12 APRILE - 5 MAGGIO 2018 CATALOGO A CURA DI / CATALOGUE CURATED BY: SOFIA MACCHI, GIULIA STABILINI, STUDIO MORANDINI TESTO / TEXT: ALESSANDRA REDAELLI PROGETTO GRAFICO / GRAPHIC PROJECT: GRETA PALASTANGA TRADUZIONI / TRANSLATIONS: CLAIRE ANGEL BONNER Copyright © PUNTO SULL’ARTE
P U N T O S U L L A R T E | V I A L E S A N T ’A N T O N I O 5 9 / 6 1 | 2 1 1 0 0 V A R E S E ( V A ) I TA LY | + 3 9 0 3 3 2 3 2 0 9 9 0 | I N F O @ P U N T O S U L L A R T E . I T
TUTTI I COLORI DEL BIANCO E DEL NERO Non ci sono gerarchie nella bellezza, per Marcello Morandini. L’armonia delle forme è qualcosa che ci circonda, che ci accompagna ogni giorno, che ci permette di vivere, gestire il nostro lavoro e la nostra quotidianità. Che ci dà uno spazio da abitare e che ci fa stare bene. Il design, l’architettura e l’arte sono ambiti compenetrati e compenetrabili. E anche noi, alla fine, siamo forma e siamo colore. Artista completo, con una lunga storia alle spalle e tanta ancora da scrivere, Morandini nel 1968 – non ancora trentenne – ha una sala personale dedicata alla Biennale di Venezia. Quell’edizione passa alla storia come la Biennale delle contestazioni, il clima è teso. Morandini allora fa una scelta dirompente e controcorrente: se ne va dall’Italia. Lui vuole lavorare intorno alla bellezza e all’armonia, non vuole vivere nella protesta e nella rabbia. Passerà diversi anni in Germania, tra gli anni Settanta e la fine del secolo, affinando lì la propria poetica fatta di un perfetto connubio tra rigore ed emozione, tra geometria e pathos. E poi tornerà. Nel corso di tutta la sua carriera di artista, architetto e designer Morandini si muove all’interno di una coerenza impeccabile. Il suo gioco visivo di bianchi e di neri, le sue spirali, le sue scacchiere, i suoi labirinti ipnotici, le sue strutture, i suoi solidi portano una firma invisibile e tuttavia evidente che li accomuna e che li rende riconoscibili. La suggestione del minimalismo,
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qui, è solo una suggestione perché non c’è niente di meno minimal di una spirale scandita in onde bianche e nere che si arrotola su se stessa secondo i ritmi ancestrali della conchiglia, pronta a catturarci in un abbraccio, catalizzatrice di memorie primitive, addirittura – verrebbe da dire – sottilmente barocca nella sua danza curvilinea. E certamente neanche l’apparentamento all’optical può essere sufficiente per dare l’idea di questi cerchi racchiusi uno dentro l’altro a definire rotte, orbite e traiettorie misteriose, perché qui l’occhio non è solo catturato, messo in crisi nelle sue certezze, ma è conquistato, sedotto, soggiogato alla ricerca di una chiave, spinto a percorrere quel perimetro potenzialmente infinito che per un attimo sembra accoglierlo dentro di sé e poi all’improvviso, alla curva successiva, subito lo ributta fuori in virtù della forza centrifuga. E che dire di opere come Ombra latina, la grande scultura esposta al Wilhelm Hack Museum di Ludwigshafen, in Germania, squisito gioco di equilibri in marmo bianco e granito nero che sembra una ballerina in bilico sulle punte? Arte programmata, sì. In un volume di storia dell’arte andremmo ad orientarci qui, anche per motivi cronologici e anagrafici. E poi la lezione del Costruttivismo, la disciplina del Bauhaus. Ma nel lavoro di Morandini c’è di più, qualcosa di unico e raro, una sorta di gioia visiva che lui riesce a comunicare semplicemente con la scansione ritmica dei bianchi e dei neri, nel gioco delle curve e
dei contrasti, rigoroso, certo, ma intriso di un’allegria impossibile da costringere e da soffocare. Come se lui fosse riuscito nella sintesi impossibile della famosa frase di Pascal, secondo cui “il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce”. Ecco: qui la razionalità, la forma e il rigore sembrano farsi portatori perfetti delle ragioni del cuore. La chiave di questa magia sta nel piacere che secondo Morandini è alla base del senso stesso della forma, quasi la sua mente non concepisse una forma che non sia armonia e perfezione. Ha cominciato come designer, racconta, studiando le forme, imparando a conoscerle e a carpirne i segreti e scoprendo ben presto che nell’evoluzione della forma più c’è rispetto per la persona che ne usufruirà e per lo spazio che quella forma andrà a occupare, meglio si vivrà. È una constatazione semplice, apparentemente, ma per niente ovvia e di sicuro fondamentale. Ed è quella che porta Morandini di forma in forma, di progetto in progetto, di architettura in architettura, dritto verso l’arte in un percorso consequenziale e senza inciampi. Prendiamo la sedia Bine. Davvero possiamo limitarci a considerarla un oggetto d’arredo? Questa fascia di legno laccato che dal pavimento sale come una corolla, si allarga nella seduta e poi di nuovo si restringe nello schienale svettante, sfidando il nostro sguardo a perdersi tra le corsie parallele delle righe bianche e nere, ipnotizzandolo nello spigolo vivo, regalandogli
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solo per un attimo l’illusione che il percorso sia finito e poi di nuovo spingendolo a salire lungo quel trono austero, costruito per un re degli scacchi, forse. Se esistesse uno strumento capace di misurare la percentuale di artisticità o di progettualità dentro gli oggetti, qui andrebbe in tilt. E lo stesso accadrebbe se con quello strumento cercassimo di analizzare il servizio da tè Tea for two, dove solo le due tazzine (candide, semplicissime, ma impreziosite dalla lieve bombatura e dalla rastremazione che rende la bocca più piccola rispetto alla base) sono effettivamente oggetti separati e separabili, mentre i piattini sono in realtà un solo pezzo, un’unica entità avvitata su se stessa e giocata su striature bianche e nere che si allargano e che si restringono a formare (romanticamente) il segno dell’infinito. E infine, a condire l’insieme, ecco i due manici: il tocco del rosso di un cuore da una parte e quello bronzeo di una punta di freccia dall’altra. “Il mio lavoro mi dà moltissimo e non mi preclude gioia e spensieratezza”, racconta l’artista quando allude a quei tocchi di colore sparsi qua e là come contrappunti musicali. Gioia che si annida nei dettagli di un piccolo capolavoro come il servizio da caffè Circolo color, del 1985, dove gli elementi si inclinano in un dinamismo che fa pensare a Boccioni (alle sue Forme uniche della continuità nello spazio, per essere precisi) e dove il colore entra leggero e improvvisa una danza: nei dischi che decorano il piatto, nei semicerchi gialli, turchesi, rossi, blu che si incastrano agli oggetti come se qualcuno li avesse gettati dall’alto e si improvvisano manici e appigli, nella scansione dei segmenti blu che spezzano la continuità del bianco, nei tagli di rosso. Non ha bisogno di colore per cantare la sua gioia
la Scacchiera Morandini del 2003, la cui base si reinventa in scansioni di sottili strisce bianche e nere che comunicano il dinamismo di un campo di battaglia e i cui pezzi si declinano in curve morbide costruite su tre archi. E ancora colore – selvaggio, questa volta, e tuttavia domato – alla base dell’Alfabeto, che affonda le sue radici nel costruttivismo eppure è incredibilmente libero. Guardarlo nella sua totalità è come assistere allo spettacolo di un prestigiatore, affascinati da qualcosa che ci sfugge e che al tempo stesso sembra così vicina. La chiave ce la offre Morandini con un piccolo suggerimento: “Ci sono cinque punti fermi, il resto è libertà assoluta”. C’è da domandarsi se mai saremo capaci – continuando a guardare quelle lettere danzanti fino a farci lacrimare gli occhi – di individuare quei punti, di svelare l’arcano. Probabilmente no. E in fondo così dev’essere quando si ha a che fare con la magia.
ALESSANDRA REDAELLI
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A L L T H E C O LO U R S O F B L AC K A N D W H I T E For Marcello Morandini there are no hierarchies in beauty. The harmony of form is something that surrounds us, that accompanies us every day, that allows us to live, to manage our work and our everyday lives. That gives us a space to live in and allows us to feel good. Design, architecture, and art are permeated and permeable settings. And at the end we too are form and colour. A complete artist, with a long history behind him and with much still to write, Morandini in 1968 – not yet 30 years old – has a solo room dedicated to his work at the Venice Biennale. That edition goes down in history as the Biennale of protests, the atmosphere is tense. So Morandini makes an explosive and maverick choice: he leaves Italy. He wants to work around beauty and harmony, he doesn’t want to live in protest and anger. He will pass many years in Germany, between the ‘70s and the end of the century, honing his own poetry formed from a perfect union between rigour and emotionalism, geometry and pathos. And then he will return. Over the course of his career as artist, architect, and designer, Morandini has moved within an impeccable coherence. His visual play with blacks and whites, his spirals, chessboards, hypnotic labyrinths, structures, solid geometry carry an invisible but nevertheless evident signature that links them and makes them recognisable. Here, the suggestion of minimalism is only a suggestion, because there is nothing less minimal than a spiral articulated in white and black waves that coils up on Itself according to the ancestral rhythms of the seashell, ready to capture us in an embrace, catalyst of primitive memories, even – some would say – subtly baroque in its curvilinear dance. And certainly not even the Op Art is sufficient to give the idea of these circles enclosed one inside the other to define wheels, orbits, and mysterious trajectories, because here the eye is not just captured, its certainties confused, but conquered, seduced, dominated by the search for a key, pushed to anticipate that potentially infinite perimeter that for a moment
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seems to welcome it inside and then suddenly, at the next curve, throws it back out by virtue of the centrifugal force. And what to say of works like Ombra latina, the great sculpture exhibited at the Wilhelm Hack Museum in Ludwigshafen, in Germany, exquisite play of balance in white marble and black granite that seems to be a ballerina on pointe? Programmed art, yes. We could go to an art history book to orient ourselves here, also for chronological and anagraphical reasons. And then the lesson in Constructivism, Bauhaus’s discipline. But in Morandini’s work there’s more, something unique and rare, a sort of visual joy that he is able to communicate simply with the rhythmic articulation of whites and blacks, in the play of curves and of contrasts, rigourous, sure, but soaked in a happiness which is impossible to force out and suffocate. As though he has succeeded in the impossible summary of Pascal’s famous phrase, according to which “the heart has its reasons of which reason knows nothing”. And there it is: here rationality, form, and rigour seem to make themselves perfect bearers of the heart’s reasons. The key to this magic is in pleasure, which according to Morandini is the basis of the one’s sense of form, as if the mind doesn’t perceive a form which is neither harmony or perfection. He began as a designer, he recounts, studying form, learning to know and understand the secrets and discovering early on that in the evolution of form, the more respect there is for the person who will benefit from it and for the space that it will go to occupy, the more it will live. It’s a simple observation, apparently, but not at all obvious, and for sure fundamental. And it is that which takes Morandini from form within form, design within design, architecture within architecture, straight towards art on a consequential path, without a stumble. Let’s take the chair Bine. Can we really limit ourselves to consider it a piece of furniture? This strip of painted wood that rises from the floor like a crown, widens at the seat and then once again
draws in at the towering back, challenging our gaze to lose itself among the parallel lanes of black and white lines, the sharp edge hypnotizing it, giving it, for just a moment, the illusion that the pattern is finished and then once again driving it to progress along that austere throne, built for a chess king, perhaps. If there existed an instrument capable of measuring the percentage of artistry or of design within objects, here it would go haywire. And the same would happen if that instrument tried to analyze the tea service Tea for two, where only the two teacups (candid, so very simple, but enhanced by the delightful convexity and by the taper that makes the teacup mouth smaller in respect to the base) are in fact separate and separable objects, while the saucers are actually a single piece, a single entity fastened to itself, expressed in white and black stripes that widen and narrow to form (romantically) the sign of the infinite. And finally, to ‘season’ the set, behold the two handles: the touch of the red of a heart on one part and that bronze of an arrow tip on the other. “My work gives me a great deal and doesn’t preclude joy and lightheartedness”, says the artist when he alludes to those sparse touches of colour here and there like musical counterpoints. Joy that nestles in the details of a small masterpiece like the coffee service Circolo color, from 1985, where the elements lean forward in a dynamism which makes one think of Boccioni (of his Forme uniche della continuità nello spazio to be precise) and where the colour enters lightly and improvises a dance: in the discs that decorate the plate, in the yellow, turquoise, red, and blue semicircles that wedge themselves around the objects as though someone had thrown them down from above and that act as handles and handholds, in the articulation of the blue segments that break the continuity of the white, in the slices of red. The porcelain Scacchiera Morandini (Morandini Chessboard) from 2003 has no need for colour to sing its joy, its base reinvented in articulations of thin white and black stripes that communicate the dynamism of a battlefield and its pieces declining in soft curves built on three arches.
And colour again - wild, this time, and yet tamed at the base of the Alfabeto, with its roots immersed in Constructivism, and yet incredibly free. To look at its totality is as though to attend the performance of an illusionist, fascinated by something which eludes us and at the same time seems so close. Morandini offers the key with a small suggestion: “There are five fundamental points, the rest is absolute freedom”. One wonders if we will ever be capable – continuing to look at those dancing letters until our eyes water - of pinpointing those points, of unveiling the arcane. Probably not. And in the end it has to be so when it comes to dealing with magic.
ALESSANDRA REDAELLI
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659 A - 2017
2017 | Tecnica mista su pannello | Ed. 2 | 120 x 120 x 3,8 cm
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665 - 2017
2017 | Legno laccato | Ed. 5 | 48 x 45 x 45 cm
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645 A - 2016
2016 | Tecnica mista su pannello | Ed. 2 | ø 80 x 3 cm
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645 B - 2016
2016 | Tecnica mista su pannello | Ed. 2 | ø 80 x 3 cm
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639 A - 2015
2015 | Legno laccato | Ed. 5 | 33 x 33 x 33 cm
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626 A - 2015
2015 | Plexiglas | Ed. 3 | 70 x 60 x 6,3 cm
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617 - 2014
2014 | Plexiglas | Ed. 5 | ø 45 x 14 cm
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608 - 2013
2013 | Legno laccato | Ed. 5 | 44,5 x 48 x 30 cm
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597 - 2012
2012 | Plexiglas | Ed. 5 | 50 x 50 x 7,5 cm
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579 - 2011 | 579 A - 2011 | 579 B - 2011
2011 | Tecnica mista su pannello | Ed. 3 | 50 x 50 x 6,5 cm
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577 - 2011
2011 | Plexiglas | Ed. 5 | ø 44 x 21,5 cm
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487 B - 2005
2005 | Plexiglas | Ed. 5 | 50 x 50 x 18 cm
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441 B - 2004
2004 | Tecnica mista su pannello | Esemplare unico | 50 x 200 x 4 cm
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ALFABETO
1986 | Rosenthal, Selb (DEU)
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SCACCHIERA MORANDINI
2003 | Porcellana bianca e nera | Ed. 99 | Rosenthal, Selb (DEU) | 10 x 60 x 60 cm
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CARTE DA GIOCO ERGONOMICHE 2000 | Marienza, Varese (ITA)
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SEDIA CA’ PESARO
2008 | Plexiglas | Metea, Guanzate (ITA) | 80 x 40 x 43 cm
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SEDIA BINE
1991 | Legno laccato I Sawaya & Moroni, Milano (ITA) | 100 x 90 x 37,5 cm
PANCA POSSEDUTA
2008 | Legno laccato I Cleto Munari, Vicenza (ITA) | 80 x 135 x 50 cm
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TAVOLO STUHLTISCH
2014 | Legno laccato | Bruno Longoni, Cantù (ITA) | 75 x 200 x 50 cm
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TAVOLO POKER
2002 | Legno laccato e cristallo | Abitare Baleri, Bergamo (ITA) | 74 x 100 x 100 cm
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TEA FOR TWO
2006 / 2015 | Porcellana | Design Memorabilia, New York (USA) | 7,4 x 30,5 x 16,2 cm
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MARCELLO MORANDINI Mantova, ITA, 1940
Nasce a Mantova il 15 maggio 1940. Si trasferisce a Varese nel 1947. Frequenta la Scuola d’Arte di Brera a Milano, città dove lavora anche come aiuto designer per un’industria e come grafico per uno studio professionale. Sono del 1962 i primi disegni legati alla sua ricerca artistica. Nel 1964 inizia le prime opere tridimensionali, esposte nella sua prima mostra personale a Genova nel 1965, curata da Germano Celant. Nel 1967 inizia le prime esposizioni più impegnative a Milano, Francoforte e Colonia. Nello stesso anno è invitato alla “IX Biennale” di San Paolo in Brasile. Nel 1968 è invitato con una sala personale nel padiglione italiano, alla “XXXIV Biennale Internazionale d’arte” di Venezia. Nel 1969 è invitato a rappresentare l’arte italiana a Bruxelles, nell’ambito delle manifestazioni di “Europalia”. Nel 1970 inizia una collaborazione con il gallerista Carl Laszlo di Basilea; con lui nasce l’importante esposizione del 1972 alla Kestnergesellschaft di Hannover. Nel 1974 realizza il progetto di una piazza del diametro di 30 metri, per il centro commerciale INA di Varese.
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Nel 1977 è invitato a “Documenta 6” di Kassel. Organizza presso i Musei Civici di Varese il secondo “Simposio Internazionale di studi di arte costruttiva” con H. Heinz Holz. Nel 1978 allestisce altre sei sue esposizioni personali in musei in Italia, Austria, Svezia e Germania. Nel 1979 ha la prima delle tre esposizioni personali a lui dedicate dal Wilhelm-Hack-Museum di Ludwigshafen, le altre due seguiranno nel 1994 e nel 2005. Nei primi anni ottanta inizia una lunga collaborazione con gli studi di architettura Mario Miraglia di Varese e Ong & Ong di Singapore, dove rimane lunghi periodi, per alcuni importanti progetti di architettura, come il Goldhill Center di 38 piani. Nel 1982 è invitato con Attilio Marcolli a “documenta urbana” a Kassel e nello stesso anno riceve una borsa di studio dal DAAD, per un soggiorno di tre mesi a Berlino. Nel 1984 realizza la sua prima esposizione di arte e design al Museo della Ceramica a Cerro di Laveno, Varese. Nello stesso anno è invitato in Giappone; iniziano in questo periodo contatti personali con studi di architettura, visite in alcune università ed esposizioni in diversi musei, curate dall’editore e gallerista Masaomi Unagami di Tokyo. Sempre nel 1984 progetta in Germania la facciata di 220 metri della fabbrica di porcellane Thomas a Speichersdorf. Nel 1985 organizza tre importanti esposizioni, la prima all’Axis Gallery di Tokyo, poi una retrospettiva al Museo di Bochum e una a Verona, al Museo di Castelvecchio. Nel 1986-1987 continua la sua attività espositiva nei musei di Darmstadt, Düsseldorf, Mannheim, Helsinki. Il 1987 è anche un periodo di grande collaborazione con la società Rosenthal di Selb per la quale studia la facciata di 64 metri del nuovo edificio amministrativo. Nel 1988 Peter Volkwein, direttore del Museo di Ingolstadt, gli commissiona il progetto di una scultura di 40 metri, come simbolo esterno del museo. Nel 1991 trascorre un lungo periodo a Kuala Lumpur, in Malaysia, per progettare l’architettura di un edificio commerciale di 34 piani. Nel 1993 ha la prima importante mostra antologica abbinata di arte e
design al Museo Die Neue Sammlung di Monaco che esporrà l’anno successivo a Lisbona al Palacio Galveias per “Lisbona capitale europea della cultura”. Dal 1994 è membro della giuria del Design Center di Essen. Nello stesso anno assume l’incarico di presidente del Museo Internazionale di Design Ceramico a Cerro di Laveno, Varese, incarico che manterrà per tre anni. Dal 1995 al 1997 è docente di arte e design all’Accademia estiva di Salisburgo. Dal 1997 al 2001 è visiting professor all’Écal di Losanna. Nel 1998 nasce sua figlia Maria Enza, da allora concentra maggiormente il suo lavoro a Varese, città che nel 2000 gli dedica un’importante retrospettiva nel suo museo e un catalogo edito da Charta, Milano. Nel 2000 inizia una collaborazione con “Abitare Baleri” di Bergamo, studiando una collezione di mobili per la casa. Nel 2003 è docente all’Accademia di Brera di Milano. In Svizzera tiene lezioni alla scuola superiore orologiera HEAA di La Chaux-De-Fonds. Dirige la Sommerakademie a Plauen per il risanamento del parco Martin Lutero. A partire dallo stesso anno è presidente dell’Associazione Liberi Artisti della Provincia di Varese. Nel 2004 è coordinatore del progetto “Vivere Venezia 3” all’Università IUAV di Venezia. Su commissione del Wilhelm-Hack-Museum, progetta una grande scultura di 10 metri per la piazza adiacente al museo. Viene eletto membro onorario del Royal Designer for Industry di Londra. Nel 2005 allestisce in Germania un’importante esposizione antologica di arte e design, all’Europäisches Industriemuseum di Plößberg e al Fürstenberg Museum. Inaugura con una sua mostra personale il nuovo Ritter Museum a Waldenbuch. Nello stesso periodo inaugura il suo progetto per piazza Montegrappa a Varese. Nel 2007 progetta l’architettura del centro culturale “Das kleine Museum” a Weissenstadt in Germania. Nel 2008, concomitante alla Biennale di Architettura, il Museo Ca’ Pesaro di Venezia allestisce una sua importante esposizione, che sarà poi integrata ed esposta l’anno successivo al Neues Museum di Nürnberg. Nel 2010 inaugura una sua scultura di 11 metri, come simbolo
dell’Europäisches Industriemuseum di Plößberg, in omaggio a Philip Rosenthal. Fonda a Varese “Artparty” per la cultura sul territorio. Inaugura una sua retrospettiva alla Casa del Mantegna a Mantova. Nel 2013 partecipa alla Biennale Internazionale di Scultura di Racconigi. Nel 2014 si dedica alla progettazione di due importanti esposizioni personali, al Museo Nazionale di Bayreuth, in Germania e alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma. Nel 2015 partecipa in Germania a tre esposizioni dedicate a tre temi culturali: a München alla galleria Renate Bender con la mostra dal titolo “Black and White”, a Waldenbuch al Museum Ritter “Ein Quadrat ist ein Quadrat” e a Konstanz alla Galerie Geiger per il 40° anniversario della galleria. Poi altre tre esposizioni su temi diversi a Varese: al castello di Masnago a Lugano, alla Cortesi Gallery e al Museum of Art di Fukuyama, in Giappone. Durante l’anno 2016 ha voluto sperimentare la realizzazione di nove differenti esposizioni personali in gallerie private: in Italia a Venezia, Milano, Bologna e Verona, in Austria a Graz e Vienna, in Germania a Costanza, più la presenza in due mostre personali in fiere d’arte a Verona e a Padova. Durante il 2016 si è concretizzata inoltre la collaborazione con Marco Orler nata da una reciproca stima personale. Queste esposizioni sono state progettate per spazi diversi al di fuori di considerazioni di solo prestigio, ma ognuna importante per conoscere luoghi, modi, valori umani e professionalità differenti. Il 2017 non avrà una continuità con le gallerie del 2016 ma vedrà il primo importante impegno espositivo con il Museo MaGa di Gallarate dall’11 marzo al 30 luglio dove avrà modo di ufficializzare la sua Fondazione/Museo Marcello Morandini. Attualmente si occupa della sua fondazione, nata nel mese di dicembre 2016, e della ristrutturazione della sua sede in Varese che sarà operativa, anche come museo, alla fine dell’anno 2018 e della realizzazione dell’impegnativo volume autobiografico/catalogo ragionato. È in corso fino alla fine di aprile un’importante esposizione personale alla Scuola Grande della Misericordia di Venezia.
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Marcello Morandini was born in Mantua on the 15th of May 1940. He moved to Varese in 1947. He attended the Brera Art Academy in Milan where he also worked as an assistant designer for an industry and as a graphic artist for a professional studio. The first drawings with direct reference to his artistic research date to 1962. In 1964 he began his first three-dimensional works, exhibited in 1965 in his first one-man exhibition held in Genoa, curated by Germano Celant. 1967 saw his first important exhibitions in Milan, Frankfurt and Cologne. In the same year he was at the IX Biennial of Sao Paolo in Brazil. In 1968 he was invited with a personal room in the Italian Pavilion to the XXXIV Venice International Biennial. In 1969 he was invited to represent Italian art in Brussels as part of the Europalia exhibitions. In 1970 he began a collaboration with the gallery owner Carl Lazlo in Basle. Thanks to this collaboration in 1972 the artist held his important one-person exhibition at the Kestnergesellschaft in Hanover. In 1974 he planned a city square with a diameter of 30 metres for the INA commercial centre in Varese. In 1977 he was invited to Documenta 6 in Kassel. At the Civic Museums of Varese he organized with H. Heinz Holz the second “International Symposium of Constructive Art Studies”. In 1978 he held another six one-man exhibitions in museums in Italy, Austria, Sweden and Germany. In 1979 he had the first of the three one-man exhibitions dedicated to his work by the Wilhelm-HackMuseum in Ludwigshafen (the other two followed in 1994 and 2005). In the first years of the 1980s he began a long collaboration with the architectural studios of Mario Miraglia in Varese and Ong & Ong in Singapore where he remained for long periods, working on some important architectural projects such as the 38-floor Goldhill Center. In 1982, together with Attilio Marcolli, he was invited to “Documenta Urbana” in Kassel. In the same year he was awarded a scholarship by DAAD for a sojourn of three months in Berlin. In 1984 he held his first exhibition of “art and design” at the Museo della Ceramica in Cerro di Laveno (Varese). During the same year he was invited to Japan. This period saw the beginning of personal contacts with architectural studios, visits to a number of universities and exhibitions in diverse museums, supervised by the publisher and gallery owner Masaomi Unagami (Tokyo). In the same year in Germany he created the project for the facade of 220 metres for the Thomas porcelain factory in Speichersdorf. In 1985 he organized three important exhibitions: the first was at the Axis in Tokyo; then a retrospective exhibition at the Museum
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Bochum; and finally one in Verona, at the Museo di Castelvecchio. In 1986-1987 he continued his exhibition activity in Darmstadt, Düsseldorf, Mannheim and Helsinki. 1987 was also a period of a fecund collaboration with the Rosenthal Company in Selb (Bavaria) for which he studied the facade of 64 metres for the company’s new administrative building. In 1988 Peter Volkwein, the director of the Ingolstadt Museum, commissioned a project for a sculpture of 40 metres as the external symbol of the museum. In 1991 he spent a long period in Kuala Lumpur in Malaysia in order to create the architectural project for a commercial building of 34 floors. In 1993 he held his first important anthological exhibition of art and design at the Die Neue Sammlung Museum in Munich. The following year it was reproposed at the Palácio Galveias during “Lisbon: European Capital of Culture”. In 1994 he was appointed member to the jury of the Essen Design Center. In the same year he was appointed president of the International Museum of Ceramic Design in Cerro di Laveno (Varese). From 1995 to 1997 he held the position of professor of art and design at the Summer Academy in Salzburg. From 1997 until 2001 he was Visiting Professor at the Écal School in Lausanne. In 1998 his daughter, Maria Enza was born. From this point he mainly concentrated his work in Varese, which in 2000 dedicated an important retrospective exhibition to the artist in the museum of the city, accompanied by a catalogue published by Charta (Milan). In 2000 he began a collaboration with Abitare Baleri in Bergamo, studying a collection of home furnishings. In 2003 he was Professor at the Brera Art Academy in Milan. In Switzerland he held lessons at the HEAA Watch School in La Chaux-De-Fonds. He directed the Sommerakademie in Plauen for the restoration of the park dedicated to Martin Luther. From the same year he was appointed president of the Free Artists Association of the Province of Varese. In 2004 he coordinated the “Living Venice 3” project at the IUAV University in Venice. Commissioned by the Wilhelm-HackMuseum he created the project for a large sculpture of 10 metres for the square adjacent to the museum. He was elected Honorary Member of the Royal Designer for Industry (London). In Germany in 2005 he held an important anthological exhibition of art and design at the Europäisches Industriemuseum in Plößberg and the Fürstenberg Museum. He inaugurated the new Ritter Museum in Waldenbuch with a one-man exhibition. During the same period he inaugurated his project for the Piazza Montegrappa in Varese. In 2007 he planned
the architecture of the Das kleine Museum cultural centre in Weissenstadt (Germany). In 2008, in concomitance with the Biennial of Architecture, the Ca’ Pesaro Museum in Venice housed an important exhibition which the following year was reproposed and amplified in the venue of the Neues Museum in Nürnberg. In 2010 he inaugurated his 11 metres sculpture as the symbol of the Europäisches Industriemuseum in Plößberg, tribute to Philip Rosenthal. In Varese he founded “Artparty” to promote the culture of the region. He held a retrospective exhibition at the Casa del Mantegna in Mantua. In 2013 he partecipated to the International Biennal of Sculpture in Racconigi. In 2014 he applies himself in designing two important personal exhibitions, one in Kunstmuseum of Bayreuth, in Germany, and the other at the National Gallery of Modern Art of Rome. In 2015, he took part in three exhibitions showcasing three cultural themes: in Munich at the Renate Bender Gallery with “Black and White”; in Waldenbuch at the Ritter Museum with “Ein Quadrat is ein Quadrat”, and in Konstanz at the Galerie Geiger to celebrate its 40th anniversary. They were followed by three exhibitions on various themes in Varese at the Castle of Masnago, in Lugano at the Cortesi Gallery and at the Museum of Art in Fukuyama, Japan. In 2016, he was involved in nine one-man shows: seven held in private galleries - in Italy in Venice, Milan, Bologna and Verona; in Austria in Graz and Vienna; in Germany in Konstanz - and two at art fairs in Verona and Padua. He also teamed up with Marco Orler that year in a collaboration prompted by mutual esteem. These shows were designed for various settings, not primarily with a view to mere prestige, but because each was important as a way of understanding places, customs, human values and differing professional skills. Although, in 2017, he will not be participating in shows at the 2016 galleries, his first high-profile exhibition of the year will be held at the MA*GA Museum in Gallarate from 12th March to 16th July, when he will officially confirm the opening of the Marcello Morandini Foundation and Museum. Most of the year will be devoted to renovating and completing the premises in the centre of Varese and to finalising his complex autobiography-cum-catalogue raisonné, which will be published in time for the inauguration of the Museum at the end of this year. An important solo exhibition is currently running until the end of April at the Scuola Grande della Misericordia in Venice.
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