TRAKS MAGAZINE #14

Page 1

Monica P PSLab The Road Connection Katia Pesti Massimiliano Cusumano No. 14 - GIUGNO 2018

www.musictraks.com


indice

4

Monica P

8

PSLab

12

The Road Connection

14

Katia Pesti

16 18

Massimiliano Cusumano Funnets

19

Mac and the Bee

20

Praino

21

De Grinpipol

22

Calcutta

26

Ginez e il bulbo della ventola

28

Alcesti

30

In3pido

32

Tour

Audio Hi Tech

33

Video

34

TRAKS MAGAZINE www.musictraks.com info@musictraks.com



intervista

Monica P Il mondo è capovolto e ho dovuto adeguarmi Rosso che non vedi è il terzo album di Monica P, cantautrice nata a Torino ma con un background che passa per la West Coast e l’Inghilterra. Nelle dieci tracce del disco, prodotto da Antonio Gramentieri, si incontrano sensazioni di vario tipo ma soprattutto un lavoro coerente e maturo. Ti sei messa a testa in giù nella copertina di “Rosso che non vedi”: che cosa hai visto, da questo mondo al contrario? E

già che ci siamo, qual è il “Rosso che non vedi”? In realtà è il mondo che è capovolto, quindi per guardarlo ho dovuto adeguarmi ;) Il rosso che alcuni fingono di non vedere comunque si vede benissimo anche da dritti: corruzione, falsità, superficialità, ma anche amore, passione, paure, emozioni che riconoscere comporterebbe una certa scomodità e il guardarsi dentro a fondo mettendosi in discussione. Cose che si


può quindi scegliere se guardare o ignorare. Hai fatto scelte più “mature” per le sonorità di questo disco: pianificato a tavolino o risultato di scelte spontanee? Attraversando i miei tre dischi mi sono sempre permessa il lusso di essere me stessa, mai nessun tavolino, al massimo un divanetto ;) Ogni album racconta inevitabilmente di me e del mio mondo, di quello che vedono i miei occhi e

“Tutto il resto rende più denaro” - Monica P


intervista

Il mondo che esce dalle canzoni di questo disco può sembrare tra la decadenza e il disastro. Hai davvero una visione così pessimista? Ti invito a riascoltare le canzoni leggendole con il tono con cui le ho scritte io: ti accorgerai che questo non è affatto un disco pessimista, anzi, molto realista, in cui

che sentono le mie viscere. In questo ultimo disco ho usato semplicemente una chiave diversa, più diretta e meno ermetica, a volte ironica o sarcastica, per descrivere la realtà. Le sonorità si adeguano al modo in cui voglio comunicare quello che ho da dire e all’atmosfera che voglio creare nei brani, e ovviamente al mio gusto personale. 6


zione”? Rivoluzione nasce di getto, come molte delle mie canzoni; è la descrizione autobiografica di un modo di essere, ma è anche un urlo disperato che vorrebbe risvegliare un’umanità che si è assopita tra i selfie e gli inceneritori. Nel tuo nuovo video, “Tutto il resto rende più denaro” ci sono tanti simboli e tante allusioni figlie dell’attualità. Basta nascondere il viso per proteggerci dalla realtà? No, anzi. Quella di “Tutto il resto rende più denaro” è una realtà che dobbiamo guardare chiaramente in faccia, una realtà di cui siamo perfettamente consapevoli, fatta di falsità e corruzione, delle cose inutili e dell’apparire. Una superficie scivolosa ma ben definita, fatta di ruoli e maschere che non tutti vorremmo indossare, ma di cui ognuno di noi infine diventa parte, poiché l’alternativa sarebbe vivere su un altro pianeta.

descrivo la confusione e l’assurdità della società in cui siamo tutti immersi oggi. La mia intenzione è piuttosto polemica e provocatoria, sfocio addirittura nel tragicomico in Tuttofare. Anzi, a dirtela tutta, a me non viene in mente un modo altrettanto leggero per descrivere la tragicità e la confusione di un mondo così delirante, in cui - a cominciare dai vertici - si continua a “fare apparire solo quello che conviene”, a “brindare e bere mentre il mondo crolla a pezzi”, a “restare zitti o urlare come pazzi” (citaz. Devo essere così). In alcuni brani c’è persino un’apertura sognante e di speranza, un invito alla riflessione personale che conduce all’idea positiva di una soluzione, una parentesi di tranquillità e genuinità in mezzo a tutto questo casino. Tutto questo per dirti che sono un’ottimista ;) Adesso però una domanda te la faccio io: la situazione sociale e politica a te sembra così rosea? Qui le domande le faccio io! Per esempio: come nasce “Rivolu-

7


intervista

PSLab PSLab, ovvero un nuovo concept di studio di registrazione: a Curno (Bergamo) è nata un’attività a tutto tondo che si svincola dall’offerta basica dello studio “vecchia maniera”. PSLab integra una rete di servizi coordinati al progetto musicale del cliente: immagine, social-networking, brand apparel, live show. Jacopo Tonon e Jacopo D’Armento, i due ideatori di PSlab, ci parlano di come possono aiutare i giovani artisti a dar vita alla propria carriera. Come nasce e come si sviluppa PSlab? Lo studio nasce sulle spalle di “Pa-

perShapes” un duo di producer e tecnici del suono, che militano nell’ambiente da quattro anni. Ormai convinti e motivati a voler qualcosa di più, abbiamo sentito l’esigenza di creare un luogo dove convogliare gli stimoli e la realtà della scena musicale di Bergamo ai fini di nutrire i progetti artistici con cui veniamo a contatto. PSlab è un luogo dove musicisti, illustratori, video-maker, o più semplicemente artisti, possono condividere la propria passione e lavoro, partecipando ai progetti artistici in collaborazione con PSlab. Vediamo questa 8


realtà come una svolta e un punto di partenza per quegli artisti della bergamasca (e, ci si augura, non solo) che non hanno ancora avuto modo, o possibilità, di introdursi a pieno in questo mondo. Qual è la vostra proposta per i giovani artisti? PSlab si definisce “smart studio”: integriamo una rete di servizi coordinati al progetto musicale del cliente. Immagine, social-networking, brand apparel, live show sono ormai ingredienti imprescindibili nel cocktail del successo. Forniamo ai giovani artisti tutti gli strumenti per muoversi nel panorama musi-

cale, con il vantaggio di affidarsi a un’unica consulenza che abbatte l’ostacolo delle tariffe, che da sempre taglia fuori i giovani dalle dinamiche degli studi di registrazione e tutti i servizi correlati prima citati. Non vi limitate a offrire semplicemente un supporto “musicale” con uno studio di registrazione ma offrite un’assistenza a 360 gradi: come si articola? La nostra filosofia ci ha permesso di collezionare un discreto numero di stakeholders e collaborazioni. Virtù alla base della nostra offerta,

9


intervista

che ormai richiedono artisti con un background solido e definito. Dallo studio della produzione allo stile del cantato, dalla promozione alla linea editoriale da seguire, PSlab sarà sempre attento a cucire il vestito perfetto per il giovane artista che si affida alla sua esperienza. Avete nuovi progetti in previsione? Ce ne potete parlare? Ovviamente le idee per il futuro sono moltissime. Quelle più vicine e in via di concretizzazione sono lo sviluppo di una linea di abbigliamento in collaborazione con giovani visual artists di Bergamo, con l’obiettivo di creare un forte legame identitario tra lo studio, il sound di PSlab e di conseguenza tutti i suoi artisti. In secondo luogo stiamo lavorando alla creazione di un format LIVE, che prenderà vita

infatti, è il networking con le realtà che operano nell’ecosistema musicale: giovani professionisti esterni allo studio, tra i quali videomaker, musicisti, art director ed operatori del live entertainment. Ormai un prodotto musicale, senza una giusta correlazione di video, brand identity, socialmedia strategy e PR activities non riesce ad affermarsi e risulterà non all’altezza del mercato. La nostra esperienza, e il nostro percorso di studi, ci abilità a guidare l’artista a trattare tutti questi aspetti, portandolo ad affacciarsi alle etichette discografiche,

10


sotto forma di piccole LIVE-VENUES, con 20/30 spettatori direttamente sulla terrazza dello studio (con vista città alta), dove gli artisti di PSlab possano cimentarsi a proporre dal vivo la propria musica. Se doveste dare un consiglio a un artista che inizia il proprio percorso, quale sarebbe? Il consiglio è quello di non pensare a quello che sarà il risultato del proprio operato come artista; bensì

di concentrarsi a creare una identità basata su qualcosa di vero: un disagio, un messaggio, un ideale. Questo deve essere il punto di partenza. Deve essere qualcosa di profondamente personale. Siamo abituati a pensare più al risultato del successo che sul motivo di quest’ultimo. Se il messaggio c’è PSlab aiuta l’artista a renderlo appetibile e visibile.

11


intervista

The Road Connection musicalmente. c’è una maggiore sintonia tra noi, dopo tanta musica e tanti concerti insieme. Ci conosciamo molto meglio e siamo in grado di portare ognuno il proprio gusto musicale in ogni canzone che scriviamo. Abbiamo suonato, abbiamo litigato, ci siamo supportati a vicenda, insomma siamo diventati come una famiglia, con tutti i pro e i contro che questo comporta.

Si chiama Zero il nuovo disco di The Road Connection, quintetto romano che pesca volentieri dal rock e dal blues per le proprie composizioni. “Zero” è presentato come in perfetta continuità con il vostro disco di due anni fa, “Movin’”. Ma che cosa è cambiato nella band in questi due anni? Be’ sicuramente siamo maturati 12


Qual è il vostro metodo di composizione? Come nascono le vostre canzoni? La maggior parte dei brani di Zero è nata dalla chitarra acustica del nostro cantante Lorenzo, il quale si è presentato in sala prove con le canzoni molto scarne, poco più che tracce di voce e chitarra, poi ognuno di noi ha contribuito a sviluppare le idee di base fino ad arrivare a quello che potete sentire oggi nell’album. Altre volte siamo partiti da riff di chitarra di Emiliano, diciamo che non c’è un “metodo standard”. Come nasce “Fallin’” e che significato ha per voi? Fallin’ è una canzone particolare, ogni volta che la suoniamo, che sia a un concerto o soltanto alle prove, si crea un’atmosfera particolare, magica. Se vogliamo è come se si creasse un piccolo mondo in cui ognuno di noi si lascia cullare dalla musica. È una di quelle canzoni che, mentre le stai scrivendo, non sai bene dove andrai a parare, ma

mentre vai avanti tutti i pezzi si incastrano perfettamente. È una canzone dedicata a tutti i musicisti che stanno cercando la propria “voce”, la propria “strada”, forse per questo si crea qualcosa di speciale quando la suoniamo, è dedicata anche a noi. Benché sia evidente il vostro gusto per la musica anglosassone, c’è qualcosa che vi piace particolarmente della musica italiana di oggi? Nella musica italiana di oggi ci piace molto il fermento che c’è nella scena indipendente, ci sono molte cose interessanti da sentire.

13


intervista

Katia Pesti Se il titolo è sintomatico del significato del disco, qual è l’abisso dal quale sei risalita? E’ incredibile come una sola parola possa alimentare tanta curiosità! Sì certo Abyss è il titolo, rappresentato anche simbolicamente nella sua forma grafica; uno spunto extra musicale che è servito a dare un titolo questo progetto. Abyss è partito dall’idea di riprodurre al pianoforte suoni primordiali arcaici e contemporanei al tempo stesso. Mi sembra palese la volontà di

comporre un disco di pianoforte ma non soltanto di pianoforte... Il pianoforte è il mio strumento. Ho iniziato a suonarlo per gioco da bambina per proseguire poi in Conservatorio; ho seguito quindi un percorso di studi accademici, per poi distaccarmene. Finiti gli studi accademici infatti ho continuato in una direzione del tutto personale, istintiva e libera, ma sempre rigorosa, di quel rigore che ho appreso studiando la musica dei grandi compositori della musica

14


ti di impronte, ossa, sangue... forse anche di stelle e pietre lunari... in un continuo rapporto sinestetico, empatico, risonante. Come nascono le collaborazioni con Gabin Dabirè ed Elaine Trigiani? Parlando di camminate musicali... diciamo che ho avuto la fortuna di incontrare Gabin Dabiré ed Elaine Trigiani. La voce di Elaine possiede un’inflessione che corrisponde al suono che avevo in testa quando ho scritto il testo di Rolling. Gabin Dabirè l’ho conosciuto grazie ad Aldo Coppola. Una felice collaborazione con un grande artista; voce e pianoforte sintetizzati in un unico timbro. Nei brani interpretati da Dabirè è evidente il legame timbrico che si è creato. La formula di questo legame è nella sintesi tra la voce africana di Gabin e la voce del mio pianoforte. Questa nuova formula ha dato il “La” per avviare una collaborazione più ampia con un primo concerto a Roma.

classica e non solo. Il felice imprinting ricevuto da piccola credo abbia influito sul mio rapporto con la musica e il pianoforte. Da grande, il gioco si è trasformato in ricerca e sperimentazione e non ho mai perso quel punto di vista legato al gioco. Compongo il più delle volte direttamente al pianoforte, trovando in esso il rispecchiamento del mio pensiero, che sviluppo seguendo una fantasticheria iniziale. In alcuni casi faccio risuonare le corde del pianoforte insieme ad altri oggetti poggiati sopra.... piccole cose che vado via via cercando nelle mie cosiddette “camminate musicali”. I titoli delle composizioni lasciano trasparire una certa materialità: da dove nasce questa “voglia di materia”? Credo di averti risposto parlandoti delle mie camminate e quindi della mia abitudine di cercare oggetti che inserisco nelle corde. Questi oggetti infondo perdono la loro funzione originale e diventano materia sonora e vibrante. Siamo fat-

15


intervista

Massimiliano Cusumano Massimiliano Cusumano pubblica The Island Tales, dieci composizioni per lo più strumentali influenzate dai climi mediterranei. Il disco nasce da idee di mescolanza, soprattutto collocate in quella terra d’incontri che è la Sicilia. Quali le ispirazioni originarie del disco? Come affermi tu correttamente la Sicilia è una terra d’incontri. Questa particolare dimensione, che è sia geografica che culturale, rende la mescolanza e la fusione di idee

e sentimenti molto agevole a chi le porge l’orecchio. Le melodie presenti in questo lavoro tentano di evocare queste culture che hanno arricchito la storia della mia terra C’è un’aria molto morbida in quasi tutte le composizioni del disco. Dove hai elaborato nelle varie fasi del disco e quanto sei stato influenzato dall’ambiente? Quasi tutte le composizioni nascono in momenti particolari. Penso che il denominatore comune a tutte sia il momento in cui mi allontano

16


to a casa quelle voci e quelle melodie che faticavano a trovare posto. Puoi raccontare della “squadra” che ti ha accompagnato per il disco? Saranno con te anche dal vivo? All’inizio l’idea di “Island Tales” non era proprio del tutto definita. Era stata pensata come qualcosa che sarebbe rimasto per pochi intimi. Quando proposi al mio vecchio amico sassofonista - Raffaele Barranca - la pre-produzione di alcuni brani ero un po’ imbarazzato, entrambi avevamo fatto cose molto diverse da quelle che stavamo per fare. In realtà da lì a poco ci siamo ritrovati più uniti che mai insieme a Davide Femminino (contrabasso) e Iano (batteria). Insieme abbiamo pensato che Island Tales non poteva concludersi con le ultime note registrate in sala. In quel momento ci siamo resi conto che era nato The Island Tales Group, in quanto tutti avevano raccontato qualcosa in questo lavoro.

da me stesso, quando la mia attenzione si rivolge ad altro, al paesaggio, ai colori e ai sapori del luogo in cui vivo. Immagino delle storie cercando di commentare con la musica le diverse sensazioni che ne ricevo. Mi capita spesso di definire le idee durante la permanenza in magici come Marettimo, un’isola che riesce a rigenerarmi, a farmi apprezzare il senso della bellezza, a riportare il tutto ad uno stadio primordiale non viziato da una quotidianità scettica e indifferente. Come nasce “Afrika”? La composizione di Afrika si distingue un po’ da quella di tutti gli altri brani, questo è evidente vista la presenza del canto. Durante la sua composizione ero alla ricerca di suoni che non riuscivo a trovare. Qualcosa mi riportava alle voci del mercato ma non erano esattamente quelle. Poi l’incontro con DoudouDiouf: entrando in studio è stato chiaro e naturale. Si è annullata qualsiasi differenza culturale e geografica e insieme abbiamo riporta-

17


recensioni

differenti, affrescandosi come brano di una certa profondità. Rumori e sforzi caratterizzano un intermezzo teatrale e recitato a due voci, Shiny Monkey. Arriva Green Pig, ricca di effetti e di echi e nostalgica degli anni Novanta. Anche in questo caso, comunque, non mancano doppi fondi nella struttura della canzone. Si torna a un funk/hardcore con Capital Affair, cesellata in modo da seguire umori diversi e altalene sonore. Più diretta Shamarro, anch’essa in territorio funkrock. Byzantine, come promette il titolo, si diffonde in percorsi che prevedono svolte improvvise, sorprese, assoli di chitarra, influenze progressive e molto altro. Chiusura ancora in tema funky con Ornitophobia, finale particolarmente scatenato di un disco che certo non si tira indietro quando c’è da picchiare forte. I Funnets pubblicano un disco a molti strati, con tendenze barocche ma anche con grandissima energia, notevole abilità e una certa ispirazione, che risulta efficace e molto fantasioso.

Funnets

Wanji significa “uno” nella lingua dei Sioux Lakota ed è questo il titolo scelto dai Funnets per il loro nuovo disco. L’album, il secondo della band, si bagna in acque rockfunk e affronta la sfida del concept album. Shamans Song apre il disco su sensazioni tribali che si mescolano però con idee rock robuste e dirette. Apertura di basso slappato e parossismo sonoro improvviso in F.O.W., calata in atmosfere hardcore, anche se con cambi di rotta improvvisi. Doubtful Waves assomiglia a una ballad, che tuttavia avanza per ondate successive e affronta cambi di ritmo e momenti 18


Mac and the Bee Mac and the Bee pubblicano il nuovo disco One of the Two, con otto brani tra electro e rock. Nati nel 2012 con l’obiettivo di dar vita a un progetto di elettronica pura, hanno affrontato molte evoluzioni. Si parte da un’ambigua Feel You, carica di suoni taglienti e portata a una certa acidità. Più diretta, anche se con ritmi irregolari, Unleashed, che dopo un avvio elettrico e fluido si infila in un tunnel quasi edm. Tutt’altri toni quelli di Asleep, più vicino al synth pop antico e moderno. Le cose si fanno dispari e oscure con Be like them, che ha

tratti new wave e synth pop. In apparenza più tranquilla, Body Parts fa perno sui movimenti della sezione ritmica e del basso in particolare. Something new fa registrare una progressione iniziale importante prima che qualche ripensamento consenta alla voce di entrare. I wish sceglie di nuovo atmosfere ambigue e compromettenti, facendo crescere un sound ribollente un poco alla volta. Si chiude con una Noisy movimentata e acidula. Il disco di Mac and the Bee porta alla luce composizioni fresche e originali, con una buona cura del sound. 19


recensioni

Spleen invece è elettrica fin dall’inizio ma riesce a crescere lo stesso. Torna il reggae con Disagio Monolocale, che riempie le linee con versi fitti. Radical chic sviluppa dinamiche più malinconiche ma anche ironiche, a dimostrare come certe categorie di persone non cambino a dispetto del procedere delle generazioni. Più sciolti gli atteggiamenti di Faccio fatica, che pure accoglie istanze melodiche e malinconiche quasi sottopelle, soprattutto in forma di archi. Martedì alle tre (dormi piccola universitaria) parte con citazioni in tralice (per esempio Ciuri Ciuri), per un intermezzo strumentale più che altro mattutino. Si chiude su note amare con Do disdetta, ricca di particolari alimentari e quotidiani, tutti letti con la lente della nostalgia, con un po’ di rabbia scaricata in modo elettrico. Storie familiari e di oggi popolano i racconti, scritti da vicino, di Praino, che spesso si dimostra affabulatore senza perdere in sincerità e senza debordare da canzoni solide.

Praino In passato ha collaborato con Santino Cardamone e Il parto delle nuvole pesanti: Praino arriva al suo esordio discografico. Il disco di Praino è una collezione di (sette) brani di cantautorato fantasioso e spesso spumeggiante. Si parte con una sciolta Agnello, racconto da domenica mattina che mescola dub, itpop e perfino un po’ di sensi psichedelici. Il finale è invece tirato ed elettrico, facendo presumere che la mescolanza non spaventerà Praino nemmeno nel resto dell’album. 20


quello cantato dai Pulp dei 90s. A Wonder is About to Start vede la chitarra pronta a prendersi la scena nella seconda parte. Movimenti ritmici continui e libertà di svisata nella molto rumorosa e seguente Place to Forget. Scelta dell’italiano per il testo di Quello che importa, ma non più di tanto, con chitarra acida e atteggiamento new wave. Molto più urlata e sanguigna Something High, Something Low, un pezzo di power pop stavolta elettrico e senza sovrastrutture. La breve Hooray, con un drumming molto sonoro, riporta il discorso su atmosfere più allegre. Si chiude con Sunrise, ancora con chitarra protagonista, finale fluido per un album potente. Ottimo lavoro per De Grinpipol, con un disco in grado di trovare il bandolo della matassa.

De Grinpipol Dopo 5 anni di silenzio De Grinpipol riappaiono sulla scena musicale con un nuovo album: Elephants. Il disco si apre con un’introduzione all’insegna di un folk “rumoroso”, appoggiato sul chiacchiericcio casuale: ecco Palo-matic. Con Divine i discorsi si fanno più induriti, il brano si immerge in sonorità stoner, anche se sono palesi profilazioni psichedeliche.Con M_F si cambia decennio: le evoluzioni garrule del pezzo portano in territorio più vicino a 21


recensione

Calcutta Tutti parlano di Calcutta. C’è una specie di curiosità morbosa verso questo ragazzo di Latina, la necessità di avere per forza un’opinione sulle nuove canzoni, sul tour più surreale di sempre (sono previste due date, una allo Stadio di Latina e una all’Arena di Verona), sul nonsense applicato con dedizione ragionata. Eppure. Da Mainstream a Evergreen il passaggio è come una gita in montagna, quando cammini per tanto tempo su una strada sterrata e all’improvviso riprende l’asfalto. Si fa fatica lì per lì ad abi-

tuare le gambe al sentiero di tipo diverso, poi si prosegue e diventa la nuova normalità. Mentre con Mainstream si aprivano le porte a quello che ancora non aveva un genere di riferimento e degli artisti da poter collocare a fianco di Calcutta, ora le fila dell’indie, se ancora così possiamo definirlo, sono ben tornite, quasi più affollate di quelle più tradizionali e rassicuranti, e le mezze frasi mescolate a melodie in cui la presa di posizione non è sempre scontata non spaventano più, si lasciano semplicemente ascoltare. 22


Inutile la critica, inutili gli schieramenti: Evergreen è un lavoro ben pensato, ben scritto e ben riuscito, e se non piace si può solo dar la colpa, se di colpa si può parlare, al proprio gusto. Come da che mondo è mondo è giusto che sia. Calcutta traccia per traccia Non è vero che mai ti mancherà il mio sguardo da lontano e le luci di città Briciole è una traccia quasi interamente piano e voce, un’intro rispettosa e rispettabile come ogni prima traccia dovrebbe essere. Il rischio di fidarsi di parole d’amore da prendere con coscienziosa cattiva fede. Poi da me non vieni mai / che poi da te non è Versailles Scelta per lanciare il disco, Paracetamolo è la canzone che definirei “paracula”, se paracula fosse un termine da poter usare in una recensione. La frase di apertura che somma i principi attivi delle compresse di Tachipirina ha fatto il giro dei meme in minor tempo di quelli che sono stati inventati per il caso Mattarella/Savona, e l’obiet-

tivo è stato raggiunto. Un singolo orecchiabile, scemo il giusto, ma non così scemo come vuol sembrare. Anche qui si parla di amore, di che altro vuoi parlare. Battiti che si sommano al contenuto delle pastiglie. Mi sono innamorato / mi ero addormentato di te Vecchia conoscenza, Pesto da qualche mese suona ormai nelle playlist di Spotify. Il buio col pesto è diventato lo slogan anche di una famosa compagnia di energia elettrica, per dire la portata mediatica di Edoardo. Forse la traccia più simile a quanto offriva Mainstream, romantica e straziante, con il pathos che aumenta grazie all’interpretazione sempre accorata che lo caratterizza. Fammi vedere i calci sui denti che non mi riesci più a dare Kiwi è la prima delle tracce in sordina che da sole valgono l’intero album. Musicalmente piena, ritmicamente coinvolgente, con un testo che a ogni ascolto assume un colo23


recensione

In ogni disco che si rispetti ci deve essere una traccia da usare per rimorchiare. Saliva è utile allo scopo, parla di nei, di baci, del potere benefico delle persone che ci piacciono e che ci fanno stare bene. Anche qui momenti in cui il testo fa aggrottare un po’ la fronte, ma poi chi se ne frega, si continua a cantare, a perdersi, con la chitarra e il fuoco in spiaggia… Dateo, l’intermezzo, morbido, leggermente distorto. E poi si continua. E non lasciarti a casa mai a consumare le unghie. Altra piccola perla, Hubner, un inno al volemose bbene, nonostante il mondo sia un posto difficile da vivere. Si suona

re in più, un significato in più. E lo slogan che potrebbe serenamente campeggiare su ogni balcone: oh mondo cane, tu fatti gli affari tuoi che esplode nel ritornello come urlo liberatorio. Funziona, con o senza cuscino davanti alla faccia. La cosa più bella che hai è la tua saliva / che risbatte forte come il mare i miei pensieri a riva 24


poco, ma si parla di Fondi, paese in provincia di Latina poco conosciuto ai foresti, della sua stazione, dei pensieri che scattano quando sei in viaggio, magari fermo proprio in una stazione conosciuta da pochi. Un mare pieno di tracine in cui stare vicini è la sola possibilità di rimanere a galla. Sto perdendo il tempo / e penso che mi va A vincere il premio miglior singolo che forse non sarà mai singolo, e sarebbe anche giusto così, è Nuda Nudissima, senza ombra di dubbio. Sinuosamente si insinua nelle curve di un corpo nudo, con una chitarra elettrica accennata a far respirare un’atmosfera diversa rispetto a quella a cui finora siamo stati abituati. Ritornello martellante, e non solo per la cassa. Antenne che guardano il cielo / E il cielo che guarda le antenne Sulla stessa scia prosegue Rai, in un tuffo nel passato che sembra quasi riportare ai televisori a tubo catodico. Un Corso Sempione che ospita gli studi, i viali alberati, la sensazione di sentirsi una star.

Musicalmente complessa, sicuramente meno immediata. Servirebbe un secondo più all’anno / Per fare un respiro profondo, per rilassare le spalle Compito di chiudere il disco è affidato a Orgasmo, anch’essa vecchia conoscenza degli affezionati, già uscita come singolo. Che racchiude nei suoi 3:18 l’essenza di Calcutta. Il pensiero confuso, lo sfogo liberatorio, lo slogan che acchiappa, la riflessione che chiude il cerchio. Senza un genere, senza una definizione. Che tanto tutte le strade mi portano alle tue mutande. È finito il disco. Non era il primo ascolto, lo confesso. E non sarà neanche l’ultimo. Perché Calcutta in qualche modo sa cosa fare e come farlo, si fa scattare foto improbabili dalla mamma con la solita faccia qualsiasi, e invece è riuscito in un’impresa che sembra essere talmente avanti da non essere nemmeno ancora chiara a molti. E questo, bisogna ammetterlo, si chiama talento. Chiara Orsetti 25


intervista

Ginez e il bulbo della ventola Qual’è la storia della band? La storia della nostra band, credo che sia un po’ la storia di tutte le band, rispondendo io, come Ginez a questa domanda, posso raccontarne il mio pezzetto. Un giorno finii in ospedale, terapia intensiva, quando uscii cominciai a scrivere delle canzoni. Decisi di farlo perché penso che fosse quello che da sempre stimolava la mia esistenza, ma visto che ho avuto sempre una vita piuttosto piena, non avevo mai dedicato tempo a questo desiderio

latente. Forse l’avvicinarsi al fatto che la vita poteva andarsene, mi ha spinto a farlo. Da quel momento, la canzone, che prima per me fu terapia come ascoltatore, divenne terapia come compositore. Da lì in poi, il fatto di avere una band al mio fianco, che potesse comprendere e apprezzare tutte le stronzate che stavo scrivendo, fu necessario e con Dani, Roby e Fabio, ho trovato le persone perfette per poter cominciare il nostro “bulbico viaggio”. 26


Con quali premesse nascono sensazioni e idee di “canzoni, bottiglie e altre battaglie”? “canzoni bottiglie e altre battaglie”, nasce fondamentalmente come una raccolta, non solo di canzoni scritte e suonate, ma come il luogo dove depositare un convulso bagaglio esistenziale, dove mettere insieme tanti tasselli che compongono vite e emozioni, che sono trasmesse nelle storie che queste canzoni narrano. Nel disco si respira un’atmosfera di rimpianto, salsedine, taverne, cuori infranti e alcool. Tutta vita vera o c’è del romanzato? Penso che questa domanda, dovrebbe essere fatta a chi ci conosce veramente, o comunque a chi ha condiviso insieme a me, alcune stagioni della vita. Credo che le canzoni non descrivano sempre la verità, ma credo che sempre la verità sia scritta in una canzone, chi ascolta lo sa, non si può mascherare. Il rimpianto ci accompagna e ci accomuna, la salsedine l’abbiamo addosso, siamo nati e cresciuti davan-

ti al mare, le taverne ci hanno dissetato di sogni, i cuori infranti ci hanno reso forti e l’alcool ci ha conservato vivi fino a oggi. Che cosa si deve aspettare chi vi viene a vedere dal vivo? Chi ci viene ad ascoltare dal vivo non si deve aspettare nulla, può scegliere se sedersi ad un tavolo o davanti al bancone, oppure stare in piedi, non importa, la cosa importante e che non gli manchi da bere e che si lasci andare, tutto il resto proviamo a farlo noi. Avete nuovi progetti in cantiere? Il disco è uscito da un anno, ma è secondo noi un lavoro che deve essere ascoltato, e lo stiamo promuovendo più adesso di quando è uscito. Sinceramente, ora, quello che ci interessa di più, è occuparci interamente ai live, quindi il tempo che abbiamo a disposizione cerchiamo di dedicarlo ai concerti. Evidentemente stiamo già lavorando a pezzi nuovi. Dico evidentemente perché alcuni brani nuovi, stiamo già suonandoli dal vivo. 27


intervista

Alcesti Monumenti è l’ep d’esordio degli Alcesti, edito da Dischi Soviet Studio: Marco Ferrante, Mattia Quaglia e Stefano Cocco riescono a creare atmosfere ricche di influenze tipiche del post-rock e del trip-hop. Dopo un primo demo, “Monumenti” è il vostro primo ep ufficiale: sotto quali premesse nasce e come lo avete realizzato? Questo ep è nato dalla nostra voglia di dirigerci verso sonorità e soluzioni un po’ più pop, senza però perdere quella che era stata

la nostra ricerca sonora che avevamo sviluppato fino a quel momento. Alcune delle idee dei nuovi pezzi erano già nate a inizio 2017, ma le abbiamo sviluppate poi nei mesi seguenti insieme a Martino dei Non Voglio Che Clara che si è occupato della produzione e registrazione del disco. Molto è venuto fuori in studio. È sicuramente un disco di transizione, un’esperienza fondamentale per mettere a fuoco il nostro sound che ci ha aperto la strada verso nuove idee e un nuovo 28


modo di comporre. Mi sembra che i suoni del disco siano sì pop, ma anche frutto di una stratificazione di tanti elementi sonori diversi: qual è il vostro modo di comporre? Solitamente Stefano arriva in sala con un’idea di base, che sia un giro di chitarra o una melodia, e poi la si sviluppa tutti assieme. La differenza rispetto a come lavoravamo prima di avventurarci nella produzione dell’ep è che ora non siamo così rigidi sulla struttura del pezzo. Lasciamo che sia lo studio di registrazione e il lavoro in team che stiamo proseguendo con Martino a definire il pezzo e plasmarlo nella sua versione definitiva. Che tipo di contributo ha dato al disco Martino Cuman? Come avrai sicuramente già capito, è stato molto importante. Oltre all’aiuto dal punto di vista delle scelte sonore e delle liriche, è stato un vero e proprio mental coach. Ci ha messo alla prova con noi stessi, ci ha fatto tirare fuori idee che magari da soli non avremmo avuto

e soprattutto ci ha dato una direzione chiara da seguire. E’ approfondito anche il lavoro sui testi. Come nascono le ispirazioni che hanno portato a “Talamo”? Talamo, come molti dei nostri testi, parla della difficoltà di comunicare. Nasce immaginandosi un dialogo tra due persone, in cui una delle due vorrebbe andare più a fondo e conoscere l’altra ma non ce la fa. Tutta la similitudine “spaziale” che percorre il testo rappresenta questo, la distanza che a volte sembra incolmabile ma che molto spesso è frutto solo dei nostri limiti, un viaggio nell’immaginazione

29


intervista

In3pido Qual è la storia degli In3pido? Esperienze musicali diverse e un incontro artistico casuale, danno vita al progetto IN3PIDO, definito scherzosamente dai protagonisti un “toy-rock senza pretese”. Massimo e Giancarlo che suonavano assieme in un precedente gruppo incontrano Cristiano e Christian nel corso di una jam session in occasione di una festa di laurea. Max alla voce e tastiere, Gianka alla chitarra, Cristiano alla batteria e Chris al basso iniziano nel 2015 il loro percorso musicale assieme, suonando un po’ ovunque in provincia di Vicenza e nel Veneto, (loro terra natale), eseguendo cover di brani più o meno

conosciuti. Dopo un breve “rodaggio” fu subito chiara la direzione da prendere: proporre musica inedita frutto della fusione delle quattro diverse anime artistiche dei componenti della band. La ricerca di qualcosa di nuovo e il vissuto dei quattro musicisti hanno portato, nell’arco di pochi mesi, alla realizzazione del primo album degli In3pido: Brexit. Perché “Toy Rock”? Racconta Chris (bassista) sorridendo: “Questa definizione è stata il frutto di una divertente discussione tra noi; dopo una sessione di prove, con la complicità di qualche birra, si diceva che la nostra è una mu30


sica che “non se la tira” e con cui semplicemente ci divertiamo emozionandoci, così mi è uscita questa espressione e, tra le risate di tutti, abbiamo deciso di etichettare la nostra musica e il nostro progetto in questo modo.” Parliamo di Brexit: cosa vi ha spinto a scrivere la canzone e perché avete preso spunto proprio dall’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea? È successo all’improvviso senza pensare a quello che stavamo facendo: in una sessione di prove Christian con la chitarra acustica parte con un nuovo Riff. Giancarlo subito lo segue e con la chitarra elettrica e “incattivisce” il riff. Erano passati pochi giorni dal referendum in Gran Bretagna sulla Brexit e ascoltando questa nuova musica di getto mi sono uscite queste parole: “Uk’s out of Europe”.Da lí è partita la batteria con un ritmo serrato.... a un certo punto sembrava stessimo suonando seguendo uno spartito, mancava solo di completare il testo. Il titolo era chiaro:

“Brexit” e il giorno successivo pensando alle sensazioni e allo stupore causati da questo evento storico ho completato il testo. C’è un altro brano che fa perno sulle notizie di oggi (o di ieri), cioè Schiaparelli: come nasce? Schiaparelli è nata da un riferimento di attualità che ronzava nella testa di Massimo. Era fine ottobre del 2016 e su tutte le testate giornalistiche, radio e TV c’era un gran fermento per questo evento epocale che stava per avvenire: l’atterraggio su Marte, per la prima volta nella storia, di una sonda spaziale progettata e costruita in Europa. Racconta Massimo: “ La delusione che seguì al fallimento della missione è rimasta dentro di me anche se io, con quella missione nulla c’entravo”. Tutta la canzone è partita da un riff di Giancarlo (il chitarrista n.d.r.) da cui il cantante ha preso ispirazione per creare di getto l’incipit: “come sia stato non so, uno schianto su Marte tuonò”. 31


live

Tour in Italy E’ iniziata la grande stagione dei festival: ovunque nella Penisola si tengono eventi ed eventoni ripieni di ospiti interessanti. Si può partire dal Lumen Festival di Vicenza, dal 20 al 24 giugno, con Coma_ Cose, Amari, Ghemon e Joan Thiele. Dal 7 luglio all’11 agosto 2018 a Locorotondo torna il Locus Festival, con Ghemon, Baustelle, Diodato e molti altri. C’è il Gravity Pop Festival a Olgiate Olona (Va32

rese), dall’11 al 14 luglio, con Achille Lauro, Annalisa, Joan Thiele, Junior Cally, Le Mandorle. Il 14 e 15 luglio ad Alba (Cuneo) c’è Tanaro Libera Tutti, con Bianco, Selton, La Notte, Liede. Appuntamento poi a Genova con il Goa Boa, che quest’anno parte il 13 luglio, e che allinea MYSS KETA, Pinguini Tattici Nucleari, Caparezza, Negrita Coez, Motta, ComaCose, I Ministri, Mudimbi, Frah Quintale.


audio hi tech

Tutti dj (a prezzi decenti) Qualità “DJ” ma prezzi abbordabili? Non sempre possibile. Ma è l’obiettivo che Pioneer si è posta con le HDJ-S7, che a 199 euro propongono una serie di caratteristiche non comunissime. Grazie al driver ad alta definizione da 40mm, producono lo stesso suono ad alta risoluzione da 5kHz a 40kHz del modello di punta over-ear HDJ-X10. Ideali per il monitoring

nel DJing, queste cuffie consentono una maggiore separazione di toni bassi ricchi e frequenze medio-alte chiare. Il modello HDJ-S7 è stato progettato sulla base degli input di dj internazionali di tutto rispetto. Perciò è flessibile e vanta cuffie on-ear, archetto regolabile e meccanismo girevole, fissabile a 45 gradi, per indossarle in tutta comodità e per durare a lungo. 33


video

The Strikes, “Be More”

Moscow Club, “Blu”

34


Matteo Fiorino, “Canzone senza cuore”

Elton Novara, “Papango”

35


WWW.MUSICTRAKS.COM RECENSIONI NEWS ANTEPRIME

INTERVISTE VIDEO PLAYLIST


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.