SchioMese
Periodico di informazione dell’A lto Vicentino
anno XII n. 114 - ottobre 2023
La solidarietà si fa anche con i gatti - p.10 ◆ Il senso di Scalco per la luce - p.20
Guarrera cammina da tre anni
Che fine ha fatto il rifugio antiaereo? Nicolò Guarrera, partito da Malo tre anni fa per fare il giro del mondo a piedi, ha percorso finora 20 mila chilometri e gliene mancano 10 mila, da fare in altri due anni. Superato in sei mesi lo scoglio dell’immenso deserto australiano, in questi giorni si sta muovendo da Calcutta per attraversare l’India.
Di mese in mese
Lettera aperta a Christian Greco, direttore del Museo Egizio di Torino
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Stefano Tomasoni
entile dott. Christian Greco, le scrivo questa lettera aperta per un motivo che nulla c’entra con la surreale sceneggiata scatenata contro di lei nelle scorse settimane da alcuni specifici ambienti politici. Non mi interessa tornare sulla becera campagna denigratoria di cui è stato fatto segno, a partire dalla critica di un assessore regionale lombardo per passare a quel vicesegretario di partito che ha chiesto al ministro della cultura di rimuoverla dalla direzione del Museo Egizio perché reo di aver promosso anni fa un’operazione promozionale che prevedeva alcuni mesi di ingresso ridotto per i visitatori di lingua araba. Non ha senso insistere sulla spregiudicatezza di certi personaggi, che si
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Supplemento mensile di
Lira&Lira Direttore Stefano Tomasoni Redazione Elia Cucovaz Mirella Dal Zotto Camilla Mantella Grafica e impaginazione Alessandro Berno Per inviare testi e foto: schiothienemese@gmail.com Per le inserzioni pubblicitarie Pubblistudio tel. 0445 575688
Il tempietto di Ellesiya ricostruito al Museo Egizio.
fanno un baffo dei meriti manageriali dei titoli di studio per fare propaganda politica e dileggiare persone perbene e preparate con l’accusa surreale di gestire l’Egizio in modo “ideologico e razzista contro gli italiani e i cittadini di religione cristiana”. Le scrivo, piuttosto, per segnalarle una piccola assenza riscontrata all’interno del museo, in occasione di una recente visita. Un’assenza che ha a che fare con la città di Schio e che dunque, per lei che è vicentino, diventa questo sì un fatto importante di cui tener conto. Altro che le richieste di dimissioni di qualche esperto in caciara. Mi riferisco al tempietto rupestre di Ellesiya, ricostruito in un’apposita sala del museo. Nel testo esplicativo a lato del tempio è riportato che negli anni ‘60 il Museo Egizio fu chiamato a contribuire alla campagna di salvataggio dei templi della Nubia, minacciati dalle acque del lago Nasser generato dalla costruzione della nuova diga di Assuan e destinato a sommergere tutte le vestigia egizie d’intorno. L’Italia ebbe un ruolo significativo in quella campagna di salvataggio: “Sotto la guida di Silvio Curto - è spiegato nella targa esposta accanto al tempietto – l’Italia partecipò attivamente con prospezioni e scavi di superficie nelle aree destinate a essere inondate, mentre i cavatori di pietra di Carrara prestavano la loro esperienza per il taglio e il trasferimento dei templi maggiori di Abu Simbel”.
Eccoci al punto. Niente da dire sul merito dei cavatori di Carrara, ovviamente, però, anche in ragione della sua vicentinità, le vorrei suggerire di valutare un’integrazione a questo testo per dare un riconoscimento anche al ruolo svolto da un’azienda di Schio e dalle sue maestranze, che fornirono un componente fondamentale per il taglio delle pietre dei templi, e dunque per realizzare quel progetto ritenuto ancora oggi una delle imprese più difficili nella storia dell’ingegneria umana. L’azienda in questione era la Officine meccaniche Zambon, la quale il 31 marzo del ‘64 ricevette dalla Germania una lettera da parte della “Joint venture Abu Simbel”, società internazionale con sede a Essen costituita proprio per salvare i templi di Abu Simbel, spostandoli di peso e trasferendoli più in su, per evitarne la scomparsa sotto le acque della diga. I fratelli Zambon non credettero ai loro occhi quando lessero nella lettera che la “Joint venture Abu Simbel” aveva deciso di appaltare a loro le tre macchine necessarie per segare i blocchi di pietra di Abu Simbel. A dirla tutta, non ci speravano. Avevano lavorato a lungo per partecipare al concorso internazionale bandito dall’Unesco. Erano andati in val dei Mercanti per trovare i blocchi di arenaria utili a fare le prove con materiali simili a quelli dei monumenti egizi, e avevano messo al lavoro una squa-
Di mese in mese dra di esperti per disegnare e progettare le macchine giuste. Per fare a fette i faraoni serviva una sega particolare, versatile, con uno spessore di taglio che non superasse i tre millimetri e in grado di lavorare a secco, senza utilizzare acqua. La Zambon realizzò una sega con una grande lama con catena diamantata che scorreva su due colonne d’acciaio profilato, con guide lavorate e carrelli per il rinvio. Il movimento alternato era dato da una livella e da un volano montati su un carrello. Altezza utile del taglio: due metri e mezzo; larghezza, 89-90 centimetri. “La vostra è l’unica macchina rimasta in funzione, le altre non si sono rivelate adatte all’uso”, avrebbe riconosciuto l’Unesco commissionando ufficialmente il lavoro alla Zambon. Alla fine, l’ordine riguardò tre seghe, adatte a tagliare rispettivamente le statue, le colonne e i blocchi di marmo e la copertura del tempio. Il 21 maggio 1965, con il il taglio del primo blocco del soffitto, cominciò la fase più delicata del trasloco dei templi. “Gli operai arrestarono i loro martelli pneumatici e i loro perforatori elettrici - scrive George
Gerster nel libro “Il mondo salva Abu Simbel” -. Immediatamente il rumore del cantiere si spense; l’unico suono che rimaneva era quello dell’argano. Seguì una scena da mozzare il fiato, quando la sottile linea del taglio, fino ad allora invisibile, divenne improvvisamente una fessura spalancata, come se la montagna sbadigliasse silenziosamente. Un grosso blocco fu tolto”. Dunque, ecco perché, a nostro avviso, la frase citata all’inizio e tratta dal pannello esplicativo accanto al tempio di Ellesiya esposto al Museo, andrebbe così completata: “…i cavatori di pietra di Carrara, e i tecnici di un’azienda di Schio che aveva realizzato le seghe, prestavano la loro esperienza per il taglio e il trasferimento dei templi maggiori di Abu Simbel”. Converrà che se è giustissimo dare a Carrara quel che è di Carrara, lo è anche dare a Schio quel che è di Schio. Anche perché, a dirla tutta, non vorremmo che qualche altro elemento in cerca del suo quarto d’ora di notorietà si alzasse domani a chiederle le dimissioni, indignato dal fatto che al Museo Egizio sia data tanta importanza a tutte quelle mummie – gente morta e stramorta da un sacco di tempo,
Il taglio delle gigantesche sculture di Abu Simbel, negli anni Sessanta, fu realizzato con le seghe costruite da un’azienda scledense
per di più egiziani - e non si valorizzi invece la creatività e la laboriosità contemporanea del genio italico. Confidando che possa accogliere questa richiesta, la saluto cordialmente. ◆
[4] ◆ SchioMese Nicolò Guarrera si fa un selfie con vista sul King’s Canyon, uno dei luoghi più affascinanti dell’Australia. Nella pagina a lato, in alto la foratura di una ruota del carrellino in pieno deserto
Copertina Anche a spostarsi a piedi lungo i continenti ci si imbatte nei lacciuoli della burocrazia: “Il problema più grande, in questo viaggio, si sta dimostrando l’ottenimento dei visti – dice Guarrera -. Il mondo non è fatto per chi viaggia come sto facendo io”.
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Stefano Tomasoni
ono trascorsi tre anni – era l’agosto del 2020 - da quando Nicolò Guarrera è partito da casa sua, a Malo, in compagnia di un trasportino chiamato Ezio, per fare il giro del mondo a piedi. Un progetto che fa impressione anche solo a pensarlo, e che può venire in mente soltanto se si è giovani e se, come diceva Steve Jobs, si è “hungry” e “foolish”, affamati e un po’ matti. Intanto perché per fare una cosa del genere ci vuole il fisico, poi perché è difficile fare una cosa del genere se hai figli a casa che ti aspettano, e infine perché ci vuole una certa dose di incoscienza, elemento che col tempo tende inevitabilmente a rarefarsi. In questi tre anni Guarrera ha percorso 20 mila chilometri, attraversando territori tra i più affascinanti ma anche tra i più impegnativi del globo, dalla Patagonia al deserto australiano. Ora l’intrepido maladense, non essendo possibile transitare per la Cina a causa della mancata concessione di un visto sufficientemente lungo, è “saltato” dall’Indonesia a Calcutta, reduce da cinque mesi di fuoco, nel vero senso della parola. Negli ultimi sei mesi, infatti, è stato impegnato in un’impresa dentro l’impresa: l’attraversamento del deserto australiano, il famoso (e un po’ famigerato) “Outback”. Un’esperienza già da sola estrema, considerato l’enorme territorio spopolato e desertico che in quello sterminato paese-continente si incontra al di fuori delle grandi città costiere. Abbiamo raggiunto Guarrera poco prima della partenza per Calcutta, per aggiornare questa sua esperienza, di cui abbiamo parlato su queste pagine nell’estate dello scorso anno, quando il Nostro era in Sudamerica, in cammino verso la Terra del Fuoco.
Guarrera cammina da tre anni
(e gliene mancano altri due) Nicolò Guarrera, partito da Malo tre anni fa per fare il giro del mondo a piedi, ha percorso finora 20 mila chilometri e gliene mancano 10 mila, da fare in altri due anni. Superato in sei mesi lo scoglio dell’immenso deserto australiano, in questi giorni si sta muovendo da Calcutta per attraversare l’India.
Allora, tre anni a piedi in giro per il mondo sono una cosa che è anche difficile da immaginare… Quanto tempo servirà ancora per arrivare a casa?
“Prevedo altri due anni. Ho percorso 20 mila chilometri e ne mancano circa 10 mila. Nel complesso, un anno più di quanto avevo previsto all’inizio. Uno slittamento dovuto soprattutto a problemi burocratici, in particolare alla difficoltà nell’ottenere il visto speciale che mi serviva per l’Australia e che doveva consentirmi di restare nel pae-
se abbastanza a lungo per poterlo attraversare: quando l’ho avuto era ormai troppo tardi, si era nella loro stagione calda, quando il deserto raggiunge i 50 gradi, impossibile da affrontare. Ho dovuto aspettare la stagione giusta”. Insomma la burocrazia colpisce in tutto il mondo…
“Sì, il problema più grande, in questo viaggio, si sta dimostrando proprio l’ottenimento dei visti. Il mondo non è fatto per chi viaggia come sto facendo io. Ci sono
SchioMese ◆ [5] tante difficoltà da superare, per ottenere visti di durata sufficiente a permettere di percorrere a piedi un dato paese”. Com’è stata l’esperienza del deserto australiano?
“Le distanze lì sono impressionanti, soltanto camminando ci si può rendere conto di quell’immensità. Le prime settimane mi hanno ricordato il cammino nella Pampa argentina: distese di terra e pascoli senza fine, pochi animali, meno uomini, tanto cielo. Sono arrivato ad Adelaide dopo un buon rodaggio iniziato da Sydney un mese prima, per entrare gradualmente negli ordini di grandezza australiani, prima di affrontare il deserto. Nei 1400 chilometri tra Sydney e Adelaide c’è stato un elemento ricorrente: ogni villaggio era provvisto di un ufficio postale in minimi termini.A volte la stessa stazione di servizio svolgeva la funzione di ricezione e spedizione della posta. Era un dettaglio importante, perché così ho potuto inviare del cibo nei punti per i quali avevo previsto di passare. Anche con il passeggino, non sarebbe stato possibile stivare provviste a sufficienza per attraversare tutto il deserto”. E poi?
“I primi due mesi e mezzo se ne sono andati al ritmo di 45 chilometri al giorno, dieci ore pause comprese. Un giorno di pausa ogni dieci. Ho deciso a tavolino cosa avrei mangiato per i mesi successivi, a ogni pranzo e cena. Per i pranzi ho comprato sei chili tra riso e quinoa, per le cene due chili di lenticchie e due di proteine vegetali. Ho fatto incetta di avena, latte in polvere e cacao per la colazione, e per le merende frutta secca, miele, burro di arachidi e cioccolato. Buste di frutta e verdure crioessiccate per sopperire almeno in parte alla carenza di vegetali freschi”. Tutto concentrato nel piccolo spazio di Ezio, il passeggino-cambusa?
“Sì. Era poco saggio fare affidamento su ciò che avrei potuto trovare lungo la strada, dunque sono partito con l’idea che avrei comprato poco o niente per i mesi successivi. Ezio superava i cinquanta chili quando ho mosso i primi passi fuori da Adelaide. Oltre al cibo, trasportava una decina di litri di acqua, equivalenti a 5-6 giorni di autonomia, una piccola farmacia completa di rimedi contro il veleno di serpente, pezzi di ricambio, un pannello solare per ricaricare i dispositivi elettronici, cucina a gas e a benzina con le relative bombole”.
Copertina
L’esperienza del deserto australiano come si è rivelata?
“Ricordavo il cammino nel deserto di Atacama, in Cile, un anno prima. Una lezione che avevo imparato è che per connettersi alla sua dissoluzione servono giorni, talvolta settimane. Più a lungo rimani nel deserto, più a fondo riesci a scavare. Conoscersi è una sensazione vertiginosa. A mano a mano che i giorni scorrevano, la solitudine acuiva la sensazione di alienamento. Il morale ha cominciato a dondolare, arrivavo alla sera sfibrato, con i muscoli appesantiti, e una volta scelto dove campeggiare dovevo alzare la guardia per controllare la presenza di ragni o serpenti velenosi. Una volta, poggiando il telo impermeabile sulla tenda, un ragno peloso grande quanto il palmo della mano è apparso correndo nevroticamente. Ho cercato di spostarlo con un ramo secco, ma quello è scivolato via e con orrore è scomparso sotto il catino. Impossibile stanarlo”. Mesi da solo nel deserto… Si impara a prendere un giorno alla volta?
“Erano momenti di pace totale che facevano venir voglia di vivere per sempre all’aria aperta e dormire in tenda e mangiare guardando l’orizzonte dal ciglio della strada. Stare sotto al cielo immenso mi riempiva di gioia. Nell’aria pulsava un senso di libertà forte, finalmente ero arrivato a un equilibrio. Il deserto era entrato dentro di me. Aveva scavato un buco e poi aveva suggerito come fare per riempirlo. I mesi restanti sono proseguiti lentamente. Ho camminato per altre migliaia di chilometri e fatto una deviazione di due settimane per andare a omaggiare Uluru, il monolite sacro agli Aborigeni, custode dei miti e delle leggende della creazione. Alla fine ho toccato l’Oceano Indiano. L’ho guardato appiattirsi e fare spazio al cielo. Dopo sei mesi e seimila chilometri, il cammino in Australia era finito”. E adesso? Dall’India in poi cosa riserva il programma?
“Riparto da Calcutta in direzione nordovest e Nuova Delhi, e poi avanti fino al confine con il Pakistan”.
Non propriamente paragonabile alla Svizzera, il Pakistan… Non è piuttosto rischioso passare da quelle parti?
“In realtà sono più preoccupato per l’India, perché è un paese in cui c’è tanta povertà, mi hanno detto di stare molto in campana. Ma l’India è un paese che ho voglia di vivere con lentezza, per conoscere anche un’umanità diversa da quella che ho incontrato finora. Presenta indubbiamente delle difficoltà, ma vado abbastanza preparato. Dal Pakistan poi penso di passare in Iran, da sud verso nord, in direzione Mar Caspio. Poi Azerbaigian e Georgia, e da lì in Turchia”. Mai capitato di correre qualche serio rischio? Di fare qualche incontro pericoloso?
“No, per ora no. Sono stato anche molto attento, certamente evitando ad esempio di andare in giro di notte da solo. Ma in genere i posti e le situazioni più pericolose si incontrano nelle grandi città, e io quelle le evito. L’India adesso sarà un nuovo banco di prova”. Qual è la cosa più bella successa finora?
“Mah, è difficile indicarne una in particolare. Tutte le prime volte in generale mi sorprendono. Che sia riuscire a concludere l’attraversamento di un deserto o scrivere un articolo sul viaggio e vederlo pubblicato”. E la famiglia? Ogni quanto vi sentite?
“In media una volta ogni dieci giorni, o giù di lì. Nel deserto, in Australia, non ci siamo sentiti anche per due mesi, ma ogni tanto ci si mandava dei messaggi. E comunque a casa hanno un dispositivo satellitare che rimanda la mia posizione e consente di vedere dove sono. Questo li fa stare tranquilli”. ◆
[6] ◆ SchioMese
Quel che resta dell’ex Tintoria Garbin, lungo il percorso della Roggia Maestra in pieno centro storico
Attualità
N
Mirella Dal Zotto
ella mattinata del 10 settembre erano circa duecento i cittadini che hanno seguito in educata fila una passeggiata lungo la Roggia Maestra in cui sono state illustrate, a cura del Pd scledense, alcune proposte, ambiziose sì, ma fattibili anche se in sinergia pubblico-privato, di rigenerazione urbana. Da un lato si sono attraversati punti di Schio semisconosciuti, dall’altro chiunque era in grado di immaginare il bello di una pista ciclabile che si potrebbe snodare dal Ponte Canale a via Manin, passando per luoghi ora inaccessibili. Per l’occasione è stata aperta al pubblico anche l’area privata dell’ex Lanerossi, ora di proprietà Cestaro, sulla cui riqualificazione si giocherà la Schio del futuro. La passeggiata è diventata occasione anche per la “riscoperta” di un angolo di centro storico decisamente poco noto: il percorso lungo la misconosciuta Strada delle Vaschette, una laterale di via Porta di Sotto, alla fine della quale s’intravedono i ruderi dell’ex Tintoria Garbin, presente in città ancor prima della Lanerossi. Ed è stato proprio in questa via che i presenti hanno avuto modo di ascoltare il breve sfogo di Dario Zanella, che già molti anni fa, prima attraverso il Consiglio di quartiere e poi unitamente a un gruppo spontaneo di residenti, aveva presentato alcune proposte di riqualificazione dell’area “ex Tintoria Garbin”. Lo abbiamo incontrato in un secondo momento. “Alessandro Rossi acquistò la Tintoria Garbin nel 1872 – ci ha detto mostrandoci copia dell’atto di compravendita -. Lungo la roggia si sviluppavano attività artigianali, come la tessitura e il finissaggio dei tessuti, erano presenti dei mulini e, siccome l’attuale via Vaschette digradava fin sulla
Quell’angolo nascosto della Roggia Maestra Alla fine della misconosciuta Strada delle Vaschette, una laterale di via Porta di Sotto, s’intravedono i ruderi dell’ex Tintoria Garbin, presente in città ancor prima della Lanerossi. Una struttura in rovina, ma che potrebbe diventare, almeno per il tratto visibile da via Porta di Sotto, un punto d’interesse di un futuro percorso di archeologia industriale. roggia, lì le donne lavavano i panni agevolmente. Personalmente sono sempre stato un appassionato di archeologia industriale e fin dai tempi dell’amministrazione Berlato Sella e successivamente Dalla Via, mi sono dato da fare, come componente del Consiglio di quartiere, per valorizzare l’intero percorso della Roggia Maestra e pertanto anche quest’area. Nel secondo mandato del sindaco Dalla Via ero vicepresidente del Consiglio stesso e ho presentato un progetto di riqualificazione dell’intera zona: si prevedeva un nuovo centro civico, spazi verdi e anche il recupero dell’ex Tintoria Garbin. Purtroppo, non se ne fece nulla”. All’insediamento del sindaco Orsi, spiega Zanella, il Consiglio di quartiere ha ripresentato il progetto, ma si è capito che l’intento era quello di demolire tutto per evitare crolli in Roggia, che avrebbero potuto
compromettere il deflusso dell’acqua. Così, col passare degli anni, i fabbricati interessati, in completo stato di abbandono, hanno continuato il loro degrado finché, nell’agosto del 2017, è stata abbattuta una prima parte. Nel gennaio del 2020 un gruppo di circa 150 cittadini ha depositato un nuovo progetto, pagando le spese e dando disponibilità a coprirne una parte, attraverso una convenzione “pubblico-privato”. “Alla presentazione del progetto stesso – continua Zanella – erano presenti il sindaco Orsi, l’assessore Rossi e l’ing. Basilisco, che hanno esaminato con sufficiente interesse la nostra proposta. Sfortunatamente, anche quella volta non se n’è fatto nulla, probabilmente perché l’emergenza Covid ha impegnato l’amministrazione in altri campi. Nel 2022 è poi crollata un’altra parte delle ex Tintorie Garbin, questa volta direttamente in Roggia, cosicché il Comune ha dovuto intervenire con urgenza per bonificare il muro di contenimento”. Dario Zanella, comunque, persevera ancora, perché in occasione del progetto di restauro delle ex scuole Marconi da parte dell’amministrazione comunale, è stata per l’ennesima volta fatta presente la disponibilità a per far sì che l’area “ex Tintoria Garbin”, almeno per quanto riguarda il tratto visibile da via Porta di Sotto, possa diventare un punto d’interesse di un futuro percorso di archeologia industriale che si dovrebbe snodare lungo la Roggia Maestra. E chissà che questa sia la volta buona… ◆
[8] ◆ SchioMese Attualità Le scaramucce nel corso dell’ultimo consiglio comunale hanno fatto capire che quello del treno e della stazione (insieme alla sanità) sarà uno dei temi “bandiera” della contesa elettorale
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Stefano Tomasoni
ra treni e biciclette, la campagna elettorale per l’elezione del futuro sindaco è cominciata. Siamo al rodaggio delle rispettive macchine, ma i motori sono in funzione. L’accensione è avvenuta nel corso dell’ultima seduta di consiglio comunale, nella quale si è discusso una mozione presentata dal Pd per il mantenimento della stazione ferroviaria in via Baccarini: l’obiettivo non era tanto vedere approvato il testo, che infatti è stato bocciato, quanto rendere palese l’opposizione all’idea del sindaco di risolvere il problema del passaggio a livello di viale dell’Industria anticipando la stazione ai Cementi. In altre parole, le scaramucce in consiglio comunale hanno fatto capire che quello del treno e della stazione sarà uno dei temi “bandiera” della contesa elettorale, un chiodo che il centrosinistra batterà ancora a lungo da qui a primavera. Su questo tema, dunque, nei prossimi sei mesi più che i fatti conteranno le parole, e la contrapposizione tra il centrosinistra e la maggioranza sarà aperta e a tutto campo. Così come lo sarà, prevedibilmente, su un altro tema caldo, quello della sanità. Ma a entrare in scena in questo rodaggio di campagna elettorale sono state anche… le biciclette. Domenica 1 ottobre il circolo Pd ha organizzato una pedalata lungo la Roggia Maestra fino al laghetto di Giavenale, alla scoperta della “risorsa acqua” e delle realtà agricole del territorio. Nello stesso giorno l’assessore all’ambiente Maculan postava su facebook le foto di una gita in bicicletta in compagnia di un gruppo arrivato dalla gemellata Landshut, alla riscoperta del territorio rurale tra Giavenale e Marano. Curiose coincidenze... Schermaglie ferroviarie e pedalate a parte, di certo da qui a giugno se ne vedranno delle belle. La posta in gioco, in effetti, è importante per tutti. Per la maggioranza uscente si tratta di capire quale sarà la propria forza e capacità di aggregazione del consenso nel momento in cui verrà a mancare il suo “front run-
Cristina Marigo
Cristiano Eberle
Cristina e Cristiano Si sono messi in moto i motori della campagna elettorale che in giugno porterà all’elezione del nuovo sindaco. Per ora in campo c’è la candidata della maggioranza uscente, Cristina Marigo, ed è in ballo – in attea dell’ufficialità - la candidatura di Cristiano Eberle per il centrosinistra. Aspettando le mosse del centrodestra. ner”, l’attuale sindaco. Orsi rimarrà della partita, certo, ma non sarà più in testa al gruppo, e questo non è un particolare trascurabile per la civica di “Noi Cittadini”, tant’è che la domanda che ci si comincia a fare è appunto quanto potrà pesare, in termini di voti, l’assorbimento del battistrada in mezzo al gruppo. Lo schieramento che sostiene l’attuale maggioranza ha deciso da tempo che la candidata sindaco sarà la vice di Orsi, Cristina Marigo. Che infatti già da un buon paio di mesi appare in tutte le occasioni ufficiali accanto al sindaco e nei comunicati stampa comunali è citata e virgolettata anche al di fuori delle occasioni legate al proprio referato. Qui tutto è chiaro: si punta sul “rinnovamento nella continuità”. Un classico, che da un lato può rappresentare un punto di forza per Marigo, ma dall’altro comporta la necessità di far percepire una carica di novità nella propria proposta pur arrivando da dieci anni da numero due. Impegno non banale. Per il centrosinistra le cose sono un po’ diverse. Diciamolo pure: il candidato sindaco di questo schieramento sarà quasi sicuramente Cristiano Eberle. L’ufficialità, però, arriverà più avanti. Per ora è fresca di questi giorni la nascita di un’associazione civico-politica che ha in Eberle il suo riferimento e che prende corpo proprio per fare
da soggetto aggregatore per le varie anime del centrosinistra locale e coalizzarle intorno al nome del noto commercialista. La cosa certa, annunciata dal segretario dem scledense Gigi Copiello fin dall’inizio del suo mandato, è che il Pd non farà la prima mossa e non presenterà un proprio candidato sindaco. Il metodo sarà diverso, e per ora vede il partito procedere in sinergia con il gruppo di Coalizione Civica di Carlo Cunegato con l’idea di un percorso comune anche a livello di programma. Ciò non toglie che i bookmaker diano per fatta la candidatura di Eberle per il centrosinistra, e si sa già che a lavorare sulla sua campagna elettorale sono pronti i guru di Giovanni Diamanti, che difficilmente sbagliano un colpo e che hanno curato, tra le altre, le campagne vincenti di Damiano Tommasi a Verona e di Giacomo Possamai a Vicenza. Dunque per ora in campo ci sono Cristina e Cristiano. Da vedere come si muoverà il centrodestra, dettaglio davvero non da poco: evidente che se presenterà un proprio candidato unico come Fdi, Lega e Forza Italia, partirà con un potenziale elettorale che - sulla carta - si può aggirare intorno al 40%. Le mosse sono ancora tutte da fare. Però, s’è detto, i motori sono accesi. E qualcuno sta già cominciando a dare gas. ◆
[10] ◆ SchioMese Attualità Schio Solidale gestisce il centro diurno “Tapparelli” con 16 adulti, e da alcuni anni Casa Thiella, struttura che segue progetti per persone disabili.
È
Camilla Mantella
stata allestita in questi giorni a palazzo Toaldi Capra (fino al 15 ottobre) la mostra “Cats in the City – Felini d’Autore”, organizzata dalla Cooperativa Schio Solidale con la collaborazione dell’Associazione “Il Castello” e il patrocino del Comune. Si è trattato di un’esposizione che ha visto esposte le opere realizzate dai ragazzi e dagli adulti che animano i centri diurni della cooperativa, nata come costola dell’Anffas scledense. “Schio Solidale nasce per l’esigenza di dotare la città di un centro diurno dove ospitare persone disabili che possono contare su un certo grado di autonomia - spiega Maria Luisa Bernardi, psicologa e referente della cooperativa -. Il primo centro aperto è stato il diurno ‘Giorgio Tapparelli’, che oggi ospita 16 adulti, a cui si è affiancata negli ultimi anni l’innovativa struttura di Casa Thiella a Santissima Trinità, donata dalla compianta neuropsichiatra Silene Thiella al Comune di Santorso con la clausola che fosse utilizzata per progetti dedicati a persone con disabilità. Dopo un’importante ristrutturazione, la casa accoglie oggi dieci ospiti, inseriti in virtù della legge 112 sul “Dopo di noi”. “Al centro diurno ‘Tapparelli’ gli ospiti lavorano da anni con il telaio a mano, realizzando prodotti unici che possono essere acquistati e il cui ricavato va a sostegno proprio delle attività della cooperativa”, prosegue Bernardi. “È stato però a “Casa
Un interno del centro diurno “Tapparelli” gestito da Schio Solidale. In basso, Casa Thiella
La solidarietà si fa anche con i gatti Al Toaldi Capra si è tenuta in questi giorni una singolare mostra della cooperativa “Schio Solidale”, che opera da anni per assicurare in città un centro diurno dove ospitare persone disabili che possono contare su un certo grado di autonomia. Thiella” che è nata l’idea di questa mostra d’arte dedicata ai gatti: la dottoressa Thiella si prendeva cura di molti gatti, che sono rimasti nel giardino della struttura anche dopo la sua morte. Ad oggi di giorno vengono coccolati e curati dai nostri ospiti, mentre la sera portano loro da mangiare le responsabili dell’Associazione “Il Castello”, che si occupa già di altre colonie feline in città. Uno dei ragazzi di “Casa Thiella”, osservando i gattini con cui era a contatto tutti i giorni, sapendo che amo anch’io molto questi animali me ne ha realizzato uno in cartone: era talmente bello che ho pensato che dovesse essere esposto. Poi da cosa nasce cosa e abbiamo unito questi gatti di cartone con i tessuti a mano del centro ‘Tapperelli’, creando dei pezzi unici che sono quelli esposti al Toaldi Capra”. Tutte le opere in mostra, prodotti artigianali che hanno richiesto ciascuno ore di lavoro, possono essere acquistate tramite asta coperta: chi visita l’esposizione – c’è ancora tempo appunto fino a sabato 15 può fare un’offerta, che viene registrata. Al termine della rassegna, chi avrà fatto l’offerta più alta si potrà aggiudicare il pezzo di interesse, sapendo che il ricavato andrà tanto alle attività dei centri diurni quanto, in parte, al sostegno delle colonie feline curate dall’Associazione “Il Castello”. “La realizzazione di questa mostra ha comportato molto impegno e lavoro - continua
Maria Luisa Bernardi -. Questa esposizione è frutto non solo del lavoro degli ospiti dei centri diurni, ma anche dell’attivazione della rete di relazioni che da decenni Anffas ha costruito con il tessuto sociale scledense. È un modo per uscire dalle nostre strutture, farci conoscere ancora di più sul territorio e, al tempo stesso, omaggiare la nostra città: in mostra, infatti, sono presenti fotografie dei luoghi iconici di Schio in cui sono stati inseriti i gatti realizzati in esposizione”. Iniziative di questo tipo permettono di illuminare realtà e gruppi che si occupano con amore e dedizione di persone con disabilità. “I centri diurni sono soluzioni essenziali per molte famiglie - conclude Bernardi -. Garantiscono alle persone disabili ma autonome di esercitare la creatività e impegnarsi in attività propedeutiche all’inserimento nel mondo del lavoro. Sono strutture la cui gestione comporta costi molto elevati, ma che svolgono funzioni di valore per la comunità. Il centro diurno ‘Giorgio Tapparelli’ è accreditato presso la Regione Veneto, che ne sostiene economicamente il funzionamento, mentre Casa Thiella vive grazie ai fondi che provengono dal fondo stanziato dalla legge 112 e dalle rette pagate dalle famiglie delle persone ospitate. Attualmente riusciamo a seguire 26 persone e siamo al completo: copriamo l’intero territorio dell’ex distretto socio sanitario dell’Alto Vicentino”. ◆
[12] ◆ SchioMese Attualità
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Il presidente del Racing Team Marco Casarotto con due collaboratrici
Camilla Mantella
a da poco festeggiato il primo anno di attività l’associazione “Racing Club”, nata ad agosto 2022 dall’idea di un gruppo di amici appassionati di motori e cresciuta in modo notevole nel giro di pochi mesi. Ne abbiamo parlato con il presidente, Marco Casarotto. Come e perché nasce il club?
“Provengo dal settore del motor sport e del rally, per cui i motori sono da sempre una grande passione. Frequentando quest’ambiente sono entrato in contatto con molte persone con i miei stessi interessi, diventati nel tempo veri e propri amici. Assieme a loro ho sempre partecipato a raduni ed eventi, finché l’anno scorso abbiamo pensato che i tempi fossero maturi per aprire un club nazionale anche qui a Schio, impegnandoci a organizzare, nella bella stagione, uno o due eventi al mese”.
Quelli dei motori Compie un anno il nuovo “Racing Club” di Schio, gruppo di appassionati di motori che in pochi mesi ha già raggiunto una cinquantiba di iscritti ed è aperto a chi guida sia auto d’epoca sia auto moderne con un particolare interesse sportivo.
Che tipo di iniziative proponete?
“Con nostra grande sorpresa il club è cresciuto molto e in fretta. Attualmente con-
tiamo più di cinquanta tesserati, anche se poi ai nostri eventi partecipano molte più persone: il nostro è un gruppo libero e aperto, per cui accogliamo sempre volentieri anche appassionati che non sono tesserati o che magari stanno valutando il tesseramento per il prossimo futuro. Direi che di questi una ventina sono ragazzi under 30, mentre una trentina sono persone over 30”.
Più rispetto per il monumento di Vallortigara
“Ritorno al futuro” con la sfilata in costume
“Principalmente raduni statici e raduni dinamici. I primi sono mostre d’auto, che prevedono il ritrovo in un punto preciso e l’esposizione delle proprie vetture, mentre i secondi sono dei veri e propri giri turistici che ci portano a visitare luoghi d’interesse del territorio”. Chi partecipa al club?
Come si può entrare a far parte del gruppo?
“Il club è aperto tanto a chi guida un’auto d’epoca quanto a chi guida auto moderne con un particolare interesse sportivo. La particolarità del “Racing Club”, come dicevo però prima, è l’essere un gruppo flessibile, aperto e accogliente: ad alcuni dei nostri raduni dinamici hanno partecipato anche appassionati che guidano auto familiari e che volevano godersi una giornata di visite assieme ai propri cari. Certo, per eventi particolari, come esposizioni d’auto storiche, alle attività partecipano di fatto solo i possessori di quelle determinate vetture, ma cerchiamo sempre di offrire alternative al maggior numero possibile di iscritti”. Quali sono i vostri prossimi appuntamenti?
Un gregge al monumento 23 settembre, passeggiata in quel di Vallortigara, zona monumento, con difficoltà a dribblare escrementi ovini disseminati ovunque. Ma il gregge in questione non poteva essere arginato e fatto proseguire altrove? Proprio qui doveva pascolare? Fra i sassi? Quelli ricordati dietro il Crocifisso non hanno di certo avuto una vita profumata, una giovinezza rose e fiori: cosa vogliamo fargli annusare nell’aldilà? Rispetto e pulizia, per favore. [M.D.Z.]
Fermento in città l’ultimo fine settimana di settembre. Moltissime, forse anche troppe, le iniziative: mostra delle orchidee, street food, visite guidate ai luoghi dell’archeologia industriale, performance di danza contemporanea, letture animate, festa del volontariato, musica da camera e operistica, aperitivi e cene con menù d’epoca e, novità di grande successo, sfilata in costumi del primo Novecento, dallo Jacquard a via Carducci (nella foto). Città festosa e gremita, scledensi e “foresti” contenti di partecipare. [M.D.Z.]
“Il 2023 è stata un’ottima annata. Abbiamo iniziato i nostri raduni nel mese di marzo e abbiamo previsto attività anche per i primi mesi d’autunno. Con l’arrivo dell’inverno preferiamo sospendere le attività, soprattutto perché molti soci hanno auto d’epoca che rischierebbero di rovinarsi in caso di condizioni meteo troppo avverse. Il 29 ottobre chiuderemo la stagione dei raduni con un evento che ci porterà a partire da Torrebelvicino e a salire verso l’Ossario del Pasubio. Siamo davvero soddisfatti di come sta andando il gruppo: grazie all’aiuto preziosissimo di Sofia Bonollo e Miriana Manzardo, due giovani che gestiscono buona parte dell’organizzazione e comunicazione delle attività del Racing Club, il numero degli appassionati è in costante crescita. Non vediamo l’ora di programmare le attività per il 2024”. ◆
[16] ◆ SchioMese
In questa foto l’ingresso del rifugio così come appare oggi a lato dell’ex asilo Rossi. Nell’altra foto, l’ingresso dalla parte del giardino Jacquard
Attualità Il Covid ha fermato anche questo progetto. Ma il sindaco dice che si sta lavorando per riattivare la convenzione a suo tempo sottoscritta con l’Ana e chiudere l’operazione.
C
Elia Cucovaz
he fine ha fatto il piano di recupero del rifugio antiaereo Lanerossi? Nel 2017 con l’occasione dei lavori di ripristino del complesso Jacquard, era stata annunciata l’apertura al pubblico del bunker che collega il giardino e l’asilo Rossi, che giaceva in stato di dimenticanza e abbandono dalla fine del secondo conflitto e che, nelle intenzioni, doveva essere adibito a spazio museale, ospitando immagini e ricordi del periodo bellico. A tal proposito era stata anche stipulata una convenzione tra Comune di Schio e la Squadra di protezione civile dell’Associazione Nazionale Alpini “Val Leogra” per eseguire i lavori di pulizia delle gallerie e delle sale in cui migliaia di adulti e bambini avevano trovato riparo quando le sirene annunciavano il pericolo di bombardamenti. Da allora, tuttavia, non si sono più avute notizie e a qualcuno è sorto il dubbio che il progetto fosse stato accantonato. “Durante il periodo di validità di quella convenzione, che scadeva nel 2019 - spiega
Che fine ha fatto il rifugio antiaereo? Nel 2017, con l’occasione dei lavori sul complesso Jacquard, era stata annunciata l’apertura al pubblico del bunker che collega il giardino e l’asilo Rossi, ma poi il progetto non è arrivato in fondo.
il sindaco Valter Orsi - sono effettivamente stati eseguiti i primi interventi. In seguito, con l’arrivo del Covid e le difficoltà legate alla necessità di gestire quell’emergenza, il progetto è rimasto fermo. A oggi, comunque, stiamo già lavorando con la stessa associazione per riattivare la convenzione e arrivare a concludere l’operazione”. Orsi, che a suo tempo aveva personalmente partecipato all’abbattimento del muro che chiudeva l’accesso al bunker e al primo sopralluogo e che sta ancora seguendo il dossier nell’ambito della propria delega ai rapporti con le associazioni d’Arma, ha spiegato che nel frattempo è stato eseguito uno studio sulla sicurezza per stabilire gli interventi necessari a rendere l’ex rifugio fruibile al pubblico, a partire da impiantistica e illuminazione. “I parametri di accordo sono già stati definiti, in continuità con quanto era stato impostato nella precedente convenzione, che prevedeva da parte del Comune un contributo parziale a sostegno delle spese necessarie - continua Orsi -. Attualmente siamo in fase di firma del protocollo e sono fiducioso che poi le cose possano andare avanti celermente”. Per ora, comunque, non è stata comunicata una data prevista per la riapertura. Il rifugio, lungo 150 metri, era stato voluto da Alessandro Rossi alla vigilia del conflitto per tutelare la sicurezza dei suoi operai e dei loro figli. A questo scopo era stato edificato nel 1940 con quattro ingressi: il pri-
mo in un angolo del giardino Jacquard, due nelle vicinanze dell’Asilo Rossi (dove erano state trasferite anche le scuole elementari Marconi) e un quarto in prossimità del liceo Martini al Castello, allora sede dell’istituto di arti e mestieri. All’interno sono presenti cinque stanze, ciascuna di circa 20 metri quadrati. Ci sono ancora scledensi, all’epoca scolari, che ricordano quel tempo apparentemente infinito trascorso al suo interno, tra l’inizio dell’allarme aereo e il segnale di cessato pericolo, riempito ascoltando le chiacchiere dei grandi e guardandoli giocare a carte alla fioca luce delle lampade al suo interno. Quel rifugio ebbe anche una parte nelle vicende resistenziali, in quanto era utilizzato per far passare di nascosto i partigiani feriti fino all’Asilo Rossi, dove la madre superiora, la suora canossiana Luisa Arlotti, ricordata con una targa nello slargo antistante che da qualche anno le è stato intitolato, provvedeva a nasconderli e a curarli con spirito di carità cristiana a rischio della sua stessa posizione e incolumità. Sarebbe una bella rivincita della storia se a distanza di ottant’anni queste e molte altre vicende di quei tempi di guerra potessero trovare un degno spazio per il ricordo, proprio in quel luogo che ne fu il fulcro. Uno spazio buio, di attesa e passaggio, che oggi può tornare invece a illuminare la memoria e a condurre le nuove generazioni a riscoprire quel capitolo ancora troppo poco conosciuto della storia cittadina. ◆
[18] ◆ SchioMese Cultura e spettacoli
È
Il direttore artistico della Fondazione Teatro Civico, Federico Corona
Mirella Dal Zotto
nutrita anche quest’anno la stagione della Fondazione Teatro Civico, realizzata in collaborazione con il Comune e con il circuito regionale Arteven. Per i vari appuntamenti rimandiamo al calendario facilmente reperibile, qui abbiamo optato per un’intervista al direttore artistico, Federico Corona.
Quella che parte è una stagione che si sviluppa su diversi segmenti progettuali. C’è un filo rosso che li unisce?
“Sì, è il lavoro sulla voce e sulla parola, intese come modalità narrativa. I linguaggi sono molteplici: narrazione, danza, teatro canzone, circo, musica classica e jazz, teatro classico e contemporaneo, opera lirica e cinema. Schio Grande Teatro mette al centro la voce: quella ad esempio di due grandi cantautori come Jannacci e De André, che con le parole hanno saputo sapientemente giocare, reinterpretati da due artisti del calibro di Neri Marcorè ed Elio. Ci sarà poi la voce che si fa verso e che dall’antico linguaggio della poesia attraversa i secoli e viene attualizzata, come nello spettacolo di Lucilla Giagnoni sui versi della Divina Commedia, nel lavoro di Gabriele Vacis con i giovanissimi interpreti di Antigone, nei versi di Rostand che diventano rime rap contemporanee in “Cirano deve morire”. C’è poi la voce tagliente e caustica della satira, affidata a due mattatori cari a Schio: Natalino Balasso, che con il suo “Dizionario” racconterà di parole e linguaggio e Andrea Pennacchi, che darà voce al personaggio del Pojana. Non mancano le arti più legate al corpo, come il circo e la danza: Machine de Cirque è voce scenica, linguaggio fisico-poetico, così come la danza di Opus Ballet, con uno spettacolo dedicato alla regina della voce, Maria Callas. Pure la rassegna Schio Teatro Popolare si collega a questa tematica, mettendo in scena il racconto dei Carrara: dalla loro voce sentiremo l’epopea di una delle famiglie d’arte più importanti in Italia. L’utilizzo della voce come strumento compositivo e creativo è anche il tema della lirica, rappresentata in chiave pop in “Così fan tutte” o la voce del racconto musicale in “Fino alle stelle”. Che ci dice della stagione musicale? Si sa che il Civico si presta particolarmente per la sua acustica.
“È stato progettato e utilizzato per anni proprio con una vocazione musicale, però in seguito questa tradizione si è persa e ora
Trent’anni di Fondazione e dieci di Teatro Civico Parte un’altra stagione molto sfaccettata per la Fondazione Teatro Civico, che quest’anno spegne trenta candeline, con il Civico che arriva al decennale dalla riapertura, con in vista un ricordo di Angela Cappellari.
stiamo tentando di riportarla in auge. Il lavoro che si sta facendo è trasversale: proporre una stagione musicale di assoluto livello e ibridare le altre stagioni con proposte di teatro in musica. Avremo così in scena l’Orchestra Filarmonia Veneta, Sonig Tchakerian, Pietro Tonolo, Maud Nelissen e i Milano Saxophone Quartet, protagonisti di una programmazione che spazia dal jazz alla sinfonica, dalla cameristica al cinema muto con musica dal vivo”. Venalmente, parliamo di prezzi e abbonamenti.
“La composizione della tabella prezzi è sempre frutto di un meticoloso lavoro di analisi dei dati. La nostra proposta è pressoché invariata rispetto agli anni scorsi: ci sono formule fisse per i diversi cartelloni e anche gli abbonamenti liberi, particolarmente amati dal pubblico. Quest’anno abbiamo cercato di allineare i prezzi di biglietti e abbonamenti alla proposta artistica e alle esigenze gestionali della Fondazione: considerati gli aumenti dei costi, a partire da quelli energetici, c’è stato un lieve ritocco dei biglietti che rende molto più vantaggioso l’abbonamento fisso o libero. Abbiamo deciso di operare in tal senso per insistere sulla fidelizzazione del pubblico, che dal Covid in poi è meno propenso all’impegno economico e programmatico che un abbonamento può avere”.
Siete riusciti a ritornare al pubblico pre-Covid?
“Già la scorsa stagione abbiamo recuperato presenze e incassi prepandemici, ma un notevole problema è ora l’impennata dei costi energetici e stiamo lavorando per economizzare al massimo. Sarà però necessario reperire ulteriori sostegni esterni per far fronte agli aumenti”. Ci sono altre novità in vista?
“Quest’anno verranno raggiunti tre importanti traguardi: 10 anni dalla riapertura del Teatro Civico, 20 anni di Campus Company e 30 anni della Fondazione. Coinvolgeremo anche le associazioni del territorio, dall’8 al 12 novembre, per festeggiare insieme. Abbiamo poi pensato, per i nostri trent’anni, a una piccola esposizione di documenti e fotografie selezionati dall’archivio di Angela Castelli Cappellari, che il nipote Giuseppe Castelli ci ha recentemente donato. Sarà un modo per scoprire curiosità e aneddoti sulla vita della Fondazione stessa e del teatro professionistico a Schio, ma credo possa essere un’occasione anche per ricordare una donna caparbia e tenace, di rara intelligenza, che ha fatto nascere e coltivato il teatro in città. Tutto è partito da una sua intuizione e la Fondazione, ma direi tutta la città, le deve molto per quello che è riuscita a fare”. ◆
[20] ◆ SchioMese VISTO DAL CASTELLO /7
Il senso di Scalco per la luce Un ricordo di Giorgio Scalco, il noto pittore scledense scomparso di recente all’età di 94 anni. Tra i tratti distintivi della sua opera ci sono la straordinaria capacità di dar luce soprattutto agli oggetti che compongono le nature morte.
L
Mariano Castello
e esequie del pittore Giorgio Scalco, nato a Schio nel 1929 e morto a Roma il 15 settembre scorso (alla bella età di 94 anni), sono state celebrate il 20 settembre nella chiesa di S. Antonio abate. Non a caso, visto che in quella chiesa le vetrate erano state realizzate proprio dallo Scalco e forse anche per un ritorno alle origini: via Pasini (dove si trova la chiesa) è la strada in cui è nato ed è vissuto fino a vent’anni e nella quale la madre aveva la sua attività commerciale (titolare di un importante negozio di tessuti). Era il più giovane di tre fratelli: ha fatto il liceo classico a Schio e si è iscritto a giurisprudenza a Milano. Ma lo studio delle leggi non era evidentemente nelle sue corde, se lo troviamo ben presto a Roma al Centro sperimentale di cinematografia di Cinecittà come architetto e scenografo (dopo aver conseguito un diploma sulla materia nello stesso Centro). Ha sposato Camille, statunitense, che era venuta a Roma come critica d’arte.
Lo Scalco fin da giovanissimo aveva la passione per la pittura e ha frequentato lo studio prima di Giuseppe Pupin e poi di Alfredo Ortelli. Evidentemente ha continuato a dipingere anche durante l’attività di scenografo a Cinecittà: è stata la sua futura moglie Camille ad indurlo a fare del suo talento di pittore una professione, che si rivelerà anche ben remunerata. È stato un eclettico: oltre che alla pittura, si è dedicato al mosaico, all’affresco e alla vetrata istoriata.A Schio abbiamo due esempi significativi di queste attività: la chiesa di S. Antonio abate, come detto, e quella del Sacro Cuore, dove oltre alle vetrate ha realizzato anche un grande mosaico sulla facciata che dà sul fronte strada. Ma la sua attività principale rimane la pittura, che ha occupato tutta la sua lunga vita. Innumerevoli le mostre in Italia e all’estero in importanti spazi pubblici. La scelta controcorrente del figurativo anziché dell’astratto è spiegata da lui stesso ne libro “Altri tempi”: in sostanza afferma che non intende girare le spalle al buono e al bello che ha intensamente vissuto, solo per essere al passo con i tempi. Concetto ribadito, anche se in termini diversi, nell’autobiografia del 1998. “Il momento dell’opera d’arte può non coincidere con il momento del gusto: l’arte abita una regione del tempo, che non è necessariamente quella presente”. In un altro punto del libro “Altri tempi” afferma che il dramma non gli si addice. E infatti i suoi paesaggi, le sue nature morte, ma anche le figure di adolescenti, inducono alla serenità più che alla tragedia. Se non fosse che certi fondali neri apparentemente sembrano smentire questa dichiarazione di ottimismo. Ma forse il nero del fondo è solo un artificio: gli serve per rendere più abbaglianti i bianchi dei quali sono ricchi sia i paesaggi sia le nature morte. Perché un’altra caratteristica dell’opera di Scalco è la straordinaria capacità di dar luce soprattutto agli oggetti che compongono le nature morte. “Suppellettili, verdure, fiori, frutti che vivono una luce soffusa e speciale che, parendo ovvia nella sua naturalità, è genera-
ta dal candore riflesso di tovaglie e di muri sopra e accanto, i quali si trovano ad essere misteriosamente ma non a caso”. (Grossato G.d.V. 18.9.23). C’è solo da aggiungere che lo Scalco è stato titolare della cattedra all’Accademia di belle arti di Roma dal ’68 al ’92 e che solo qualche anno fa è stato insignito del titolo di “maestro emerito dell’Accademia di belle arti di Roma”. Gli è stata riconosciuta inoltre la medaglia d’oro come cittadino benemerito da parte del Comune di Schio. ◆
È partita l’annata del Cineforum Ai nastri di partenza anche le proiezioni del Cineforum Alto Vicentino, al Cinema Pasubio. Da settembre a maggio, saranno ben trentatré i film che verranno proposti, scelti fra le ultime novità: un programma vario che spazierà tra diversi generi e porterà sullo schermo opere provenienti da più parti del mondo, firmate sia da registi affermati che esordienti. Cinque le fasce di proiezione, con possibilità di optare anche per il pomeriggio di martedì; gli abbonamenti si possono acquistare al Cinema Pasubio e sono previste riduzioni per studenti e over 65. Oltre alle classiche proiezioni del fine settimana, si stanno anche organizzando rassegne parallele in collaborazione con associazioni locali, serate a tema e incontri con gli autori. Torneranno inoltre i grandi classici del Cinema Ritrovato, restaurati e riproposti nel loro splendore originale, a cura della Cineteca di Bologna.
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Spiegazione del perché in certi punti della città vengono ammassati decine di sacchi di rifiuti
Non so se riceverete da qualche più diretto interessato del sottoscritto precisazioni alla foto e al commento sempre piccante del direttore riguardo al “porta a porta” o “discarica a discarica” della rubrica “Lo Schiocco” del mese di luglio. Io abito a cento metri, ma in un’altra via, dal punto incriminato che è ubicato in realtà in via Tuzzi. Il punto in questione è all’uscita di una via nata privata che si immette appunto in via Tuzzi. Tutto nasce dalla realizzazione del villaggio bioecologico Peep di Magrè e dall’esproprio di terreni da parte del Comune ancora del dicembre 2008. Praticamente oltre a piccole parti comuni, la strada è nata privata per l’accesso al “Complesso Residenziale Vivaldi”, formata da varie unità immobiliari “interne”. Sulla stessa via inizialmente privata insiste ulteriore unità immobiliare per altre otto famiglie (in totale 26). Dove ora si vedono nella foto ammassati i sacchi azzurri, all’inizio erano stati posizionati i grandi cassoni muniti di “pedale” per alzare il coperchio, poi cambiati, sostituiti, aggiornati via-via. Il problema, che in realtà non è mai stato risolto in maniera “ufficiale”, era stato aggirato con il benevolo assenso dei due anziani proprietari che fino a qualche anno fa hanno abitato la casa ora abbandonata e in vendita in quanto, essendo inizialmente la strada privata, la CIAS non entrava con i suoi mezzi. Successivamente all’esproprio, la stessa ditta e quelle che sono poi subentrate nell’appalto del servizio di raccolta rifiuti, non entravano perché, essendo la strada chiusa al suo limitare, in parte destinata a parcheggio auto, non permetteva agevoli manovre ai mezzi peraltro sempre di maggiori dimen-
sioni. Da poco tempo, tra l’altro, sono stati consegnati proprio lì di fianco 18 appartamenti ATER per altrettante famiglie a cui nessuno sicuramente avrà spiegato dove posizionare (ma ci sarebbe poi un posto ufficialmente a loro deputato?) i sacchi dei rifiuti: avranno visto dove c’era “el mucio” e diligentemente avranno seguito l’andazzo. Lì vicino ci sono anche i bidoni per l’umido e, un po’ più staccati, quelli per il vetro e i pannolini. Quindi vera oasi bioecologica ed ecostazione, per giunta senza orari per il conferimento o astruse prenotazioni on-line poco amate dalla maggioranza. Convengo senz’altro nel criticare fortemente chi posiziona i sacchi (e non solo qui a Magrè ma anche in centro e/o altre periferie) il giorno prima di quello previsto per la raccolta, ben prima quindi delle ore 19 del giorno previsto. Oltre a uno spettacolo inguardabile, come dice giustamente il direttore Tomasoni, si sentono odori nauseabondi oltre alla presenza di mosche, zanzare, tafani, scarafaggi oltre ai topi, attirati dall’odore dei residui del contenuto. Ottorino Orizzonte
Grazie per l’utile spiegazione, con cronistoria, della situazione di via Tuzzi che avevamo documentato prima della pausa estiva (ricapitolando: in quel punto, come in vari altri della città, nel giorno precedente la raccolta della carta o della plastica si usa da qualche tempo ammassare decine di sacchi dei residenti della zona, con effetto “mini discarica”). Effettivamente il problema delle “ecostazioni” spontanee che crescono in certi punti dell’abitato deriva a volte dal fatto che i mezzi che
raccolgono i rifiuti non sempre entrano nei tratti privati di certe vie, con il motivo (o scusa?) della difficoltà a uscire o della mancata assicurazione in caso di incidente proprio in quei microtratti di strade private. Chi scrive ne sa qualcosa, abitando proprio in chiusura di trenta metri di strada privata che per questi motivi da qualche anno è stata privata, appunto, del servizio di raccolta del rifiuto umido, sicché ogni volta tocca farsi una discreta passeggiata in andata e in ritorno col bidoncino maleodorante in mano per raggiungere il bidone marrone più vicino (o meglio, meno lontano), oppure cogliere l’occasione di un’uscita in macchina per caricare i rifiuti e portarli al bidone. Sono le gioie e i dolori della raccolta differenziata. Ci si abitua anche alle gite per buttare l’umido, ma almeno evitiamo di chiamarlo “porta a porta”. [S.T.]
Lo Schiocco Questa multa s’ha da fare
Indichi il candidato quale parola del brano de “I Promessi sposi” che segue è stata cambiata rispetto al testo originale per adeguarlo alla foto allegata. “...giunse a una voltata della stradetta, dov’era solito d’alzar sempre gli occhi dal libro, e di guardarsi dinanzi: e così fece anche quel giorno. Dopo la voltata, la strada correva diritta, forse un sessanta passi, e poi si divideva in due viottole, a foggia d’un ipsilon: quella a destra saliva verso il monte, e menava alla cura: l’altra scendeva nella valle fino a un torrente (…) Il curato, voltata la stradetta, vide una cosa che non s’aspettava e che non avrebbe voluto vedere. Due auto stavano, l’una dirimpetto all’altra, al confluente per così dire delle due viottole. La posizione, il portamento, e quello che si poteva distinguer dell’aspetto, non lasciavan dubbio intorno alla lor condizione”. [S.T.]
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