’HIV che porta a un’immunodeficienza che porta i piccoli soggetti a contrarre malattie secondarie. C’è poi tutto il tema della malnutrizione e dello scarso accesso al cibo, che indebolisce i bambini e li espone ai contagi. In neonatologia, invece, ci dobbiamo confrontare con le asfissie neonatali, che incorrono dopo parti in casa non sufficientemente assistiti, con le complicanze da parto e con la gestione dei
piccoli prematuri in una realtà dove la loro fragilità e delicatezza non trova strutture adeguate al loro trattamento. Aggiungo però che le necessità non sono solo fisiche: serve implementare supporti formativi e psicologici per le famiglie, così che alcune patologie molto diffuse, come l’HIV trasmesso dalle madri ai figli, vengano trattate a domicilio con la giusta consapevolezza. Vediamo troppo spesso bimbi in età scolare in condizioni compromesse perché in casa non si sono proseguite le cure continuative prescritte alla nascita”.
Come possono i nostri lettori sostenere il vostro operato in Mozambico?
“Il modo più semplice è donare online sul sito mediciconlafrica.org. Così facendo è possibile contribuire a progetti come quello che mi ha portato qui e che sono utili non solo per portare cure immediate, ma anche per disegnare nuovi protocolli di cura assieme agli operatori sanitari locali, così da rendere più efficaci i loro interventi”. ◆
Mirella Dal Zotto
inizio luglio una newsletter dell’Enpa ha riportato quanto segue: “Stamattina a Malo si è dato atto a uno sfratto esecutivo. Nell’appartamento c’erano 10 gatti. Nonostante tutti lo sapessero, nessuno ha pensato a dove collocarli. Il responsabile del servizio veterinario ha inviato sul posto l’operatore per il trasporto degli animali, solo che non ha dato indicazioni sulla loro destinazione e lo stesso operatore, senza indicazioni chiare, esasperato dalla situazione, con sei gatti in furgone, ha dichiarato che li avrebbe liberati in campagna. È stata una mattinata di vero panico; abbiamo momentaneamente risolto noi ma non può essere una gabbia la soluzione. E poi c’è ancora qualche sindaco che ha il coraggio di dire che un gattile non serve!”.
Da tempo, osservando l’intensa attività volontaria di chi si occupa delle colonie feline a Schio, avevamo compreso che effettivamente il problema sussiste ed è pressante. A tal proposito abbiamo interpellato Federica De Pretto, presidente della sezione Enpa di Thiene-Schio, che conta più di 400 soci, numerosi volontari e segue il territorio dei 32 Comuni dell’Alto Vicentino.
“Ci occupiamo – informa - della gestione del canile di Schio e delle adozioni dei cani lì ospitati, ma non solo. Cerchiamo di trovare una famiglia per cani e gatti in difficoltà; manteniamo le colonie feline del territorio, curando e sterilizzando; svolgiamo attività di informazione, promozione, educazione sulle tematiche legate al benessere animale; organizziamo eventi, anche in collaborazione con i Comuni; la nostra area-formazione si occupa di stage e seminari su temi utili alla conoscenza dei nostri amici a quattro zampe e alla promozione di un’adeguata gestione degli animali”. Ci può parlare in particolare delle colonie feline scledensi? Qual è la situazione a oggi?
“Sono circa una quarantina quelle registrate; sono seguite da vari volontari di Enpa, di altre associazioni oppure da cittadini privati. Queste persone si occupano del sostentamento dei gatti, delle catture per la sterilizzazione, del trasporto al servizio veterinario per la sterilizzazione stessa, della degenza post operatoria, della liberazione. Tutto questo lavoro è eseguito in modo assolutamente gratuito e con risorse proprie, ospitando i gatti operati nelle proprie case. Purtroppo però il nostro servizio veterinario non sta sterilizzando un numero di
Quello dei gatti abbandonati a se stessi è un problema sempre più presente anche a Schio, dove ci sono circa una quarantina di colonie feline registrate, seguite da volontari di Enpa, di altre associazioni o da privati. Il loro lavoro è fondamentale per tamponare il problema, ma a essere urgenti oggi sono due cose che competono agli enti pubblici, Comune e Ulss: l’apertura di un gattile e lo sviluppo di una seria campagna di sterilizzazione.
gatti sufficiente: soltanto quattro a settimana per i 32 Comuni del Distretto 2. Inutile dire che questi numeri sono ridicoli e i gatti nelle colonie continuano a riprodursi. I volontari non hanno le risorse economiche per rivolgersi a veterinari privati e comunque questo è un compito che la legge regionale 60/93 assegna alle Ulss. Abbiamo chiesto varie volte risposte ai dirigenti su questo tema, ma a oggi tutto tace. Credo che dovrebbe essere la Conferenza dei Sindaci ad attivarsi per i propri cittadini; in altre Ulss del Veneto vengono sterilizzati anche 40 gatti a settimana: perché da noi non è così? I gatti delle colonie sono animali selvatici che una volta sterili possono continuare la loro vita da liberi, quindi basterebbe davvero poco per contenere il loro numero, soprattutto in ambiente abitato. I cittadini spesso si rivolgono all’Enpa, ignorando che non siamo noi a dover rispondere: possiamo aiutare, ma non ci possiamo
sostituire alle istituzioni. Finché l’Ulss non metterà in atto un piano di sterilizzazione serio, non ci sarà soluzione adeguata”. La notizia dei gatti domestici di Malo, che dovevano essere abbandonati in campagna, ha fatto il giro del web: sono situazioni che verificate spesso? Come cercate di ovviare?
“Per i gatti domestici abbandonati, rimasti senza proprietario o sfrattati, come nel caso dei sei gattini di Malo, il problema richiede una soluzione ancor più complessa. In questi casi non sono animali che possono vivere liberi: si tratta di animali domestici e il loro abbandono è punito dal codice penale. Non possono essere inseriti in colonia, come qualcuno può pensare, e per loro l’unica soluzione è un gattile: lì possono essere ospitati, in attesa di adozione. La Conferenza dei Sindaci, ripeto, può agire in tal senso, individuando un luogo e le risorse necessarie.
segue da pag. 14
Attualmente i volontari di Enpa e di altre associazioni si stanno sostituendo alle istituzioni, superfluo affermare che ora siamo saturi e non possiamo più accogliere, siamo costretti a dire di no ai cittadini che li trovano: offriamo supporto, ma non possiamo “prenderli”, come le persone spesso chiedono, senza una struttura è impossibile. Attualmente stiamo gestendo 120 felini presso le abitazioni dei volontari, un numero spropositato”.
Che ruolo dovrebbe avere il servizio veterinario dell’Ulss di fronte a simili problematiche? Come agisce attualmente?
“L’Ulss si dovrebbe occupare delle sterilizzazioni e della cura degli animali ammalati. Purtroppo le prime sono quasi inesistenti. Non vengono nemmeno sterilizzati i cani al canile sanitario: due operazioni in un anno e mezzo. Per gli animali ammalati invece non è previsto alcun intervento: vengono aiutati solo gli incidentati, grazie a una convenzione che i Comuni hanno con una clinica privata, ma per gli altri non c’è alcun supporto”.
A questo punto c’è da chiedersi come possono i cittadini sensibili aiutare ad arginare tutte queste falle.
“Innanzitutto sterilizzando i gatti di proprietà: una famiglia per ognuno non si trova
Al Servizio Veterinario dell’Ulss 7 Pedemontana abbiamo chiesto un riscontro alle problematiche segnalate dalla presidente della sezione Enpa di Thiene-Schio. . Come si cerca di ovviare al problema delle sterilizzazioni? Solo quattro a settimana per tutti e 32 i Comuni dell’Alto Vicentino è una cifra irrisoria. Non vi pare che ci sia la necessità di un piano adeguato?
“L’azienda conferma le attuali temporanee difficoltà nell’effettuare l’attività di sterilizzazione; ciò è dovuto a una carenza di personale e si auspica di riuscire a porre rimedio al problema con i prossimi concorsi per l’assunzione di medici veterinari”.
A inizio luglio ha fatto scalpore il caso di sei gatti domestici di Malo che, a causa di uno sfratto, dovevano essere liberati in aperta campagna. È una decisione idonea che effettuate di routine, questa?
“In realtà, nel caso specifico, il servizio veterinario si è eccezionalmente attivato per supportare l’autorità pubblica nelle opera-
zioni di sfratto, indicando le possibili soluzioni per il ricovero dei gatti di proprietà, rimasti privi di un’immediata collocazione. I sei gatti sono stati ospitati in via temporanea presso il canile rifugio/sanitario gestito dall’Enpa per conto dei Comuni del Distretto 2, e sono in attesa di adozione. Va ricordato che la gestione di questi animali e le relative pratiche di adozione compete per legge ai Comuni, singoli o associati, direttamente o tramite convenzioni con le associazioni animaliste e zoofile o con soggetti privati. L’Ulss 7 ritiene di avere dato tutto il necessario apporto, anche oltre le proprie competenze”.
L’Enpa e altri gruppi operanti a Schio-Thiene cercano di rimediare laddove l’ente pubblico non interviene adeguatamente, ma ormai sono in emergenza assoluta. Concordate sulla necessità di un gattile?
“Ogni struttura e risorsa in più attivata sul territorio per la tutela degli animali è utile e importante, tuttavia l’eventuale realiz-
e quindi bisogna risolvere il problema all’origine. Chi ha spazio potrebbe darci una mano ospitando qualche trovatello, ma la cosa più importante è chiedere alle istituzioni di agire, ognuno secondo il proprio ruolo”. ◆
zazione di un gattile è per legge di competenza delle amministrazioni comunali. Non è pertanto corretto indicare l’Ulss come un soggetto che, fra gli enti pubblici, “non interviene adeguatamente”. Su iniziative di questo tipo, i servizi veterinari possono solo fornire eventuale supporto tecnico, previa convenzione con i Comuni stessi, esattamente come già avviene per i canili”.
Ci risulta anche che i gatti randagi malati non vengano soccorsi (a meno che non siano incidentati) nonostante le segnalazioni, e che spesso i volontari si sobbarchino spese veterinarie costose pur di farli guarire. Anche in questo caso, come si potrebbe procedere?
“La questione è legata alle normative nazionali in vigore, che limitano in modo preciso l’ambito di intervento dei servizi sanitari delle aziende socio-sanitarie. Per la cura di eventuali animali randagi ammalati l’unica strada legalmente sostenibile allo stato attuale è l’attivazione di uno specifico servizio da parte dei singoli Comuni, previa convenzione con cliniche private, in quanto per legge ai servizi veterinari spetta solo il compito del recupero degli animali feriti o ammalati”. ◆ [M.D.Z.]
Lo scorso 7 agosto, alle 19, all’ospedale di Santorso è nata Caterina Covallero Mantella, primogenita della nostra collaboratrice, Camilla Mantella. La piccola alla nascita pesava tre chili e 60 grammi per 50 centimetri di lunghezza. Saremo alla terza generazione di giornaliste? Vedremo… intanto giungano a Camilla,Alberto e Caterina le felicitazioni della redazione e dell’editore. Buona vita alla neonata!
L’artista scledense Vladimiro Elvieri (incisore, stampatore e curatore) e la moglie Maria Chiara Toni (incisora e grafica di origine mantovana) hanno ricevuto l’invito per un’importante esposizione delle proprie opere alla Galleria Civica di Uzice, capitale della cultura in Serbia per il 2024. È un prestigioso riconoscimento del lavoro dei due autori, costituito soprattutto da opere rea-
Da un periodo di tempo troppo lungo e francamente non più accettabile (comunque, a spanne, ormai più di un anno), la pavimentazione della piccola galleria/passaggio di collegamento tra via Pasubio e la micropiazzetta che dà su Largo Fusinelle è abbandonata in queste condizioni. A renderla così impresentabile è stato, come si capisce, un qualche lavoro di sistemazione alla rete di sottoservizi che passa in quella zona (fibra o cos’altro?). Intervento sicuramente utile e opportuno, non si discute. Ma non è possibile, a lavori finiti, lasciare in quello stato per un tempo indefinito un punto del centro storico che di suo avrebbe pure una qualche bellezza discreta. Chi deve intervenire è ora che lo faccia. Altrimenti chi si impegna con idee e iniziative per migliorare il decoro del centro storico avrebbe tutte le ragioni per chiedersi chi glielo fa fare. ◆ [S.T.]
lizzate a puntasecca. L’esposizione, “Dreams of Light/Sogni di luce”, è in corso fino al 25 settembre e presenta trentasei opere selezionate dalla grande produzione calcografica di Elvieri e Toni, per i quali l’incisione costituisce, da quasi cinquant’anni, il mezzo privilegiato di espressione, in una costante ricerca che non disdegna l’uso di materiali inusuali e la sperimentazione di nuove e personali metodologie.
Le produzioni, stampate in tiratura limitata
al torchio calcografico dagli stessi autori negli atelier di Cremona e, dal 2021, di Schio, andranno in seguito a far parte della collezione internazionale di incisione contemporanea a puntasecca voluta dalla Galleria Civica di Uzice. Una donazione contemporanea a quella al Museo Civico di Vicenza, che segue l’altra del 2023 alla Biblioteca Teresiana di Mantova. La mostra è organizzata dalla Gradska Galerija con la collaborazione dell’Istituto italiano di cultura di Belgrado. ◆ [M.D.Z.]
Per inviare lettere e contributi a SchioMese, scrivere a: schiothienemese@gmail.com
Si prega di inviare i testi soltanto via posta elettronica e di contenere la lunghezza: testi troppo lunghi non potranno essere pubblicati a prescindere dai contenuti.
Che faccia crescere e lasci un felice ricordo
Caro direttore, nel riordinare i miei scritti pubblici e privati ho rivisto la lettera (indirizzata alla stampa) con la quale davo l’ultimo saluto alla mia professione di insegnante. Quelle parole potrebbero forse essere di aiuto a quanti sono chiamati a salire in cattedra; so che cosa li attende, so che possono dare tanto; ed è giusto che si sappia anche fuori dalle aule scolastiche quanto importante e impegnativo sia il compito dieducare e trasmettere il sapere. Lascio allora la parola a quella lettera.
Caro direttore, per me, che insegno Lettere alle medie, giunge quest’anno il momento di dire addio alla scuola, dopo una vita insieme ini-
ziata nel 1966: credevo che ne avrei sofferto, che sarebbe stato traumatico e doloroso, ed invece ne sento un sollievo dolce e desiderato. Festeggerò dunque le mie nozze d’argento con una professione alla quale ho cercato di dare tutto di me stessa, ricevendo in cambio – molto spesso –incomprensioni e notevoli tensioni. Se tornassi indietro tuttavia, so che mi ritufferei in questo mare agitato e avventuroso, perché ne risentirei il richiamo. Chi entra nel mondo della scuola deve sentire profondamente questo richiamo e sapere che dovrà dare il meglio di sé: lo aspetta quel “grande prato verde” (il prato della gioventù) di cui parla una bellissima canzone di Gianni Morandi: coltivarlo sarà una responsabilità così grande, che nessuno stipendio e nessun riconoscimento potranno mai ripagarla adegua-
tamente. Ora che sto per uscire da questo prato posso dire che il fiore più bello da portarvi è l’umiltà, insieme al coraggio e alla determinazione. E posso anche dire che l’insegnante veramente innamorato del suo lavoro sa essere un pioniere: al senso della realtà unisce la fede nell’ideale; ai problemi personali antepone l’attenzione per chi gli è affidato; crede in ciò che fa; è disposto a confrontarsi; sa trascinare e far crescere. Ma non gli si deve negare la condizione che dà impulso, entusiasmo ed inventiva al suo operare: la libertà d’insegnamento, oggi sempre più disturbata e ferita. 14 maggio 1991
Buona scuola a tutti, insegnanti e studenti, buona scuola che facia crescere e lasci di sé un felice ricordo.
Luisa Spranzi
Mirella Dal Zotto
luglio e agosto, mesi centrali dell’estate, a Schio ci sono parecchie iniziative culturali originali da seguire, ma, per essere una città di quasi quarantamila abitanti, manca quel paio di momenti musicalmente pop che magari attirerebbero spettatori anche “foresti” e farebbero conoscere e apprezzare maggiormente la città. Cosa abbiamo di meno rispetto a Marostica, Asiago, Este, dove si organizzano concerti di grande richiamo? Ce lo chiediamo ogni estate e soprattutto lo chiediamo a ogni cambio di assessore, da anni a questa parte.
L’assessore Gianesini
Marco Gianesini, fresco d’incarico come assessore alla cultura, sottolinea quanto più o meno sappiamo da tempo: ci sono città limitrofe che organizzano grandi eventi e non è semplice competere con loro, così come non è detto che la presenza di pubblico sia garantita, dato il periodo. Osservazioni più che legittime, ma se mai nessuno parte é anche difficile arrivare.
“Bisognerebbe pensare a qualcosa di originale che possa concorrere con ciò che già viene offerto - osserva l’assessore -. Concordo sulla validità dell’idea, ma dobbiamo essere abbastanza certi della riuscita; non possiamo permetterci di rischiare troppo, i costi dei concerti estivi sono molto impegnativi”. Una joint venture tra pubblico e privato potrebbe essere una soluzione? E un finanziamento regionale?
“Certo che sì, il rischio imprenditoriale condiviso è auspicabile. Trovare sponsor però non è semplicissimo. Per il finanziamento regionale la vedo dura, Marostica e Asiago ad esempio lo ottengono per ragioni turistiche”.
Vero, avremmo però le location: la Fabbrica Alta e l’area in Località Campagnola, dove non si è fatto più nulla…
“… ed è anche abbastanza in disarmo. Gli ultimi concerti li ha organizzati Claudio Canova di Schiolife, ma non è affatto scontato riuscire a portare a Schio migliaia di persone, credo che l’area Campagnola ne possa reggere addirittura cinquemila. Inoltre, ci sono cittadini che hanno protestato e protesterebbero per il rumore”.
Comprensibile, certo, se i concerti fossero uno a settimana; nel nostro caso si potrebbe pensare a due-tre appuntamenti nei due mesi estivi, tanto per cominciare”.
“Concordo, si può pensare. Puntando però sull’originalità e sulla copertura economica”.
A luglio e agosto a Schio le iniziative culturali non mancano, eppure non si riesce a portare in città uno o due momenti musicalmente pop “di grido”, capaci di attirare anche spettatori “foresti”. Quali sono i motivi? Lo abbiamo chiesto all’assessore alla cultura Gianesini e a due organizzatori di eventi musicali.
Originali sono le proposte di nicchia offerte, per esempio, da Fuoribosco, o quelle organizzate da associazioni come il Centro Stabile di Cultura, rivolte soprattutto ai giovani…
“E intendiamo continuare a collaborare e sostenere le realtà associative che propongono idee interessanti. Se un cittadino vuole seguire spettacoli e manifestazioni anche d’estate, in città ha l’imbarazzo della scelta”.
Sicuramente, ma resta il fatto che il momento pop di forte impatto manca, e non ci possono pensare solo le associazioni.
“È vero, ma i rischi non sono pochi; se aggiungiamo anche l’incognita del maltempo, da noi spesso realtà concreta, si capisce ancor più che si fatica a pensare e organizzare qualcosa in grande stile”.
Canova (Schiolife) e Capraro (Scoppiospettacoli)
Sull’argomento abbiamo chiesto pareri anche a due operatori dello spettacolo che da tempo organizzano serate a Schio, Claudio Canova di SchioLife e Max Capraro di Scoppiospettacoli.
“I costi dei concerti all’aperto – afferma Canova – risultano dieci volte superiori di quelli al chiuso. Per fare un esempio, l’affitto del Teatro Civico è un decimo del costo di montaggio di un palco in area Campagnola. In quella location, per rientrare con
le spese, bisogna invitare grossi nomi, che attirino almeno duemila persone. Organizzo concerti da 17 anni e in quell’area ho portato i Jethro Tull, gli Afterhours e da ultimo gli Yes, nel 2017. Come privato, rischio molto meno utilizzando il Civico o l’Astra, dove ho registrato il tutto esaurito (ma sono 850 posti) con Capossela, Hackett, Bosso…. Il fattore meteorologico è anch’esso di grande importanza e assicurare uno spettacolo contro l’eventuale maltempo costa dai settemila euro in su. Negli ultimi anni ho abbandonato i concerti all’aperto e lascio ad altri l’organizzazione di serate in luoghi relativamente vicini a Schio, come Marostica, Asiago, Este, Piazzola sul Brenta. In Fabbrica Alta, a mio avviso, chi è un vero intenditore può comunque seguire eventi di ottima qualità: Next Please, Line Festival, Baker Street, tanto per citare gli ultimi; parlando di palco, preciso che quello della stessa Fabbrica Alta non è adatto ai grossi nomi”. “Raramente organizzo eventi estivi – concorda Capraro, - perché le dinamiche, operative ed economiche, sono totalmente differenti rispetto a quelle teatrali. Personalmente prediligo, a Schio, utilizzare l’Astra: lo faccio da anni e intendo proseguire così”. Ci dobbiamo rassegnare? O ci sarà qualche coraggioso che finalmente si attiverà per la giusta causa? Lo vedremo l’estate prossima, forse. ◆
In attesa di affrontare esaurientemente l’argomento il prossimo mese, forniamo alcune anticipazioni su Schio Grande Teatro 2024/25.
Assoluta novità organizzativa è la co-direzione artistica: a fianco di Federico Corona ci sarà Stefania Dal Cucco, operatrice culturale e componente storica dello staff della Fondazione. In sinergia i due professionisti hanno elaborato il programma, che conta sulla partecipazione di Arteven per gli appuntamenti di teatro e di Asolo Musica per la sezione musicale. Trenta gli ap -
Il Cineforum Alto Vicentino ha approntato il programma della prossima stagione, da settembre a maggio prossimo. Ventinove i film che verranno proiettati, a cui si aggiungeranno quattro titoli a sorpresa, scelti tra le novità proposte nei più importanti festival cinematografici: registi affermati, nuove promesse, cinema europeo ma anche americano, asiatico, africano; nove film saranno visibili in versione originale, sottotitolata in italiano.
L’abbonamento, comprensivo di trentatré titoli, è acquistabile fino al 22 settembre, dalle 16 alle 20, al Cinema Pasubio; in fase di iscrizione si potrà optare fra cinque fasce di proiezione (dal lunedì al giovedì saranno serali, ma ne è prevista anche una pomeridiana, al martedì). La rassegna inizierà il 23 settembre e la stessa settimana riprenderanno anche le proiezioni del weekend, con ingresso a biglietto. Nei mesi a seguire, il programma si arricchirà di rassegne collaterali, come Cinema Ritrovato e Altitudini.◆ [M.D.Z.]
Ecco le anticipazioni sul programma dell’annata della Fondazione Teatro Civico che sta per iniziare. Con la novità della co-conduzione artistica di Federico Corona e Stefania Dal Cucco.
puntamenti, a partire dal 5 novembre fino al 9 maggio.
Tra i nomi che calcheranno i palcoscenici scledensi ci saranno Ottavia Piccolo, Marco Paolini e Patrizia Laquidara, molto noti agli spettatori scledensi, ma anche Luca Bizzarri, Maddalena Crippa, Corrado Nuzzo e Maria Di Biase, Maria Paiato e Mariangela Granelli. Il filo conduttore che unisce molti degli appuntamenti è il dialogo tra i grandi classici del teatro e il mondo contemporaneo; il programma include infatti titoli intramontabili come “Il malato immaginario”, “Natale in casa Cupiello”, “Delirio a due” e “La sagra della Primavera”, a cui si uniscono gli appuntamenti dedicati alle tematiche di teatro civile e alla comicità di Debora Villa e di Stivalaccio Teatro.
Completa l’offerta teatrale la nuova rassegna “Schio Tempo Presente”, interamente al Civico, che sostituisce il teatro popolare proposto fino alla scorsa stagione: quattro appuntamenti per dare spazio ad artisti che volgono lo sguardo al contemporaneo e alle diversità. Sei gli appuntamenti di Schio Musica con, fra gli altri, Danilo Rea e il Premio Paganini Simon Zhu; il filone “Civico da Camera” spazierà da Frescobaldi a Chopin e alla musica antica; in doppia replica l’atteso Concerto di Capodanno. “Vieni a teatro con mamma e papà” si trasforma in Civico da Favola, con cinque spettacoli in abbonamento e uno speciale appuntamento dedicato ai bambini da 1 a 3 anni.
La campagna abbonamenti partirà il 2 ottobre. ◆ [M.D.Z.]
L’attrice scledense Agnese Sofia Bonato, neodiplomata alla Scuola di Teatro del Piccolo di Milano, ha già ottenuto un’importante parte femminile (sarà Clarice, figlia di Pantalone) nell’”Arlecchino servitore di due padroni”, celeberrima commedia dell’arte di cui Giorgio Strehler, nel lontano 1947, realizzò una versione storica. Il regista Stefano De Luca, allievo dello stesso Strehler, ha ripreso la regia del maestro, avvalendosi dei giovani e talentuosi diplomati alla Scuola del Piccolo, promesse del teatro italiano. Ad Agnese, che ha mosso i primi passi a Schio Teatro Ottanta, gli auguri del nostro mensile, che l’aveva intervistata quando era stata ammessa alla prestigiosa scuola. Reciterà in tutte le repliche programmate dal 24 ottobre al 17 novembre prossimi. ◆ [M.D.Z.]
Partirà a ottobre il primo appuntamento di “4Dancers Repertory”, un workshop di alta formazione sulla danza contemporanea aperto a tutti gli studenti del settore che vogliono approfondire la loro conoscenza lavorando il repertorio di coreografi a livello internazionale, privilegio che solo i danzatori professionisti possono avere. La direzione artistica è affidata a Ornella Pegoraro e Lucy Briaschi, che si avvarranno della consulenza di Arturo Cannistrà, esperto che si occupa di creare rete tra scuole di danza.
Il 12 e 13 ottobre il Meeting Box ospiterà il repertorio di Aterballetto, a cura di Ivana Mastroviti del CCN Aterballetto. Altri due gli incontri previsti, uno a febbraio e l’altro ad aprile: l’8 e 9 febbraio sarà la volta del repertorio di Carolyn Carlson, con Sara Orselli, assistente coreografa della Carolyn Carlson Company. Il 12 e 13 aprile Beatrice Mille, assistente coreografa di Mauro Bigonzetti nonché ballerina di Aterballetto e del Ballet de Marseille, presenterà il repertorio dello stesso Bigonzetti. ◆ [M.D.Z.]