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Ubba Bond

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kmfrommyills

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UBBA BOND

“Mangiasabbia” è il nuovo album del duo, portatore di una dedica importante e sentita, tra pensieri sulla quarantena e scelte di dischi da ascoltare piuttosto significative e particolari

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Questo disco ha una dedica importante. Se per voi va bene partirei da qui.

Sì, abbiamo scelto di dedicarlo a una persona per noi importante che in poco tempo ha saputo conquistarci, seminando perle di genialità nella stesura condivisa delle parti di fiati che sono uno degli elementi fondanti di questo disco. Si chiamava Daniel Cau e la sua recente ed improvvisa scomparsa ci ha trovato completamente impreparati e ci ha lasciato scossi eincreduli. Ci è sembrato quindi doveroso ricordarlo per sottolineare, celebrare e lodare le qualità di una persona che in vita ha saputo vivere di musica, con la musica, nella musica. Grazie Daniel.

Mi incuriosisce molto il titolo e vorrei sapere su quali basi poggia questo disco.

Si riferisce e risuona in una parte del testo di un brano intitolato “Su milioni di auto”. La frase in oggetto è “la solita vecchia storia di quando hai sete di deserto e inizi a bere sabbia” ed è stata scritta da Max Guidetti, altro amico e collaboratore che ha prestato la voce in due brani del disco. La frase suona ovvia e assurda allo stesso tempo: la sete di deserto (quello stesso deserto in cui la sete sembra ovvia) ti porta a bere sabbia (assurdo). Da qui il mangiare sabbia che, ancora per un assurdo contrasto, rappresenta un’azione senza dubbio più corretta: la sabbia si mangia, non si beve. Senonchè il mangiare sabbia non è altro che l’azione del mare, quindi dell’acqua che potresti bere, ma non puoi perché l’acqua di mare è essa stessa intrisa di una forma, seppur speciale, di sabbia (il sale). Quindi rimani a guardare e ad ascoltare la musica, incantato dalle sirene che ti attirano in un mondo acquatico, friabile come infiniti granelli di sabbia. Non a caso, l’acqua è il denominatore comune di molti brani del disco.

Lavorate un po’ con le porte girevoli rispetto ai collaboratori: scrivete pensando a chi potrebbe intervenire oppure prima arriva il collaboratore e poi la canzone?

In realtà, nonostante tutti si facciano la fatidica domanda, a nessuno interessa sapere se sia nato prima l’uovo o la gallina. Il filo d’erba si piega a causa del vento

o il vento soffia pur di accompagnarne l’inchino? L’ordine (in cui accadono le cose) è un concetto sopravvalutato, almeno quanto il concetto di tempo.

Potete scegliere tre dischi usciti di recente che vi piacciono particolarmente?

Il primo che ci viene in mente è Milano posto di merda dei Giallorenzo: loro sono giovani e scazzati, ma nella direzione giusta (alla Pavement per capirci) e con una scrittura di qualità...e poi sono

ragazzi che sanno suonare, insomma sono una boccata di aria fresca in un panorama asfittico come quello della musica italiana. Vedremo come continueranno, ma di sicuro hanno iniziato sganciando una bombetta. Per gli altri due titoli invece dobbiamo andare indietro di qualche anno (con il vostro permesso). Appartengono a due artisti che amiamo molto, il primo è Francesco De Leo, uno dei pochissimi veri talenti usciti allo scoperto negli ultimi anni.

Di Fra (che salutiamo, avendoci fatto due dischi insieme) scegliamo Antologia della cameretta non perché non amiamo anche i dischi “ufficiali” dell’Officina Della Camomilla (tutti bellissimi), ma perchè è all’interno di quel quintuplo disco (!) di demo registrate in casa che è possibile ammirare la purezza della sua visione artistica. Un vero gioiello. Infine non possiamo non nominare Edda, ovvero l’artista che, secondo noi, ha lasciato un segno indelebile sulla musica degli ultimi 10 anni. Edda è pura potenza emotiva, sia su disco che dal vivo (in solo o con la sua formidabile band) ed è un vero peccato che un artista di questo spessore non abbia un riscontro di pubblico adeguato, a discapito di tanti fenomeni indie-pop buoni al massimo per qualche like su Facebook o una diretta Instagram. Di Edda amiamo tutto, ma scegliamo Odio i vivi perché contiene Anna. Un artista di un altro livello, un alieno, un dono.

Siete stati costretti a spostare l’uscita del disco e presumo ad annullare i live. Come ritenete che usciremo da questa curiosa e paradossale situazione?

Per dirla alla Bennato “ne usciremo in fila per tre”: un modo semplice per dire che (purtroppo) procederemo in maniera ordinata e organizzata dall’alto, verso quella che sembra essere l’uscita, sperando che lo sia. Questo per mettere l’accento su varie cose, includendo il fatto che non riusciamo a vedere una via di uscita nello “smart working” applicato allo spettacolo dal vivo, come se fosse possibile farlo a distanza. Per vivere un’esperienza “LIVE” è necessario scambiare fluidi corporei e contagiarsi di sudore e lacrime, non ci si può limitare a fare dei video (anche se ci stiamo divertendo a farne). Quindi, mettendo al fuoco molta calma e una manciata di buon senso, accettando di aspettare che i tempi maturino e che ci sia di nuovo uno spazio da riempire e a cui destinare vita vera, cerchiamo di “scarrocciare” per goderci in seguito quello che ci viene più naturale fare: suonare. Non sappiamo quando, ma sappiamo che succederà.

ZERO PORTRAIT

Misterioso e mascherato, dopo un’intensa attività da dj, varie collaborazioni e produzioni con differenti moniker, firma il suo primo lavoro discografico in uscita l’8 maggio 2020 per Antistandard Records. “Pulp”

Il tuo attuale moniker fa riferimento alla negazione dell’immagine che mai come in questi anni ha “colpito” anche i personaggi del pop e dei generi contigui. Che cosa rappresenta la tua denominazione Zero Portrait?

Da che ho memoria nella mia infanzia ho sempre ascoltato la musica in radio e guardato i vi

deo musicali su Mtv cercando i programmi che trasmettessero la musica che mi faceva fantasticare mondi lontani dalla quotidianità. All’epoca era la musica che mi ricordava i videogiochi e i fumetti, e che mi rimandavano mondi cyberpunk o distese californiane con quei suoi elettronici che, nella mia fantasia, venivano direttamente dal futuro. Questi ascolti creavano in me un’aspettativa sui musicisti, immaginando che facessero una vita diversa da quella di noi altri e mi sono sempre chiesto quale fosse il loro volto. Questo desiderio ha mantenuto vivo in me quell’attenzione alla ricerca della musica con la fantasia di un bambino che provava ad andare oltre dell’ascoltato. Il passaggio negli anni è stato che i dj/produttori e beatmaker sono passati da essere autentici sconosciuti dietro alle macchine a superstar, con volti sovraesposti, interviste fatte trite e ritrite. L’occasione di mostrare l’autenticità artistica è diventata mezzo di propaganda di uno stile di vita consumistico e orientato a fare sponsor più che parlare da

esseri umani a esseri umani. Forse abbiamo barattato la piacevolezza del desiderio con la mercificazione ossessiva quasi pornografica dell’atto creativo. Per cui credo, almeno per me ha funzionato, di voler ripristinare una parte di quel “mistero” creativo, non esponendomi, anche se in realtà si tratta di mera protezione del mio me più autentico, lasciando che la musica sia da colonna sonora e che non parli necessariamente di me ma che, come un’opera cinematografica, ti trasporti in mondi diversi del quotidiano. Il nome pertanto dovrebbe essere Portrait, ovvero ritratto di un’idea, di un luogo geografico o meta. L’aggiunta dello Zero è dovuta in quanto in passato ho avuto altri progetti sotto diversi moniker e, alla giovane soddisfazione di sapere di aver totalizzato 1k di listens, mi è stato rimandato da gente più dentro di me nel mondo della musica che 1k ad oggi (all’epoca) corrisponde(va) a Zero. Ho fatto quindi risorsa di questa “delusione”. Per cui voglio concedermi la possibilità di iniziare sempre da zero ogni cosa

che farò in questo percorso d’artigianato musicale. Non c’è dunque connessione diretta tra i due, Zero Portrait è cacofonico, è dissonante, difficile da scrivere. Per cui mi piace...

Nel tuo disco si viaggia senza distinzione di genere, quasi da un estremo all’altro. Come ti immagini il tuo “ascoltatore medio”?

Se dovessi fare un’analisi che osserva i canoni stilistici della struttura di ogni brano potrebbero in effetti risultare fatti da mani diverse. Ma non è così, Pulp è come un viaggio, con relativi vissuti, quello che senza dubbio li accomuna, e che ha un filo comune, per me che li ho creati, è la ritmica e la percussione, poco lineare. Li ho immaginati come colonne sonore di un’unica opera che si può consumare in un club in cui ogni traccia diventa colonna sonora di quanto succede tra le persone che sono il centro di tutto, gli attori principali senza dei quali tutto “sto casino” non avrebbe senso. Il mio ascoltatore medio credo quindi che possa essere senza dubbio una persona curiosa che segue un filo personale nella scoperta delle cose che va aldilà del seminato, dove ogni cosa non è al suo posto perché ognuno può scegliere il posto dove inserirla.

Vorrei sapere come nasce “Fauna” e la collaborazione con Agronomist

Con Agro ci siamo conosciuti anni fa a un evento legato al mondo del design e della grafica, mettevano i dischi due nostri amici. Lui indossava il giubbotto del suo gruppo Smania Uagliuns, gruppo rap che io seguivo. In quella circostanza non l’ho riconosciuto per cui gli ho fatto i props sia per il giubbotto che per i gusti musicali. Insomma ci siamo conosciuti casualmente. Entrambi fuori luogo dagli ambienti hype ci siamo confrontati su molti aspetti, e ci siamo trovati sulla stessa lunghezza d’onda oltre che sui contenuti, sui modi che avevamo e abbiamo di scegliere la musica che ci piace, le letture, le persone e le situazioni in cui c’inseriamo. Alla fine abbiamo sentito che quel modo di leggere le cose doveva diventare musica e abbiamo iniziato a

vederci praticamente quasi quotidianamente da un capo all’altro di Roma per provare a unire le nostre competenze. L’idea di Fauna è stata proposta da me, lui è stato capace di coglierne l’essenza intenzionale, senza che io gliela spiegassi ed è venuto quello che sapete. Fauna è un brano che esprime, e in un certo qual modo è, il manifesto di Pulp e di quello che entrambi cerchiamo di portare avanti umanamente nelle nostre professioni e nella musica, si parla di quelle faune fuori da quella visione sovraesposta, ma dei margini di chi non ha modo o voglia di esporsi ma ha un mondo da esprimere e il semplice fatto che i loro mezzi non gli concedano voce non rende la loro voce meno interessante. E noi siamo e stiamo con loro. Attualmente siamo e saremo in collaborazioni per altri progetti.

Tre nomi che ti piacciono particolarmente della musica contemporanea italiana di qualunque genere

Per contemporanei intendo che ho ascoltato o che sono usciti con qualcosa nelle ultime settimane.

Direi Agronomist/Smania Uagliuns (e tutte le sue camaleontiche forme) forse l’artista rap che è capace ad oggi di declinare le sue intenzioni artistiche senza cadere nella trappola di genere musicali. Nasty Boy, storico produttore house, che ha creato questo progetto parallelo Future Jazz Ensemble, la prima forma, che io conosca, di Jazz in Italia fatto con strumenti elettronici che non sia il classico crossover acerbo, bensì un vero disco jazz in piena regola. Infine il terzo nome è La Musica del Sud Italia, da cui proviene secondo me il 70% della migliore musica italiana contemporanea. Per citare qualcuno, dalla scuola pugliese, il duo Jok Troonz & K9, e da Napoli, città-stato che ha un mondo culturale vero, cito Yodaman, la Niňa e i Fuera.

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