ThieneMese n 898

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ThieneMesePlus Periodico di informazione dell’A lto Vicentino

n. 12 - dicembre 2023

“Così racconto la guerra in Ucraina” - p.10 ◆ Il Corpo Bandistico di Zugliano compie 99 anni - p.18

Don Beppe Gobbo: da 40 anni al fianco dei più fragili

Da 40 anni a Calvene con la cooperativa Radicà Don Beppe Gobbo si occupa di vite difficili, di giovani che rischiano di rimanere emarginati con la conseguenza di finire, o rimanere, nel mondo della delinquenza. Lì c’è una casa sempre aperta per accogliere ragazzi bisognosi d’aiuto per uscire dal loro tunnel personale e trovare collocazione in un mondo che diventa ogni giorno più difficile.


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Anna Bianchini

al 1983 a oggi Don Beppe ne ha viste di vite e da allora il suo impegno per i fragili è totale, tanto che il primo pensiero quando si sveglia è “Chissà che oggi sia una buona giornata” e l’ultimo prima di addormentarsi è “Chissà se oggi è stata una buona giornata”. Tutto nasce la notte tra Natale e Santo Stefano nel 1983, quando nella “Casa piccola” di Calvene destinata al recupero dei ragazzi venne accolto il primo di una serie, appena uscito dal carcere di Treviso. Nel giro di un mese nella “casetta” c’erano sei giovani. Si chiamava Prima Accoglienza, poi cambia nome quattro volte per diventare Radicà, senza però modificare la sostanza. Don Giuseppe Gobbo, noto come Don Beppe, prima di allora era un uomo come tanti, ma con in più la sensibilità e l’intuizione di poter fare qualcosa per i giovani in difficoltà. Comprò la casetta con i soldi che aveva da parte per acquistare un’auto nuova. Rimase senza soldi e senza auto ma con un progetto che scaturiva dal cuore e ancora oggi è portato avanti con mente lucida e tantissimo impegno. Don Beppe, come è nato il progetto che ha portato a Radicà e perchè?

E’ nato 40 anni fa quando io ero in parrocchia nel centro Giovanile di Bassano, che era un po’ un centro di monitoraggio per la vita giovanile. Lì abbiamo notato alcuni cambiamenti nella società, soprattutto tra i giovani e gli adolescenti. Abbiamo visto che crescevano comportamenti non buoni, che poi si tramutavano in atti di vario genere, che sfociavano quasi sempre in problemi con la legge. Al contempo i genitori chiedevano aiuto perché non sapevano come gestire i figli, ci siamo trovati davanti ad una generazione di genitori che non avevano idea di come affrontare questi problemi.All’inizio l’idea era semplice e innovativa, volevamo fare qualcosa.Avevamo poche idee e ben confuse (spiega ridendo).

Don Beppe Gobbo: da 40 anni al fianco dei più fragili Da 40 anni a Calvene con la cooperativa Radicà Don Beppe Gobbo si occupa di vite difficili, di giovani che rischiano di rimanere emarginati con la conseguenza di finire, o rimanere, nel mondo della delinquenza. Lì c’è una casa sempre aperta per accogliere ragazzi bisognosi d’aiuto per uscire dal loro tunnel personale e trovare collocazione in un mondo che diventa ogni giorno più difficile.

Che cosa è cambiato dall’inizio della sua “missione” a oggi? I giovani sono cambiati o sono sempre gli stessi?

I giovani sono cambiati, soprattutto nel manifestare il disagio. Prima il disagio si manifestava con reati semplici, oggi ci sono reati di una tipologia più importante. Anni fa c’era il problema della droga e oggi si parla addirittura di criminalità giovanile in vari ambiti. Si è manifestato un cambiamento sociale, da quelli che venivano definiti atti vandalici siamo passati a veri e propri reati. Esistono anche contesti dove vediamo giovani assoldati da adulti perché non punibili. Quindi la situazione non è migliorata, anzi è peggiorata.

La situazione è peggiorata, direi che se guardiamo la realtà vediamo che il disagio è cambiato nelle manifestazioni. Oggi c’è il problema emergente dei giovani asociali, quei ragazzi che si chiudono in casa e rifiutano di vivere la società, usando solo mezzi di comunicazione online. 10 anni invece fa si è manifestato il problema del disturbo psichiatrico, che negli anni è andato sempre crescendo, anche negli adolescenti. E’ un fatto molto grave e a peggiorare le cose c’è la posizione delle istituzioni, che hanno diminuito gli investimenti in questo campo.

E la situazione delle famiglie com’è? Come sono in genitori?

I genitori oggi hanno qualche possibilità in più per leggere i fenomeni di disagio nei figli, ma in questa generazione ci sono anche molti genitori che non riescono ad essere presenti con maturità, ci sono adulti immaturi. Ci sono anche molti giovani che non si sposano più, che decidono di limitarsi a convivere e questo li rende più fragili, perché per molti significa sottrarsi agli impegni, significa non assumersi le responsabilità della vita adulta. E la conseguenza è che questi fenomeni contribuiscono a far peggiorare la qualità della vita dell’adolescente, anche se materialmente magari non gli manca nulla. Ma i soldi, i beni materiali, non sono sufficienti a garantire la stabilità, l’equilibrio emotivo, serve la capacità di insegnare e apprendere le proprie responsabilità. Pensa che il recupero delle persone sia sempre possibile?

Penso che la società adulta debba fare di tutto per tentare di recuperare chi è o si è messo in una condizione di difficoltà, di chiusura, di impossibilità di un futuro in società. Per esperienza, lavorando sulla fascia di età dai 10 ai 18 anni, quindi in piena adolescenza, le possibilità di recupero ci sono. Però, e questo lo voglio sottolineare,


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ThieneMesePlus ◆ 3 bisogna intervenire con professionalità e con strumenti adatti, non basta la buona volontà. Rifarebbe tutto?

Rifarei tutto, anche perché pur avendo cominciato tra tante incertezze strada facendo ho trovato il senso nel fare questa cosa, siamo cresciuti nelle relazioni e nei rapporti, abbiamo fatto vari passaggi. Abbiamo iniziato facendo accoglienza, poi siamo passati all’accompagnamento dei ragazzi. Il giovane quindi non è chiuso in una struttura. Qui si parte dal problema manifestato da quel ragazzo e si lavora su quello. Oggi, oltre ad essere professionali, siamo anche organizzati per i diversi modi di intervenire. Si lavora con progetti mirati sul ragazzo e sulla famiglia e si usa la forma più adeguata per far camminare il ragazzo con le sue gambe. Ora siamo in grado di aiutare i ragazzi in casa loro e nel territorio, non solo in comunità. Calibriamo il tipo di aiuto da dare, perché i giovani, per essere aiutati, vanno inseriti nel contesto giusto. Qual è la prima cosa a cui pensa quando si sveglia e l’ultima prima di addormentarsi?

Al mattino parlo con me stesso e mi dico “Speriamo che vada bene anche oggi”, perché ho la consapevolezza che abbiamo a

che fare con ragazzi in fase di transizione, che potrebbero riservare sorprese. E prima di andare a letto mi chiedo “Chissà se la giornata è andata bene”, nel senso che mi interrogo se quanto fatto ha aiutato effettivamente i ragazzi.

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La maggiore soddisfazione?

Abbiamo grandi soddisfazioni, ma la maggiore è quando i ragazzi tornano a trovarci. Tornano con varie motivazioni, magari a presentare la moglie o il figlio, o a far vedere la macchina che hanno acquistato con il loro lavoro. Un ragazzo è tornato dopo 25 anni. Noi lo aspettavamo da quando se n’era andato. Non lo abbiamo neanche riconosciuto. Ci ha detto che voleva vedere se esistevamo ancora e per noi è stata una gioia indescrivibile. Quando i ragazzi se ne vanno di solito per un periodo si interrompono i contatti, ma quando tornano la soddisfazione è immensa. La maggiore è quella di vedere che il ragazzo che abbiamo preso in carico si inserisce in società e cammina con le sue gambe. La sanità e il mondo del sociale sono in linea con in bisogni di ragazzi che hanno problemi di tipo socio-sanitario?

Purtroppo no. Abbiamo assistito ad uno smantellamento graduale dei servizi da

parte delle istituzioni, sia nel mondo della Sanità che del Sociale. Negli ultimi anni sentiamo dire in modo costante che non ci sono più soldi e la prevenzione è stata abbandonata. Ma la prevenzione è fondamentale per evitare di dover affrontare situazioni più gravi in un secondo momento. ◆


[4]◆ ThieneMesePlus Attualità

L’

Camilla Mantella

ultima volta che avevamo chiacchierato con Riccardo Dal Ferro, in arte Rick Du Fer, autore, divulgatore culturale, filosofo e performer teatrale, era il 2019 ed era in tour con il monologo “Seneca nel traffico”. Da allora il suo progetto di divulgazione filosofica – on line e off line - è cresciuto sempre di più, tanto che nel 2020, assieme al socio Federico Santolin Berto, ha aperto a Schio i Cogito Studios, uno studio di registrazione da dove viene trasmesso il fitto programma di approfondimenti e interviste che ha portato in città figure del calibro dell’attivista Marco Cappato e del giornalista Francesco Costa. Lo siamo andati a trovare agli Studios per farci raccontare come è evoluto il suo percorso nell’ultimo periodo e come proprio da Schio, a breve, partirà la Cogito Academy, la prima scuola filosofica che si ispira al fare filosofia come si faceva nell’antichità.

Ci eravamo lasciati nel 2019 con un progetto in espansione e ci ritroviamo, qualche anno dopo, in uno studio vero e proprio da dove vengono trasmessi contenuti seguiti da milioni di persone.

“Durante la pandemia mi sono reso conto che non volevo più lavorare da casa. In un momento dove tutti scoprivano il lavoro da remoto, mi rendevo conto che per poter far crescere il mio progetto avevo bisogno di scambi, incontri e relazioni. Avevo conosciuto Federico, fotografo ed esperto in progetti video, e con lui abbiamo deciso di fondare insieme una società e aprire i Cogito Studios, che nella prima sede si trovavano vicino alla Fabbrica Alta. L’apertura dello studio ci ha permesso non solo di avere un set più professionale, ma anche di poter accogliere gli ospiti dal vivo. Da allora abbiamo portato a Schio giornalisti, intellettuali, divulgatori, esperti in vari campi del sapere e abbiamo creato relazioni di valore che in alcuni casi si sono trasformate in vere e proprie amicizie. Quest’anno è entrato a far parte del team anche Valerio, grafico e al tempo stesso specialista nel seguire tutti gli aspetti organizzativi delle nostre attività e non escludiamo di allargare la squadra nel 2024. Fin da quando è stato possibile tornare agli appuntamenti in presenza nell’estate 2020 abbiamo accelerato anche sul fronte degli spettacoli dal vivo e delle conferenze: sono convinto che la filosofia vada fatta di per-

Cogito ergo Du Fer In città ha sede l’attività di divulgazione filosofica dei “Cogito Studios”, fondata da Riccardo Dal Ferro - meglio noto con il nome d’arte di Rick Du Fer - assieme a Federico Santolin Berto e che ogni mese raggiunge oltre due milioni di utenti tra attività on line e off line. E a breve partirà la prima Cogito Academy.

sona. Sono molto soddisfatto delle persone che ci seguono on line tramite i video su YouTube o i podcast sulle varie piattaforme audio (nel complesso raggiungiamo quasi 2 milioni di utenti al mese), ma considero il digitale una vetrina per lezioni, seminari e approfondimenti dal vivo. Nel frattempo ho pubblicato altri due libri per Feltrinelli, “Seneca tra gli zombie” e “La parola a Don Chisciotte” e a marzo ne uscirà un terzo”.

professori universitari, da adulti appassionati e da anziani che magari non sono molto avvezzi al digitale ma che ci tengono a seguire i contenuti che diffondiamo. Proprio qualche giorno fa abbiamo ricevuto un messaggio da una signora ultranovantenne che ci teneva a farci sapere che segue sempre il nostro lavoro.

Sembra proprio che ci siano moltissime persone interessate ad approfondire temi politici, culturali e di attualità con un taglio filosofico…

“Penso che stia nel fatto che porto solo contenuti che interessano in primis a me, senza seguire i trend del momento. Certo, quando rifletto sull’attualità è chiaro che parlo di temi che magari sono più → segue a pag. 6

“Il nostro, soprattutto on line, è un pubblico davvero variegato. Riceviamo mail e commenti da ragazzini tredicenni e da

Qual è, a suo avviso, la chiave di questo apprezzamento?



[6]◆ ThieneMesePlus Attualità ← segue da pag. 4 noti, ma in ogni caso mi prendo sempre il tempo per approfondire e argomentare. Le persone seguono i nostri contenuti perché apprezzano la ricerca delle fonti, la costruzione logica dei ragionamenti, la consapevolezza del pensiero e non perché hanno le mie stesse opinioni. Uno degli aspetti che apprezzo di più della community che si è creata attorno a questo progetto di divulgazione filosofica è che nei commenti si scatenano dibattiti, vengono mosse critiche costruttive, si crea insomma una discussione ragionata che fa bene al pensiero e che è il sale della filosofia. È un po’ questo il concetto alla base delle nostre attività e che riassumiamo spesso con l’espressione “combattere la zombificazione”: è possibile interrogarsi, dibattere, informarsi con cognizione di causa senza accettare passivamente punti di vista non ragionati o abbandonarsi a convinzioni che non sono state messe alla prova della logica e dello studio”. E si può fare tutto questo da Schio? Ci si potrebbe immaginare di doversi spostare in centri più grandi per far crescere progetti di questo tipo.

“In realtà il bello del nostro lavoro è che si può fare ovunque, senza contare che i costi di mantenimento di uno studio di registrazione qui sono di gran lunga inferiori a città come Milano, ad esempio. Io amo il mio territorio, mi piace abitare a Schio. In zona ho la famiglia, gli affetti e gli amici e penso che ci sia una qualità della vita più che buona. Certo, per contro diventa più faticoso e costoso portare qui gli ospiti, perché il nostro non è un territorio così centrale e quindi dobbiamo preoccuparci di aspetti organizzativi e logistici che probabilmente non costituirebbero dei problemi in città più grandi”. E gli scledensi, dal canto loro, come rispondono?

Ecco, quello che mi rattrista un po’ è che per tre anni abbiamo cercato di portare a Schio figure di primo piano, spesso organizzando anche incontri pubblici, e nonostante le sale fossero piene gli scledensi hanno sempre latitato. Solo una piccola percentuale di persone presenti veniva infatti dalla città. Lo scorso anno, a dicembre, abbiamo organizzato per due giorni interi un Cogito Festival che ha attirato in città appassionati da tutta Italia – sono arrivati spettatori perfino dalla Francia – ma gli scledensi erano gran pochi, motivo per cui ci siamo

interrogati se valesse la pena continuare a concentrare qui incontri di questo tipo. Senza fare troppe polemiche, penso che il nostro progetto non sia ben accolto da alcune associazioni culturali locali, che in passato hanno espresso forti dubbi e critiche sulle nostre iniziative”. Quindi stop agli eventi a Schio?

“No, ma cerchiamo di bilanciare gli sforzi e concentrarci anche su altre piazze. Tengo spettacoli e conferenze in tutta Italia, dove ho una risposta diversa. Schio rimane però il luogo da cui partono le nostre attività e dove spesso sperimentiamo nuove proposte. A questo proposito, la prossima primavera inizierà un progetto che mi sta davvero a cuore e che è il coronamento di quasi dieci anni di sforzi di divulgazione: abbiamo infatti deciso di fondare la Cogito Academy, una realtà unica in Italia, la prima accademia di filosofia che si ispira alla scuola stoica di Epitteto e che insegnerà a fare filosofia come si faceva nell’antichità. Affiancheremo a seminari e corsi on line lezioni in presenza, probabilmente nella zona del Tretto. Presenteremo tutti i dettagli in città tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo. I tempi sono ormai maturi, perché possiamo contare su una community di appassionati che abbraccerà con entusiasmo questa nuova proposta”.

Insomma, farete leva sulle relazioni, stavolta con gli utenti, create in anni di condivisioni e pubblicazioni.

“Uno degli aspetti che preferisco di questo lavoro è il potermi confrontare con le persone. Certo, è un lavoro tutto da inventare, spesso complesso e non è esente da ondate d’odio on line che spesso arrivano da chi non ci segue o non apprezza i contenuti che proponiamo, ma rispondere alle domande delle persone, aprire il dibattito e lavorare studiando è impagabile. Con un appunto, però: l’on line non può sostituire relazioni vere e profonde e chi ci segue solo digitalmente sa quanto insisto su questo punto. I social possono essere degli strumenti formidabili per informarsi, approfondire e divertirsi, ma non devono sostituirsi alla vita reale. Motivo per cui, di recente, ho deciso di smettere di condividere anche i pochi contenuti di vita personale che pubblicavo su Instagram. Una scelta che non ci ha tolto pubblico – le persone ci seguono per altro, non certo per la mia vita privata – e che ho compiuto sia perché vivere pensando di dover condividere tutto ciò che di bello ci accade toglie valore alle esperienze e le distorce, sia perché mi sono accorto che stavo cadendo anche io in questo circolo tossico del mettersi in mostra e di basare il proprio valore sulla reazione altrui a ciò che pubblichiamo”. ◆


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[10]◆ ThieneMesePlus Attualità “È una sfida che amo moltissimo – dice Pietrobelli -. La camera mi obbliga a osservare da vicino volti, situazioni belle e meno belle, dolori, gioie, i grandi eventi e i personaggi che scrivono la storia del mondo”.

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In queste pagine alcuni scatti fotografici realizzati da Matteo Pietrobelli nel teatro di guerra ucraino. Qui bambini che osservano una palazzina bombardata. Sotto, un uomo alla distribuzione di cibo a Kherson subito dopo la liberazione. Nella pagina a fianco in alto Matteo Pietrobelli con la sua videocamera e, sotto, una chiesa distrutta intorno a Lyman.

Mirella Dal Zotto

atteo Pietrobelli, trentenne scledense, è documentarista in zone di guerra, attualmente al seguito di Andrea Lucchetta, inviato Rai in Ucraina. Dall’inizio del conflitto ha trascorso 230 giorni in quel paese martoriato, lavorando per varie testate e con più giornalisti, particolarmente per reportage di approfondimento. Ha accettato un’intervista sul nostro mensile, fornendoci in esclusiva una serie di foto. Ama il suo lavoro ed è anche molto legato a Schio, dove spera di raccontare, appena possibile, le sue esperienze. “Ho vissuto a Schio fino alla prima media – ci dice - poi ho cominciato a girare, diplomandomi in Germania e laureandomi in Inghilterra. Fin da piccolo ho sempre cercato esperienze immersive, fossero campi scout, trekking di più giorni in montagna, nottate in tenda con gli amici. Possibilmente, però, si dovevano tradurre in qualche forma di impegno civico, che è sempre stato alla base delle mie azioni”. Cosa significa realizzare documentari in zone ad alto rischio?

“Mi sono innamorato quasi immediatamente del lavoro documentaristico, che unisce l’impegno civico alla sete di avventura e alla passione per il racconto intimo, personale. Bisogna sapersi inserire all’interno di situazioni umanamente molto complesse, spesso avvicinandosi alle persone nei loro momenti più intimi o diffici-

“Così racconto la guerra in Ucraina” Lo scledense Matteo Pietrobelli, giovane documentarista in zone di guerra, dall’inizio dell’invasione russa ha trascorso 230 giorni in Ucraina, lavorando per varie testate e con più giornalisti, particolarmente per reportage di approfondimento.

li, tutto con la camera in mano. È una sfida molto affascinante, professionalmente e umanamente. La linea morale da cavalcare è sottilissima, soprattutto ora: da una parte c’è la necessità di un racconto giornalistico efficace, che inevitabilmente deve appoggiarsi a difficoltà, dolore e sconforto per denunciare o comunicare con forza una situazione; dall’altra è essenziale rispettare chi incontriamo, che spesso si trova in momenti di fragilità assoluta, lasciando lo spazio che serve per vivere quel momento in tranquillità, rifiutando con forza di fare pornografia del dolore. Condivido appieno l’indignazione delle persone verso un certo tipo di giornalismo... Spesso, a casa, alcune immagini possono dare fastidio o essere considerate troppo forti, perché costringono lo spettatore a guardare qualcosa che non vuole vedere, ma che però a mio avviso va visto”.

tando il contenuto, la qualità dell’audio, la luce; occorre decidere come posizionarsi, quale inquadratura racconta meglio, valutare la sicurezza…Tutto ciò può aggiungere o togliere forza al racconto, le scelte giuste vanno fatte in tempi brevissimi: è una sfida adrenalinica”.

Capiterà sicuramente di dover girare immagini in tempi brevissimi…

“È semplicemente una sfida che mi piace moltissimo, non saprei cos’altro potrei fare. Ho sempre voluto vivere in maniera empirica, vedere le cose e seguire le situazioni da vicino, capirle, esserne partecipe. Vengo catapultato costantemente in realtà del tutto → segue a pag. 12

“È una grande sfida tecnica: bisogna saper anticipare o reagire con estrema rapidità nelle varie situazioni; magari ci si trova a non filmare nulla per ore e poi a riprendere una sequenza centrale in un minuto, valu-

Adesso è conosciuto e richiesto, ma come sono stati gli inizi?

“Molto molto difficili. Dopo la laurea in produzione cinematografica e televisiva conseguita a York, ho faticato anni per trovare lavori costanti o pagati sufficientemente. È stato un periodo alquanto duro, che ho superato solo grazie al supporto della mia famiglia”. Ha detto che la sua è una scelta di vita, che voleva proprio fare questo lavoro: quali sono le motivazioni che l’hanno spinta a prendere una decisione così importante, che implica notevoli rischi?



[12]◆ ThieneMesePlus Attualità ← segue da pag. 10 diverse dalla nostra e la camera mi obbliga a osservare da vicino volti, situazioni belle e meno belle, dolori, gioie, i grandi eventi e i personaggi che scrivono la storia del mondo”. Qualche esempio?

“Ricordo una bambina irachena che ha perso i piedi a causa dei bombardamenti, un rifugiato afghano che ha provato a passare il confine europeo nei Balcani, una coppia di coltivatori di coca in Colombia, Guterres, Zelensky, uno sminatore ucraino... Sono tutti volti, tutte persone con cui abbiamo condiviso esperienze, parole, momenti. Come documentarista sono lì, al centro. Dietro ogni persona o fatto che riprendo, c’è l’esperienza che vivo raccontando; so che nel mio cammino vivrò molti momenti forti: saranno mille pepite d’oro da riporre, senza tante cerimonie, nel mio zaino, camminando fianco a fianco di amici e colleghi che condividono con me le stesse esperienze e che le capiscono fino in fondo. Mi sembra di far parte di una grande famiglia franca”. Una domanda personale: come ha reagito la famiglia quando ha saputo che doveva raggiungere il fronte ucraino?

“Sono partito i primi giorni del conflitto. I miei sicuramente erano preoccupati, ma mi hanno sempre aiutato rispettando le mie scelte. Ricordo una sera - ero tornato da poco per concedermi una pausa - in cui è arrivata una chiamata dell’ultimo minuto per ripartire, quasi immediatamente. Finché preparavo l’attrezzatura, mio padre si è dedicato con estrema cura e tenerezza a scrivere “PRESS” sull’elmetto. ‘Devi essere riconoscibile’, mi ha detto soltanto. Chissà come si sentiva lui, come si sentiva mia madre, ma erano entrambi lì ad aiutarmi, perché dovevo fare in fretta”. Penso le sia capitato di temere per la sua incolumità…

“Sì, ci sono state diverse occasioni in cui abbiamo avuto paura o in cui abbiamo fatto degli errori, ma niente di estremo. Altri colleghi hanno rischiato molto di più, so-

no rimasti feriti o sono morti. È essenziale che le grandi aziende mediatiche italiane adottino un sistema efficace di valutazione del rischio, che sappiano pianificare e supportare giornalisti e operatori”. Ma che idea si è fatto del conflitto ucraino?

“Posso dire che ora uno dei problemi dell’Ucraina è che la gente reagisce poco agli allarmi antiaerei, è come assuefatta e per continuare a vivere accetta il pericolo. Un giorno eravamo a Chasiv-Yar, alle porte di Bakhmut, la città che chiamano ‘il buco nero della guerra’, quando i russi hanno cominciato a bombardare e gli ucraini a rispondere al fuoco; nel fracasso assordante un signore del paese si è messo a urlare nella mia direzione, indicando degli alberi. Ho puntato la camera e ho visto dei soldati correre, ma nient’altro; in fase di montaggio ho capito che stava semplicemente indicandomi uno scoiattolo su un albero”. In Ucraina lavora a fianco dell’inviato Rai Andrea Lucchetta. Come si svolgono le vostre giornate?

“Ci svegliamo molto presto, tra le 5 e le 7, e ci mettiamo in macchina, alla ricerca di storie significative. Capita di fare dalle tre alle cinque dirette, girare e montare un reportage breve; una volta a settimana produciamo poi un documentario lungo, di approfondimento. Normalmente Andrea si occupa delle domande e dell’intervista, in seguito costruiamo la storia mettendo insieme la narrazione giornalistica con quella visiva, emotiva. I giornalisti lavorano in maniera diversa, ma Andrea lascia piena libertà e potere decisionale all’operatore, che poi provvede al montaggio”. Nell’ultima telefonata mi ha detto che in Ucraina, dopo lo scoppio della guerra tra Israele e Hamas, la situazione è più tranquilla: è ancora così?

“Dopo il massacro di 59 civili a Hroza, le questioni principali sono tre: la prima riguarda il fronte di Avdiivka, dove la situazione sembra essere molto tesa; la seconda è l’attesa di un attacco missilistico esteso,

perché ci si aspetta che la Russia, non appena caleranno le temperature, colpisca le infrastrutture energetiche per togliere acqua, riscaldamento ed elettricità alle città ucraine e convincerle alla resa, sopraffacendo le difese antiaeree; la terza questione è che la guerra in Palestina e le tensioni in Medio Oriente, che per la prima volta portano altrove l’attenzione mediatica occidentale, potrebbero avere conseguenze sugli aiuti all’Ucraina”. Pensa di rimanere ancora lì o c’è aria di trasferimento?

“Lavoro come freelance e in questi giorni continuano ad arrivarmi chiamate per Israele, mi aspetto di andarci a breve. Se non sarà così, da fine ottobre sarò in Centro America per un documentario sulla giustizia climatica, fino a inizio anno; poi, probabilmente, andrò in Nepal. Il tutto intervallato da vari progetti per la Rai in Ucraina o altrove”. Lei è una persona con molti valori: professionalmente, quali sono i più importanti?

“Credo sia fondamentale cercare di creare un’informazione diversa, a largo spettro. Costruire un modo di raccontare complesso, avvincente, informativo e di qualità, senza fare melodramma. La Bbc ha un ottimo motto: educare, intrattenere e informare. Ho passato settimane in più, dopo lavori in zone di conflitto, per cercare di raccontare così. La mia più grande fortuna, e la mia più grande sfortuna, è che per me il mio lavoro non sarà mai solo lavoro”. Facciamo calare la tensione, Matteo: se in questo momento potesse tornar a Schio, dove andrebbe e cosa farebbe?

Andrei in montagna, immediatamente, e poi farei quattro chiacchiere con gli amici davanti a una bruschetta”. Cosa rappresenta Schio per lei?

“È uno dei miei punti fermi e mi piacerebbe poter usare ciò che riprendo per dare un contributo concreto al mio territorio”. ◆



Natale è alle porte e non sai cosa regalare? La farmacia è il luogo giusto in cui trovare il regalo perfetto per le persone a cui tieni: la bellezza, il benessere e la salute sono i doni più utili, graditi e ricercati. In farmacia si possono davvero accontentare tutte le tipologie di destinatario: dalla cosmesi per uomo e donna agli spazzolini elettrici, dai video OQPKVQT ƂPQ CK EQHCPGVVK RGT OCOOG G neonati. Ecco allora qualche spunto da cui trarre ispirazione. I cofanetti di Unifarco sono una fantastica idea per regalare cosmetici sicuri e di elevata qualità e hanno diverse fasce di prezzo. Contengono le nostre creme più richieste accompagnate dalle minitaglie di sieri e contorno occhi. La crema viso idratante forte antietà in texture ricca e leggera, la crema rassoFCPVG NKHVKPI G NC TKFGPUKƂECPVG TKPPQXCtrice sono prodotti dedicati a diverse età per soddisfare le esigenze di tutte le donne, dalla sorella all’amica, dalla mamma alla moglie. Per i piccoli pensieri consigliamo il doccia shampoo accompagnato FCNNC ETGOC EQTRQ CK ƂQTK G HTWVVK OGPVTG il kit con le minitaglie di una tipica beauty routine è ideale quando non si conoscono le abitudini cosmetiche della destinataria. Le splendide confezioni natalizie per la cura del viso di Rilastil, Vichy e La Roche Posay contengono più prodotti per formare un protocollo dermocosmetico completo. Per entrambe ci sono confezioni con prodotti idratanti adatti alla pelle giovane e cofanetti con gli antietà più apprezzati. Sono sempre di più gli uomini che si prendono cura della pelle del proprio viso. E allora perché non coccolare la nostra dolce metà regalandogli il cofanetto con i prodotti uomo della farmacia? Il trattamento uomo 2 in 1 e lo shampoo doccia ai semi di pompelmo sono perfetti per una gradita sorpresa. Rilastil Man e Vichy Homme propongono kit dedicati alla rasatura, con la schiuma da barba anti-irritazioni abbinata al gelcrema dopo barba o al gel doccia.

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Nella foto in alto Villa Da Porto, nota come “Il Castello di Thiene”. A destra l’edificio con la sede della filiale.

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Thiene, tra le più importanti cittadine della provincia di Vicenza, ricca di storia e tradizioni, è centro di notevole rilevanza per le attività economiche, grazie alla nota operosità dei suoi abitanti, nonché alla strategica posizione geografica. Sita ai piedi dell’Altopiano di Asiago, nei pressi dello sbocco della Val d’Astico, antica via per la Germania, e alla convergenza dei percorsi viari di pianura e delle diramazioni stradali che si aprono verso le montagne, Thiene è polo di attrazione e realtà preferenziale di interessi commerciali, agricoli e industriali dell’Alto Vicentino. La locale Sala Borsa è ancora oggi luogo di incontro settimanale per numerosi operatori del comparto agro-alimentare, e importante riferimento per il mercato nazionale. Funzione portante nel sistema economico thienese hanno l’industria e l’artigianato. Si tratta di aziende di medio-grandi dimensioni, attive, in particolare, nei settori metallurgico, automobilistico, tessile e chimico. Un tessuto produttivo dove imprese operanti nel comparto tecnologico risultano ben integrate con quelle prettamente tradizionali. La dipendenza di Thiene, avviata a poche settimane dall’istituzione di una nuova unità in provincia di Venezia, dà continuità al processo di crescita della nostra banca in Veneto.

popso.it

IL GRUPPO BANCARIO AL CENTRO DELLE ALPI


[16]◆ ThieneMesePlus Attualità

Le prime “antiche bugie” di Alex Passerini Nella cornice di Palazzo Zironda a Thiene la pr ima presentazione del libro di un autore esordiente, vicentino d’adozione. Un romanzo d’amore che attraversa quattro epoche diverse ruota attorno a una pergamena che racchiude un nuovo vangelo “La Voce del Figlio”.

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na sala dal gusto antico nel cuore di Thiene, all’interno di Palazzo Zironda, scenario suggestivo quanto ideale per raccontare quelle misteriose “Antiche Bugie” che costituiscono la prima opera di Alex Passerini. Un artista in campo teatrale e ora pure scrittore, al debutto,

dalle mille passioni: tra queste l’ultima nata, la scrittura. Ultima si fa per dire, visto il dispendioso in termini di tempo ed energie a monte di documentazione e di messa a punto iniziato, come ammette l’autore vicentino d’adozione, una quindicina d’anni fa. Il titolo proposto come suo libro d’esordio è un romanzo che affonda le proprie radici in secoli lontani per le ambientazioni storiche tracciate nei capitoli. Quattro epoche diverse “pennellate” sulle pagine: dagli anni della vita di Cristo ai giorni nostri, passando per l’Impero Romano ai tempi di Costantino e al finire del secolo scorso su un sito di scavi archeologici. E’ un romanzo d’amore, prima ancora di toccare i tasti delicati e talvolta urticanti della storia del mondo .he della religione cristiana che costituiscono vere e proprie “mine” pronte a deflagrare, allorché si metta un piede

in fallo. Anzi, una voce, visto che la vicenda ruota intorno a una pergamena sopita dal tempo che racchiude un nuovo vangelo, “La Voce del Figlio”, che potrebbe perfino sovvertire l’ordine mondiale oltre che riscrivere la storia dell’umanità. Sulla parola di Giuda e/o di Cristo. Gerusalemme, Roma, il Vaticano, Treviri sullo sfondo tra azione, sentimenti e passioni forti senza vincoli dogmatici, “giocando” con la vita e la morte di chi custodisce un segreto millenario. Che ad ogni costo deve rimaner tale. Nel corso della “intima” presentazione di “Antiche Bugie” - Pathos Edizioni, 178 pagine - per volere dello scrittore, milanese di nascita di 51 anni d’età che vive a Piovene Rocchette, sono state svelate le prime parole a voce del... padre di un’opera che farà discutere e susciterà opinione su direzioni inverse. E pure controverse. ◆ [O.D.M.]

Ogd Pedemontana a scuola di turismo contemporaneo L’associazione di promozione del territorio pedemontano ha preso parte al primo Forum internazionale del turismo che si è svolto nelle scorse settimane a Baveno, località sul Lago Maggiore.

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n pizzico di pedemontana e in particolare della città di Thiene, visto che ospita la sede OGD Pedemontana Veneta e Colli, è stata presente a fine novembre ai due giorni di dibattiti svolti nell’ambito del Primo Forum Internazionale del Turismo a Baveno, località sul Lago Maggiore. Un punto d’incontro e un “bagaglio” progettuale e di strumenti che OGD, rappresentata dal presidente Nicola Cazzola, saprà mettere a frutto. L’evento, organizzato dal Ministero del Turismo, ha riunito esperti, operatori del settore ed autorità locali per discutere le sfide e le opportunità del turismo contemporaneo. Proprio Cazzola traduce in sintesi le indicazioni utili su alcuni temi che interessano da vicino il territorio dell’Altovicentino, una “perla”

per la natura e la cultura, l’enogastronomia e la sua storia. “Il Forum ha evidenziato l’importanza di promuovere pratiche sostenibili e garantire l’accessibilità nelle destinazioni turistiche. L’obiettivo è quello di bilanciare la crescita del settore con la tutela dell’ambiente e la creazione di esperienze accessibili per tutti i visitatori. Un focus, inoltre, la necessità della resilienza per affrontare i cambiamenti climatici. L’attenzione all’autenticità del territorio è stata sottolineata come chiave per attirare i viaggiatori in cerca di esperienze significative. L’interesse crescente per il “Turismo del Gusto” è emerso come una tendenza chiave, senza dimenticare l’attrattiva del turismo rurale da sperimentare in modo autentico. La

discussione sull’inclusività nel turismo ha sottolineato la necessità di rendere le destinazioni turistiche accessibili indipendentemente dalle abilità. Le tecnologie digitali, inclusa l’intelligenza artificiale e la realtà virtuale, sono strumenti fondamentali per migliorare l’efficienza e la sostenibilità nel settore”.Altri temi d’interesse per la nostra comunità, come esempi, si ricollegano al “Turismo delle Radici e Migranti” e al “Turismo Sportivo”. ◆ [O.D.M.]



[18]◆ ThieneMesePlus Attualità

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Anna Bianchini

a più vecchia associazione culturale del territorio, con suoi quaranta elementi, per il prossimo anno annuncia numerose occasioni di festa per celebrare il sodalizio musicale che in tanti anni ha accompagnato la storia del paese in occasione di innumerevoli servizi civili e religiosi e allietando il pubblico con la sua musica. “99 anni sono una data importantissima, abbiamo la consapevolezza che stiamo per raggiungere i 100, un traguardo incredibile – spiega il presidente del Corpo Bandistico Giuliano Dagli Orti –. Nel comune di Zugliano è la più vecchia associazione culturale, il cui segreto per rimanere in vita e attiva risiede nella capacità di sapersi rinnovare sia nel repertorio che nel modo di proporsi e di unire al suo interno suonatori di varie età, dal bambino di 9 anni all’anziano ultra sessantenne, ognuno indispensabile e con un ruolo definito”. Il Corpo Bandistico di Centrale oggi è una realtà solida che conta più di quaranta suonatori quasi tutti provenienti dall’ambito comunale e dagli anni ’70 include anche la presenza femminile. Un’associazione che dura nel tempo e che a novembre ha visto premiati quattro suonatori per i loro cinquant’anni di attività bandistica, iniziata insieme nel 1973: Diego Maculan, Ugo Maculan, Giuliano Dagli Orti e l’attuale direttore Sandro Maculan. Tutto è cominciato dall’idea di don Angelo Santi, giovane cappellano, che nell’autunno del 1923 propose a dei ragazzi di Azione cattolica di formare un gruppo musicale per integrare le attività del paese. All’inizio del 1924 Nello Cichellero, già suonatore di clarinetto, invitò Valentino De Rossi, Maestro della Banda di Carrè, a formare una

Il Corpo Bandistico di Zugliano compie 99 anni Il Corpo Bandistico Centrale di Zugliano si avvia verso il Centenario che si celebrerà a dicembre 2024. La ragione di tanta longevità “sta nel saper unire giovanissimi e anziani”, tutti indispensabili per produrre la musica che contraddistingue la banda.

banda musicale con una decina di giovani. Le prime prove venivano fatte in Patronato. Il nuovo gruppo debuttò in piazza il 21 Dicembre 1924 con l’esecuzione di tre marce: Montegrappa, Vittoria e Primavera. Nel 1927 l’organista del paese Lino Maculan fu chiamato a dirigere la Banda e rimase in carica fino al 1954. Nei suoi 27 anni di direzione il Maestro acquisì una preparazione specifica in armonia e canto e in direzione e strumentazione per Banda frequentando la Scuola Ceciliana della Diocesi di Vicenza e partecipando a corsi di perfezionamento con il Maestro Toffolo a Schio. Nel 1954 la direzione fu affidata al Maestro Luigino Faccin, uno dei fondatori del Corpo Bandistico, che dopo 9 anni, nel 1963, decise di tornare fra i suonatori col proprio Flicorno Tenore, cedendo il posto al Trombone solista di 25 anni Antonio Borgo. Allievo del Maestro Lino Maculan, Antonio Borgo detto Toni è un autodidatta, stimato musicista, suonatore di chitarra, basso e tromba. Soprattutto, è il Maestro della Banda di Centrale con 47 anni di direzione dal 1963 al 2010 e nel 1989 ha ricevuto il titolo di Cavaliere della Repubblica per meriti musicali. “La banda ha suonato dopo le due guerre mondiali, ha vissuto i cambiamenti sociali e culturali degli anni ‘60 e ‘70 e tutto quello che è successo fino ai nostri giorni”, continua Dagli Orti. Con il maestro Antonio Borgo il Corpo Bandistico di Centrale ha raggiunto un notevole livello musicale affermandosi sia in am-

bito locale che regionale. Dal 1972 al 1995 l’incarico di Presidente va ad Antonio Maculan, a cui si devono l’introduzione delle divise, la costruzione dell’impalcatura musicale, l’inaugurazione del gagliardetto, l’inserimento di nuovi strumenti e l’avvio dei corsi di orientamento musicale.Alla presidenza segue Giamberto Ambrosini e infine Giuliano Dagli Orti. “99 anni di attività hanno scandito i momenti la vita della comunità e celebrato tutte le ricorrenze e i suoi momenti più importanti – sottolinea il presidente – La banda è sempre stata presente e seguendo i tempi ha saputo rinnovarsi nel repertorio e nel modo di proporsi. Il segreto della longevità sta nell’aggregazione e nel divertirsi a suonare insieme. Ora nella banda si trova il bambino di 8-9 anni, l’adolescente, l’adulto e l’anziano ultrasessantenne. La banda ha il potere di aggregare più generazioni, e questa è la ragione per cui sopravvive da quasi 100 anni. All’interno della banda c’è un ottimo equilibrio, una profonda unione e tutti, dal più piccolo al più anziano, sono indispensabili per suonare. Il nostro scopo – conclude Giuliano Dagli Orti – è diffondere la cultura musicale nel nostro territorio. Abbiamo il sostegno e l’appoggio continuo delle famiglie, dei cittadini e del Comune, cui chiediamo di continuare a sostenerci. Questa tappa, i 100 anni che celebreremo nel 2024, possa essere uno stimolo di ulteriori soddisfazioni e risultati di prestigio”. ◆



[20]◆ ThieneMesePlus Attualità

Addio a Jambo, fondatore e storica voce di Radio Thiene Si è spento a Thiene Umberto Pasquetto, noto con il soprannome di Jambo, artefice e fondatore di Radio Thiene 100.400 Mhz e storico speaker, che nel 1976 aveva aperto RTH nel garage del ‘Jambo Club’, il suo locale in Cà Vecia.

L

a notizia della scomparsa di Umberto Pasquetto, dopo una malattia contro la quale aveva combattuto con tenacia e forza di volontà, ha gettato nello sconforto moltissimi thienesi, soprattutto i meno giovani, che con Jambo avevano conosciuto il mondo della radio, delle trasmissioni via etere e della musica accompagnata da dediche personalizzate. “Thiene ha perso un pezzo prezioso della sua storia e della sua identità radiofonica”, è il commento del sindaco Gianantonio Michelusi, che proprio da Jambo aveva imparato l’arte di parlare al microfono e di intrattenere in radio gli ascoltatori. “La prima sede di Radio Thiene era al Jambo Club – spiega Alessandro Ferrarin ricordando l’amico con il quale ha collaborato in ra-

dio – Era innovativo e allora non c’erano radio locali. Aveva messo i ripetitori al Monte Corno e la portata delle frequenze era buona, c’era un bel raggio di ascolto. Io salivo in bicicletta e ho visto crescere quella bellissima realtà. Jambo è stato lungimirante: faceva la trasmissione Top Hits all’ora di pranzo e il pubblico poteva fare dediche e richieste. Allora non c’erano in cellulari e la comunicazione non era veloce come oggi. La thienese Ester Balasso, da casa sua, faceva la centralinista e raccoglieva dediche e richieste, poi le scriveva in un bigliettino che veniva portato a Jambo. La gente aspettava con ansia di sentire alla radio il suo nome, con la dedica alla persona amata o a qualche amico o familiare. C’erano tantissime dediche e ognuno di noi aveva una sua sigla personalizzata, quella di Jambo era “Nice and slow”. Aveva un cuore immenso, era una persona completa, di quelle di un tempo, che hanno ricevuto

una buona educazione in casa. Era sempre curato, elegante e sempre disponibile”. “Jambo ha lasciato un’impronta indelebile nel cuore della comunità – sottolinea il sindaco Michelusi – Per me è stato un idolo. Per vincere la mia timidezza e avvicinarmi al mondo della radio l’ho ascoltato per un anno intero, cercando di imitarlo per capire se io fossi in grado di ricoprire quel ruolo oppure no. Prima di entrare in radio all’epoca si facevano provini. Ne hanno fatti anche a me e sono entrato in radio. Poi la vita ha fatto incontrare me e Jambo nuovamente perché mia figlia Sara e sua figlia Alberta sono amiche. Jambo era una persona solare, coinvolgente, estremamente professionale, un uomo di altri tempi. Era l’amico che tutti vorrebbero avere, un uomo sincero dal quale ho imparato moltissimo. E’ stato lui a insegnarmi la professione e a trasmettermi la passione della radio”. ◆ [A.B.]

“Natale con un sorriso” al Teatro Comunale In attesa che in gennaio si apra il sipario sulla rassegna DomenicaTeatro con i tradizionali quattro appuntamenti domenicali, Comune di Thiene e Arteven propongono alle famiglie lo spettacolo “La Freccia Azzura”.

L’

appuntamento è al teatro comunale di Thiene venerdì 8 dicembre alle 17 dove andrà in scena l’opera tratta dall’omonimo testo di Gianni Rodari; sul palco Annachiara Zanoli e Rossella Terragnoli, scene, costumi e giocattoli di Marlene Roncolato e la regia di Catia Pongiluppi, spettacolo della Fondazione Aida. “Si tratta - spiega l’assessora alla cultura, Ludovica Sartore - dell’iniziativa “Natale con un Sorriso”, che costituisce un’anticipazione gradita per allietare il nostro pubblico in questo periodo che introduce alle Feste più attese dell’anno. Auspichiamo che la proposta sia accolta con entusiasmo dalle famiglie a cui è dedicata la rassegna”.

“La Freccia Azzurra” è un libro per bambini scritto da Gianni Rodari e pubblicato per la prima volta nel 1954 ed è ambientato alla vigilia dell’Epifania, notte magica per tutti i bambini che aspettano l’arrivo dei doni da parte della Befana. Ma il povero Francesco rischia di rimanere senza il giocattolo da lui tanto agognato, un trenino chiamato “La Freccia Azzurra”, perché i suoi genitori non hanno i soldi per la Befana. I giocattoli si ribellano alla vecchietta e in questa notte magica decidono di andare direttamente da Francesco. Lo spettacolo racconta questa moderna storia di Natale di uno dei maggiori scrittori per ragazzi, e portata sul grande schermo con successo da Enzo

D’Alò alcuni anni fa. Ingresso 5 euro, con prevendita Biglietti: prevendita all’ufficio cultura del Comune. ◆



[22]◆ ThieneMesePlus Sport

La scuola come “palestra” di vita: parola di prof Oreste Graziani, docente di educazione fisica e arbitro, in pensione dopo 42 anni di lavoro e da 60 nei ranghi dell’Aia, racconta di come gli sport praticati a scuola influiscano in positivo sulla maturazione degli alunni.

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Omar Dal Maso

scuola ero io che mi divertivo, volevo bene ai ragazzi e spero che anche loro me ne volessero”. Sono parole velate da un pizzico di comprensibile commozione quelle del prof Oreste Graziani, maranese doc, oggi 77enne, invitato a parlare dei 42 di insegnamento a scuola. A inizio carriera nelle superiori, come al Liceo Classico Corradini di Thiene, e quelle che un po’ per tutti rimangono le “medie” in barba alle denominazioni successive. Ma si parla pure dei 60 tra i “fischietti” oltre che dell’importanza dell’insegnamento e, ancora più, della pratica, dello sport nelle classi scolastiche. Sarebbe meglio dire nelle palestre. “Nato” come professore di ginnastica, poi e di educazione fisica e poi infine di scienze motorie prima di andare in pensione, a 77 anni Oreste Graziani è ancora come è sempre stato un “pozzo di vita” da cui attingere a piene mani: per carisma, allegria, battuta pronta ed energia da vendere. Anzi, da regalare al prossimo. “Tante definizioni ma lo stesso lavoro alla fin fine - ci dice prima della battuta - dico sempre che è come quando si vuole chiamare emicrania il mal di testa”. Il prof Graziani, che viene dagli studi all’Itis, ha inse-

gnato a Zanè, Schio, al Corradini di Thiene e all’Itis Rossi di Vicenza, e poi tre decenni a Marano, casa sua. E’ ancora attivissimo ad ogni “chiamata” in palestra, magari per di arbitrare una partita tra ragazzini/e, meglio ancora se di calcio visto che Oreste è anche un decano degli arbitri della sezione “Aldo Frezza” di Schio. E poi ancora marito, padre e nonno premuroso, di ben tre nipotine, l’ultima arrivata fresca di battesimo. E c’è da scommettere che a Marano, dove vive con la moglie Maria, tutti ma proprio tutti lo conoscano. In virtù dei 30 “pieni” da prof alle scuole medie locali, ma anche di più. In gioventù calciatore dilettante, Oreste decise di indossare giovanissimo la “giacchetta nera” di arbitro per un torto subito da un allenatore, che gli preferì un compagno più bravo forse di lui ma che non si allenava con la stesa costanza. Aveva 17 anni. Oggi lo ringrazierebbe per l’assist. Oggi ha festeggiato le nozze di diamante con l’Aia e ne rappresenta un pilastro. Da arbitro ha diretto incontri di calcio tra i professionisti della serie C all’apice del suo mandato tra i campi di pallone, prima di dedicarsi alla formazione dei giovani nostrani. Così come fa ancora oggi. Ah, tra questi, spiccano nome e cognome di un certo Daniele Orsato, del quale proprio Graziani è stato tra i “guru”. A casa una collezione di fischietti. “Vado ancora al sabato o alla domenica a vedere gli arbitri esordienti in vesti di osservatore,

è una passione che non finisce mai. D’altronde quando i cavalli non vincono più le corse rimangono due vie: o il macello o la riproduzione. Ho preferito dedicarmi alla seconda!”. Primo incontro arbitrato a 17 anni, lo ricordi? “Ci sono andato in bicicletta, la partita Thiene contro Cogollo di categoria Juniores. Tra i locali giocava un mio amico, è stato da ridere sentirlo darmi del lei come era d’obbligo ai tempi”. “Milanista e milaniano” come lui stesso si definisce con il consueto senso dell’ironia, è un sostenitore convinto del pensiero di don Lorenzo Milani. Formatore di arbitri, il prof. Graziani lo è stato anche dei suoi “successori” - chiamiamoli pure prof di ginnastica - freschi di studi in scienze motorie. “Alla base di tutto ci vuole vocazione, empatia e voglia di voler bene ai ragazzi, ma anche tanta curiosità di sperimentare, di apprendere, di proporre diverse discipline. Io poi mi divertivo, e mi pagavano pure, anche se non tanto, ma sono felice della scelta di vita che feci da giovane e la rifarei. Per quanto nei primi anni non sia stato facile, per via nei rapporti con dei colleghi che mettevano in secondo piano le ore di educazione fisica. Per fortuna col tempo si è guadagnato in credibilità, e si è capita l’importanza dello sport a scuola”. Ha il merito di essere stato tra i primi, nella provincia di Vicenza, a promuovere il calcio al femminile e negli anni ‘80 anche il rugby, prima poco conosciuto. Poi lo squash, costruendo con dei volontari un campo nella palestra De Marchi di Marano, il primo a livello scolastico in Veneto, e una spinta anche al baseball. Un pizzico di amarezza quando si parla dei Giochi della Gioventù, di cui conserva un ricordo intimo: “venivano 50-60 ragazzi ai gruppi scolastici pomeridiani, oggi si fa molta più fatica. L’importante è stato ed è far amare lo sport ai ragazzi, e per gli insegnanti deve essere lo stesso, altrimenti come si può trasferire una passione?” ◆




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