TRAKS MAGAZINE #12

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Zibba TC&I John Malcovitch! Joshua Hyslop Felloni No. 12 - FEBBRAIO 2018

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indice 4

Zibba

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TC&I

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Tour in Italy

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Audio hi tech

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Joshua Hyslop

18

John Malcovitch!

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Perina

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Insects Theory

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Krishna

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Video

30

Turin Brakes

32

Eradius

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Felloni

TRAKS MAGAZINE www.musictraks.com

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Serpe in Seno

info@musictraks.com

40

Babel Fish


editoriale

TRAKS MAGAZINE cambia faccia. Arrivati al dodicesimo numero ci siamo fatti due conti e abbiamo deciso di svoltare. Perché l’intuizione di pubblicare un magazine dedicato alla musica indipendente italiana in inglese poteva anche sembrare buffa, sulle prime, ma ha funzionato. I contatti e le visualizzazioni, registrate distribuendo la rivista sui social, via mail e attraverso sistemi di pubblicazione come Issuu, Yumpu, Joomag, hanno sempre raggiunto numeri più che lusinghieri. Ma non ci basta più. E forse anche le etichette non ci bastano più: che cos’è oggi la musica indipendente? E che cos’è la musica italiana? Noi l’abbiamo sempre intesa come “musica suonata da musicisti italiani”, ovviamente senza

confini di nessun tipo, nemmeno di lingua. Quindi un disco italiano è un disco italiano in qualunque lingua sia cantato. Ma vogliamo abbattere altri steccati e dedicare attenzione anche ai dischi stranieri più interessanti del periodo, sempre con interviste, recensioni, news. E lo faremo in due edizioni “gemelle”, una in inglese, una in italiano, per aumentare la fruibilità a 360°. Già che c’eravamo, abbiamo dato anche una lucidata agli ottoni, rinfrescando la grafica. E accogliendo personaggi per noi “nuovi”, come Zibba, intervistato per la storia di copertina da Chiara Orsetti. O come Colin Moulding e i suoi TC&I, Joshua Hyslop. Ma anche con molto indie, come al solito. Buona lettura!

Fabio Alcini


intervista

Zibba la musica mi salva da tutto


Il cantautore ligure Zibba presenta il suo nuovo album, Le Cose, fresco di uscita per la neonata etichetta Platonica, frutto di un intenso lavoro di ricerca sonora, condiviso con molti artisti che sono ospiti di diverse tracce che compongono il disco. Quando un artista arriva al suo ottavo album può permettersi il lusso di scegliere di pubblicare ciò che gli piace abbandonando, almeno in parte, la paura di compiere scelte sbagliate. Nei tuoi primi dischi c’è qualcosa che, con il senno di poi, non avresti fatto allo stesso modo? Non posso saperlo. Credo di aver sempre seguito quello che avevo voglia di fare, magari forzando un po’ la forma in alcune occasioni. Quello non lo faccio più, ma non cambierei quello che ho fatto. Mi è servito molto. “Le Cose”, il tuo nuovo album, contiene duetti con artisti più o meno noti al grande pubblico.


intervista

Hai qualche aneddoto da raccontare su come sono nate queste collaborazioni? Di certo non le ho pensate. Non per come si potrebbe immaginare. Sono tutte arrivate da una magia, da una cosa successa magari studio che ha portato all’idea. Ci sono molti aneddoti legati alle canzoni e a come gli ospiti sono arrivati a partecipare al disco, ma il migliore

direi che è il fatto che fossi partito dicendo a tutti che non avrei voluto featurings in questo disco. L’atmosfera che si respira in questo album è costante, nonostante la varietà dei pezzi che lo compongono: fotografie del quotidiano nei testi e sonorità black. Ci sono artisti a cui fai riferimento? Gli ascolti di questi ultimi due anni 6


premio di grande prestigio, ma che ancora non riesce ad arrivare al grande pubblico. Che valore ha avuto per te un riconoscimento di questo tipo? Al contrario il Tenco forse ora non porta al grande pubblico ma lo ha fatto in passato, ha avuto un peso importante per la musica nel suo momento. Per me è stato importante e gratificante nonché un immenso piacere il fatto di averlo condiviso con gli Afterhours. Hai presentato un brano per partecipare a Sanremo di quest’anno, ma non sei stato tra i cantanti in gara. Che pensi delle scelte del direttore artistico? Che doveva prendermi. Ma che avrà avuto i suoi buoni motivi. Felice di un paio di nomi come Lo Stato Sociale o il mio amico Diodato per esempio, e meno di altri che non muovono nemmeno nulla né sul mercato né al mio bisogno emotivamente. Chiara Orsetti

sono stati molti e rivolti alla ricerca e soprattutto a ciò che di internazionale sta cambiando e continua a cambiare. Mi piace questo momento, ci sono tantissime belle canzoni se le cerchi. E se ti lasci ispirare i mondi possibili sono davvero tanti. In “Un altro modo”, viene spesso ripetuta la frase “la musica ci salverà”. Da cosa ti ha salvato? Da tutto, sempre. E continua a farlo. Mi tiene alla larga. “Quando stiamo bene” è il nuovo singolo, che canti insieme a Elodie in “una camera non fumatori”. Sempre di fumo, e di portacenere nelle stanze degli alberghi, si parla nella prima traccia del disco, “Quello che si sente”. Una tematica ricorrente e... un po’ strana, se ci pensi, visto che la sigaretta non è più così trasgressiva. Il fumo è un vizio di merda. Non ci vedevo trasgressione. Fra i traguardi raggiunti nel corso della tua carriera, c’è anche una Targa Tenco per “Come il suono dei passi sulla neve”. Un 7


intervista

TC&I Quattro canzoni in un ep, Great Aspirations: questo è il (primo?) lavoro di TC&I, dove TC è il batterista Terry Chambers, e “I” è Colin Moulding: i due hanno suonato insieme in una delle band più brillanti di sempre, gli XTC. Prima di tutto, come hai di nuovo iniziato a lavorare con Terry? E cosa ne pensi di tutte le voci suscitate da questa collaborazione ( tipo: “gli XTC stanno tornando!”)?

Per puro caso, era venuto in Inghilterra per un matrimonio e ci siamo incontrati per un drink: era stato in Australia per 34 anni. Quindi da tanto tempo non ci si vedeva... Mi ha spiegato che aveva problemi personali e che sarebbe tornato in Inghilterra... All’improvviso gli ho detto che avevo qualche canzone e se gli sarebbe piaciuto fare un tentativo... Stanno tornando? Be’ direi di no... dicono che non dovresti mai costruire un’estensione

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più grande della casa ... quindi non penso. Le canzoni dell’ep sono il risultato di un lungo lavoro svolto negli anni passati o sono basate su idee e registrazioni recenti? No, la maggior parte di loro erano recenti, tutti eccetto Comrades... Scatter me è stata scritto una settimana prima della sua registrazione, così decisamente up to date direi. Perché hai scelto di presentare il tuo ep con una canzone dall’umore fatalista ma felice come Scatter me? Perché pensavo che fosse la canzone migliore... e non dovresti

mai nascondere le tue gemme sotto un moggio (scusami per le metafore miste) - il miglior passo avanti e tutto il resto ... inoltre dovevamo avere un video per la promozione e altro, e questo sembrava il miglior candidato. Churchill, Hitchcock, Spielberg, Gershwin e McCartney. Le persone che hai citato in Greatness sono tutte indiscutibilmente grandiose, ma con una certa dose di follia dentro. Cosa ami in loro? E perché Paul e non John? Avrei potuto usare centinaia di


intervista pensato alla poesia di Philip Larkin, The Whitsun weddings, e come descrive ciò che vede dal finestrino di un treno... “Qualcuno che va allo stadio”, come il cricket su un campo da gioco. E lì è nata l’idea ... si vedono i campi da gioco da un treno... e poi ho pensato a come stanno scomparendo... Ci stanno costruendo sopra in tutta l’Inghilterra. E’ una grande vergogna ... perché questi sono i posti che nutrono l’immaginazione dei bambini. Comrades in Pop suona come un avvertimento per i giovani musicisti. Qual è il principale pericolo che potrebbero incontrare? Le persone che sembrano essere dalla tua parte non lo sono necessariamente... Ho pensato che sarebbe stata una buona idea passare il testimone ai giovani che entravano nel settore incapsulando in una breve poesia cosa succede quando sei in una pop band... Di solito quando la gente ascolta la parola “poesia” nel pop, corre verso l’uscita... Volevo rendere davvero fa-

persone, ma è diventato principalmente un problema di quale nome si sarebbe adattato alla scansione della canzone. Volevo usare David Lean, il produttore cinematografico, ma era difficile farlo stare ... Idem, per John Lennon... McCartney ha tre sillabe. Quindi... mi dispiace essere così banale. Penso che “Kenny” sia il pezzo che farà sentire i fan degli XTC più nostalgici. Puoi dirmi qualcosa sull’idea che ti ha ispirato a scrivere questa canzone? È nata dal riff di chitarra. Ho pensato che somigliasse molto al movimento di un treno... e poi ho 10


cile entrare nel brano... Soltanto una semplice spiegazione del fatto che probabilmente tutte queste cose ti succederanno, ma quello che non devi fare è rimanere incasinato con i soldi. Come il Moulding degli anni ‘80 e ‘90 avrebbe scritto canzoni in questa ondata di “political correctness”? Non lo so... Si sarebbe raggomitolato come tutti gli altri, suppongo. La tua pagina di Wikipedia termina con qualcosa del tipo: “Anche se meno prolifico del suo compagno di band Andy Partridge ...” Questo problema di essere meno prolifico ti ha infastidito

in qualche modo? Non proprio... Siamo ciò che siamo e scrivo quello che scrivo... Tutti sanno che Internet è il più grande palude di disinformazione che sia mai esistita. Ma almeno l’uomo piccolo può far conoscere anche le sue opinioni. Sto ancora scrivendo, così forse non sono così poco prolifico come la gente aveva pensato.


live

Tour in Italy Febbraio caldino per gli appassionati di metal: ci sono in giro i Sepultura (nella foto, Ciampino il 27, Milano il 28). E anche Glen Matlock, che il 14 febbraio suonerà a Padova. Belle & Sebastian saranno all’Estragon di Bologna sempre il 14. Ci sono poi i Vök a Bologna il 19 e a Milano il 20. Venendo agli italiani, c’è Dente in tour (il 15 a Roma, il 22 a Bologna, il 23 a Siena), così come Bianco (15 a Bologna, 17 a Sulmona, 23 a Santa

Maria a Vico, 24 a Roma, 28 a Milano). I Calibro 35 saranno a Milano l’11, a Santa Maria a Vico il 16, a Catania il 17, a Catanzaro Lido il 18, a Roma il 23, a Firenze il 24, mentre Frah Quintale sarà il 23 a Pavia e il 24 a Modena. Gli ELEM saranno a Pomigliano d’Arco il 24 febbraio. Da notare anche gli Stella Maris il 17 a Torino, allo sPAZIO 211 e i Julie’s Haircut al Serraglio di Milano il 24. Sempre il 24, Colapesce sarà a Taneto di Gattatico. 12


audio hi tech

Musica da Las Vegas In cerca di cuffie? Potrebbe interessarti la proposta che Sennheiser ha portato al CES 2018: le HD 820, perfette per gli audiofili: queste cuffie dinamiche “chiuse” vantano trasduttori ricoperti di vetro che riflettono le onde sonore verso due camere assorbenti. Il costo? Altino: quasi 2400 dollari, più tasse.

Voglia di party? O vuoi solo fare il figo con gli amici? Sony, sempre al CES di Vegas, ha presentato nuovi sistemi High Power Audio (MHC-V41D, MHC-V71D, MHCV81D, MHC-M60D) in grado di farti fare un figurone e far finta di essere un dj vero. Da 500 euro.

Costa invece 299 dollari il Mytek Clef, convertitore da digitale ad analogico ad alta risoluzione, nonché amplificatore per cuffie di precisione. In pratica il tuo streaming suonerà come il vinile, trasformando anche i dispositivi con cavo in wireless senza fatica. clefmusic 13


intervista

Joshua Hyslop 14


“Un album sull’empatia”: così, in sintesi, Joshua Hyslop parla del suo nuovo Echoes. Il cantautore originario del Saskatchewan, parte molto verde e poco “urbana” del Canada, prosegue con il terzo episodio di una carriera basata su canzoni di nascita folk ma spesso con qualche retrogusto soul. Sono passati tre anni tra “In Deepest Blue” ed “Echos” e il tuo successo è diventato davvero globale. Che cosa hai imparato, da te e dalle persone intorno a te, negli ultimi tre anni? Ho imparato che sono capace di più di quanto avessi immaginato in precedenza, specialmente quando si tratta di tour e performance da solista. Questo è stato allo stesso tempo molto difficile e molto gratificante. Ma soprattutto, ho imparato che nessuno ha successo da solo. Sono davvero in grado di farlo solo gra-

zie alla squadra che mi circonda: mia moglie, il mio manager, la mia etichetta. È molto importante avere un forte gruppo di supporto intorno a te. Perché hai scelto “Fall” e “Say it Again” per presentare il tuo album e come sono nate queste canzoni? Non sono sicuro del motivo per cui questi due sono quelli con cui abbiamo iniziato. Abbiamo anche appena rilasciato un’altra nuova canzone, Home. Penso che la speranza sia di pubblicare una canzone, o canzoni, che diano una

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intervista piccola istantanea di come sarà il prossimo album. Ma penso che questo album sia piuttosto vario. Ogni canzone proviene da un posto diverso. Say It Again viene dalla mia esperienza di vita, mentre Fall e Home sono racconti, o “echi” di

Non è sicuramente facile. Di solito sono molto nervoso prima di uno spettacolo e penso che gran parte della ragione di ciò è la mia paura di essere così aperto e vulnerabile di fronte a un gruppo di persone. Ma anche se può essere spaventoso, penso che sia una cosa preziosa essere aperti e vulnerabili l’uno con l’altro a volte. Permettere agli altri di sapere che non sono soli nelle loro storie ne vale la pena, credo. Tutti hanno le proprie storie. Uno dei punti chiave delle tue canzoni è ricordare alle persone di trattarsi con gentilezza.

esperienze di amici. Molte delle canzoni dell’album sono nate da storie vere che sono successe a te o alle persone vicino a te. Non hai problemi nel dare accesso a storie intime? 16


E’ ancora possibile, in tempi di odio e haters a ogni livello della nostra vita? Lo spero di sicuro. Non siamo responsabili per l’odio altrui. Tutto ciò che possiamo fare è scegliere come vivere le nostre vite. Più persone scelgono la gentilezza, più gentili saremo tutti. Continuo a pensare che il mondo sia pieno di più brave persone che cattive. Le cattive notizie fanno soltanto più pressione.

Suonerai in Europa, e in Italia, nel 2018? Sì! Abbiamo appena annunciato alcuni spet- tacoli in Europa a febbraio. Ho il privilegio di aprire per SYML per un breve periodo di date e mi esibirò in un concerto da solo al Paradise di Amsterdam il 17. Spero di fare un altro tour più lungo attraverso l’Europa anche nel 2018, speriamo che l’Italia sia in quella lista!

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intervista

John Malcovitch! Nato a fine 2016, John Malkovitch! è un progetto strumentale in cui ogni componente della band ha parte attiva nella creazione del sound dell’album d’esordio: The Irresistible New Cult of Selenium. Come siete arrivati all’esordio? Il gruppo nasce alla fine del 2016 dalle ceneri di una band alternative-rock di cui facevano parte tre dei quattro attuali membri. La de-

cisione di fare musica strumentale è stata banalmente determinata dall’assenza della figura del cantante, permettendoci così di trovare la nostra dimensione artistica. Conseguentemente i quattro pezzi che compongono il disco sono nati in modo naturale e in breve tempo. Sono stati registrati in presa diretta nell’Agosto 2017 ai Busthard Studios di Terni, con l’aiuto di Giorgio Speranza (UTO) e Mattia Laureti 18


di “post-rock”, che di solito non piace a nessuno... Sicuramente l’influenza del cosiddetto “post-rock” è palese all’interno del disco vista la sua presenza tra gli ascolti dei membri del gruppo, ciò non nega la presenza di altre influenze quali metal, stoner e rock psichedelico, tutte influenze presenti fra le migliaia che compongono il “post-rock”, termine di vaga appartenenza visto i centinaia di diversi stili delle band catalogate come tali: dall’etereo jazz sussurrato dei Bark Psychosis al metal strumentale dei Russian Circles, passando per i tempi dispari dei Toe e l’alternative-rock sperimentale dei Mogwai e si potrebbeandare avanti per ore. Se dobbiamo dire chi per noi è veramente “postrock”, ovvero che è andato al di là del rock come il termine letteralmente suggerisce, indichiamo due gruppi che ci sono riusciti, dando una nuova voce ai strumenti classici del genere: Godspeed You! Black

(124C41+), per poi essere rilasciati il 12 Gennaio per Dingleberry Records, I Dischi del Minollo, Edison Box e Mehr Licht Records & False Hopes. “The Irresistible New Cult Of Selenium” è una sorta di viaggio interiore. Quali sono i punti di partenza del viaggio? E potete spiegare il titolo dell’album? All’interno del disco non vi sono concetti o messaggi prestabiliti. Il punto di partenza fondamentale del viaggio è l’ascoltatore stesso, la musica si pone l’obiettivo di essere solamente il tramite attraverso il quale il fruitore può essere sospinto in un viaggio emotivo del tutto personale. Nel nostro piccolo l’album richiama atmosfere prettamente notturne, perciò volevamo che il titolo richiamasse questo tipo di sensazioni. Da qui il riferimento al selenio, materiale che quando bruciato emette una luce simile a quella lunare. La vostra musica finisce sotto l’etichetta onnicomprensiva 19


intervista

Potete descrivere i vostri live? Da membri interni ci riesce difficile rispondere a questa domanda, riportiamo dunque una testimonianza di una persona che vide il nostro ultimo live, tanto breve quanto intensa: “Intensi e trascinanti. Sicuramente e giustamente musica che trova nel live la sua dimensione perfetta”. Detto ciò, tra poco ci saranno i primi concerti per promuovere l’album, speriamo vivamente che i lettori di questa intervista vengano a sentire cosa abbiamo da offrire. Pagina Facebook

Emperor e Sigur Ròs. Quanto c’è di progettuale e quanto di improvvisato nei vostri brani? Tutto parte da un input che può provenire da ognuno dei quattro membri, questo viene poi sviluppato tramite jam sessions da cui poi vengono estrapolati i momenti salienti, da cui poi elaboriamo una struttura seguendo una logica sonora e dinamica, analizzando nel dettaglio le singole parti. Il tutto viene cementificato dall’organicità data della registrazione in diretta. 20


recensione Registrato e mixato da Giorgio Speranza e Matath Yah ai Busthard Studios di Terni in presa diretta, The Irresistible New Cult of Selenium è l’album d’esordio dei John Malcovitch! Il disco sembra prendere suoni che partono da molto lontano: Darker Underneath the Surface cresce a piccoli passi, anche se l’ingresso dei “bassi” è piuttosto consistente, improvviso e precipitato dall’alto. Poi, non inaspettatamente, arrivano le esplosioni di suono. Si può pensare ai Mogwai e ad altri giganti del post rock, per una certa qualità itinerante e narrativa dei suoni scelti. Un potente senso di spaesamento si diffonde anche all’interno di Twice in a Moment Once in a Lifetime, con chitarra e drumming che si fanno intensi e insistenti. L’insistenza viene un po’ a mancare in una seconda parte che sembra voler riposare un attimo. Ma non è così che deve finire: i colpi di coda all’interno del brano sono violen-

tissimi. Anche la lunghissima Zenit cresce piano piano, tra drumming e risonan- ze scintillanti. L’andamento del brano è molto articolato, la narrazione si spezza, si frammenta, si ricompone, si ferma, riparte e disegna ambienti immaginifici. Da notare le code elettriche che si sviluppano con particolare abilità visionaria a metà brano. La conclusiva Nadir decide per panorami desolati, tra desert rock e psichedelia, che consentono alla mente di spaziare, ma armati di carichi di inquietudine. Poi il pezzo decolla verso lidi lontani, con forti carichi di potenza e velocità. Un disco ambizioso (in senso positivo) e di vedute molto ampie quello dei John Malcovitch!, che estremizzano le proprie posizioni e mettono sul piatto le proprie qualità. Ciò che piace di più del disco è la capacità di tenere alta la tensione dal primo all’ultimo secondo. Dischi del Minollo 21


intervista più o meno quello, ovvero punk dalle influenze pop e alternative. Un paio d’anni fa circa ho passato un periodo di astinenza completa dalla musica e poi ripreso a scrivere e ora eccomi con il debutto solista. Che cosa significa il titolo del tuo disco? Durante la produzione del cd spesso andavo da Glauco Gabrielli, il produttore artistico, a registrare dopo il turno di lavoro della mattina, a volte ne avevo talmente le palle piene di dovermi svegliare presto che per un periodo iniziai a posticipare la sveglia fino all’inverosimile, alle sei e ventisette appunto (invece che alle sei) fu l’apice di questo... Ci mancava poco che andassi al lavoro in pigiama. Un giorno dissi a Glauco di questa cosa e decidemmo che il titolo doveva essere Seieventisette. Questo disco è nato e finito in un periodo della mia vita abbastanza delicato, bello e anche “stronzo” per certi versi, il post adolescenza, essermi sposato, avere delle responsabilità, compiere trent’anni e tutto un insieme di

Perina Pop curato e “d’autore” per l’esordio di Michele Perina, Seieventisette, ricco di versatilità e colori. Vuoi raccontare la tua storia? Da quando avevo 16/17 anni ho sempre suonato in ambito di band, prima con i Just Another Illusion e poi per diversi anni con i Camp Lion (un album e un ep a referto). Diciamo che lo stile è stato sempre 22


dubbi, paure e speranze che l’hanno segnato particolarmente e che penso un po’ tutti dobbiamo passare. Credo che le sei e ventisette sulla sveglia sia emblematico di come io abbia vissuto in parte quella fase... (“Vaffanculo i doveri, voglio solo dormire cazzo!!!”). Com’è andato il processo di realizzazione del disco? Sostanzialmente la formula a me più amica è più o meno stata sempre la stessa, voce chitarra strofe e ritornello, ma questo disco è nato e cresciuto in maniera diversa da come mi aspettavo. Succedeva che tra il materiale selezionato per comporre l’album ci fossero anche soltanto 30 secondi di una melodia che suggeriva qualcosa di buono, o una canzone più completa che poi diventava tutt’altra cosa... Poi quello stesso materiale veniva preso e sviluppato al pc. Diciamo che il processo è stato un po’ questo, e per chi lo conosce si sente appunto l’influenza del produttore e amico musicista Glauco

Gabrielli, passato nel tempo da una scena rock alternativa a una più elettronica e hip hop. Puoi raccontare qualcosa della genesi di “Innegabile bravura”? “Innegabile bravura” è una canzone di cui vado particolarmente fiero, è venuta fuori di getto in 5 minuti e rimasta sempre più o meno quella. In fase di produzione Glauco è riuscito a migliorarla notevolmente con l’aggiunta del piano e della drum machine... Una volta conclusa non vedevo l’ora di farci un video. È una canzone che si manifesta come un confessionale per me, parla di paure e tormenti. Se dovessi scegliere tre e soltanto tre dischi che ti hanno influenzato particolarmente, quali indicheresti? Enema of the state dei Blink 182, Siamese Dream degli Smashing Pumpkins e Morning Glory degli Oasis. Ma ne metterei dentro molti e molti di più! 23


intervista

Insects Theory

Piuttosto allergici alle foto ma non alle immagini simboliche, gli Insects Theory hanno pubblicato l’ep Selftitled, da Nick Cave al trip hop e ritorno. Potete raccontare il vostro percorso fino a “Selftitled”? Selftitled è una selezione di brani del nostro repertorio che al momento della stesura dell’ep si accostavano meglio nel nostro immaginario musicale. Inizialmente avevamo in programma di fare un intero full-lenght ma poi abbiamo scelto

di fare questo “esperimento”. Condensare in 5 canzoni i quasi 4 anni di attività del progetto. C’è un’aura di malinconia nel vostro ep. Con quali umori avete affrontato le lavorazioni? La malinconia e la continua presenza di qualcosa di negativo è un elemento caratteriale molto presente per noi. Ciò non significa che ci vogliamo fermare al primo ostacolo o farci scoraggiare. Per noi scavare dentro l’essere umano fino a toccare l’abisso è normale.

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Perché la fabbrica della cover? La copertina e la grafica del cd sono state realizzate da me (Giovanni); ho attra- zione verso ciò che è post-industriale o post-umano in generale. La fabbrica è una metafora visiva del mondo, dove gli uomini vengono assemblati, forgiati per compiere il loro destino. “Selftitled” si può considerare già come l’anticipazione di un lp futuro, oppure la scansione del vostro lavoro prevedrà per ora soltanto dischi brevi? Abbiamo un full-lenght già scritto ma preferiamo concentrarci per ora sulla stesura di un ulteriore ep che parlerà della paura nelle sue forme più disparate. Inoltre abbiamo anche in mente un cd soltanto di pianoforte e voce, e con il tempo vedremo cosa decidere di mettere per primo.

È l’unica maniera che abbiamo di conoscerci veramente come esseri umani. Giovanni: Sono molto contento che la gente si stia accorgendo di questa peculiarità della nostra musica, mi fa capire che riesco a trasmettere ciò che sento dentro di me. La cosa divertente è che nonostante la musica non sia di un umore così rassicurante e tranquillo , suoniamo sempre molto tranquillamente, ci prendiamo i nostri spazi e i nostri tempi, al fine di elaborare al meglio le nostre canzoni. Vorrei sapere qualcosa sulla nascita di “4” “4” è una canzone metaforica dei fallimenti nella vita. “4” simboleggia il quarto posto sul podio, cioè non rientrare nemmeno nella classifica. La sensazione di sconforto che si prova in certe occasioni è comune ma non bisogna lasciarsi scoraggiare e continuare a lottare per i propri obiettivi. È stata scelta come singolo perché ci piaceva il suo suono tenue accostato a un significato così pesante. 25


intervista

Krishna Quali sono le ispirazioni e le idee su cui è nato “Panir”? Le motivazioni, le idee e le ispirazioni sono legati al desiderio di aderenza a me stesso. Sia negli ascolti sia nella proposta personale musicale la selezione musicale è tarata su parametri di accettazione di territori più o meno vicini a quelli che sento essere i più familiari o

stimolanti. La ricerca di uno stile musicale personale lo sento come un dovere verso la parte che credo migliore di me, tributo e celebrazione del mondo interiore che è motore di tutto ciò che avviene all’esterno. Panir nel dettaglio è un lavoro che ho concepito con un ordine tale da permettere anche a chi non fosse pronto a un ascolto im26


pegnativo di avere comunque una possibilità di ingresso misurata su brani brevi e cesellati in modo tale da non perdere di spessore e peso specifico. Il lavoro è articolato su differenze di accordature e di “colori”. Quali criteri hai seguito? Un elemento caratteristico di Panir è la presenza di tre suite che comprendono quattro brani ciascuna, due più di movimento e due più riflessivi. Questa logica d’insieme è legittimata da una tematica narrativa comune, da una accordatura peculiare che differenzia le suite tra di loro e da un colore. Le tematiche narrative di cui un indizio emerge dai titoli dei pezzi sono per la verde persone influenti nel mio mondo interiore, esistenti o di fantasia, per la rossa gruppi musicali o esperienze legate alla composizione di brani mentre per la nera delle ricette culinarie indiane. Per incidere hai scelto di lavorare in presa diretta. Da dove nasce questa scelta?

Ho scelto di registrare in presa diretta e senza cosmesi del suono per un desiderio di vicinanza alla realtà dell’esecuzione dal vivo e ai suoni esistenti in natura. Tutta la poetica musicale che presento ha come perno la timbrica schietta e bronzea delle corde di metallo che vibrano nel legno, staffetta leale della cura e dell’amore speso per tradurre i mondi presenti nella mente in suono. Non è la prima esperienza con questa formula; ho alle spalle altri due dischi registrati così, ovvero Resilienza e aRnonauta. Vorrei sapere di più sulla nascita di “Atreyu” e sul suo titolo Un brano per celebrare la parte che alberga nell’uomo e che lo rende pronto a spendersi con generosità in azioni rischiose, indipendentemente dall’esito. Un eroe come Atreyu si presta bene a questo ruolo così delicato che richiede sia forza sia una spregiudicata distanza dall’attaccamento ai benefici del successo. 27


video

Vox Kernel, “L’assalto al domani può portare illusione”

Firebase Project, “Norjak”

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Wemen, “Contagious kiss”

Le madri degli orfani, “Largo alla retroguardia”

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recensione

Turin Brakes Il vostro anziano redattore non è abituato all’attitudine da blogger, cioè usare le recensioni per infilarci ricordi personali. Tuttavia ogni tanto si fa un’eccezione: i Turin Brakes evocano memorie personali di un concerto a Milano, al Tunnel, nel lontano 2001, di spalla ai Kings Of Convenience, dopo l’esordio con The Optimist LP. All’epoca i ragazzi erano due, l’aria un po’ spersa, ma già un buon carico

di canzoni pop ben fatte, eseguite in acustico, per lo più semplici ma di ottimo impatto. È perciò con una piccola fitta di nostalgia che ci si mette a recensire questo nuovo Invisible Storm, che vede la band (ormai di band vera si tratta, un quartetto ben oliato), ottavo disco di una carriera che ha visto anche successi “da classifica” tipo Painkiller, nonché tour mondiali e riconoscimenti internazionali. 30


Partono forte con Would You Be Mine appiccicano a un titolo stile Guns’n’Roses una sezione ritmica che tira il gruppo con potenza e “tiro” insospettabile per una band famosa per essere soft. Incisi di fiati fanno pensare a band indie coetanee, tipo i Gomez. Il discorso ritmico prosegue intenso ma i toni si ammorbidiscono con Wait, il primo singolo, che parte come Hey Ya degli OutKast ma poi cambia. Always sceglie un registro giocoso ma morbido, più vicino alle canzoni da pomeriggi assolati a cui ci avevano abituato. Anche Lost in the Wood sembra non aver voglia di litigare, ma rivela aspetti più incisivi, con qualche ricciolo aggiuntivo di chitarra. Ci si tuffa in profondità con Deep Sea Diver, ballad con risonanze country che riporta a galla tutto il romanticismo pop che la band sa esprimere, coretti compresi. Life Forms si risolleva in fretta, rimettendo al centro voce e chitarra. Ma con Invisible Storm si torna all’oscuro, anche se l’incipit

è molto più tetro di quanto poi la canzone riveli di essere. Giro cattivo e acido, nonché “echeggiato” elettronicamente, con un beat quasi dance: tutto questo arriva con Everything All At Once, canzone più di risentimento che di sentimento. Tomorrow gira intorno alla ripetizione del concetto, rafforzato da strutture sonore rock. Smoke & Mirrors invece la prende alla larga, poi sussurrae chiude in modo morbido. E ancor più sul morbido si va verso il finale, con Don’t Know Much. Tolta qualche accelerazione, Knight e Paridjanian sembrano, nella sostanza, essere ancora quelli di quella sera al Tunnel: capaci di dare il meglio soprattutto quando le luci sono un po’ soffuse, le idee confuse e la bottiglia sembra voler finire troppo in fretta. E in più, la maestria nel costruire canzoni-canzoni, che niente chiedono ma molto riescono a dare, soprattutto se sei in cerca di qualche consolazione pop. 31


intervista

Eradius Basso e batteria e uno spirito affine allo stoner: ecco gli Eradius e il loro disco in uscita, Democrazy. Potete raccontare la storia degli Eradius fin qui? Il progetto Eradius nasce due anni fa, quando a Edoardo e Richard (batterista e bassista della Triple Rock band) viene voglia di scrivere e suonare musica originale, un po’ per fuggire dal circolo vizioso delle cover band, un po’ per nostalgia di quella musica che faceva da padrona negli anni ‘90 ma allo stesso

tempo con l’intenzione di creare qualcosa di nuovo. Inizialmente la band doveva essere un quartetto, ma si vedono subito le divergenze di pensiero, e incoraggiati dalla ascesa imponente dei Royal Blood, decidiamo di provare in due. Senza grosse aspettative ma pieni di entusiasmo ci chiudiamo in sala prove a sperimentare, capiamo quasi subito la strada da prendere avvantaggiati da gusti musicali molto simili. A settembre 2016 ci si presenta l’occasione di suonare per la prima 32


volta sul palco di un festival per le vittime del terremoto ad Amatrice, e da lì in poi abbiamo colto ogni occasione, partecipando a diversi contest e cominciando addirittura a vincerli! Anche il disco nasce senza pretese: ci siamo trovati sotto l’occhio del produttore Tommaso Canazza e grazie a questo incontro decidiamo di incidere tutte le dodici tracce che avevamo in cantiere. Da cosa traete spunto per i vostri testi? Il tema principale della maggior parte dei testi è di protesta verso qualsiasi cosa che ci sembra sbagliata all’interno della nostra società. Un paio di canzoni invece (Black Queen e Medusa) parlano di due donne in due relazioni diverse, una positiva, l’altra un po’ meno. Infine abbiamo dedicato un pezzo (Desert) agli artisti che ci hanno aiutato nel nostro progetto. Vorrei saperne di più sulla genesi di “Democrazy” e “Medusa” Democrazy è stato il primo brano che è nato in sala prove, abbiamo

costruito il brano attorno al riff, il quale nasce molti anni prima dal primo gruppo di Edoardo (gli Arenanera), ripescato da vecchi file audio e poi riadattato fino a quello che sentite oggi. Nel testo prendiamo di mira l’ipocrisia che a volte fa da padrona nella democrazia odierna, invitando l’ascoltatore ad abbracciare la nostra “pazza” democrazia. Medusa parla di una relazione finita male con una donna, in generale descrive quando la femmina si prende gioco del maschio, ingannandolo e usandolo per i propri interessi per poi abbandonarlo come se niente fosse. Il vostro 2017 è stato costellato di concerti: come andrà il 2018? Lo scorso anno ci siamo dati da fare allargando i gomiti cercando di farci spazio su qualsiasi palco fosse disponibile, anche quando un vero palco non c’era. Per il 2018 puntiamo al salto di qualità. Il 24 febbraio ci sarà il release party con la successiva uscita dell’album. 33


intervista

Felloni Il punto di non ritorno è l’esordio discografico come cantautore per Felloni. L’album racchiude la contaminazione, tra scuola cantautorale italiana e il sapore folk/rock di 34

matrice anglosassone. Partiamo dalla cover: che cosa rappresenta la poltrona vuota? Quella poltrona vuota rappresenta per me il luogo in cui l’album ha


preso vita, il luogo dove ho concepito questo lavoro e da dove proseguire verso nuove destinazioni. La poltrona vuota quindi in un certo senso rappresenta la staticità, l’immobilismo vissuto negli anni precedenti e durante la realizzazione di questo mio primo lavoro ufficiale; l’inizio del viaggio, il punto di partenza, il luogo dove non fare più ritorno. “Il punto di non ritorno” è il tuo esordio come cantautore: che cosa rappresenta per te e con quali ispirazioni ti sei accostato al lavoro sul disco? Credo che ogni uomo abbia l’esigenza di esprimere se stesso, i propri sentimenti e il proprio vissuto, nel mio caso ho trovato in questo album e soprattutto nella scrittura il modo migliore per farlo. Senza dubbio l’ispirazione maggiore che ha contribuito alla realizzazione dei brani sono state le mie tempeste interiori;

Le notti insonni dove le parole tappezzavano le pareti della mia mente fino a uscire e prendere forma davanti a me, il non sapere cosa fare della propria vita. Un lavoro di introspezione alla ricerca di una via di uscita dall’ombra di me stesso. Nei miei brani parlo dei sentimenti che ogni essere umano deve affrontare ogni giorno della sua vita, sentimenti che possono unire tanto quanto dividere. Le atmosfere del disco sono piuttosto morbide: costruzione spontanea delle canzoni oppure modo per fare emergere meglio i contenuti dei testi?

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intervista Durante tutto l’arco evolutivo della scrittura dei brani, le parole hanno sempre avuto un peso di primaria importanza, sia nel momento iniziale quando nascono nella mia stanza,con la chitarra acustica, sia nella fase successiva dell’arrangia-

è un lavoro più di ricerca stilistica ed estetica, ma che non perde mai di vista l’importanza del significato narrativo, anzi cerca oltremodo di enfatizzare il contenuto dei miei testi. Qual è stata la fase più difficile nella costruzione del disco? La fase sicuramente più difficile è stata quella di trovare musicisti adatti a comprendere il mio mondo; Questo ha portato via molto tempo alla realizzazione del progetto. Ma il tempo speso non è stato invano perché mentre stavamo ancora cercando, alcuni professionisti si sono avvicinati spontaneamente appoggiando e comprendendo il mio

mento finale.Nel primo caso si tratta di una costruzione spontanea, perché le parole e musica nascono ispirandosi a vicenda, mentre la fase successiva di arrangiamento, 36


“segnato”? Suzanne Vega Luka; Tom Petty Learning to fly; Grant Lee Buffalo - Honey don’t think Mi hanno sempre trasmesso fin dal primo ascolto la sensazione di camminare staccato da terra, un senso di leggerezza, di libertà e voglia di essere parte di tutto ciò che mi circonda; le stesse emozioni che vorrei trasmettere con le mie canzoni.

progetto. I musicisti in questione sono Ronny Aglietti, Daniele Cerofolini, Andrea Neri, Alessandro De Crescenzo, Cosimo Zannelli, Manuel Schicchi, Alessandro Ciciliani, Alessandro Spadini. Credo inoltre che l’aspetto più importante durante la creazione dell’album sia stato il legame che si è creato tra di noi. Come nasce “Mare d’incanto”? Mare d’incanto nasce da un amore talmente profondo da far sembrare tutto quello che avevamo intorno una totale desolazione. La sensazione che si sia fermato il tempo, il silenzio di un paesaggio innevato, il sentirsi sospesi sopra un mare sconfinato, nel momento in cui due amanti si uniscono e consumano il loro amore. Lo stesso amore che rimane intatto nel gelo. Come due stelle cadute in un mare profondo. In questa storia d’amore non esiste abisso che scalfisca il calore di quell’attimo, lo stesso attimo che può incantare quel mare. tre brani di artisti che ti hanno 37


intervista

Serpe in seno Arrivate dalla periferia di Treviso e amate molto i suoni pesanti, sporchi e cattivi. Potete raccontare qualcos’altro a proposito dei Serpe in Seno? Non abbiamo tatuaggi. Non siamo contrari, forse, non abbiamo bisogno di tatuaggi. Siamo persone più o meno semplici, piuttosto opposti fra di noi in tutto. Non ascoltiamo la stessa musica e quando non suoniamo facciamo cose diverse. Ri-

diamo. Capita sia difficile trovarsi d’accordo, si scende a compromessi. Parliamo. Tre è un numero che permette una maggioranza veloce, vige la democrazia, così è più facile scrollarsi delle responsabilità. Cospiriamo. La maggioranza non raggiunge mai l’unanimità, voto unanime? Scelta sbagliata. Fine del gioco. Inserire una moneta. Non abbiamo tatuaggi. Leggo dalla presentazione del 38


vostro disco: “l’attività live comincia dopo diversi mesi di lisergica sperimentazione sui suoni sui ritmi e sulle vibrazioni, e sul loro effetto sul fisico umano”. Che effetti ha sul fisico la vostra musica? Stiamo facendo dei test su alcune persone, cavie per esperimenti, ma è ancora presto per parlare di risultati certi. Alcune prove sono state eseguite invano su degli scimpanzè provenienti da Camerun e Nigeria, dove la musica già ce l’avevano, ma qui preferiscono Netflix. Per migliori risultati, forse la domanda andrebbe fatta a chi ha ascoltato il disco, tuttavia, su di noi che la facciamo, be’, ci lascia piacevolmente stanchi. Espelliamo tossine. Il fischio nelle orecchie sfuma nell’arco della notte. La voce e le vesciche si rimarginano. E’ un allenamento come un altro. Mantiene un filo di elettricità nel corpo. Vorrei sapere qualcosa di più della genesi de “La Ballata del Vile”

La ballata del vile, dapprima “la ballata dell’oste e del vile” e da bozza “canzone dell’ubriacone”, è un pezzo intriso di vino fino ai vari significati. E’ un percorso sfocato nell’eccesso di alcool. Spalla a spalla con il muro. E’ vagare senza meta né orologio da un’insegna accesa a un’altra, scherzando con chi ti piace, urlando contro a chi non ti piace. Nella maggior parte di entrambi i casi, le stesse persone. La ballata è ridere di qualcuno che vomita. E’ pisciare in un vicolo o pisciarsi addosso. E’ la consapevolezza del maledirsi il mattino che segue, e il conforto di ritrovare lo stesso sgabello, sedercisi, e ordinare il primo giro col sorriso sfacciato. La ballata è rollìo e residuo d’equilibrio. E’ l’attimo di lucidità alle quattro del mattino. La ballata, è il tempo che ti serve. Viviamo in un paese coltivato a nebbie e vigneti dove la tradizione è cultura. Ti aspettavi qualcos’altro? Chi io? No. 39


intervista

Babel Fish Qual è la storia dei Babel Fish fino a oggi? Ci siamo formati nel novembre del 2015 ed esattamente un anno dopo abbiamo registrato il nostro

primo ep, uscito nel febbraio 2017. In seguito abbiamo iniziato a suonare live, anche partecipando ad alcuni concorsi. La vittoria al concorso “let’s rumble”, organizzato 40


dal Centro musica di Modena, ci ha permesso di registrare, a settembre 2017, “Follow Me When I Leave”, che uscirà il 2 marzo. Nell’ultimo periodo abbiamo avuto l’occasione di suonare in situazioni molto interessanti, come l’apertura al concerto dei Totorro alla Tenda a Modena l’11 dicembre scorso. Il vostro ep contiene quattro brani ricchi di influenze internazionali, vicini alle atmosfere del post rock nordeuropeo. Avete qualche modello di riferimento oppure l’ispirazione è tutta vostra? Di influenze ce ne sono parecchie, sia per quanto riguarda il post rock che altri generi. Per esempio, i Tides From Nebula e i Mogwai, ma anche Radiohead e i Motorpsycho. Poi ovviamente in sala prove si crea un’alchimia molto personale. Potete raccontare in breve qualcosa sulla genesi dei quattro brani? I 4 brani sono stati composti in momenti differenti nell’arco di due

anni. Abbiamo scritto “Veins” e “Morning Birds” prima di registrare il primo ep, ma li pubblichiamo assieme a “Follow Me When I Leave” e “TGD” a distanza di quasi due anni. Il motivo è che sono tutti brani che si concentrano sul concetto di assenza e di vuoto apparente, sia nelle atmosfere che si creano con la musica, sia nei testi. Avete già sviluppato una consistente esperienza dal vivo. Che cosa si deve aspettare chi vi viene a vedere dal vivo? Nei nostri live a noi piace creare uno spettacolo che non coinvolga soltanto la musica. I brani sono accompagnati da video che proiettiamo sul palco. Alcuni astratti, altri sono spezzoni di film muti in bianco e nero. In generale, ogni video è costruito sullo specifico brano, come se fosse una colonna sonora al contrario. In questo modo si genera uno spettacolo audiovisivo, non più un semplice concerto. 41


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