www.musictraks.com
INTERVIEW
Numero 9 - maggio 2018
Be a Bear arrampicandosi sul tempo LeadToGold Red Bricks Foundation House of Tarts Chiara Padellaro Winter Dies in June
sommario
4 Be a Bear 8 LeadToGold 12 Red Bricks Foundation 16 House of Tarts 20 Chiara Padellaro 24 Winter Dies in June 28 Before Sunset 32 Francesco Camin 36 Maffoni 40 Levy 44 TXD Smook
Questa non è una testata giornalistica poiché viene aggiornata senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62/2001. Qualora l’uso di un’immagine violasse diritti d’autore, lo si comunichi a info@musictraks.com e provvederemo alla rimozione immediata
TRAKS INTERVIEW www.musictraks.com info@musictraks.com
B E A BEAR arrampicandosi sul tempo
Progetto solista (ma con amicizie e un probabile futuro “allargato”) prodotto unicamente con suoni provenienti da un iPhone, “Climb Your Time” è il secondo album del progetto dell’ “Orso”, con accenti synth moderni ma anche qualche accenno di nostalgia, soprattutto per gli 80s
Partirei dal titolo: perché e in che senso inviti ad “arrampicare il nostro tempo”? Il tempo spesso è un problema. A volte vorrei che le giornate durassero 36 ore o di più. Penso di non essere l’unico in questa situazione. Ho scelto di chiamare l’album in questo modo perché il tempo è una cosa importante, è anche se ce ne è poco bisogna “arrampicarlo”, scegliere gli appigli giusti e sudare per arrivare in cima. Non bisogna buttare via il tempo mai dire di no ai propri sogni. Certo si fa fatica, ma la vita è una sola e non bisogna sprecarla. E comunque arrampicare mi piace! Ci si concentra sempre sulla scelta stilistica di “fare tutto con l’iPhone”. Oltre a una notevole praticità ed economia, che vantaggi “artistici” trovi in questo tipo di strumentazione ridotta al minimo? Il principale motivo rimane sempre e comunque la praticità e la necessità anche perché se non avessi scelto questa strada ora non sarei probabilmente nemmeno uscito con il primo album! Anche
se devo ammettere che rispetto al passato, dove mi trovavo a usare i classici strumenti batteria-basso-chitarra, con l’iPhone hai un mondo a disposizione, subito e in modo davvero facile, dai synth ai violini. Nelle note introduttive del disco fai riferimento ai viaggi in India e Canada che ti hanno dato molto. Come sono entrati in questo disco? Questi due viaggi rimaranno per sempre nella mia vita, mi hanno fatto capire tante cose e mi hanno cambiato. E questo anche nella
musica. Ho voglia di lasciare dei messaggi, energie positive. “About links”, con il suo video, per esempio è una sorta di manifesto di Be a Bear dove c’è tanto Canada e tanta India. È una sorta preghiera dove ringrazio per quello che ho avuto. Ah, nell’intro di “Me & the grizzly” troverete il vero rumore di sottofondo di una strada del Tamil Nadu. Mi incuriosisce molto “Stranger Love”: come nasce? Stranger love nasce dopo una settimana chiuso in casa rapito dalla serie Stranger things. Mi è piaciuta
6
tantissimo! Ho sempre avuto una passione, un amore per i classic movie degli anni ‘80 e Stranger love è nata come la mia “colonna sonora” di quei giorni. Mi piace creare la mia personale “colonna sonora” del momento. Puoi raccontare qualcosa delle varie collaborazioni di questo disco? Be a Bear è nato come progetto solista ma ultimamente mi sta un po’ stretta come situazione. Probabilmente il futuro sarà con una band o comunque con atri musicisti accanto a me. In questo album ho voluto in un certo senso iniziare questo processo. Le collaborazioni sono tutti miei amici di Bologna, amici veri, che volevo fortemente nel mio album. Con gli amici bisogna condividere tutto, anche la musica! Victor è il mio migliore amico, il “mio cantante” storico con Le Braghe Corte, il cantante, l’unico che vorrei sempre di fianco a me. Grigio è il nome d’arte di Gaggio, il mio ido-
lo musicale bolognese fin da piccolo. Marco e Dave due grandissimi musicisti a 360 gradi anche se loro non lo sanno!
7
LEADTOGOLD seducendo e inquietando
Tre anni dopo “Less is more” ecco il trio alle prese con “I”, lp che parla di sesso (molto), tra elettronica, psichedelia e riferimenti letterari, spesso piuttosto alternativi Sono passati tre anni dal vostro ep “Less is More”. Che cosa è successo e come avete costruito “I”? “I” è figlio di “Less is More”. Anche
in quel caso ci eravamo cimentati nella più totale autoproduzione e anche le tematiche non si discostano tanto; a essere cambiata è la 8
Il sesso è spesso al centro delle canzoni del disco. Come pensate che questa tematica sia vista nella musica di oggi? Sbaglio o si è andati da una grande apertura fino quasi a una rimozione psicanalitica del fenomeno? In generale, non solo nella musica, il sesso viene sempre “soffocato” sotto una coltre di allusioni e doppi sensi. Tutti sanno di cosa parliamo, ma nessuno ne parla apertamente. Questo a nostro modo di vedere crea una sorta di malessere alienante, che è il senso
nostra consapevolezza, sia nei nostri mezzi che nella chiarezza del messaggio che portiamo avanti. 9
dei nostri brani. Perché scegliere la voce di Charles Manson come fil rouge del disco? Quello che abbiamo sempre cercato di creare è un’atmosfe-
ra “seducente”, che attragga con suggestioni sonore e melodiche l’ascoltatore, ma che lo lasci sempre un po’ inquieto. Charles Manson rappresenta quel “ventre molle” della società e quella nota 10
condizione della donna nella sfera sessuale, a prescindere dal fatto che la protagonista fosse una ninfomane. Inizialmente un primo arrangiamento aveva un tono più aggressivo e arrabbiato, per poi virare verso un tono più intimo e sommesso; quest’ultima scelta è stata quella che forse meglio rappresentava il senso del testo, come se certe fantasie possano essere solo sussurrate “Eurotrash” nasce invece da una suggsetione di Irvine Welsh: potete raccontare la genesi della canzone? Inizialmente si trattava di una demo che partiva con basso e cassa tamarrissimi, che ci suggerivano qualcosa che avesse a che fare con l’immaginario da rave degli anni ‘90. Da lì l’accostamento a Welsh era facile. Abbiamo scritto un testo che ricreasse quelle atmosfere pulp, intingendole di perversione e alienazione, che cateterizzano le nostre tematiche. Il finale strumentale rappresenta la violenza brutale con la quale si chiude il racconto
dissonante o quel synth ossessivo presente nelle nostre canzoni Come nasce “Ebony”? L’ispirazione arriva da “Nymphomaniac” di Von Trier. Ci ha fatto riflettere su quella che fosse la 11
RED BRICKS FOUNDATION meglio stonare che annoiare
Indie rock band romana attiva già da qualche anno, con molti concerti e un ep alle spalle, la band conserva il nucleo centrale, formato da Lorenzo Sutto, che risponde alle nostre domande, e Claudio Cossu, e un sound orientato verso il rock di matrice brit Molti concerti e una certa esperienza alle spalle, ma la vostra impronta sembra piuttosto “nuova”: volete raccontare la vostra storia fin qui? Abbiamo sempre cercato di suonare tanto live, sia perché ci piace, sia perché lo abbiamo sempre ritenuto necessario per la nostra crescita musicale. Sin dall’inizio
abbiamo suonato ovunque, dalle piccole bettole a conduzione familiare ai grandi palchi romani dei famosi localari. L’esperienza del live è fondamentale anche per capire la nostra musica e il coinvolgimento del pubblico rende tutto più interessante, soprattutto per noi che possiamo vedere il feedback della nostra musica su 12
della gente che nemmeno conosciamo… Nel vostro video “I wanna play with your heart”, oltre che una certa aria da “sciupa femmine”, si leggono influenze musicali dai 70s ai 90s. Quali sono i vostri capisaldi musicali? Ho sempre sognato di saperci fare con le ragazze ma nel video questa cosa è più presa in giro che elogiata. Nel rock ‘n roll soprattutto l’immagine virile e sensuale del bad boy è diventata iconografia ed è su quello che mi soffermo ed è ovvio che se si vuole parlare di questo aspetto non si può non passare per gli anni 60/70 e tutto quel culto dell’immagine dionisiaca del frontman bello e dannato. La nostra musica però non vuole essere macchietta di un movimento che ormai è bello che passato ma piuttosto vorrebbe riprendere in mano una concezione estetica e musicale che si è un po’ persa negli
ultimi anni, anche con influenze non prettamente inglesi dell’epoca d’oro del rock ma appunto, grunge, punk e alternative. A noi piace cambiare come le scale di Harry Potter. Qual è la genesi della canzone? Ritrovarsi a Londra davanti a Big Bang Theory (“through the desert of Pasadena”) e avere voglia di scrivere una canzone pop riguardo a una serie di idee di frontman/antieroe che ho avuto da quando ho ascoltato per la prima volta Heartbreak Hotel. Il brano anticipa un disco che si annuncia come “maturo”... Penso che parlare di maturità ora come ora potrebbe risultare scor-
13
piace pensare alla nostra band come una band che live ha l’attitudine punk, quella dell’immediatezza e del pugno in faccia ma che poi può risultare coinvolgente e convincente anche in momenti più melodici e a tratti psichedelici. Io sto attento a questo, mentre la band è indaffarata a costruire una struttura ritmica e melodica perfetta io vado e mi porto a spasso lo sguardo e le orecchie del pubblico senza aver paura di stonare o suonare male perché so che alla fine , il nostro spettacolo sarà comunque il più coinvolgente della serata. Preferisco stonare piuttosto che risultare noioso. Oltre a cantare e a scrivere canzoni per la band, lavori anche come modello. Come si conciliano questi due aspetti? La moda è stata per un po’ di anni la mia fonte di introito principale e la rispetto per questo. Senza di essa non sarei il ragazzo che sono ora e probabilmente non avrei vissuto determinate situazioni che mi hanno portato a scrivere alcune delle mie canzoni più belle. Nella
retto come concetto. A noi piace fare musica e la facciamo insieme da più di 7 anni quindi forse abbiamo raggiunto una certa stabilità nella fase compositiva di un brano ma credo che siamo ancora molto lontani dalla maturità musicale che vorremmo avere. Come si svolgono i vostri live? I nostri concerti non sono concerti normali. La band in sé è composta da musicisti doc, bravi e capaci, quasi tutti o dal Conservatorio o comunque in strutture simili. Io no. E questo mi dà una libertà enorme sul palco. A me 14
mia visione delle cose la moda e la musica vanno d’accordo, non si combattono e forse nel mio modo di scrivere questo si rispecchia molto. La mia parte estetica, il mio gusto e piacere musicale sono cambiati e cresciuti con me e di conseguenza anche con la band. Trovarsi a combattere da solo con così tante novità a una così tenera età non è mai un processo indolore, soprattutto per me che scrivo canzoni e che quindi mi ritrovo subito davanti alla mia stessa analisi di un problema. Senza la musica forse non sarei riuscito a trarre nessun lato positivo da una sconfitta o da una giornata no. Grazie alla band ho sempre avuto a disposizione il trampolino di lancio per dire la mia, parlare di qualcosa o qualcuno ed esorcizzare il dolore. Avete chiesto di fare dei ringraziamenti…
Sì, a tutte le persone che hanno creduto nel nostro progetto e ci hanno sostenuto, amici, fan... Però oggi siamo qui anche grazie a mmFACTORY che ha prodotto il singolo e il video I wanna play with your heart, quindi grazie!
15
16
HOUSE OF TARTS cose così vere da sopraffarci Laura Martelli e Valentina Salvatori, dopo esperienze maturate in gruppi indie-rock delle loro zone d’origine sentono l’esigenza di sperimentare nuovi linguaggi: il risultato è H.O.T., il loro disco d’esordio A quanto ho capito, il vostro duo si forma nel 2015 sostanzialmente per un incontro casuale. Che cosa è successo da allora fino a questo primo disco? Ci siamo chiuse in sala prove o in casa a seconda delle giornate per quasi tutto il tempo precedente l’uscita del disco. All’inizio era difficile comunicare verbalmente, ci capivamo meglio suonando ed era anche più divertente, quindi abbiamo continuato a farlo.
17
Le vostre canzoni, a quanto dice la presentazione del disco, nascono da “flussi di coscienza” che prendono forma un po’ alla volta. Potete raccontare qualcos’altro sul vostro modo di comporre? Flusso di coscienza è un modo pomposo per dire che componiamo prevalentemente a caso. In ogni prova a Mestre portavamo tutto quello che le giornate trascorse ci lasciavano, i pezzi sono cresciuti con noi volta per volta, e
sono venute fuori delle cose così vere da sopraffarci, piene di errori e di difetti, ma che sapevano di noi più di quanto sapessimo noi di loro. Il problema di scegliere una via performativa per esprimersi è il dover rivivere ogni volta le emozioni spesso ingestibili che ci portano a scrivere, per questo cerchiamo una via ironica nel nostro modo sgangherato di metter su canzoni. L’idea, l’immagine o la storia da cui partiamo è spesso molto oscura, e i testi lo dimo18
strano. Con la musica cerchiamo di divertirci, Valentina tira fuori dei suoni così assurdi a volte che il contrasto è esilarante. Oltre alle influenze propriamente elettroniche, si direbbe che amiate la dark wave. Quali sono i vostri capisaldi musicali in assoluto? In realtà di darkwave, a parte i Clan Of Xymox amati molto da Valentina, non ascoltiamo praticamente niente. Abbiamo gusti musicali parecchio differenti, ma ci accomuna la musica di Annie Clark (aka St. Vincent). Come nasce “A Day as Anubi”? A Day as Anubi nasce come un motivetto divertente dove Laura suona la sua tastierona e Valentina la batteria, poi per mancanza di abilità alle percussioni passa al basso. Da canzone da cabaret diventa una delle tracce più cupe che abbiamo mai composto. Il resto è segretissimo. Che cosa ha regalato la produzione di Jacopo Gobber a questo disco? Il ruolo di Jacopo, che ringrazia-
mo ulteriormente, è stato chiave. Non avendo mai lavorato prima con un produttore, ci è sembrato incredibile come abbia capito il nostro intento e ha saputo dare la veste perfetta a ogni traccia pur rispettandone il senso. Il risultato è un disco con le sonorità che cercavamo, ma molto più raffinate e piene rispetto alla nostra demo. L’apporto fondamentale della sua produzione da autentico ingegnere del suono è stata la resa dello spazio che è riuscito a dare attraverso i suoni, che, nell’ottica di un disco molto legato all’ambiente in cui è stato concepito, non poteva essere più calzante.
19
CHIARA PADELLARO frenesia & riflessione
Acqua è il primo album della cantautrice romana: dieci brani che rappresentano le tante sfumature della cantante, tra jazz, pop, funk e soul Ho iniziato a scrivere i miei primi brani mentre ero in Conservatorio, su incitamento degli insegnanti, e da lì è diventata una pra-
Il tuo rapporto con la musica è di vecchia data perché hai iniziato giovanissima. Ma come sei arrivata a questo debutto? 20
gliato. Quanto ha inciso il tuo essere “secchiona” (o della Vergine, come preferisci) sulle canzoni e sulle lavorazioni di questo disco? Penso che se non fosse stato per la mia testardaggine e “secchionaggine” questo disco non ci sarebbe mai stato. Per un artista emergente come me fare un disco vuol dire occuparsi di tutto, soprattutto di tutti quegli aspetti anche non musicali che servono a realizzarlo fisicamente.
tica che non ho più abbandonato. Un disco va a mettere una bandierina in un percorso artistico: da un lato segna un punto di arrivo, ma allo stesso tempo definisce un nuovo inizio. I brani di “Acqua” uniscono il mio background musicale di questi anni, ma anche emotivo, ci ritrovo dentro esperienze vissute, riflessioni che ho trasformato in musica per comunicarle. Sulla tua pagina Facebook c’è un tuo autoritratto piuttosto detta-
21
E colgo l’occasione per ringraziare e citare i tre musicisti speciali che mi hanno accompagnato in questo percorso creativo Danilo Blaiotta e Giuseppe Salvaggio, anche coautori di alcuni brani, e Marco Tardioli batterista fuori classe. La carica iniziale me la danno loro tutte le volte che porto un brano nuovo in sala prove e l’accolgono con entusiasmo. Un importante sostegno, per quel che riguarda il disco Acqua, è arrivato da mmFACTORY, con cui abbiamo lavorato alla produzione del disco.
Parlando del disco, mi sembra rispecchi il tentativo di offrire il maggior numero di sensazioni diverse, pur all’interno di un discorso sonoro omogeneo. Sì esatto, ci sono diverse sensazioni e stati d’animo vissute da me in prima persona, e descritte nei brani del disco. In molti ci si possono ritrovare, o possono essere lo spunto per una riflessione: dal concetto di morale, a quando ci sentiamo “fuori” rispetto agli altri e controcorrente, allo stato precario in cui viviamo, al concetto 22
di frenesia e riflessione su questo mondo indifferente e sempre di corsa. E via dicendo nel corso dell’album. Vorrei sapere qualcosa della genesi della title track, “Acqua” Agganciandomi a quanto detto prima Acqua è sia il titolo di uno dei brani, ma anche una metafora che poteva ben sintetizzare il concept del disco. L’acqua come sappiamo cambia stato in continuazione, ma sempre acqua rimane: il disco vede dieci brani che appunto descrivono aspetti, stati, riflessioni e rappresentano varie sfaccettature della mia musica e della mia persona. Tre nomi di tuoi punti di riferimento inderogabili in campo musicale? Soltanto tre? I punti di riferimento sono veramente troppi e vanno a periodi anche perché
magari escono nuovi artisti che iniziano a piacermi moltissimo. Posso rivelare che nei momenti di sconforto durante la creazione del disco mi sono appellata a Lucio Dalla, Beatles e, soprattutto per i testi, anche a Niccolò Fabi.
23
WINTER DIES IN JUNE
Un concept album che racconta la sua storia al contrario, partendo dalla fine. “Penelope, Sebastian” è la storia di un legame, tra due persone, ma anche tra quelle persone e i luoghi che li hanno raccontati. A narrare, una band emiliana dotata di gusto, coerenza ed efficacia 24
traverso la fiction. Non è astratta, ma cerca il dramma, ovvero l’azione. Volevamo cimentarci con un racconto lungo che narrasse la storia di due ragazzi attraverso le canzoni che hanno ascoltato e i luoghi che hanno vissuto. E abbiamo semplicemente deciso di farlo al contrario, perché spesso quello che non si riesce a fare quando questa parola monolitica e inaffrontabile che chiamiamo amore arriva a una fine è capire come è iniziato tutto e perché. Non è tanto il gusto del lieto fine che ci ha fatto scrivere al contrario, quanto la necessità di comprendere il senso delle cose, dell’evolvere o co-evolvere di due persone. Ci sono anche alcuni cambi a livello sonoro, rispetto al disco precedente: avete pianificato la svolta o avete semplicemente cambiato gusti? La cosa è stata pianificata. Diciamo che partendo dal post rock, le chitarre sono sempre molto intrecciate mentre tastiere e archi hanno sempre rappresentato un ambiente sonoro di fondo in gra-
Cominciamo dalla scelta di un concept “al contrario”: come nasce e quali le motivazioni? La nostra musica nasce per raccontare delle cose. Si è sempre espressa attraverso il racconto, at25
ta, ma in due studi diversi? La scelta nasce dal fatto che volevamo un racconto a due voci, anche se l’io narrante è sempre di Penelope. Dalla Sauna con Martino Cuman e il mai troppo rimpianto Andrea Cajelli, abbiamo ottenuto il calore e la presenza dell’analogico, dei pre valvolari e dei riverberi a molla, perché quello è il modo nel quale si esprime Penelope, la fisicità della sua voce. Nelle tre canzoni che abbiamo re-
do di collegare tutti gli strumenti e fornire la base sulla quale inserire tutti i momenti della canzone. In questo caso gli archi e l’orchestrazione del primo disco sono spariti perché cercavamo un suono più freddo che spegnesse gli eccessi epici dell’altro disco: a volte infatti tendiamo a essere un po’ troppo anima e cuore. Le tastiere aiutano a controllare le cose e direi che il risultato ci piace. Perché registrare in presa diret26
comunque nella dimensione del ricordo e forse anche del rimpianto. Nasce comunque da un giro di tastiera abbastanza comune nella nostra scrittura, in una strofa portata molto dalla batteria... una cosa che ci è sembrata alla War on Drugs. La strofa è in terza persona, nel ritornello invece è Sebastian che parla, e quindi doveva accadere qualcosa, un cambio di ritmo e quasi uno stacco scena reso in sonoro. E’ molto interessante il video di “Aeroplanes”, con danza, coreografie, giochi visivi: potete raccontare qualcosa in proposito? Bisognerebbe chiedere al nostro amico Stefano Poletti che ha girato il video hahaha, scherzo. Il senso è stato comunque disarticolare la narrazione e non riportarla in video, ma giocare invece con la dimensione onirica e astratta che le parole musicate inducono. Le ballerine sono tutti i pensieri nella testa di Penelope, si muovono insieme ma spesso se ne escono e si agitano in maniera non coordinata.
gistrato al Big Pine Creek abbiamo invece lavorato molto sugli ambienti, dilatandoli, perché è Sebastian che parla ed è lontano e la sua voce si fa sempre più una eco. Come nasce “Boy”? Boy per noi è la magia e le possibilità che ti dà lo scrivere in mibemolle. Lo si capisce dall’attacco del Rhodes dopo l’inizio. Potrebbe essere un pezzo piuttosto sculettante ma i tasti neri lo mettono 27
BEFORE SUNSET
Il gruppo piemontese cambia formazione e pubblica “Paura del futuro”, disco che li ha fatti allontanare “dalla finestra sui nostri cortili”, tra urgenze, rock energico, futuri non consegnati e comportamenti da ragazzini Che cosa è cambiato, in voi, nella band, nella vostra musica, dal vostro non lontanissimo esordio, “Tufo”? Sicuramente la formazione. Prima eravamo in tre e adesso da un annetto circa siamo in quattro. E
poi il nostro sguardo sul mondo, siamo usciti con maturità dalla finestra sui nostri cortili e abbiamo preso un binocolo per guardare un po’ più lontano. Parliamo di “Paura del futuro”: perché avete scelto questo titolo 28
da quella adulta, è comunque una soglia passata la quale ci si deve iniziare a responsabilizzare, il fatto che “non ci rimane niente” e che “tornerà l’inverno” non sono semplici sfoghi, ma in qualche modo paure reali, anche se in realtà poi cerchiamo di stemperare tutto la leggerezza, chi ci segue sui social e sotto i palchi potrà capire. Come nasce “Condizionale”? Da un’urgenza, quella di raccontare cosa ci manca e cosa ci fa arrabbiare, con la consapevolezza che essere giovani è come combattere una battaglia che nel bene e nel male ti porterà ad essere un adulto e a vivere nel mondo esat-
e che cosa vi fa più paura, del futuro? Il periodo in cui stiamo vivendo non fa sperare molto bene, il futuro una volta ci veniva consegnato e invece oggi ce lo si deve costruire. La nostra età, sebbene lontana 29
tamente come tutti gli altri, un mondo fatto di periodi ipotetici, se farai qualcosa allora succederà quest’altro. Il lato positivo è che fino ad allora potremo continuare a comportarci da ragazzini, che ci piace tantissimo. Che tipo di live avete preparato a seguito del disco? Dove e quando sarà possibile ascoltarvi live? Abbiamo due anime, una elettrica e una acustica, per poter sfruttare tutte le occasioni per presentare il nostro lavoro. La nostra conce-
zione di live è quella di suonare in ogni luogo possibile, anche nei salotti, per dire. Quindi cercheremo di girare il più possibile ovunque verremo chiamati. Per noi l’importante è raccontare quello che abbiamo da dire. Venerdì 11 maggio abbiamo fatto la release del disco alle Officine Sonore di Vercelli, le prossime date usciranno tutte sulla nostra pagina Facebook, in continuo aggiornamento. Che cosa vi piace della musica italiana di oggi? Quali sono le 30
subire a volte una specie di alienazione, come se non contasse più di tanto. Le band che per noi sono fondamentali sono quelle che si approcciano al live con questa mentalità di condivisione, oltre che sicuramente quelle che ci ispirano con sonorità e contenuti. Possiamo citare band come Zen Circus, Ministri, Afterhours, Fine Before You Came, ma anche gruppi più storici, tipo gli Skiantos e i CSI.
band che stimate davvero? Sicuramente la possibilità di sperimentare varie sonorità, è comodo il fatto che oramai si entri tutti a fare parte di un underground, e anche il fatto che oramai gli artisti scendano sempre sotto il palco dopo i concerti a scambiare due parole, per confrontarsi, per conoscersi. Il mondo social ha forse anche questo lato positivo, anche se dal punto di vista musicale è proprio la dimensione live a 31
FRANCESCO CAMIN Un cantautore multitasking, con una grande passione per gli alberi e una serie di “Palindromi” che ha messo nel suo ultimo album Cantautore, laureato in scienze forestali e ambientali, postino di montagna: quale ruolo ti identifica meglio? Nessuno dei tre. Cerco di non identificarmi nelle attività che vivo, questo per mantenere
un distacco da ciò che faccio e ciò che sono. La cosa interessante è che quello che faccio non lo decido io, e ciò che sono non l’ho ancora capito bene! Le occasioni e gli eventi capitano, non li scelgo io, io cerco soltanto 32
di seguire il flusso, ovviamente andando nella direzione che sento nel cuore essere la più giusta per me. Amo gli alberi e stare in mezzo a loro mi fa vibrare nel profondo, e guarda caso da quando ho iniziato a fare il postino mi vengono assegnate soltanto zone rurali e in mezzo alle montagne! Scrivere canzoni mi fa sentire vivo, incollare una melodia a un’armonia e poi colorarle con le parole penso sia la cosa più bella del mondo. Puoi raccontare che spirito anima “Palindromi”? Ci sarebbero moltissime cose da dire, cercherò di essere conciso! È un disco di cui sono molto fiero, sia nel contenuto sia nella forma. La genesi di questo lavoro è stata
piuttosto lunga, abbiamo cominciato a mettere mano alle prime canzoni addirittura nel mese di settembre del 2015. Sentivo però che dovevo provare ad arricchire la mia musica, trovare un modo per metterla a servizio di qualcos’altro. Tutto è nato da un consiglio di Anna, una persona chiave nella realizzazione di tutto questo lavoro, che mi ha proposto di guardare un cortometraggio animato chiamato L’uomo che piantava gli alberi, la trasposizione video dell’omonimo libro di Jean Giono. Una storia meravigliosa, davvero meravigliosa, che tutti dovrebbero leggere almeno una volta e tenere sul comodino. Dopo aver finito il film (30 minuti) mi sono sentito diverso, la storia di quel vecchio contadino che piantava alberi in una landa deserta e morta del sud della Provenza aveva risvegliato in me qualcosa. Ho passato giornate a passeggiare da solo nei boschi che circondano casa mia e ho chiesto “Cosa posso fare per mettermi al servizio attraverso la mia musica? Come posso provare a 33
All’interno del packaging dell’album ci saranno due dischi, uno che suona e uno che germoglia se messo sottoterra. Questo perchè ho voluto inserire un simbolo per ricordare che ognuno di noi nel suo piccolo e nelle sue attività può, appunto, rendere il mondo un po’ migliore di come lo ha trovato, e nel mio caso ho voluto utilizzare le mie canzoni. Parallelamente a questo disco ho aperto un blog in cui racconto gli alberi da un punto di vista diverso da quello a cui siamo abituati, provando a guardarli in un modo nuovo considerandoli molto più di semplici esseri muti (www.francescocamin. com). Dove scrivi le tue canzoni? Le canzoni che scrivo non sono improntate sull’ecologia, altrimenti mi sarei candidato come segretario dei Verdi! È vero però che nei miei testi ci sono molto spesso richiami alla natura, alle sue manifestazioni e ai suoi equilibri; è una cosa che mi affascina parecchio, soprattutto perché siamo immersi anche noi in quegli stessi
rendere il mondo un po’ migliore di come l’ho trovato?” e un giorno un’intuizione è arrivata: “Potrei piantare nuovi alberi con la mia musica e nello stesso tempo provare a raccontare perché amo così tanto i giganti verdi e la loro vita silenziosa”. Quando questo pensiero è arrivato mi sono emozionato, ero felice, e ho deciso di provarci! A oggi le mie canzoni sono riuscite a piantare circa 70 alberi nelle zone desertiche dell’Africa e del Sud America, un numero piccolino che ovviamente vorrei far crescere piano piano nel tempo. 34
Come nasce “Tasche”? “Tasche” è una canzone a cui sono molto affezionato, forse una delle mie preferite del disco. È una richiesta d’aiuto, ci sono cose che non dico mai, che voglio tenere segrete agli occhi degli altri, e forse anche ai miei. Sono i demoni, le paure, i mostri, il passato. Sono il mio piombo. Tutto quello che mi appesantisce, che riempie le mie tasche e mi tiene ancorato sul fondo di un mare limpido che sarebbe bellissimo esplorare leggero e senza timori. L’unica cosa che può svuotare le mie tasche e farmi nuotare con le balene è l’amore, non inteso come amore per un’altra persona o come amore sdolcinato e romantico, ma come sola e unica verità esistente nell’universo e quindi nella vita di ognuno di noi. Dovessi scegliere un artista con cui scrivere una canzone? In questo periodo della mia vita sceglierei senza dubbio Justin Vernon, il creatore del progetto Bon Iver.
equilibri e leggi universali, solo che spesso ce ne dimentichiamo (o non lo sappiamo nemmeno). Nonostante questo mio viscerale abbraccio con il mondo verde, non ho mai scritto una canzone in un bosco o in un prato, mai. Questo per il discorso che ho tirato fuori nella prima domanda, sul fatto che le cose non si scelgono ma si possono solo “accogliere”. Non mi è mai capitato di dire “Ok, adesso vado nel bosco e scrivo una canzone” perché penso che una tecnica del genere non avrebbe mai successo. Le canzoni credo provengano da una dimensione diversa da quella mentale, non sono razionali, non sono pensate, e ammetto che quando le scrivo non mi sento altro che un veicolo, per questo motivo è così emozionante! A volte capita davvero di sentisi connessi con qualcosa di più grande e ignoto. Però capita quando capita, l’unica cosa da fare è seguire il flusso e provare ad amplificarlo, e ovviamente allenarsi a “provocare” queste intuizioni e momenti creativi. Fosse facile. 35
36
RICCARDO MAFFONI “Faccia” è il disco che il cantautore pubblica, dieci anni dopo l’ultimo lp di inediti, con il preciso intendo di “essere dentro le proprie canzoni”
Un disco di inediti molti anni dopo: posto che non sei stato certo fermo con le mani in mano, come mai così tanto tempo? Infatti, come dicevi ho passato molto tempo a suonare dal vivo,
non solo Italia, ma anche Stati Uniti, Svezia, e nel 2011 ho pubblicato un ep di brani in inglese, un omaggio ai miei eroi musicali, oltre ad aver collaborato con diversi artisti. Tutto questo mi ha distolto dalla pubblicazione di
37
nuovo materiale, e credo sia stato un modo anche per guardare a quello fatto, per guardarmi dentro, per capire dove stavo andando e dove volevo veramente andare. L’arte è qualcosa che per certi versi non ha regole. Dieci anni possono essere tanti, ma la cosa più importante è fare le cose al momento giusto. E questo era il momento giusto per tornare a pubblicare un album nuovo di inediti. Parliamo in concreto del disco: perché e come hai deciso di metterci la “Faccia”? 38
Metterci la Faccia significa essere dentro le proprie canzoni. Sono un cantautore, sono un artista e sono fermamente convinto che tutto debba passare attraverso la mia arte, attraverso le mie canzoni. Questo è quello che secondo me un artista deve fare, comunicare con la propria arte. Tutto il resto passa in secondo piano, tu sei la tua arte. Non sono soltanto canzoni, ci sono io dentro quelle canzoni, con la mia faccia, il mio pensiero, la mia vita. Come nasce “Provate voi”? Provate Voi nasce di notte. Ricordo che ero in rete e leggevo tutti questi post pieni di rabbia e giustizialismo, tutti pronti ad accusare, a puntare il dito contro gli altri, e nessuno che rifletteva, nessuno che provava a mettersi nei panni di questi altri. Come dicevo ero in rete, ma è quello che succede tutti i giorni ovunque, in televisione,
per strada, nei bar, nei negozi... da qui nasce l’idea, da questa riflessione. E’ facile accusare senza sapere, provate voi a vivere quelle situazioni, “provate voi tutto questo e poi venite a raccontarmi...”. E’ una canzone, provocatoria, ovviamente, ma credo sia anche un modo per far pensare, per far riflettere. Cerchiamo di dare il nostro meglio, prendiamoci le nostre responsabilità, guardiamo prima ai nostri errori prima di scaricare tutto sugli altri. Le tue preferenze in campo internazionale sono piuttosto note, visti i tributi cui hai partecipato. Che cosa ti piace (ed eventualmente cosa non ti piace) della musica contemporanea italiana? Girando per lavoro vedo che ci sono un sacco di nuovi artisti, dotati e pieni di talento, e questo credo sia molto positivo. Quello che non mi piace della musica italiana è forse il fossilizzarsi sempre sui soliti format, sulla moda del momento. A volte c’è poco corag-
gio, soprattutto da chi gestisce un mercato così grande come quello della discografia e dello spettacolo. La tua attività dal vivo è sempre stata molto consistente. Cos’hai in programma relativamente a questo disco nuovo? Sto lavorando a nuovi concerti per questa estate e per l’autunno. Il concerto è il momento più importante. Arrivare a chi ascolta senza filtri. Poter vivere le reazioni nelle stesso momento, insieme!
39
LEVY “Beautiful Monsters”, l’ultimo singolo e video della band, parla degli esclusi e dei reietti della nostra società, ma i veri mostri sono altri: quattro chiacchiere con il gruppo, tra un tour in UK e un disco in arrivo in autunno (con sorprese)
Mi raccontate in breve la storia e l’evoluzione della vostra band? I Levy, così come sono oggi, nascono nel 2015 dall’evoluzione dei Levi (con la i), una band che dal 2010 al 2014 ha prodotto 2 album in italiano e due tour in giro per lo Stivale. Abbiamo deciso di virare
con l’inglese perchè volevamo una sfida forte, cioè quella di uscire dai confini nazionali e portare la nostra musica a un pubblico ancora più vasto. Nel 2016 finalmente si è concretizzato davvero qualcosa di importante con “Bonfires”, primo disco in inglese, con il quale abbiamo collezionato passaggi in 90 radio in tutto il mondo e un mini tour a Londra nell’agosto del 2017. Chi sono i “Beautiful Monsters” di cui parla il vostro singolo? Questa canzone è nata quando ho iniziato a pensare di avere avuto molto dalla vita, riflettendo invece su chi non ha avuto granchè, oppure è proprio caduta in disgra-
zia. “Beautiful Monsters” perché per la società devota al modello del successo un barbone, un malato terminale, un migrante, un disoccupato, sono soltanto mostri, modelli di insuccesso da evitare come la peste. Io dico invece che queste persone sono bellissime, perché nonostante la vita si sia accanita contro di loro continuano a vivere in mezzo a noi e a combattere, con la forza che rimane. Mostri invece siamo noi, quando non ci accorgiamo di tutta la sofferenza che ci circonda nei volti di questi “anonimi” e continuiamo a lamentarci ogni giorno, per le cose futili di cui spesso potremmo fare a meno. Perché nel video avete deciso di indossare maschere bianche? All’inizio avevamo pensato di girare con delle maschere da mostro, poi invece all’ultimo momento abbiamo capito che sarebbero stato associate, nell’immaginario collettivo, a una caricatura carnascialesca. Quindi abbiamo pensato bene di virare su qualcosa di più efficace come una maschera bianca, per rendere in video l’indiffe42
una tournée in UK a giugno In verità abbiamo già quattro date anche in Italia che stanno per essere confermate proprio in questi giorni, due saranno in Puglia, terra che ci sta accogliendo davvero con calore e altre due invece nella nostra città, si tratta di un ritorno dopo ben quattro anni. Il tour in UK invece è una cosa incredibile che ci sta capitando e di cui andiamo veramente fieri. Saranno sette date con inizio a Sheffield e conclusione proprio a Londra, dove torneremo a distanza di un anno esatto.
renza. Ecco per noi quell’inespressività delle maschere non muove la nostra coscienza, perché è così che vediamo il prossimo. Non ci accorgiamo se ride o se piange, se non possiamo “guadagnare” qualcosa da un’amicizia allora non si guarda al di là del proprio naso. Il messaggio della canzone è forte, abbiamo dovuto usare un espediente altrettanto eficace. Il singolo è l’ “antipasto” di un nuovo disco? Ovviamente si, ma vedrà la luce il prossimo autunno. Prima abbiamo davvero tantissime cose da fare, a partire dal tour che ci accingiamo ad affrontare. Possiamo dire che l’album sarà la normale continuazione del lavoro iniziato con “Jamie” a ottobre scorso e “Beautiful monsters” a marzo di quest’anno. In più posso svelare un piccolo segreto: ci sarà anche una canzone in italiano che sto componendo in questi giorni. Avete in programma 43
TXD SMOOK
Avete cambiato nome e forse anche qualche atteggiamento. Da dove nascono questi cambiamenti? Il nome Txd Smook non è solo un abbreviazione di Tuxedo Smooking ma indica il cambiamento
del gruppo che come ormai sapete ha inglobato un nuovo elemento ma senza abbandonare le proprie radici ma per aprire le porte al futuro bisognava fare un cambiamento diretto. Un nome senza precedenti e una musica che non 44
utilizzando le ormai dimenticate tecniche di registrazione vintage. Inoltre il messaggio che vogliamo trasmettere all’ascoltatore è essere riconosciuti con testi e sonorità più inerenti al nostro modo di fare e al nostro modo di dire. Come sono andate le lavorazioni del disco? Chi ha ascoltato le nostre canzoni ha già etichettato alcune come scatenate, acide ed energiche e quindi possiamo dire che la maggior parte delle canzoni son nate in situazioni di frenesia e di puro sfogo mentre la lavorazione è stata un po’ più complicata per motivi di budget e di sostituzione di strumentazione. C’è voluto del tempo ma con un adeguato studio abbiamo realizzato un automastering e un piccolo studio di registrazione che potrà solo migliorare per la realizzazione del prossimo progetto. Perché avete scelto “L’apice dell’essenza” sia come titolo dell’album sia come singolo di apertura? L’Apice dell’essenza è stato il primo lavoro con la nuova formazione
Già noto come Tuxedo Smooking, il gruppo proveniente dalla Sardegna pubblica “L’apice dell’essenza”, un disco ricco di sensazioni energiche
richiama un genere specifico era la nostra idea, quindi è nato “Txd Smook”. In questo album abbiamo inziato a esprimere la nostra vera relazione con la musica applicando le nostre idee, miscelando la tecnologia con lo strumentale, 45
quale strada percorrere e se si va di ascoltarla capirete che la struttura è stata studiata a dovere: intro con base sintetica e un cantato soft
del gruppo quindi per noi è stata come un inizziazione, uno stop and go. È proprio L’apice dell’essenza che ha dato la rotta per capire 46
Potete citare tre brani, italiani o stranieri, fondamentali per voi? Questa domanda un po’ ci spiazza dato che siamo un trio che è legato dal gruppo ma con gusti contradditori ma se ci è consentito risponderemo separatamente. Per Massimo una delle canzoni più significative è stata Patience dei Gun’s n Roses gruppo che ha travolto un’intera generazione ed è proprio grazie a questa canzone che il Max ha preso la chitarra in mano. Beppe è un grande ascoltatore di canzoni e non ha un genere o un gruppo che ha determinato le sue scelte , lui ascolta le canzoni in base alle proprie emozioni ma dovendo scegliere va sull’italiano scegliendo per struttura di canzone Sono io la morte di Branduardi mentre per legame emotivo Animale di Zona dei Litfiba. Per Antonio, invece, la canzone più significativa è stata Nothing else matters che l’ha affascinato da ragazzino dopo averla sentita in un live di un gruppo cover. Da allora ha iniziato a intraprendere il percorso di chitarrista.
per indirizzare il testo; tutto per poi esplodere nella prima strofa e rientrare con un assolo che sostituisce il ritornello. Poi nella seconda strofa ci siamo adagiati per creare un po’ di suspense anche con un tocco di acustico per poi essere cattivi nella terza strofa. Anche il termine “Apice dell’essenza” ha favorito la scelta del nome dell’album, perché queste parole sono il culmine di ciò che una persona può volere e per noi il culmine ed essere tutt’uno con la musica. Immagino che la dimensione live sia essenziale per un gruppo come il vostro: che cosa si deve aspettare chi arriva a un vostro concerto? Pensiamo che chi verrà al nostro concerto verrà per evadere e per scaricare l’adrenalina. Noi ci reputiamo una band moderma ma siamo legati al rock! Quindi pensiamo che chi venga al nostro vederci suonare dal vivo venga per sentire delle novità. 47