15 | S U S S U R R I | ILARIA DEL MONTE JILL HÖJEBERG TINA SGRÒ | PUNTO SULL'ARTE

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SUSSURRI 17 MAGGIO – 11 GIUGNO 2015 MOSTRA A CURA DI / CURATED BY: ALESSANDRA REDAELLI CATALOGO A CURA DI / CATALOGUE CURATED BY: SOFIA MACCHI E GIULIA STABILINI TESTI / TEXTS: ALESSANDRA REDAELLI PROGETTO GRAFICO / GRAPHIC PROJECT: MITESYS Copyright ©PUNTO SULL’ARTE

PUNTO SULL’ ARTE | VIALE SANT’ANTONIO 59/61 | 21100 VARESE (VA) | ITALY | +39 0332 320990 | INFO@PUNTOSULLARTE.IT


ILARIA DEL MONTE JILL HÖJEBERG TINA SGRÒ



SUSSURRI Quando si deve parlare di arte al femminile, ci si trova davanti a un inevitabile momento di stallo. Perché già la definizione porta in sé una serie di trappole pericolosissime e la prima (ovvia, ma forse non per tutti) è che a nessuno mai verrebbe in mente di parlare di “arte al maschile”. Eppure l’arte al femminile è una pianta che non solo ha ancora bisogno di essere studiata, ma anche coltivata. La convinzione che oggi donne e uomini artisti lavorino in una condizione di parità è un errore grossolano. Non accadeva solo ai tempi di Artemisia Gentileschi o magari di Berthe Morisot e Mary Cassatt che le artiste fossero mosche bianche. Sfogliando – tanto per fare un esempio a caso – l’ultimo catalogo della Fiera di Bologna, si fa una scoperta: scorrendo i nomi degli artisti trattati dalle gallerie (e siamo tutti d’accordo sul fatto che Artefiera sia un buon campione per quanto riguarda le gallerie italiane) si nota che quelli femminili rappresentano una percentuale davvero bassa. Non è certo questa la sede idonea ad indagare i perché, ma è chiaro che questo dato ci pone di fronte a una realtà: parlare di arte al femminile è tutt’altro che scontato. Forse – oso – è un dovere. Parlare di arte al femminile significa scandagliare nell’insieme caotico e multiforme dell’arte contemporanea per scovare un filone prezioso e lì indagare le correnti e le emozioni che sottendono questa fetta particolare e unica nel mondo delle arti visive. Non necessariamente caratterizzata da toni più delicati o da temi diversi, ma certamente da un approccio altro, più viscerale, più interiore, più “di pancia”. Forse perché, costretta per tanto tempo a rinunciare al “fuori”, la donna ha imparato a guardarsi molto bene dentro, e sono le sue emozioni e il suo sentire a filtrare i dati della realtà. Meno orientata sul sociale e più sul particolare la voce femminile usa molto più spesso il sussurro che non l’urlo. Ecco allora una mostra sussurrata. Tre donne: tre racconti diversissimi, personalissimi, eppure uniti da una profondità di analisi che ci arriva come un suono leggero, direttamente al cuore. Ilaria Del Monte è una cantastorie contemporanea, una maga inventrice di favole intrise di incantesimi e abitate da personaggi fatati. Giovanissima, padroneggia una pittura potente e intensa, figlia del grande Novecento italiano. Nelle sue tele si respirano echi di De Chirico e Carrà, di Casorati e del più vicino Balthus, ma anche suggestioni che possiamo far risalire fino al nostro Quattrocento. Con grazia, senza alcuna pesantezza, l’artista rielabora queste lezioni preziose e ce le restituisce in punta di pennello attraverso i suoi interni fioriti, deliziosamente folli, dove figure femminili leggiadre si intrattengono con piante sottilmente invasive o chiacchierano con animali parlanti, come giovani bellissime streghe. La qualità della pittura e la nitidezza del segno si fanno pelle morbida e luminosa, chiome soffici, infiorescenze ipertrofiche o fioriture di piante tropicali su tappeti che sembrano prendere vita. Nell’architettura perfetta di queste stanze – che potrebbero essere uscite da un romanzo di Márquez o da un racconto

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di Isabel Allende – si svolgono dialoghi misteriosi, si odono sussurri squisitamente femminili, si colgono gesti e danze di cui a volte sfugge il senso ma che lasciano incantati e ipnotizzati, mentre decifriamo qualche traccia leggibile nei simboli dell’iconografia classica che l’artista ha disseminato nel dipinto per noi: dal pesce al cervo, al pavone, alla figura perfetta e eterna dell’uovo. Intanto, però, a una seconda occhiata, la prospettiva mostra cedimenti leggerissimi, come un vago precipitare verso lo spettatore per catturarlo. E una sorta di erosione interiore, rivelata anche dalle tappezzerie che vanno lentamente scollandosi dal muro, ci riempie di incertezza e di inquietudine. Ancora stanze per Tina Sgrò. Quasi come se questi interni diventassero metafora del guardarsi dentro. Ma le stanze di Tina non hanno abitanti, sono esse stesse vive, respiranti, e i sussurri che sentiamo provengono dal loro cuore misterioso. Capace di una gestione ineccepibile delle luci e delle ombre, maestra nel costruire un ambiente usando un solo colore e giocando esclusivamente sull’intensità dei toni e sul fulgore della luce, l’artista ci regala questa teoria di ambienti che a uno studio attento ci appaiono come una galleria di ritratti e di emozioni. Concentrata su un obiettivo precisissimo, coerente da sempre a questa pittura e tuttavia sempre fresca, nuovissima, mai ripetitiva, l’artista dosa sapientemente sula tela dolcezza e furore. La dolcezza è quella dei toni che vanno sfumando gradualmente uno nell’altro, dei contorni che non sono mai netti, ma sempre avvolti da una bruma soffice, delle luci soffuse che vanno ad insinuarsi negli angoli e con il loro contatto leggero scolpiscono le forme. Il furore è quello del gesto, perché Tina Sgrò, a dispetto di quella che può essere la prima impressione davanti ai suoi lavori eleganti ed equilibrati, è una pittrice dal gesto potente, un’istintiva che ha fatto sua la lezione delle grandi avanguardie. In pennellate veloci e decise, senza tentennamenti né esitazioni, l’immagine va prendendo vita sulla tela, tra ombre palpitanti e luci che all’improvviso squarciano il silenzio. E quello che resta è una pittura fortemente emotiva, sensoriale, verrebbe da dire. Senza fatica, ci accorgiamo che di quelle stanze riusciamo ad avvertire il profumo, un misto di legni antichi, polvere, e qualche nota di gelsomino o di ambra lasciati dal passaggio fugace di una figura femminile; ne avvertiamo al tatto la consistenza, morbida nei velluti e nei broccati, liscia e sfuggente nelle superfici lucide. Ma, soprattutto, di quelle stanze udiamo i suoni: il ticchettio soporifero di una vecchia pendola, il fruscio leggero della tenda mossa dal vento e i sussurri di discorsi antichi, di confidenze segrete, mai dimenticate, rimaste nascoste negli angoli più bui solo per rivelarsi a noi. Sceglie un linguaggio completamente diverso Jill Höjeberg, quello della scultura astratta. Dopo anni di oblio, in cui i pochi artisti che si dedicavano all’astratto venivano giudicati, con una certa apprensione, o folli o coraggiosissimi eroi, l’arte aniconica sta vivendo un nuovo momento di fortuna. Il mercato la cerca e molti giovani artisti ricominciano

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a cimentarvisi. Non è un terreno facile, quello dell’astratto, soprattutto quando si parla di scultura: troppi mostri sacri difficili da eguagliare. Eppure il potere evocativo dell’astratto, la sua capacità quasi magica di toccare corde profonde arrivandovi direttamente, senza bisogno di passare attraverso i canali percettivi, in gesti lievi come un sussurro, è qualcosa di unico, qualcosa che quando lo si padroneggia dà all’artista un accesso diretto alle emozioni del fruitore. E’ questo che fa Jill. Perché le sue sculture nascono proprio dall’esigenza di trasformare le emozioni in forme solide. Spogliando il gesto di ogni dettaglio superfluo, riducendo il movimento alla sua sola sostanza, ecco che Jill trasforma l’abbraccio di due innamorati in spirali di materia avvolte su se stesse, nodi scivolanti che ci lasciano costantemente nel terrore che finiranno per allentarsi. L’abbraccio – che lei stessa definisce quasi più un abbraccio mentale che fisico: il pensiero di un abbraccio dedicato a una persona lontana – diventa qui corpo che si racchiude in se stesso, che cerca di afferrare nella solitudine, nel ricordo e nel raccoglimento l’emozione di una presenza. Marmo, alabastro, bronzo, vetro si fanno lettere di un alfabeto emotivo primordiale e universale, dove il coraggio diventa uno slancio della materia oltre un ostacolo, dove la maternità diventa legame inestricabile di forme e dove la femminilità si dispiega in forme accoglienti, figlie allo stesso modo delle Grandi Madri primitive e delle sinuose figure femminili di Henry Moore.

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WHISPERS Dealing with women’s art inevitably produces a stalemate within the discussion. The definition itself carries a series of traps among which the most relevant one is that nobody would ever talk about men’s art. Nonetheless women’s art is a plant which should be both studied and cultivated. The belief that men and women artists work in equality is a huge mistake. Women artists are still black swans, like Artemisia Gentileschi, Berthe Morisot and Mary Cassatt were. Flipping through the last catalogue of Artefiera in Bologna –just to name one- it can be found that women artists represent a very low percentage (and we can all agree that Artefiera represents a good sample of Italian galleries). This is not the proper place to discuss the issue, however this fact demonstrates that talking about women’s art is anything but obvious, on the contrary – I dare to say – it is a duty. Dealing with women’s art means to plumb the chaotic and manifold universe of contemporary art to pull out their precious current thence investigating its tendencies and emotions. It is not necessarily characterized by softer tones or different subjects, but surely by a different approach, more instinctive and inner. It might be due to the fact that women, for long obliged to forgo the outward, learned to look at their inner side, analysing reality through their emotions and feelings. Being less focused upon social issues, more upon details, women’s voice prefers to whisper rather than shouting. That is why a whispered exhibition has been set up. Three women: three different stories yet connected by a capacity of analysing reality which strikes as a soft sound, straight into the heart. Ilaria Del Monte is a contemporary story teller, a sorceress who creates fairy tales filled with spells and enchanted characters. Although very young, she masters a powerful and intense painting, deeply inspired by the Italian painting of the XX century. Her works recall De Chirico, Carrà, Casorati and Balthus, as well as suggestions from XV century art. She gracefully reworks their lessons through her flowered, delightfully weird, interiors where feminine figures entertain with plants or chat with talking animals, like wonderful witches. Her virtuosity and precise brush strokes give birth to soft and bright skin, voluminous hair, huge blooms and tropical plants which seem to rise from the carpets. Within her perfectly structured rooms – which seem to come from a novel by Márquez or Isabel Allende – mysterious dialogues develop, feminine whispers can be perceived, as well as enchanting gestures and dances, while iconographical symbols fill the painting: from fishes to deers, peacocks and the perfect and eternal egg shape. However, after a second glance, perspective seems to collapse towards the audience, capturing it. Moreover, a sort of interior decay, represented by the ungluing wallpapers, causes uncertainty and anxiety. Also Tina Sgrò chose rooms as her subject, as a metaphor for inner analysis. Although her chambers are deserted, they are alive and breathing and their mysterious hearts whisper.

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Perfectly knowing how to balance lights and shadows, and to build an ambience by using a single colour, the artist creates a series of rooms which seem a gallery of portraits and emotions. Focused upon a precise objective, being faithful to her painting yet innovative, she rations tenderness and fury. The first one is described by the hues blending into one another, the undefined contours wrapped into soft haze and suffused lights which insinuate within corners and sculpt forms. Fury is expressed through gesture since Tina Sgrò, in spite of the first impression in front of her elegant and balanced works, uses powerful strokes; she is an impulsive artist who absorbed the lessons of the great avantgardes. The image rises from the canvas, through fast and determined strokes, among beating shadows and lights which suddenly break silence. The result is an emotional and sensorial painting. The scent of the chambers can be perceived as a mixture of ancient woods, dust and a fragrance of jasmine or amber belonging to a woman; its consistency can be almost touched, soft within the velvets and brocades, smooth and fleeing upon shiny surfaces. Above all, the sounds can be perfectly heard: the soporific ticking of an old pendulum, the swish of the curtains moved by the wind and the whispers of ancient talks, of secret and never forgotten confidences, which revealed to us after having hidden within the darkest corners. Jill Höjeberg chose a completely different language, the one of abstract sculpture. After years of oblivion, back when the artists who devoted themselves to abstract were considered mad or brave heroes, aniconic art is living a new fortunate period. The market is seeking for it and many young artists are choosing it as their style. It is not an easy path, especially when dealing with sculpture: too many legends hard to equal. Nonetheless, the evocative power of abstract, its capacity of reaching inner emotions through gestures as soft as whispers, with no need of passing through perceptive canals, is something unique which, when properly handled, provides the artist with a direct access to the audience’s emotions. This is what Jill does, since her sculptures derive from the need of turning her emotion into solid forms. By depriving gestures of any redundant detail and reducing movement to its essence, Jill converts the embrace between two lovers into spirals of matter, slipping knots which almost seem to slacken, thus arousing anxiety within the audience. The embrace – which the artist herself defines more mental than physical: the thought of an embrace dedicated to a distant person – becomes an enclosed body which tries to seize the emotion of a presence through loneliness, remembrance and meditation. Marble, alabaster, bronze and glass become letters of a primitive emotional alphabet, wherein courage turns into a leap done by matter beyond an obstacle, maternity becomes an entangled bond of forms and femininity deploys itself within comfortable forms, inspired by the primitive sculptures of mothers and the sinuous feminine figures by Henry Moore. ALESSANDRA REDAELLI

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ILARIA DEL MONTE SCORCI DI REALISMO MAGICO Ogni volta che mi imbatto nei dipinti di Ilaria Del Monte, mi viene in mente, irresistibilmente, Gabriel Garcìa Màrquez. Mi sembra di respirare qui quelle stesse atmosfere vagamente soffocanti che si avvertono quando lo scrittore colombiano ci spinge ad addentrarci nella casa labirintica del colonnello Aureliano Buendìa, fino al suo laboratorio dei pesciolini d’oro; o quando ci parla di una stanza costruita apposta senza finestre, perché gli incubi non possano entrare. Dove altro si potrebbe collocare, se non in un romanzo di Màrquez, la fanciulla in sottoveste che con lo sguardo perso nel vuoto, come in un dormiveglia, intreccia i capelli che escono dal ritratto appeso al muro e poi ferma le trecce con dei pesci rossi? O le due fanciulle sognanti sdraiate su un tappeto – certamente magico – la cui fantasia floreale è così vivida da darci l’impressione di sentire il profumo dei fiori e forse anche il canto degli uccelli? E loro, le fanciulle, ci si rivelano come creature stranamente gemellate, unite non dalla medesima pelle, ma da un unico vestito che le avvolge entrambe. E poi ecco l’altra ragazza, quella la cui epidermide sembra emanare da dentro una luminosità rosata, la stessa che accende tutta la scena, e mentre le sue gambe si trasformano in una coda di fiori rosa, lei è pronta a spiccare il volo fuori dalla finestra, nella notte. Dipinge con un controllo e una padronanza della materia assoluti, Ilaria Del Monte, ed è capace di una finitezza nei dettagli che risulta ancora più incantevole quando va a sovrapporsi a quelle prospettive leggermente sfalsate, precipitanti, creando nello sguardo una sorta di allarmato spiazzamento. I suoi lavori, tuttavia, figli del grande novecento italiano – da De Chirico a Carrà e a Casorati – prima ancora che per la raffinatezza esecutiva colpiscono per la delicata profondità dei soggetti. Per quei racconti squisitamente femminili dove la donna appare ammantata di magia e detentrice di una sorta di potenza primordiale, di un sesto senso che la fa dialogare con le piante e gli animali, che le rende possibile animare gli oggetti e modificare lo spazio. Strega inquietante e seducente capace di rapirci per sempre nelle sue stanze. Senza via di fuga.

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ILARIA DEL MONTE GLIMPSES OF MAGICAL REALISM Whenever I bump into Ilaria Del Monte’s paintings, I overwhelmingly recall Gabriel Garcìa Marquèz. They are filled with the same oppressive atmospheres used by the Colombian writer to describe Aureliano Beundìa’s labyrinthine house and his laboratory of golden fishes; or the room built without windows to shut out nightmares. The girl in petticoat staring at the void, as if she were half-asleep, could exclusively come from a novel by Marquez, since her braided hair exit the painting to be fixed with goldfishes. As well as the two girls lying on a – surely magical – carpet whose floral decoration is so vivid that the scent of the flowers and the chirping can be almost perceived. They seem to be siamese twins, connected by the dress which envelops both. At last, the girl whose skin emanates a pink brilliance that enlightens the whole scene; while her legs turn into a pink tale of flowers, she is preparing to jump out of the window, in the night. Ilaria Del Monte is a skilled painter, able to reproduce perfect details. Such mastery becomes even more astonishing when it combines with her staggered perspectives, which cause an alarming confusion within the audience. Her works, deriving from the Italian painting of the XX century – from De Chirico, to Carrà and Casorati – strike for the delicate intensity of the characters rather than the subtlety of the execution. Within her paintings, women seem to be wrapped with magic, a primordial power, a sixth sense allowing them to dialogue with plants and animals, enliven objects and modify space. Disturbing and seductive witches who can imprison us in their chambers. Without any escape.

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JILL HÖJEBERG LA FORMA DELLE EMOZIONI Il suo intento, spiega, è quello di trasformare la pietra in qualcosa dall’apparenza soffice, elastica, qualcosa che sia capace di tradurre in materia solida le sue gioie e i suoi sogni. Perché quello che affascina Jill Höjeberg da sempre, da quando ha capito che la sua vocazione era l’arte, è il legame fortissimo che esiste tra emozioni e forme. Nascono così le sue sculture dalle linee sinuose e dalle superfici levigate, così seducenti da rendere quasi involontario il gesto di sfiorarle con la mano. Realizzate in marmo, alabastro, bronzo, qualche volta vetro, sono indubitabilmente da ascrivere al regno dell’astratto, e tuttavia contengono qualcosa di così reale, di così corporeo, da farcele leggere quasi sempre come frammenti di gesto. Gesto, fin dal primo sguardo, inequivocabilmente femminile. Un’unica linea morbida, ininterrotta, definisce il contorno e la materia va ad addensarsi in forme turgide e poi improvvisamente guizzanti, scivolanti, creando una sorta di primitivo alfabeto di sensazioni. C’è la figura massiccia, scura, racchiusa in se stessa come in un abbraccio, e non è possibile non vedervi una stilizzata maternità pagana. Ci sono i nodi sciolti della serie degli Abbracci, perché il nodo è simbolo primordiale, di legame, ma anche di desiderio da realizzare, di preghiera. E qui il movimento lento, non ancora del tutto compiuto, fa pensare ad Amore e Psiche, immobilizzati per sempre da Canova nell’istante perfetto – occhi negli occhi – prima del bacio. Ci sono le spirali dal percorso infinito. Ci sono quelle che lei ha esplicitamente raccolto nella serie chiamata Figure femminili: forme concave, accoglienti, racchiuse, protettive, inattaccabili; uteri pronti a farsi contenitori di vita. Ma ci sono anche gli Ostacoli, dove il marmo si fa portatore di forza e di energia. Guizzante, elegantissima, sottile, qui la forma si arrampica, si insinua, scavalca a dimostrare che ogni ostacolo può essere superato e che l’uomo (o forse la donna) può andare ben oltre quelli che crede i propri limiti.

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JILL HÖJEBERG THE FORM OF EMOTIONS As stated by Jill Höjeberg, her aim is to turn stone into something soft and elastic, thus translating her dreams and delights into solid matter, since she has always been fascinated by the strong connection between emotions and forms. This is the relationship lying behind her sinuous and polished sculptures which almost induce touching. Marble, alabaster, bronze and glass sculptures which, even though belonging to the realm of Abstract, own such real and tangible features to be perceived as fragments of a gesture. A feminine gesture. A single soft and continuous line defines the contours, while matter thickens into turgid forms which become flickering, creating a sort of primitive alphabet of emotions. There is the huge and dark figure, as withdrawn as an embrace, which clearly recalls a pagan maternity. There are the untied knots of the Abbracci series, which represent both bond and prayer; their slow, unfinished movement recalls Amore e Psiche, perfectly seized by Canova within the moment before their kiss. There are the endless spirals. The ones gathered within the Figure Femminili series: concave, comfortable, enclosed, protective and faultless forms, uterus ready to become hosts of life. There is the Ostacoli series too, where marble bears power and energy. Its forms are flickering, elegant and thin; they climb, slide and leap over to demonstrate that any obstacle can be overcome since men (or women) can go further beyond their limits.

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TINA SGRÒ STANZE DI LUCE Tina Sgrò è un’artista completa e coerente e ha già raggiunto, pur essendo giovane, maturità e compiutezza. Il suo lavoro corre univoco e lineare fin dagli esordi e tuttavia negli anni si è come compattato, arricchito di dettagli, diventando una firma. Quasi un marchio di fabbrica. Perché Tina Sgrò si identifica oggi con i suoi interni costruiti in pennellate soffici e veloci, gremiti di piccoli dettagli tipici di un certo mondo passato, sostanziati di una luce morbida, pulviscolare, che permea ogni segno del pennello e che si fa lei stessa architettura. Luce che si acquatta nelle penombre, negli angoli, e che poi irrompe all’improvviso da una finestra aperta e diventa quasi materia solida, capace di ribaltare la prospettiva e annullare le certezze, di spalancare precipizi che mettono le vertigini. E’ la luce a dare forma ad ogni oggetto, anche il più minuto, insinuandosi e diventando riflesso. Perché se si guarda il lavoro nei particolari ci si accorge che i contorni non esistono, sfumano in polvere, in suggestioni: sono materia luminosa. Anche i colori, in fondo, si rivelano superflui. Basta un unico bruno, o un semplice nero, come in Doppia luce: capolavoro di equilibri luminosi. Lì, il mobile al centro (che il nostro cervello ricostruisce come tale, ma che è solo pigmento e punti luminosi) è il fulcro di una forza magnetica che sembra attrarre il buio, in lotta con la luce che ha conquistato i lati del dipinto e che si è solidificata nelle vetrate, nel riflesso dello specchio e in quello del pavimento. Non serve altro all’artista per raccontarci la stanza e le emozioni che vi si agitano. Nessun colore. Solo, quasi invisibili, concede una punta di fucsia a un lato dello specchio e due pennellate liquide di azzurro a suggerire dei fiori. Nulla di più. E se quando il punto di vista è ravvicinato la materia si sfalda, facendosi totalizzante e avvolgente, diventa più netta e definita in opere come Sala gialla. Lì lo sguardo si distanzia, permettendoci il distacco, salvandoci dall’essere totalmente travolti dall’emozione. Sontuosa come la scenografia di un film in costume, la sala ci seduce nei dettagli delle poltrone imbottite, del lampadario ricco, del piccolo tavolino gremito di oggetti sullo sfondo, della stoffa leggera dei tendaggi. Ma la luce è lì, in agguato, pronta a ghermirci. Sta già facendo il suo ingresso trionfale dalla finestra. E noi lo sappiamo che ci basterà fare un altro passo all’interno della stanza. E allora, come in un incantesimo, ci avrà catturati per sempre.

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TINA SGRÒ CHAMBERS OF LIGHT Tina Sgrò is a whole and coherent artist who, although still young, has already reached maturity and completeness. Since the beginning, her work has been univocal and consistent, then it progressively coalesced, enriching with details thus turning into her feature. Like a label. Tina Sgrò identifies herself with her ambiences built through soft and swift brush strokes, packed with tiny details deriving from a past reality and legitimated through subdued and chalky light, which fills each scratch and becomes architecture. Light which crouches within dimness and corners can suddenly burst from an open window and turn into solid matter, thus overturning perspective, nullifying certainties and flaring dizzying cliffs. Light shapes every object by insinuating and becoming glare. Observing the details of the work, it can be noticed that contours don’t exist, they vanish into dust and suggestions: like bright matter. Colours are needless too. Brown and black suffice, as in Doppia luce: a masterpiece of bright balances. The central piece of furniture (recognized as such by our brain, although it is only colour and bright spots) is the fulcrum of a magnetic force which attracts darkness, in struggle with the light that fills the sides of the painting, the windows, the mirror and the floor. The artist doesn’t need anything else to describe the room and its emotions. No colours. Just a hint of fuchsia, barely perceivable, on one side of the mirror and two strokes of blue to indicate flowers. Nothing else. From a close distance matter flakes, becoming absorbing and enveloping, whereas it is clear and sharp within works like Sala gialla. By detaching from the work, the overwhelming emotions can be partially suspended. As sumptuous as a costume movie, the audience is seduced by the details of the easy chairs, the rich chandelier, the small table filled with objects, the thin fabric of the curtains. Nonetheless, light waits in ambush, ready to grasp. It is already preparing its triumphant entrance from the window. One more step into the chamber and we would be forever spellbound.

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OPERE


ILARIA DEL MONTE


I LIMITI DELLA CONVERSAZIONE Olio su tela | 80 x 90 cm | 2013-2015

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PINK TAIL Olio su tela | 60 x 70 cm | 2015


ROSES FROM DELOS Olio su tela | 80 x 90 cm | 2014

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LA SPOSA D’INVERNO Olio su tela | 120 x 150 cm | 2015


L’ARMADIO NORMANNO Olio su tela | 80 x 90 cm | 2013

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IL GIORNO DI LEDA Olio su tela | 60 x 70 cm | 2013


MADDALENA DEI PESCI ROSSI Olio su tela | 60 x 50 cm | 2013

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JILL HÖJEBERG


HOLDING VISIONS BLACK Marmo Nero Belgio | 46 x 27 x 19 cm | 2015

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EXPANDING DREAMS Alabastro | 34 x 23 x 15 cm | 2015


EXPANDING DREAMS Marmo Nero Belgio | 40 x 23 x 14 cm | 2015

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SLEEPLESS Marmo Statuario | 35 x 43 x 34 cm | 2015


BENDING STONE Marmo | 20 x 24 x 19 cm | 2014

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HOLDING DREAMS Marmo di Carrara | 28 x 18 x 23 cm | 2014


HUMANIZING BENDING STONE 1 Marmo di Carrara | 28 x 25 x 24 cm | 2014

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BLACK HOLE Marmo Portoro | 35 x 9 x 35 cm | 2012


MERGING GALLAXIES Marmo Statuario | 36 x 30 x 25 cm | 2012

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TINA SGRÒ


TAVOLO Acrilico su tela | 100 x 100 cm | 2014

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INTIMA CROCE Acrilico su tela | 90 x 60 cm | 2014


SOLITARIA Acrilico su tela | 90 x 80 cm | 2013

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SALA GIALLA Acrilico su tela | 160 x 200 cm | 2012


CONSOLLE Acrilico su tela | 100 x 110 cm | 2012

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LUCE SUL TAVOLO Acrilico su tela | 95 x 100 cm | 2015


SENZA TITOLO Acrilico su tela | 95 x 100 cm | 2015

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BIOGRAFIE


BIOGRAFIE ILARIA DEL MONTE Nasce nel 1985 a Taranto. Nel 2008 si laurea in Pittura all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano e nel 2010 completa la specializzazione in Arti Visive presso la medesima Accademia. Le sue opere colpiscono per la delicata profondità dei soggetti e per la raffinatezza esecutiva. Dipinge con un controllo e una padronanza della materia assoluti, e con una particolare attenzione nella finitezza dei dettagli. Dal 2010 ha realizzato diverse mostre personali a Milano, Ravenna, Como, Lecce, Venezia e Berlino. Numerose anche le partecipazioni a mostre collettive e a Fiere di settore in Italia. Vive e lavora tra Matera e Milano.

JILL HÖJEBERG Nasce nel 1949 a Norwalk (Connecticut, Stati Uniti). Nel 1967 si iscrive alla George Washington University e nel 1996 si specializza in scultura presso l’Art Students League di New York. Spinta da una costante ricerca di armonia e bellezza, Jill Höjeberg realizza forme astratte che racchiudono l’essenza della femminilità. Opere armoniche e sinuose, sculture in marmo, alabastro e vetro che colpiscono per il loro senso di elasticità, energia e forza. Negli ultimi anni ha lavorato periodicamente in centro Italia, in alcuni dei luoghi più famosi per l’estrazione del marmo e dell’alabastro. Ha realizzato mostre personali e collettive nei paesi scandinavi e in Italia. Vive e lavora a Stoccolma

TINA SGRÒ Nasce nel 1972 a Reggio Calabria. Consegue il diploma in Pittura presso l’Accademia di Belle Arti della sua città e dal 2003 espone in mostre personali e collettive in Italia. Partecipa a importanti concorsi nazionali, tra cui il Premio Morlotti (finalista nel 2000), il Premio Arte Mondadori (vincitrice nel 2006) e il Premio Arte Laguna (finalista nel 2011 e 2013). Artista completa e coerente, Tina Sgrò si identifica con i suoi interni costruiti in pennellate soffici e veloci, gremiti di piccoli dettagli tipici di un certo mondo passato, sostanziati di una luce morbida che si fa lei stessa architettura. Vive e lavora a Reggio Calabria.

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BIOGRAPHIES ILARIA DEL MONTE Born in Taranto in 1985. In 2008 she graduated in Painting at the Academy of Fine Arts of Brera in Milan and in 2010 she majored in Visual Arts at the same Academy. Her works strike for the delicate intensity of the subjects and the executive refinement. She profitably uses matter, particularly focusing upon details. Since 2010 she realized various solo exhibitions in Milan, Ravenna, Como, Lecce, Venice and Berlin. She also took part into many group exhibitions and Art Fairs in Italy. She lives and works between Matera and Milan.

JILL HÖJEBERG Born in 1949 in Norwalk (Connecticut, USA). In 1967 she enrolled at George Washington University and in 1996 majored in sculpture at the Art Students’ League in New York. Driven by a constant research for harmony and beauty, Jill Höjeberg realizes abstract forms which enclose the essence of femininity. Sinuous and harmonic works; marble, alabaster and glass sculptures which seize the audience for their flexibility, energy and strength. Within the last few years she mainly worked in central Italy, in some of the most famous sites for marble and alabaster mining. She took part into many solo and group exhibitions in Scandinavia and Italy. She lives and works in Stockholm.

TINA SGRÒ Born in 1972 in Reggio Calabria. She graduated in painting at the Academy of Fine Arts in her city and since 2003 she took part into solo and group exhibitions in Italy. She participated to important national contests, among which Premio Morlotti (finalist in 2000), Premio Arte Mondadori (winner in 2006) and Premio Arte Laguna (finalist in 2011 and 2013). As a whole and coherent artist, Tina Sgrò identifies herself with her ambiences, which are built through soft and swift brush strokes, packed with tiny details deriving from a past reality and legitimated through subdued and chalky light, which fills each scratch and becomes architecture. She lives and works in Reggio Calabria.

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