26 | PAOLA RAVASIO | FORMA MENTIS | PUNTO SULL'ARTE

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15 GENNAIO - 4 MARZO 2017 MOSTRA A CURA DI / EXHIBITION CURATED BY: ALESSANDRA REDAELLI CATALOGO A CURA DI / CATALOGUE CURATED BY: SOFIA MACCHI E GIULIA STABILINI TESTI / TEXTS: ALESSANDRA REDAELLI PROGETTO GRAFICO / GRAPHIC PROJECT: GRETA PALASTANGA IN COPERTINA / COVER: “CUSPIDE”, FOTO DI MARCO VALENTI Copyright © PUNTO SULL’ARTE

PUNTO SULL ARTE | VIALE SANT’ANTONIO 59/61 | 21100 VARESE (VA) ITALY | +39 0332 320990 | INFO@PUNTOSULLARTE.IT



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FORMA MENTIS “Se non c’è nessuno che la guarda, l’opera d’arte non esiste” Paola Ravasio Più che uno studio, come lo si definisce abitualmente, lo spazio in cui lavora Paola Ravasio è laboratorio e fucina. Un capannone nel cuore della campagna lombarda dove si sente pulsare il ritmo di un lavoro paziente, lento, caparbio. Anche faticoso, sì, ma non per questo meno amato in tutte le sue fasi. Per terra, proprio davanti alla grande porta scorrevole, giacciono i calchi in gesso che hanno fatto da nido alle forme morbide create dall’artista. Un oceano bianco dove è ancora possibile riconoscere, in negativo, gli avvallamenti, le curve sinuose, gli spigoli vivi. Lungo le pareti macchinari e argani. E poi, a perdita d’occhio, le sculture. Paola conserva ancora qui alcuni dei suoi primi lavori, nati una quindicina abbondante di anni fa, quando creare nelle tre dimensioni per lei significava costruire figure umane imponenti, ipertrofiche. Fasci di muscoli che se conservavano qualcosa della statuaria michelangiolesca (il tronco forte, gli arti possenti), denunciavano nei volti appena accennati l’originalità di un approccio unico e modernissimo. Erano corpi che sembravano trattenere una forza compressa, come pronti a esplodere. E adesso, messi lì a vegliare su quella distesa immensa di materia, sembrano angeli custodi un po’ torvi, ma affidabili e incorruttibili. Poi, a un certo punto, la geometria ha fatto irruzione nelle forme dell’artista. E sono nate le prime sculture che

avrebbero segnato il suo percorso attuale. “Per me la figura si era conclusa”, spiega Paola con candore. Perché lei è un’artista così: profondamente istintiva, con una capacità rara di ascoltare e di assecondare l’ispirazione per arrivare esattamente al centro di sé. La figura si conclude, dunque, e parte un percorso che definire astratto sarebbe limitativo. Un percorso di ibridazione e di trionfo della forma per il quale, forse, andrebbe inventata una definizione inedita: cunei, tronchi di piramide, parallelepipedi, spigoli vivi, piani inclinati vanno a inserirsi in un gioco di curve che mettono lo spettatore davanti a se stesso con un’urgenza quasi dolorosa. Perché è più forte di noi, ma davanti a qualsiasi forma – e più che mai davanti a una forma che richiede a gran voce di essere guardata come può farlo un’opera d’arte in tre dimensioni – sentiamo un bisogno spasmodico di cercare delle risposte, di darci delle spiegazioni. Ecco, le spiegazioni che le opere di Paola Ravasio richiedono sono già dentro di noi. E questo lei ci tiene a ribadirlo. Il nostro bagaglio di esperienze, la nostra memoria, il nostro vissuto, i desideri espressi e quelli negati, la nostra stessa forma mentis sono pronti a soccorrerci. Non bisogna mai frustrare lo sguardo e lasciarsi spaventare dalla sensazione – errata – di non comprendere. È sufficiente abbandonarsi alle sensazioni e lasciare che quella scultura liscia, candida, quasi sostanziata di luce, si faccia strada dentro di noi passando dagli occhi al cuore – e alla pancia – prima di fare tappa al cervello. La lettura razionale da parte del cervello può avvenire anche dopo (e avverrà: possiamo starne certi), ma non c’è fretta.

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Chi già conosceva le figure scolpite dall’artista non potrà non vedere una continuità tra quelle braccia muscolose e le curve che ora appaiono come imprigionate dalla materia rigida. Ma è corpo, quello? È il bicipite femorale di un atleta quello che si snoda qui? Ma poi, dopo, la forma si interrompe bruscamente, diventa altro. Il tronco di un albero o la traiettoria di un pianeta. Il corso impetuoso di un fiume o un abbraccio di esseri che non hanno più corpo, ma solo anima. Se è vero, come dice Paola Ravasio, che “se non c’è nessuno che la guarda, l’opera d’arte non esiste”, ciò significa che l’opera, nei suoi significati, rinasce nel cuore del fruitore così come è nata in quello dell’artista. Con la stessa urgenza e la stessa insindacabilità. Esattamente come quando Paola comincia a modellare nella creta la forma che per il momento ha solo pensato, traducendola in uno schizzo veloce, e quella comincia a crescere, a diventare sempre più imponente. E così lei aggiunge creta, la arma, la rinforza, e segue il gesto lasciandosi guidare. Perché è la forma che comanda. Comanda le mani e comanda il cuore. Quando la creta è completa, la sensazione è di un sollievo felice e al tempo stesso di un’attesa. Il cammino verso l’opera finita sarà ancora lungo: bisognerà ricoprire la forma col gesso, aprire quel nido bianco, prepararlo adeguatamente a ricevere la resina, e poi chiudere di nuovo, attendere, riaprire e avere un bozzolo di forma da sgrossare e quel bozzolo, per diventare scultura, andrà poi più volte limato, ripulito, verniciato, e limato ancora, accarezzato con l’amore che solo il creatore può dare alla sua creatura; ore e ore di lavoro,

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giorni e giorni china su quella forma che diventa sempre più perfetta, nel silenzio assoluto, al massimo accompagnata da un delicato sottofondo musicale: un percorso che visto da fuori potrebbe apparire noioso, ma che per Paola Ravasio è momento fondamentale di meditazione e di riflessione, momento per guardarsi dentro e stare in compagnia di se stessa per scoprire, ogni volta, che in compagnia di se stessa sta ancora bene. Ma il momento in cui si gioca tutto avviene molto prima, avviene quando l’artista maneggia la creta. E lì c’è poco da fare: è la scultura a decidere quanto sarà grande o quanto sarà piccola. Non può l’artista scegliere a priori se sta creando un piccolo oggetto o se dalle sue mani uscirà un monumento. Perché la forma ha il suo spazio, lo conosce già dentro di sé, e quello è. E non si può forzare aggiungendo, perché si creerebbe un mostro; né, tantomeno, si può bloccare, perché la forma monca, violata nella sua volontà, diventerebbe qualcosa di grottesco, squilibrato, penderebbe da una parte. E allora lì la domanda fatidica è di dovere. Quella domanda a cui gli artisti non sanno mai rispondere, e che il più delle volte eludono dicendo: “perché è così”. Non Paola Ravasio. Lei, alla fatidica domanda: “Ma come fai a sapere quando l’opera è finita, quando non c’è più nulla da togliere né da aggiungere?”, risponde sicura: “Quando mi accorgo che la scultura è viva, autonoma, che comincia a muoversi da sola”.


INTERVISTA A PAOLA RAVASIO Istinto, passione e un inestinguibile fuoco interiore. Ecco cos’è l’arte per Paola Ravasio, che si racconta qui con una lucidità e una chiarezza rare. Un’artista che non ha paura del passato, ma che sa farne tesoro. E che poi, a un certo punto, fa una dichiarazione molto profonda e sottilmente scandalosa: “Per l’artista”, dice, “è indispensabile una condizione di amoralità, perché la responsabilità dell’arte deve rispondere solo e unicamente a un ordine di carattere interiore”. Perché sei un’artista? Che cosa ti ha spinto verso questa passione? La parola artista m’intimorisce e suscita in me un certo imbarazzo: preferirei pensarmi come scultore, cioè come colui che ha in sé la capacità di coniugare l’idea con il mestiere. Penso che la conoscenza dei materiali e l’uso degli attrezzi atti a lavorarli sia indispensabile se si vuole imprimere nella materia una propria visione del mondo. Forse all’origine del mio agire c’è la figura di mio padre, il suo duro lavoro di tornitore meccanico che con sapienza operava sulla materia trasformandola. Credo che nell’arte ci possa essere piena libertà d’azione solo quando le mani sanno cosa fare. Proprio per questo, sono grata di aver potuto frequentare lo studio del mio maestro, lo scultore Pietro Scampini. Mi sono formata nel suo laboratorio e posso dire che mi abbia tenuto “a bottega”, come si usava un tempo, seguendomi con pazienza e costanza nel mio lungo percorso di apprendimento umano e artistico.

Qual è stata la prima opera d’arte che ti ha emozionato? Forse perché inaccessibile, vorrei citare la prima grande opera d’arte dell’uomo: i dipinti rupestri della grotta di Chauvet in Francia. Questa “cappella Sistina” preistorica realizzata agli albori della civiltà umana, mi appare oggi come un sogno, il cui potente fascino risiede nel mistero della sua remota origine. Mi commuove e m’impressiona profondamente sapere che fin dall’inizio dei tempi l’uomo ha avuto la necessità di raffigurare il mondo, forse per imprimere in quelle pitture la verità di ciò che vedeva, o semplicemente per propiziare la caccia attraverso riti magico-religiosi. Noi non lo sapremo mai con certezza. Ma persiste in me l’idea che l’arte sia sorta nell’uomo come esigenza primaria. C’è qualche artista del passato o del presente con il quale senti di avere una particolare affinità? Tutta la storia dell’arte è costellata di personalità uniche e irripetibili frutto della loro epoca e di una sensibilità straordinaria. Penso che la nostra immensa fortuna si configuri in questo generoso bagaglio, ricco di esperienze umane e artistiche dalle quali attingere a piene mani. In particolare le loro testimonianze scritte – dalle toccanti lettere di Van Gogh ai testi oracolari di Kandisky, alle dichiarazioni accorate di Giacometti – hanno determinato il mio primo sguardo sull’arte e mutato l’intensità del mio sentire. Le loro parole risuonano ancora oggi in me e guidano la mia ricerca di conoscenza verso prospettive inedite. La mia gratitudine è rivolta a tutti gli artisti che hanno

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vissuto l’atto creativo come gesto fondativo di un mondo, espressione del singolo individuo nel nome di una verità più alta. Tu sei una scultrice vera, che lavora con le mani e ama la fatica della materia. Che cosa ti dà, la scultura, che nessun altro mezzo espressivo potrebbe darti? La scultura è per me materia viva, è il corpo nudo della nostra anima, è l’espressione più evidente di ciò che siamo. La scultura nasce nel silenzio, dalla sapienza delle mani, dall’ascolto dei pensieri, è materia impastata di sangue e di sudore, di fatica e di lotta. La scultura è l’intima rivelazione di una liturgia dell’essere, è volontà di potenza, è la vita che afferma sé stessa e resiste al tempo e alla morte perché sogna l’infinito. Il tuo materiale e la tua tecnica sono complessi e richiedono molti giorni e molte ore di lavoro, spesso ripetitivo. Che rapporto hai con la tua materia, con le tue opere e con il tempo che passi a tu per tu con loro prima che siano finite? Ogni scultura è il risultato di uno sforzo che mi permette di avvicinarmi all’idea originaria che l’ha generata. Non c’è una forma certa e univoca: si procede per tentativi, si aggiunge e si sottrae materia in quel lungo processo di creazione che imprime in ogni sua fase una trasformazione. Penso che la mia opera porti su di sé i segni di tutte le costruzioni e distruzioni che sono state necessarie per realizzarla.

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Anche nel suo essere parziale, ogni singola scultura è una profonda manifestazione del mio essere, credo che un’opera d’arte sia tale quando diviene un piccolo cosmo emotivo che pulsa di un’energia propria, di un respiro e di una vita indipendenti da chi l’ha concepita. Tu parli della creazione della scultura come di un processo fortemente istintivo, legato a dinamiche interne alla forma e alla materia che spesso è difficile esprimere in termini razionali. E questo rivela quanta passione metti nel tuo lavoro. Ma quanto c’è di istintivo e quanto c’è di razionale nel lavoro di Paola Ravasio? All’origine del mio agire c’è un sentimento, frutto di un’esperienza vissuta, percepita o immaginata, che si deposita nell’intimo e lavora affinché la sua percezione fisica diventi così intensa da generare una corrispondente forma interiore, un’idea astratta che preme per essere espressa. La capacità di avvertire con maggiore o minore forza questa necessità interiore è un istinto innato e come tale insondabile e precluso alla ragione. L’opera è quindi la forma stessa del mio sentire che parla attraverso i volumi, il ritmo, le corrispondenze di vuoto e pieno, il movimento e la geometria delle masse. Secondo te l’artista ha delle responsabilità morali, oggi? Deve considerarsi per certi versi investito di una missione? L’artista dovrebbe lavorare in assoluta libertà espressiva e in


piena coscienza. Se l’atto creativo nasce come necessità intima non può sottostare o essere subordinato a un codice morale imposto dall’esterno. Credo che sia indispensabile avere una condizione di amoralità dove la responsabilità dell’arte risponda unicamente a un ordine di carattere interiore. Penso che la funzione dell’artista dovrebbe essere quella di innalzare il sentimento e lo spirito umano: la sua onestà risiede nella sua capacità di restituzione. Qual è il tuo rapporto con il pubblico? Quanto è importante, per te, la lettura della tua opera fatta dallo spettatore? Vorrei innanzitutto parlare di persone e non di pubblico, perché non si creino tra l’opera proposta e chi la osserva due piani distinti nei precisi ruoli di chi guarda e chi è oggetto di tale osservazione. Bisogna superare questa distinzione per comprendere come l’opera d’arte assuma una dimensione sempre diversa quando è posta in relazione con il mondo esterno. La sua è una presenza attiva quando si pone in dialogo con un altro essere, lo spazio fisico dell’opera è in gran parte determinato e rinnovato attraverso lo sguardo di chi osserva, la cui lettura muta a seconda della sensibilità, della cultura e delle esperienze vissute.

ALESSANDRA REDAELLI

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FORMA MENTIS “With no one staring at it, the work of art does not exist” Paola Ravasio More than an atelier, Paola Ravasio’s working place is a workshop and a forge. A shed in the Lombard countryside filled with the vibrations of a patient, slow and stubborn work. Strenuous too, yet not less loved in all its phases. On the ground, in front of the huge sliding door, lie the gypsum casts which once have been nests of the soft forms created by the artist. A white ocean still revealing the negatives of the dips, the sinuous bends, the sharp edges. Alongside the walls, machineries and winches. Then, as far as the eye can see, the sculptures. Paola still conserves here some of her first works, born more than fifteen years ago, when she expressed her idea of three dimensional through huge and hypertrophic human figures. Bundles of muscles which even recalling Michelangelo’s sculpture (the strong torso, the powerful limbs), declared a unique and modern approach through their barely depicted faces. Their bodies seemed to hold a constricted strength, as if they were almost exploding. Right now, standing and watching over this endless expanse of matter, they look like surly yet reliable and incorruptible guardian angels. Then, at a certain point, geometry burst into her forms. Here were born the first sculptures which marked her current path. “For me figure was over”, Paola frankly explains. Since she is such an artist: deeply instinctive, able of listening to herself and indulge her inspiration to reach her inner side. Therefore, figure extinguishes and a more than abstract path starts. A way of crossbreeding and form which should be defined with a whole new term: wedges, trunks of pyramids, parallelepipeds, sharp edges, sloping surfaces insert within a game of bends which forces the viewer to mirror himself with a painful urgency. As a matter of fact, anyone facing any form – more than ever a form belonging to a three dimensional work of art – is urged by a need of looking for answers, of identifying explanations.

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The clarifications asked by Paola Ravasio’s sculptures already belong within ourselves. This is the true message she wants to convey. Our experience, memory, past, our expressed and denied desires, our same forma mentis are there to support us. One should never repress his own glance nor be scared by the – wrong – impression of not understanding. It is enough to lapse into sensations allowing that smooth, white, almost made of light sculpture to penetrate ourselves, passing from the eyes to the heart – and the stomach – before reaching the brain. The rational interpretation can be delayed (since it will surely happen anyway), therefore there should be no hurry. Those who already knew the figures sculpted by the artist will surely identify a similarity between those muscular arms and the bends which now seem caged within the firm matter. Is that a body? Is it the biceps of an athlete loosening here? Then, abruptly, the form interrupts, becoming something else. The trunk of a tree or the trajectory of a planet. The impetuous flow of a river or an embrace between beings who lost their bodies, turning into pure souls. If it is true that, according to Paola Ravasio, “with no one staring at it, the work of art does not exist”, it means that it reborn within the heart of the spectator as it originated within the one of the artist. Characterized by the same urgency and irrevocability. Such as the moment when Paola starts moulding the form she just imagined, translating it into a quick sketch, and it grows, becoming more and more majestic. So she adds clay, reinforcing it, following and being led by the gesture. Since the form governs both hands and heart. When the clay is completed, both relief and wait arise. The path towards the finished artwork is still long: gypsum must cover the form, then that white nest must be opened to be prepared to host the resin, then it should be closed again, then wait, reopen it and pull out a cocoon to be rough-cut, to be turned into a sculpture it will have to be smoothed, polished, varnished, then smoothed again, caressed with the love only the creator can gift his creature with; hours and hours of work,

days and days bent over that form becoming more and more perfect, within an absolute silence, eventually accompanied by a light background music: a path which might appear boring, but for Paola Ravasio is a fundamental moment of meditation and reflection, a moment to observe her inner side and remain with her own soul, to discover that she still feels good with herself. However, the moment when everything happens is before, when the artist handles the clay. Little can be foreseen: the sculpture decides its own size. The artist cannot choose in advance whether she will create a tiny object or a monument. Since the form owns a specific space, already knowing it. It cannot be forced by adding matter, since a monster would born; neither it cannot be stopped since the crippled form, violated within its will, would become something grotesque and unbalanced. Therefore, the decisive question must be done. The question usually artists avoid by saying: “since it is like that”. Not Paola Ravasio. She, when asked “how do you know when the work is over, when nothing should be added or removed?”, answers: “when I realize the sculpture is alive, autonomous, and starts moving by itself”. AN INTERVIEW WITH PAOLA RAVASIO Instinct, passion and a limitless inner fire. This is art for Paola Ravasio, who narrates herself through a rare lucidity and clearness. An artist who instead of fearing her past, treasures it. And suddenly declares something deep and slightly outrageous: “The artist must seek an amoral condition, since the task of art must obey to an inner order”. Why did you become an artist? What urged you towards this passion? The word artist scares and puzzles me: I prefer to think myself as a sculptor, the one who combines the idea with the craft. I think that the knowledge of materials and the use of the tools is fundamental to gift matter with one’s personal view of the world. It might be I was inspired by my father, his being a turner who transformed matter through his hard work. I believe that art


owns complete freedom only when hands have a clear duty. That is why I am grateful of having attended the atelier of my master, the sculptor Pietro Scampini. I was trained in his workshop and I can confirm he followed me with patience and perseverance throughout my long human and artistic learning path. Which has been the first work of art that impressed you? Might it be for not being accessible, I would say the first great artwork by mankind: the parietal paintings of the Chauvet Cave in France. This prehistorical “Sistine Chapel”, realized at the dawn of human civilization, appears to me like a dream, whose strong fascination relies within the mystery of its ancient origin. It moves and deeply impresses me knowing that since forever man needed to represent the world, maybe to imprint in those paintings the truth of his reality or simply to propitiate hunting through magicreligious rituals. We will never know for sure. But I strongly believe art has always been a primary need for mankind. Is there a past or present artist you particularly mirror with? The whole art history is studded with unique and incomparable personalities, who were the outcome of their times and gifted with an extraordinary sensitivity. I believe our immense fortune lies within this generous heritage, filled with human and artistic experiences from which anything can be gained. In particular, their written contributions – from the moving letters by Van Gogh to the oracle texts by Kandinsky, to the fervent declarations by Giacometti – determined my first glance upon art and changed the strength of my feelings. Their words still resound within myself and lead my search for knowledge towards unexpected perspectives. My gratitude goes to all the artists who lived the creative action as the founding act of a specific world, the expression of an individual in the name of a higher truth.

You are a true sculptor, who works with her own hands and loves the effort within matter. What does sculpture gives you more than any other expressive mean? Sculpture is alive matter, the naked body of one’s soul, the clearer expression of ourselves. Sculpture arises within silence, from the wisdom of hands, the attention towards inner thoughts, it is matter kneaded with blood and sweat, strain and struggle. It is the intimate revelation of a personal liturgy, it is will of power, it is life asserting itself and fighting time and death to gain infinite. Your material and technique are complex and require various days and hours of work, often repetitive. Which is your relationship with matter, your works and the time passed before their finalization? Each sculpture is the result of an effort approaching me to the original conception which generated it. There is no certain nor univocal idea: one should proceed through attempts, adding or removing matter within the long process of creation which generates a transformation in each phase. I believe my work carries the marks of all the constructions and demolitions made to realize it. Even when partial, each sculpture is a deep manifestation of myself, since I deem an artwork can be defined as such when it becomes a little emotional cosmos pulsing with its own energy, a breath and life free-standing from the ones of its creator. You describe the creation of a sculpture like an instinctive process, connected to dynamics belonging to form and matter which cannot be explained through rational terms. This shows how much passion characterizes your work. However, how much rational and how much instinctive fill your work? My action derives from a feeling, resulting from a lived, perceived or imagined experience, which roots within my soul and acts in order to increase its physical perception thus creating a parallel inner form, an interior idea urging to be expressed. The ability of feeling more or less

this inner need is an innate instinct, therefore precluded to reason. Thus, the artwork is the form of my feeling, speaking through volumes, rhythm, vacuum and solid, the movement and geometry of masses. Do you believe nowadays artists have moral responsibilities? Should they consider themselves as bearers of a mission? Each artist should work in absolute freedom of expression and consciousness. Since the creative act is born from an inner need it cannot undergo to an external moral code. I believe it is fundamental to seek an amoral condition, where art can obey to an inner order. I think an artist’s task is to raise human feelings and souls: his honesty is connected to his ability of restitution. What is your relationship with the audience? How much do you value the viewers’ interpretation of your works? First of all, I would like to define them as people, rather than audience, in order to avoid the creation of two distinct levels between those who observe and the object of the observation. This difference should be overcome in order to understand that an artwork placed within the external world always gains a different dimension. Its presence becomes active when dialoguing with another self, its physical space is determined and renewed by the glance of the observer, whose interpretation changes according to his sensitivity, culture and experiences.

ALESSANDRA REDAELLI

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Veduta dello studio di Paola Ravasio Foto di Maddalena Goi

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ALTER EGO

2015 | Resina acrilica | 38 x 30 x 46 cm

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ARGONAUTA

2015 | Resina acrilica | 48 x 49 x 44 cm

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GENESI

2013 | Resina acrilica | 55 x 78 x 90 cm

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BÃŒOS

2014 | Resina acrilica | 50 x 62 x 72 cm

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ONIRICA

2016 | Bronzo | 36 x 27 x 38 cm

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OLTRE

2016 | Bronzo | 29 x 32 x 37 cm

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ARCHÈ

2013 | Resina acrilica | 102 x 100 x 54 cm

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PICCOLA SCHERMAGLIA III

2014 | Resina acrilica | 45 x 35 x 18 cm

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CUSPIDE

2013 | Resina acrilica | 90 x 78 x 47 cm Foto di Marco Valenti

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CONFIGURAZIONE

2016 | Carboncino su carta | 48 x 68 cm

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CONFIGURAZIONE

2016 | Carboncino su carta | 48 x 68 cm

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CONFIGURAZIONE

2016 | Carboncino su carta | 60 x 42 cm

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FORMA MENTIS IV

2016 | Carboncino su carta | 70 x 100 cm

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FORMA MENTIS I

2016 | Carboncino su carta | 100 x 70 cm

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FORMA MENTIS II

2016 | Carboncino su carta | 100 x 70 cm


FORMA MENTIS III

2016 | Carboncino su carta | 100 x 70 cm

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STUDI

2016 | Carboncino su carta | 20 x 30 cm

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STUDI

2016 | Carboncino su carta | 20 x 30 cm

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PAOLA RAVASIO Varese, 1978

Foto di Mario Chiodetti

Paola Ravasio nasce nel 1978 a Varese. Dopo aver frequentato il Liceo Artistico Frattini della sua città si trasferisce a Carrara dove apprende le tecniche di lavorazione del marmo. Tornata a Varese prosegue e amplia la propria ricerca presso lo studio-laboratorio dello scultore Pietro Scampini. Le sue sculture sono un concentrato di energia che si esprime attraverso la rappresentazione di muscoli in tensione e corpi aggrovigliati che di volta in volta cercano di liberarsi da strutture modulari e geometriche sempre differenti. Da questo costante mescolarsi di forme statiche e figure sinuose nasce un efficace gioco di contrasti, smussati tuttavia dalla levigatezza delle superfici. Opere di grandi e piccole dimensioni che colpiscono per la carica di tensione che possiedono; un concentrato di energia, vigore e personalità. Realizza numerose mostre personali e collettive in Italia e nel Canton Ticino, in Svizzera e partecipa a numerose Fiere di settore. Nel 2014 è la vincitrice della Prima Edizione del Premio di scultura Sangregorio. Una sua scultura in bronzo è collocata nei giardini pubblici di Sondrio. Vive e lavora a Caronno Varesino, in provincia di Varese.

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Paola Ravasio born in 1978 in Varese. After having attended the School of Arts Frattini in her city, she moved to Carrara where she learned to work with marble. Back in Varese, she continued and expanded her research at Pietro Scampini’s atelier. Her sculptures are the essence of energy, expressed through stretched muscles and tangled bodies, which constantly try to escape from the modular and geometrical structures entrapping them. This endless blending between static and sinuous shapes creates hard-hitting contrasts, though toned down by the smooth surfaces. Large and small works full of tension, an elixir of energy, vigour and personality. She realized various solo and group exhibitions in Italy, Ticino, Switzerland and participated to many Art Fairs. In 2014 she won the first edition of the Premio Sangregorio. One of her bronze sculptures is located in the public gardens in Sondrio. She lives and works in Caronno Varesino, near Varese.


MOSTRE PERSONALI / SOLO SHOWS

MOSTRE COLLETTIVE / GROUP EXHIBITIONS

2015 Spazio Cesare da Sesto, (catalogo), Sesto Calende – Varese (IT)

2015 Art Verona, Galleria PUNTO SULL’ARTE, Verona (IT)

2014 Premio nazionale di scultura Giancarlo Sangregorio – Primo Premio – Varese (IT)

2014 St.Art Strasburgo, Galleria PUNTO SULL’ARTE, Strasburgo (FR) Art Verona, Galleria PUNTO SULL’ARTE, Verona (IT) <20 15x15 / 20x20 Collezione PUNTO SULL’ARTE 2014, (catalogo), Galleria PUNTO SULL’ARTE, Varese (IT) Arte Genova, Galleria PUNTO SULL’ARTE, Genova (IT)

2013 [NEW] LIFE - Galleria PUNTO SULL’ARTE, (catalogo) Varese (IT) 2012 Galleria Serge Scony, Anversa (BE) 2010 Galleria Zaion, Biella (IT) Casa Balli, Locarno (CH) 2009 Fondazione Extrafid, Lugano (CH) 2008 Galleria Officinaarte, Magliasco – Lugano (CH) Fortezza Castelfranco, Finale Ligure, Savona (IT) 2006 Spazio Zero, Gallarate – Varese (IT) Castello Visconteo, Trezzo sull’Adda – Milano (IT) 2005 Bottega del Pittore, Arcumeggia – Varese (IT) Sala Veratti, Varese (IT) Palazzo Comunale, Castronno – Varese (IT) 2004 Villa Pomini, Castellanza, Varese (IT) Galleria Credito Valtellinese, Sondrio (IT) 2003 Galleria Excalibur, Solcio di Lesa – Verbania (IT) Galleria Cortina, Milano (IT)

2013 Art Verona, Galleria PUNTO SULL’ARTE, Verona (IT) Bergamo Arte Fiera, Galleria PUNTO SULL’ARTE, Bergamo (IT) 2012 Art Verona, Galleria PUNTO SULL’ARTE, Verona (IT) Galleria PUNTO SULL’ARTE, Varese (IT) 2010 Casa d’aste, Vercelli (IT) 2008 Expo Village, Varese (IT) Museo Parisi-Valle, Maccagno – Varese (IT) 2005 Museo d’arte moderna Pagani, Castellanza, Varese (IT) Fiera Internazionale d’Arte Contemporanea ARTOUR-O, Firenze (IT) Premio Ghiggini arte giovani, Varese (IT) 2004 Villa Menni, Caronno Varesino – Varese (IT) Galleria Nuova Visione, Gallarate – Varese (IT) Galleria Spada, Varese (IT) 2003 Orti di Leonardo, Milano (IT) Laboratorio Hajeck, Milano (IT)

2002 Galleria Spada, Varese (IT)

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di SOFIA MACCHI VIALE SANT’ANTONIO 59/61 21100 VARESE (VA) ITALY +39 0332 32 09 90

INFO@PUNTOSULLARTE.IT


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