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INTERVIEW
Numero 1 - ottobre 2016
Erica Romeo oltre gli inconvenienti
Carlo Martinelli ci faremo prendere dal panico
Flaco la terapia migliore
Cristian Grassilli I Giardini di Chernobyl Hazan
sommario 4 Erica Romeo 10 Carlo Martinelli 14 Flaco 20 Giardini di Chernobyl 24 Cristian Grassilli 28 Hazan
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ERICA ROMEO oltre gli inconvenienti Si chiama “Behind the nettles burn” il nuovo ep della cantautrice, fresca di svolta elettronica ma già impegnata ad approfondire il proprio sound con sei canzoni ricche di immagini e racconti Partiamo dal titolo dell’ep, che credo meriti una spiegazione… Ti ringrazio per questa domanda, “Beyond the nettles burn” è una frase estratta dal testo di “Daisy”, traccia numero tre dell’ep, e letteralmente significa “Oltre la bruciatura delle ortiche”. Figurativamente “nettle burn” vuole indicare gli inconvenienti della vita (la lingua inglese è meravigliosa) ed è proprio il filo rosso che lega tutte le canzoni di questo vero e proprio concept album.Andare oltre gli inconvenienti, superarli con forza e determinazione e viverli come una prova che ha come obiettivo finale la crescita interiore e non semplicemente il superamento della prova stessa. La bruciatura di ortica che mi procuravo inavvertitamente da bambina durante le mie passeggiate in montagna, mi insegnava a guardare bene dove mettere i piedi, ma soprattutto non mi impediva di raggiungere la cima. Anche se il bruciore avrebbe potuto scoraggiarmi la gioia di poter vivere pienamente le mie montagne mi
dava quella forza di cui spesso son capaci i bambini, che al contrario di molti adulti sono sempre pronti a mutare il broncio in sorriso. Una curiosità: nel titolo ho deciso di mettere il plurale “Nettles burn”, perché del resto, come dice il mio amico inglese-romano Thomas, “la vita è più una fratta che un singolo rametto”. Con il precedente “White Fever” avevi affrontato una svolta elettronica che aveva cambiato faccia alla tua musica. Questo disco invece sembra affrontare un discorso di consolidamento. Come hai approcciato le lavorazioni dell’ep? Terminato “White Fever” percepii che qualcosa risultava incompleto ma quel disco doveva uscire a tutti i costi, anche a rischio di sembrare prematuro. Necessitavo di un confronto con il pubblico e con la critica, per comprendere meglio delle cose di me che fino a quel momento non erano maturate. E’ stata la scelta migliore che potessi fare.
foto Roberto Fava
“Beyond the nettles burn” è nato con “Daisy” e “Blue Moon”, le ultime due canzoni che ho composto con la chitarra: dopo di loro mi sono dedicata alla tastiera ed è stato amore a prima nota. Il passaggio mi è sembrato molto fluido e naturale, come se avessi finalmente trovato la mia strada dopo molti anni di girovagare fra cantautorato, folk e rock. Mi sembra che ci sia spesso un contrasto fra alcuni testi e lo stesso titolo del disco, che esprimono difficoltà e situazioni di frizione, con sonorità spesso piuttosto eteree o addirittura felici. Da quali momenti e ispirazioni sono nate le canzoni del disco? Come accennavo prima, “Beyond the Nettles burn” è un concept album: ogni canzone racconta un aspetto della mia vita, anche se il punto cardine di tutte è il medesimo, ovvero il superamento degli ostacoli che la vita pone davanti, che si tratti di vivere momenti di gioia, tristezza, speranza o delusione quello che tutto questo mi ha insegnato è a saper vivere ogni momento come un dono di cui essere grati e saper far tesoro. Sin da bambina, benché
avessi una situazione famigliare particolare, e ancora da adolescente nell’affrontare la perdita improvvisa di mio padre, ho sempre custodito nel cuore la voglia di sorridere. Ho sofferto, lo ammetto, ma negli anni ho imparato a dare un senso a tutto, anche alle cose negative, scorgendone un insegnamento. E’ questo ciò che esprimo in Beyond the Nettles burn. In “White Fever” parlavi di pellerossa, Bonnie & Clyde... Qui mi sembra che l’approccio sia più personale, o mi sbaglio? “White Fever” rimane un testo per me molto importante, che non parla solamente di pellerossa e invasione, ma vuole mettere in discussione alcune drammatiche incoerenze del sistema occidentale. E’ un lato di me ancora vivo e vegeto, anche se per questo al-
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un pensiero che si ricollega sempre al concept dell’ep. Hai confermato la squadra di musicisti che lavora con te anche per questo disco: quanto è stato importante l’affiatamento per questo nuovo lavoro? In realtà ho confermato solamente il bassista Andrea Cocilovo, che nel precedente lavoro aveva registrato la batteria e che da settembre scorso mi accompagna nei live. A lui si è aggiunto suo fratello Daniele , che oltre a suonare le tastiere si è occupato dell’arrangiamento di alcuni brani presenti in “Beyond the Nettles Burn”. La sintonia con i Cocilovo Bros è molto profonda e si basa su una reciproca stima personale e professionale. Tecnicamente sono i migliori musicisti con cui io abbia mai suonato, quindi mi reputo molto fortunata ad avere accanto due professionisti che credono e investono
bum ho preferito un approccio apparentemente più personale. Dico “apparentemente” perché non si tratta di una descrizione autobiografica di episodi di vita reale, quanto di immagini e racconti che mi permettono di esprimere
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nel progetto. Per la produzione di Federico Altamura: avete adottato lo stesso approccio oppure è cambiato qualcosa? La differenza nella produzione c’è stata per due motivi: c’è stato molto inter-play fra Daniele e Federico, che ha curato i suoni di tutte le canzoni, e questo ha creato una sorta di eterogeneità fra i brani. Inoltre grazie al crowdfunding abbiamo avuto un budget maggiore che ci ha concesso più libertà: ho deciso per esempio di fare il master da Massimo Caso, un nome importante nel panorama musicale italiano. Perché hai scelto “You’re gonna go” come biglietto da visita del disco? “You’re gonna go” spacca. Ha un beat da cui non scappi, devi muovere il piede per forza di cose, e poi è il primo brano elettronico che ho scritto con la tastiera. Il ritornello apre a dismisura, i suoni sono belli, la canzone orecchiabile. Secondo me è una bomba “Blue Moon” mi richiama alla mente la scena trip hop anni Novanta, Morcheeba e compagnia... Ti ci ritrovi? Orecchio colto! Si, è vero: a me riporta agli Zero7, band che conosco poco ma che apprezzo, e al trip hop. E’ un genere che ho sempre ascoltato e mai avrei pensato che un brano chitarra/voce come “Blue Moon” potesse diventare ciò che è ora. Merito di Daniele e Federico, ma soprattutto di Andrea e delle sue linee di basso: è proprio grazie a lui
che abbiamo deciso di inserire il brano nell’ep, perché prima del suo intervento, non ci convinceva al 100%. Nel corso dell’ultima intervista ti avevo chiesto delle tue antipatie nel mondo indie... Stavolta cambiamo un po’: chi apprezzi di più tra i tuoi colleghi e le tue colleghe? Si, eri stato cattivissimo e io avevo ironizzato, perché non mi sta antipatico nessuno (bugia) e anche se così fosse non verrei di certo a sbandierarlo sul web... Sto pensando a chi veramente apprezzo e di nomi ce ne sono parecchi: fra i tanti mi vengono subito in mente i Lara Groove, che sono una band di Milano realmente tosta e che meriterebbe una chance in più; mi piace parecchio la cantautrice ligure Chiara Ragnini, che è brava e allo stesso tempo umile e gentile.Un altro gruppo a cui augurerei di fare strada sono gli Slowtide, band novarese di talento. Due ep consecutivi: ti iscrivi al club di chi pensa che l’lp sia roba vecchia? Oppure nei tuoi progetti futuri c’è un lavoro “esteso”? Hai ragione quando dici questo, perché ormai è quasi più comune l’ep rispetto al Long Playing. Ti dirò, non c’è stato un ragionamento su questa scelta, bensì una necessità: fare un ep costa di meno e puoi essere anche più compatto nel sound. Prossimamente non so cosa farò, dipende molto da come andrà questo ep… Incrocia le dita per me!
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CARLO MARTINELLI ci faremo prendere dal panico Dopo un demo, il cantante dei Luminal ci riprova: il suo nuovo lavoro da solista si chiama “Caratteri Mobili” e raduna cinque pezzi di nascita sparsa. Ci facciamo raccontare delle canzoni, di progetti antichi e futuri Il tuo demo dell’anno scorso poteva sembrare in qualche modo un esperimento, ma qui si parla di “prima vera esperienza da solista”. Come ci sei arrivato? Cambia qualcosa nei confronti dei Luminal?
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Scrivo costantemente brani da una decina d’anni e molti di questi non c’entrano nulla con il mio progetto principale. Era una vita che cercavo energie e coraggio per realizzarli, alla fine un po’ per caso un po’ per necessità ho trovato entrambe le cose. I Luminal proseguono come sempre, stiamo preparando il nuovo disco in maniera molto pigra e rilassata come facciamo di solito, poi ci faremo prendere all’improvviso dal panico e arrangeremo venti brani in una settimana. Da quanto racconti nelle note, quasi tutti i brani hanno una genesi lontana. Sai dire come o perché hai trovato modo di completarli solo di recente? Un mio vecchio amico, Madesi, ha iniziato a collaborare con un nuovo amico, Gianluca Lo Presti, ed è nata Area51 records. All’incirca in quel periodo io mi ero convinto a registrare e fare uscire qualcosa dei miei brani, anche se avevo intenzioni molto meno ambiziose.. Vista la nascita dell’etichetta e grazie
foto Chiara Meierhofer Muscarà al supporto di Massimo ho trovato le forze per contattare i musicisti, terminare gli arrangiamenti e mettere in moto tutta questa cosa. Puoi spiegare il titolo dell’ep? “Caratteri mobili” è un’ottima sintesi di questi pezzi, sia che lo si interpreti in senso letterale (i caratteri mobili di stampa) per via della forte individualità di brani e parti strumentali, che in senso più lato, caratteri in movimento, storie che cambiano, persone che arrivano e se ne vanno. “Un banale fatto di cronaca” ha risvolti inquietanti: come nasce e perché hai
deciso di metterla all’inizio dell’ep? Il brano musicalmente è uno dei più vecchi che ho, avrò avuto diciott’anni o giù di lì. In origine mi pare avesse un testo in inglese piuttosto psichedelico e inconsistente, però la melodia mi è sempre sembrata una cosa tipo Mogol/ Battisti prima maniera, per cui mi sono divertito come esperimento nel fare un testo alla loro maniera, con l’uomo un po’ “primitivo” e lo svolgimento della trama raccontata in maniera quasi cinematografica. Anche il video mi sembra una produzione di alto profilo. Puoi raccontare
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qualcosa della sua realizzazione? Si tratta del primo capitolo di un progetto più ampio, è un’unica “storia” suddivisa in cinque video che accompagnano i cinque brani dell’ep. Siamo stati in giro due settimane tra Lazio e Puglia, ad assecondare le idee perverse di Marcello Rotondella, che è l’autore della sceneggiatura oltre che il regista. I video usciranno uno dietro l’altro, svelando pian piano (o forse no) quello che succede tra un uomo e una donna che forse si lasciano, forse si ammazzano, forse invece no ed è tutto OK. Qualcuno (anch’io) ha evidenziato i tuoi legami con il cantautorato classico. Ma ci si trova anche la stessa matrice di alcuni contemporanei, per esempio IOSONOUNCANE. Che ne pensi? L’ultimo di IOSONOUNCANE è un buon disco, non so se c’entri qualcosa con il mio. Mi piace Giovanni Truppi ma per il resto ascolto zero musica italiana moderna, men che meno cantautori. Il mio artista preferito al momento è Shintaro Sakamoto, anche lui credo c’entri poco però con quello che faccio. Se c’è un tratto comune più o meno a tutto il mondo indie e forse a tutta una generazione, è la voglia di andare via.
Vorrei sapere come nasce una canzone come “Andiamocene a Taiwan”. Prima ancora che dell’indie e questa generazione, due cose che in effetti disprezzo abbastanza, escapismo e generica fuga sono leit motiv del rock n’ roll da Little Richards in poi. “Andiamocene a Taiwan” nasce con degli armonici di chitarra acustica, una discreta depressione/disperazione/pessimismo e un rifugio infantile in una suggestione romantica. Immagino molte cose e ne metto in pratica poche, ma credo che la realtà sia sopravvalutata quindi è tutto OK (e siamo a 2, al terzo ok me ne convinco). Di fronte a un ep è spontaneo chiedersi: è anche un preludio a un disco prossimo, a un tour, a qualcos’altro? Nell’ordine: spero di sì ma tra un bel po’ / credo di sì tra non molto / sicuramente sì perché se non si trova qualcos’altro si muore, si impazzisce.
FLACO la terapia migliore Una rottura, quella con i Punkreas, inaspettata e ancora dolorosa. Ma anche la voglia di fare qualcosa di nuovo: Flaco (anzi, “Flacopunx”) riparte dal nuovo disco da solista, “Coleotteri” Una curiosità, per partire: perché “Flaco Punx” e non soltanto Flaco? In realtà il nome corretto è “Flacopunx”, tutto attaccato. E’ andata così: all’epoca della polemica coi Punkreas, non avendo più a disposizione ufficio stampa né sito web o altro, decido di fare la mossa disperata e tentare di comunicare col mondo facendomi largo tra gattini e “video divertenti”. Così mi iscrivo a FB e per prima cosa mi chiedono nome e cognome. Non sapevo che caxxo mettere e avevo fretta, per cui ci metto Flaco e poi Punx, che ricorda un po’ chi sono. Il mio socio Tattoo ha unito le due parole e così ora siamo “Flacopunx”. Alla fine suona bene e dice tutto senza dire niente di preciso. Flacopunx è questa cosa in evoluzione, che ovviamente ruota attorno a me, ma che comprende anche altri. Siamo partiti in 2 a scrivere l’album, abbiamo registrato in 4 e da qualche giorno stiamo preparando il live in 5 La tua carriera da solista nasce dal-
la rottura, che tu stesso hai definito inaspettata, con la tua band storica. Quanto tempo ci è voluto per metabolizzare la fine del rapporto con i Punkreas e quanto/cosa ti ci è voluto per rimetterti in moto? E’ stata durissima, inutile girarci intorno. Soprattutto perché non avevo uno straccio di motivazione sensata cui attaccarmi, e anche perché a tutt’oggi mi sfugge il senso di tanto accanimento. Probabilmente erano anni che persone poco avvezze alla schiettezza covava-
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no risentimenti e altre passioni tristi. Io che sono ingenuamente esplicito e diretto fino alla crudeltà non me ne ero proprio accorto. Comunque sia, all’inizio mi hanno tenuto a galla i miei figli. Semplicemente perché non potevo tollerare di andare in pappa di fronte a loro. Qualsiasi cosa succede, tieni il punto caxxo, mi dicevo. I primi due mesi non ho fatto niente. Ma proprio niente di niente. Guardavo il soffitto e altri angoli di casa e mi attrezzavo per reggere psicologicamente l’urto inevitabile e giornaliero con il resto della comunità umana. Poi ho ricominciato a studiare: economia, storia, geopolitica, un po’ di biologia e genetica. Avevo bisogno di capirci qualcosa. Però niente chitarra ancora. Dopo 6 mesi circa, complice il Mastino, ho rein-
contrato Carlo Tattoo. Eravamo tutti e due in una fase di cambiamenti e questo probabilmente ha fatto scattare la scintilla. Lui è stato importantissimo sotto il profilo tecnico, perché padroneggia con grande disinvoltura audio,
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grafica e video. Ma è stato addirittura fondamentale nel ridarmi la fiducia nelle mie capacità compositive, che era gravemente compromessa. Scrivere il disco è stata una terapia. L’unica possibile e la migliore. Rispetto a quello che ci si poteva aspettare (o almeno che mi aspettavo io) il disco suona più incazzato che ironico. Avevi dosi di rabbia da smaltire? Mah, secondo me la cattiveria e la rabbia dipendono molto dalla voce di Tattoo. A me piace moltissimo, perché ha quel graffio naturale che mi permette di scrivere anche testi “morbidi” senza mai perdere di incisività. Se noti ci sono anche un sacco di cori molto melodici e zuccherosi, proprio per equilibrare la cattiveria della voce principale Certo, incazzato sono un po’ incazzato, ma ho cercato di trasformare la rabbia in energia positiva, e mi sembra di esserci riuscito (Anger is an Energy, ricordi?). Quanto all’ironia invece ti do perfettamente ragione: l’ironia oggi mi sembra un’arma spuntata e quindi cerco di usarla il meno possibile. L’ironia è una forma di giudizio che è efficace quando può contare su un fondo comune di valori che permettono di ridicolizzare chi se ne discosta. Quel fondo al momento è, come dire, sfondato. Mi sembra che dal punto di vista delle sonorità tu ti sia divertito a cambiare un po’ le carte in tavola: ok il punk, ma anche un po’ di rock a tutto tondo, ska,
reggae, perfino qualche idea blues. Scelte progettuali o le canzoni sono cresciute così? Volevo evitare come la peste di fare un disco troppo “ortodosso”, anche perché non vedo proprio spazi per l’ortodossia in generale, oggi. Non rinnego niente del passato, ma preferisco una veste sonora che mi consenta di arrivare potenzialmente a tutti e dire quel che ho da dire senza ripararmi dietro cliché che ormai sono limitanti e puramente autorappresentativi. Da questa impostazione generale nasce tutto il resto. Il mio sogno inconfessabile in realtà è fare canzoni ultra pop che funzionino come cavalli di Troia: forma accattivante e contenuto destabilizzante. Mi chiedevo: come mai la tua “Bubblegum” non è stata scelta come colonna sonora del Fertility Day? Ahahahaha Figurati se non ci ho pensato. E’ una canzone che ho scritto col preciso intento di stimolare al sesso, perciò si presta benissimo. Diciamo che se fossimo in Danimarca (hai visto il loro spot analogo ?) probabilmente il Ministro della Salute avrebbe scelto la mia canzone, io sarei ricco grazie ai diritti d’autore e il tasso di natalità sarebbe salito del 100%. Ma siamo in Italia, e ogni volta che c’è di mezzo il sesso non si riesce a evitare la goffaggine e il moralismo. Perciò io continuo a cercare di farmi largo tra i gattini e gli italiani continueranno a invecchiare. Detto
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questo, forse ti stupirà, ma nella comunicazione in sé dei limiti biologici della riproduzione sessuale non vedo niente di così scandaloso (taglio comunicativo a parte). Ma in “Bubblegum” in realtà siamo già ben oltre, a un momento in cui la tecnica minaccia di soppiantare il sesso nel processo riproduttivo umano. Considero questa evoluzione, aperta dalla biologia genetica, più inevitabile che probabile. E mi sento già un po’ nostalgico per quella bizzarra specie animale chiamata “essere umano”, che siamo stati e tra poco non saremo più. Sono curioso di conoscere la genesi (è il
caso di dirlo) di “Codice rosso”. La genesi di “Codice Rosso” è il riff di chitarra che senti all’inizio. Quel maledetto riff mi ha costretto a lavorare sodo per trovargli un testo coerente, e non è stato facile affrontare l’argomento che la musica imponeva. Alla fine, qui un po’ di ironia l’ho dovuta usare. Come è possibile che nel XXI secolo ci sia ancora gente che uccide animata da una ideologia religiosa totalmente priva di coerenza? Abbiamo già avuto i nostri problemi in Italia con la religione cattolica, che non ha conosciuto la Riforma e che per anni
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ha impedito la formazione di un sentimento nazionale e di una cultura politica laica. Insomma, abbiamo già dato. Non ne voglio sapere di ricominciar da capo e avere a che fare con gente che pretende di mettere al centro della vita civile le proprie superstizioni allucinatorie. E non sopporto gli pseudointellettuali – tra cui molti miei amici – che difendono la presunta diversità culturale dell’Islam dimenticandosi che quella diversità condanna il genere femminile alla sudditanza. Datemi pure dell’islamofobo, me ne fotto. Però non sparate ahahahaha... Perché hai scelto di non apparire in nessuno dei due video di anticipazione dell’album che hai presentato finora, cioè “Gorky” e “Bubblegum”? Per dare rilievo alla canzone e anche alle immagini, che sono molto suggestive e viaggiano per così dire in parallelo, ma con una loro autonomia rispetto alle canzoni. Vorrei essere riconosciuto e valutato per questo, non per altro. Passo il mio tempo a suonare, a leggere e a scrivere quello che mi pare di aver capito, non a curare la mia immagine personale. Per quello c’è gente più preparata e fotogenica di me, dai tronisti in su. Come sta il punk in Italia oggi? Soprattutto veterani oppure vedi qualche band giovane che ti convince? Maledetto! Speravo che almeno tu evitassi questa domanda che mi sento ri-
volgere dal secolo scorso (e non è un’esagerazione). Inutile nascondersi dietro a un dito. Il punk come movimento culturale propulsivo è in crisi, come tante altre cose che hanno le radici nel ‘900. I veterani resistono proprio perché vengono da un’altra era e perciò godono di una credibilità costruita quando esisteva un circuito vitale . Oggi è molto difficile cominciare a suonare punk ed essere credibili. Manca il contesto. Però qualche fiore nel deserto c’è. Apprezzo molto il lavoro di Ruggero e della sua Professional Punkers, soprattutto perché ridà vita a una dimensione collettiva che è andata persa negli anni. E poi mi va di segnalare un paio di giovani gruppi interessanti: Peli Pubblici e Sgabole. Che cosa ci si deve aspettare per i tuoi live? Farai soltanto brani tuoi o qualcuno di quelli che hai scritto per la tua ex band? “Canapa” penserei proprio di farla, anche perché il set va un po’ rimpolpato. Al momento abbiamo solo queste 10 canzoni nuove, e un paio di cover ci stanno benissimo. Mi piacerebbe anche fare “Cuore nero”, perché ci sono affezionato. Bisognerà vedere se la cosa ha un senso… Stiamo cominciando a provare il set live con la band e valuteremo tutto nei prossimi giorni. Compresa l’ipotesi di lavorare a un pezzo nuovo e inedito che anticipi il tour, previsto per gennaio. Abbiamo già qualche idea…
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I GIARDINI DI CHERNOBYL ritorno al futuro (magnetico) La band pubblica “Magnetica”, che recupera i brani realizzati prima del proprio esordio “Cella zero”, tornando a una sorta di rabbia primigenia tutto fuori dai soliti schemi, infatti si amalgamava bene sia con le sonorità dell’indie di stampo italiano sia con l’alternative di stampo americano. Appena registrati, li inviai ad alcuni addetti del settore, per sapere cosa ne pensassero e da subito ricevetti interesse da parte di alcune etichette indipendenti, oltre che la risposta affermativa di Giulio Ragno Favero de “Il Teatro degli Orrori” per occuparsi della registrazione del nostro primo album. SIMONE RAGGETTI (batterista)
“Magnetica” per voi è una sorta di “Ritorno al futuro”, con canzoni che nascono prima di quelle pubblicate in “Cella zero”. Potete spiegare meglio questa operazione? EMANUELE CAPORALETTI (cantante e chitarrista): Nel 2013 iniziai a scrivere alcuni brani e decisi un giorno di registrarli per vedere come sarebbero venute le idee che avevo in testa, e cosi nacque appunto questo ep. Appena i brani furono registrati notai che avevano uno stile e una forma quasi del
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Emanuele chiamò me e Stefano e decidemmo di realizzare insieme questo disco e questo progetto musicale. STEFANO CASCELLA (bassista) Da qui cominciammo a lavorare da subito insieme alla stesura di nuovi brani, che poi divennero il nostro album di esordio “Cella Zero”. All’inizio volevamo inserire i brani contenuti in questo ep in “Cella Zero”, ma ci rendemmo conto che il disco sulla base del lavoro di Giulio Ragno Favero, aveva delle sonorità troppo distanti dai brani che avevamo già, quindi decidemmo di prenderne soltanto due, di rielaborarli, per renderli consoni al resto del disco, mentre gli altri decidemmo di metterli in archivio. SIMONE: E’ da qui infatti che decidemmo di prendere queste tracce, (comprese le 2 usate su “Cella Zero”, ma nella loro versione originale) e di farne questo ep. Da “Cella Zero” emergeva una sorta di dualismo di ispirazione, da una parte la suggestione del metal di stampo americano, dall’altra l’alternative italiano. “Magnetica” segna un punto a favore dell’America o sbaglio? EMANUELE: Credo che “Magnetica”, da un mio personale punto di vista, segni un punto a favore dell’Italia, nel senso che si è sempre pensato che questo tipo di sonorità non potesse congiungersi alla nostra lingua, invece siamo riusciti a congiungere le due cose
in una maniera molto naturale. Noi amiamo il rock alternative, sia quello italiano, chiamato Indie, sia quello americano; pertanto credo che il disco sia appunto alternative rock, proprio perché ci sono tante influenze di tanti stili dentro ogni brano, che sarebbe riduttivo dargli una etichetta anche solo vaga che viaggia in confini troppo delineati. C’è un che di più magmatico e primitivo in queste canzoni. Che scelte avete fatto riguardo a produzione, mastering e mixing? EMANUELE: L’elaborazione di questo ep è stata interamente autonoma, sono stato aiutato da alcune persone sotto il profilo tecnico e di editing, ma tutto il processo creativo e artistico stato diretto personalmente da me. Il sound che ne è venuto fuori è il frutto di alcune idee che volevano miscelare arrangiamenti in alcuni casi più soft insieme a chitarre più acide e noise. Perché avete deciso di includere versioni alternative di “Iago” e di “Odio il sole”, che erano già presenti anche su “Cella Zero”? EMANUELE: Quelle che si trovano nell’ep sono le versioni originali dei due brani. Inoltre, le avevamo come materiale di archivio, quindi perché non inserirle? Poi nei nostri live questi brani li portiamo nella versione ep, quindi sarebbe insensato non farle conoscere nella loro versione originale.
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di più, tanto che queste tracce hanno colpito, anche persone che non necessariamente seguono questo genere di musica, quindi la cosa ci ha fatto molto piacere. Viene da chiedere quali possono essere i passi successivi a questo Ep, visto anche il tempo passato dall’uscita di “Cella Zero”. Avete qualcosa di pronto oppure vi siete concentrati del tutto su “Magnetica”? STEFANO: Fortunatamente, “Magnetica” non ci ha tolto molto tempo, perché comunque avevamo già tutto il materiale, quindi il più del lavoro era già fatto, attualmente stiamo lavorando a dei nuovi brani per il nostro prossimo album, tra la stesura dei nuovi pezzi, e i live del tour per “Cella Zero”, in questo periodo siamo pieni di lavoro. Quindi possiamo dire che qualcosa di pronto c’è, ma che per ora preferiamo non divulgare. SIMONE: Infatti abbiamo tante idee, abbiamo già alcuni brani completi e tanti su cui lavorare, se riusciamo ci piacerebbe entrare in studio per le registrazioni del nostro prossimo album entro il 2017.
SIMONE: Inoltre, questo ep raccoglie i brani su cui è partita la nostra storia, quindi abbiamo deciso di pubblicarlo, e regalarlo in free download a questo link: E’ un regalo da parte nostra per tutte le persone che in questi anni ci hanno seguito e sostenuto con amore, oltre al fatto che per noi è un ulteriore modo per farci ascoltare anche da chi ancora non ci conosce. Vorrei sapere qualcosa di più anche della genesi degli altri tre brani inclusi in “Magnetica”. EMANUELE: Gli altri brani sono molto più sperimentali, a tratti quasi progressivi sotto un certo punto di vista, mentre per “Iago” e “Odio il Sole” è stato usata la classica struttura “strofa e ritornello”, (questo vale anche per il brano “Clessidra”), per le altre 2 tracce invece si è voluto sperimentare un po’
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Cristian Grassilli cercando di fare il possibile Psicoterapeuta, musicoterapeuta ma anche cantautore: con “Crac si gira?” Grassilli conferma una personalità sfaccettata e la voglia di raccontare i tempi che sta (stiamo) vivendo comporre ma quello che ho cerco di sfruttarlo fino in fondo per creare. Il lunedì pomeriggio conduco due gruppi di songwriting con pazienti psichiatrici ricoverati in un casa di cura a Modena e in quel momento scrivere canzoni con altre persone rappresenta per me l’anello di congiunzione tra psicologia
Sei psicoterapeuta e cantautore: difficile pensare a queste professioni come complementari una all’altra. Come riesci a conciliare il tutto? In generale provo a conciliare “tutto” cercando di fare il possibile: non nascondo che mi piacerebbe avere più tempo da dedicare alla musica e al
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e musica. Ho studiato anche musicoterapia e mi sono diplomato anni fa: mi è servito molto per integrare il mondo musicale con quello “psi”. Vorrei sapere con quali premesse ti sei messo al lavoro sul tuo ultimo disco, che hai presentato come, sostanzialmente, un concept sui tempi moderni. Molte canzoni contenute in “Crac si gira?” le ho iniziate a comporre intorno al 2008/2009 e mano a mano che scrivevo mi rendevo conto che i temi trattati ruotavano intorno al periodo storico che stavo vivendo, c’era un minimo comune denominatore e successivamente e’ venuta l’idea del concept anche se, purtroppo, molte delle tematiche trattate nei brani sono ancora attuali. Terminati i brani ho curato gli arrangiamenti insieme al gruppo di musicisti con i quali suono da anni, insieme al fondamentale aiuto di Pasquale Morgante. Nel disco si possono leggere numerose assonanze e ascendenze. Vorrei sapere però direttamente da te quali sono i tuoi punti di riferimento musicali incrollabili. Bella domanda: difficile dirlo! Ogni artista che mi piace mi colpisce per una sua peculiarità, per un aspetto (che può riguardare il suono, la melodia, l’arrangiamento, il testo..) Provo a risponderti dicendo Francesco Guccini, Daniele Silvestri, Vinicio Capossela, mi piace il Dalla dei fine anni 70 così come mi emoziona ancora sentire il Vasco ge-
nuino dei primi tempi. Adoro la poesia schietta e talvolta malinconica di Bobo Rondelli, la maestria con cui gioca, con parole e armonia, Samuele Bersani. Freddie Mercury e i Queen li abbiamo presi di mira col mio primo gruppo, quando ero ancora tredicenne, e rappresentano ancora un punto di riferimento. Uno dei brani più significativi mi sembra “Perché scrivere ancora di canzoni”: come nasce? Nasce dal bisogno di esternare un’esigenza che sta alla base dello scrivere canzoni: vale a dire la voglia di trasformare ciò che si prova e che si pensa in una forma d’arte che può diventare comunicazione con gli altri e “sollievo” per sé. Quando i “primi” cantautori (per intenderci da Modugno in poi) mettevano come messaggio principale l’autenticità dello scrivere, intendevano l’urgenza di farlo in maniera immediata, indipendentemente dal progetto discografico che c’era alla base di una canzone o di un “prodotto”. La ragione principale e pura penso sia questa: la musica non mente e non ha, intrinsecamente, altri scopi se non la musica stessa e l’esperienza di vitalità che regala il farlo. Scrivere canzoni può far sentire meno soli e regalare l’illusione di offrire agli ascoltatori uno specchio in cui riconoscersi. Vorrei sapere quanto c’è di autobiografico in “Studente a vita”?
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“Studente a vita” è una canzone che ho scritto quando convivevo con altri 5 studenti a Bologna; eravamo nel classico appartamento il cui proprietario non tirava fuori un euro per il mantenimento della casa ed era grottescamente sordo alle nostre ragioni ( rimane ancora il dubbio se ci faceva o ci era ) e ognuno dei ragazzi che viveva li’ inseguiva il proprio sogno: c’era il giornalista in fieri che lavorava gratis per una radio bolognese per arrivare alle ore necessarie per prendere il tesserino; il pianista jazz che passava i giorni a suonare e a mettere annunci per cercare nuovi allievi; il programmatore, partito per la Svezia per un dottorato, e successivamente rientrato a Bologna; il barista che faceva orari improbabili e a casa amava ascoltare del buon rock a palla; la laureata in lettere che ha fatto la specialità per diventare prof di soste-
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gno (con i concorsi e le graduatorie che seguono )...tanti altri e infine lo psicologo cantautore che tra un tirocinio e l’altro e la scuola di specializzazione in psicoterapia, scriveva canzoni. In quel periodo, si parla di anni fa, bastava fare due chiacchiere a colazione con chi era in casa e ascoltare le storie di ciascuno. Sì, c’è un po’ di autobiografico nella canzone, ma senza le persone transitate da quella casa di certo non sarebbe stata scritta. Come un’altra dal titolo “Inquilina dell’appartamento”... ma questa è un’altra storia.. Vorrei che spiegassi anche, per quanto si possa fare in poche parole, in cosa consiste il tuo progetto inerente la psicantria o “psicopatologia cantata”. Psicantria è un neologismo, una parola che abbiamo inventato insieme a Gaspare Palmieri, amico e psichiatra cantautore di Modena, nel lontano 2010, che significa “Cantare la Psichiatria”. L’obiettivo di questo progetto, di cui io e Gasapre siamo cofondatori, è di fare conoscere attraverso le canzoni, anche ai non addetti ai lavori, la malattia mentale per cercare di contribuire ad abbattere il pregiudizio o lo stigma che talvolta si può incontrare nei confronti di chi sta soffrendo di un disturbo mentale. In sostanza abbiamo scritto due libri/cd dal titolo “Psicantria:manuale di psicopatologia cantata”(2011) e “Psicantria della vita quotidiana”(2014) editi entrambi da La Meridiana Edizio-
portunità di conoscere Francesco Guccini, che ha scritto la prefazione abbracciando gli intenti del progetto. Abbiamo poi continuato a collaborare con lui scrivendo insieme la canzone “Notti”, contenuta nel suo ultimo - in tutti sensi purtroppo!- cd “L’ultima Thule”. Con Psicantria stiamo lavorando al terzo libro, in uscita l’anno prossimo... È passato qualche mese dall’uscita del disco. Hai materiale pronto per un nuovo lavoro? Materiale nuovo c’è, ma non mi accontento e sto continuando a scrivere. Qualche nuovo brano lo sto già suonando ai concerti e mi piacerebbe fare un cd dalle sonorità più folk ed essenziali rispetto a “Crac”.
ni, che contengono canzoni che trattano di temi dello “psicomondo”; ci esibiamo durante il nostro spettacolo che portiamo in giro per l’ Italia accompagnati alla chitarra da Lorenzo Mantovani. L’uscita del primo libro ci ha dato l’op-
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HAZAN quando si fa sul serio “Kaiserpanorama” è il disco d’esordio della band distribuita fra le province lombarde ma compatta nel sound e nelle scelte zoni corali. Kaiserpanorama invece era uno speciale tipo di stereoscopio circolare destinato alla visione collettiva di diapositive, usato in Germania a fine ‘800. Lo spettatore assisteva a immagini e informazioni, direttamente guardando dentro il macchinario, in una visione limitata delle cose. Un po’ come oggi facciamo tutti noi, con gli stessi social, le stesse notizie, le stesse mode. Siamo passati in pratica dallo stereoscopio allo stereotipo. L’ep è un biglietto da visita importante del vostro sound. Le canzoni provengono da tempi diversi oppure le avete realizzate in un tempo breve? In parte sono canzoni che erano mature già da tempo, altre invece sono state composte appositamente prima delle registrazioni. Fondamentale poi è stato l’ingresso di Ale alla batteria per trovare un groove riconoscibile su tutti i brani, e la collaborazione con Davide Lasala come produttore per caratterizzare il sound. Quali sono i vostri capisaldi musicali? Abbiamo un orecchio apertissimo
Di voi sappiamo principalmente che siete lombardi e che suonate forte... Ci raccontate qualcosa di più? Grazie per il “suonate forte”... La storia degli Hazan è recente, ma arriva da lontano. La band ha attraversato negli anni diverse fasi e cambi di nome, fino a quando è arrivato il momento in cui il nostro sound si è definito e abbiamo deciso di fare le cose sul serio. A quel punto avevamo tutto pronto ma sentivamo che ci mancava solidità ritmica. Per questo abbiamo deciso di cambiare batterista e con l’arrivo di Ale abbiamo completato il quadro. Dopo aver messo a fuoco le canzoni siamo andati all’EDAC Studio e insieme a Davide Lasala (produttore) abbiamo fatto nascere “Kaiserpanorama”. Nome della band e titolo dell’ep meritano qualche spiegazione: ci potete raccontare qualcosa in merito? Ci piace essere multiculturali e ci piacciono parecchio i nomi strani. Hazan è un termine ebraico per indicare un cantore/musicista che usa la propria arte per guidare una congregazione in can-
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sull’ascolto e nessun pregiudizio, ma tendenzialmente tutti e quattro ci siamo formati con la musica inglese del passato e quella della West Coast americana anni ‘90. Perché avete scelto “Sulla pelle” come apertura del disco e come singolo? Sulla Pelle è il brano più diretto e “in faccia” dell’ep, sia come testo che come musica. Ci piace presentarci con qualcosa di breve ma intenso. A proposito di “Sulla pelle”: avete realizzato da soli il video. Com’è nato il concept e come sono andate le riprese? Ci piaceva l’idea di fare qualcosa di grezzo, consono alla canzone, da qui
l’idea di suonare dentro un capannone industriale. In secondo luogo volevamo rendere partecipi tutti di come si svolgono le prove di una “garage band”, quindi Go pro scotchata sulla testa e ciak azione ovviamente il divertimento non è mancato, chi ci conosce lo sa! “Qui dove sto” ha un testo un po’ schizofrenico (“mi piace qui/anche se è uno schifo di città”). Qual è il rapporto con la vostra zona di provenienza e come nasce la canzone? Diciamo che il cantante è schizofrenico in generale... ovviamente scherziamo (ma non troppo). Il rapporto con le nostre zone è fortemente altalenante.
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Siamo legati perché ci siamo nati e cresciuti, abbiamo famiglie, amici, luoghi di riferimento...ma a volte si ha la sensazione che siano posti “stretti”, e sembra quasi di non respirare abbastanza, le opportunità sono poche e a “vincere” sono sempre gli stessi. La canzone nasce da questa frustrazione, il “vorrei andarmene, lo vorrei veramente ma alla fine fanculo resto qui e mi diverto!” Il disco è stato prodotto da Davide Lasala. Lo avete scelto o vi ha scelto lui? Come avete interagito? Diciamo 50 e 50. Avevamo sentito parlare bene di lui da molte band della
zona che hanno avuto modo di lavorarci, una su tutti i Giorginess (dei quali Davide è anche il chitarrista). Ci siamo proposti, è venuto a sentirci alle prove e ha voluto ascoltare le canzoni per capire se e come avesse potuto lavorarci. Ci siamo piaciuti reciprocamente e abbiamo deciso di lavorare insieme. E’ stata un’esperienza che ci ha fatto crescere molto, Davide è molto bravo nel suo lavoro ma ha il suo caratterino, noi idem, per cui non sono mancati momenti di tensione. Ma alla fine è stata una componente sana che ci ha permesso di arrivare al risultato che volevamo!
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RECENSIONI INTERVISTE
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