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Pierpaolo Lauriola
from TRAKS MAGAZINE #33
by Fabio Alcini
PIERPAOLO LAURIOLA il potenziale della musica
Giunto al suo terzo album, il cantautore presenta la sua nuova fatica discografica “Canzoni scritte sui muri”, in uscita il prossimo 13 maggio. Attivo sulla scena musicale da ormai trent’anni, con questo album parla di trasformazione e di certezze, raccontate con passione e voglia di sperimentare
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Il tuo nuovo album si intitola “Canzoni scritte sui muri”, e fa pensare immediatamente a muri che creano divisioni e musica che, nonostante tutto, unisce. Che cosa rappresenta per te essere un cantautore in un momento storico così delicato? Che potenziale ha la musica?
Di Chiara Orsetti
La musica ha un potenziale enorme; essere un cantautore mi dà la possibilità di esprimermi con linguaggi diversi. Puoi mettere insieme musica e testo, ed essere un interprete di quel tutt’uno. A oggi è difficile analizzare il ruolo della musica e in particolare del cantautore in un momento inaspettato
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come questo; quando ne saremo fuori, a distanza di tempo, verranno a galla le riflessioni metabolizzate in questi mesi.
Il primo singolo estratto è Scudo e riparo, amaro e coraggioso flusso che fa sentire allo stesso tempo protetti e amareggiati. Che sensazioni hai provato scrivendola? In chi, o in che cosa, riesci a specchiarti?
Scriverla è stato emozionante. La musica l’ho scritta da solo nel mio studio e ho seguito il mio istin-to. Il testo l’ho composto insieme a Sergio Salamone. Erano anni che ci rincorrevamo e questa volta è stata quella giusta. Abbiamo prima parlato a lungo. Successivamente ci siamo mandati via mail tutte le idee a cui abbiamo lavorato. Scrivere questa canzone per me è stato catartico. Ho pensato a tutte quelle persone che hanno bisogno di affetto, di protezione. Ho pensato che sono fortunato ad avere questa protezione da parte di chi mi vuole bene. I miei punti di riferimento sono tutti quelli che affrontano la vita spendendosi per gli altri. Sono questi i valoriche
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mi affascinano e in cui mi rispecchio.
Sei impegnato da anni in progetti umanitari e sociali. In questi mesi di blocco totale i problemi che incontreremo avranno connotati diversi rispetto a quelli che abbiamo lasciato. Hai già in mente qualche nuovo progetto a cui dedicarti?
Sì, vorrei realizzare nuove iniziative. Non credo, come ho letto da qualche parte che la pandemia ci renderà migliori di prima, ma spero che non venga meno il senso di solidarietà: come ha detto Papa Francesco, siamo tutti sulla stessa barca. Penso che dovremo ripartire ciascuno dal nostro piccolo, e guardarci anche intorno, partendo ciascuno dal proprio quartiere. Sono diventato da poco padre e non nascondo che mi sento vicino alle problematiche dell’infanzia.
Sei sulla scena musicale da trent’anni: com’è è cambiato il modo di fare musica nel corso della tua esperienza? C’è qualche costante che porti con te fin dall’inizio della tua carriera?
Se penso a come è cambiato il modo di fare musica non posso che pensare ai sistemi con cui si catturano le idee oggi. Quando ho iniziato a fare musica era il 1991 e i miei demo li costruivo con il multitraccia Yamaha MD4. Registravo tutti gli strumenti e poi condividevo le mie incisioni con gli altri della band. Oggi utilizzo il computer. Per lo più lavoro su Logic Pro X e Ableton per i pezzi con più elettronica. Negli ultimi dieci anni mi sono appassionato molto anche alla chitarra acustica oltre che a quella elettrica. Il device con cui si ascolta musica oggi per antonomasia è lo smartphone, molto diverso dai vinili con cui sono cresciuto, che imponevano all’ascoltatore un tempo di attenzione maggiore, si ascoltava tutto l’album leggendo i testi, invece di saltellare da una playlist all’altra (di questo ho una certa nostalgia). La costante in questi anni è stata la scrittura; quando arriva la sera metto nero su bianco le mie sensazioni che poi nel tempo rimaneggio; da quegli appunti nasceranno i testi delle canzoni.
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Una delle tracce che mi ha emozionata di più è Ti reggo al ballo le mani. Emozionante la storia, vibrante la musica. Ci racconti la storia di questo brano?
Sono contento che ti sia arrivata. Per me è stata una prova di coraggio, un piacevole schiaffo. Ti reggo al ballo le mani è il pezzo più vicino alle sonorità di Fabrizio De André, con una melodia che ri-corda Disamistade. Il protagonista è un uomo solo in una stanza d’attesa che immagina il suo perso-nale ballo con la mamma. Con questo ballo le chiede perdono per tutto il tempo in cui è stato assente.
Parliamo di influenze: si riconosce l’influenza dei grandi cantautori, ma con aspetti molto lontani dalle sonorità a cui ci hanno abituati. Quali sono i tuoi riferimenti musicali?
In Canzoni scritte sui muri interagiscono tra loro lo stile italiano di autori quali Ivano Fossati, Fabrizio De André, Paolo Conte, e dei grandi maestri come Leonard
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Cohen, Bob Dylan, Johnny Cash a cui si aggiungono le suggestioni degli ascolti più recenti come Bon Iver, Radiohead e Sufjan Stevens.
La musica che ora sembra andare per la maggiore funziona un po’ come un mordi e fuggi. Canzoni che impari in fretta e che, altrettanto in fretta, finiscono nel dimenticatoio. La tua scelta di comporre un album come Canzoni scritte sui muri si contrappone, chiedendo espressamente pazienza e attenzione, è stato un gesto coraggioso o semplice necessità espressiva?
Avendo ascoltato per anni molti dischi pensati come un concept e come un progetto unico, indipendente da ogni singola traccia che le componeva, mi viene naturale pensare a questo tipo di progettualità. È stata una mia necessità narrativa. Chiara Orsetti
IVAN FRANCESCO BALLERINI
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Si intitola “Cavallo Pazzo” l’esordio discografico del cantautore toscano. Dieci brani inediti in un concept album in cui si narra la storia del leggendario capo indiano
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Ci vuoi raccontare chi sei?
Chi sono? E chi lo sa. Forse un cane reincarnato nel corpo di un uomo.... scherzi a parte. Sono un musicista. Nel 2019, stanco di suonare canzoni di altri autori, seppur bellissime, mi sono messo a scrivere cose mie. È iniziato tutto come un gioco, una sfida con
me stesso per capire cosa sarei stato in grado di produrre. Poi senza accorgermene, mi sono trovato in mano un album di dodici inedi
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ti, alcuni son stati scartati, tutto incentrato sugli indiani d’America. Bestiale....
Domanda ovvia: perché un album intero sulle storie dei nativi americani?
Non c’è un motivo vero e proprio. Son partito scrivendo “Cavallo Pazzo”... poi via via, i brani sono venuti fuori da soli. Alla fine mi son trovato tra le mani cinque-sei brani tutti sui nativi americani e allora ho deciso, anzi abbiamo deciso assieme ad Alberto Checcacci, di fare un album su un unico argomento, un concept, come si suol dire.
Che cosa ti ha colpito in particolare della storia di Cavallo Pazzo?
Tutto... il suo senso di libertà, il suo essere indomabile. È morto a soli 39 anni ed è, e sarà sempre, un personaggio mitologico. Lui non nasce con indole guerriera. Lo diventa a seguito di alcuni lutti che lo colpiscono direttamente. Poi la sua diversità rispetto agli
altri.... aveva i capelli ricci e non lisci, castani e non neri.... unico.
Chi sono i tuoi artisti di riferimento?
Se si ascolta Cavallo pazzo è piuttosto semplice intuire. Fabrizio De André primo tra tutti, Francesco De Gregori, Guccini. Ma anche Claudio Baglioni. Do più importanza al testo che alla musica. La musica per me arriva un attimo dopo il messaggio che si vuole lanciare. Inutile avere musiche fantastiche e testi vuoti.... oggi se ne sentono tante di canzoni così. Il mio è un album semplice, interamente partorito in due.... io, scrittore di testi e musiche, Alberto Checcacci arrangiatore.
So che sei al lavoro su un nuovo disco. Ci puoi anticipare come sarà?
Alcuni mi hanno chiesto se ci sarebbe stato un Cavallo pazzo parte due.... ahahahah, no assolutamente. Quello che stiamo portando a termine è un album di canzoni attuali. A canzoni d’amore si intrecciano storie di vita, massaggi per i giovani, e un brano dedicato a mia figlia Eleonora. Pur trattando argomenti completamente diversi da cavallo pazzo, sotto certi aspetti gli somiglia. Insomma si sente che chi compone è sempre lo stesso individuo. Quello che mi preme evidenziare è che la famiglia sta crescendo. Al mio fianco oltre Alberto Checcacci, che è colui che cura ogni dettaglio degli arrangiamenti e a Nedo Baglioni, fotografo e regista, si è aggiunta Monica Barghini, corista e cantante di un mio brano e il bravissimo violinista Alessandro Golini che vol suo violino e la sua sensibilità ha “dipinto” alcuni miei brani e...... basta altrimenti vi dico tutto.
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SAN DIEGO
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Un album “estivo”, dal titolo molto curioso, cioè “ù” e un nuovo featuring con lo Sgargabonzi: tre anni dopo “Disco”, un nuovo lavoro per il cantautore
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Be’ partirei dal curioso titolo. Perché “ù”?
Perché “ù” è l’unica lettera rimasta dopo aver cancellato tutti i ti-
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toli papabili sul foglio di testo, il classico errore invece di premere “invio” sulla tastiera, e lo ritenevo molto emblematico come concetto, oltretutto è una vocale che ricorre spesso nel disco.
Trovo che il tuo disco sia particolarmente “estivo”. In questa condizione particolare pensi che potrebbe cambiare la percezione di chi ascolta o può servire da consolazione?
In base a quello che mi stanno dicendo per molti funge da proiezione verso ambienti e sensazioni marittime, quindi direi che sì, può essere anche consolatorio al limite.
“Rinascente” è un po’ il manifesto del disco. Da cosa avevi bisogno di rinascere?
Per me ha vari significati, come un po’ tutte le canzoni. Rinascere per un nuovo disco o una fase successiva della vita, per me qualsiasi cosa va affrontata come una rinascita.
Hai fatto un altro featuring con lo Sgargabonzi. Qual è la sua caratteristica decisiva nello scegliere di lavorare con lui?
Perché mi piace moltissimo come scrive, la scelta accurata di ogni singola parola, la sua capacità di creare microcosmi letterari, e tra noi c’è una sincera amicizia e reciproca stima.
Quali saranno i tuoi passi successivi?
Sto scrivendo cose nuove e sono già proiettato verso l’immediato futuro, mi sento fiducioso.
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BEPPE DETTORI & RAOUL MORETTI
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“(In)Canto Rituale” è un disco che si snoda tra innovazione e la matrice identitaria tradizionale, in omaggio a Maria Carta
Vorrei sapere come nasce il progetto e l’omaggio a Maria Carta
DETTORI: Nasce grazie a Giovannino Porcheddu di UNDAS Edizioni Musicali e Federico Canu del Tangerine Sa Pedrache. Abbiamo “fermato” qualche nostro live in alcune registrazioni. Nel 2019 c’è stata la ricorrenza dei 25 anni dalla scomparsa di Maria Carta e, come a dar seguito a qualcosa già accennato nel nostro precedente disco, abbiamo deciso di dedicarci proprio a un intero omaggio a questa grandissima artista. MORETTI:Alcune rivisitazioni
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di brani che erano nel repertorio di Maria Carta erano già presenti nel repertorio di Beppe da qualche anno, e poi sono entrati a far parte del nostro progetto del 2019 “S’Incantu e sas cordas”. Stimolati anche dalla Fondazione Maria Carta abbiamo sviluppato gli arrangiamenti ed aggiunto altre due pietre miliari come “Stata Mater” e “No Potho Reposare” . A completamento, abbiamo musicato la poesia “Ombre” che apre il libro di Maria Carta, Canto Rituale, da cui è tratto il titolo del disco.
Non è certo la prima collaborazione Dettori-Moretti. Non vi è venuta la tentazione di coinvolgere altri musicisti per questo progetto?
DETTORI: Un progetto con un sound ben definito e scarno per nostra scelta, dettata anche da un’esigenza mera di mercato, che, per assurdo, nella sua crisi, ha generato tutto questo… Ma comunque nella solidità di questo duo abbiamo certamente provato ad inserire altri strumenti e con ottimi risultati. MORETTI: In realtà la nostra collaborazione nacque all’interno di un quartetto che negli anni è andato a scalare. Siamo rimasti per un periodo in trio con Manuel Rossi Cabizza, che abbiamo comunque ospitato in due brani del precedente lavoro. Ora volevamo arrivare all’essenza del nostro sound, un incontro tra voce, chitarra e arpa, ed il loro utilizzo con
tecniche provenienti dalla tradizione e dalla contemporaneità.
Al contrario di altre tradizioni regionali, a uno sguardo totalmente esterno mi sembra che la musica sarda goda ancora di estimatori e sia ancora piuttosto
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forte. Ci sono dei rischi all’orizzonte?
DETTORI: Sì è una nicchia molto solida, e gode di stima in tutto il mondo e questo è una ricchezza che va sostenuta. Però il decadimento della cultura è un grande
campanello d’allarme che sta ancora suonando e ci ha resi assuefatti a quel disturbo sonoro tipico dell’allarme. Le tecnologie e le proiezioni continue di felicità fittizie hanno soppiantato la bellezza dell’arte e della cultura, uccidendo anche la nostra identità. MORETTI: Il mio approccio da continentale adottato dall’isola è proprio quello di un estimatore. Oltre al fascino dalla musica che nasce in questa terra, mi colpisce quanta cultura e con quanta forza e identità si esprime… I suoi riti arcaici, la musicalità della sua lingua e tanto altro.
Come si vive l’isolamento dovuto al virus in una terra che l’isolamento lo conosce già piuttosto bene?
DETTORI: Per alcuni, come me, non e’ cambiato molto, devo essere sincero. Immagino però la sofferenza grande che c’è ovunque si guardi. Speriamo finisca presto. Soltanto questo… MORETTI: L’anno scorso sono uscito con un lavoro solista dal titolo “IsolaMenti” che oggi mi sembra quasi profetico. Era frutto di un percorso personale in cui c’era l’isola come metafora. Non un luogo di esilio ma un luogo di contemplazione verso il tutto. Ora il mio augurio è che questo sia un periodo di contemplazione, di sottrazione per arrivare all’essenza e da li ripartire verso una nuova direzione.
Quali saranno i prossimi progetti?
DETTORI: Guarire… risanare la mente e lo spirito… sognare… amare e continuare a farlo con una determinazione d’acciaio. E se fosse ancora possibile vorrei suonare e cantare nei concerti, piccoli e grandi, con il pubblico che si diverte… e noi, a nostra volta, che andiamo ai concerti di amici e colleghi, una festa di rinascita globale… vivere! MORETTI: Tornare a suonare dal vivo, incontrare la gente, viaggiare e condividere i nostri progetti. Il musicista è nato per suonare dal vivo, in quella magia dell’incontro con il pubblico che ogni sera si rinnova. Il nostro mestiere vive di questo. Tutto il resto è “industria”, è un fattore marginale.