Schio Mese
Periodico di informazione dell’Alto Vicentino
anno XIII n. 128 - dicembre 2024
“No all’ampliamento dell’inceneritore” - p.8 ◆ “E adesso promuoviamo la gentilezza” - p.10
Periodico di informazione dell’Alto Vicentino
anno XIII n. 128 - dicembre 2024
“No all’ampliamento dell’inceneritore” - p.8 ◆ “E adesso promuoviamo la gentilezza” - p.10
Mosè Squarzon, sindaco di Monte di Malo, è stato eletto di recente presidente dell’Unione Montana Pasubio Piccole Dolomiti. «Il contrasto al dissesto idrogeologico – spiega - è un tema che coinvolge tutti i comuni dell’Unione e che inevitabilmente si traduce, quasi sempre, in emergenza di Protezione civile”.
Supplemento mensile di Lira&Lira
Direttore
Stefano Tomasoni
Redazione
Elia Cucovaz
Mirella Dal Zotto
Camilla Mantella
Grafica e impaginazione
Alessandro Berno
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Per le inserzioni pubblicitarie
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Stefano Tomasoni
ravamo sui social a perdere un po’ di tempo facendo scorrere la solita sequenza di incidenti stradali scioccanti, ricette gastronomiche e tutorial per realizzare origami, quand’ecco che ci siamo imbattuti nell’immagine riprodotta in questa pagina, saltata fuori da chissà quale profilo. Una sorta di “pubblicità progresso” degli anni Cinquanta intenta a lanciare agli italiani un messaggio di educazione stradale curiosamente rivolto non agli automobilisti, ma ai pedoni. C’è questa mamma che tiene la mano della sua bambina mentre insieme stanno per attraversare la strada sulle strisce pedonali, la mamma in un elegante tailleur azzurro e la bimba in un candido vestitino col fiocchetto; entrambe si mostrano guardinghe, addirittura è la bambina quella all’apparenza più prudente, visto che sporge la testina a controllare che la via sia sgombra. E poi, soprattutto, c’è il messaggio, stampato a caratteri cubitali: “Pedoni date ai conducenti il tempo di fermarsi”.
Da non credere, già all’epoca esisteva nel paese il problema della gente che attraversa la strada come se le macchine non esistessero. Quelli che si materializzano a bordo strada e alè, senza nemmeno guardare se la strada è libera, si tuffano sulle strisce contando sul destino. O sul fatto che tu, che stai arrivando in auto e gli sei a cinque metri, venga fermato automaticamente da una forza superiore.
E noi che pensavamo fosse un fenomeno di questi ultimi anni, un frutto della “società scialla”, in cui ognuno fa quello che gli fa comodo quando e come vuole, tanto ad avere torto sono sempre gli altri. Evidentemente, siamo sempre stati così. Magari, questo sì, il fenomeno oggi è più diffuso di sessant’anni fa, se non altro perché il traffico nel frattempo si è quantomeno decuplicato. Capita, a chi guida, di sentire i battiti del cuore accelerare a ogni striscia pedonale che si incontra, perché non sai mai cosa possa capitare da un secondo all’altro, ed è sempre più elevato il rischio di ritrovarsi davanti, di colpo, qualcuno che sta attraversando la strada e che un attimo prima non c’era.
In linea di massima, la gente che attraversa sulle strisce può essere catalogata in almeno cinque categorie di attraversatori. Per identificarle è sufficiente prendere come campione il doppio attraversamento pedonale davanti alla stazione ferroviaria, in via Baccarini, dove basta una mezz’ora di osservazione per raccogliere tutta intera la casistica che segue.
L’attraversatore nel paese delle meraviglie
È quello che pensa di vivere nel mondo delle favole: si immette sulle strisce, anche nelle vie più trafficate, con totale inconsapevolezza, senza minimamente preoccuparsi di guardare a sinistra e a destra, se per caso stia arrivando qualche auto, cosa in effetti più che probabile. Deve avere maturato la convinzione che le strisce pedonali siano una sorta di mondo a parte, un mondo delle favole, appunto, in cui non può capitarti niente di male, perché è lì fatto per te. Per lui le strisce sono dunque una sorta di passaggio onirico, un varco spazio-temporale intorno al quale tutto si ferma e resta sospeso in una sorta di limbo, finché non è dall’altra parte della strada.
L’attraversatore minaccioso
Si comporta allo stesso modo dell’attraversatore precedente, cioè prende le strisce come se esistesse solo lui al mondo, ma non perché pensi di essere Bianconiglio o il Cappellaio Matto o un altro personaggio da favola: l’attraversatore minaccioso è di quelli che pretendono di avere sempre ragione e che mentre piombano sulle strisce ti guardano come un sicario di Gomorra. Si lancia sulle zebre come se stesse facendo lo sprint finale per l’oro alla maratona olimpica e a chi è in auto non resta che inchiodare, sperando che quello che arriva dietro faccia altrettanto in tempo. L’attraversatore minaccioso, nel riuscire a passare la strada miracolosamente indenne ti manda pure platealmente a quel paese. E tu resti lì a pensare “ma guarda questo, invece di ringraziare che gli ho salvato la vita”. Ma poi ti viene il dubbio che forse voleva suicidarsi e che l’incazzatura derivi dal fatto di non esserci riuscito.
L’attraversatore su due ruote
È quello che arriva sereno e pacifico in sella alla bicicletta e attraversa le strisce nella stessa modalità delle due precedenti categorie, cioè pensando “tocca a me perché sono sulle strisce e tu ti devi fermare per forza”. È evidente peraltro che in questo caso il pericolo raddoppia, perché c’è la velocità maggiore della bicicletta e quindi chi arriva in auto ha ancora meno tempo di reazione a disposizione, diciamo un secondo da quando con la coda dell’occhio vede la bicicletta arrivare a bordo strada a quando questa è già in mezzo alle strisce. Anche se sei in centro e stai andando davvero a 30 all’ora, servono riflessi pronti e buoni freni per salvare la vita anche all’attraversatore in bicicletta.
Qui si entra in una categoria a parte, forse quella oggi più insidiosa: l’attraversatore in monopattino elettrico. Una tipologia diffusa soprattutto tra i giovani under 35 di origini straniere, che scorrono silenziosi con questi aggeggi su marciapiedi (spesso), per strada
(altrettanto spesso) e piste ciclabili (di rado). Un pericolo sotto tutti i punti di vista, di solito perché non li senti arrivare, d’inverno perché proprio non li vedi, posto che quasi nessuno è dotato di lucetta posteriore. Gli attraversatori a rotelle (a volte anche due su uno stesso monopattino) arrivano dunque più veloci di un pedone e anche loro entrano sulle strisce incuranti e allegri come quelli in bicicletta, con l’aggravante che le biciclette le vedi, mentre di sera uno in monopattino, il più delle volte con il cappuccio in testa, diventa spesso un fantasma, specie in certe vie poco illuminate che ci sono in città. Insomma, un pericolo. Adesso il nuovo codice della strada impone che chi guida questi trabiccoli abbia casco, assicurazione e targa. Viene un po’ da ridere, ma vediamo, magari è la volta che si mette un po’ d’ordine nel fenomeno monopattini.
Qualcuno che attraversa le strisce pedonali con la testa sulle spalle lo si trova ancora, intendiamoci. Sono pochi e perlopiù anziani, quindi costretti a farlo avendo movi-
menti più lenti e riflessi meno pronti, ma comunque ci sono. In ogni caso è la specie più difficile da incontrare. L’attraversatore rigoroso non pretende che un’auto in prossimità delle strisce inchiodi per far passare lui, capisce che un conto è attraversare con attenzione e un altro conto è farlo con la pretesa che il mondo intorno si fermi all’istante per te. L’attraversatore rigoroso schiaccia perfino il pulsante di chiamata del semaforo pedonale anche se sa che non serve a niente e che il verde arriverà in tutti i casi dopo la solita eternità. Ma l’attraversatore rigoroso è in via di estinzione, e che c’è chi chiede che della sua tutela si occupi il WWF, con una deroga alla mission dedicata agli animali.
Ci sarebbero altre varianti di attraversatori da descrivere, ma lo spazio a disposizione è finito. Ne resta appena a sufficienza per suggerire l’introduzione di un nuovo segnale stradale da affiggere in prossimità delle strisce pedonali per mettere in guardia gli automobilisti. Una cosa tipo: “Attenzione, pericolo pedoni a razzo”. ◆
Elia Cucovaz
osè Squarzon, sindaco di Monte di Malo, è stato eletto presidente dell’Unione Montana Pasubio Piccole Dolomiti. Ricevendo 24 preferenze su 28 votanti ha iniziato il suo mandato biennale succedendo a Carlo Bettanin, che aveva ricoperto la carica per i quattro anni precedenti.
Quello assunto da Squarzon è un ruolo tutt’altro che leggero. Infatti l’Unione montana che, dopo l’ingresso di Valdagno e Recoaro nel 2022, riunisce le valli del Leogra e dell’Agno, è la più grande d’Italia, con un bilancio passato dagli iniziali 80 mila euro agli attuali 7 milioni e mezzo. Squarzon, lei si trova a gestire un ente dotato di grandi potenzialità, cui si collegano anche grandi oneri. Quali sono le principali voci di bilancio?
«L’Unione Montana può continuare a essere un ente di grandi potenzialità, come ha dimostrato nel raggiungere traguardi importanti che ci hanno permesso di iniziare a cogliere i primi frutti, con l’aggiudicazione del bando Green Communities, con importanti interventi “sull’efficientamento” energetico in tutti i dieci comuni dell’Unione (1.342.000 di euro per impianti a pannello fotovoltaico, 457.500 per sostituzione corpi illuminanti con LED, 1.254.770 per centrali idroelettriche, per un totale di 3.054.270) e con i fondi FOSMIT (852.000 euro), che ci consentiranno di effettuare degli interventi nei territori, con il bando habitat con opere per 76.000 euro. Una dimostrazione concreta di quali possano essere i risultati, mediante la collaborazione e l’impegno tra diversi enti, senza interferenze ideologiche, ma nell’ottica della valorizzazione dei territori».
Quali sono le questioni più urgenti che si è trovato a dover affrontare dopo il passaggio di consegne?
«Ci sono delle priorità che, come Unione Montana, fino a qualche tempo fa non erano così in primo piano, in quanto i nostri territori, se non per qualche sporadico e isolato episodio, erano stati risparmiati da eventi emergenziali di grande impatto; eventi che, purtroppo, abbiamo dovuto affrontare in condizioni di estrema difficoltà e che hanno messo a dura prova le strutture dei singoli enti. Pertanto abbiamo concordato di dare precedenza all’aspetto della formazione in materia di emergenza e di Protezione civile, con un’accelerazione per quanto riguarda la definizione e completamento del Piano intercomunale di Prote-
Il presidente dell’Unione montana Mosè Squarzon (a sinistra) con il predecessore Carlo Bettanin
Mosè Squarzon, sindaco di Monte di Malo, è stato eletto di recente presidente dell’Unione Montana Pasubio Piccole Dolomiti. «Il contrasto al dissesto idrogeologico – spiega - è un tema che coinvolge tutti i comuni dell’Unione e che inevitabilmente si traduce, quasi sempre, in emergenza di Protezione civile”.
zione civile, incontrando anche la squadra locale per ascoltare nuove proposte per una gestione più dinamica delle eventuali situazioni che si dovessero, nostro malgrado, ripresentare».
Quali sono, invece, gli obiettivi di lungo periodo che faranno, per così dire, da cornice a tutto il suo mandato?
«L’Unione Montana continuerà nella sua direzione di continua progettazione, nel cercare di calamitare le varie opportunità che si presenteranno in futuro, conscia di poter contare su tecnici preparati che ne hanno elevato professionalità e capacità di raggiungere grandi obiettivi.
La mia idea, che per essere attuabile dovrebbe trovare ampia condivisione e coinvolgimento negli altri componenti dell’Unione, sarebbe quella di creare, oltre alle specifiche deleghe previste dalla normativa, un ente sovracomunale strutturato, con una progressiva condivisione di funzioni. Proporrei con l’iniziare dalle funzioni più gestibili in maniera standardizzata, come potrebbe essere, ad esempio, la gestione delle manutenzioni, i tributi, una gestione turistica…».
Un aspetto che sta molto a cuore alla popolazione delle aree montane e non solo, viste le varie emergenze cui anche il nostro territorio ha dovuto far fronte negli ultimi anni, è il contrasto del dissesto idrogeologico. Qual è la reale estensione del problema nei comuni dell’Unione Montana?
«Il contrasto al dissesto idrogeologico è un tema che coinvolge tutti i comuni dell’U-
nione; l’ordine di grandezza e la portata del problema ammonta in decine di milioni di euro, che sono i danni che hanno subito i nostri territori. Un reale problema che inevitabilmente si traduce, quasi sempre, in emergenza di Protezione civile.
Il dissesto idrogeologico si combatte con la prevenzione, cosa che, nel nostro Paese, non viene sufficientemente osservata e capita, se non altro per il fatto che agire in prevenzione rappresenterebbe un esborso economico nettamente inferiore di quello necessario quando si agisce in emergenza. Purtroppo i singoli comuni, sempre più in difficoltà con i tagli ai loro striminziti bilanci, possono fare ben poco per pianificare interventi importanti».
Ci sono già in campo delle iniziative di breve, medio e lungo periodo per affrontare questa sfida? Quali i progetti per il futuro?
«L’Unione cerca di consentire ai singoli enti di contare su risorse provenienti da fondi e bandi, per mettere in atto quelle opere di prevenzione e sistemazione utili ai territori, ma ci sono opere che dovrebbero essere realizzate da altri enti regionali che abbiamo già coinvolto con richieste specifiche. Il tema della prevenzione si attua attraverso interventi di sistemazione e di regimazione delle acque, con la cura dei territori, cosa che purtroppo non è più realizzata, come un tempo, dalla popolazione. Ci stiamo concentrando sulle possibilità che si presenteranno per cercare di dare maggiori strumenti per intervenire e mettere in sicurezza i territori. Sarebbe auspicabile
Per favorire la scoperta dei nostri bei territori, bisogna anche mostrar bene dove andare. E le indicazioni stradali di questi segnali, consumate dagli eventi atmosferici, non aiutano molto. Capita spesso di vedere ciclisti che non sono delle nostre parti fermi lì, giusto davanti a questi cartelli, che sembrano emersi da qualche scavo archeologico, per decifrare scritte e luoghi.
Da anni si cerca di far sì che il Tretto non sia “zona depressa”, ma con scritte ridot-
un maggiore coinvolgimento della popolazione, che con piccoli interventi mirati potrebbe essere un anello molto importante della catena di conservazione del bene comune».
Nel suo discorso di insediamento ha descritto l’Unione come “una realtà la cui voce ha finalmente le caratteristiche per essere ascoltata, anche ai livelli politici superiori”. Quali sono i suoi propositi, a questo riguardo?
te in questo modo par più che altro “zona malmessa che non interessa”. [M.D.Z.]
«L’Unione Montana Pasubio Piccole Dolomiti rappresenta l’unione di dieci comuni, con un bacino di abitanti poco lontano dalle 100 mila unità; una realtà importante, dunque, che deve ancora comprendere la sua reale forza se agisse come un unico forte ente. L’unità è fondamentale per poter esercitare un’influenza finalizzata all’interesse dei nostri territori, ciascuno per le proprie specificità.
“SMariano Castello
e uno ti dice: ‘Scrivi doctorisi’ tu cosa scriveresti?” “Io scriverei doctorisi, come mi è stato detto”. E invece è sbagliato. Si deve scrivere “doctoreasy” anche con l’i greca finale. All’inglese. Sveglia! Se uno non sa neanche queste cose elementari è out, ma è out perché si mette fuori da solo. “Non vorrai dirmi che a scuola non hai studiato un po’ di inglese”. “No, io no, ho studiato francese. Ai miei tempi quella era la lingua che si imparava a scuola, ma molti si fermavano in quinta elementare perché lì finiva la scuola dell’obbligo e quindi di lingue straniere non si sentiva neanche una parola”. Che poi non so se una volta ci fosse l’obbligo scolastico: per dire, mia nonna è arrivata fino a metà della seconda elementare e sua sorella le ha detto: “Ma va là, cossa vuto perdare tenpo a scola, vien a iutarme mi invense, che go sinque tusi pìculi, tuti cativi”. E così mia nonna, puareta, non ha neanche finito la seconda, per andare ad aiutare sua
sorella. E non solo non sapeva neanche una parola di francese, ma anche leggere e scrivere per lei era un problema. Io ho fatto la scuola superiore diversi anni fa, ma non ai tempi degli uomini primitivi: allora al ginnasio si faceva francese e non inglese. Un po’ di inglese l’ho studiato dopo la pensione, quando la testa cominciava a non essere più tanto pronta a imparare cose nuove e infatti i risultati non sono stati molto brillanti. Ricordo qualche parola qua e là.
Ho fatto l’esempio della parola doctoreasy perché oggi quando hai bisogno di una ricetta per una medicina, puoi solo telefonare al call center, che qualche giorno fa era intasato dalle troppe chiamate. Il risponditore automatico diceva: “Può mandare una e-mail a info@doctorisi.it, specificando la medicina della quale ha bisogno”. E questo è stato un bel passo in avanti perché ha ridotto le attese al telefono. Ma se mandi una e-mail a info@doctorisi.it, come ti dicono, ti rispondono subito che quella e-mail lì non esiste. Nessuno ti spiega che si dice isi ma che si scrive easy e quindi l’indirizzo
Le diversità di ciascun ente possono essere la ricchezza della nostra Unione, che deve comprendere le singole aspettative, i bisogni e le necessità dei vari componenti. Lavorando sui vari tavoli a diversi livelli istituzionali, porteremo le nostre istanze, come quelle già esposte relative al dissesto idrogeologico e soprattutto le problematiche correlate alla residenzialità nei terreni montani e allo spopolamento di alcuni territori». Ha indicato anche come rotta quella di “allargare le funzioni dell’Unione Montana, per garantirle una crescita progressiva”. Ha qualche obiettivo particolare in mente?
«Oltre a quanto già detto, un’altra proposta potrebbe essere quella di assicurare a tutti i cittadini dei dieci comuni dell’Unione, di vedere erogati dei servizi, ad esempio di tipo anagrafico, anche nei comuni che non siano il proprio. Questo consentirebbe di migliorare e ampliare i servizi stessi, un inizio di gestione associata, duttile e concreta, che possa far comprendere alla cittadinanza l’importanza della condivisione e ottimizzazione delle risorse». ◆
mail giusto è info@doctoreasy.it. Tutti sanno che l’inglese si legge in un modo e si scrive in un altro tutto diverso, senza che esista a questo riguardo una regola precisa. Comunque, per chi non l’avesse capito, la traduzione della mail è: info@dottorefacile.it. Con l’italiano ci capiamo subito meglio e non c’è neanche il rischio di capire una cosa per un’altra. Con questo non voglio dire che dobbiamo fare una crociata contro l’inglese, per difendere la purezza della lingua italiana. Per me l’uso dell’inglese è giustificato quando questa lingua ci aiuta a essere più sintetici e meno baroccheggianti. Ad esempio “stop” tutti sanno che vuol dire “Fermo lì dove sei”.
Nel caso specifico bisognerebbe che il risponditore automatico dicesse: “doctorisi, che però si scrive doctoreasy con l’ì greca finale”, e però così non si raggiungerebbe quella sintesi che è forse il tratto peculiare dell’inglese e che ha molto da insegnare alla talvolta vana verbosità italiana. L’insegnamento che si potrebbe trarre da questo modesto episodio è quello che conviene usare l’inglese quando è più utile un linguaggio sintetico e l’italiano quando tutti, ma proprio tutti (anche mia nonna puareta se fosse ancora qua) devono capire. ◆
Camilla Mantella
elle scorse settimane numerosi scledensi hanno ricevuto un avviso da parte del Consorzio di bonifica Alta Pianura Veneta che li invita domenica 15 dicembre a votare per eleggere i 20 membri del Consiglio consortile, che rimarranno in carica per il prossimo quinquennio. Le elezioni si terranno in 66 seggi distribuiti su tutto il territorio del Consorzio - che comprende le province di Vicenza, Verona e Padova – e servono per scegliere le figure che avranno il compito di guidare le politiche di tutela e sviluppo del comprensorio. Se si provasse a chiedere alla gente cosa sia e cosa faccia il Consorzio di bonifica, però, è molto probabile che si otterrebbero perlopiù sguardi interrogativi e ben poche risposte. Eppure si tratta di un ente tutt’altro che di contorno, per quanto riguarda la tutela concreta e quotidiana dell’ambiente. Vediamo allora di cosa si occupa il Consorzio e cosa fa per Schio e dintorni, e anche perché alcuni residenti ricevono le richieste di contribuzione e vengono invitati a votare, mentre altri no.
Cosa fa il Consorzio a Schio
Cosa fa il Consorzio è presto detto: è impegnato nella salvaguardia e nello sviluppo del territorio. È un ente pubblico-economico che ha il compito di mantenere efficiente la rete di bonifica e irrigazione, contribuendo alla sicurezza idraulica e al supporto del comparto agricolo. Tra le sue attività principali figurano la manutenzione ordinaria e straordinaria della rete idraulica, la progettazione e realizzazione di opere di bonifica e irrigazione e l’implementazione di iniziative innovative. Tra queste, ad esempio, il progetto europeo “Life - Svolta Blu” per la conservazione delle risorse idriche nell’Alto Vicentino. Nell’ultimo anno il Consorzio, che in via ordinaria si occupa della manutenzione lungo tutti i corsi d’acqua in gestione con sfalci e spurghi, è stato chiamato in causa soprattutto per far fronte ai danni provocati dal maltempo, investendo circa 620 mila euro nella provincia di Vicenza. Nel territorio di Schio i principali interventi hanno riguardato il Torrente Gogna (193 mila euro) e il Torrente Refosco, al confine con il Comune di San Vito di Leguzzano (375 mila euro), con opere di ripristino arginale e consolidamento delle frane. Si è trattato di lavori volti a ridurre i rischi idraulici e ripristinare la funzionalità delle infrastrutture.
Non sono in tanti a sapere che esiste il Consorzio di bonifica Alta Pianura Veneta, per il quale una parte dei cittadini è tenuta a pagare una “tassa” e altri no. Eppure è l’ente che mantiene efficiente la rete di bonifica e irrigazione, contribuendo alla sicurezza idraulica generale. Ecco cosa fa a Schio.
Ci si potrebbe domandare perché esista un Consorzio se anche altri enti, come il Genio Civile, si occupano di tematiche simili. In realtà, pur operando entrambi nel settore idrico, hanno competenze distinte. Il Genio Civile, ufficio regionale che lavora su base provinciale, si occupa strettamente della polizia idraulica sulla rete idrografica principale e sulle relative pertinenze demaniali, garantendone la sicurezza. Il Consorzio, invece, combina la bonifica idraulica con la gestione irrigua, supportando l’agricoltura attraverso una distribuzione efficiente delle risorse idriche. Inoltre, le sue attività si estendono alla tutela del paesaggio, alla valorizzazione del patrimonio idrico e alla promozione di progetti di sostenibilità.
Come funziona il contributo di bonifica?
I proprietari di immobili situati nel territorio di competenza del Consorzio pagano una quota a titolo di contributo, calcolata in base ai benefici derivanti dagli interventi di bonifica e irrigazione. La legge regionale 12/2009 regola la classi-
ficazione degli immobili soggetti al contributo.
Non tutti i residenti, peraltro, sono obbligati al pagamento: soltanto gli immobili che traggono vantaggio diretto dalle opere del Consorzio rientrano nella categoria contributiva ed è questo il motivo per cui non tutti gli scledensi sono interessati dalla partecipazione alle attività dell’ente, invito alle votazioni incluso. ◆
• Bilancio 2024: ca. 17.4 milioni di euro
• 140 dipendenti
• 172.953 ettari di estensione territoriale
• 95 comuni, di cui 60 nella provincia di Vicenza
• 2.850 km di rete idraulica di bonifica, di cui oltre 1.200 km con funzioni miste di scolo e irrigazione
• 22 impianti idrovori
• 78 impianti a servizio dell’irrigazione
• 37.057 ettari interessati dall’irrigazione consorziale
Stefano Tomasoni
l tema dei rifiuti e del futuro dell’impianto di smaltimento di Ca’ Capretta non smette di essere d’attualità, anzi pare destinato a diventare sempre più centrale nel dibattito politico e sociale sia di Schio che più in generale dell’ Alto Vicentino. Del resto, il progetto di ampliamento dell’inceneritore, contenuto nel famoso Masterplan - il documento con le linee di indirizzo approvato in agosto dalla maggioranza dei sindaci soci di Alto Vicentino Ambiente che gestisce l’impianto - non è davvero cosa da poco, se non altro per gli 80 milioni di euro di investimento che sono previsti, con i quali dovrebbe essere realizzata una nuova linea di trattamento.
Una tappa nel processo di coinvolgimento dell’opinione pubblica intorno a questo tema è stata, in queste settimane, la nascita di un soggetto nuovo, il coordinamento “Non bruciamoci il futuro”, costituito per dare voce a chi è contrario al progetto di ampliamento dell’inceneritore e alla logica di fondo che ne è alla base. Il coordinamento è composto da rappresentanti di una serie di associazioni o comitati esistenti da tempo sul territorio: Acqua Bene Comune Vicenza, Alto Vicentino Ricicla, Chi ci sta, Cillsa,
CSA Arcadia, Genitori Preoccupati, ISDE Medici per l’ambiente, Mamme No Pfas, Salute e Territorio Alto Vicentino.
Non un gruppo che nasce per dire “no a tutto”, sottolineano come prima cosa gli stessi promotori: “Non siamo contro l’inceneritore come strumento per gestire i rifiuti: siamo consapevoli che serve, ma siamo contrari al suo ampliamento. Non vogliamo fare polemica o inserire elementi di politica, vogliamo stare su questo argomento e non deviare su baruffe tra comuni”. I componenti di “Non bruciamoci il futuro” partono proprio dal Masterplan e dai princìpi che lo ispirano (“ancorati – dicono - a una visione della realtà da tempo superata e totalmente inadeguata a rispondere alle sfide della crisi ambientale”) per spiegare la propria opposizione al progetto di Ava.
“Se messe in atto – affermano i responsabili di “Non bruciamoci il futuro” - quelle indicazioni comporterebbero un nuovo ampliamento dell’inceneritore di Schio, con un aumento del 39% dei rifiuti trattati nell’impianto (dalle attuali 85.000 tonnellate l’anno a 119.700 tonnellate l’anno)
Il nostro ambiente/3
I componenti del coordinamento “Non bruciamoci il futuro”
“No all’ampliamento dell’inceneritore”
Una tappa nel processo di coinvolgimento dell’opinione pubblica intorno al tema rifiuti è la nascita di un soggetto nuovo, il coordinamento “Non bruciamoci il futuro”, costituito per dare voce a chi è contrario al progetto di ampliamento dell’inceneritore e alla logica di fondo che ne è alla base.
e una previsione di spesa di 80 milioni di euro di denaro pubblico, mentre già oggi soltanto il 20% dei rifiuti bruciati proviene dai comuni soci. Con la realizzazione del progetto si produrrebbe un aumento delle emissioni di sostanze nocive - diossine, metalli pesanti, particolato, ossidi di azoto e Pfas - in un territorio la cui aria, come ribadito recentemente dall’Agenzia europea per l’ambiente, è tra le più inquinate d’Europa, con serie ripercussioni sulla salute pubblica. Oltre a ciò, si produrrebbe un aumento di 16.500 tonnellate all’anno di emissioni di CO2, in un territorio già segnato da numerosi eventi meteorologici estremi causati dal cambiamento climatico”.
Dunque, per sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema e lottare per evitare che il Masterplan di Ava si traduca nel piano di interventi definitivo, il coordinamento punta innanzitutto su una raccolta firme, sia online che in banchetti allestiti in vari centri del territorio, a favore di una petizione contraria a ogni ampliamento dell’impianto, ma anche a ipotesi di incenerimento dei fanghi di depurazione, dai quali potrebbe derivare, si spiega, contamina-
zione di aria, suolo e acque con Pfas e altri inquinanti persistenti. Ma la petizione va anche oltre e chiede alle amministrazioni “che la diminuzione del conferimento in discarica dei rifiuti sia ottenuta applicando tutte le pratiche in grado di ridurre a monte la produzione di rifiuti e l’ottimizzazione del recupero di materia. Si tratta di pratiche da tempo note, che altrove stanno producendo risultati e che qui da noi, permetterebbero di spegnere la Linea 2 una volta giunta al termine del suo ciclo produttivo e di riconvertirla in processo di recupero di materia”.
Prossimamente il coordinamento intende farsi anche promotore di occasioni pubbliche di approfondimento sul tema.
“Abbiamo ancora margini di intervento –sono convinti al coordinamento -. È stato approvato un indirizzo ma il piano operativo è ancora di là dall’essere confermato. Cercheremo un dialogo e un confronto con i cittadini, con gli amministratori, i sindaci e gli assessori. Abbiamo ancora alcuni mesi di tempo per ragionare sul tema”.
Che siano mesi proficui per tutti, allora, perché poi le decisioni finali avranno effetti per un bel po’ di anni. ◆
Mirella Dal Zotto
tanno aumentando, in Italia, gli assessorati alla gentilezza e anche Schio ha il suo, affidato alla prof. Milva Scortegagna. La gentilezza è un bel tema natalizio, da svolgere durante tutto l’anno. Professoressa, lei è assessore ai “servizi educativi e formazione continua, politiche giovanili e gentilezza”. Che motivazioni hanno spinto ad aggiungere l’ultima parola?
“La promozione della cultura della gentilezza e della solidarietà può rivelarsi un potente strumento di cambiamento sociale e questa consapevolezza ha portato la Provincia di Vicenza, prima in Italia, nel luglio del ‘23, a sottoscrivere il Patto di Partecipazione con Luca Nardi, presidente dell’associazione ‘Cor et amor’, ideatrice della rete nazionale ‘Costruiamo gentilezza’. Il patto prevede l’impegno a concretizzare i tre princìpi del progetto nazionale: essere gentili, fare gentilezza per il bene comune, diffondere la gentilezza. Dopo quella sottoscrizione, l’allora vice presidente della Provincia, Maria Cristina Franco, ha inoltrato a tutti i Comuni vicentini l’invito all’attivazione dell’assessorato alla gentilezza; il Comune di Schio ha subito aderito, conferendo la delega all’assessore Barbara Corzato; a luglio, rinnovata l’amministrazione, il referato è stato affidato a me”.
In Italia gli assessorati alla gentilezza sono già 150. Fate rete? C’è scambio di idee?
“Gli assessorati alla gentilezza sono in continuo aumento e siamo costantemente in contatto tra noi. Abbiamo un gruppo whatsapp molto attivo, dove il presidente Nardi condivide tutte le attività che vengono svolte nei Comuni di tutta Italia. La nostra provincia a giugno è stata riconosciuta dall’assemblea dei soci di ‘Cor et Amor’ come capitale di “Costruiamo gentilezza 2026”. In vista di ciò, a fine agosto c’è stato il primo incontro tra sindaci, assessori, consiglieri comunali con delega alla gentilezza dei 45 comuni vicentini aderenti, per cominciare a programmare le iniziative. Una di queste è l’istituzione, nella primavera prossima, del primo Consiglio provinciale dei Ragazzi d’Italia. Il messaggio condiviso è che la gentilezza passa attraverso l’educazione e per questo è fondamentale lavorare fin da subito con i più giovani”. Nel concreto, in città, cos’è stato finora promosso per favorire la gentilezza?
“L’età scolare è quella dove si può fare più breccia e al primo incontro che ho avuto con i dirigenti degli istituti comprensivi ho proposto che una parte della loro pro -
Milva Scortegagna, oltre che assessore ai servizi educativi, lo è anche alla gentilezza, un nuovo referato che sta prendendo sempre più piede in tanti Comuni italiani. “L’età scolare è quella dove si può fare più breccia e al primo incontro che ho avuto con i dirigenti degli istituti comprensivi ho proposto che una parte della loro progettualità abbia come focus la gentilezza”.
gettualità abbia come focus la gentilezza. Con i più piccoli le idee sono tante: l’alfabeto multilingue della gentilezza, la panchina del dialogo, l’albero delle parole gentili… A settembre ho partecipato a due incontri con i giovani del Consiglio comunale dei Ragazzi e ci siamo confrontati sul significato del vivere in modo gentile, sulle azioni che si possono mettere in pratica ogni giorno, in famiglia o con gli amici. Ognuno ha sintetizzato il suo pensiero in una frase o in un disegno, per porlo poi nel Cartellone della Gentilezza. Successivamente ci siamo trovati per dipingere di viola la Panchina della Gentilezza, che i ragazzi hanno voluto collocare al Faber Box, come dono simbolico per i più grandi. In occasione poi del 13 novembre, giornata mondiale della gentilezza, ho coinvolto Ascom Confcommercio per promuovere buone prassi di gentilezza nelle attività commerciali: è stata realizzata una bellissima locandina da affiggere nelle vetrine, ma in molti non si sono limitati a questo, hanno anche offerto omaggi ai loro clienti”.
A suo avviso i giovani si sforzano di essere gentili?
“Da insegnante spesso mi sento dire: mi trovo bene con quel prof perché è gentile, frequento quel gruppo di amici perché sono gentili... Che poi i ragazzi siano sempre gentili qualche dubbio ce l’ho, però credo che se di fronte a me c’è una persona sorridente, positiva ed empatica, sono portata ad agire di conseguenza. Spesso siamo noi adulti a essere dei pessimi esempi: sta venendo meno il rispetto, la solidarietà e il senso di comunità”.
Cosa pensa di promuovere in futuro per far sì che ci sia più gentilezza in giro?
“Cercherò di promuovere progetti per favorire l’inclusione, la collaborazione, la valorizzazione delle differenze, la prevenzione di fenomeni come il bullismo, senza però dimenticare l’importanza di creare momenti e spazi dove tutti, indipendentemente dall’età, possano incontrarsi, confrontarsi e costruire legami. Sarà fondamentale fare rete con il territorio coinvolgendo enti pubblici, scuole e associazioni”. ◆
Stefano Tomasoni
ossignore, il villino Panciera non è stata una casa di tolleranza a cavallo delle due guerre mondiali”.
Angela Zamperetti Nordera non ci sta. Qualche anno fa, passando per il Sottoportego dei Garbin e osservando alle pareti la sfilata delle immagini dei monumenti cittadini si è accorta che sotto l’elaborazione fotografica della palazzina liberty progettata da Caregaro Negrin - edificata nel 1862 su commissione di Enzo Panciera, fondatore dell’impresa di estrazione del caolino – c’è un testo che enfatizza ancora una volta il breve periodo di “passato equivoco” dell’edificio, che a quanto pare nel corso della prima guerra mondiale fu usato come postribolo per militari. La palazzina, si legge nella descrizione della foto del Sottoportico, “è stata oggetto di varie destinazioni d’uso. A cavallo delle due guerre mondiali fu adibita a casa di tolleranza per la truppa militare; dopo la seconda guerra mondiale fu acquistata dalla Lanerossi che ne fece il dopolavoro aziendale e la sede della Cassa Mutua”.
Angela Zamperetti Nordera ha letto questa cosa e, come si dice, se l’è attaccata al dito. E, alla bell’età di novant’anni, ne ha fatto una personale battaglia, con l’intento di restituire dignità a quella casa. Il motivo è affettivo, legato a ricordi diretti di quand’era bambina.
Con il supporto della memoria ancora vivida, di un paio di documenti storici dell’anagrafe comunale e perfino di una visura camerale, Angela Nordera sottolinea che fin
“No,
L’esterno del villino Panciera in via Rovereto. Sotto, il pannello installato nel Sottoportego dei Garbin, che riporta la storia dell’edificio con il passaggio “incriminato”
Angela Zamperetti Nordera, sulla base dei suoi ricordi personali e di documenti anagrafici, contesta la descrizione del villino riportata nel pannello del Sottoportego Garbin e chiede al Comune di intervenire per correggerla e restituire dignità all’edificio.
dall’inizio degli anni Trenta il villino Panciera, diventato nel frattempo di proprietà della Lanerossi, era abitato da dipendenti dell’azienda e dalle loro famiglie. Una in particolare, la famiglia di Angelo Aschedamini, arrivato a Schio nell’agosto del 1930 dalla città di Crema, e alloggiato dall’azienda nel piano nobile della casa. Qualche anno dopo al piano terra sarebbe arrivata la famiglia di un altro dirigente Lanerossi, di nome Riva, mentre all’ultimo piano avrebbe abitato la famiglia Sandri.
“La residenza a quel tempo risultava al numero civico 391 – inizia a spiegare Nordera -. Da notare che nell’arco del tempo che va dal 1930 al 1936 fu chiusa la strada che collegava via Pasubio a via Marachin per poi proseguire in via Tessitori. In quel punto, verso ovest, via Pasubio cambiò nome diventando via Rovereto, i numeri delle abitazioni perciò sono cambiati. E’ certo in ogni caso che Angelo Aschedamini dal censimento del 1936 ha abitato al numero civico 9, che come oggi corrisponde al villino Panciera. In quegli anni il villino aveva due entrate: c’erano alcuni gradini per entrare al piano rialzato, poi eliminati per fare spazio al marciapiede. La famiglia Aschedamini era composta da Angelo, la moglie Elda Belloni e tre figli: Mario, del ’31, Bianca del ’32 e Wanda, del ’39, ancora oggi residente a Prato. Essendo io amica della famiglia, ho tanti ricordi di quella casa, So che Wanda è molto rattristata, come
me, per aver appreso che la casa dove ha i ricordi più cari dell’infanzia è considerata e ricordata a Schio come ‘il postribolo’ della seconda guerra mondiale. Io all’epoca ero amica e compagna di scuola di Bianca, e ho passato tante ore insieme in quella casa a fare i compiti di scuola, a suonare il pianoforte, per poi correte a giocare nel meraviglioso giardino, che poi nel dopoguerra si è molto ristretto per far spazio alla fabbrica adiacente. Si può ben capire, con questi dettagli, che il villino non è certo stato una casa di tolleranza quantomeno dal 1930 al 1946, perché sempre affittato ai dipendenti Lanerossi e in seguito alla Croce rossa”. Ora quel che la battagliera Angela Zamperetti Nordera vorrebbe è che il Comunetenendo conto della sua testimonianza (e nel caso di quella di Wanda Aschedamini disponibile a dire la sua), dei documenti dell’anagrafe e eventualmente di altre verifiche che gli uffici comunali ritenessero di fare – intervenisse sul pannello del Sottoportego Garbin per correggere il testo che descrive la foto del villino Panciera, togliendo il riferimento alla “casa di tolleranza”. Ma a questo punto, aggiungiamo noi, sembra inesatto anche il riferimento all’acquisto nel dopoguerra da parte della Lanerossi, se già a inizio anni Trenta l’azienda aveva l’uso di alloggiare nel villino alcuni dirigenti suoi dipendenti. Vuoi vedere, insomma, che la storia del villino Panciera va, almeno in parte, riscritta? ◆
L’ultimo allestimento completo documentato del presepio risaliva agli anni
’70: Pieropan ha recuperato i pezzi più significativi e l’ha reinterpretato in chiave più raccolta e intima.
GCamilla Mantella
iovedì 26 dicembre e domenica 5 gennaio, dalle 15 alle 18, la chiesa di San Francesco apre i battenti per la visita – libera e gratuita – al presepe “dei frati”, che già lo scorso anno era stato allestito all’interno della storica chiesa scledense. Grazie all’interessamento del professor Giorgio Zacchello, infatti, nel 2023 erano stati rinvenuti nei depositi di San Francesco e del Duomo alcuni pezzi originali – risalenti ad inizio ‘900 - dell’antico presepe che un tempo trovava posto nella cappella laterale dedicata a Sant’Antonio proprio nella chiesa di San Francesco.
La maestria di Gigi Pieropan, appassionato realizzatore di presepi, ha permesso alla composizione di rivivere, con delle aggiunte scenografiche speciali: per l’edizione di quest’anno è stata realizzata una fedele riproduzione della chiesetta di Santa Maria della Neve, meglio conosciuta come il Castello di Schio, costruita in collaborazione con la cooperativa “L’Orsa Maggiore” di Malo, che opera per l’inserimento, l’autonomia e la formazione di persone che vivono situazioni di disagio.
L’ultimo allestimento completo documentato del presepio risaliva agli anni ’70: Pieropan ha recuperato i pezzi più significativi e l’ha reinterpretato in chiave più raccolta e intima.
“Sono un appassionato di presepi da oltre quarant’anni - racconta Pieropan, che raggiungiamo telefonicamente proprio mentre sta allestendo un altro presepio nella chiesa dei Salesiani -. Ne ho realizzati a decine. Vengo dal modellismo ferroviario, ma con il tempo mi sono dedicato sempre di più ai presepi, soprattutto quelli di dimensioni contenute, solitamente le mie creazioni misurano circa un metro. Assieme ai ragazzi che lavorano a L’Orsa Mag-
A S.Stefano e poi domenica 5 gennaio la chiesa di San Francesco apre i battenti per la visita al presepe “dei frati”, un’opera della tradizione scledense riscoperta dal prof Zacchello e riportata al suo splendore dalla maestria di Gigi Pieropan, appassionato realizzatore di presepi.
giore realizziamo quinte e scenografie, che spesso includono paesaggi e ambientazioni rustiche, le mie preferite. L’anno scorso uno dei nostri presepi, di ispirazione napoletana, è andato in mostra a Salerno e vengo periodicamente contattato da vari comuni italiani per esporre le mie opere. Quella dei costruttori di presepi è una comunità viva, ma manca il ricambio generazionale: un peccato, vista la ricchezza di questa tradizione e la soddisfazione di realizzare opere artistiche in miniatura. Grazie a questa passione sono entrato in contatto con molte altre persone, non solo in Italia: gli spagnoli, ad esempio, sono tra i più prolifici creatori di presepi”.
Per dar vita ai suoi presepi Pieropan impiega vari mesi di lavoro.
“Innanzitutto c’è un attento studio preliminare, soprattutto per quelle ambientazioni che riproducono paesaggi reali –spiega -. Per la costruzione in miniatura della chiesetta di Santa Maria della Neve per il presepio nella chiesa di San France-
sco, ad esempio, ho fatto dei rilievi sul posto e poi abbiamo proceduto a una fedele riproduzione in scala. Solitamente iniziamo a lavorare a marzo per essere pronti per gli allestimenti nel mese di novembre. Il presepe ‘dei frati’ a San Francesco è un progetto che mi è stato particolarmente caro: ho lavorato diverso tempo come fisioterapista nella vicina casa di riposo e visitavo di frequente la chiesa. È un peccato che ora sia chiusa e spero che il presepe inviti più persone a visitarla”.
Nel corso degli anni Gigi Pieropan ha dato vita a numerose creazioni originali.
“Mi piacerebbe molto poter organizzare un’esposizione qui a Schio di tutti i lavori eseguiti. Sarebbe un’occasione per celebrare il Natale raccogliendo tutte le opere realizzate nel tempo che sono state mostrate in giro per il paese, ma che non hanno mai avuto l’opportunità di essere esibite agli scledensi. Magari con il prossimo anno si riuscirà ad allestire qualcosa, chissà: la proposta al Comune l’ho fatta”. ◆
ÈMirella Dal Zotto
giunto di recente in redazione un appello accorato da parte di Schio Teatro 80, gloriosa associazione culturale, ora anche di promozione sociale, che corre il rischio di chiudere i battenti perché priva di una sede adeguata.
Dal 1980, anno ben impresso anche nel suo nome, Schio Teatro 80 rappresenta un punto di riferimento per il teatro amatoriale in città; forma con appositi corsi decine di ragazzi oggi, ma centinaia e centinaia hanno frequentato appassionanti lezioni nel corso degli anni.
La sede attuale, “Il Piccolo Velario”, dove da circa trent’anni si effettuano le prove degli spettacoli, sta cedendo al tempo e alla fatiscenza, ed è arrivato lo sfratto.
“Fa male pensare – dice alquanto amareggiato il presidente, Paolo Balzani – che tutto ciò che siamo riusciti a realizzare dalla fondazione a oggi possa andare in fumo. Attualmente siamo centosessanta associati, fra giovani e meno giovani, trascinati da un gruppo instancabile che crede fermamente che il teatro sia una forma culturale di primaria importanza. Tanto tempo fa eravamo nella Casa delle Associazioni, l’ex Asilo Rossi, ma dopo la chiusura per il restauro, l’incendio e la mancata ricostruzione abbiamo dovuto rimboccarci le maniche e trovare un posto dove poter provare. È nostra abitudine darci da fare e agire il più possibile autonomamente; per la nostra attuale sede versiamo un regolare affitto ai proprietari, autofinanziandoci con spettacoli, corsi, partecipazioni varie. Sappiamo che ce ne dobbiamo andare, oltretutto lo stabile ha urgente bisogno di manutenzione, e sia-
Schio Teatro 80, gloriosa associazione culturale attiva in città da più di quarant’anni, corre il rischio di chiudere i battenti perché priva di una sede adeguata. Quella attuale, il “Pccolo Velario” sta cedendo al tempo e dev’essere lasciata libera.
mo disposti a pagare un po’ di più, magari anche a pensare a un acquisto. Ci andrebbe bene pure un magazzino, che poi adatteremmo alle nostre esigenze, ma al momento non riusciamo a trovare nulla alla nostra portata. Abbiamo chiesto aiuto anche al Comune, nello specifico all’ufficio cultura, affinché, in sinergia con l’ufficio patrimonio, possa fornirci delle indicazioni. Ma per il momento tutto tace”.
Va ribadito che Schio Teatro 80 ha una vocazione culturale, educativa e sociale indiscutibile: accoglie e forma, non solo teatralmente, tanti giovani e per loro è un luogo di ritrovo, di crescita, di creatività. Le associazioni che nascono dal basso con tanto entusiasmo vanno curate e protette, sono una risorsa fondamentale per la comunità.
“A ben dire – precisa Balzani – abbiamo individuato alcune possibili sedi, ma si trova-
Èarrivata in libreria una piccola strenna natalizia tutta da leggere: si tratta di “Morisse qua”, ultimo lavoro di Mariano Castello. L’autore, nostro apprezzato collaboratore, dall’ormai lontano 1981 in cui ha dato alle stampe “Il seme dell’avvenire”, è al suo quindicesimo libro, caratterizzato come sempre dall’uso di una lingua che fluttua dall’italiano al dialetto scledense che, si badi, può scostarsi sensibilmente dal veneto vero e
proprio. A dilettarsi nella lettura dei suoi lavori sono soprattutto i diversamente giovani, ma chi non appartiene ancora alla categoria può scoprire un piccolo mondo di casa nostra fatto di ricordi, sensazioni, personaggi, descrizioni, che narrati come solo Castello sa fare acquisiscono un valore linguistico e di costume mica da poco. Nell’ultima sua opera tocca argomenti come il cibo, lo sport, la religione, la famiglia (in particolare, qui, scrive
no fuori Schio, in Comuni dove numerose realtà, anche più piccole e meno attive della nostra, riescono a ottenere in gestione un teatro. Ma noi siamo Schio Teatro 80 e Schio è nel nostro nome, è la nostra identità: sarebbe assurdo trovare casa in un altro comune. Riteniamo sia fondamentale poter fare teatro nel territorio dove affondano le nostre radici ed è per questo che chiediamo con forza a enti, imprenditori e privati cittadini di darci una mano nella ricerca”. Anche noi di SchioMese promuoviamo il passaparola, nell’assoluta convinzione che sia necessario agire in fretta per non perdere, o per non dislocare, una risorsa preziosa; ci chiediamo come sia possibile che non si trovi uno spazio adeguato, pagando il giusto e senza far ricadere la spesa sui cittadini che, con Schio Teatro 80, hanno sempre ricevuto tanto. ◆
della sorella)... un microcosmo ormai antico, permeato da una cultura cattolica radicata e non sempre accettata di buon grado, che Castello aiuta in maniera determinante a ricordare con simpatia, arguzia, ironia. Pubblicato da Editrice Veneta, “Morisse qua” ha una bella copertina “alla Chagall” firmata da un amico di Castello, Luciano Vighy, mancato proprio quest’anno, che ha dato all’autore consigli determinanti, seguiti alla lettera. Il libro si legge d’un fiato e si rilegge con ancor maggior piacere: ogni breve racconto è permeato di nostalgia e alla fine una decina di veloci pennellate di parole illuminano momenti che non hanno lo spessore della storia, ma comunque non si dimenticano facilmente. ◆ [M.D.Z.]
Pienone all’Astra per “Non hanno un amico”, di e con Luca Bizzarri, che firma il testo con Ugo Ripamonti. Bene ha fatto la Fondazione a proporre il monologo, quasi una stand up comedy, fuori abbonamento, per dare la possibilità a un pubblico alquanto variegato di partecipare. “Non hanno un amico”, oltre che essere uno spettacolo che gira con successo in Italia, è un podcast di Chora Media e anche un libro. Bizzarri sta sul palco per circa un’ora e mezza con un leggio, una sedia, un picco -
Pienone all’Astra per “Non hanno un amico”, di e con Luca Bizzarri. Sebbene ci si sarebbe aspettati più satira politica, l’attore non risparmia nessuno e tira frecciate a destra e a manca.
lo tavolo per poggiare acqua e microfono: sedia e leggio non gli servono per niente, è un fuoco di fila di battute recitate sempre in piedi, o al massimo accucciato. Ha le sue teorie educative e le esprime con chiarezza, auspicando una severità con i giovanissimi che lui ha conosciuto ma che ora non nota più e dà la netta impressione, nei vari argomenti affrontati (dalla scuola al bullismo, dall’amore al sesso), di rimpiangere tempi andati. Per tutti quelli che sono in sala, e non solo, prospetta un unico, determinante rimedio: ci vorrebbe un amico in grado di farci aprire gli occhi, e tutto sarebbe più giusto. È che pochi di noi sono disposti ad avere a che fare con
qualcuno che ci mette in discussione, per cui il mondo, micro e macro, va così. Francamente ci aspettavamo più satira politica, ma è evidente che Bizzarri la riserva a “Di Martedì” dove, con il suo amico Paolo Kessisoglu, non risparmia nessuno e tira frecciate a destra e a manca; a teatro, pur nominando parecchi i politici, non si sofferma molto su Tizio o Caio e preferisce, con un linguaggio ben farcito, puntare l’attenzione sui nostri tanti vizi e sulle nostre poche virtù. Bizzarri piace perché va giù di brutto anche su se stesso, prima di lasciare, a lui e a noi, ben poche speranze di generale miglioramento. ◆ [M.D.Z.]
Una delle novità della stagione della Fondazione, la rassegna sul contemporaneo, si è presentata con un intrigante spettacolo, “Overload”, centrato sul tema della distrazione di massa.
Èiniziata la rassegna Schio Tempo Presente, voluta dalla Fondazione per dare spazio ad artisti che toccano i temi del contemporaneo e della diversità. Innovazione, dunque, com’è nella tradizione (si perdoni l’ossimoro) della stagione scledense; ecco dunque che ben si è inserito nel cartellone lo spettacolo “Overload”, messo in scena dalla compagnia toscana Sotterraneo, collettivo di ricerca nato ormai vent’anni fa a Firenze. “Overload”, premio UBU, è stato scritto da Daniele Villa ed è un lavoro incentrato sulla distrazione di massa a cui siamo soggetti nell’era di internet e dei social. Distrazione, si badi, che può diventare distruzione del pensiero critico e riflessivo: è cambiato infatti il nostro modo di rapportarci con la
realtà, così come il nostro livello di attenzione. Per dimostrare questo Villa ha scelto uno scrittore, il defunto Foster Wallace (ben interpretato da Claudio Cirri), che cerca di raccontare se stesso e la sua vita, ma viene stoppato di continuo da un sistema di interruzioni (giocatori di football, tenniste, Black Bloc, soldati dell’antichità, talk show, combattimenti di galli…), così come succede a noi oggi, in un momento in cui la linea del tempo non è più percepibile come continua, ma si spezza e si fa sempre più fatica a riannodare i fili di discorsi intimi e profondi.
A dimostrazione di ciò in “Overload” è addirittura il pubblico a decidere di attivare o no le connessioni e le disconnessioni e gli spettatori, superata qualche perplessità iniziale, accettano di buon grado balli, nuotate e lanci di verdura sul palco. Non è semplice seguire il ritmo, ma è quanto voleva dimostrare l’autore: troppi input disorientano e deviano. Veramente notevole, nel lavoro, la mimica dei protagonisti, che alla fine ci hanno portato ad affogare tutti dentro un’imma-
ginaria auto finita nell’acqua di un fiume. Chi, pensando e riflettendo, riuscirà a emergere dallo stato confusionale in cui siamo finiti, forse avrà qualche probabilità in più di riuscire a sopravvivere mentalmente. ◆ [M.D.Z.]
Arte contemporanea
Rimarrà aperta fino al 22 dicembre allo spazio Shed dell’ex lanificio Conte (venerdì 15/19, sabato e domenica 10/13-15/19) la mostra di arte contemporanea “ìNSITO”, tesa a esplorare il legame tra l’essere umano e l’ambiente che lo circonda. Cinque artiste (Marta Martino,Anne Grebby, Emma Critchley, Kara Lyons, Maryanne Royle) affrontano temi di trasformazioni e adattamento, proponendo al pubblico un percorso che svela sottili connessioni tra dimensioni emotive, culturali e sensoriali. Di particolare interesse il lavoro di Maryanne Royle, che trae ispirazione dai legami industriali tra Schio e Manchester, per sviluppare un’esperienza immersiva e poetica attraverso un processo collaborativo con Kara Lyons, creando così un ponte sensoriale tra le due città e il loro patrimonio culturale. L’ingresso è libero.
Mentre si attende la nuova piazza Statuto, non bisognerebbe perdere di vista piazza Almerico. Perché le buone intenzioni dell’associazione Cuore di Schio per rivalorizzare la piazza si stanno scontrando con una realtà dei fatti che non sembra andare nella direzione voluta. In alcuni punti si è provato a camuffare l’usura dei pilastri dei portici con fasciature di bambù, ma la cosa ha senso se si applica dappertutto, altrimenti i pilastri che restano nelle loro tristi condizioni (nel lato Duomo ce n’è uno particolarmente malmesso con strati di resti di volantini) finiscono con l’annullare l’effetto restyling degli altri.
Quanto alla frequentazione della piazza, il fatto che il mercato si sia allungato su via Rompato sembra aver perlomeno portato più movimento per un paio di mattine alla settimana. Ma se è vero che lungo i portici si incontrano ancora alcune volenterose buone vetrine, per il resto sono negozi sfitti, empori di scarsa qualità estetica e perfino esposizione di bancali di carta igienica. Le piazze non rinascono a comando, si sa, ma a volte per fare qualche passo avanti basterebbe un minimo di impegno e di senso estetico. [S.T.]
Da qualche tempo Francesco Piazza, ingegnere civile e ambientale con la passione per l’urbanistica, ha preso gusto a guardare la città e il territorio con uno sguardo che parte dal passato per arrivare a leggere il presente. Piazza torna a farlo ora con un agile libretto dal titolo “I nostri alberi da riscoprire”, nel quale il focus, lo si capisce bene, è appunto l’opera della natura dentro e intorno a Schio. “Immagini, riflessioni e domande”, spiega il sottotitolo. Si tratta di una settantina di pagine strutturate in brevi capitoli di testo tra ricordi personali e osservazioni naturalistiche e urbanistiche, e in un abbondante apparato fotografico, con scatti prodotti nel tempo da autori scledensi vari, che ritrae il mondo alberato che arricchisce la città, passando anche per gioielli come il giardino Jacquard e villa Rossi a Santorso. Non mancano alcune chicche che documentano il famoso cedro del Libano che ornava piazza Statuto (fotografato anche durante il suo mesto abbattimento) e l’altrettanto suggestiva “pignara” di Giavenale.
“Un viaggio nella Schio verde di ieri e di oggi, con un salto nella vicina Santorso –scrive Mauro Sartori nel risvolto di copertina - per ricordare come la storia degli alberi e dei parchi della zona affondi nei secoli e come un patrimonio di simile bellezza rischi di scomparire se non vi è adeguata cura”.
Tutte le pubblicazioni di Piazza, pur se non sempre con una precisa unitarietà tematica, lavorano sul recupero della memoria condivisa, processo sempre utile a qualsiasi comunità. ◆ [S.T.]
Per inviare lettere e contributi a SchioMese, scrivere a: schiothienemese@gmail.com
Si prega di inviare i testi soltanto via posta elettronica e di contenere la lunghezza: testi troppo lunghi non potranno essere pubblicati a prescindere dai contenuti.
Caro direttore, se “Detto tra noi” dà la possibilità di togliersi dal cuore un cruccio, la prego di accogliere questo piccolo sfogo che non è solo mio, ma di molti, costretti a subire una prepotenza contro la quale diventa inutile e a volte rischioso protestare.
Il peso che sentiamo bisogno di toglierci dal cuore è questo: diviene un’impresa dover passare davanti a un giardino da dove un grosso cane da caccia ti abbaia sempre contro e senza motivo rabbiosamente, spalleggiato dai suoi padroni, irosamente avversi e sordi ad ogni protesta. Che dire? Meritano pure loro, come quel cane, il disprezzo. Un consiglio per farlo capire a costoro e attenuare la tensione
e il dispiacere di tale situazione, una volta sperimentata l’inutilità dell’ascolto? Adottare le armi del silenzio e dell’indifferenza, che molte volte son più eloquenti e sferzanti di tante prole: astenersi quindi dall’esprimere qualunque pensieroi e commento sulla cara bestiola e i suoi padroni, sensibili solo al vanto di possedere ciò che li distingue da molti altri. Siamo rietntrati come ogni anno, nell’atmosfera natalizia, ma non abbiamo ancora capito quanto il Natale ci chiede; solo ci appaga festeggiarlo con mille luci e ornamenti e i piaceri che un’incessante pubblicità pone al centro della nostra attenzione.
Luisa Spranzi
I cani sono (quasi sempre) lo specchio dei loro padroni. Si potrebbe dire “dimmi che cane hai e ti dirò chi sei”. Nel bene e nel male. Dunque forse non è il cane che merita disprezzo, ma appunto chi ne è il proprietario. E, di proprietari, se ne vedono davvero di tutti i colori. Anche solo il disinteresse per quello che può combinare il proprio cane è sufficientemente fastidioso. Capita, per dirne una, di passare davanti ad abitazioni che hanno un rottweiler o un alano in giardino e inferriate larghe 12-15 centimetri senza alcuna retina di protezione, sicché se ci passi vicino col tuo cagnetto rischi che il rottweiler esca col muso e provi ad azzannarlo. E mica ci pensano ad agganciare alle inferriate una rete stretta di protezione, visto il cane che hanno. Al massimo affiggono il cartello “Attenti al cane”. Ma stacci attento tu. [S.T.]