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Silek
from TRAKS MAGAZINE #33
by Fabio Alcini
Si chiama “Carnival” il nuovo album del rapper proveniente da Padova: più omogeneo e compatto, è soprattutto “il primo disco di Simone”
Ci vuoi raccontare chi è Silek?
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Silek è lo pseudonimo di Simone, un ragazzino che si è appassionato al rap e a tutta la cultura hip hop da molto piccolo e nella metà degli anni ‘90 ha voluto farne parte in maniera attiva. Prima del rap c’era tanta altra musica, e dal rap in poi altra ancora per cui la contaminazione con altri generi, sia per musica che scrittura ha colorato e cambiato molto la connotazione di quello che faccio rispetto al rap nella sua versione più
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ortodossa. Per dieci anni ho fatto parte di Dozhens, la prima realtà nata a Padova, poi diventato quasi un laboratorio di sperimentazione e crossover fra generi inventandosi fra i primi il rap sulla musica elettronica già all’inizio dei 2000. Chiusa l’esperienza di gruppo dopo 10 anni di live e tre album, ho continuato la stessa ricerca da solo. Tanti altri live, vari album solisti, pause, esperienze e collaborazioni negli States fino a qui oggi. Negli anni mi sono appropriato di una scrittura sempre più personale, ho imparato a produrmi la musica da solo. La mia è una ricerca che porta a una modalità comunicativa fatta a strati, non facile, ma è una scelta, così come un flow personale, complesso che continuo a rivedere ed evolvere. Magari domani Silek sarà solo musica... o solo scrittura... o un progetto multimediale interattivo... vedremo.
Si parla di maschere con “Carnival”: mi racconti con quali sentimenti hai approcciato il lavoro sul disco?
Volevo fosse il primo disco di Simone. Lasciare il personaggio per far parlare la persona, toccando le parti più intime, lasciando fluire le emozioni senza imbarazzi. Non ci sono temi sociali, come di solito era per la mia composizione, non ci sono teoremi e visioni o messaggi, c’è la mia parte emotiva più profonda, nuda, difficile da scrivere perché smuove cose che sono in fondo. L’ho scritto composto e registrato in tre mesi esatti e ci sono tutte le esperienze, le emotività i passaggi di questo periodo, è stato davvero intenso e mi ha portato a scrivere ogni giorno in maniera continua e fluida. In Carnival ci sono bui profondi ma c’è anche la luce, c’è il far pace con pezzi della mia vita, ci sono le mie paure e le mie speranze. La sera mi sedevo e scrivevo e dopo un’ora avevo la bozza del brano con tanto di ritornello. Mandavo.in giro su whatsapp i provini annoiando tutti quelli che si sentivano di sopportarmi e tiravo le somme. Poi smussavo.
Benché tu sia abituato a spaziare tra i generi mi sembra che in questo caso tu abbia scelto un
vestito sonoro molto omogeneo e compatto. Da cosa nasce questa scelta?
Volevo avesse delle tinte precise, ho scelto una palette e vi sono rimasto coerente, l’idea è che fosse un ascolto esattamente dentro quella stanza, con quegli odori e quei suoni. E’ un disco hip hop attuale, non vintage o nostalgico, ha bpm molto bassi, utili a darmi elasticità nella stesura del rap. Credo sia stato davvero il progetto più fluido e veloce del mio percorso, togli mix e periodo covid dopo tre mesi scarsi dall’idea di fare un nuovo progetto (dopo il precedente uscito a settembre) era tutto registrato con sette brani e pronto a uscire. Ho aggiunto solo la bonus track Quarantema composta e registrata a casa da me per ovvi motivi di cronaca. Nel totale quattro produzioni sono mie, tre di Nevo, una di Skinny.
Chi sono i tuoi punti di riferimento nell’hip hop italiano?
Vengo dall’ascolto di tutto il rap anni ‘90, per Sangue Misto e LouX sono stati i mentori che ancora mi godo, oggi però non riesco più ad ascoltare artisti della mia generazione ancora in giro, sono stati ottimi maestri ma che sento non appartenermi più. Fra i più attuali, anche se a loro volta di lungo percorso, ascolto e apprezzo molto Noyz Narcos, Salmo, Marracash, Primo Brown (RIP), Mezzo Sangue, ma anche qualcuno di più giovane ancora che si muove in altri territori.
Che cosa pensi della situazione attuale l’hai spiegato bene in “Quarantema”... Che cosa farai “all’uscita”?
Qualsiasi cosa io dica verrà confutata e resa merda dalle due grosse fazioni che vedo andare a crearsi, future contro no future, negazionismo contro fine del mondo. Credo che ne usciremo, ma una parte di noi è in preda al panico, credo che subire la paura sia il rischio più dannoso del virus stesso che va amministrato con responsabilità, ma presto o tardi passerà. Il problema è se rimane la paura. All’uscita farò quello che ho sempre fatto: cercare di costruire cose positive, solo che per un periodo lo farò con la mascherina.
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