identità storica: valorizzazione e recupero
Relazione tecnica di intervento per la conservazione del tessuto urbano e delle caratteristiche tipologiche della città murata e del quartiere garibaldi/savoia in San Salvo
Progetto ideato e sostenuto dall’Assessorato alla Cultura del Comune di San Salvo e dall’Assessorato ai Lavori Pubblici con delibera di G.M. n. 217 del 31.10.2014
Responsabile scientifico Davide Longhi
Coordinamento storico artistico Giovanni Artese
Rilievi, elaborazioni cartografiche e grafiche Denis Bordignon
Impaginazione Denis Bordignon
Crediti fotografici Denis Bordignon, Gino Bracciale, Alfonso Franciotti Marco Granata, Antonio Longhi, Davide Longhi, Michele Molino,Fernando Sparvieri con il contributo di: Annina Fabrizio in De Nicolis, Nicola Civitarese, Remo Colanzi in copertina: palazzo Ciavatta e casa Malatesta, nell’area prospiciente la Porta della Terra (della prima espansione extra moenia)
indice
valorizzazione e recupero dell’identità storica 7 profilo storico 11 spazio pubblico 19 città murata 27 quartiere Garibaldi-Savoia 45 elementi di valore storico architettonico 57 buone pratiche di recupero attivate 71 intervenire sul patrimonio storico: linee guida 83 bibliografia essenziale 91
valorizzazione e recupero dell’identità storica
Questa “Relazione tecnica d’intervento per la conservazione del tes suto urbano e delle caratteristiche tipologiche della città murata e del quartiere Garibaldi/Savoia”, in altri termini una “valorizzazione e recu pero dell’identità storica” dei più antichi quartieri di San Salvo, è stata voluta dagli Assessorati comunali alla Cultura e ai Lavori Pubblici; e af fidata poi agli architetti Denis Bordignon (responsabile dei rilievi, delle elaborazioni cartografiche e grafiche) e Davide Longhi (responsabile scientifico) dello Studio Patwork di Padova. Fino al 1980 erano mancati a San Salvo tanto una programmazione quanto degli strumenti urbanistici efficaci per intervenire sulla zona del Centro storico. Successivamente sono stati adottati e approvati il cosiddetto “Piano Spagnesi” e, dal 2000/2001, il Piano di Recu pero Centro Storico (detto “Piano Merlino-Mascarucci”), che - nelle intenzioni - avrebbero dovuto produrre una svolta ma che, alla verifica operativa, si sono rivelati entrambi inadeguati: il primo perché troppo rigido, il secondo perché, nel tentativo – fondamentalmente non riu scito - di riportare abitanti e vivibilità nei quartieri centrali, ha consen tito interventi che ne hanno alterato forme e funzioni.
Negli ultimi 60 anni sono stati abbattuti o decisamente modificati circa i due terzi del costruito storico, con motivazioni ancora attinenti alle cattive condizioni statiche degli edifici, alla creazione di nuovi spazi oppure alle esigenze di una mutata condizione di vita senza il suppor to di una rigorosa analisi storico-architettonica dell’abitato medievale,
nella pagina accanto: corso Garibaldi dal balcone della Porta della Terra in una foto del 1907 sopra: veduta prospettica di corso Gari baldi, 1959 circa
moderno, ottocentesco e di primo Novecento, con le sue peculiarità tanto nei palazzi gentilizi quanto nelle residenze contadine e popolari. Ci sono tipologie (quelle cinquecentesche, ad esempio) che sono sta te quasi interamente eliminate per fare spazio alla in genere pessi ma edilizia degli anni del secondo Novecento. Si sono prodotti inoltre sopraelevazioni, superfetazioni e aumenti di cubatura spropositati su strade e vicoli dalla larghezza modesta, creando problemi estetici ma anche in termini di standard ai residenti, favorendo così l’abbandono piuttosto che il recupero e l’investimento nel Centro storico. Persino i colori degli edifici intonacati si sono gradualmente persi, a vantaggio di nuovi colori, come alcune tipologie di giallo e di rosso post-moder no che nulla hanno a che vedere con la nostra tradizione. Eppure è bastato qualche evento in passato, come “Cortili e porte aperte” degli anni ‘90 del Novecento, o l’allestimento di un piccolo presepe vivente, in un vicolo dietro la Chiesa di San Giuseppe, appena lo scorso 21 dicembre 2014, per farci comprendere quanto potente sia il “fascino dell’antico”, la capacità che “vecchie mura” e poveri edifici di mattoni e pietre hanno di evocare memorie e atmosfere del passato, e quanto importante possa risultare il contesto soprattutto per le manifestazioni di ordine culturale o turistico.
Abbiamo dunque la consapevolezza che adesso, restando peraltro in vigore i vecchi strumenti urbanistici - P.R.G. e P.R.C.S.-, sia difficile operare diversamente e che occorre molto impegno perché si possa sviluppare una nuova sensibilità urbanistico-architettonica in grado di incidere sui processi reali. Non per questo, tuttavia, ci tireremo indie tro. Oltretutto il centro storico, compreso il quartiere Istonio, occupa circa 6/7 ettari di edificato, rispetto agli attuali circa 400 ettari di edifi cato urbano complessivo (su di un territorio comunale che comprende in tutto 1.961 ettari); ma costituendo di fatto l’abitato di un lungo periodo della storia di San Salvo va proprio per questo maggiormente considerato, tutelato e valorizzato, così negli edifici come nello spazio pubblico delle vie, dei larghi e delle piazze, luoghi da sempre essen ziali per la socialità, la politica e la cultura della comunità.
sopra e nella pagina accanto: Palazzo Sabatini, tra corso Garibaldi e corso Umberto I, ex palazzo de Vito, negli anni ‘50 del Novecento e oggi
profilo storico
La città di San Salvo ha origini antiche. Tracce di un villaggio italico (frentano) sono state rinvenute nei pressi della chiesa di San Giuseppe, mentre è ampiamente documentato l’insediamento romano che - inizialmente castrense (II-I sec.a.C.) - gradualmente si estese (fino al III/inizi IV sec. d.C.) su di un’area complessiva di almeno 5/6 ettari. Lo attestano: l’acquedotto ipogeo (tuttora funzionante); le murature di alcune domus, dotate di capienti ambienti per la conservazione di vino, olio e grano; i marmi e i mosaici ritrovati negli scavi archeologici di piazza San Vitale (provenienti dalla Grecia, Medio Oriente e Africa Settentrionale) nonché un’importante citazione di Plinio il Vecchio (nel I sec. d. C.) circa la presenza di un porto commerciale alla foce del Trigno attraverso cui si sviluppava il traffico con il Mediterraneo.
La crisi dell’Impero romano d’Occidente (V sec. d.C.), interessando anche questo abitato (di cui tuttora ignoriamo il nome), portò ad una diminuzione della sua popolazione, in parte per trasferimenti nelle vil lae, cospicue residenze/aziende rurali diffuse su tutto il territorio.
Dopo il difficile periodo altomedievale del VII-VIII secolo (susseguente alla conquista longobarda) l’area della ormai diruta e in gran parte abbandonata città romana fu interessata da un insediamento monastico benedettino, una cella poi monastero di Santo Salvo (Monasterium Sancti Salvi), databile al IX/inizi del X secolo. Alla chiesa e agli edifici conventuali ben presto se ne aggiunsero altri, lungo il perimetro delle mura di difesa (di circa 400 metri), destinati ad usi diversi, soprattutto residenziali (dando poi origine al primo nucleo abitativo - eponimo - di San Salvo). Tanto la chiesa quanto gli altri edifici, si riallineavano su di una direttrice est-ovest, la medesima dell’antico decumano romano. Il monastero benedettino (cassinese), romanico nello stile, sareb be, nel 1204, passato nell’orbita dell’Ordine Cistercense (attraverso Casanova) sicché quando i cistercensi insediarono altre abbazie in Abruzzo, la penultima (delle cinque) fu edificata proprio nel territorio di San Salvo. Chiamata Abbazia di San Vito del Trigno, essa venne fondata - intorno al 1257/58 - nella pianura dell’omonimo fiume, in globando la chiesa e il territorio di San Salvo. Intorno alla metà del Trecento, tale abbazia fu investita dalla crisi accompagnatasi alla dif-
no all'Unita' d'Italia Il borgo medievale
no alla Seconda guerra mondiale
no agli anni Sessanta del Novecento
no ad oggi
fusione della “peste nera” e la sua sede venne perciò trasferita nel monastero di San Salvo, che da allora assunse il titolo di “Abbazia dei Santi Vito e Salvo”.
I monaci cistercensi, protagonisti di una importante fase di ripresa economica (essendo in grado di gestire floride aziende nel basso Tri gno: agricole, di allevamento di animali e pesci, artigianali ecc.), erano oltretutto portatori di un nuovo stile architettonico, definito appunto gotico-cistercense, le cui tracce si evidenziano sulla vecchia faccia ta e il campanile della chiesa di San Salvo, demoliti nel 1961/62. La chiesa fondeva insieme l’architettura romanica delle origini, che riuti lizzava soprattutto conci, pietre e laterizi dei ruderi delle fabbriche ro mane, e l’architettura gotica proveniente dalla Francia, caratterizzata da contrafforti e monofore o bifore strombate.
In seguito alle difficoltà del monachesimo cistercense, nella prima metà del Quattrocento l’Abbazia dei SS. Vito e Salvo venne affidata a degli abati commendatari nominati dalla Curia di Roma, che la governarono da lontano fino al 1776: quando il territorio dell’Abbazia infine fu ac quisito e passò al Comune di San Salvo. In questo periodo, il nucleo abitato conobbe fasi economiche diverse. Tra la fine del Quattrocento e il Cinquecento sicuramente la popolazione crebbe e l’edificato pro babilmente si ampliò un poco anche al di fuori delle mura medievali (la “corte cistercense”); ma nel corso del Seicento andò incontro ad una fase di arretramento economico, sociale, culturale ed edilizio.
Il borgo medievale
no all'Unita' d'Italia
La ripresa giunse solo negli anni Trenta/Quaranta del Settecento; e da allora la crescita non si sarebbe più arrestata, fino ai nostri giorni. Nel corso del Settecento, con la chiesa ormai intitolata a San Giuseppe e con San Vitale che diveniva (nel 1745) il Patrono della comunità, la popolazione passò dai circa 350 ai circa 1.070 abitanti attivando una nuova edificazione lungo le strade tangenti il borgo medievale (attuali corso Umberto I, via Orientale e strada Fontana Vecchia) e lungo le direttrici degli attuali corso Garibaldi e via Savoia. L’espansio ne urbanistica sarebbe proseguita e si sarebbe accentuata nel corso dell’Ottocento, secolo in cui la popolazione crebbe (anche grazie a un fenomeno di immigrazione dai paesi collinari e montani) fino a raggiungere - nel 1801 - la quota di 2.727 abitanti. In tale periodo, mentre si occupavano gli ultimi spazi interni al borgo medievale, anche con alcune belle abitazioni neoclassiche e liberty, si strutturavano il quar tiere tra Corso Garibaldi e via Savoia (fino a raggiungere la chiesa extra moenia di San Nicola) e quello situato tra corso Umberto I e la prima parte di via Roma.
fasi di sviluppo della struttura urbana no ad oggi
no agli anni Sessanta del Novecento no alla Seconda guerra mondiale
Ai primi del Novecento, sarebbe sorto (accogliendo soprattutto operai e braccianti immigrati dei dintorni) - con uno schema murattiano - il
nella pagina accanto: evoluzione storica del tessuto urbano nell’immagine sopra: la città murata, il quadrante Savoia Gari baldi e il quartiere Istonio all’interno del perimetro del “Centro storico” definito dal P.R.C.S. del 2000/2001
quartiere Istonio (Quart’abballe) e sarebbe proseguita l’edificazione su corso Garibaldi, via Fontana Vecchia e poi via Istonia e via Trignina (le ultime due strade coincidenti con il percorso della “strada Nazionale 16 Adriatica”). Al 1936 la popolazione di San Salvo aveva raggiunto i 3.628 abitanti.
Quasi tutto il resto dell’edificato, con l’eccezione delle chiese della Madonna delle Grazie e di San Rocco e di alcuni fabbricati già rurali o comunque isolati, è dunque il frutto del vistoso e rapido fenomeno di espansione urbana successivo alla II Guerra Mondiale e, in particolare al cinquantennio 1964/2014, quando la popolazione residente è passata dai 4.823 ai circa 20.000 abitanti. Fenomeno che ha riguardato anche la Marina di San Salvo, che fino al 1943 era composta di poche abitazioni del cosiddetto “Borgo rurale”, di alcune masserie, il mulino
Pantanella, il Silos per l’ammasso del grano e la Stazione ferroviaria.
Volendo descrivere più in dettaglio lo sviluppo urbanistico più recente di San Salvo si può dire che, se fino al Settecento erano poche le aree edificate fuori le mura, nel corso dell’Ottocento e primo Novecento esso si consolidava progressivamente lungo le maggiori direttrici di comunicazione esistenti, radialmente rispetto alla città murata (estovest: corso Garibaldi - via Fontana - via Madonna delle Grazie; e verso nord: lungo corso Umberto I - via Roma - via Istonia).
Rilevanti erano le aree libere da costruzioni soprattutto dove i dislivelli apparivano più evidenti. Quindi a nord-est della città murata e a sud della strada Savoia.
in alto: corso Umberto I nel 1932, da una imma gine pubblicata da “Il Centro”
E’ interessante osservare come le depressioni vallive che lambivano la città: una, “il valloncello” (dove scorre oggi via Montegrappa), una seconda che scendeva accanto alla sede di via Istonia (dove ora c’è la villa comunale), e l’altra sul limite orografico del pendio (che porta verso le aree pianeggianti dell’attuale area industriale) creavano dei forti impedimenti alla diffusione degli insediamenti. Uno dei primi quartieri di nuova espansione poco dopo la II guerra mondiale è quello - pressoché ortogonale - che ha come assi portanti le vie San Giuseppe e de Vito, realizzato attraverso una spontanea lot tizzazione privata. Successivamente le aree che si edificano a partire dalla fine degli anni Sessanta del Novecento sono quelle della zona Stadio, a nord e a sud della seconda parte di corso Garibaldi (fin ol tre il cosidetto “termine”) infine il quartiere della 167 e sulla direttrice verso Montenero di Bisaccia. Molto più recente è l’urbanizzazione di Colle Pagano, degli Stingi e di Sant’Antonio. Va rilevato che l’urbanizzazione del secondo Novecento e dei primi del XXI secolo ha prodotto, malauguratamente, anche una sostanziale modifica del costruito storico, introducendo demolizioni (a partire delle abitazioni nel cuore della città murata, della Porta della Terra e della facciata della chiesa di San Giuseppe) e ristrutturazioni che, di fatto, stravolgono l’identità del Centro storico cittadino, in alcune parti si può dire in maniera marcata e pressoché definitiva.
nella pagina accanto: la curva del “giardinetto” con il Monu mento ai Caduti, sul percorso della strada “Nazionale 16” negli anni Trenta; in primo piano il dolium detto “la menare”; e due viste opposte di via Roma tra il 1950 e il 1960.
sopra: tra le residenze dei Cilli e dei Napolitano, la rinascimentale Porta della Terra, dopo l’intonacatura dei conci dell’arco (prece dentemente in bugnato);
spazio pubblico
Lo schema insediativo della parte storica della città risponde a regole molto semplici che vedono la forte corrispondenza tra tessuto edilizio e spazio aperto di relazione.
Nella forma della griglia urbana dello spazio pubblico, strade, vicolo, piazze e slarghi danno una forte connotazione spaziale alla lettura della città raccontando il modo d’uso dello spazio, il tipo di attività all’aperto che un tempo lo aveva generato, il tipo di mezzi di trasporto che doveva percorrerlo, oltre che dati più complessi come la divisione originaria delle proprietà, il tipo di materiali da costruzione disponibili nell’area, le tecniche costruttive tramandate e sviluppate nella zona.
Per esempio la pavimentazione tipica delle strade di San Salvo era l’acciottolato realizzato con pietre del fiume Trigno arrotondate di dia metro tra i 5 e i 10 cm, intervallate a rombi con listature in mattone. Si può leggere questo uso in una foto storica della ex Piazza del Munici pio, ora piazza San Vitale. Questa pavimentazione è completamente sparita a San Salvo, mentre è ancora presente a Vasto all’interno del cortile del Palazzo D’Avalos.
Il corso Garibaldi era stato nel Novecento pavimentato ugualmente in acciottolato ma con tessitura continua e con i marciapiedi delimitati con cordoli in pietra bianca.
La pavimentazione in ciottoli di fiume permetteva un maggior adatta mente alla topografia dello spazio pubblico, e si legava visivamente all’uso dei materiali da costruzione delle facciate.
Le strade minori erano in terra battuta e furono invece pavimentate in asfalto nel secondo Novecento. Attualmente l’asfalto è stato progres sivamente sostituito da lastre di porfido posate a correre con cordo latura dell’asse stradale.
Il legame con i materiali delle facciate è scomparso, la morbidezza della pavimentazione e i chiaro scuri spariti, ma è innegabile il miglio ramento rispetto all’asfalto.
Purtroppo invece la pavimentazione della Piazza San Vitale, un vero e proprio vuoto urbano, dove per la maggior parte le facciate non si relazionano tra loro, lascia molti più dubbi. Rapporti di scala sfalzati, rapporti volumetrici casuali, quinte murarie che erano in realtà dei
nella pagina accanto: slargo e arco della porta orientale della città murata; sono interessanti le scale esterne tipiche del centro storico ormai quasi del tutto sparite
sopra: antica pavimentazione di piazza San Vitale in ciottoli di fiume riquadrati da mattoni; pavimentazione novecentesca di corso Garibaldi in ciottoli e profili in pietra per i cordoli dei marciapiedi; in basso: pavimentazione del cortile di palazzo
in alto: uno slargo lungo via Martiri d’Ungheria lungo il tracciato delle mura . Si noti come gli edifici di impianto settecente sco a destra siano fuori dal perimetro delle mura medievali costruite in ade renza sul sedime del vallo nella pagina accanto: l’angolo sud est delle mura lungo via fontana che ha il muraglione a ovest
retri che oggi si affacciano nella piazza, conferiscono allo spazio una sensazione di scarsa armonia.
A peggiorare la situazione la nuova pavimentazione in cubetti di porfido, con riquadrature in cubetti di marmo bianco, che danno alla piazza una sensazione di ancor maggiore casualità delle fac ciate che vi si affacciano. In più i resti archeologici romani e me dievali, oggi portati in luce, frammentano il disegno aggiungendo ulteriori elementi di casualità rispetto al disegno complessivo. Probabilmente un disegno della piazza che riportasse in luce sul la pavimentazione il disegno dei vicoli, delle case demolite, dei resti archeologici ricoperti, del tracciato delle mura, avrebbe rida to coerenza allo spazio senza imporre una nuova griglia casuale.
La struttura degli spazi storici era fortemente gerarchizzata nei seguenti elementi:
- le vie di accesso alla città come corso Garibaldi, corso Umberto I, via Roma, oltre che l’asse costituito da strada Fontana e via Savoia;
- le piazze maggiori come piazza San Vitale e la nuova piazza fuori le mura, Piazza Papa Giovanni XXIII;
- le piazzette all’interno del tessuto del quartiere Savoia e della
città murata, che sono importanti snodi un tempo utilizzati per le attività all’aperto legate alla vita quotidiana: essiccazione di prodotti alimentari, riparazione di carri e manutenzioni, stazionamento dei cavalli e degli asini, il ricamo e altre attività domestiche che non si potevano svolgere in casa; - i vicoli che principalmente si sviluppano in andamento nord sud, tra via Savoia e corso Garibaldi, e vanno dai sette metri a un metro e mezzo di larghezza, oltre i vicoli che connettevano il densissimo tessuto “casuale” costruito dentro la città murata; - i muraglioni che sono dei sistemi tradizionali per raccordare le costruzioni con i forti dislivelli delle strade adiacenti: oltre i due lungo la via Fontana e Fontana Vecchia se ne trovano numerosi esempi in altre aree del centro storico come in corso Umberto I, via Fontana Nuova, via Trignina (parzialmente).
Nella definizione dello spazio pubblico la facciata dell’edificio è un elemento importantissimo perché limita e indirizza lo sguardo, dà il senso dell’apertura e della chiusura dell’abitato rispetto allo spazio esterno, esplicita i rapporti tra residenti, dichiara la ricchezza dei suoi abitanti e la loro storia.
Per poter comprendere le ragioni di alcune scelte architettoniche che nei secoli si sono avvicendate all’interno del tessuto residenziale, oltre
ad un approfondito studio della storia e della struttura economica lo cale, può essere utile una classificazione delle facciate organizzando le per tipi che si ripetono all’interno del tessuto urbano, come è stato fatto in parte per i due quartieri analizzati.
Il Piano di Recupero individua alcune categorie principali: gli edifici mono o pluricellulari, di impianto semplice o modificato, i palazzi gen tilizi e tutti gli altri casi che non evidenziano rilevanza storica, che si trovano principalmente al di fuori delle aree oggetto di indagine. E’ importante sottolineare che l’aggiornamento stilistico e l’amplia mento della struttura è un dato comune a molti edifici; è quindi impor tante prestare attenzione a tali modificazioni, che hanno a loro volta un valore storico artistico.
Il forte degrado delle aree centrali oggi è un preoccupante segnale di disinteresse verso la parte più fortemente rappresentativa della città, dei suoi abitanti e della loro storia. Inserimenti di edifici di dimensioni eccessive, con balconi e sporti, uso di colori violenti e impropri della tradizione, demolizione e trasformazione di elementi architettonici storici, abbandono degli edifici da parte dei residenti e deterioramento di molti fabbricati hanno prodotto una vera di struzione progressiva del centro, sostenuta anche dalle scelte di piano che permettono la demolizione degli edifici più antichi senza nessuna regola di intervento in chiave conservativa.
L’effetto di impoverimento della qualità spaziale è evidente e solo parzialmente reversibile tramite interventi di armonizzazione dell’edilizia tra vecchio e nuovo. Colori, proporzioni, superfici, tetti bucature e balconi devono essere presi in considerazione come un sistema di progetto unitario.
Auspicabile è la possibilità di intervenire sul tessuto con una revi sione delle regole di intervento nel centro storico, fondamentale per la salvaguardia della storia della città.
nella pagina accanto: principali tipi edilizi (estratto del Piano di Recupero vigente); sovrapposto in blu le diverse espansioni urbane:
1. città murata (impianto medievale)
2. quartiere Savoia-Garibaldi (‘700-’900)
3. quartiere Fontana Vecchia (‘800-’900)
4. quartiere Roma (‘800-’900)
5. rione Istonio quasi interamente ad un piano (inizio ‘900)
6. quartiere de Vito-San Giuseppe (se condo Novecento)
città murata
La “città murata”, impropriamente definita “Il Quadrilatero” perché chiusa da un perimetro di edificato grossolanamente quadrato, costituisce di fatto il cuore del Centro storico di San Salvo.
Riedificata sui resti della abbandonata città romana, di cui si posso no apprezzare i ritrovamenti nel Museo Civico Archeologico e nella nuova costruzione a copertura dei mosaici policromi, la sua struttura è interamente medievale. Furono i frati benedettini del monastero di Santo Salvo a definirla, nel IX-X secolo, edificandovi al centro la chie sa - allora dedicata a Santa Maria poi a San Giuseppe - e l’annesso convento. Quest’ultimo disponeva, intorno al chiostro, il cui il pozzo è ancora visibile, di edifici destinati al coro, al refettorio, ai dormitori dei monaci e dei conversi, alla biblioteca, alla foresteria e ai magazzini.
Lungo il muro perimetrale difensivo, sul cui lato occidentale si apriva la porta di entrata-uscita (dal Cinquecento detta “Porta della Terra”), sarebbero gradualmente sorti edifici ad uso produttivo insieme alle abitazioni di servi, braccianti e coloni prevalentemente addetti alla cura delle terre monastiche.
Dopo l’insediamento dei Cistercensi (sec. XIII), e con l’aumento della popolazione residente, questa corte, già definita “di San Salvo”, conobbe nuove edificazioni che andarono a colmare gli spazi interni lasciando al pubblico solo quelli indispensabili all’uso viario.
L’identità urbanistica e architettonica della “città murata” rimase pres soché intatta fino al Quattrocento; nel Cinquecento e nel Settecento (secoli di sviluppo economico e demografico) le nuove edificazioni debordarono dal perimetro del borgo medievale in direzione degli at tuali corso Garibaldi e corso Umberto I, modificando anche la struttu ra della città storica dalla forma quadrata in un’altra a schema di “L” rovesciata.
Nel corso dell’Ottocento, mentre proseguiva l’espansione urbana dei nuovi quartieri extra moenia, si riedificavano o ristrutturavano anche edifici della “città murata”, sicché ad architetture romanico-gotiche (come la chiesa e il monastero), rinascimentali (Porta della Terra e re sidenze dei Cilli e dei Napolitano, palazzo Di Iorio) e barocche (ex pa lazzo Fabrizio) se ne aggiunsero di neoclassiche, neogotiche e liberty.
nella pagina accanto: il presbiterio della chiesa di San Giusep pe: si notino le diverse tessiture murarie, testimonanza delle fasi di costruzione e ampliamento; in questa pagina: la Porta dellaTerra, vista dal corso Gari baldi e da piazza San Vitale (1940 e 1959 circa)
Tuttavia già nella seconda metà dell’Ottocento, considerando che il centro cittadino era divenuto angusto e insufficiente negli spazi pub blici, cominciò a svilupparsi una tendenza al diradamento edilizio che, nel giro di circa un secolo, avrebbe portato alla demolizioni di impor tanti edifici.
Innanzitutto vennero eliminate, “per ragioni igienico-sanitarie”, alcune abitazioni non in buono stato di conservazione; poi, nel 1929 fu la vol ta del monastero (all’epoca municipio) su cui venne realizzato il primo edificio scolastico pubblico. Nel II dopoguerra, seguirono le demoli zioni di palazzo Fabrizio e di quasi tutte le abitazioni poste nell’attuale piazza San Vitale, quindi la facciata e il campanile della chiesa, la Porta della Terra (1968) ed altre ancora fino al termine del XX secolo e oltre. Ciò avrebbe compromesso il tessuto urbano e architettonico consolidato dando origine ad un quartiere con sintomi di degrado e in forte crisi di identità.
Attualmente la percezione dello spazio interno alle mura è completa mente falsato dal fatto che le facciate non erano state progettate per essere viste da una piazza, ma in relazione ai vicoli medievali. Un altro elemento debole, nella lettura della città storica è la densi ficazione progressiva delle aree perimetrali la città murata. I forti di slivelli naturali presenti a nord, est e sud, conferivano alla città una immagine molto più simile a quella di una rocca.
Attraverso una analisi riguardante gli abitanti della città murata di San Salvo, si nota chiaramente che i nuclei familiari presenti fossero pochi e che il riadattamento di edifici preesistenti aveva creato una polveriz zazione delle proprietà immobiliari. I figli continuando ad abitare con i genitori anche dopo sposati, principalmente per ragioni economiche, dividevano le abitazioni, e ove possibile le ampliavano.
Nella ricostruzione della struttura abitativa della città murata di segui to riportata si sono individuate catastalmente le unità abitative. Nella mappa si evidenziano le divisioni particellari principali. E’ chiaro che si tratta di una semplificazione planimetrica, in quanto non si può mo strare la complessità delle divisioni dei diversi piani dei fabbricati.
Le demolizioni (principalmente degli anni ‘60) sono riportate in giallo, mentre gli ampliamenti-nuove costruzioni in azzurro, come la scuola ora sede comunale; le sostituzioni edilizie sono in rosa (come la porta della Terra, la torre della chiesa di San Giuseppe e la casa Cirese).
Contemporaneamente si può osservare la possibile ricostruzione dell’antico tracciato murario della città medievale (in grigio).
Interessante è notare che alcune abitazioni, anche settecentesche, vengano costruite al di fuori del perimetro, seppure in continuità con le mura, soprattutto sulla via Martiri d’Ungheria e su via Orientale.
La ricostruzione permette di comprendere anche come il centro fosse abitato da nuclei familiari strettamente imparentati tra loro.
I cognomi più ricorrenti delle famiglie erano: Cilli, Di Iorio e Fabrizio.
nella pagina accanto: profilo della città murata verso nord (lato via Martiri d’Ungheria). Si noti il contatto diretto delle mura con gli orti e il forte dislivello del terreno circostante; svetta la costruzione della chiesa ma non il campanile; in questa pagina: profilo della città a sud (lato via Fontana Vecchia) in una immagine cartolina del 1921; si noti come in questo caso a sud della città murata esistesse un insedia mento consolidato lungo l’asse di via Fontana-via Savoia; anche qui il dislivello delle mura rispetto al contesto circostante è evidente e il volume della chiesa emerge chiaramente sul resto delle costruzioni; si noti il volume del monastero perpendi colare alla chiesa; lo spazio agricolo, verso sud, è orticolo con alberi da frutta e ulivi che si sono conservati fino agli anni Sessanta del Novecento; interessante notare il ponte di accesso da sud alla città dove oggi sorge la rota toria di via Monte Grappa-via Trignina.
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nella pagina accanto: rilievo delle strutture di epoca romana individuate all’interno del perimetro della “città murata”; è evidenziato anche il per corso dell’acquedotto ipogeo. Immagine degli scavi in piazza San Vitale (2002); sopra: rilievo delle strutture di epoca medievale individuate all’interno del perimetro della “città murata”; accanto: pavimento in mosaico po licromo di epoca romana (sec III-IV d.C.)
sopra: Casa Russo demolita nel 1959 per libera re la visuale della facciata della chiesa di San Giuseppe; le case delle famiglie Fabrizio e Russo prima delle demolizioni
nella pagina accanto: due viste della porta della Terra e di cor so Umberto I intorno al 1960;
Ricostruzione della presenza delle diverse famiglie nella città murata. In elenco funzioni pubbliche e nomi dei capofamiglia residenti nell’ambito della “città murata” nel periodo 1945-1960:
1. Chiesa di San Giuseppe
2. Russo Angelo, poi figlio Tomas sino
3. De Fanis Fioravante
4. de Vito Gaetano, poi Fabrizio Licinia
5. Cilli Vallerico
6. Di Iorio Alessandro e Di Iorio Luigi
7. (995) Di Iorio Angelo
8. (981) Sparvieri Antonio
9. (996) Di Iorio Angelo
10. (999) Ciavatta Virgilio, Ciavatta Giuseppe, Di Iorio Angelo
11. (1000) Grimaldi Aliano e Cilli Innocente
12. (980) Di Iorio Giuseppe, poi fi glio Giovanni
13. (982) Di Iorio Margherita, nuo ra Maria
14. (983) Di Iorio Ercolino, poi Bru no Giuseppe
15. (985) Di Iorio Ercolino, poi Bru no, Giuseppe e Giovanni
16. (984) Di Iorio
17. (986) Di Iorio
18. (987) Daniele Domenico, poi Ciavatta Giuseppe
19. (988) Angelozzi Leondina
20. (990) Caruso Carmine
21. (989) Di Falco Guglielmo, poi figli
22. (991) Coccia Giuseppina, Vito e Nicola, Masciulli Michele
23. (992) D’Adamo Antonio e Ma ria, poi Di Stefano Michele
24. (993) Gallina Giuseppe
25. (1028) Ciavatta (famiglia)
26. (1027) Cirese Angelo, poi figlio Mario
27. (1029) Cirese Angelo, poi figlio Mario
28. (1030) Scardapane 29. (1032) Cilli 30. (1031) Cilli Vitale, poi figlio Giuliano, Del Borrello Giuseppe poi figlio Giovanni 31. (1033) Cilli Virgilio 32. 1034. Cilli Nicola, poi Mancini Luigi 33. 1035. Cilli Nicola, poi Mancini Luigi 34. (1036) Monacelli Carmine e Aurora, Mancini Luigi 35. (1037) Monacelli Carmine e Aurora, Mancini Luigi 36. (1038) Di Nardo Vincenzo 37. (1039) Di Nardo, poi Mancini Luigi 1040 38. (1042) Fabrizio Antonio, Giu seppe, Andrea, Vito 39. (1041) Del Villano Ersilia, poi D’Addiego 40. (1043) Fabrizio Alessandro 41. (1026) Vicoli Carlo 42. (1025) Nuzzaci Luigi 43. (1021) Fabrizio Guerino, Mar rocco Vitalina 44. (1023) Nanni Vitale 45. (1024) Sparvieri Nicola 46. (1022) Di Stefano Luigi 47. (1018) de Vito Giuseppe, Ga etano 48. (1016) Di Stefano Bice 49. (1015) Russo Tomassino 50. (1013) Cilli Angelo e fratello, poi D’Addiego Luigi 51. (1012) Fabrizio Pietro 52. (1011) Ufficio postale, poi Ia lacci Vito, poi Menna Osvaldo 53. (1014) Grimaldi Galliano, poi Ialacci Vito 54. (1017) D’Addiego Domenico, Marchetta
55. (1010) Lago Sante, figlia Emma, Cupaioli Vincenzo 56. (1009) Napolitano Antonio 57. (979) Ialacci Angelo, Fabrizio Vitale, Ciavatta Giuseppe 58. (978) De Francesco Michele 59. (977) Marzocchetti Enea 60. (976) Napolitano Sebastiano, Antonio, Domenico 61. (1004) Cilli Angelo 62. (1005) Cilli Angelo 63. (1006) Cilli Angelo 64. (1008) Cilli Agostino, poi D’Ad diego Antonio 65. (1007) Cilli Vito, poi figlio Eva risto 66. Porta della Terra 67. (975) Cilli Domenico, Pasquale, Angelo 68. (974) Cilli Antonio 69. (973) de Vito Gaetano, poi fi glia Menina e Cirese Gustavo, poi figlio Ivano 70. (972) “Za’ Tassena”, Saverio 71. (971) Zuccorononno Eliseo 72. (966) Fabrizio Maria Giuseppa, poi figlia Cilli Irma 73. (967) Fabrizio Antonio, poi Cia vatta Michele, figlie Irma e Nelda 74. (968) Fabrizio Virgilio 75. (969) Fabrizio Nicola, poi figlio Raffaele 76. (970) Fabrizio Giuseppe, poi figli Antonio, Pierino; Fabrizio Mo desto, poi figlio Manfredi 77. (1019) Palazzo scolastico (elementari) ex monastero. (Tra parentesi sono indicate le par ticelle catastali presenti in mappa)
Pianta del Centro storico di San Salvo con l’indicazione delle attività presenti nel periodo 19451960:
1. Chiesa di San Giuseppe 2. tessuti (Russo) 5. sarto (De Nicolis) 5. macelleria (Di Tullio) 6. sarto (Di Iorio) 8. falegname- carraro (Sparvieri) 10 calzolaio (Ciavatta) 11. alimentari-sarto (Grimaldi) 21. scuola-ripetizioni per ragazze (Di Falco) 34-35 panificio (Mancini) 36. calzolaio (Tomeo) 47. frantoio (de Vito) 47 pastificio (Di Iorio, Altieri, Mar chetta)
caserma con prigione
taverna e rimessa animali
caserma con prigione
ufficio postale
calzolaio (D’Addiego)
farmacia (Ialacci)
macelleria (De Francesco)
calzolaio (Marzocchetti)
alimentari e tessuti (Marzoc chetti) 61. macelleria (Cilli) 62. granaio (Cilli)
sarto (Di Falco)
sarta (Artese)
panificio (Cilli)
Fuori dalle mura troviamo invece le famiglie Artese, De Vito e Ciavatta, la nuova borghesia intenta a costuire palazzi di maggiori dimensioni lungo i principali tracciati viari di corso Garibaldi e via Umberto.
Al tempo stesso si sono analizzate le attività artigianali e commerciali presenti nel tessuto urbano. Si noti la ricchezza delle attività presenti: panifici, macellerie, calzolai, sartorie e falegnamerie.
Si noti come all’interno del tessuto urbano ci siano alcuni edifici fuori scala, rispetto al tessuto minuto delle residenze. Nella mappa cata stale storica, oltre la chiesa (C) e la scuola (1019), si notano: la casa Di Iorio (970), la casa Cilli (1004, 1005, 1006, 1008), la casa Cirese (1027, 1029), la casa de Vito (1018), la casa Cilli (1031).
nella pagina precedente: mappa degli abitanti della città murata e delle attività artigiane e commerciali a cavallo del secondo conflitto mondiale; la mappa è stata ricostruita tramite il contributo della Signora Annina Fabrizio in De Nicolis insieme ai Signori Filomena Di Nardo e Giuseppe Trofino; in questa pagina: estratto della mappa catastale storica della città murata
sopra a sinistra: edificio sul lato nord della “città murata” (ora tra le vie della Chiesa e Martiri d’Un gheria) un tempo detto “il convento”, caratterizzato da mura spesse e da un cornicione alla “romanella”; sopra a destra: all’estremità sud-orientale della “città murata” si trova questo fabbricato che sembra aver inglobato resti di una torretta cinquecentesca (il contrafforte in primo piano)
Chiamato “il Convento” l’edificio potrebbe risa lire al Quattro-Cinque cento.
Non è chiara la sua destinazione origina ria. Insiste sul sedime delle mura medievali in via Martiri d’Ungheria e presenta due livelli con finestre particolarmente anguste senza decora zioni, che fanno pensare a una struttura ancora con caratteri originari, come l’edificio a est del fabbricato.
Infatti gli edifici, doven do proteggersi dagli at tacchi esterni alla città, avevano, nel Medioevo, pochissime aperture fuori le mura e si col locavano su dislivelli rilevanti. Ecco perché è presumibile la presenza di una forte pendenza del terreno verso nord, testimoniata da 10 metri di dislivello tra il fabbi cato e il 7° vico Umber to I e l’assenza di una strada lungo il tracciato di via Martiri d’Ungheria.
Le murature sono di for te spessore e si conclu dono con un cornicione realizzato con una tripla fila di coppi a sbalzo po sti su una fila di mattoni di ridotto spessore che realizzano dei denti di sega.
EDIFICIO DE VITO
Sul sedime sud delle antiche mura medie vali, sul muraglione di via Fontana Vecchia, accanto a piccoli edifi ci (frutto della polveriz zazione delle proprietà edilizie) emerge un no tevole corpo di fabbrica di due piani.
Il muraglione sul quale oggi si affaccia proba bilmente non esisteva quando venne edificato, e si può ipotizzare che gli accessi di tutte que ste abitazioni fossero dall’interno delle mura e non dall’esterno, per ovvie ragioni di difesa. E’ quindi evidente che le finestrature di questo edificio, tardorinasci mentale, dovessero es sere di limitate dimen sioni.
Il piano terra, oltre l’au stera facciata, presenta delle importanti volte in mattoni con ambienti di grandi dimensioni (ma gazzini o stalle) che non hanno altre aperture se non su minuscole porte. Probabilmente, una in dagine stratigrafica e archeologica permet terebbe di riconoscere elementi più antichi nella struttura al piano terra. Non è da escludere che siano state reimpiegate, anche se parzialmente in fondazione, strutture romane. Sotto il fab bricato infatti è noto il tracciato dell’antico ac quedotto ipogeo del I-II secolo dopo Cristo.
E’ una casa Cinqueseicentesca su strada Fontana Vecchia.
Interessante è la tessitu ra muraria di cui è costi tuita; è inoltre presente un contrafforte, che potrebbe rappresentare l’accenno della struttura di una costruzione pre cedente al fabbricato molto più grande.
La facciata non eviden zia elementi decorativi; probabilmente il balco ne è posteriore alla co struzione del fabbricato.
PALAZZO NAPOLITANO
Questo palazzo è Cinque-Seicentesco , in parte ristruttura to nell’’800 e nel ‘900.
E’ molto interessante per il grande utilizzo di elementi architettonici di facciata: bugnati an golari, cornici a sbalzo con mensole e dentel lature, importanti cornici alle finestre. Rilevante è soprattutto il secon do piano con l’unico balcone lineare storico conosciuto a San Salvo (di epoca Liberty) e una sequenza di lesene con capitelli ionici, che pro seguivano sulla facciata originaria dell’edificio della Porta della Terra.
In precedenza intona cato, oggi mostra la qualità della tessitura muraria con cui è stata realizzata.
PALAZZO DI IORIO BRUNO
Palazzo Di Iorio, poi Bruno, su strada della Chiesa, è un edificio del Cinquecento. Realizzato in mattoni presenta una facciata con un fronte di due stanze, organizzata, originariamente in due piani.
Particolarmente inte ressante è il portale di ingresso e gli angoli del la facciata arrotondati, ripresi in molti edifici successivi.
Nel primo Novecento ha avuto una sopraele vazione che si nota in particolare dal differente trattamento delle para ste angolari che vengo no realizzate in bugnato gentile.
CASA MARZOCCHETTI
Casa Marzocchetti, su strada Fontana, edificio Cinquecentesco sul se dime delle mura medie vali della città. Realizzato in mattoni presenta una faccia ta con un fronte di due stanze, organizzata, originariamente in due piani.
Particolarmente interes santi sono le due grandi paraste di ordine gigan te che ne definiscono il fronte.
Nel Novecento ha avuto una sopraelevazione.
PALAZZO FABRIZIO
Edificata nel tardo Otto cento in piazza del Mu nicipio, poi piazza San Vitale, questa costru zione è interessante in quanto costituisce, da sola, un intero isolato. Costruita in mattoni, presenta un ritmo di fi nestre con cornici lineari sui due fronti principali. Il portale è particolar mente originale per il centro storico perché realizza un decoro in bugnato gentile. Strana la presenza di due balconi di facciata, forse il segno che si trat tava di un edificio per più nucliei della stessa famiglia.
Uno dei più importan ti palazzi, forse l’unico con organizzazione or ganica e compiuta, della città murata è il grande palazzo a corte della fa miglia Fabrizio.
Interessante è notare come si presenti con lesene stondate, tipiche dei palazzi sansalvesi. Le finestre originarie, prima della progressi va divisione in più pro pirietà e le successive demolizioni verso nord (l’edificio arrivava fino alle mura, ora piazza Papa Giovanni) erano contornate da com plesse cornici di gusto barocco di cui si con serva un solo esemplare a ovest del fabbricato. Non è improbabile che nell’aggiornamento del la parte superstite verso la piazza San Vitale, sia no stati aggiunti i balco ni laterali sopra i nuovi ingressi e demolito il portale centrale e il bal cone sovrastante.
La struttura simmetrica della facciata è parzial mente compromessa dalla sopraelevazione a ovest e dal fatto che il portone di ingresso centrale che accedeva alla corte e allo scalone, oggi sia stato sostituito da una apertura di gara ge assolutamente inap propriata.
quartiere garibaldi-savoia
Il quartiere tra corso Garibaldi e via Savoia è formato da un edificato che, seppure con qualche costruzione più antica (perlopiù dirimpetta ia al borgo medievale, in particolare sul “Muraglione” di via Fontana), si è strutturato a seguito dell’espansione urbana sette-ottocentesca e di primo Novecento.
E’ interessante notare come la struttura urbana sia chiaramente orga nizzata: due strade principali orientate in senso est-ovest (corso Ga ribaldi che segna l’asse di accesso alla porta della Terra, e via Savoia che segna il crinale oltre il quale si concludeva l’edificazione) e una serie di vicoli ad esse perpendicolari in senso nord-sud, le caratteristi che “ruelle”, chiuse da un edificato fondamentalmente a schiera, tipico dei centri storici italiani. Si noti come siano quasi assenti giardini e orti, ma si sia costruita la prima espansione fuori le mura con caratteri di città densa e compatta. L’abbondanza di aree agricole circostanti, ricche di acqua, sopperiva alla necessità di spazi per la coltivazione. Rara era anche la presenza di alberature dentro la città.
E’ evidente come il progetto edilizio, per i due assi urbani principali, segua logiche di continuità architettonica e morfologica: spesso gli edifici sono solo moduli con la stessa organizzazione di facciata, con decorazioni, paraste e cornici identiche o simili. In parte, questa inte ressante continuità di tipi edilizi e di altezze (tranne alcune eccezioni sempre di due piani) è stata compromessa, negli ultimi quaranta anni, da interventi di demolizione, ristrutturazione e sopraelevazione, oltre che di frammentazione delle proprietà che hanno provocato un uso degli intonaci e dei colori diversi, anche per edifici nati con progetti unitari.
Corso Garibaldi e via Savoia hanno così perso l’unità prospettica e, contemporaneamente, anche il ruolo sociale ed economico che avevano detenuto. Infatti queste vie principali ospitavano attività e palazzi che non era stato possibile insediare all’interno della città murata, totalmente edificata.
Lungo corso Garibaldi e corso Umberto I (l’asse proveniente da Va sto, perpendicolare al corso) si collocano i palazzi di maggiori dimen sioni: palazzo Ciavatta, palazzo de Vito, i numerosi palazzi Artese, e
il palazzo, anche questo di un ramo della Artese, donato alla parroc chia di San Giuseppe e diventata canonica (poi demolita negli anni Settanta per fare posto all’enorme condominio prospiciente il nuovo Municipio).
Dalle foto storiche si nota come questa parte della città era quasi in teramente realizzata con mattoni a “faccia vista”, ormai quasi del tutto scomparsi sotto strati di intonaco cementizio. In alcune foto storiche si nota come la pavimentazione delle principali arterie stradali fosse in ciottoli di fiume.
La chiesa di San Nicola rappresenta l’ultimo nodo extraurbano a occi dente, che viene raggiunto dall’edificazione in linea di corso Garibaldi, già prima del secondo conflitto mondiale (anche se l’ultimo palazzo borghese, quello della famiglia Artese, è localizzato trenta metri prima della chiesa “rurale”). Gli altri luoghi di culto extra moenia che descrivono anche lo sviluppo urbano della città sono situate a est della città lungo il tratturello Colle Pizzuto-Ripalta, la chiesa di San Rocco (alla fine della via che dalla Fonte Nuova andava verso il mulino Pantanella e il mare) e quella della Madonna delle Grazie (situata al prolungamen to dell’asse della Fonte Vecchia ).
Meno sviluppata è invece la crescita verso nord della città, anche se lungo una importante direttrice di connessione con Vasto. Il paese sembra fermarsi sul ciglio della vallone alla fine di via Roma, oggi Villa Comunale; forte depressione riempita negli anni ‘60 del Novecento
nella pagina accanto: Corso Garibaldi, nel 1932, nel 1936 e negli anni ‘50
sopra: corso Garibaldi: i palazzi Di Stefano, Ciocco e Artese
sopra: profilo della città verso sud; si notino i retri degli edifici in linea lungo via Savoia; a sinistra: lavori di ripavimentazione della via Savo ia alla metà del Novecento; nella pagina accanto: via Savoia, alcune delle residenze mo dulari
con il terreno di scavo delle grandi fabbriche di San Salvo.
I dislivelli del terreno, l’orografia complessa della città storica di San Salvo sulla quale era sorto prima l’insediamento romano, poi medie vale e infine si era consolidato l’edificato dello sviluppo rinascimen tale e barocco, conferivano alla lettura paesaggistica della città e del contesto agricolo una totale integrazione morfo-insediativa.
I vicoli hanno perso, progressivamente negli ultimi trenta anni, la loro funzione di quartere residenziale ad alta densità, soprattutto per la dif ficoltà di apliamento degli alloggi, per la frammentazione edilizia di cui la zona è stata oggetto (non permettendo coerenti strutture distributi ve), per l’impossibilità di raggiungere molte delle abitazioni con l’auto. Un abbandono che sta costando la perdita complessiva dell’identità residenziale del quartiere Savoia.
Si rende necessaria una politica che agevoli il recupero e l’accorpa mento delle proprietà, il ritorno di giovani famiglie, l’inserimento di nuove funzioni come l’albergo diffuso che rivaluti le potenzialità di reddito del quartiere, l’incentivo alla localizzazione di piccole attività artigianali e commerciali.
Di Nicola e Oreste Arte se, situato lungo corso Garibaldi, è un palazzo del 1890 circa.
E’ un edificio a corte progettato completa mente in mattoni a fac cia vista. Semplici cornici impre ziosiscono un volume lineare, e la facciata principale presenta una teoria di balconi, una per ciascuna finestra, e un bugnato partico larmente semplificato solo sul basamento che aumentano l’importanza delle porte di accesso sul corso.
Il palazzo ottocentesco, si colloca di fronte alla porta della Terra tra cor so Garibaldi e via Fon tana. L’edificio ha una struttura architettonica molto ricercata con un aggetto d’angolo che forma un interessante volume, evidenziato an che da una veletta suc cessiva che ne aumenta l’altezza, che si mette direttamente in relazio ne con la città murata verso cui si affaccia il balcone principale, sor montante un portale in bugnato.
Importante è il corni cione che era un tempo intonacato di un rosso quasi pompeiano.
CASA TORRICELLA
Abitazione costruita agli inizi del Novecento, su corso Garibaldi, ha uno sviluppo verticale su tre livelli, balcone centrale e cornicione lineare che nasconde il timpano ar retrato delle due falde del tetto. Questo ultimo motivo ricorre frequen temente nell’architettura locale, cioè la negazio ne dell’andamento della struttura di copertura, tramite delle cornici o delle romanelle.
Paraste angolari lineari completano la struttura della facciata sul corso.
PALAZZO MONACELLI DI STEFANO
PALAZZO CIOCCO
Palazzo Monacelli-Di Stefano è di fine Otto cento e si trova lungo una sequenza di edifici con caratteri simili del lato nord di corso Ga ribaldi.
La struttura della faccia ta è semplice: facciata tripartita sviluppata su due piani, con portale principale centrale sor montato dal balcone.
Semplici cornici lineari marcano lo zoccolo, i due piani e il cornicione.
Casa ottocentesca su corso Garibaldi che mo stra come la via fu rialzata negli anni.
Si tratta evidentemente di una facciata laterale poi ché l’edificio, sviluppan dosi da nord a sud, ha gli accessi sul vicolo.
Interessante notare come non proseguono le roma nelle su questa facciata per non abbassarne trop po il volume sul corso.
Gli angoli sono smussati come nella tradizione lo cale.
Le murature fanno ampio utilizzo di grosse pietre di fiume alternate con ricor si di mattoni.
Così come per il vicino palazzo Artese, questo palazzo del primo Nove cento tripartito presenta un ritmo sobrio e dimes so, anche se arricchisce di elementi architettoni ci la struttura della fac ciata.
Sono infatti presenti paraste angolari, basa menti delle finestre del primo piano che sono coronate anche da false mensole. Inoltre nel por tale centrale si trovano cornici piatte in pietra chiara.
Il palazzo conclude il cornicione con una ba laustra.
corso garibaldi
CASA TORRICELLA
CASA DI NARDO
Costruito nel Settecento in via Savoia, l’edificio è su due piani con parete in comune con un altro lotto. Interessante come il cornicione di coppi riesca a staccare il vo lume del tetto dalla fac ciata (si noti l’assenza di colore su questa parte).
La delimitazione delle proprietà è risolta con una grande lesena con basamento.
Le due finestre superiori hanno cornici pane con un cordoletto sporgente in cotto.
I colori della terra, dal giallo al seppia, sono un chiaro esempio dei co lori tradizionali impiegati negli intonaci.
CASA TORRICELLA
CASA BERTI EX CASA A.L.
Costruito nella seconda metà dell’Ottocento in via Savoia, l’edificio è la somma di più interventi e presenta un interes sante repertorio di tes siture murarie differenti.
La facciata è risolta con degli elementi lineari orizzontali che avvolgo no l’edificio.
Il timpano della facciata principale presenta una intonacatura per distin guerlo dal resto della facciata.
Realizzata ai primi del Novecento in via Sa voia, l’edificio è parte di una sequenza ur bana ripetuta di case in linea. La cellula ele mentare è costituita da una porta di acces so ad arco, sormon tata da un balcone al primo piano.
Il cornicione, partico larmente elaborato, per il tipo di edificio, mostra come le mode novecentesche ven gano seguite anche per costruzioni minori.
elementi di valore storico architettonico
L’architettura delle facciate degli edifici del centro storico di San Salvo parla un linguaggio semplice e spontaneo. Il grande impianto decora tivo e architettonico dei palazzi nobiliari delle maggiori città abruzzesi arriva a San Salvo solo di riflesso, con una forte semplificazione degli elementi.
Le maestranze locali, pur attente al cambiamento di gusto e alle mode dei diversi periodi storici, cercano una continuità col passato, come nel diffusissimo uso, per le cornici dei fabbricati, delle “romanelle”, cornicioni a sbalzo realizzati accostando più file di coppi, molto diffu se in area mediterranea.
Si movimentano le facciate, generalmente piatte e senza sbalzi, con semplici marcapiani e cornici lineari di finestre. Le aperture, sempre in numero esiguo e non troppo grandi, fanno prevalere la continuità del le superfici murarie, che si interrompono solo per ospitare il balcone centrale, un piccolo sporto che rappresenta uno spazio pubblico della famiglia, in relazione con la comunità circostante.
Gli intonaci sono di calce e hanno i colori della terra, dal giallo caldo dei mattoni, al cotto più rosso di alcune argille. Altre case utilizzano invece solo la calce, presentandosi quindi bianche.
I colori artificiali arrivano molto tardi e introducono nel periodo Liberty nuove tinte quali l’azzurro chiaro e il verde chiaro.
Molte abitazioni invece adottano soprattutto nel Novecento la finitura a mattoni a faccia vista, decorando i lati della facciata con un bugnato gentile che parte generalmente dal primo piano.
Di seguito si evidenziano, attraverso un apparato iconografico, i prin cipali elementi architettonici dell’edilizia storica ancora presenti. Un abaco dei principali elementi architettonici, decorativi, di superfici e cromie realizzati nelle diverse epoche storiche, fino al secondo dopoguerra che restituiscono uno spaccato di gusto, tecniche e tradizioni costruttive, abilità delle maestranze locali nelle varie epoche.
portali
I portali di ingresso delle abitazioni, tra Cinquecento e metà Novecento, presentano prevalentemente archi a tutto sesto o a sesto ribassato. Sono inoltre presenti modanature in pietra, mattoni o superficie intona cata di pochi centimetri di rilievo.
Nei palazzi più importanti al portale viene data maggiore rilevanza dalla combinazione dell’arco con un bugnato gentile. Rari rimangono i casi di portali con strutture architettoniche complesse con trabeazioni e pa raste.
I portoni, in legno, sono spesso nelle tonalità di verde e rosso-marrone. Nelle case più povere, dove la porta di ingresso funge anche da finestra della cucina, erano presenti imposte in legno mobili con vetro retro stante, che permetteva l’ingresso della luce.
dall’alto della pagina accanto: 1. portale rinascimentale del palazzo Di Iorio-Bruno, 2-3. portali novecenteschi di palazzo de Vito, 4. portale novecentesco Ciocco, 5-6. portali di edifici Otto-Novecento, 7. portale in bugnato “romano” tardo ottocentesco di palazzo di Oreste e Nicola Artese, 8. portale tardo ottocentesco palazzo Cilli, 9. portale novecentesco con paraste su corso Umberto I, in questa pagina: 10-13. portali novecenteschi di edifici minori fuori le mura
finestre
Nell’edilizia storica, le finestre sono rettangolari o quadrate, mentre po chi sono i casi di archi ribassati, presenti maggiormente nelle finestre di piccola dimensione.
Nella parte più antica della chiesa di San Giuseppe sono presenti due monofore che si concludono con una ogiva.
Negli edifici di maggior pregio le cornici sono in mattoni. Prevalente mente le cornici degli edifici minori sono costituiti da una fascia in rilie vo di circa trenta centimetri intonacata.
La finestra, in legno dipinto - quasi sempre di bianco -, al piano resi denziale (il primo) è solitamente a doppia battuta, non a filo facciata ma all’interno della mazzetta (le spallette in muratura).
dall’alto della pagina accanto: 1-3. finestrature quadrangolari di edifici minori con e senza cornice, 4. finestra con cornice ad arco ribassato del palazzo Artese, 5-9. finestre di edifici minori dal Sette cento al primo Novecento; dall’alto in questa pagina: 10. monofora della chiesa medievale di San Giuseppe,
11. feritoia della facciata fuori le mura del cosiddetto “Convento”, 12. finestra con cornice a timpano del palazzo Napolitano, 13. finestra barocca del palazzo Di Iorio in piazza San Vitale
balconi
I balconi sono elementi puntuali spesso legati all’architettura del portale inferiore, quindi mai più larghi di 2-3 metri, e più profondi di un metro. Sono, quindi, di solito poco sporgenti e sorretti da mensole in pietra o in cemento (nel Novecento), hanno una balaustra a pièdritti metallici, tranne in casi novecenteschi dove le decorazioni fiorite accolgono le cifre delle iniziali della famiglia. Unico caso di balaustra continua è quella adiacente alla Porta della Ter ra, che diventa un elemento integrato alla cornice lineare marcapiano.
nella pagina accanto: tipi di balconi presenti nel centro storico, in questa pagina: balcone a ballatoio di palazzo Napolitano
coronamenti
Tra i cornicioni storici più diffusi e datati, si evidenziano quelli a “ro manella”; con due diverse tipologie: “semplice” e “composita”. La “romanella semplice” risulta dalla sovrapposizione orizzontale di due o più file di coppi; la “romanella composita” da file di coppi in cui si interpongono file orizzontali di mattoni o lastre lapidee.
I cornicioni lineari sono prevalenti nei palazzi più rappresentativi, sem pre intonacati.
Nel Novecento si diffondono nell’abitato alcuni cornicioni in calce struzzo decorato.
dall’alto della pagina accanto: 1-3. cornici a “romanella”, 4-5. cornici con modanature classicheggianti novecentesche, 6-9. cornici piane o listature con coppi, in questa pagina: 10. coronamento novecentesco di casa Fabrizio in moduli decorati di agglome rato
elementi architettonici decorativi
Gli elementi decorativi presenti negli edifici in esame, evidenziano una vasta casistica di modanature, basamenti e cornici in laterizio o pietra che impreziosiscono le cellule abitative.
Prevalgono, su tutti, i bugnati che incorniciano le facciate e l’arroton damento degli angoli dei palazzi isolati.
Più rari sono gli esempi di altri apparati decorativi.
Erano presenti lesene con capitelli ionici solo sull’edificio della Porta della Terra, di cui rimangono tracce nel Palazzo Napolitano, immedia tamente accanto. Decorazioni novecentesche con cemento stampato avrebbero arricchito alcuni edifici con rilievi architettonici (come nella Casa Fabrizio in piazza Papa Giovanni XXIII).
dall’alto della pagina accanto: 1-3. modanature angolari arrotondate, 4-5. paraste angolari, 6. bugnato gentile, 7. capitello di casa Fabrizio, in questa pagina: 8. chiave di volta con altorilievo raffigu rante un leone nella casa Tascone, in via Savoia
tessiture murarie e intonaci
Le superfici e cromie degli edifici narrano la stratificazione delle epo che. A fianco una sintesi delle principali tessiture murarie in laterizio o misto laterizio e pietra di fiume (raramente di cava), intera o spaccata, con cui furono realizzati gli edifici. Si segnala inoltre la tipologia dei colori utilizzati negli intonaci tradizio nali, tra i principali tonalità di giallo ocra, avorio, rosso antico e, sep pur in misura minore, una particolare tonalità di blu azzurro. Queste cromie sono presenti nel piano di recupero del centro storico come indicazione da adottare negli interventi di restauro conservativo, an che se spesso gli interventi attuati hanno in parte disatteso le indica zioni del piano.
nella pagina precedente: tipi di tessiturie murarie in mattoni, in pietra e mattoni, in ciottoli e mattoni, con intonaci, in questa pagina: casa Cirese, su strada della Chiesa. In un tessuto murario di primo Ottocento (a piano terra), si riconoscono nel riutilizzo conci calcarei (agli angoli) di età romana insieme a qualche blocchetto di opus o laterizio coevo
buone pratiche di recupero attivate
Proponiamo alcuni esempi di interventi di restauro attuati nel centro storico di San Salvo da considerare come esempi virtuosi in termini di mantenimento o recupero della morfologia, valorizzazione degli ele menti di valore delle superfici e delle cromie anche negli spazi interni agli edifici. Non si può parlare di interventi coerenti integralmente con l’edificio ma, purtroppo, solo di parziali tentativi, ancora troppo timidi e sporadici, che però alludono ad una nuova sensibilità che sta pro gressivamente maturando.
Per questo è stato diviso il capitolo in tipi di intervento: facciate in mattoni; facciate con pietra; facciate intonacate; volte, scale e camini; pavimentazioni.
Questi interventi propongono un approccio diverso alla mera sosti tuzione e cancellazione delle tracce del passato ancora presenti nel centro storico.
Troppi anni di interventi poco oculati hanno eliminato interi capitoli della storia di una intera comunità con delle imbarazzanti demolizioni come:
1. le case in piazza San Vitale;
2. il campanile medievale della chiesa di San Giuseppe e prima an cora il monastero per fare posto alle scuole (ora uffici tecnici del mu nicipio);
3. la Porta della Terra;
4. il palazzo di don Camillo Artese, divenuto poi per un lascito, Cano nica della chiesa di San Giuseppe;
5. le quinte urbane lungo corso Umberto I, quasi integralmente, e poi quelle di via Roma;
6. molte delle case lungo via Savoia e lungo corso Garibaldi, con so stituzioni edilizie generalmente di scarso interesse.
Si è poi sviluppata una pratica edilizia comune che cancella progres sivamente piccoli e grandi elementi architettonici, volumetrie, cornici, decori, quando, con l’idea di nobilitare i fabbricati, si inventano ap parati decorativi che rendono volgari delle sobrie facciate che non ne avrebbero bisogno.
Cornicioni e balconi lineari hanno dato un contributo rilevante alla perdita di identità dello spazio pubblico.
Alla luce di quanto sta accadendo, sarebbe necessaria una revisione del Piano di Recupero del Centro Storico.
nella pagina accanto: palazzo Di Iorio-Bruno, su strada della Chiesa in questa pagina: palazzo di Pietro Artese, retro, piazza M. D’Azeglio
facciate in mattoni
Nei palazzi più rappresentativi, il mattone giallo viene utilizzato con un fugante di colore analogo. La qualità delle murature tradizionali è proprio in questo colore giallo terra. La salvaguardia delle superfici di mattoni da boiaccature a filo parete è fondamentale. Infatti la piattez za della superficie è un elemento fondamentale per la verifica della qualità estetica degli apparati architettonici.
nella pagina accanto: casa Pietrangeli
in questa pagina, a sinistra: particola re della facciata del palazzo di Pietro Artese. in alto: muro laterale settentrionale della chiesa di San Giuseppe, con due diversi para menti murari e tipologie di finestre (in basso la medievale, in alto l’ottocen tesca)
facciate con pietra
Nelle murature di San Salvo, diversamente dalle vicine cittadine lungo la Valle del Trigno, non viene impiegata la pietra da sola, ma sempre mista con il mattone.
Non avendo cave di pietre che si potessero squadrare, le maestranze locali utilizzavano grandi sassi arrotondati di fiume, all’interno di ricor si di mattoni che servivano ad assicurarne la losidità. In alcuni edifici la pietra di fiume viene quasi “inscatolata” dai mattoni.
I grandi spazi che ovviamente vengono a crearsi tra questi due mate riali, sono un punto debole che va protetto se si vuole lasciare questa povera muratura a faccia vista.
facciate intonacate
La questione dell’uso dell’intonaco è centrale nella conservazione della identità di un edificio storico. Nessun edificio è una entità a se stante e quindi il suo colore non può contrastare con la quinta muraria esistente nel fronte edilizio.
L’utilizzo di toni “naturali” legati alle terre e alle pigmentazioni dispo nibili fino all’Ottocento, per edifici più antichi, ne preserva l’identità. Manipolazioni cromatiche come spugnati, graffiati, “multicolor”, sono assolutamente inappropriati. Altra cosa sono gli edifici del Novecen to dove si inserirono colori come l’azzurro e il verdino, alcuni toni del grigio e dei rossi pompeiani, ormai quasi del tutto scomparsi a favore di una sequenza di gialli inappropriata.
volte, scale e camini
Elementi architettonici ancora presenti all’interno delle abitazioni del centro storico sono la chiara rappresentazione di una qualità spaziale e decorativa ampiamente sottovalutata per troppo tempo. Interessantissime volte a botte e a crociera e camini, vanno tutelati come ultimi presidi di una cultura del costruire ormai perduta. In par ticolare si elaborino progetti per la tutela delle scalinate che spesso presentano spazialità particolarmente interessanti.
nella pagina accanto: la volta intonacatav di casa....;sotto la volta del piano seminterrato di palazzo Di Iorio-Bruno, in via Martiri d’Ungheria; e la volta di casa Cilli De Francesco in questa pagina: la scalinata interna, con gradini in arena ria, del palazzo di Pietro Artese, in corso Garibaldi; camino nel Museo Giostra della Memoria
pavimentazioni
Spesso, sotto le pavimentazioni esistenti, è possibile rinvenire ancora pavimentazioni in cotto o in graniglia. La loro conservazione e riuso dona qualità e personalità allo spazio abitativo e spesso è anche più economico della mera sostituzione.
Il cotto si può lasciare naturale o si può levigare, con opportune tecniche specifiche. Ovviamente va sempre impermeabilizzato con prodotti che ne salvaguardino colore e opacità, evitando l’eccessivo assorbimento tipico del materiale. Eventuali reintegrazioni di lacune vanno fatte con materiali analoghi, magari esistenti in stanze attigue dove non è possibile recuperare il pavimento. Per quanto riguarda le graniglie esistono moltissimi siti specializzati nella vendita di matto nelle antiche di ogni forma e colore.
nella pagina accanto: pavimenti recuperati in due edifici, di cui uno in via Savoia
in questa pagina: pavimenti riscoperti con restauro in un edificio, al numero 57 di via Savoia
intervenire sul patrimonio storico: linee guida
uso del colore
Decalogo di cosa non fare
1. Non rivestire di piastrelle in ceramica o pietra i basamenti: solita mente avevano solo uno zoccolo in mattoni di pochi centimetri più sporgente del muro, talvolta intonacato.
6. Non usare colori accesi: erano disponibili soltanto colori che de rivavano dalle argille gialle e rosse e da alcuni minerali disponibili. Solo nel periodo del primo ‘900 furono disponibili nuovi colori come l’azzurro e il verde entrambi slavati, o il rosso pompeiano, inedito fino ad allora.
2. Non ingrandire i balconi né in profondità né in lunghezza: i balconi erano difficili da realizzare e costosi, quindi erano una eccezione della facciata della casa. Essi avevano mensole inizialmente in pietra poi in ferro o calcestruzzo decorato; la ringhiera era sempre costituita solo da piedritti equidistanti verticali. Solo nel Novecento le ringhiere diventano molto più decorate con fiori e disegni e spesso con le cifre del proprietario della casa.
7. Evitare di stonacare casualmente una facciata. Essendo general mente piccole e di due piani, il trattamento ad intonaco o a mattoni era unico. Dividere una facciata storica in base alle proprietà snatura la sua essenza.
3. Non aumentare lo sporto di gronda: le facciate erano prive di sporto quasi completamente, soprattutto quelle di edifici che non erano pa lazzi: tecnicamente era complesso realizzarle per l’assenza di pietra di grandi dimensioni. Lo sporto veniva talvolta realizzato solo sovrap ponendo file di mattoni o di coppi per una dimensione non maggiore di 40 cm.
8. Evitare finestre e infissi in genere in alluminio e pvc: il loro invec chiamento sarà particolarmente diverso da quello dell’intonaco o del mattone creando uno sgradevole contrasto. In ogni caso è meglio usare come colore il grigio chiaro, il verde per le imposte, e il bianco sporco.
4. Non accentuare mai il timpano del tetto sulla facciata. Tradizional mente il tetto era pensato come un elemento tecnico e non decorati vo, quindi spesso era anche arretrato rispetto alla facciata che si vo leva rettangolare. Molto evidente del gusto architettonico abruzzese è la negazione del tetto anche nelle chiese, come quelle aquilane.
9. Evitare tende e tettoie protettive delle porte, perché distruggono la tradizionale piattezza della facciata; meglio delle tende verticali ad anelli.
5. Non modificare la proporzione delle finestre che generalmente ave vano una proporzione 1:2 o anche minore, eccezion fatta per le fine stre cinquecentesche che avevano rapporti 2:3, oppure delle prese di luce di locali deposito o interrati con proporzione 1:1.
10. Tubazioni del gas, cavi elettrici e canali distruggono le proporzioni delle facciate: fatele passare tra un edificio ed un altro e correre ap pena sopra gli elementi orizzontali come i marcapiani o i basamenti.
Decalogo di cosa fare
1. Per la qualità dell’abitare in edifici storici salvaguardare la comples sità interna di stanze e corridoi, dislivelli e scale, volte e solai piani, oltre che di pavimenti storici in cotto o marmette. Un edificio storico non può offrire, anche dopo modifiche sostanziali, lo stesso tipo di spazialità di un edificio di nuova costruzione. Per questo conviene sempre valorizzare la sua specificità compositiva.
6. Ripristinare le modanature semplici delle cornici e delle finestre. Aggiungere decori è un falso storico che spesso peggiora le propor zioni invece di abbellire la facciata.
2. Per comprendere le proporzioni di un edificio distinguere con colori in gamma le diverse fasi di ampliamento.
7. Eventuali parabole, antenne e soprattutto condizionatori, vanno collocati non nella facciata principale.
3. Si tenti di coordinare i colori degli infissi, avvolgibili dei garage com presi. L’unico elemento di color legno normalmente era il portone di ingresso, quando non era verniciato di verdone o di rosso scuro.
8. Le tegole locali erano i coppi di colore giallo. Le altre tegole arriva rono nel secondo dopoguerra. Conservare le vecchie soprattutto nel la parte superiore del manto conferisce alla facciata maggiore qualità.
4. Sigillare le fughe tra pietre e tra mattoni, se rimangono a vista. Que sta operazione rende più impermeabile la facciata evitando muffe e macchie.
9. Le grondaie non erano presenti, e neppure i pluviali. Se proprio necessari ricorrere a soluzioni più compatte possibili con sezioni cir colari.
5. Usare delle soglie di pietra poco sporgenti e di spessore minimo. L’elevato costo di tali materiali rendeva proibitivo anche per i palazzi il loro uso. Quindi sono estranei alla tradizione.
10. La demolizione di ampliamenti sulla facciata principale (balconi enormi, tetti sporgenti, cornicioni in legno non strutturali, etc.) rea lizzati dopo il secondo conflitto, raggiungono la semplificazione del disegno, donano proporzione alla facciata e ripristinano la qualità del tessuto urbano.
bibliografia esseziale
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