SchioMese
Periodico di informazione dell’Alto Vicentino
anno XIII n. 127 - novembre 2024
La sfida di Lapo (Luchetta Dj) - p.8 ◆ Forse il mercato non tornerà più in piazza Statuto - p.14
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La sfida di Lapo (Luchetta Dj) - p.8 ◆ Forse il mercato non tornerà più in piazza Statuto - p.14
Se c’è un tema caldo, anzi bollente, in questa prima fase del mandato da sindaco di Cristina Marigo, è il tema dei rifiuti e del futuro dell’impianto di Ca’ Capretta. Con il Comune di Schio da tempo in rotta di collisione con le politiche di gestione del consorzio Ava. Abbiamo intervistato, sul tema, l’assessore all’ambiente di Schio Alessandro Maculan.
Nelle ultime settimane in città ha preso corpo la vicenda del nuovo supermercato di cui è stata avviata la realizzazione a SS.Trinità. Sintetizziamo per chi non conosce la vicenda.
Succede che il gruppo Unicomm di Marcello Cestaro abbia dato il via al cantiere per la costruzione di un nuovo supermercato Famila appunto in zona SS.Trinità, dall’altra parte dello stradone rispetto al market attuale, andando a occupare un rettangolone verde che si sviluppa in direzione delle scuole professionali “Garbin”. Si tratta di un’area di cosiddetta “perequazione” che nel 2004 l’allora Prg trasformò da area edi-
Supplemento mensile di Lira&Lira
Direttore
Stefano Tomasoni
Redazione
Elia Cucovaz
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ficabile standard (cioè destinata a edifici di interesse pubblico, come scuole o palestre) a area residenziale e commerciale. Dunque il progetto di Unicomm rientra all’interno delle norme in vigore, né potrebbe essere altrimenti: in quell’area si può costruire una struttura commerciale, ed è quello che si è cominciato a fare. Di fatto, nell’arco di circa tre anni un nuovo supermercato è destinato a prendere il posto di quello ora esistente poco distante, il cui capannone per ora non è dato sapere se e come sarà riutilizzato.
Succede però anche che questo intervento - oltre all’opposizione di alcuni residenti che non vorrebbero trovarsi un capannone sotto gli occhi al posto del verde e della visuale aperta verso i monti – stia sollevando proteste sui social e prese di posizione in particolare di parte ambientalista. Con una domanda comune a tutti che si fa strada: ma c’è proprio bisogno di portar via altro spazio alla terra per fare un ulteriore supermercato a Schio, considerate anche le continue emergenze idrogeologiche che i cambiamenti del clima ci stanno riversando addosso?
Il circolo Legambiente di Schio ha riassunto, in una nota, le ragioni di chi si oppone all’intervento: “A Schio siamo già in una situazione di sovrasfruttamento del territorio con una percentuale di suolo impermeabilizzato che sfiora il 40% del totale, se si esclude il territorio collinare e montano. La costruzione del nuovo supermercato impermeabilizzerà circa 16 mila mq di terreno, a qualche centinaio di metri da uno già esistente e che verrà dismesso, una perdita netta di più di 2 campi di calcio di suolo naturale. Sa di presa in giro vedere che si parla di ‘benefici ambientali con aumento della biodiversità’ solo perché sono previsti alberi nuovi lungo la nuova strada e arbusti sulla nuova rotonda; non una parola sulle opere di mitigazione delle bolle di calore e neppure sul destino del fabbricato che verrà dismesso, che dovrebbe quanto meno essere rinaturalizzato, magari creando un piccolo bosco urbano”. Legambiente fa giustamente il suo lavoro e non può sorprendere che sia contraria a un
progetto che in tutta evidenza fa perdere suolo a vantaggio del cemento (per quanto, come detto all’inizio, già prima del 2004 quell’area non fosse agricola in senso stretto, ma comunque edificabile pur se solo a uso pubblico). Ci sembra peraltro che – come sempre – anche in questo caso le cose vadano viste tenendo conto di entrambi i punti di vista.
Proviamo a considerare quello del committente. Se Unicomm ha progettato un nuovo supermercato in sostituzione dell’attuale, vien da pensare che un motivo ci dev’essere. Noi non lo conosciamo e non siamo andati a chiederglielo, ma una cosa certa è che anche i supermercati invecchiano, come tutto. Perché evolvono le esigenze dei consumatori, quindi di noi tutti che andiamo a fare la spesa e basiamo le scelte non soltanto sulla convenienza ma anche sulla praticità, sulla comodità e sull’abbondanza dell’offerta. In risposta a questi cambiamenti, per non perdere appeal e dunque clienti, oggi un supermercato deve offrire superfici di vendita più ampie, più prodotti da esporre, più corner dedicati per le promozioni, più spazi di manovra per i clienti, più comodità nell’attesa alle casse, e non da ultimo (anzi, forse per primo) parcheggi più capienti e accessibili. Negli ultimi dieci anni anche a Schio è aumentata la concorrenza delle catene della grande distribuzione, sono arrivati player stranieri, ed è oggettivo che i due supermercati Famila cittadini, a SS.Trinità e in via XX Settembre, abbiano ormai la loro età e i loro limiti strutturali. Per tener testa a una situazione diventata più complessa, dunque, è comprensibile che serva investire in strutture commerciali più grandi e più moderne. Ora che abbiamo provato a capire quali possono essere le esigenze della proprietà, va considerato il punto di vista di chi si preoccupa prima di tutto dell’equilibrio del territorio, della tutela dell’ambiente e della sua difesa contro ulteriori dissesti. È vero che per quanto riguarda gli aspetti di sicurezza idraulica l’intervento a SS.Trinità ha avuto il via libera da parte degli enti regionali e sovraregionali competenti, però non è soltanto questione di certificati e di
nulla osta: Legambiente non scopre nulla di nuovo quando osserva che “la situazione ambientale è drammaticamente mutata e le previsioni anche recenti non sono più valide: siamo in un’epoca di emergenza climatica che ci impone un cambio radicale di rotta e non possiamo più permetterci di perdere altro suolo”.
In altre parole, se dieci anni fa l’operazione ora avviata in viale SS.Trinità sarebbe probabilmente passata quasi inosservata, oggi ci sono attenzioni pubbliche e criticità ambientali nuove che sollevano e mobilitano preoccupazioni più diffuse, che è opportuno tenere in debita considerazione, sia da parte delle istituzioni, chiamate a normare gli interventi urbanistici, che da parte dei privati.
Nel caso di SS.Trinità sarebbe certo una bella cosa se l’area del supermercato attuale, una volta dismessa, venisse restituita a verde “magari creando un piccolo bosco urbano” come propone Legambiente, ma l’impressione è che i costi di un’operazione di demolizione e bonifica dell’area sarebbero piuttosto alti per la proprietà. Nulla, tuttavia, impedisce di ipotizzare che Marcello Cestaro, cui non mancano dosi di verace scledensità, possa decidere di sviluppare
un’idea originale ed ecosostenibile per la futura destinazione dell’area del supermercato che verrà dismesso. Anche perché nei prossimi anni un’operazione per certi versi simile a quella di SS.Trinità dovrebbe essere ripetuta, con caratteristiche e dimensioni diverse, nell’area ex Lanerossi storica acquisita dallo stesso Cestaro, dove è prevista la
realizzazione di un’area commerciale con un nuovo supermercato e la contestuale chiusura di quello che oggi si affaccia su via Maraschin. Tener da conto le sensibilità emerse in città con l’avvio del cantiere di SS.Trinità sarebbe anche un buon modo per approcciare la grande “partita” che si giocherà dalle parti della Fabbrica Alta. ◆
Dopo le tante vetrine chiuse e abbandonate che costellano il centro, arriva anche la biancheria esposta all’ombra del Duomo. Capita in piena piazzetta Garibaldi, il “minisalottino” di Schio: sei lì che passeggi e l’occhio cade su un paio di finestre che espongono in bella vista magliette, jeans e altri indumenti ad asciugare; poco oltre ecco una ringhiera con dei tappetini stesi.
Ora, va bene tutto, ma una normativa ci sarebbe pure, messa nero su bianco all’articolo 28 del “Regolamento di polizia urbana e codice civico”: “La biancheria, i
panni, gli indumenti, i tappeti e simili, non potranno essere lavati, esposti, distesi o appesi fuori dei luoghi privati o stabiliti dal Comune. È vietato altresì distendere o appendere gli oggetti suddetti alle finestre, ai terrazzi e balconi prospicienti la pubblica via”.
Allora, delle due l’una: o si prende il Regolamento e lo si cestina (del resto, sarà mai stato multato un solo habitué delle sgaparate per terra, vietate dal codice?) o si cerca di farlo rispettare. Siamo in piazzetta Garibaldi, ragazzi. L’eroe dei due mondi, non delle due mutande. [S.T.]
Stefano Tomasoni
e c’è un tema caldo, anzi bollente, in questa prima fase del mandato da sindaco di Cristina Marigo, è quello dei rifiuti e del futuro dell’impianto di Ca’ Capretta. Ne abbiamo già parlato qualche numero fa dando conto di quanto successo nei mesi scorsi, con l’assemblea dei soci di Ava che ha approvato un masterplan che prevede il potenziamento dell’inceneritore (o termovalorizzatore) con la realizzazione di una nuova linea del costo di 80 milioni di euro. Un masterplan su cui ha votato contro soltanto il Comune di Schio, con l’astensione di Marano e Torre.
L’importanza della partita in gioco è notevole, e va contemplata anche la possibilità tutt’altro che remota che da qui a cinque o dieci anni l’impianto di Ca’ Capretta finisca nelle mani di qualche grande gruppo esterno. Per questo riprendiamo l’argomento parlandone con l’assessore all’ambiente di Schio, Alessandro Maculan. Cominciamo dal contrasto in atto tra Schio e Ava. C’è chi dice che, nell’opporvi alla linea assunta dall’assemblea dei soci del consorzio, stiate facendo una battaglia quasi ideologica, con l’obiettivo finale di arrivare alla chiusura dell’impianto. Cosa risponde?
“Che non abbiamo nessuna ideologia al riguardo, e non abbiamo mai chiesto lo spegnimento dell’inceneritore. Quello che chiediamo, da dieci anni, è che ci sia un piano di dismissione graduale. E per graduale si intende arrivare al fine vita utile delle tecnologie impiantistiche esistenti. La Linea 1 è stata ammodernata nel 2016 e ha una durata di vita utile di 40 anni, dunque può arrivare fino al 2056. Questo fa capire quanto ogni scelta impatti irrimediabilmente sul dopo di noi, pianificando il futuro delle nuove generazioni. Il buon senso della nostra proposta sta tutto qui: iniziamo a ragionare sui prossimi decenni, perché prima o poi arriverà il momento nel quale le tecnologie esistenti diventeranno vetuste, adesso abbiamo la Linea 2 che ne è la dimostrazione. Non è il caso di arrivare a ridosso di quel momento senza che ci sia stato prima un piano di ammortamento e di riconversione industriale”. Il potenziamento dell’impianto previsto dal Masterplan porterebbe la capacità di smaltimento di Ca’ Capretta a 120 mila tonnellate. È questo il punto che contestate e su cui siete arrivati al contrasto con l’assemblea dei soci del consorzio?
“Sì, perché diventa un circolo vizioso senza fine. Lo scontro è proprio su questo: en-
“La nostra visione punta alla riconversione degli impianti – dice l’assessore all’ambiente Alessandro Maculan -. Già nel 2014 chiedevamo ad Ava un piano alternativo di investimento in impianti di recupero di materia. E teniamo conto che lo scenario futuro è fortemente aleatorio, con le concessioni di Ava che scadono nel 2029 e con la totale incertezza su quel che accadrà dopo. Se si va a gara potrebbe arrivare qualsiasi gestore in ambito europeo”.
trambe le visioni sono di lungo periodo, la nostra vede un punto di arrivo nello smaltimento del rifiuto secco residuale minimo indispensabile in impianti efficienti che riescono a trattare la quantità minima a livello regionale. Questi sono impianti di “minimo”, servono alla chiusura del ciclo, a valle del recupero di materia, secondo la gerarchia europea dei rifiuti. La tecnologia e l’economia ci insegnano che impianti di questo tipo oggi, senza incentivazione pubblica, hanno bisogno di almeno 400 mila tonnellate di rifiuti per essere economicamente sostenibili. Eppure basta uno sguardo ai dati del flusso regionale sul rifiuto secco per capire come ci si stia infilando in una competizione azzardata. La norma impone a tutti i comuni veneti di raggiungere l’84% di raccolta differenziata e meno di 80 chili di secco per abitante all’anno entro il 2030, valori già raggiunti da mezzo Veneto, anche da Schio.
In Veneto abbiamo tre impianti di termovalorizzazione (Padova, Schio e poi Fusina per il bacino di Venezia) di piccola taglia se li confrontiamo con alcune strutture lombarde, il che comporta inevitabili inefficienze e costi fissi elevati. A oggi non c’è una politica sovraordinata di lungo raggio che indichi uno dei tre impianti veneti co -
me quello da mettere nelle condizioni di soddisfare le esigenze regionali. Se si raggiungesse ovunque la percentuale di differenziata di Schio (circa 70 kg/abitante all’anno) si potrebbe non avere nemmeno bisogno di un impianto da 400 mila tonnellate per tutta la regione, perché la quantità complessiva di rifiuto da mandare a incenerimento scenderebbe a 250-300 mila”. Semplificando, per voi fare una politica di lungo respiro su Ca’ Capretta significa investire per ridurre la capacità dell’impianto, mentre per Ava una politica di ampio respiro passa per investimenti che puntino ad aumentare questa capacità. In soldoni, è così?
“Sì, sono due politiche industriali completamente divergenti. Quella di Ava prende in considerazione il suo core business e punta a svilupparlo ancora di più. La logica è quella di dire: siamo bravi in questo e in questa direzione vogliamo non soltanto continuare ad agire, ma anche crescere e diventarne gli attori regionali”. Il che vorrebbe dire portare dentro rifiuti in arrivo da altri territori, oltre che dal Vicentino? “Certo, ce lo dice la matematica, perché le 85 mila tonnellate attuali sono già sovrabbondanti rispetto a tutto il secco prodotto oggi in provincia. Arrivando allo scenario previsto dalla legge, il nostro bacino rifiu-
ti produrrebbe al massimo dalle 60 alle 70 mila tonnellate, considerati anche gli scarti da raccolta differenziata e i rifiuti sanitari, dunque per arrivare a 120 mila mancano dalle 50 alle 60 mila tonnellate. Queste, o arrivano da fuori o i rifiuti non si possono inventare, a meno che non si stia pensando ad altro, a rifiuti di altra natura, come quelli speciali”.
La vostra politica industriale, invece, a cosa punta?
“A una visione di riconversione degli impianti. Già nel 2014, all’inizio dell’amministrazione Orsi, un ordine del giorno approvato in consiglio comunale chiedeva ad Ava di iniziare a strutturare un piano alternativo di generazione di valore, ovvero di investimento in impianti di recupero di materia, perché noi siamo i primi a riconoscere la forte patrimonializzazione di Ava che, proprio grazie all’impiantistica presente, riesce a essere un attore importante nel mercato dei rifiuti regionale. A differenza di altre società che fanno solo raccolta, qui c’è valore aggiunto, che è dato dall’impiantistica presente. Quindi, cosa può accompagnare e in futuro sostituire l’impiantistica presente? Nuova impiantistica. Anche per diversificare, perché legarci a un solo motivo di business è estremamente rischioso in un settore molto competitivo e in continuo mutamento”. Ma la sostenibilità economica di Ava come può essere assicurata da entrambe queste politiche industriali, se sono così divergenti, con una che vuole aumentare la capacità di smaltimento dell’impianto e l’altra che vuole diminuirla?
“Tralasciando per un attimo il fatto che la nostra proposta è un’evoluzione industriale basato sulla crescita, qui la domanda vera è per chi, e non per cosa, stiamo aumentando la capacità di questo impianto. Teniamo conto che lo scenario futuro su questo tema è fortemente aleatorio, con le concessioni di Ava che scadono nel 2029 e con la totale incertezza su quel che accadrà dopo. Pensiamo di seguire il tragico esempio di quella che è stata la privatizzazione del settore gas, a cui sta seguendo il settore idrico? Va ricordato che i princìpi europei impongono le gare, e che i sistemi di gestione “in house” che vanno per la maggiore in Veneto sono a tutti gli effetti una deroga alla norma, una privativa di mercato che come tale deve essere fortemente giustificata per essere legittima”.
Alla scadenza delle concessioni, in definitiva, cosa dovrebbe succedere?
“Non c’è niente di certo. Bisogna capire cosa dirà la giurisprudenza, però la norma prevede che il consiglio di bacino, ossia l’autorità locale di regolazione, ha l’obbligo di emanare gara pubblica, nel nostro caso di scala europea perché superiamo ogni ti-
po di soglia. Va da sé che una gara pubblica europea può attrarre interessi di vario genere e player di grande spessore e taratura economica. Si può derogare a questo principio soltanto se all’interno del territorio di bacino si individua un unico gestore “in house”, ma questo a oggi non mi sembra un obiettivo semplice da raggiungere”. Perché?
“Non tanto perché sia difficile arrivare a una fusione tra tutti i gestori del nostro territorio, ma piuttosto perché ci sono Comuni che non hanno proprio una gestione “in house” e che in questo meccanismo “in deroga” dovrebbero rientrare. Dunque, se all’interno dei 90 comuni del consiglio di bacino di Vicenza al 2030 non ci sarà un unico gestore, il consiglio di bacino stesso dovrebbe emanare una gara europea”.
E in quel caso potrebbe arrivare il grande gestore nazionale o europeo e prendersi l’impianto, lasciandoci con un inceneritore di portata regionale in casa ma con le politiche di gestione decise da fuori?
“Ecco il punto. Potrebbe arrivare qualsiasi gestore nell’ambito europeo, certo. È più facile peraltro che siano i grandi player nazionali a presentare un’offerta competitiva. Alcuni sono già con mezzo corpo all’interno del nostro panorama regionale e locale. Chiaro che se si va a gara potrebbero partecipare anche le nostre Ava, così come Soraris o Agno Chiampo Ambiente, una loro newco o altre. Ovvio che a quel punto si confronterebbero i pesi delle offerte economiche, ed è probabile che le più vantaggiose siano presentate da chi ha alle spalle economie di scala importanti derivanti dall’essere presente in territori estesi e fatturati a nove zeri”.
L’anno scorso Ava e Soraris (azienda del settore con sede a Sandrigo e a servizio di 18 comuni vicentini) hanno iniziato un percorso di aggregazione che dovrebbe portare alla fusione a inizio 2025. Un percorso che va nella direzione di ridurre la frammentazione che ora esiste in provincia nella gestione dei rifiuti, visto che esistono sei società. La logica delle aggregazioni è che la divisione delle forze rende il sistema poco efficace e più facilmente “scalabile” da grossi gruppi esterni. Schio però ha votato contro l’unione tra Ava e Soraris. Perché?
“Perché è un modello di fusione nel quale l’impianto di smaltimento, che è il vero patrimonio di Ava, viene inserito nel pacchetto di fusione al pari degli automezzi e delle tecnologie di raccolta. Ad oggi non si sa se gli impianti andranno a gara insieme al servizio di raccolta o se saranno inseriti in una gara a parte o, addirittura, potranno continuare con l’attuale impostazione, essendo appunto impianti di minimo a chiusura del ciclo e non con logiche commerciali. La fusione con tutti gli altri operatori
e con l’impianto incluso finisce solo col diluirne il valore rispetto a quello in capo ai 31 soci originali, che poi sono quelli che dovrebbero mettere pure le risorse per investire nell’impianto. A un unico gestore si deve e conviene arrivare entro il 2030, ma vogliamo che questo si occupi di ciò che la norma chiede, cioè del servizio di raccolta, trasporto e avvio allo smaltimento. Non dell’impianto. In questo modo l’inceneritore rimane di proprietà dei 31 Comuni dell’Alto Vicentino, mentre la raccolta va a unificazione con gli altri gestori, creando comunque un player interessante. Quindi si tratterebbe di scorporare gli impianti dall’operazione e di arrivare a una fusione dei gestori per la raccolta?
“Sì, dando così a tutti il peso che meritano. Un’operazione agevole, omogenea, priva di farraginosi patti parasociali che renderebbero ostica la governance della nuova società. A quel punto il consiglio di bacino diventa l’organo politico incaricato di regolare il sistema di raccolta per arrivare all’omogeneizzazione tariffaria per livello di servizio, con un unico gestore che li attua, così come già avviene in altri bacini veneti con performance molto elevate. Se non si vuole seguire questa strada, a mio avviso significa che gli obiettivi sono altri”. Nel senso che diventa più probabile che si arrivi alla gara, una volta scadute le concessioni nel 2029?
“Anche. Vuol dire rischiare per davvero di arrivare al 2029 senza aver raggiunto l’obiettivo, accettando appunto la gara. Ma, detto ciò, aggiungo: una cosa è che vada a gara un impianto che è proprietà dei 31 Comuni originari, ben altra cosa è che l’im-
pianto vada a gara come proprietà dei 90 Comuni del bacino. Uno scenario, quest’ultimo, dove il potere di controllo e influenza dell’Alto Vicentino su Ca’ Capretta sarebbe ormai marginale, se non ininfluente. A Padova, dove Hera ha acquistato l’impianto dai Comuni che facevano parte del consorzio, sanno bene di cosa parliamo”. In altre parole, anche qui può arrivare Hera o chi per essa e acquistare Ca’ Capretta, andando a rilevare le quote dei vari Comuni?
“Potrebbe. Non è facile acquistare una società “in house”, bisogna che i soci pubblici vogliano venderla. Di esempi ce ne sono, se qualcuno ricorda Pasubio Group, per farne uno. Per ora nel nostro caso non ci sono offerte da parte di player privati del settore, però mi permetto una battuta: forse stanno solo attendendo di capire che tipo di impianto vendiamo. Peraltro, se fossi in Hera io non lo farei comunque”.
Perché no?
“Perché non è economicamente vantaggioso. A meno che, ripeto, non si stia ra-
gionando su una quantità di rifiuti diversa rispetto agli RSU, i rifiuti solidi urbani che questi impianti sono autorizzati a trattare. Questo però nessuno lo ha mai dichiarato ufficialmente, anzi. È chiaro che fuori c’è tutto un altro mondo di rifiuti, tant’è che, soddisfatta la quota pubblica di RSU, gli impianti di smaltimento di minimo possono offrire sul mercato spazio di incenerimento a tariffa commerciale. Per il nostro impianto il decreto flussi per il 2022 ha assegnato 71 mila tonnellate di RSU e ne sono state termovalorizzate 84 mila, dunque 13 mila sono di natura commerciale. Questo potrebbe rappresentare un fattore di interesse, ma torno a chiedere: per chi?”.
Come finirà? Quali saranno i prossimi passi di questo braccio di ferro tra Schio e Ava?
“Quello che è stato approvato è un masterplan, un documento di indirizzo. È chiaro che è un documento che il Cda seguirà, ma da qui al piano industriale c’è ancora tutta la fase di studio, e poi anche tavoli di concertazione, tavoli fra sindaci, possibilità di rimodulazione del piano stesso... Sembra difficile cercare di cambiare l’orientamento tracciato, ognuna delle due posizioni dif-
QMariano Castello
ualche decennio fa tutto il centro storico di Schio fu pavimentato con cubetti di porfido. “Bel lavoro” si disse allora, anche perché non ci si limitò alla posa in opera dei cubetti, ma nei luoghi in cui era stata tombata la roggia maestra, si disegnarono piccole onde (usando sassi bianchi di fiume), ad indicare che lì sotto scorreva un piccolo corso d’acqua artificiale che dal medioevo e fino all’avvento della corrente elettrica e oltre fu il motore di ogni iniziativa imprenditoriale importante. In altri punti furono ricostruiti pezzetti di salizo, quasi fosse l’antica pavimentazione che in alcuni punti riaffiorava. Fu un lavoro complesso, perché fu necessario per prima cosa realizzare un sottofondo in cemento armato, per evitare che col tempo i cubetti sprofondassero per i pesi che avrebbero dovuto reggere. La gente era fiduciosa. “Sti chì no i se move pì, gnanca a passarghe sora con cami pieni de giara”. Ma ormai per il nostro centro storico non passavano più né camion né corriere e allora si riteneva che la nuovis-
sima pavimentazione sarebbe stata eterna, anche se a questo mondo non c’è niente di eterno, perché tutto muta.
Però ad esempio le piramidi d’Egitto sono lì a testimoniare che se anche l’eterno non esiste a questo mondo, in alcune opere dell’ingegno umano è stato sfiorato. Purtroppo è successo che, poco dopo terminata quest’opera immane di pavimentazione (che forse però accostare alle piramidi è eccessivo), si è incominciato a vedere qua e là insidiosi avvallamenti. Ed è anche comprensibile: non passeranno più camion o corriere, ma camioncini piene di merci e macchine piene di persone, magari anche sovrappeso, quello sì. Mettici anche le piogge torrenziali degli anni più recenti, il caldo torrido e la siccità d’estate e insomma il cambiamento climatico che quello non manca mai, è comprensibile che i cubetti di porfido della prima pavimentazione risultino quasi completamente divelti. Forse però si era anche un po’ risparmiato negli spessori, per cui i cubetti non risultavano ben radicati. Se passi ad esempio per via Baratto, hai l’impressione di correre sul greto
ficilmente retrocederà. Quello che noi continueremo a fare è portare argomenti utili alle tesi che sosteniamo: occorre iniziare a investire sul core business del futuro, che va oltre la vita della termovalorizzazione. Ciò che i grandi player stanno già facendo, consapevoli che già oggi l’80% del prodotto non è il secco”.
Ma se, come prevede, nessuno retrocederà dalle sue posizioni, vuol dire che inevitabilmente prevarrà la linea della maggioranza, alla quale voi siete contrari...
“Impossibile dirlo oggi. Il piano industriale deve essere ancora scritto, approvato dai soci, dai consigli comunali, ha bisogno di diversi tipi di autorizzazioni, anche da Regione e Provincia. È chiaro che lo scontro non farà bene a nessuno, così come è chiaro che serve una sensibilità diversa, soprattutto nel momento in cui a porre alcuni dubbi e a chiedere un’attenzione particolare è il Comune che ospita l’impianto. Da quando è avvenuto questo cortocircuito procedurale sembra apparire tutto più difficile da recuperare, ma noi continuiamo a credere nella bontà delle nostre argomentazioni e che ci sia la possibilità che anche altri inizino a crederci”. ◆
di un fiume e insomma di essere su una superficie che definire “malgualiva” è bonario eufemismo.
Si è anche capito che era inutile mettere pezze nelle buche e che invece bisognava rifare tutto. E così è stato fatto in via Garibaldi e in via Mazzini. Per rifare via Mazzini con nuovo sottofondo in cemento armato e nuovi sottoservizi (acqua luce e gas telefono) ci è voluto un anno durante il quale gli abitanti della strada sono stati con i piedi nella sabbia, quando andava bene e nel fango, quando pioveva. Questa volta però è stato fatto un bel lavoro (ma sul serio, no tanto per dire), che, se anche non sfiderà le piramidi, durerà sicuramente a lungo, sempre che non si decida di far transitare pesi non consoni. Ora bisognerebbe andare avanti: c’è via Baratto molto male in arnese e via Carducci che è sempre molto carica di traffico, nella quale i mezzi vanno avanti a piccoli balzi per via delle buche. Non bisogna soprattutto cedere all’inganno della cosa facile da fare che, nel caso di specie, sarebbe quella di coprire tutto con una bella mano di asfalto o peggio ancora taconare a colpi di ghiaia e catrame. ◆
A dispetto della sua statura di 95 cm, causata da osteogenesi imperfetta, una malattia genetica nota come “sindrome delle ossa fragili”, Luca Lapo non è nuovo a porsi obiettivi più elevati di quelli della maggior parte delle persone.
“IElia Cucovaz
o oggi mi sento disabile solo quando mi guardo allo specchio” premette Luca Lapo, scledense di 48 anni, noto sulla scena musicale come Luchetta Dj e fondatore dell’associazione culturale no profit “Stay With Me” per l’abbattimento delle barriere architettoniche - “prima di tutto quelle mentali” come lui stesso non manca mai di precisare.
“Una persona con disabilità può raggiungere gli stessi obiettivi di chiunque altro, solo con tempi e modalità differenti - continua -. Per questo credo sia importante che chi è più fortunato, i normodotati, e in particolare chi ha la responsabilità di amministrare le nostre città, provi cosa vuol dire vivere con una ridotta mobilità, almeno in piccolo e solo per qualche ora nella sua vita. Inizierà a vedere il mondo da un’altra prospettiva”.
Per questo Lapo ha lanciato per il prossimo 3 dicembre un’iniziativa a cui hanno già aderito dodici Comuni a livello locale, tra cui Schio,Thiene, Vicenza… Un progetto che peraltro non si ferma al Vicentino e si sta già diffondendo oltre i confini della provincia e ricevendo eco anche a livello nazionale.
Luca Lapo, scledense di 48 anni, noto sulla scena musicale come Luchetta Dj e fondatore dell’associazione culturale no profit “Stay With Me” per l’abbattimento delle barriere architettoniche, lancia per il 3 dicembre l’iniziativa “Amministrazioni comunali in sedia a rotelle”: numerosi sindaci e amministratori comunali trascorreranno parte di quella giornata seduti su una sedia a rotelle. Per cambiare prospettiva.
Il titolo che Lapo ha voluto dare alla manifestazione dice già tutto: “Amministrazioni comunali in sedia a rotelle”. Martedì 3 dicembre, dunque, i sindaci e gli altri amministratori comunali che hanno aderito all’iniziativa si impegnano a trascorrere una parte della loro giornata seduti su una sedia a rotelle.
“Ho sempre trovato stucchevole quando i politici si fanno fotografare in campagna elettorale vicino ai disabili per acchiappare voti, salvo poi dimenticarsi delle esigenze di questa fascia della popolazione il giorno dopo le elezioni – dice Lapo -. Invece la sfida, o se volete la provocazione, che lanciamo loro è quella di misurarsi con l’esperienza concreta di chi, per compiere azioni normalissime, deve affrontare barriere, disservizi, problemi spesso insormontabili. L’idea è che questo possa lasciare un segno concreto e tangibile, in modo da cambiare la loro prospettiva sul tema delle barriere architettoniche non per lo spazio di una campagna elettorale, ma possibilmente in modo permanente”.
E proprio questo significa abbattere le barriere mentali che secondo Lapo sono più insormontabili di quelle fisiche.
La data dell’iniziativa lanciata da Lapo non è casuale: il 3 dicembre infatti è stata scelta dalle Nazioni Unite quale “Giornata internazionale della disabilità”, con lo scopo di aumentare la consapevolezza verso la comprensione dei problemi connessi e l’impegno per garantire la dignità, i diritti e il benessere delle persone con disabilità.
“Ma ricordatevi bene - continua Lapo - che la battaglia per l’eliminazione delle barriere architettoniche non si combatte solamente per chi rientra nella categoria genericamente intesa come disabili: qualunque normodotato può trovarsi nella condizione di perdere del tutto o in parte la sua capacità motoria in seguito ad esempio a un incidente… E chiunque, fortunato che sia, è destinato a diventare anziano e a incontrare difficoltà di movimento più o meno grandi”.
Per questo l’impegno per l’eliminazione delle barriere architettoniche è inteso non
come un aiuto per chi è portatore di handicap, ma come una condizione che consente a chiunque di riuscire a raggiungere i propri obiettivi, piccoli o grandi, in autonomia.
Provare a vivere per qualche ora in carrozzina è un’esperienza tutt’altro che banale. Chi scrive lo può testimoniare con sicurezza dopo la prova effettuata alcuni anni fa in un percorso lungo le strade del centro di Schio accompagnato da un’associazione cittadina per i diritti delle persone diversamente abili.
L’esperienza è sicuramente utile per notare in modo più evidente tutti quegli aspettidal fondo del marciapiede troppo dissestato per essere percorso con sicurezza, all’attraversamento pedonale privo di apposita rampa - che possono costituire, se non un blocco, quantomeno un ostacolo per una persona con ridotta mobilità. Al punto che si inizia a provare un certo fastidio per l’eccessiva leggerezza della maggioranza nel considerare le barriere architettoniche come un’inezia da correggere con gli avanzi di bilancio.
È anche per il carattere provocatorio dell’iniziativa, probabilmente, che l’idea di Lapo sta uscendo anche dai confini provinciali. “C’è chi la vorrebbe estendere a livello regionale e alcuni passi in questo senso sono già stati fatti”, spiega Lapo. E il fondatore della onlus “Stay With Me” è stato contattato anche da una testata a diffusione nazionale interessata a coprire l’evento. “Il mio sogno per il futuro è l’abolizione delle pensioni ai disabili - conclude con un’altra delle sue provocazioni -. Nel senso che sogno un mondo in cui anche le persone con disabilità, con i loro tempi e i loro modi, potranno muoversi, lavorare e vivere come qualunque altro cittadino”.
Barriere mentali
“Capisco bene che i bilanci pubblici sono quelli che sono e nessuno può realisticamente pensare che si riesca ad avere città a misura di disabile dall’oggi al domani –prosegue Luca Lapo -. Tuttavia quando dico che le barriere più insormontabili sono quelle mentali intendo che spesso il gradino, l’interruttore posto troppo in alto, percorsi troppo stretti o la mancanza di rampe di accesso non sono dovuti alla mancanza di soldi, bensì alla mancanza di sensibilità di chi ha commissionato e realizzato gli spazi pubblici ‘come si sono sempre fatti’, senza renderli veramente accessibili all’intera popolazione. Oggi si sono fatti grandi passi avanti rispetto solo a dieci o venti anni fa a livello di considerazione della disabilità: quando ho partecipato alla trasmissione ‘Ciao Darwin’ nel 2009 il mio balletto con Madre Natura fu tagliato per non urtare la sensibilità del pubblico. Oggi sono sicuro che una cosa del genere non succederebbe più: le Paralimpiadi, che una volta non si filava nessuno, sono trasmesse sui canali nazionali e anche negli spot pubblicitari si inizia a vedere qualche persona disabile”.
L’impegno
A dispetto della sua statura di 95 cm, causata da osteogenesi imperfetta, una malattia genetica nota come “sindrome delle ossa fragili”, Lapo non è nuovo a porsi obiettivi più elevati di quelli della maggior parte delle persone di altezza consueta.
“Quando ero giovane i pregiudizi nei confronti della disabilità erano ancora molto più forti di oggi e quindi ho sempre sentito
lo stimolo a dimostrare che io posso raggiungere tutti gli obiettivi che mi pongo”. Da questo tratto caratteriale, insieme a una innata passione per la musica, è scaturita la sua attività in ambito musicale come animatore di serate in locali dal Trentino alla Sardegna passando per Milano e per gli studi televisivi di vari programmi televisivi anche nazionali.
Luchetta, “il dj più piccolo del mondo”, come si fa chiamare nell’ambiente, è anche ricordato per aver tentato nel 2009 di battere il record del mondo per la più lunga sessione musicale no stop, restando in consolle per più di 67 ore.
La visibilità ottenuta grazie al suo piglio istrionico e alla sua prorompente vitalità, oltre che alle sue qualità musicali, non è mai stata disgiunta, comunque, dall’impegno sociale. Proprio in riconoscimento delle sue battaglie a favore dei diritti dei disabili, Lapo è stato insignito lo scorso luglio del premio nazionale “Il Giullare” in occasione dell’omonimo festival che si svolge ogni anno a Trani sostenuto dal Ministero della Cultura, dalla Rai e riconosciuto anche dalla Presidenza della Repubblica. Da anni inoltre Lapo presenzia a eventi nelle scuole contro il bullismo e i pregiudizi: “I ragazzi mi apprezzano perché parlo il loro stesso linguaggio, molto diverso da quello dei professori. Io sono fatto così, ma credo anche che sia il modo giusto per piantare un seme nella loro mente, in modo che magari fra dieci o vent’anni si ricordino ancora di quello strano personaggio che venne a parlare loro a scuola e che probabilmente riconoscano che quello che ho trasmesso loro non era poi così sbagliato”. ◆
La chiesa di San Francesco a Schio ha ospitato un apprezzato recital pianistico di Paola Filippi, con un programma solistico che ha proposto musiche di Liszt e Rachmaninov, e a seguire il Concerto in Re min di J.S.Bach, accompagnato da un Quintetto d’archi composto da Paola Volpi, Lucia Amneris Rossi al violino, Laila Cattani alla viola, Elisa Mabilia al violoncello e Letizia da Lozzo al contrabbasso. Esauriti tutti i posti disponibili, numerosi coloro che non sono riusciti ad assistere alla serata.
Paola Filippi, all’età di 10 anni viene ammessa al Conservatorio “Pedrollo” di Vicenza, dove attualmente sta concludendo il suo percorso accademico triennale nella nella classe di pianoforte del maestro Igor Roma. Si è esibita in diversi concerti tra cui presso il Teatro Civico, Villa Cordellina, Palazzo Cordellina, Villa Ca’ Misano
sia in veste di solista che in formazioni da Camera. Presso il Conservatorio di Vicenza. ha preso parte al progetto “Sonate integrali di Brahms” e si è classificata tra i migliori allievi pianisti per l’anno accademico 2023/2024. Ha vinto il II premio al concorso “A. Piazzola” di Trieste in duo pianoforte-bandoneon con Martina Filippi, con la quale si è esibita in questi giorni alle Sale Appollinee della Fenice di Venezia e ancora a San Francesco di Schio.
Camilla Mantella
gni mercoledì e sabato mattina il centro cittadino viene animato dal mercato. Nel tempo l’offerta commerciale si è ampliata e trasformata, attraversando cambiamenti che hanno riguardato tanto il comportamento dei consumatori quanto il mestiere stesso di ambulante, sempre più spesso svolto da esercenti di origine straniera o ex commercianti che gestivano negozi fissi. L’ultima modificazione, in ordine di tempo, ha riguardato la dislocazione di alcuni banchi a causa del rifacimento di Piazza Statuto, banchi che sono stati trasferiti lungo via Rompato, colorando un angolo del centro di solito meno battuto dal via vai degli scledensi. Attualmente il mercato del mercoledì ospita 102 ambulanti e quello del sabato 113: un numero che ha resistito anche alle intemperie del Covid. Post pandemia, infatti, gli stalli rimasti vuoti sono stati solo 7 per il mercoledì e 4 per il sabato. Un dato significativo, se si considera che in altri comuni del circondario le rinunce da parte degli ambulanti sono state molto più impattanti. Di questo centinaio di commercianti una quindicina sono produttori agricoli, altrettanti vendono generi alimentari e i restanti, la maggioranza, vendono perlopiù capi di abbigliamento e calzature. “Acquisto spesso i miei vestiti qui”, racconta una scledense che frequenta regolarmente il mercato del sabato. “Certo, bisogna saper scegliere. Ci sono alcuni banchi che vendono gli stessi articoli che posso trovare nei negozi, ma a prezzi più convenienti”. Accanto a esercizi ambulanti “storici” ci sono molte nuove entrate. Sono i banchi gestiti da immigrati che hanno trovato nel commercio ambulante una nicchia di impresa interessante, specializzandosi nella rivendita di scarpe o vestiti. In alcuni casi hanno strategie simili ai concorrenti storici, proponendo capi da negozio a prezzi leggermente inferiori; in molti altri casi, invece, rivendono merce spesso proveniente da rimanenze di magazzino a prezzi stracciatissimi.
Diverso il caso dei produttori agricoli, che al mercato hanno un’area dedicata, concentrata perlopiù in piazza Almerico. Complice la sempre maggiore consapevolezza alimentare da parte dei consumatori, la loro presenza porta i prodotti della campagna – di frequente biologici - direttamente in città, con una buona risposta da parte degli scledensi.
“L’attuale dislocazione del mercato ha animato nuove zone del centro –osserva anche il presidente di Ascom, Guido Xoccato -. Nel caso che i dati confermino che ci sono stati benefici, da parte nostra potremmo consigliare all’amministrazione di mantenere l’attuale status quo”.
Negli ultimi mesi, si diceva, parte del mercato cittadino si è spostato da piazza Statuto, oggetto di lavori di riqualificazione, a via Rompato, occupando anche il parcheggio all’angolo con via Baratto. Uno spostamento momentaneo, su cui però si sta riflettendo. L’amministrazione comunale fa sapere che sono in corso una serie di valutazioni per capire quale possa essere, post lavori in piazza, la dislocazione ottimale dei banchi. “Abbiamo incontrato recentemente gli amministratori locali e i tecnici comunalidichiara Guido Xoccato, presidente Ascom Confcommercio Schio -. L’obiettivo è quello di partecipare alla discussione per il ridisegno del mercato scledense alla luce delle modifiche a piazza Statuto. Come Confcommercio abbiamo chiesto un monitoraggio della situazione attuale che tenga conto dei pareri di cittadini, residenti, commercianti dei negozi fissi e ambulanti, così da comprendere come e quanto lo spostamento possa o meno essere stato un beneficio. Solo avendo in mano dati credibili potremo
esprimere il nostro parere, fermo restando che la decisione finale del nuovo disegno del mercato spetta ovviamente al Comune. Troviamo interessante capire se il nuovo assetto, nato per esigenze contingenti, possa aver prodotto dei risultati migliori per tutti gli attori coinvolti. È indubbio che lo spostamento abbia animato nuove zone del centro e non è da escludere che, in caso di dati positivi, potremmo valutare di consigliare all’amministrazione di mantenere l’attuale status quo e utilizzare piazza Statuto come area libera dai banchi con un parcheggio comodo per gli acquisti”.
Parecchi passi avanti sono stati fatti da quando il mercato scledense consisteva in un’area coperta che si trovava all’altezza di Piazzetta IV Novembre, sufficiente all’epoca per soddisfare i bisogni dei consumatori scledensi. Potrebbe però essere rilevante, visti gli attuali numeri di commercianti coinvolti, valutare un nuovo mercato alimentare coperto, sulla scorta di quelli che esistono in molte città europee. I consumatori odierni infatti, nonostante la possibilità di rivolgersi a piattaforme digitali, centri commerciali e negozi fisici, continuano a visitare il mercato in quanto luogo di scambio e socialità: dar loro la possibilità di usufruire di una situazione “mista” – interna ed esterna – potrebbe essere un’idea interessante, non presente in nessuno dei centri del circondario. ◆
Mirella Dal Zotto
re sono, in città, i doposcuola che nella gestione si affidano al volontariato, in toto o in parte, utilizzando locali non appartenenti ai nostri istituti comprensivi. Svolgono un ruolo molto importante non solo nell’esecuzione dei compiti, ma anche nella prevenzione del disagio e nell’educazione alla cittadinanza.
Il “Piccolo Mondo” di Santa Croce
Il doposcuola “Piccolo Mondo”, ospitato nei locali dell’Oratorio di Santa Croce, è nato sedici anni fa, per favorire soprattutto bambini e ragazzi di origine straniera, in situazione di povertà non solo economica, ma soprattutto culturale ed educativa. “Un fenomeno sempre più presente nel nostro territorio è il disagio sociale dei ragazzi stranieri della cosiddetta seconda generazione – dice la coordinatrice ed ex insegnante Giuseppina Boni, che ha ideato il servizio - . Noi di “Piccolo Mondo” cerchiamo di dare una risposta ad alcune delle problematiche che emergono. Una delle più grandi soddisfazioni è sapere che fra chi ha usufruito negli anni del doposcuola non c’è nessuno coinvolto nelle baby-gang che da tempo sono responsabili sul territorio di atti di violenza e criminalità. Ci sono poi ragazzi che, una volta finito il percorso, entrano come volontari per dare una mano”. Attualmente stanno utilizzando il servizio 63 studenti, 50 di scuola elementare e 13 di scuola media. Vengono accolti alunni segnalati dalle insegnanti come bisognosi di sostegno, o dai Centri d’Ascolto Charitas. Su “Piccolo Mondo” gravitano quasi esclusivamente i frequentanti dell’istituto comprensivo “Fusinato” e prestano servizio 16 insegnanti in pensione, 16 persone (sempre in pensione) in grado di dare una mano come “nonni di famiglia”, 6 studenti delle scuole superiori e una ragazza in servizio civile presso il Comune. Si collabora anche con i responsabili dei gruppi giovanili, in particolare con gli scout. Viene data inoltre l’opportunità di ottenere la certificazione per i crediti formativi.
“Cerchiamo di far imparare l’italiano anche alle mamme straniere – continua la maestra Boni - alcune delle quali sono quasi analfabete; per loro abbiamo istituito un corso, due volte alla settimana, al mattino, quando i figli più grandi sono a scuola. Molte però hanno bimbi piccoli e rinunciano, perché non abbiamo un servizio di baby sitting; le adesioni potrebbero essere maggiori ovviando a questo problema”.
In città sono attivi tre “doposcuola” – legati alle parrocchie di Santa Croce, SS.Trinità e ai Salesiani - gestiti perlopiù da volontari che svolgono un compito prezioso non solo nell’esecuzione dei compiti, ma anche nella prevenzione del disagio e nell’educazione alla cittadinanza.
I locali dell’Oratorio di Santa Croce per “Piccolo Mondo” risultano sufficienti; è la parrocchia che si sobbarca le spese per le utenze, che ammontano a circa seimila euro l’anno.
“Abbiamo partecipato al bando per aiuti ai minori indetto dal Comune – precisa Giuseppina Boni, - ottenendo tremila euro. Il nostro servizio è stato considerato alla pari di richieste per conferenze e corsi vari che, anche se molto validi, non coinvolgono le famiglie più in difficoltà. È necessario che si valuti la necessità di dare la priorità a situazioni di emergenza: meno elogi al volontariato, ma più supporti concreti, dato che i volontari spesso sostituiscono servizi pubblici mancanti. Alle famiglie noi chiediamo un’offerta mensile dai 5 ai 15 euro, per coprire le spese di cancelleria, per le pulizie e, in minima parte, per le utenze. È proficuo il rapporto tra doposcuola e scuola, soprattutto con la primaria”.
L’italiano impara a SS.Trinità
“Quattro anni fa – dice il prof. Enrico Antonietti, attuale coordinatore del doposcuola a SS.Trinità – su invito della Charitas parrocchiale e con la supervisione del prof. Franco Venturella, abbiamo iniziato a proporre corsi di italiano per stranieri adulti. Quest’anno abbiamo 52 iscritti di varie provenienze: America Latina, Asia, Africa, Europa (Ucraina)... Nelle aule c’è il mondo intero. Si impegnano molto, donne e uomini: durante il Ramadan, lo scorso anno, qual-
cuno si portava la cena in aula per non perdere le lezioni. I gruppi sono sei, seguiti da una decina di volontari, a cui si aggiungeranno presto alcuni scout. Anche se i livelli di scolarizzazione sono molto diversi, con la buona volontà da parte di tutti riusciamo a promuovere la comprensione dell’italiano e siamo in grado di preparare qualcuno all’esame di italiano-livello A2 presso il Mondo nella Città; le ore complessive di lezione sono un centinaio, fino alla fine di maggio. Dall’inizio, però, accanto ai corsi di lingua per adulti coltivavamo l’idea di estendere un servizio simile anche ai bambini, su modello di quanto la maestra Boni era riuscita a realizzare a S.Croce. Quest’anno, raggiunto il numero sufficiente di volontari all’altezza del compito, abbiamo avviato anche noi l’attività. Per il momento gestiamo undici bambini di terza-quarta-quinta e sette ragazzi della secondaria di primo grado; in tutto, possiamo contare su ben undici volontarie: non ci sono mamme, ma nonne sì, e che nonne!”. Sia per gli adulti che per i bambini e i ragazzi vengono utilizzati gli ambienti della parrocchia di SS.Trinità: il sottochiesa dispone di molte aule che, con i numeri attuali, sono più che sufficienti. Nessun operatore viene retribuito, il tempo si dona volontariamente, è richiesto solo un piccolo contributo per il materiale di cancelleria e il riscaldamento dei locali.
“Accogliamo gli alunni – conclude il coordinatore – segnalati dal vicino istituto comprensivo “Il Tessitore”, interfacciandoci con la dirigente e con gli insegnanti. Lavoriamo con ragazzi di origine straniera, non tutti sanno leggere e scrivere in italiano, ma l’esperienza dei nostri collaboratori fa sì che si cerchi ogni sistema affinché tutti possano arrivare a comprendere la nostra lingua e a esprimersi correttamente”.
La “campanella” dei Salesiani E poi ci sono i Salesiani. Le prime tracce di un doposcuola in Oratorio risalgono al 1980, ma il servizio “Dopo la Campanella” è nato ufficialmente nel 2013, con l’intento primario di aiutare le famiglie in difficoltà nella gestione dei compiti. Attualmente una responsabile tiene i contatti con le varie scuole, gli insegnanti e le famiglie; un’insegnante segue gli alunni della primaria e tre la secondaria di primo grado; alcuni giovani salesiani supportano nella gestione degli alunni, che sono 15 per la primaria e 54 per la secondaria di primo grado; i volontari adulti sono 16, i giovanissimi 14. Per le attività si utilizzano i locali
della Scuola di Formazione Professionale. Al “Dopo la Campanella” si paga una retta di 80 euro mensili per figlio, ridotta nel caso se ne abbiano due o tre che usufruiscono del servizio; le famiglie meno abbienti, presentando l’ISEE, vengono comunque aiutate. A essere stipendiate sono la responsabile e le insegnanti presenti in aula, mentre i volontari prestano la loro indispensabile opera gratuitamente.
“Purtroppo non ci è possibile accogliere tutte le richieste che arrivano e abbiamo una quindicina di alunni in lista d’attesa – afferma il direttore dell’Oratorio, don Francesco –. Il Comune ci appoggia operativamente nei bandi a cui partecipiamo e patrocina le attività che promuoviamo, fornendo un notevole aiuto. Si è creata una bella rete di volontari che si mettono al servizio e danno concretamente una testimonianza di solidarietà. Seguendo a dovere gli alunni si riesce a verificare i loro miglioramenti: negli anni è andata aumentando e consolidandosi la stretta correlazione con le scuole del territorio, il loro supporto e la loro fiducia fa sicuramente la differenza. Per un ragazzo, poi, essere nel contesto dell’Oratorio, con la possibilità di inserirsi nelle associazioni sportive, nel teatro e nelle attività pastorali, può fare la differenza e dare uno stimolo in più per potersi mettere in gioco in altri ambiti, scoprendo magari nuovi interessi e abilità”. ◆
Paolo Crepet, all’Astra con Scoppiospettacoli, ha parlato dal palco per oltre due ore a una platea inizialmente molto attenta, poi via via meno reattiva agli strali del famoso psichiatra, complice forse una voce bassa e uniforme, solo a tratti intervallata da sonori “o no?”, richiedenti conferme a tesi che Crepet sostiene da anni, e che scuotono tuttora le coscienze degli educatori. “Un padre dev’essere simpatico, ma inflessibile e duro il necessario”; “educare significa elevare nell’autonomia, nell’autostima, nella creatività, che sono necessarie per la vita: i bimbi di oggi non hanno queste caratteristiche, perché i genitori non li pongono di fronte alle difficoltà, circondandoli di troppe attenzioni”; “oggi si rinuncia alle emozioni”; “è determinante la ricerca delle passioni”; “se affideremo il pensiero agli altri (esplicito il riferimento all’A.I.), non vivremo più”.
Sicuramente i presenti in sala, nella grande maggioranza donne, cioè educatrici in prima
fila in tutte le situazioni della vita, sono stati stimolati alla riflessione e alla critica. Certe teorie di Crepet, scomode, potranno anche essere opinabili, ma non c’è dubbio che facciano pensare; dietrologo, saccente, tagliente, indisponente? Anche, sicuramente, ma in grado di mettere in crisi costruttiva. All’inizio della sua chiacchierata, intitolata come il suo ultimo libro, “Mordere il cielo”, seduto su una sedia rossa da regista con completo ocra, scarpe nere, calze rosa, camicia fucsia e pashmina verde, ha esordito con “se siete tanti, qui, tanto bene non vi va…” e poi ha molto raccontato di se stesso e della sua famiglia, anche della nonna che “ha creduto nel ragazzo selvaggio, come bisogna sempre fare”; chissà se in fondo in fondo sta bene con se stesso, dato che sostiene che “la felicità è complicata, come ci arrivi se ne va”. Di sicuro non son stati benissimo gli spettatori: qualche schiaffo morale se lo sono preso tutti, e tutti in uscita hanno pensato di aver toppato in qualcosa. Così come avrà toppato pure Crepet,
Un’ideona, quella espressa nel cartello di questa foto, a proposito di lotta al degrado urbano. È proprio carino che un sindaco si senta in dovere di ringraziare i cittadini che si danno da fare per tenere pulita la carreggiata... A Torrebelvicino il primo cittadino è grato, e lo dice a chiare lettere, a tutti coloro che tengono in ordine un po’ più in là delle loro aree private. Battiamoci dunque a colpi di ramazza e di educazione, anche per togliere dai bordi delle strade gli sfalci che vengono lasciati da chi taglia ma non raccoglie, perché “non è previsto dall’appalto”. E se poi il ringraziamento dall’alto non arriva, facciamocelo a vicenda: se potessero, ringrazierebbero pure i tombini, per non essere intasati. [M.D.Z.]
del resto, perché nessuno è perfetto. O no? Ricordiamo qui in calce che Scoppiospettacoli ha integrato la sua programmazione, presentata nello scorso numero del mensile, con altri cinque appuntamenti: “Battisti, la storia” (20 febbraio); “Ho tre belle notizie”, con Angelo Duro (20 marzo); “Fra’ San Francesco, la superstar del medioevo”, con Giovanni Scifoni (6 aprile); “Delitti allo specchio”, con Roberta Bruzzone (4 maggio); “Maschio caucasico irrisolto”, con Antonio Ornano (9 maggio). ◆ [M.D.Z.]
Camilla Mantella
iecimila presenze, ottenute in 150 appuntamenti con cento relatori e ospiti. Sono i numeri, davvero notevoli, registrati dal Fesav, il Festival della Scienza Alto Vicentino, che nelle scorse settimane ha animato la città. Giunto alla settima edizione, la kermesse quest’anno ha definitivamente “sfondato”, con risultati record in termini di risposta del pubblico. Abbiamo raggiunto Michele Ferretto, fondatore di Biosphera, la società organizzatrice dell’evento, per farci raccontare il dietro le quinte di un festival così articolato. Il Fesav 2024 ha proposto alla città un calendario di incontri e attività davvero ricco: come si arriva a dare vita ad un evento di questo tipo?
“Lo staff di Biosphera impegnato nell’organizzazione del Fesav conta circa 15 persone stabili, alle quali quest’anno si è aggiunta una ventina di volontari, giovani universitari che hanno risposto all’invito di far parte del progetto mettendo in campo la loro passione per le scienze. Siamo davvero felici che questi ragazzi abbiano raccolto la nostra proposta e si siano messi in gioco. Staff e volontari sono stati il cuore pulsante di questa edizione, che è stata ulteriormente arricchita dalle idee e dai contenuti portati da alcune aziende del territorio, prime tra tutte Zanon Research&Innovation e Crocco. Quella con le imprese del vicentino è una relazione che coltiviamo da tempo e che sta portando i suoi frutti anno dopo anno: l’obiettivo è che per le prossime edizioni sempre più realtà produttive possano trovare nel Fesav un contenitore dove non solo mostrarsi in veste di sponsor, ma anche raccontarsi attraverso temi e argomenti scientifici attuali e affini al proprio settore di interesse”.
Un libro per vivere
la Val Leogra
Nell’ambito del Festival della scienza è stata presentata la recente pubblicazione “Leogra, l’eredità di un paesaggio”, redatta da Andrea Colbacchini con altri studiosi ed esperti del territorio. Durante l’incontro in Sala Calendoli, diversi letterati ed esperti della montagna hanno affrontato l’argomento del “rivivere le terre alte”, spiegando a quale costo. In un momento storico dove le contrade si svuotano o sono totalmente abbandonate, nel libro pubblicato da Correre Edizioni è allegato un prezioso documentario dove si intervista chi vive da sempre nelle
La settima edizione del Fesav ha davvero “fatto il botto”, con una serie di eventi e incontri che hanno richiamato davvero una folla di gente, segnando la rivincita della scienza, oggi spesso minacciata da complottismi e negzsionismi.
Come vi finanziate?
“Ogni anno partecipiamo ai bandi promossi dal Comune di Schio, che da tempo sostiene il nostro progetto. Il Fesav sta però crescendo esponenzialmente, per cui le sponsorizzazioni dei privati e il contributo stesso di Biosphera stanno diventando sempre più significativi”.
A chi vi rivolgete?
“Il Fesav è rivolto a chiunque. Il nostro è un target ampio: dai ragazzi delle scuole agli studenti universitari, dagli adulti appassionati agli anziani più interessati. Ci piace pensare di comunicare a chi è curioso e aperto al mondo, desideroso di conoscere, confrontarsi ed imparare. È una scommessa, la nostra, ma si sta rivelando vincente:
nostre montagne e chi ha deciso di trasferirvisi per scelta consapevole, con l’intento di ridare vita a territori e paesaggi che meritano di essere ricordati anche in futuro. È stato un momento molto interessante, che ha stimolato una discussione da affrontare specialmente a livello di istituzioni locali, chiamate ad attuare piani per incentivare il ripopolamento di piccoli angoli di paradiso che ci circondano. Il libro e il documentario di Colbacchini sono uno sguardo realista sulla situazione, ma cercano comunque di indicare quella luce in fondo al tunnel (o alla valle), che a oggi può essere solo nelle mani delle future generazioni. [T.F.M.]
quest’anno i laboratori per ragazzi sono stati frequentatissimi e alcune conferenze hanno registrato il tutto esaurito. Una bella soddisfazione, che ripaga del grande lavoro svolto, che ha inizio ogni anno a gennaio e che poi si concentra nei due mesi che precedono il Festival”.
Quali sono le maggiori difficoltà di organizzare un Festival di questo tipo?
“Le difficoltà sono legate perlopiù alle dimensioni che sta acquisendo il Fesav. Gestire in contemporanea incontri e appuntamenti dislocati in vari spazi pubblici non è semplice, sia dal punto di vista organizzativo – c’è un grande sforzo di programmazione e coordinamento – sia nel momento stesso degli eventi. L’ambizione però è quella di proporre al territorio un festival che sia davvero tale, con più cose che accadono contemporaneamente o al massimo a mezzora di distanza animando luoghi diversi ma facilmente raggiungibili”.
Progetti futuri?
“Stiamo già pensando all’ottava edizione, a cui lavoreremo a partire da gennaio 2025. Cercheremo di dialogare ancora di più con le aziende locali e desideriamo ampliare il raggio d’azione, coinvolgendo altri centri dell’Alto Vicentino. Nel 2024 abbiamo raggiunto Marano Vicentino, Thiene e Valdagno e per il 2025 l’intenzione è quella di consolidare la presenza del Festival anche al di fuori dei confini scledensi, in un’ottica di integrazione territoriale. ◆
L’Mirella Dal Zotto
apertura di Schio Grande Teatro è stata affidata a lei, la madrina del Civico: Ottavia Piccolo. La grande attrice, legatissima alla nostra città fin dai tempi di Lotto Zero quando faceva parte della commissione istituita ad hoc per “pensare” il restauro, ha proposto in prima regionale “Matteotti (anatomia di un fascismo)”, testo di Stefano Massini e regia di Sandra Mangini. Sul palco con lei, i bravi musicisti dell’Orchestra Multietnica di Arezzo, chiamati a sottolineare i momenti salienti di un lavoro interamente dedicato a Giacomo Matteotti, che seppe comprendere da subito la gravità del fenomeno eversivo fascista, e vi si oppose strenuamente con la parola, fino alla morte, tragica, avvenuta giusto cent’anni fa per mano di squadristi. Lavoro toccante, apprezzato dal pubblico che ha riempito il teatro in ogni ordine di posti, applaudendo lungamente alla fine.
Signora Piccolo, il teatro civile è dunque una bandiera per la democrazia.
“Concordo, il pubblico ha spesso bisogno di vedere qualcosa che poi faccia pensare e discutere. Tengo a precisare che il teatro è sempre e comunque civile, perché parla alla comunità; se però affronta argomenti più pressanti di altri, riveste un ruolo fondamentale per far aprire gli occhi alle persone. Da un quarto di secolo, ormai, preferisco mettere in scena testi in grado di far questo e io stessa, se devo andare a teatro, fra una commedia sulla crisi di coppia e una tragedia sull’emigrazione, scelgo di vedere quest’ultima. Chiaro che anche della leggerezza c’è bisogno, magari per “staccare”, ma oggi come oggi è meglio che la gente si informi, rifletta e sia attiva nella società”.
Vorremmo improntare l’intervista sulla parola “legame”: quello con il teatro civile ce l’ha appena spiegato. E quello con la politica?
“Mi ritengo una cittadina responsabile, presente, che si informa, che va a votare: non si può non essere immersi in ciò che sta succedendo intorno a noi. Sono per l’equilibrio, il buon senso, l’educazione, il decoro: parole di cui tanta politica sembra aver dimenticato il significato”.
I legami con i colleghi attori e con i registi?
“Nel nostro mondo, non sono legami semplici, perché capita di stare insieme tutti i giorni per un periodo e che poi non
Ad aprire la stagione della Fondazione con “Matteotti” è stata una delle grandi mattatrici del teatro italiano, considerata anche madrina del Civico, avendolo calcato fin dagli inizi del suo recupero. E infatti lo dice tuttora: “L’ho amato dal primo momento, da quando ci addentravamo tra i calcinacci”.
ci si veda per anni. Ho una certa età e ho stretto amicizie ovunque, in particolare a Milano, a Roma, a Firenze. Cerco di chiamare, di confrontarmi; capita a volte di parlare di chi non c’è più, di chi ci ha lasciato da poco, come Fabio Sartor”.
Con Stefano Massini ha un legame particolare, avete mai pensato a un lavoro insieme sul palcoscenico?
“Considero Stefano il mio figlioccio e ci sentiamo spesso. Ho interpretato molti suoi lavori e recitare insieme, in futuro, potrebbe essere un’idea, perché no?”
Il legame con gli spettatori?
“È forte, molto forte. Mi piace incontrare il pubblico dopo uno spettacolo; mi piace essere riconosciuta, salutata, abbracciata per strada; mi piace trasmettere ciò che più mi sta a cuore e mi commuovo quando la gente lo recepisce. Alzarsi dal divano per recarsi a teatro, soprattutto d’inverno quando si tende a rintanarsi, denota un grande amore per una forma di spettacolo che lascia sempre il segno nella mente e nel cuore: ciò mi fa immensamente piacere. Subito dopo essere stata a Schio ho recitato a Lendinara e al mattino ho volu-
to recarmi a Fratta Polesine, per far visita alla tomba di Matteotti; lì ho incontrato un piccolo gruppo di persone che mi hanno riconosciuto e alla sera sono venute ad assistere allo spettacolo su di lui. Dopo la visita al cimitero, tutti insieme, ci siamo recati a Casa Matteotti: che bello! Sono momenti così che mi rendono orgogliosa del mestiere che faccio”.
Per finire, una domanda quasi scontata: il legame con il nostro Civico?
“Lo sento un po’ mio, quasi come se avessi ripulito il palcoscenico e sistemato le poltrone. L’ho amato dal primo momento, da quando ci addentravamo tra i calcinacci, Annalisa Carrara e io, munite di caschetto e scarpe grosse. Amo tutti i teatri, belli e brutti: di brutti ce n’è ancora più di qualcuno in giro, magari con camerini squallidi e sporchi; quei teatri lì li amo ugualmente, perché comunque contengono la vita e permettono di raccontarla. Ma il vostro, cioè nostro, Civico, è proprio nel mio cuore, perché così è stato voluto anche da noi attori, che al suo interno, le garantisco, stiamo benissimo e diamo il meglio”. ◆