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Numero 21 - febbraio 2019
BABIL ON SUITE un disco senza obblighi
LEDI BUCKWISE
MARSALA JACK JASELLI
sommario 4 Babil on Suite 8 Ledi 12 Marsala 16 Buckwise 20 Jesus Franco & The Drogas 24 Jack Jaselli 28 Mambo Melon 32 Matteo Toscano 34 Light in the Sky 38 Glue’s Avenue 42 Alessandro Sipolo 46 Baustelle Questa non è una testata giornalistica poiché viene aggiornata senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62/2001. Qualora l’uso di un’immagine violasse diritti d’autore, lo si comunichi a info@musictraks.com e provvederemo alla rimozione immediata
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BABIL ON SUITE un disco senza obblighi
La band che ha già collaborato con musicisti del calibro di Lucio Dalla, Mario Venuti, Max Gazzè, Samuele Bersani propone un disco che riconcilia molti tasselli del caleidoscopio musicale
Fritz Lang, Andrea Pazienza, “pace” in portoghese… Avete riunito molti concetti dentro la copertina e il titolo del disco. Da quali premesse nasce questo disco? Alla base c’era l’idea e il desiderio di fare un disco senza obblighi di struttura, stile o necessità di mer-
cato, forse per questo consideriamo PAZ un disco naturalmente Pop e di natura corale, che canta più lingue. Per chi fa musica è un istinto quasi fisiologico, se non terapeutico, avevamo parecchi brani scritti subito dopo “Safari Now”, che grazie alla produzione di Pun-
toeacapo sono diventati un disco. Viste le molteplici influenze e la scarsa attenzione al concetto di “genere”, vorrei saperne qualcosa di più del vostro metodo di composizione delle canzoni. 6
Coro Interscolastico “Vincenzo Bellini” di Catania. Le vostre collaborazioni sono già un numero molto consistente. Come nasce l’incontro con Mario Venuti per Boa Babil On? Mario Venuti è un artista che abbiamo sempre stimato e seguito dai tempi de Denovo, ricordando il Venuti di “Fortuna” che suona molto brasiliano abbiamo pensato che “Boa Babil On” fosse un brano nelle sue corde e che magari ci porti, perché’ no… “Fortuna” :-) Il concerto più bello che avete visto di recente? Il concerto del gruppo belga Soulwax.
I nostri brani nascono sempre dalla musica o da una suggestione, come ad esempio una frase in loop, vengono poi registrate in un primo momento e in maniera quasi schizofrenica… cambia il mood, accordi e groove, spesso ritornano al punto di partenza ma arricchiti dal percorso, siamo una band che si lascia contaminare anche dall’aria che respira. Ed è proprio la contaminazione che ha generato il cambiamento, frutto anche dell’ingresso dei nuovi componenti e un nuovo approccio alla scrittura. Vorrei sapere come nasce “You can be free” È un brano a cui teniamo molto, scritto a quattro mani con Totò Sultano dei “Music from Eleven Instruments” nel 2012, c’è anche un suo cammeo nel finale. È il pensiero di un ragazzo vissuto ai bordi di un polo petrolchimico, gli occhi puri di un bambino ignari del denaro e del business vedono quello che in realtà è, una privazione dell’aria che respiri. C’è emozione e delicatezza, resa perfettamente dai piccoli cantori del 7
LEDI
“Stanze” è il secondo lavoro di inediti di Ledi, cantautore di origini italo-albanesi che ha conquistato una bella fetta di critica italiana con il suo esordio “Cose da difendere” Ci vuoi raccontare qualcosa della tua storia? A casa mia si è stati ricchi, poi poveri, poi ricchi, poi poveri... e così via. Diciamo che il padre
di mio nonno era una specie di muezzin di un piccolo villaggio greco, ucciso dalla guerra. Mio nonno è scappato in Albania dove si è rifatto una vita passando dalla 8
da 200 lire in tasca. Io ero un bambino. Da lì si comincia. Genova perché il mio vecchio lavorava nel porto di Durazzo e faceva contrabbando con i finanzieri italiani. A uno aveva dato il denaro per comprargli una Vespa bianca, che il finanziere si era giocato perché aveva il vizio del gioco. Ma quando ha bussato alla sua porta per reclamarla è stato gentile con lui. Ci sono dei particolari veramente da romanzo, nei dischi futuri ne parlerò. Ho letto che avresti potuto includere venti canzoni in questo disco. Avevi quello che si dice un’ “urgenza” da trasmettere in questo disco? Come sei arrivato alla selezione finale? In realtà non la definirei proprio urgenza, nella misura in cui scrivo sempre, perché mi fa bene, per cui quando poi i brani di un periodo raccontano proprio quei passaggi di tempo, viene come naturale considerarli nel disco. Tuttavia produrre 20 pezzi costa troppo, già 14 è stato un discreto salasso. Alla fine si scelgono quelli a cui sei più affezionato, si vuole un po’
condizione di “principe” a quella di sottomesso al regime. Poi, come tutti, mio padre un giorno ha preso un barcone e si è ritrovato nel porto di Brindisi con una moneta 9
bene alle canzoni, le proprie e quelle degli altri, ti fanno compagnia. Il disco si chiama Stanze, ma personalmente lo vedo poco “al chiuso”: mi sembra anzi che le atmosfere siano urbane ma aperte, come se avessi scritto le canzoni vagando per una città straniera… In effetti è così. Quei quattro soldi che guadagno alla fine li spendo in musica e in viaggi, perché è bel-
lo. Kreuzberg, i borghesi di oggi e le loro contraddizioni. Tirana ancora di più, con le sue connotazioni affettive, che mi lasciato un cuore arabo e una mente europea. E poi Genova, la mia casetta con una finestra tra le montagne e il mare. Stanze perché in ogni canzone compare la parola o il concetto di stanza, ma è vero, è un disco di visioni esterne. Il prossimo lavoro dichiaratamente sarà sulle città. 10
Ho trovato sorprendente la cover de “I giardini di marzo”: come nasce l’idea? Lo ritengo uno dei brani più belli che le mie orecchie abbiano ascoltato e la sera, quando sono solo, lo suono spesso. Una preghiera alla vita. Volevo renderle onore senza presunzioni o virtuosismi inutili, una specie di litania, una carezza. Non so se sono stato in grado di rendere ciò che mi fa provare. Vorrei sapere come nasce “Kreuzberg”, nella quale sento forti influenze della new wave italiana, che forse vanno anche al di là della tua età anagrafica Kreuzberg nasce dopo un viaggio a Berlino, dove vive mia sorella. Volevo rappresentare le emozioni che stava/stavamo vivendo così ho diviso il brano in tre parti distinte, anche nel metronomo affinché si potessero percepire tre differenti emotività. In effetti sia nelle tematiche generazionali che nell’arrangiamento ci sono forti spunti a quella new wave, ma è capitato inconsapevolmente. Vorrei che ci raccontassi qualco-
sa anche del tuo lavoro presso la onlus alla quale presti la tua opera. La mission dell’Istituto è legata alle persone non vedenti, delle quali ancora si occupa. Offre tuttavia servizi alla persona ormai a 360 gradi. Io lavoro sia con le persone non vedenti, con le quali ho un laboratorio musicale, di coro e con malati psichiatrici. Fare l’educatore è faticoso, ma estremamente arricchente. Mi considero molto fortunato perché, pur nelle sue enormi difficoltà, è un lavoro di significati, di parola. Certo la trincea dell’anima a volte lascia sgomenti, stanchi, impauriti ma ne vale la pena.
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MARSALA
Al debutto solista l’ex voce e chitarra dei The Rambo. Coordinate di riferimento di massima: psichedelia, industrial, ambient, folk, blues e noise Qual è la tua storia fin qui e come nasce il progetto “Marsala”? Come parecchi del circuito underground, sono approdato al mondo elettroacustico dopo diverse esperienze musicali in ambito rock, per me, nello specifico attraverso il punk nelle sue varie forme: Lifeinacage (hardcore), Yokotobigeri (prog/noise-rock), Nazareno (impro-noise) e attualmente suono
coi The Rambo, trio noise/punk doppia chitarra/voce/batteria con all’attivo tre dischi e un nuovissimo Nagant Fun, duo psych/noise/ dub. Marsala nasce dalla voglia di mettersi in gioco autonomamente sia sul piano musicale che personale; mi verrebbe da dire “necessità di libertà” ma se suona troppo intellettualoide da strapazzo allora risponderei con “irrefrenabile bisogno di farmi i cazzi miei senza 12
nessuno a cui rendere conto o mediare musicalmente” eheheheh. Come nascono le composizioni del disco? Frutto di lavoro stratificato nel tempo oppure impronta rapida del periodo? Ho iniziato nel 2014/2015 giocando con una drum machine, una tastiera e una loop station di un amico chiudendomi nel box sotto casa e improvvisando per ore. Negli anni successivi non è cam-
biato molto in termini di approccio, solo che ho rimpiazzato la tastiera con un sintetizzatore più piccolo e pratico e anziché nel box, suono in casa. Lunghe improvvisazioni da cui ho estrapolato canovacci/pattern/melodie/ rumori per poi riprodurli nella dimensione live in maniera libera. La stessa cosa è avvenuta durante la registrazione, con alcuni accorgimenti, sfumature e arrangia13
punti di riferimento? Onestamente ascolto, come tanti, quintali di musica e decifrare le mie influenze non mi risulta proprio semplice. Sicuramente dentro quello che faccio c’è tanta psichedelia ossessiva, musica industrial e musica da “finta” colonna sonora; poi ognuno sente i riferimenti che vuole eheheheh. Per tipo di vocazione si direbbe che il target della tua musica sia
menti in più; Paolo Cantù (regia e arrangiamenti) ha contribuito ad aggiungere colore al disco. Nella presentazione si affianca la tua musica a quella di gruppi come Tangerine Dream, Dead Can Dance, Goblin. Altri tuoi 14
sto permette di crescere e magari, spero senza presunzione, far crescere qualcun’altro con la logica della reciproca contaminazione. Ci si nutre degli altri e gli altri si nutrono di te. Tre nomi della scena italiana contemporanea che ti piacciono particolarmente? BlackPoint 45, Makhno e Father Murphy.
più internazionale che italiano. Che idea ti sei fatto del possibile pubblico del tuo disco? Penso che all’estero, l’underground sia più o meno come in Italia: poche persone ai live ma tanto desiderio di condividere situazioni piacevoli con chi bypassa la logica del grande mercato. Nei live c’è spesso, fortunatamente, gente dai gusti musicali eterogenei e que-
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BUCKWISE Dopo anni di collaborazione musicale in varie band, è nata una band che mescola elementi folk ed elettronica: “Turning Point” è il risultato portati ad aggiungere me (Roberto) alla band. Il vostro sound è caratterizzato dall’accostamento di elementi molto distanti, come le radici folk e il banjo da una parte e l’elettronica “europea” dall’altra. Vorrei sapere come vi è arrivata
Come nasce e come si sviluppa il progetto Buckwise? Il progetto è nato da Nicola, Lorenzo e Gnappo, che collaboravano già da tempo in altri progetti musicali. La necessità di includere nel progetto qualcuno che scrivesse (e cantasse) le parti vocali li ha 16
l’illuminazione che ha portato all’accostamento È nato in maniera abbastanza naturale, in particolare l’avvicinamento di Gnappo all’elettronica (originariamente bassista) e di Nicola al banjo e al bluegrass (lui ha cominciato con la tromba) hanno sicuramente dato una spinta importante a questo processo. L’ingresso nel gruppo di Roberto, producer con alle spalle vari progetti musicali, ha contribuito a rafforzare la parte elettronica del progetto. In realtà non è stato troppo difficile trovare elementi simbiotici nei due generi, la famosa cassa dritta dell’elettronica non è altro che la cassa battente utilizzata nel folk e nel country, i roll del banjo sono assimilabili agli arpeggiatori dei synth usati molto nell’elettronica, eccetera. Anche il tipo di cantato usato da noi prende molto dal folk tradizionale americano, ma ha spiccati
rimandi alle voci usate nell’elettronica più indie di matrice inglese e tedesca. Perché questo rappresenta un “Turning Point” per voi? Veniamo da un periodo in cui ci sono stati molti cambiamenti nelle vite di noi quattro, ognuno per motivi diversi. Una volta finito il disco abbiamo notato che il cambiamento era il filo conduttore di tutti i brani, quindi è stato naturale prendere Turning Point, il titolo della della seconda canzone, come
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Trovo “Due” la canzone più interessante del disco: come nasce? È nata principalmente da Gnappo,
elemento fondativo di tutto il lavoro. È diventato un po’ un simbolo. 18
prima, il cambiamento è la tematica che più accomuna le canzoni, e quindi i testi, del disco. Sia esso personale o sociale, positivo o negativo, frutto di una scelta o di un processo inevitabile. I vari brani declinano questa tematica nelle maniere più diverse. Nessuno dei testi è però diretto, lascia all’ascoltatore la possibilità di interpretarlo, un po’ per nostra scelta. Forse scrivere in una lingua straniera aiuta questo tipo di attitudine. dalla sua passione per una certa scena elettronica downtempo tedesca e inglese, poi la mia propensione naturale a trovare melodie su quelle sonorità e la vena indie di Lorenzo e Nicola hanno fatto il resto. Benché la vostra musica potrebbe suggerire anche qualche fuga dalla realtà, siete ben ancorati a ciò che vi accade intorno. Di che cosa raccontano i vostri testi? Come abbiamo detto 19
JACK JASELLI
Prodotto da Max Casacci, cantato per la prima volta tutto in italiano, “Torno a casa” è il nuovo disco del cantante e chitarrista milanese Mi sembra che il titolo del disco, Torno a casa, abbia significati, anche sonori, piuttosto chiari: vuoi parlarne? Ho scelto il titolo Torno A Casa per varie ragioni, senza dubbio
quella geografica è fra le più evidenti. Il precedente disco è stato scritto e registrato interamente negli Stati Uniti, questo è stato composto, prodotto ripreso e mixato in Italia. Ho cambiato lin-
gua, dopo tre album cantati in inglese ho deciso di usare l’italiano. Anche se da un lato questo rende Torno A Casa una sorta di punto di partenza più che un ritorno, rappresenta in realtà un comin-
ciare nuovamente a guardare più vicino, al nostro Paese, porlo al centro della mia attenzione dopo aver a lungo rivolto lo sguardo verso orizzonti più distanti e spesso sconfinati.
Scrivere e cantare italiano ha cambiato in qualche modo il tuo metodo di lavoro? Per scrivere e cantare in italiano brani che fossero miei e non destinati a qualche collega ho dovuto per prima cosa rieducarmi a sentire e pensare la mia musica in italiano. Le regole della metrica, della fonetica e perfino della poetica cambiano radicalmente, e la traslazione o trasposizione di un sound non è una strada praticabile, o almeno non lo è stata per me. Per questo ho scritto alcuni brani insieme ad alcuni musicisti che stimo particolarmente e che ho la fortuna si poter chiamare amici,
come Chris Lavoro e Max Elli. Si è trattato di reinvenzione, bellissima, appassionante e appena iniziata. Che cosa ha rappresentato la produzione di Max Casacci, produttore esimio e “mente” dei Subsonica, per questo disco? La fortuna e l’importanza di poter lavorare insieme a Max Casacci sono andate oltre il lavoro di studio. Max è un vero maestro, e come sapete oltre a essere un musicista e un produttore sopraffino è un intellettuale. Ho fatto tesoro delle sue parole sia nel tempo trascorso in studio che durante le nostre lunghe chiacchierate tori22
nesi. Credo che abbia da subito capito quale fosse la strada migliore per i provini chitarra e voce chi ha ascoltato. Abbiamo fatto un disco pop in un’accezione molto ampia e musicalmente la sua inclinazione “elettronica” ha spinto senza mai forzare le canzoni oltre il margine delle mie abitudini, il che è sempre un bene. Abbiamo sempre lavorato col sorriso, il che non capita sempre. Non avrei potuto avere un mentore migliore per il mio primo disco in italiano e credo allo stesso tempo aver trovato un vero amico. Come nasce Balla, che hai anche scelto come singolo? Balla è una canzone nata nell’inverno milanese a casa di Andrea Mazzantini in arte Mazay, noto producer e dj. Collaboriamo da tempo e per una volta abbiamo deciso di fare le cose in modo diverso e ho provato a cantare e scrivere in italiano su una sua base dalla forte spinta dance. Ne è nata questa sorta di tragedia d’amore che si consuma su una pista da ballo. Quando Max ci ha prodotto il brano, le chitarre alla
Nile Rodgers ci sono sembrate d’obbligo e in qualche modo questa canzone si trova a far coesistere una componente ddm, una dance-funk e una cantautore. Mi incuriosisce molto anche Quando saremo robot, teoricamente sottoposta a incubi da Intelligenza Artificiale ma in realtà molto dolce e anche piuttosto “acustica”… Sono affezionato a Quando Saremo Robot. E’ una delle primissime canzoni che io abbia scritto in italiano. E’ una riflessione leggera su quanto sia importante la nostra componente umana. Su quanto i nostri limiti, i nostri spigoli e il nostro essere “altro da” sia in realtà ciò che ci permette di vivere, e se siamo fortunati abbastanza, di costruire un amore. Se fossimo lisci, senza attriti e parti ruvide le cose e le persone ci scivolerebbero addosso in silenzio. Con le nostre umane, universali e inevitabili ammaccature siamo come pezzi di un puzzle che con un po’ di lavoro e di ricerca possono trovare i loro incastri e perché no, intravedere un disegno più grande. 23
JESUS FRANCO & THE DROGAS Tre anni dopo, ecco il ritorno di una band che fa un “rock’n’roll transgender”, con evidenti tracce noise: il nuovo disco è “No(w) future” “No(w) Future” è sia un richiamo ai Sex Pistols sia un aggiornamento contemporaneo del discorso: da che tipo di ispirazioni, e di incazzature, nasce il vostro 24
nuovo disco? Le nostre principali ispirazioni nascono da ciò che leggiamo, ascoltiamo e viviamo in prima persona. Visti i repentini muta-
stiano portando noi esseri umani ad una totale “disumanizzazione” a favore di un “turbo consumismo” che distrugge irrimediabilmente la nostra umanità e la nostra natura. Concetti espressi dalla controcultura punk/Hardcore e D.I.Y già dal 1977, ma anticipata anche da gente tipo Stooges, Doors e Velvet Underground. Per quello che riguarda il richiamo ai Sex Pistols, diciamo che preferiamo un richiamo direttamente a Johnny “Rotten” Lydon, sicuramente la personalità più affine al nostro modo di vedere le cose all’interno dei Pistols, che secondo noi, ha dato il meglio di se nei mitologici P.I.L. Le “incazzature” che hanno portato al nostro nuovo disco vengono dalla politica e da come ormai la musica sia solo esclusivamente un prodotto da condire con griffe e messaggi stupidi per adolescenti lasciati soli da un sistema che punta ad avere solo consumatori e non cittadini “pensanti”. Probabilmente è sempre stato così, ma periodicamente nelle decadi passate, alle grandi major il giocattolo della musica è
menti della società e dell’ essere umano che stiamo vivendo in questi tempi, abbiamo notato come certe “profezie” (vedi 1984 di G.Orwell) si stiano avverando e 25
sfuggito di mano più di una volta; managers coraggiosi hanno puntato su gruppi “diversi” dal sound mainstream (basta pensare cosa ha generato l’arrivo su major dei Sonic Youth... Ha sintetizzato molto bene questo concetto il grande Frank Zappa su un celebre video, ora su youtube: “ci mancano i tempi dei produttori col sigaro che non capivano un cazzo di musica”. Mi ha sorpreso del vostro disco il fatto che, benché palesemente se ne fotta delle mode, riesca a suonare comunque molto “contem26
poraneo”: come e quanto avete lavorato al sound? Sì, siamo lontani dagli stereotipi, odiamo i cliché di genere. Il nostro sound nasce sotto un impeto punk rock’n’roll e noisy che ci siamo iniettati nel corso degli anni aggiungendo altri combi modernizzati di psychedelia acida, avanguardia rockabilly cercando di non rimanere troppo scontati e omaggiamo tutto e tutti in un ibrido “franchiano”. Nonostante tutto, avete messo una canzone di “speranza” a fondo disco: come nasce Wake Up?
Qualcuno dirà speranza, altri tristezza. Abbiamo voluto concederci un angolo di meditazione e di visione, cercando di emozionare e far sognare più pacatamente possibile. Insomma volevamo ipnotizzare... in fondo questo pezzo è la reale stima che abbiamo tra di noi, trasmessa al mondo intero. Leggendo le vostre note ho un po’ paura di farvi questa domanda. Ma cazzo, tanto rispondete per mail, non mi potete mica prendere a sberle da lontano: che cosa ne pensate della musica
contemporanea? Certo è che la produzione di musica odierna è sterminata ed è difficile dare un giudizio valido, ma secondo noi la musica contemporanea non esiste, se non come revivalismo, più forte che nei decenni passati. Proprio per questo è diventato tutto più settoriale e, in generale, ognuno si muove in un ambito di ascolti ben definito. Per quanto ci riguarda cerchiamo di ascoltare e ci piacciono band di vario genere, ma purtroppo ben poche di quelle contemporanee.
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MAMBO MELON
Sono in tre e vengono da Cuneo: basso, batteria e flauto racchiusi in un nuovo disco “Il Bestiario” che si muove tra post rock, mashup, bigbeat, elettronica, synthwave, funk, retrowave, prog Vorrei sapere su quali impulsi e motivazioni nasce Il Bestiario, il vostro terzo album. La motivazione principale è sempre quella di fare musica propria, evolvendosi come musicisti. Nel disco precedente, Metro Jungle, il lavoro compositivo era stato fatto in due. Avevamo in seguito ag-
giunto il flauto, ma solo in fase di registrazione quando i pezzi erano già arrangiati. L’inserimento di un nuovo musicista e l’aggiornamento della line-up hanno stimolato il processo creativo ma lo hanno reso anche più complesso sebbene avessimo ben in mente da dove dovevamo partire e dove voleva-
lypop” e quanto Edoardo Vianello nasconde nelle sue viscere. Bella domanda. Ci dai la possibilità di spiegare un po’ quale sia il nostro processo creativo. L’idea di base era quella di giocare attorno a un riff ripetitivo ma che girasse una volta in battere e una volta in levare. Abbiamo quindi ricampionato un riff a caso di chitarra elettrica che ha creato l’ossatura. Volevamo inoltre utilizzare un campione vocale di Lollipop delle Chordettes che però abbiamo scartato, seppur abbia dato il titolo al pezzo. Abbiamo poi incastrato le nostre improvvisazioni strumentali con i campioni scelti in precedenza. La scelta dei samples in questo caso è stata abbastanza facile (altre volte lo è stata meno): volevamo assolutamente utilizzare dei campioni di fiati perchè risuonavano nella nostra testa come adatti al pezzo. Cercavamo però qualcosa di particolare che sapesse di canzoni pop anni 60 e/o Jazz. Ed ecco che Edoardo Vianello, ma soprattutto Sonny Rollins sono venuti in nostro aiuto. In questo caso i campioni li abbiamo adat-
mo arrivare. Tuttavia la musica ci sorprende sempre e il risultato è stato un evoluzione del sound. Questo disco suona più dark e cela meglio dietro di sé i riferimenti da cui eravamo partiti. Di quali animali e di quali “mostri” è composto il vostro Bestiario? Il nostro Bestiario non è popolato da animali ma da persone realmente esistenti. Entrare nel Bestiario è come entrare in un bar di montagna dove gli avventori abituali si azzittiscono e si girano tutti insieme quando entri, parlano una lingua quasi incomprensibile, ridono forte e bevono. E ogni volta ci si stupisce quanto sembri esserci una selezione naturale per consentire l’accesso a questo luogo: soltanto i mostri sembrano essere i bene accetti. I personaggi del nostro Bestiario ci affascinano perché sono genuini, sinceri e ci fanno sorridere. Il Bestiario è un luogo che noi frequentiamo e amiamo ed è stato facile utilizzarlo come metafora per il titolo del nostro disco. Vorrei sapere come nasce “Lol30
tati al pezzo, altre volte cambiamo la tonalità. In fine abbiamo sgrossato il tutto con l’arrangiamento. Di solito dopo una trentina di revisioni il pezzo funziona per noi e lo consideriamo finito. Dopo Metro Jungle avete fatto un lungo tour che vi ha portati anche all’estero. Pianificate qualcosa di simile anche questa volta? Ci piace riprendere quanto detto da Bob Corn durante un suo recente concerto qui a Cuneo. Secondo lui il tour è uno stato mentale in cui il musicista perde i riferimenti della sua vita quotidiana. L’unica preoccupazione diventa dove si suonerà il giorno dopo, quanto dista il locale e a che ora si dovrà essere lì. E’ fortunato chi ha provato questo stato. Noi siamo completamente d’accordo, ci piace essere in tour. Per l’uscita del disco abbiamo pianificato una serie di concerti spot in giro per l’Italia magari combinando un paio di
date. Questa modalità è quella che al momento pare funzionare meglio anche perché i locali in Italia organizzano prevalentemente il venerdì e il sabato e bisogna anche far quadrare la vita di ognuno di noi al di fuori dei Mambo. Per un vero e proprio tour si vedrà in futuro. Tre nomi che vi piacciono particolarmente nella musica italiana di oggi. Dunk (perché racchiude le anime dei Verdena e di Giuradei), Calibro 35, Massimo Volume. 31
MATTEO TOSCANO “Cambiare vista” è il primo singolo del cantautore ligure, con la collaborazione di Emanuele Dabbono e con un lavoro più esteso in arrivo Che cosa ti va di raccontare della tua carriera fin qui? Più che carriera preferisco chiamarla strada. Di carriera possono parlare i grandi e la strada è lun-
ga. Chissà. Della mia strada fino a ora posso raccontare che è partita come un’esigenza, e lo continua a essere. Quando ero piccolo chiuso in cameretta ho cominciato a 32
usare il pettine come microfono e i miei genitori hanno capito ben presto che ero leggermente malato di musica e allora sono iniziate le esibizioni, lo studio e poi la scrittura. Dopo anni di concorsi e esperienze nel 2010 ho registrato il mio primo brano La nostra favola e da lì ho cominciato a scrivere. Nel 2016 l’incontro con Emanuele Dabbono mi ha portato alla scrittura di molti testi e finalmente quest’anno i tempi erano maturi e si parte con Cambiare vista. Come nasce “Cambiare vista”? Cambiare vista nasce dall’esigenza di cambiare prospettiva dopo determinate situazioni. Senza stravolgere tutto ma semplicemente cambiando angolo di visuale. Vedi in modo diverso e affronti tutto in un altro modo. È stata una canzone anche terapeutica. Che cosa ti ha regalato lavorare con Emanuele Dabbono? Emanuele Dabbono è un
amico ed è una persona stupenda, con lui non è lavoro, è puro divertimento. Si parla, si leggono testi, nasce l’idea, si suona, si arrangia, si canta e si ride, tanto. Hai in preparazione un nuovo disco: ci vuoi raccontare qualcosa? Ci sto lavorando ora. È ancora tutto work in progress. Sicuramente ci tengo a essere vero e sarà un lavoro che curerò molto. Sto pensando se fare uscire prima altri brani singoli oppure un prodotto intero. Insomma, lo scopriremo solo scrivendo.
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LIGHT IN THE SKY La band ligure pubblica “Revolution”, compendio di dieci anni di carriera e spinta verso un futuro brillante e molto rock
Qual è la storia dei Light in the Sky? La storia dei LiTS inizia alcuni anni fa dall’incontro tra Lorenzo Vassallo, Teodoro Chighine e Tony Randello, e dà il via ad un percorso di amicizia e collaborazione musicale, che sebbene in un primo momento sia improntata su una dimensione per lo più live dove si dà ovviamente am-
pio spazio anche alle cover, ha fin da subito l’obiettivo di arrivare a comporre dei brani inediti, fino ad arrivare circa due anni fa alla decisione di concretizzare il materiale accumulato in questi anni dando vita a Revolution. “Revolution” è un titolo importante. Da cosa nasce? Abbiamo scelto questo titolo perché incarna il grande desiderio di 34
cambiamento interiore che è alla base del nostro percorso, musicale e non solo. Revolution è un viaggio attraverso 13 tracce/storie, nelle quali raccontiamo dal nostro punto di vista quello che è stato il viaggio di tutti questi anni alla ricerca di sé stessi, affrontando quel muro di paure, schemi e preconcetti che spesso impediscono di poter realizzare ed esprimere liberamente sé stessi, per poter attuare un profondo cambiamento, ovvero una piccola ma grande rivoluzione interiore. Ci potete raccontare come sono andate le lavorazioni del disco? La lavorazione del disco è stata un percorso lungo e difficile, ma dall’altro lato anche estremamente affascinante ed interessante, in quanto ci ha permesso di confrontarci con quanto effettivamente stia dietro alla lavorazione di
un album, e allo stesso tempo ci ha dato l’opportunità di collaborare con professionisti del mestiere quali il Maestro Gianni Serino in fase di produzione o il Drum Code Studio per il mixing e il mastering finali. Il disco racchiude brani scritti nel corso del tempo oppure è la fotografia di questo momento? Beh, quasi tutti i brani sono di composizione recente, ma in un certo senso potremmo dire che questo disco è la fotografia del percorso di crescita personale ed artistica di questi anni ma guardata con gli occhi di “oggi”. Come nasce “Taxi Driver”? Ci sono riferimenti a Bob De Niro?
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Taxi Driver ha fin da subito avuto una sonorità che richiama atmosfere molto “urban”, e siccome Revolution è stato concepito come una sorta di viaggio, abbiamo ritenuto che la figura che meglio potesse condurci lungo appunto questo viaggio, fosse quella del tassista. Il Taxi Driver, soggetto in un certo senso un po’ criptico ed oscuro, incarna infatti molto bene l’immagine di “Caronte”, colui che traghetta, in un certo senso, le anime, creando una sorta di legame con il proprio passeggero, per-
correndo insieme a lui un tratto di strada, e di vita. In questo, a nostro vedere, richiama decisamente il personaggio di De Niro e le atmosfere del film. Che cosa si può aspettare chi viene a vedervi dal vivo? A noi piace vivere i live come momenti di condivisione, in cui il pubblico non sia distante ma in un certo senso sul palco insieme a noi. Per questo mettiamo sempre tanta energia nei nostri concerti per cercare di coinvolgere il più possibile chi viene a sentirci. 36
GLUE’S AVENUE Si chiama “Glues” il disco d’esordio della band ligure nata nel gennaio 2018. Il nuovo disco mette in rilievo l’eclettismo del trio e la sintonia già raggiunta Soltanto un anno di vita e siete già all’album d’esordio. Come avete fatto a ottenere già l’amalgama giusto per arrivare al debutto con “Glues”? Andrea: Un anno di vita insieme, ma un trio consolidato da esperienze ben distinte. Nessuno di noi si è mai seduto a riflettere o si è sforzato di cercare qualcosa: probabilmente dovevamo sola-
mente incontrarci, e così è stato. La nostra forza è la stima e il rispetto reciproco, il resto o in questo caso “l’amalgama”, è il nostro esprimerci in modo naturale e spontaneo. Che cosa vuol dire e a cosa fa riferimento il nome “Glue’s Avenue”? Roberto: E’ semplicemente ispirato alla strada in cui siamo cresciu38
ti io e Lorenzo, Strada alla Colla, “colla” sarebbe un modo ligure di definire la collina, ma la parola Glue’s suona un po’ come Blues e l’abbiamo preferita alla traduzione letterale “Hill”. Strada alla colla è una strada della periferia sanremese, apparentemente tranquilla, ma piena di personaggi molto pittoreschi del passato e del presente che sono citati, alcuni di loro, in qualche canzone dell’album. Citate i cantautori italiani ma anche gli Eagles fra i vostri “numi tutelari”. Qualche altro nome da aggiungere alla lista? Lorenzo: Oltre al suonare e scrivere mi piace molto dedicarmi all’ascolto; ho avuto la fortuna di crescere in un ambiente dove la musica è un importante elemento di educazione e cultura, perciò ho conosciuto, ammirato e studiato musicalmente e storicamente parecchi gruppi e artisti di cui sono appassionato ancora oggi. Chitarristicamente, ma non solo, aggiungo alla lista Eric Clapton assieme ai Cream il gruppo con cui si è
affermato; la sua musica suona da sempre nella mia vita così tanto che mi innamorai della chitarra elettrica cominciando a studiarla, lui è stato il primo di tanti altri come Jimi Hendrix, i Dire Straits, Beatles, Queen, Led Zeppelin, fino a spaziare in altro genere come Stevie Wonder e i Tower of Power. Molto spesso con Roberto e Andrea ci dedichiamo agli ascolti facendo uno scambio delle nostre influenze musicali attraverso i dischi più significativi fino a fare ricerche in rete ascoltando altri lavori meno conosciuti e guardando diverse interviste di backstage
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ta come singolo? Andrea: Penso che non ci sia rifugio più intimo e angosciante come la notte e i propri pensieri spiattellati al muro. Un momento per noi stessi, un momento dove non si può barare e dove la verità può scatenare emozioni capaci di destabilizzare o di arricchire ciò che non si conosce. Gally è uno sfogo, un confronto, un urlare contro ciò che fa paura, contro verità che non possiamo né vogliamo cambiare. Tutti possiamo ritrovarci in questa canzone bellica di sentimenti, allora perché non far emergere come status quo Gally e presentarci con un equilibrio di emozioni?
o altro. Tutto questo senza dubbio ha creato un sound nei Glue’s Avenue dall’esecuzione delle cover fino alla realizzazione del disco “GLUES”. Nel disco è presente un elemento swing ma si capisce anche lo sforzo di far sì che le canzoni suonino tutte diverse una dall’altra. E’ stato complicato o vi è venuto spontaneo? Roberto: Ci fa piacere che si percepisca un’influenza swing nel disco, pur non essendoci una vera e propria canzone swing. Ci fa piacere perché in realtà il trio è nato proprio con questa impronta, anche se in pochi mesi ci siamo trovati ad arricchire il repertorio con cover di ogni genere in maniera molto spontanea così come il nostro disco. Possiamo dire che ogni canzone di “GLUES” è a sé, non abbiamo mai pensato di prefissarci dei limiti con un solo genere, nulla è stato pensato a tavolino, è venuto, ci è piaciuto e l’abbiamo fatto. Vorrei sapere come nasce Gally e perché l’avete scel41
ALESSANDRO SIPOLO Arrivato al suo terzo album, “Un altro equilibrio”, il cantautore propone atmosfere personalissime e lontane da quanto ci si aspetta da un artista “indie”, sa regalare le sensazioni di un viaggio in terre lontane o di un buon libro letto tutto d’un fiato. Gli abbiamo fatto qualche domanda per sapere cosa muove un animo così raffinato Un altro equilibrio è un titolo azzeccato per descrivere la tua arte, non solo l’ultimo album. Mescoli parole, suoni e atmosfere creando un equilibrio magico e distante dalle mode del momento. Questa armonia è frutto
di un lungo processo creativo? Be’, innanzitutto grazie per questa considerazione generosa. Le mode effettivamente non mi hanno mai appassionato. “Moda”, del resto, è un concetto matematico. E’ semplicemente “il valore più 42
frequente”. Non necessariamente il migliore. Il mio modo di scrivere e comporre è effettivamente piuttosto distante dalla musica che oggi va per la maggiore. Non per questo mi ritengo inferiore o superiore a qualcun altro. Credo semplicemente di aver sviluppato uno stile e un gusto personale. Dietro ogni tuo testo ci sono persone, luoghi, sensazioni. Ho avuto la fortuna di assistere a un tuo concerto qualche anno fa, e sentir raccontare i retroscena dei tuoi brani è sicuramente stato fondamentale per poterli apprezzare fino in fondo. Sicuramente incuriosisce sapere qualcosa in più sullo Sciamano bianco, uno dei protagonisti che sembra di poter toccare, come era stato per Arnaldo, Denoda e Gagiò Romanò... Lo sciamano bianco racconta il rapporto di fiducia e cura tra due persone a me care, uno psicologo italiano (scherzosamente definito nel brano “lo sciamano bianco”) e un ragazzo africano, rifugiato in Italia. Quello psicologo, Federico, era mio collega, nel progetto
SPRAR della città di Brescia, ed è mancato improvvisamente, all’età di 29 anni. Volevo scrivere un brano che lo ricordasse. Che ricordasse la sua intelligenza, la sua apertura verso le persone di origine straniera, la sua competenza etno-clinica. E che ricordasse il prezioso aiuto prestato a quel ragazzo maliano. I riferimenti culturali non mancano: dal mito di Sisifo a Calvino e alle sue città invisibili, alla ricerca di un equilibrio e di risposte, si muovono in un contesto particolarmente impegnativo e arido di risposte. La musica intesa come impegno appartiene forse a un momento storico lontano, non hai timore di precluderti la possibilità di sfondare definitivamente, di fare il salto? Guarda, come avrai dedotto ascoltando Mostar, l’unico “salto” che credo di poter fare è quello dal ponte… A parte gli scherzi, sono pienamente consapevole che il tipo di musica che compongo e canto non è attualmente il più ambito dal mercato discografico. Detto questo, non mi interessa 43
apparire diversamente da quel che sono, né francamente sarei in grado di farlo. Non per questo mi ritengo più “impegnato” di altri autori. Credo che ciascuno racconti le cose che più gli premono. Evidentemente, ho interessi diversi dalla maggior parte degli artisti
miei coetanei. Tutto qui. Negli ultimi mesi mi sono sentito oppresso da un paese inaridito, spesso frustrante, da un punto di vista culturale e politico. Ho cercato di non cedere allo sconforto, inseguendo un equilibrio differente, appunto. Come ci insegna Camus, 44
militari hanno combattuto anche in Europa. Anche a difesa dei nostri confini. Riportare alla luce una storia come quella, cantarla insieme a un grande artista senegalese come Dudu Kouaté, mi è sembrato un doveroso gesto artistico e politico, in risposta agli egoismi europei che oggi sembrano prevalere. Di solito chiudiamo le nostre interviste con la playlist. Oltre a regalarci qualche brano a cui sei particolarmente legato, ti va di consigliare qualche lettura, film o quello che ti viene in mente per spingersi ancora un po’ nel tuo mondo? Volentieri. Dunque, per quanto riguarda questo disco, oltre ai testi già citati (Le città invisibili e Il mito di Sisifo), direi I dannati della terra di Fanon e Diario di un bevitore di London. Qualche brano? Hold on di Tom Waits, Yamore di Salif Keita e Cesaria Evora, Road di Nick Drake.
nel suo Il mito di Sisifo, il peso delle conseguenze delle nostre scelte a volte pare schiacciarci, ma può regalare la meraviglia quotidiana della libertà… Il viaggio è un po’ il centro di questo lavoro, che sia nel mondo o dentro di sé. Quali sono i luoghi a cui sei maggiormente legato? Quali i viaggi che hanno saputo toccarti al punto da farti cambiare punti di vista, da sradicare convinzioni, da allargare orizzonti? Per questo disco, i due viaggi fondamentali sono stati quelli in Vietnam e in Senegal. Certamente non sono stati abbastanza lunghi da consentirmi di approfondire la realtà sociale di quei paesi, com’era stato invece per il Perù, dove ho vissuto un anno. Però mi hanno permesso di vivere momenti indimenticabili, come per esempio una lunga cavalcata in moto, a nord, vicino al confine cinese. Oppure di conoscere e rispolverare storie dimenticate, come quella dei “tirailleurs”, giovani africani razziati dai villaggi per ingrossare le fila dell’esercito francese. Quei
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BAUSTELLE “GOMMA” #quellochesentivo Quasi vent’anni fa i Baustelle pubblicavano il disco d’esordio, “Sussidiario illustrato della giovinezza”(2000). Nel disco trova posto “Gomma”, canzone nella quale è già possibile scorgere tutto lo stile di Bianconi e compagni, ripubblicata nel 2010 come singolo estratto da “Cofanetto illustrato della giovinezza”, riedit del primo, ormai introvabile, album 46
e di esistenza inutile vibravo di vertigine di lecca-lecca e zuccheri Era agosto. Il freddo aveva smesso di essere reale, passava solamente dal cuore, come residui di una primavera che aveva tardato troppo ad arrivare. Vespe d’agosto in caldo sciame per provinciali bagni al fiume mi pettinavo un po’ all’indietro superficiali ricreative pietà Sabato sera dentro un buco e disco-gomma-americana leccavo caramelle amare e primavere già sfiorite con te Non sapevi passare, come le mode che vedi addosso a tutti e su di te fanno schifo, ma non riesci a fare a meno di indossare. E addosso avrei voluto averti, tra le vertigini. E già ti odiavo dal profondo avevo piombo da sparare se stereofonico posavo d’imbarazzante giovinezza lamé E fantascienza ed erezioni che mi sfioravano le dita tasche sfondate e pugni chiusi “avrei bisogno di scopare con te” Chiara Orsetti
Era settembre, e ogni volta che l’estate finisce niente è come sembra. Perché lo so che sembravo sicura, con le sigarette a coprirmi di fumo e quella sete mai placata. Invece non avere molto da vivere sembrava la sola consolazione. Settembre spesso ad aspettarti e giorni scarni tutti uguali fumavo venti sigarette e groppi in gola e secca sete di te tue cartoline-condoglianze “hello bastardo ci vediamo” l’adolescenza che spedivi sulle mie tenebre incestuose-osé ed il futuro stava fuori dalla new wave da liceale così speravo di ammalarmi o perlomeno che si infettassero i bar Era novembre. La voglia continuava a non placarsi, nemmeno cercando distrazione tra vertigini sintetiche e patinate, potenzialmente consolatorie, evidentemente inutili. Novembre mio facevi freddo la fronte frigo il polso a zero sporcare specchi era narcosi “potrei scambiare i miei ‘Le Ore’ con te?” Tremavo un po’ di doglie blu 47