TRAKS MAGAZINE #18

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Numero 18 - ottobre 2018

MARCO CANTINI un’urgenza interiore

EDUARDO DE FELICE THE ZOIDS

SUNSET RADIO ONORATA SOCIETA’


sommario 4 Marco Cantini 8 Eduardo De Felice 12 Sunset Radio 16 Zoids 20 Massimo Moraca 22 Tano e l’ora d’aria 24 Onorata Società 28 Vincenzo Fasano 32 Deleted Soul 34 L e Scimmie sulla Luna 36 Edy 40 Rocky Horror 44 Gianluca Corrao 48 Dario Crisman 52 Quellochesentivo

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MARCO CANTINI

un’urgenza interiore Un disco che nasce da un libro: non è la prima volta per il cantautore, che ora si cimenta con un “monumento” della letteratura come “La Storia”, di Elsa Morante, nelle canzoni de “La febbre incendiaria” Come ti è venuta l’idea e soprattutto quanto è difficile scrivere un disco a partire da un libro, e

da un libro importante come “La Storia”, di Elsa Morante? È un lavoro sviluppato nell’arco di 4


tutto nasca in modo molto spontaneo - ovviamente ponderato e valutato attentamente nel tempo, ma considero questa la parte più divertente di ogni processo creativo - quando risponde a un’urgenza interiore che ti spinge a scrivere. Diversamente sarebbe come realizzare canzoni su commissione, e in questo avrei enormi difficoltà. Qual è l’attualità oggi di ciò che racconta un libro uscito nel ’74 a proposito della seconda guerra mondiale, e di riflesso delle vicende narrate nel tuo disco? Le vicende sono ambientate durante la seconda guerra mondiale e nell’immediato dopoguerra, ma i suoi protagonisti hanno la caratteristica di essere figure universali valide in ogni epoca: i drop out, i deprivati di benessere, ogni individuo sofferente ed emarginato dalla nascita. Ci sono purtroppo ancora validi esempi nell’attualità che stiamo vivendo. Detto questo, credo ci siano sempre più ragioni per ricordare pagine importanti della nostra storia. Ricordare, per esempio, che la Democrazia in

un anno, dopo l’uscita di Siamo noi quelli che aspettavamo. Certamente influenzato dai grandi cantautori che ho ascoltato una vita e che hanno sempre attinto dalla letteratura. Sulla difficoltà nella realizzazione del disco, credo che 5


questo paese nasce dalle ceneri del fascismo e che la Costituzione è antifascista per sua natura. Mi ha sorpreso l’alternanza tra pezzi lenti e veloci: come sei giunto a questa scelta? Le quattordici canzoni seguono cronologicamente alcuni degli episodi salienti del romanzo, o per meglio dire quelli che ho voluto maggiormente sottolineare. Ma nella tracklist dell’album mi sono divertito a mischiare un po’ le carte, cercando di rendere il disco maggiormente fruibile attraverso un personale gusto estetico. Come mai hai scelto, e forse sentito la necessità, di condividere molte canzoni di questo disco con numerosi ospiti? Puoi raccontare qualcosa dei tuoi rapporti con loro? Sono tutti musicisti che ho ritenuto ideali per interpretare certe canzoni: per il loro vissuto e per il loro impegno, non casuali. Artisti e amici che conosco personalmente da anni come Tiziano Mazzoni, Silvia Conti (presente anche nel precedente disco) e Stefano Disegni (conosciuto anni fa durante le

riprese del video di “Pazienza”). L’eccezione è rappresentata da Marco Rovelli, che stimo molto da tempo sia come scrittore che cantautore, ma che non conoscevo personalmente. C’è un “featuring” particolare, quello di tuo padre, dalle cui opere sono tratte copertina e illustrazioni interne… Ed è motivo di grande gioia per me. Non c’è stato neppure bisogno di chiedergli di realizzare appositamente alcun dipinto o disegno: ritengo sia l’opera di copertina che le illustrazioni interne - oltre che molto belle - assolutamente perfette per rappresentare al meglio le tematiche del disco.

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EDUARDO DE FELICE

al momento giusto Nuovo singolo per il cantautore tratto dal disco “E’ così”, undici tracce dal gusto vintage ma con un vestito moderno. Gli abbiamo rivolto qualche domanda in merito a video, ispirazioni e idee future “Al momento sbagliato” è probabilmente una delle canzoni più “tradizionali” del tuo album. Come mai l’hai scelta come singolo? È stata una scelta dettata princi-

palmente da due fattori. In primis la voglia di diversificare un po’ i singoli per dare un’idea agli ascoltatori meno curiosi (quelli che non ascoltano un album intero di un artista ma si limitano ai suoi 8


singoli), di ciò che è contenuto nell’album puntando appunto su canzoni sostanzialmente diverse tra loro anche se poi c’è sicuramente un filo che le lega tutte. E quindi dopo “Succede così” e “Cosa posso farci”, mi sembrava la giusta canzone da proporre. Il secondo fattore di scelta è stato

sicuramente determinato dal legame che ho con questa canzone. Puoi raccontare qualcosa del making del video? Il videoclip è stato realizzato dal gruppo Upside, con il quale ormai collaboro da anni. La regia è stata curata da Mario Pistolese mentre le riprese e il montaggio sono di 9


dovessi farmi un nome solo, tra quelli che ti hanno influenzato di più, quale sarebbe e perché? Ce ne sarebbero tanti ma in assoluto dico sicuramente Lucio Battisti. Il perché è dovuto al fatto che lo ascolto da bambino, sono cresciuto con i suoi dischi e conosco tutta la sua discografia a memoria. Direi che è anche inevitabile e naturale, ormai fa così parte di me, del mio bagaglio musicale, che mi influenza anche senza volerlo. Di Battisti sicuramente ammiro la sua voglia di innovare, la sua versatilità, la ricerca maniacale del giusto sound e del giusto arrangiamento, e il fatto che ogni suo disco sia in qualche modo comunque diverso dal precedente, seguendo pur sempre una linea che li lega tutti. Il tuo disco “E’ così” si com-

Tato Strino. Le scene sono state girate tra Napoli e Bacoli. Il senso del videoclip è più o meno il senso della canzone con queste immagini da vhs anni ‘80 che sanno ormai di ricordi andati ma sempre presenti tra queste due persone che un destino beffardo ha fatto incontrare al momento sbagliato. In questo video non si racconta una vera e propria storia con un inizio e una fine ma è più che altro una sequenza di immagini sparse, di ricordi, fino alla scena conclusiva dove si ritorna al presente… Mi sembra evidente il tuo legame con i cantautori classici. Se

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pone di canzoni scritte nel corso degli anni. Pensi che anche il prossimo lavoro sarĂ costruito allo stesso modo oppure pensi di concentrare la composizione in un periodo piĂš breve? Questo dipende anche dal momento in cui uscirĂ un prossimo lavoro. Nel frattempo sto continuando a scrivere, per cui se

dovessi costruirlo in tempi relativamente brevi allora sarĂ composto principalmente da canzoni scritte di recente. Ma comunque non disdegno di andare di tanto in tanto a scavare tra le canzoni scritte in passato per dare loro una bella spolverata, un vestito nuovo, e provare a vedere che effetto mi fanno. 11


SUNSET RADIO

“All The Colours Behind You” è il secondo disco della band romagnola, che ci è arrivata dopo un periodo di cambiamenti e che lo descrive come un “importante passo avanti” Ascoltato il disco la prima domanda che mi verrebbe è… “DI che cosa parlano le vostre canzoni”? Ma la correggo con un “Perché non volete che vi si chieda di che cosa parlano le vostre canzoni, come da relativo brano”? Ogni persona dovrebbe cercare di capire, non di cosa parla la canzone, ma di come la canzone parla alla loro vita, ogni canzone deve

essere una scoperta. Uno dei motivi per cui non amiamo questa domanda deriva semplicemente dal fatto che la nostra risposta potrebbe influenzare in modo negativo il primo ascolto, togliendo il gusto della scoperta. Ogni persona dovrebbe essere libera di interpretare il testo come meglio crede in base alle proprie esperienze e alle proprie emozioni. 12


Voler domandare il perché all’arte è un grande errore, infatti quando si domanda il perché a una forma d’arte si va contro la sua stessa essenza: cercare di capire l’arte ma non riuscire a capire sé stessi! Avete subito una sorta di ristrutturazione come band: quali i motivi? E’ stato un periodo difficile? Sì, le cose sono cambiate parecchio nel corso degli anni e in particolare durante l’ultimo inverno, durante il quale, a fianco dei tre membri fondatori della band (Teo, Paz e Andre) si sono aggiunti Richi alla chitarra e Albi al basso. Senza scendere nei dettagli, come in ogni gruppo di persone, non per forza solo in una band, ognuno ha impegni, disponibilità, priorità e aspirazioni differenti, e questo fa sì

che a volte, per il bene di tutti, le strade si debbano dividere, più o meno a malincuore. Sicuramente questa piccola rivoluzione di 2/5 della band non è stata semplice da affrontare, perché inserire due nuove persone in una macchina già avviata non è facile. D’altra parte l’ingresso di nuovi membri ha portato nuova linfa e nuove idee alla band. Fortunatamente, poco dopo l’arrivo di Richi e Albi abbiamo ridotto l’attività live per

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concentrarci sulla stesura di All The Colors Behind You e questo ha permesso di farli entrare appieno nel progetto, ma senza l’immediata “difficoltà” di dover affrontare sin da subito il palco, sul quale, per garantire un live di un certo livello, è necessario sviluppare una sintonia che necessita di diverso tempo per essere affinata. Da cosa nasce il titolo del disco? Il titolo All The Colors Behind You deriva dall’idea che ognuno di noi

indossi una o più maschere nella propria vita, di conseguenza non risulta facile vedere “i veri colori” che stanno dietro a questa facciata e conoscere realmente le persone. Il mondo in cui viviamo mette spesso al primo posto l’apparenza piuttosto che la sostanza, e quindi diventa ogni giorni più difficile potersi esprimere liberamente ed essere veramente se stessi. Crediamo, però, che la musica, e specialmente il punk rock, sia un ottimo 14


ni anche per settimane. Alla fine del processo creativo avevamo in cantiere circa quindici brani, dai quali ne sono stati scelti undici per la tracklist finale. Abbiamo poi registrato tutto allo Studio73 di Ravenna insieme a Riccardo Pasini, che già aveva lavorato con noi su Vices, fra gennaio e marzo del 2018. Successivamente abbiamo passato un paio di settimane a mixare il tutto, che per i nostri standard è un periodo piuttosto lungo, ma necessario a trovare il sound che ci soddisfacesse. Credo che anche il finale di A Shipwreck in the sand, diciamo poco “international”, meriti una spiegazione e qualche motivazione convincente Cantiamo in inglese, suoniamo un genere molto poco “italiano”, suoniamo principalmente all’estero... Tutto vero, ma la Romagna ci resta sempre nel cuore e mettere un pezzettino della nostra terra al termine del disco ci piaceva. Immaginatevi un ascoltatore in Giappone che al termine del pezzo sente uno parlare in dialetto romagnolo: bellissimo!

modo per abbattere questi schemi prefissati e lasciare che le persone tolgano le loro maschere Descrivete il nuovo disco come un passo avanti rispetto a “Vices”. Come è andata la lavorazione sul disco? Vices è stato fortemente influenzato dal punk rock anni ‘90, mentre su All The Colors Behind You abbiamo cercato di introdurre nuovi elementi nel nostro sound, in modo da trovare una nostra identità. Durante il periodo di lavorazione del disco abbiamo ascoltato molto pop punk e in particolare band come State Champs, Real Friends e Neck Deep. Di conseguenza questi ascolti hanno influenzato la scrittura dei brani, seppur le influenze ‘90s ci sono ancora. Il nostro obiettivo sul nuovo disco è quello di fondere questi due mondi in uno. Abbiamo collaborato con Fabrizio Pan dei Melody Fall, che ci ha aiutati a trovare il sound che stavamo cercando. Inoltre abbiamo passato molto tempo a lavorare sugli arrangiamenti, cosa che ci ha portati a ragionare su singoli bra15


THE ZOIDS “Void Dimension” è l’esordio del trio che ha alle spalle lunghe avventure in altre band ma che è riuscito a voltare pagina dervi conto che potevate intraprendere questa nuova strada. Potete raccontare com’è andata?

The Zoids nascono sulle ceneri di At The Weekends, ma ci avete messo un annetto prima di ren16


Si, ci è voluto un annetto, ma forse anche due prima di renderci conto che così non poteva andare avanti. È un po’ come nell’amore: perdi la persona che ami e pensi che sia impossibile trovare qualcuno che quantomeno la eguagli. Ovviamente spesso è soltanto per paura che non si osa e io per osare ci ho messo due anni. In quel periodo ho imbracciato più volte la chitarra, soltanto per tirare due accordi, suonare qualche canzone che mi piace, finché sono cominciate a uscire fuori le prime idee (involontariamente). Alla terza bozza mi sono reso conto che mi mancava qualcosa: la sala prove, il legame che si crea con una band, i live lontano da casa, le risate, le emozioni, la musica, quella scritta con il cuore. E quindi niente, da lì, una birra con un Luigi ed è nato tutto. Quali erano i discorsi alla base del disco? Quali erano i vostri obiettivi? Li avete raggiunti tutti? Alla base del disco non c’era nemmeno un disco in realtà. C’era solo la voglia di suonare. Ma è successo tutto così in fretta: in nove mesi

abbiamo scritto nove pezzi, li abbiamo registrati e li abbiamo pubblicati. Quindi avere un disco senza aspettarsi un disco va ben oltre le nostre aspettative, soprattutto perché stiamo ricevendo molti consensi e recensioni positive! Come nasce Lex e perché l’avete scelta come singolo? Lex è stato il pezzo più immediato. Nato e finito nel giro di una prova. Non so perché abbiamo scelto proprio Lex come primo, forse proprio perché è stato il primo scritto tutti e 3 insieme, perché parla di cambiamento.. Le vostre sonorità sembrano concentrarsi molto su decenni passati, direi soprattutto i 90s. Ci sono band di oggi che invece vi piacciono e vi ispirano? Si sicuramente ci sono band di oggi che ci piacciono, anche se sempre nel panorama internazionale più che in quello nazionale. Per quanto riguarda l’ispirazione cerchiamo di non rifarci mai a qualcuno in particolare, ma ci viene naturale scrivere quello che sentiamo nostro, quello che ci portiamo appresso da anni di 17


ascolti. In questo istante sto ascoltando Don’t delete the kisses dei Wolf Alice. Mi raccontate qualcosa dei vostri testi? Come nascono e di che cosa parlare nei vostri brani? I nostri testi parlano della dimensione del vuoto (Void Dimension appunto). Un mondo parallelo e distorto creato nella nostra mente in cui tutto si basa su vita, amore e tempo. Si nasce e si vive per amare; amare un concetto, un’idea, una persona.. e tutto è scandito dal tic tac dell’orologio. Fondamentalmente siamo dei romanticoni, anche se sembriamo sempre arrabbiati!



più o meno indotte. La musica, di per sé, sembra uno canale comunicativo “semplice” perché arriva senza intercessioni, ma in realtà, spesso, il significato di un testo o l’emozione di una melodia che crei la comprendi anche tu solo dopo la sua nascita. Normalmente non mi interrogo troppo sul momento, perché un quell’istante vengo principalmente rapito dal processo creativo in atto più che dal suo motivo. Quando una canzone ti arriva è una sorpresa incredibile Preceduto da tre singoli “Nuove Proed è il momento in cui, nel mio spettive” è il debutto del progetto solicaso, riesco a essere allineato con sta del cantautore/psicologo me stesso. Il bello di scrivere una canzone è che da quel momento Il connubio musica/psicanaliin poi esiste qualcosa che prima si è sempre curioso: come porti non c’era o se c’era, era soltanto avanti le due professioni? una sensazione astratta. In qualunque modo un artista si A 40 anni il tuo primo disco soliesprima troviamo nella sua opesta. Un bel modo per prepararti ra la manifestazione di un proalla crisi di mezza età... cesso cognitivo profondo che fa Ammetto di non essermi mai mai emergere, che lo voglia o no, una sentito meglio in tutta la mia vita! parte di lui più o meno nascosta Non credevo sarebbe successo in che sente il bisogno di uscire. C’è concomitanza con questa ricorchi parte da una sofferta introrenza. Ho una vita piena, faccio spezione il cui risultato è l’opera sport, suono e ho una bella famiartistica, c’è chi invece la interpreglia. Da ragazzo guardavo ai miei ta a posteriori attraverso analisi

MARCO MORACA

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quarant’anni come una cosa lontana, piena di noia, abitudini e di “arrivi”. In realtà sto scoprendo un periodo della mia vita pieno di energia, progetti e voglia di realizzare. Come fosse tutto ancora da iniziare. A vent’anni non ne avevo cosi tanta, di energia, e sembrava sarebbe stato tutto molto faticoso. Ora sono un treno in corsa! La maturità di questa età ti aiuta a superare meglio molti ostacoli della tua vita e che nei decenni precedenti ti avrebbero sicuramente bloccato... Parlo sopratutto di meccanismi mentali. A questa età si è individui più risolti, più sicuri di sé e l’esperienza di questa prima parte di vita ti restituisce maggior consapevolezza verso ciò che desideri fare. Ho voluto fare un disco e mettermi in gioco. L’ho fatto e chi se ne importa di come andrà. Qual è stata la cosa più faticosa, lavorando al disco? Ammetto che conciliare la produzione di un disco con la vita di tutti i giorni non è stato semplice, sopratutto quando non è il tuo unico lavoro e spesso è messo

dopo tante altre cose che vengono considerante “prioritarie”. Ci vuole molto rigore e determinazione a portarlo a termine. Altra fatica è stata aprire il cassetto della memoria... Scegliere le canzoni da inserire nel disco, rivivere alcune emozioni non è stato semplice perché alcune raccontavano di un “Marco” passato, altre invece hanno subito un restyling, per essere più nel loro tempo, altre ancora hanno avuto la possibilità di essere completate. Oggi il lavoro prodotto è un lavoro completo. Tre nomi di cantautori italiani che ti piacciono? Ascolto molto più musica italiana di un tempo. Sono cresciuto con la musica Brit - Pop - Rock degli anni ‘60 e ‘70, musica scoperta grazie all’influenza della musica che ascoltava mio padre. Cosi Beatles, Rolling Stones, Police e Eagles sono stati la colonna sonora della mia adolescenza. Ho ascoltato anche Battiato, Pino Daniele e Battisti, ma oggi ascolto molto volentieri Gazzé, Consoli, Venuti e Concato, non ultimo, il grandissimo Lucio Dalla. 21


TANO E L’ORA D’ARIA

“Canzoni d’amore e canzoni di libertà, canzoni colpevoli e canzoni innocenti”: tutto questo nel debutto omonimo della band di Tano Mongelli stra forza. Musica e teatro non sono mai stati separati per noi. Si alimentano a vicenda e ci danno molte più possibilità espressive. Avevate moltissime canzoni pronte. Qual è stato il criterio di scelta delle canzoni dell’album? Sì, io scrivo dal 2010 e molti dei nostri pezzi non sono entrati in questo disco. Abbiamo cercato di renderlo il più possibile un concept album. Innanzitutto pensan-

Ci raccontante cosa vi ha portato a formare la band e ad arrivare fin qui? L’Ora d’Aria è nata tre anni fa e non ci siamo mai fermati:locali, centri sociali, teatri, Musicultura, Primo Maggio di Taranto, Zelig... Diciamo che, come band, mentre aspettiamo di emergere, sott’acqua prendiamo un sacco di pesci. Sappiamo di essere una band anomala ma è anche la no22


dolo come un cortile dove le canzoni passano insieme l’ora d’aria, tutte con una diversa voglia di libertà, e poi scegliendo dei generi che potessero stare bene insieme (Gospel, R&R, Blues, Latino, Folk americano). Com’è nata Dacci oggi? Grazie per la domanda. Mi sembra che fosse il battesimo di mia cugina. Il prete ha annunciato che si sarebbero formate due file per la comunione. Una per l’ostia con glutine, l’altra per l’ostia senza glutine. Questa cosa mi ha illuminato. Ho pensato che se credi che quello sia il “Corpo di Cristo” non dovresti stare lì a fare lo schizzinoso sul glutine, anche perché, come dice la canzone, è solo un “filo di pane, che male può fare?” Ho pensato anche che se credi che Cristo si sia immolato per l’umanità, tu potresti da parte tua fare un piccolo sforzo. E così nato il gospel che apre il disco. Pare che la Chiesa abbia provveduto e ora tutte le ostie siano gluten-free. A noi piace pensare che sia a causa del nostro pezzo. Credo che la cover meriti qual-

che parola di spiegazione... È o non è la più bella copertina degli ultimi 20 anni? Si certo che lo è. Tutti i disegni del booklet (uno per canzone) sono di Daniele Veleno, che è un bravissimo e versatile tatuatore. Abbiamo chiesto a lui perché volevamo che sembrassero tanti tatuaggi sulla pelle dello stesso detenuto. In copertina c’è Il disegno della Traccia 07 – Più bello da nudo che spoglia il bacio del marinaio e l’infermiera di V-J Day in Times Square. Ci sembra che racconti perfettamente Amore e Libertà, che sono i due poli opposti che si contendono tutte le nostre canzoni.

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ONORATA SOCIETA’ Il terzo album per la band siciliana è “Anima Animale”: otto tracce, nuove sonorità, impegno ma anche ironia, e un titolo pensato come auspicio a una conciliazione tra gli istinti Vorrei capire come nasce la voglia di celebrare o comunque di raccontare questa “Anima Animale”

La nostra natura è animale. L’evoluzione, se da un lato ci ha portato benefici, elevandoci allo status di “animale razionale”, dall’altra ci ha 24


allontanato dai nostri istinti primordiali. Riscoprire i nostri primi istinti, può riportarci a trovare un nuovo equilibrio nel rapporto con gli altri esseri viventi e con tutto l’ambiente che ci circonda. Chissà forse “tutto quello che promette il progresso non sempre è verità” (cit. Maluversu) Non avete un genere di riferimento e ci tenete a sottolinearlo, ma mi sembra che l’ultimo disco abbia un’anima black-funk abbastanza marcata, nonostante qualche cambio di rotta qui e là. Su quali premesse avete lavorato, a livello di suono? C’è sicuramente una presenza di black music, ma non solo. È un guardarsi attorno a 360° in quelli che sono stati i vari linguaggi che ci influenzano nel nostro bagaglio di ascolti. Nella scelta del suono generale abbiamo affrontato le riprese audio a seconda dello stile e della tecnica di ogni singolo strumento. Da batteria vintage, a chitarre registrate con un vecchio preamplificatore Brunetti valvolare, a suoni synth degli anni ‘80 e ‘90. Si direbbe che con nove membri

abbiate già un buon numero di persone su cui contare, eppure avete coinvolto anche Lello Analfino e Francesco Prestigiacomo per il nuovo disco. Perché e che contributo hanno offerto? Semplicemente perché è nata l’esigenza di mettersi in gioco, incuriositi di scoprire una diversa chiave di lettura dei nostri brani, ma affidandoci ad artisti vicini alla nostra cultura musicale. Nonostante tra i membri degli Onorata ci siano tante personalità e di differente estrazione musicale, si è sentito il “bisogno necessario” di rinnovare suoni e arrangiamenti per rendere il prodotto finale più fresco e fruibile. Più elettronica, meno accordi, una chitarra più rockeggiante e ritmi incalzanti e lineari. Tutto ciò ha permesso una ulteriore apertura al mercato musicale, pur non snaturandoci, e ci permette di arrivare ad un pubblico più vasto e meno di nicchia, almeno questo è l’intento. Un’altra delle curiosità che ho riguarda l’equilibrio fra i quattro cantautori: come scrivete le canzoni? Ognuno per sé, in gruppo,

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a coppie? In passato abbiamo seguito la regola ferrea dei rapper: ognuno scrive le sue rime. Regola che però ci ha sempre portati ad avere dei testi non sempre uniformi. In questo nuovo lavoro i testi nascono sempre e soltanto da una sola persona, poi rivisti, corretti e assestati con un lavoro di gruppo. Vorrei sapere come nasce Nuovi eroi Nuovi eroi nasce dalle ceneri di un vecchio brano e sboccia in maniera spontanea nel giro di pochi giorni. Avevamo voglia con Lello Analfino (Tinturia), che difatti canta nel brano, di affrontare l’argomento mafie in maniera più diretta e popolare. Creare un inno, un coro, all’onestà di chi, fuori da qualsiasi istituzione, vuole e deve lottare ogni giorno contro ogni tipo di mafia. 27


È appena uscito il tuo nuovo singolo. “L’estate più fredda del mondo” è uno stato d’animo, un urlo liberatorio, nostalgico e vivo allo stesso tempo. Quante “fiamme d’acqua per spegnere i sogni” ti hanno sparato addosso, e quanti no hai dovuto sparare a tua volta per difenderti? Fino a oggi mi hanno sparato addosso molte fiamme! Credo che le “fiamme d’acqua per spegnere i sogni” siano puntate su tutti coloro che hanno dei sogni. L’omologazione oggi mi spaventa ma credo fermamente che nel nostro piccolo ognuno di noi possa avvicinarsi a ciò che realmente è. Mi fa sorridere ripensare ai miei piccoli “no” che ho detto per cercare di essere libero

VINCENZO FASANO #cinqueminuticon Vincenzo Fasano, siciliano di origine ma nato e cresciuto a Mantova, ha pubblicato il suo ultimo singolo in attesa dell’uscita del nuovo album. Voce potente e riconoscibile, testi profondi e un’allure da “uomo d’altri tempi” sono i suoi tratti distinivi. 28


di fare quello in cui credo, ma a distanza di tempo mi rendo conto di esserci riuscito perché dedico parte della mia vita alla musica. Dopo un singolo arriva un album… Quando uscirà il tuo nuovo lavoro? Puoi anticiparci qualcosa? Sono felicissimo di annuciarvi che l’album è pronto, è un album panoramico, scritto con gli occhi e con il cuore; uscirà i primi mesi del 2019. Parlerà della convivenza tra il bene e il male, della purezza dell’acqua e della “spazzatura”. Ci sono brani con strutture diciamo classiche e brani dilatati, rarefatti, che rispettano solamente le parole o la musica per la loro fluidità, non si preoccupano di nulla. Mi sentivo di fare un album che rappresentasse la mia vita oggi, i miei sogni, il mio sguardo sul mondo che vedo e che vorrei vedere. Se ascolto i miei primi due album sento una grande sofferenza ma un’infinita voglia di scappare, di correre verso la vita in mondi lontanti “magari con due Soli” che scaldano. Questo album è il seguito naturale del mio viaggio musi29

cale. La tua voce e il tuo modo di cantare ti rendono immediatamente riconoscibile, caratteristica piuttosto rara in un periodo in cui, nei diversi generi, va di moda “essere simili”. C’è qualche artista, tra le nuove promesse, che apprezzi particolarmente? Mi piace moltissimo tutta la nuova scena, veramente, mi mette di buon umore, mi sembra sia nato un nuovo romanticismo che parla della quotidianità e delle piccole cose, ma in particolare non ascolto nessuno, mi piace camminare nella natura, mettermi le cuffie con Spotify e lasciarmi andare. Matteo Buzzanca (il mio nuovo produttore) e io quando abbiamo scritto questo album avevamo ben presente cosa “andava” nella scena musicale ma non ce ne siamo preoccupati e nemmeno ispirati. Abbiamo iniziato a scrivere e scegliere i suoni per “dirigere” un film in modo naturale, spontaneo, seguendo solo le immagini che volevamo tradurre in musica. Mattia Panzarini ha dato nella produzione il tocco finale: “ciak si


gira!” ll tuo ultimo album si chiudeva con un meraviglioso sono felice, in una delle canzoni che maggiormente ho apprezzato, “Verso l’infinito e oltre”. È passato qualche anno, sei ancora felice? Hai ancora più paura di morire che di vivere? Che belle domande mi fai!!! Grazie, mi sembra di essere sempre in analisi e questa cosa mi fa sempre sorridere. Se ascolto “Verso L’Infinito E Oltre” mi accorgo, ascoltandomi dopo due anni, che più di essere felice, ero in ricerca

per esserlo e questa ricerca non è finita, anzi... Credo che la parola giusta oggi sia “accontentarsi” nel senso più positivo del termine, capire che siamo liberi, che viviamo in condizioni di privilegio, che abbiamo delle vite intense. Oggi , quando riesco, mi circondo sempre più di persone semplici , sono loro che mi insegnano che la felicità sta nel poco, quindi se ci penso...sì...sono felice! Per quanto riguarda la paura di vivere o morire ti rispondo che sto cercando di allontanare la paura da ogni cosa, per vivere tutto al massimo, con 30


una grande consapevolezza della fortuna che mi circonda. L’obiettivo è non avere paura nè di vivere nè di morire e capire che è tutto naturale. La paura rende vittime, costruiamo prigioni e incateniamo i nostri cuori. E dai nostri cuori usciamo lasciando le chiavi all’interno, cercando disperatamente qualcuno che ne possieda una copia. Non sei un artista particolarmente social addicted, e potrebbe essere in parte penalizzante visto il momento, in cui una cosa succede davvero solo se è condivisa in rete. Cosa pensi di questa epoca del mordi e fuggi, del pubblico sempre presente, dell’opinione da esprimere sempre e comunque? Ti dico che se non fosse per la musica e quindi per la necessità di espormi al pubblico mi toglierei dai Social, impiegherei quei minuti per fare altro. Mi piace il web ed è stupendo quello che ti può dare ma bisogna navigare senza allontanarsi troppo. Mi rendo conto che spesso scorro immagini, video, post e centinaia di in-

formazioni delle quali mi scordo appena metto giù il cellulare, spesso è tempo perso. Credo che parte dell’insoddisfazione che si respira in giro sia data dalle troppe informazioni che le persone hanno e non riescono ad elaborare per farne qualcosa. Posto solo quando ho qualcosa da dire, quando ho un argomento; farmi le foto allo specchio in bagno o al mio piatto preferito non mi emoziona. Se non hai nulla di interessante da dire, il silenzio rimane un’ottima alternativa. L’ultima domanda è sempre una richiesta: una piccola playlist di tracce che ti piacciono, tue, di altri artisti, famose o sconosciute… Sbizzarisciti e stupiscici! Domingo La leggerezza Baustelle Andarsene Così Demartino Non Siamo Gli alberi Tiziano Ferro Alla mia età Riccardo Sinigallia Impressioni Da Un’ Ecografia Niccolò Fabi Una Buona Idea Jovanotti Ora Carmen Consoli Il Sorriso Di Atlantide Chiara Orsetti 31


DELETED SOUL Un progetto nato tra il Chianti e il Pacifico: Tuzzy, fondatore di Elastica Records, produttore internazionale di grande fama, decide che è ora di fare da solo Dopo tantissimi dischi di altri prodotti, un esordio in prima persona: perché e perché ora? Ho sempre tanti impegni nel seguire la direzione artistica di Elastica che a volte trascuro la produzione personale, essendo per prima cosa un produttore poi discografico. In realtà ho regolarmente prodotto/composto negli anni dischi più “miei”. Abbiamo lanciato il progetto Antiplastic 32

affrontando l’immaginario della dubstep che ormai conoscevo in modo approfondito. In questi ultimi due anni invece mi sono concentrato su altre sonorità. Avevo necessità di una ricerca compositiva diversa, più intima, con più riflessione e quindi, zitto zitto mi sono immerso nella bass music, tra la Toscana e l’Oregon e ho dato vita insieme a Mario Tucci, autore delle liriche, a Deleted soul, misterioso, saturo di concetti e di ottime energie Ci sono pezzi che hanno una “direzione sonora” precisa, ma si direbbe che tu non abbia fatto molto caso ai generi. Che premesse aveva questo lavoro? Sui miei progetti personali sono sempre alla ricerca di nuovi immaginari che mi diano stimolo nella composizione altrimenti non sono interessato a replicare sonorità di altri... Nella mia testa era chiara l’idea di una ricerca personale sulle vibrazioni del suono. Ho passato gran parte di questi due anni a sperimentare con Tashi di Wom Gongs, artigiano di Gong, il suono e le sue trame, di quali sono


gli effetti delle vibrazioni e non solo delle note e degli accordi. Nel progetto è la composizione delle bassline e casse di derivazione “bass music”. Poi come uno chef ho cominciato a condire pescando dalla techno, dalla trance e dal dub, luce della mia creatività... ritengo sia uscito un disco composto, coerente ed energetico. Come mai la scelta della rilettura di “Fly like an Eagle”? Brano della mia giovinezza, della mia formazione... Chi non ha nei suoi ricordi un brano che , non si sa per quale motivo, ti ha rapito in un periodo della vita, che hai cantato per mesi interi. Abbiamo deciso con Marco Zampoli, voce principale di Deleted Soul, di inserire una cover. Mi è venuto spontaneo dire ... ma certo!!! Fly like an Eagle della Steve Miller Band... poi abbiamo coinvolto Maya Williams nella composizione , un esperimento sviluppato in una notte d’estate nella campagna toscana, direi ben riuscito. Sarebbe stato semplice per te riempire di “featuring” il disco. Perché non farlo?

Lavoro quotidianamente con grandi artisti, che in primo luogo rispetto umanamente e con cui condivido il concetto di fare musica in modo indipendente. Ho sperimentato alcune sonorità che avevo in testa in altre produzioni come il live del ventennale dei Casino Royale... Dove c’è un pò di Deleted Soul. oppure l’ultimo disco prodotto a Zion Train dove c’è tanto Deleted Soul. In altri casi ho firmato remix perché la composizione sonora era troppo esplicita... A marzo è uscito per Elastica, Dub Box vol. 1 degli Almamegretta e ho prodotto una versione di Black Athena che spacca. Mi sono concentrato a invitare ospiti “musicisti”, amici, Pablo Gamba alle percussioni, Carlo Gatteschi al Sassofono, Tashi ai Tamburi e Gong. Con Marco Zampoli, abbiamo deciso di coinvolgere cantanti con energie forti, come Maya Williams di cui sentirete parlare nei prossimi anni e Antonio Bacchiddu. Va bene lo ammetto, stiamo già lavorando al secondo disco... e ci saranno un sacco di importanti featuring :) 33


LE SCIMMIE SULLA LUNA

La band leccese, che nasce dalle ceneri dei Teenage Riot, ha realizzato un album strumentale dal sapore internazionale e sperimentale, “Terra!” Arrivate da altri progetti ben noti e vi siete incontrati (sulla Luna?): come nasce questo progetto e che finalità ha? Il progetto muove i primi passi quando Cristiano e Stefano – ancora Teenage Riot – arruolano Luca (Izo, Torba) per proseguire il tour del disco pubblicato poco prima. Una volta ritornati in studio ci siamo accorti che le nuove sperimentazioni andavano in una direzione totalmente diversa da

quanto fatto fino ad allora e che era il momento di assumere una nuova identità; la metamorfosi si è completata quando Jory (Uro) si è aggiunto alla band, introducendo una chitarra in più e, cosa nuova, dei synth. Al che l’equipaggio era al completo e necessitava solo di un nuovo nome. Et voilà: Le Scimmie sulla Luna. Finalità, be’, suonare buona musica e diffonderla sperando che piaccia! Mi sembra di capire che il con34


cept alla base del disco sia la navigazione in mari diversi, anche sonori. Che tipo di idee e di suono avevate in mente per il disco? Ci hai preso in pieno. Nel disco si naviga nelle atmosfere più disparate, in un certo senso lunari perché piuttosto distanti da quello che sembra essere il trend italiano del momento. Durante la scrittura dei brani abbiamo cercato di prenderci più libertà possibile, ma siamo comunque stati ispirati dai nostri ascolti del momento, attingendo sia alla musica elettronica sia a sonorità più morbide rispetto a quelle a cui eravamo abituati. Sicuramente avevamo in testa l’idea di far convergere più generi all’interno del disco – e di una stessa canzone – per cercare, diciamo, di abbattere le limitazioni e i luoghi comuni relativi a una rock band. Il video di “Sequencer” mostra inquietantissimi primi piani molto stretti di occhi in cui si riflettono colori di pittura dagli effetti psichedelici. Quanto siete entrati nel concept del video e che cosa vuole rappresentare? Per il video ci siamo affidati ad

Alberto Mocellin. Ci ha proposto quest’idea e ci è piaciuta subito. I liquidi psichedelici che si vedono nel video richiamavano allo stesso tempo sia atmosfere spaziali in tema con i nostri cari mari lunari (anche se questi sono ovviamente secchi e desolati), sia il caleidoscopio di colori che avevamo voglia di ispirare con la musica. Gli occhi riempiti di quei liquidi sono pura suggestione, destabilizzano un po’ la percezione di cosa è dentro e cosa è fuori, di cosa è in alto e cosa è in basso… Dal disco sembra trasparire anche un certo divertimento nel suonare (e nell’organizzare qualche piccola sorpresa qui e là). Quanto è importante, se è importante, l’aspetto ludico nelle vostre dinamiche? Senza il divertimento nel suonare saremmo fregati! Sia sul palco che nella vita di tutti i giorni l’aspetto ludico è fondamentale. Anche se prendiamo la nostra musica piuttosto seriamente, ci teniamo a rendere l’esperienza tanto sonora che visiva godibile sia per noi sia per il pubblico. 35


EDY

Già penna, chitarra e voce di Ultravixen e Jasminshock, band che negli ultimi anni hanno rappresentato un link diretto fra l’Italia e l’avant-punk USA, ora cammina da solo con il nuovo lp “Variazioni” Una vita passata in band, e ora ti presenti da solista: puoi spiegare i motivi della scelta? Ho sempre vissuto le band come una Famiglia e pur essendo stato il leader delle band dove ho suonato (Jasminshock) e suono (UltraviXen) ho sempre preso le decisioni e agito insieme agli altri. Questo mi ha garantito esperienze

fortissime e rinunce pesantissime (proprio per rispettare il volere o i tempi di tutta la band). Questa volta ho scelto di essere agile. Ancor più che avevo in mente di fare un disco completamente diverso da tutti i miei precedenti. Un disco dove potessi dare spazio all’amore che ho per la buona musica italiana quella che ascoltavo 36


da bambino quando sull’Alfasud bianca di mio padre percorrevamo Milano-Catania con Battisti, Tenco, De Gregori, Guccini e gli Equipe 84 a manetta sul mangia-nastri. Nel contempo mixarla con i miei successivi ascolti decisamente più wave e rock. Ho voluto decidere da solo per tutto quello che riguarda EDY. L’unico partner che ho scelto di avere è Marco Fasolo. Sono convinto di aver fatto bene, adesso ho una libertà artistica e mentale che non ho mai avuto. Non inseguo nessuna moda del momento, e in questo senso il mio disco parla chiaro. Io sono semplicemente un cantautore del 2018. So che le canzoni di “Variazioni” sono state scritte durante la convalescenza per un grave incidente motociclistico. Com’è andata e come ti ha influenzato questo evento? Agli inizi del 2016 avevo pronto il nuovo disco degli UltraviXen. Doveva essere un disco di grande cambiamento secondo me, anche se al dir il vero, gli altri della band non erano convintissimo di que-

sto nuovo corso. Nel frattempo, avevo contatto Marco Fasolo per la produzione del disco. Poco prima di iniziare con i lavori subisco un grave infortunio a causa di un incidente in sella alla mia splendida Honda Four 500 del ’77. Fra le altre cose in ospedale mi hanno ricostruito/riattaccato l’anulare della mano sinistra (NB io sono chitarrista). E’ stato in ospedale che ho promesso a me stesso che se fossi sopravvissuto avrei fatto in totale libertà il mio nuovo disco e avrei affrontato tutta la vita in totale e completa libertà. Ovviamente ho capito da subito che per realizzare il mio progetto dovevo assumermi tutte le responsabilità per la prima volta (dopo sette album) completamente da solo. L’incidente è stato il mio anno zero, la mia tabula rasa, il mio nuovo inizio. La cosa meravigliosa è che quella condizione mi metteva per la prima volta spalle al muro di fronte a tutte le mie scelte, le mie paure, i miei fantasmi… Sono stato costretto a scegliere se lasciarmi andare, usando l’incidente come alibi, o reagire e gio37


care una partita scacchi difficilissima con il mio cervello. Questo è stato il mio CAMBIAMENTO. Inevitabilmente quindi tutte le dodici canzoni che ho scritto, parlano di cambiamento, sono dei veri e propri atti liberatori, dove le scelte si compiono tutte. Fai quello che vuoi apre l’album ed è il nuovo singolo: perché proprio questa canzone? Come nasce? Ho deciso di presentarmi con Fai quello che vuoi perché rappresenta bene il disco. Racconta di amore, rabbia, voglia di riscatto. Ha un sound che mi rappresenta, ci sono i chitarroni fuzz dell’inizio, la voce pulita con la chitarra acustica (un super classico del cantautorato), c’è il Rhodes, il Solina e un giro di basso stilosissimo. E per finire chiude con un ritornello assolutamente pop (almeno secondo il mio concetto di pop). In sintesi tutti ingredienti presenti nelle altre undici canzoni. Qual è la canzone di questo album della quale sei più soddisfatto? Per ognuna delle mie dodici can38

zoni ho più di un motivo per essere tanto soddisfatto. Ma ti rispondo e dico La casa di Barbie. È un pezzo che ho scritto a maggio di quest’anno quando il disco era in fase di mastering. Come sempre quando scrivo ero solo e di notte, ho buttato giù parole e musica in poco più di un’ora. Subito dopo ho registrato la canzone su un messaggio vocale e l’ho inviato alle persone più intime del mio staff. L’indomani ho ricevuto una richiesta forte e unanime, vai in studio e registra questa canzone. Su tutti mitico il messaggio di Tommaso (il bassista) che diceva “Ma tu veramente non vuoi mettere questa canzone del disco?” Con un tono da avvocato romanaccio che non scorderò mai. Così chiamo Marco e in tre giorni arrangiamo, suoniamo, registriamo e mixiamo tutto in due. Non mi era mai successo di scrivere una canzone e dopo dieci giorni vederla su un disco in stampa. Che contributo ha offerto Marco Fasolo a questo disco? Marco è stato il mio principale complice. In tutte le fasi. Mi è sta-


to vicino durante tutto il momento della convalescenza. Quando sono andato la prima volta da lui a Brescia non riuscivo neanche a tenere le mani sulla tastiera della chitarra per più di due minuti. Lui ha mostrato grandissima empatia nei miei confronti e davanti qualche buon bicchiere siamo subito entrati in grande sintonia personale prima di tutto. Ho trovato un uomo convergente/divergente come me. Cioè tanto fuori di testa quanto maniacalmente pignolo. Un altro momento topico è stato

quando ha fatto per la prima volta un paio di ascolti di fila dei miei provini e togliendosi le cuffie, mi ha detto Ale, questo è un disco POP te la senti? Abbiamo lavorato un mese d’inverno chiusi in una villa sull’Etna (Emperor Riskio’s Milo House), poi due mesi in Salento (al Posada Negro di Roy Paci). E dopo non abbiamo perso per un attimo il contatto. Diamo entrambi per scontato che continueremo a fare musica insieme. Adesso siamo veramente tanto amici.

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ROCKY HORROR Un disco che si chiama “Salto nel buio� ricchissimo di collaborazioni e sorprese: la band foggiana celebra i quindici anni di carriera con la solita granitica coerenza


Vorrei sapere con che premesse e motivazioni avete realizzato il nuovo album e perché avete deciso di chiamarlo Un salto nel buio? Con l’lp precedente, e anche grazie alla relativa tournèe (sia da soli che con il side project Pino Scotto & Rocky Horror), abbiamo fatto un bel passo in avanti nel percorso che ormai seguiamo da oltre quindici anni. Questo ci ha resi indubbiamente molto vogliosi di confermare quanto di buono era stato fatto e di raggiungere nuovi traguardi. Riguardo al titolo, Un salto nel buio fa riferimento a una battuta che facevamo durante l’arrangiamento dei brani, ma gli si può dare vari significati: per esempio abbiamo mantenuto il nostro sound rock, ma il tutto è parecchio sperimentale, grazie anche alle tante collaborazioni, quindi ci ripresentiamo sul mercato discografico in una veste nuova. Mi sembra che abbiate scelto di incanalare molta rabbia in questo lavoro: quali sono le cose che vi fanno incazzare di più, oggi? L’elenco sarebbe lunghissimo! (ri-

sate, ndr) Indubbiamente fa rabbia il menefreghismo delle nuove generazioni, sembra che impegnarsi in qualcosa (anche se per se stessi) sia quasi da stupidi! Ovviamente però, come in tutti i casi, non bisogna mai fare di tutta l’erba un fascio. Il disco vede numerose collaborazioni: perché avete nuovamente pensato di “allargare il giro” ad altri artisti? Collaborare con altri musicisti, secondo noi, è uno degli aspetti più belli della musica: vedere come un altro artista si ponga e interagisca con una tua idea è fantastico. In questo full-lenght per esempio ci

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sono: Lord Madness, membri delle band di Alborosie, Brunori Sas, e poi componenti di Lacuna Coil, Meganoidi, Death SS, Strana Officina, Cadaveria, Opera IX, Terroni Uniti, Bisca, Fratelli di Soledad, The Hormonauts, Blastema, Chop Chop Band... siamo davvero molto orgogliosi di questo! Come nasce il brano “Siamo noi”, che avete poi scelto come singolo? Questo pezzo è un inno per tutti quelli che vivono fuori dagli schemi, infatti la protagonista del videoclip è Kelly Rey, una playmate di Playboy che va sullo skateboard e fa la tatuatrice (sia sul set sia nella vita reale!), alla faccia

di chi vuole la donna sottomessa tutta casa e chiesa! E penso sinceramente che la riuscita di questa canzone sia dovuta molto anche alle partecipazioni di Esa (OTR / Gente Guasta) ed Ettore Carloni (RHumornero). In oltre quindici anni a

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suonare in giro per l’Italia e non solo avete incontrato decine di band famose. Quali sono stati gli eventi live che vi sono rimasti piÚ impressi, e perchÊ? Di sicuro uno su tutti: era uno dei nostri primi concerti, eravamo stati rinchiusi in sala prove tanto tempo prima di affacciarci su un

palco, facemmo da open act agli Almamegretta, e al secondo pezzo ce li ritrovammo che ballavano e saltavano tra il pubblico! Un sogno a occhi aperti per noi che fino a poco prima li avevamo visti solo in tv! A proposito, il nostro nuovo tour partirà a brevissimo‌ stay tuned! 43


GIANLUCA CORRAO

Si chiama “Il traguardo” il nuovo singolo di Gianluca Corrao, cantautore genovese che ha alle spalle alcuni dischi tra cui “Parte di me”, del 2017 Puoi raccontare la tua storia fin qui? La musica è sempre stata una mia grandissima passione, infatti da

piccolo avevo partecipato a una specie di “Zecchino d’oro” della mia città e da ragazzo mi divertivo a fare serate di karaoke con gli 44


nuando a lavorare duro. Come nasce Il traguardo? Mi sembra una canzone che voglia raccontare molto di te. Il traguardo nasce da un’idea mia e di Francesco Ciccotti (noto producer affermato nel panorama musicale italiano). Volevamo fare uscire molto di me e del mio passato nel brano, parlando di mie emozioni vissute e di amore verso la famiglia; rivolgendosi anche alle persone care scomparse che mancano ma che portiamo sempre nel cuore quotidianamente. Realizzerai anche un video della canzone? Se sì, hai già in mente come sarà? Sì il video uscirà a breve e il regista sarà Andrea Vialardi, già con me nel video Genova ’93, che è andato molto bene. Il video parlerà del fatto che ognuno può fissare il proprio traguardo, che si tratti di passione o altro, nella vita. Ma il traguardo può essere tante cose per ognuno di noi. Il tuo ultimo disco è del 2017, Parte di me. Il traguardo anticipa e preannuncia un disco nuovo? Puoi dare qualche anticipa-

amici. Finalmente nel 2012 ho realizzato il mio sogno uscendo con il mio primo singolo Desy e da li non mi sono più fermato conti45


zione? Sinceramente ancora non ci sto pensando a un disco nuovo perché è ancora troppo prematuro, diciamo che ora voglio impegnarmi su questo singolo e promuoverlo il più possibile sapendo che il settore è molto duro. Potrebbe anche essere il mio ultimo singolo staremo a vedere... Chi è o chi sono gli artisti italiani che stimi di più in questo momento e perché? Gli artisti che seguo ultimamente sono Tiziano Ferro, Ramazzotti e Raf ma li ho sempre seguiti. Perché mi è sempre piaciuto il pop italiano che emoziona che parla d’amore di emozioni vissute. Puoi indicare tre brani, italiani o stranieri, che ti hanno influenzato particolarmente? Mah tre brani non mi vengono in mente ma uno in particolare sì ed è Cosa resterà degli anni ’80 di Raf canzone molto bella e molto significativa per quegli anni dove si sognava di più e la musica a mio avviso era molto bella.



DARIO CRISMAN

“Oltre” è il nuovo disco del pianista (Blue Spiral Records): un album “della maturità” ma anche una Fase 2 in un percorso da compiere Definisci “Oltre” il disco della tua “maturità artistica”: puoi spiegare perché? Certamente. Sono arrivato a un punto dell’esistenza in cui uno ini-

zia a tirare le somme di ciò che ha fatto e soprattutto di ciò che è. Dico questo non solo in riferimento al mio cammino musicale, ma anche e soprattutto per il 48


pulsivo, che produce con picchi di energia improvvisa che si alternano a fasi di quiete anche molto lunghi, nelle quali preferisco onestamente fare tutt’altro. Poi succede che mi trovo nel momento giusto, nel luogo giusto e con la carica giusta e compongo di getto tanti brani, come è successo appunto per quest’ album. Anzi, nelle fasi produttive il mio grande problema è quello di fare una cernita tra cosa tenere e cosa accantonare, perché la creatività a volte mi dà più spunti di quanti poi riesca a gestire razionalmente, perché uno dei grandi problemi dei compositori, secondo me, è proprio quello di riuscire a trascrivere tutte le intuizioni che arrivano e siccome ciò è quasi impossibile, devi sempre fare una scelta, con la conseguenza che molti spunti vanno purtroppo accantonati e persi. Essere ispirato dal luogo in cui sei o in cui sei stato è tipico per te o è una prerogativa di luoghi “speciali”? Direi che solamente i luoghi speciali mi portano a ispirarmi a

percorso di vita. Inevitabilmente, per me la musica definisce il mio risvolto più creativo e intimo, finisce per rappresentarmi, in quanto con essa mi ritrovo e mi “metto a nudo”. Questo fatto di essere quindi trasparente anche per chi mi ascolta, di palesarmi senza veli visto che si colgono sia i miei punti di forza ma anche le debolezze e le malinconie, mi fa sentire maturo e consapevole di ciò che sono. In questo senso quindi, oltre che “maturità artistica”, parlerei anche di consapevolezza in senso generale. Sono certo che di strada ne ho da fare ancora tantissima in tutti i sensi e spero di avere tempo, forza e occasioni per farlo, ma comunque al punto un cui sono mi sento abbastanza soddisfatto e stimolato per proseguire. Hai dichiarato che i quindici brani sono nati in un periodo relativamente breve, al ritorno da una vacanza a Tenerife. Ti capita spesso di scrivere i tuoi brani in modo molto rapido oppure è un’eccezione? Sì, mi capita spesso. Devo dire che sono quasi un creativo com49


quello specifico ambiente. Più che riferirmi al posto, comunque, direi che si tratta di una semantica energetica, che in qualche modo riesco a captare e a tradurre in musica, a prescindere dalle caratteristiche esteriori del luogo. È una questione di energia, di vibrazioni, che si mantiene anche in tempi differiti, attivando il semplice ricordo di quell’esperienza percettiva, Abades per esempio è nato ripensando a un luogo per me bellissimo che i trova sulla costa sud di Tenerife, incredibile nella sua semplicità di natura. Molte composizioni, comunque, soprattutto nel passato sono semplicemente nate a casa, in giornate di vita normali. Spesso si mettono le mani sulla tastiera, si inizia a suonare e ne viene fuori qualcosa di buono, magari di mattina appena svegliato. Ho una fortuna, comunque: riesco di getto, direi pure improvvisando, a buttare giù brani interi, secondo me completi, che hanno un inizio, uno svolgimento e una soluzione finale, parecchi brani dell’album sono nati così. Quando suono, registro di con-

tinuo, altrimenti con la memoria che mi ritrovo dimenticherei poi quasi tutto! Mi incuriosisce molto “Solaris”: come nasce? Mi fa piacere che questa domanda mi venga posta, perché questo brano, assieme ad Abades è uno di quelli che più mi rappresentano. Prende spunto dal film omonimo, l’originale, di Tarkovskij. A prescindere dai contenuti specifici e ai risvolti interpretativi di una sceneggiatura che ha una psicologia secondo me molto intensa e particolare, ricordo che c’era una scena che si ripeteva, dove si vedeva un vortice, un magma, un qualcosa di “energetico” che nei film si determinava poi, nelle intenzioni del regista, soprattutto come riferimento di realtà psichica. Questa immagine per me aveva idealmente un suono, una conformazione particolare di onde sonore che si sono fissate nella mia memoria di bambino, visto che la prima volta che lo vidi ero molto piccolo. Questo brano, adesso, vuole cogliere appunto la forma e l’immagine simbolica di 50


quell’energia magmatica, di quel vortice infinito, che nel film se ricordo bene non aveva poi implicazioni molto positive per i protagonisti, ma a prescindere da ciò, un’energia quando nasce è sempre qualcosa di forte, di buono, di inconsueto e indeterminabile, al di là della storicizzazione seguente e delle implicazioni che se ne fanno. Parli di “Oltre” come di una tua nuova ripartenza. Verso dove? Sinceramente non lo so ancora di preciso. Però, almeno per quanto riguarda la musica, questo è un momento di transito, una fase di mezzo. Quasi esattamente un anno fa, ho pubblicato il mio primo album Impressioni che ha rappresentato per così dire la Fase 1 di un progetto creativo abbastanza ampio. Oltre, ora, pubblicato con l’etichetta Blue Spiral Records, rappresenta idealmente la Fase 2 e si differenzia abbastanza, almeno come approccio composito, dal primo album. Ora sento la necessità di una Fase 3 che è ancora da definirsi, che al momento attuale non esiste proprio, ma che sento come necessaria per chiudere

questa specie di trilogia. Vorrei che fosse qualcosa di completamente diverso rispetto agli altri due lavori. Nel primo album i brani erano molto precisi dal punto di vista formale e compositivo, erano quasi delle canzoni strumentali, con temi e armonie ben definiti e una forma ordinata, in Oltre i contorni narrativi sono invece abbastanza più sfumati, ho dato spazio al minimalismo come modalità espressiva, seppure inteso a modo mio, i temi sono più ripetitivi, ciclici e c’è una maggiore ricerca per le sonorità. Nel prossimo lavoro vorrei rompere tutti gli schemi precedenti ed esprimermi senza puntare a uno stile, vorrei cercare di non ripetere il me stesso precedente. So che dovrò lavorare molto perché la rottura degli schemi e l’abbandono delle prassi conosciute implica l’utilizzo di molto impegno ed energia, perciò sicuramente dovrò trovare anche stavolta il luogo giusto, la situazione giusta e la calma necessaria per riorganizzare le idee. Mi sa, quindi, che dovrò ritornare presto a Tenerife! 51


VASCO BRONDI “CARA CATASTROFE” #quellochesentivo Le luci della centrale elettrica si spegneranno presto, ma hanno lasciato bagliori notevoli: Vasco Brondi pubblica il proprio secondo album Per ora noi la chiameremo felicità nel 2010, anticipato dal video del primo singolo estratto, “Cara catastrofe”

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A dichiarare guerre A scrivere sui muri che mi pensi raramente

Voglio che funzioni. Quindi ti mostro come sono fatto dentro per farti capire cosa mi muove, e mi proteggo da quello che tu potresti farmi con dei piccoli e stupidi rimedi che non sapranno salvarmi, ma mi daranno l’illusione di poterlo fare.

Voglio che tu sia felice. E quindi cerco di capire se ci sono anche lacrime sul tuo viso già bagnato dalla pioggia, che fa colare il trucco e colora le tue guance. Per porre rimedio, se ne sarò capace.

Sventoleremo le nostre radiografie per non fraintenderci Ci disegneremo addosso dei giubbotti antiproiettile Costruiremo dei monumenti assurdi per i nostri amici scomparsi

Che se piangi ti si arrugginiscono le guance E per struccarti useranno delle nuvole cariche di piogge Adesso che sei forte Che se piangi ti si arrugginiscono le guance

Voglio che ci sia luce. Quindi, cara Catastrofe, sarà la luce del computer da cui ci scriveremo a risplendere, e leggendole ci tremerà il cuore come durante un terremoto, distanti e pronti a far volare i pensieri e i missili delle nostre intenzioni fraintese.

Chiara Orsetti

Tra le lettere d’amore scritte a computer Che poi ci metteremo a tremare come la California, amore, nelle nostre camere separate A inchiodare le stelle 53



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